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Ritratto di Alicja Kwade
Polacca di origine ma tedesca di adozione, Alicja Kwade (Katowice, 1979) fa parte di una generazione di giovani artisti europei che hanno intrapreso un percorso artistico all’insegna della sfida alle nostre credenze. La sua opera è, in particolare, una continua riflessione sulla nostra percezione del tempo. Con esiti sorprendenti.
«Gli oggetti materiali sono eventi nel tempo. Mi interessa capire come funziona il tempo e come anche noi, nella nostra vita, siamo parte di questi eventi che si verificano». In queste poche parole è racchiusa gran parte della ricerca artistica di una delle migliori scultrici contemporanee, la polacco-tedesca Alicja Kwade, i cui lavori molto spesso rappresentano una sfida al conoscimento convenzionale delle categorie di spazio e tempo. Nata nel 1979 a Katowice, nella Polonia comunista, la giovane scultrice vive sin da subito in un ambiente familiare che le permette di conoscere non solo il mondo dell’arte, ma anche di investigare la realtà con cui gli esseri umani si rapportano. La madre, ricercatrice ed esperta di linguistica slava, e il padre, storico dell’arte e restauratore, motivano la Kwade a intraprendere il suo cammino artistico verso una determinata esplorazione tematica. Dal 1999 si trasferisce a Berlino, dove segue i corsi di scultura presso la Universität der Kunst, laureandosi nel 2005 e iniziando da subito un percorso (la sua prima personale, presso la prestigiosa sede dell’Hamburger Bahnhof, è del 2008, anno in cui riceve il premio internazionale di scultura Förderpreis für Skulptur) che l’ha portata in soli quindici anni ad esporre i suoi lavori in istituzioni artistiche internazionali importanti, come la Biennale di Venezia (2015) e la Whitechapel Gallery di Londra (2016), fino a raggiungere il Metropolitan Museum di New York nel 2019, con la sua installazione Parapivot nel giardino pensile di Iris e Bernard Gerald Cantor.
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Alicja Kwade
FOTO PAGINA A FIANCO: Ritratto di Alicja Kwade La percezione del tempo (e, conseguentemente, quella dello spazio), inteso come dimensione fisica dell’universo e come processo dinamico e fluttuante di cambiamento, è da sempre al centro delle sculture per interno e per esterno della Kwade: la manipolazione dei materiali di lavoro (legno, vetro, rame, pietra) e l’utilizzo di suoni ripetitivi creano spazî immersivi in cui si fa esperienza di ciò che è la percezione della realtà. Dal funzionamento meccanico di un orologio alla creazione di una superficie liquida
Gegen den Lauf
FOTO SOTTO: Alicja Kwade, Gegen den Lauf (20122014; orologio trouvé, diametro 30 cm)

Against the run
FOTO SOPRA: Alicja Kwade, Against the Run (2015;
orologio da lampione con movimento modificato, 470 x 114,5 x 55 cm; New York, Public Art Fund)
Die bewegte Leere des Moments
FOTO PAGINA A FIANCO: Alicja Kwade, Die bewegte Leere des Moments (2015/2017; orologio,
pietra, catena di acciaio, motore elettrico, led, equipaggiamento audio, dimensioni variabili)
di vetro a specchio, Kwade trasforma materiali comuni in opere d’arte straordinarie che mettono in discussione la nostra percezione dell’universo. Ciò che interessa all’artista non è tanto dare delle interpretazioni univoche, ma portare l’osservatore a porsi delle domande, a indagare, a scoprire, a dubitare dell’universo così come lo si conosce. In questa decostruzione del mondo conosciuto, un concetto filosofico molto importante guida la scultrice nella sua indagine artistica: quello di “aporia”, che significa una contraddizione non risolvibile e che si collega al lavoro dei teorici della decostruzione (come, primo fra tutti, il filosofo francese Jacques Derrida) che usano il termine per descrivere il momento più dubbio o contraddittorio di un testo. La messa in discussione del tempo come misura dello scorrere degli eventi appare già nei suoi primi lavori. In Gegen den Lauf (2012-2014), un orologio da parete con quadrante analogico segue una logica propria: quando la lancetta dei secondi avanza di un secondo, il quadrante gira nella direzione opposta, muovendosi in senso antiorario. Malgrado questo inverso meccanismo, l’orologio trasmette la giusta segnalazione dell’ora, in termini di lancette delle ore e dei secondi. Alla parte visiva è associata anche quella uditiva con il continuo ticchettio delle lancette. Quest’opera della Kwade sconcerta qualsiasi visitatore che la osserva perché crea verosimilmente la consapevolezza del passare del tempo,

Getrennte Stunde
Alicja Kwade, Getrennte Stunde (2020; vetro, sabbia, ottone, motore)

stabilendo il ritmo degli spazi temporali e svelando l’assurdità della nostra ossessione per il tempo. Esiste una collisione fra l’avanzare nel futuro e le forze che ci riconducono nel passato che è determinato dal momento presente in cui viviamo, quello su cui la scultrice vuole far riflettere. L’artista tedesca, le cui opere sono principalmente scultoree con uno sguardo anche alla fotografia e alla video art, incentra la sua pratica artistica proprio su una serie di esercizî mentali che prevedono la sperimentazione del tempo e dello spazio per approdare a mondi paralleli e infinite possibilità di ciò che è e ciò che non è, come lei stessa afferma in una intervista del dicembre 2013 alla rivista Ar-
MatterMotion
FOTO SOTTO: Alicja Kwade, MatterMotion (2020; acciaio inox e granito, 600 x 518,2 x 94,8 cm) treview: «Cerco di conoscere cos’è la realtà per me, e cos’è per tutti noi. Sto cercando di vedere quale potrebbe essere la struttura della realtà. Voglio dire, viviamo su una palla che fluttua. È pazzesco. Se immaginiamo ciò, tutto è possibile. Abbiamo difficoltà a comprenderlo per davvero. Siamo solo animali, il nostro cervello è troppo piccolo. Avere esperienza vera della situazione in cui ci troviamo ha dell’incredibile». L’arte, per Alicja Kwade, serve proprio ad intervenire con i misteri dell’universo nella sua possibilità di infinite strade parallele. Against the Run (2015), prima commissione pubblica negli Stati Uniti, è un’altra installazione della Kwade che ha per protagonisti un orologio e la percezione del tempo nell’essere umano. L’installazione questa volta è stata pensata per essere all’aperto e in un ambiente del tutto particolare, all’entrata di Central Park a New York, in direzione perfettamente opposta rispetto al famoso Plaza Hotel. Per questa installazione la scultrice si era ispirata al design


LinienLand
FOTO SOPRA: Alicja Kwade, LinienLand (2018; 17 sfere
di pietra, acciaio verniciato a polvere nero, 531 x 1161 x 531 cm)
dello strumento che nel XIX secolo si trovava lungo le strade di Manhattan. Il suo orologio, alto circa sedici piedi, aveva una particolarità: il quadrante si muoveva in senso antiorario, mentre le lancette delle ore e dei minuti giravano nella direzione opposta. I passanti che alzavano lo sguardo si trovano in difficoltà: ciò che apparentemente sembrava un’azione facile da svolgere (leggere che ora è) diveniva d’improvviso molto complicata: il tempo sfuggiva a se stesso e a chi si rapportava con lo strano orologio. Ancora una volta, dunque, l’artista sfidava il proprio interlocutore ad interrogarsi sulla validità del tempo e su come egli lo vivesse: quel che si crede un qualcosa di certo, come lo scorrere del tempo, potrebbe d’improvviso dimostrarsi effimero e labile, spingendo l’osservatore a vedere la realtà da una nuova prospettiva. 51 Tage und 19 Stunden è un’opera che è stata esposta per la prima volta in occasione della mostra Waiting for the Present (2015) al Kunst Museum di San Gallo, in Svizzera. La mostra era dedicata interamente alla ricerca della Kwade sul tempo, e il titolo stesso alludeva al presente come punto di incontro fra passato e futuro e voleva far emergere la domanda fondamentale della natura del tempo stessa. Come si sperimenta il presente, il cambio o il passaggio del tempo? Questo complesso concetto riecheggiava in tutte le opere esposte in mostra, fra cui 51 Tage und 19 Stunden. Per quest’opera in particolare, Alicja Kwade integrava il white wall dello spazio espositivo con le lancette dell’orologio: quest’ultime non si trovavano più all’interno di un quadrante, ma all’altezza degli occhi sulla parete. Quando il visitatore passava ed entrava così a far parte dell’opera, innumerevoli lancette mostravano il tempo in
maniera tale da far sembrare che si muovessero in avanti o indietro, in senso orario o antiorario, mentre la stanza diventava spazio confinante e, quindi, un quadrante d’orologio sovradimensionato. Nel 2015 un altro orologio analogico è stato di nuovo il protagonista di una personale dedicata all’artista, alla Schirn Kunsthalle di Francoforte, in Germania. Gli oggetti dell’installazione (oltre all’orologio anche una pietra) seguivano i loro percorsi infiniti circolari e a velocità immutabile (ciò grazie a un motore montato al centro del soffitto della rotonda della Kunsthalle) producendo una varietà di stimoli sensoriali. Si sentiva, come in molte delle installazioni dell’artista, il ticchettio monotono dell’orologio il cui movimento continuo provocava un sibilo costante. La moltiplicazione dei suoni e dei movimenti privava la rotonda della Kunsthalle dei suoi confini spaziali e creava un numero illimitato di universi paralleli, mettendo nuovamente in discussione la realtà conosciuta. Ciò che emerge sin dall’inizio della ricerca artistica effettuata dalla Kwade (ispirata da personalità quali la sociologa italiana contemporanea Elena Esposito, il fisico Stephen Hawking e lo scrittore tedesco Jörg Starkmuth), e che pervade tutti i suoi lavori fino ad oggi, è che il mondo in cui viviamo la nostra quotidianità sia stabilito da accordi sociali che stipuliamo in base alle percezioni che abbiamo
ParaPivot
FOTO SOTTO: Alicja Kwade, ParaPivot (2019; acciaio
verniciato a polvere e pietra, 600 x 574 x 1.025 cm; installation view, New York, Metropolitan Museum)



WeltenLinie
FOTO PAGINE PRECEDENTI: Alicja Kwade alla mostra Opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo (Catania, Palazzo Biscari, dall’8 luglio al 24 agosto 2019)
di esso. La nostra comprensione della realtà (e ciò che riteniamo verità assoluta) si basa solo sui nostri sensi, che sono limitati, e di conseguenza non può essere completa e compresa in fondo. L’artista rende la simultaneità degli stati dell’oggetto e l’esistenza di mondi paralleli con immagini speculari o riflessi per costituire una realtà alternativa. Le sue opere contemplano il nostro rapporto con la natura, il nostro posto nell’universo e la continua trasformazione del mondo. L’opera Solid Sky (2018) realizzata da Alicja Kwade per la mostra Into Nature: Out of Darkness, a Drenthe, in Olanda, era incentrata proprio sul rapporto fra uomo e natura. In una mostra di per sé atipica (terreno espositivo non erano le consuete pareti bianche di una galleria, ma un bosco), l’artista poneva al centro di un sentiero l’immensa scultura Solid Sky. L’oggetto era evidentemente un intruso rispetto al contesto in cui si trovava. La pietra rotonda di quarzite brasiliana Azul Macaubas (di ben seimila chili) sembrava al tempo stesso immobile e in contrasto con l’ambiente circostante: liscia su un sentiero sabbioso sconnesso, azzurra brillante tra le tinte verdi e marroni del fogliame. L’oggetto era stato realizzato direttamente da una montagna di quarzite in Brasile. Kwade lo aveva fatto trasportare prima in Polonia come un blocco gigantesco, poi in Olanda, per liberare la sfera dalla roccia e farla assomigliare a un corpo celeste, completo dell’illusione di un’atmosfera. Di nuovo, un altro mondo, un’altra realtà. Nelle opere di questa scultrice le rocce e le pietre assumono un ruolo molto importante, quasi primordiale. La loro formazione così come la loro polverizzazione comportano in sé una forma di aporia, quel concetto caro all’artista di cui si è precedentemente detto. Si tratta di rocce o di polvere? Dove iniziano le rocce e dove terminano? Qual è la loro natura? Esistono domande, come queste (dice l’artista), che non trovano risposta neanche nell’analisi dello stesso processo geologico: ecco perché le rocce, le pietre costituiscono un accesso privilegiato al mondo reale, proprio per le contraddizioni che in esse contengono. Alicja Kwade utilizza la manipolazione delle rocce e delle pietre per indagare il tempo, lo spazio, la luce e l’universo in cui si trova. In Linien Land (2018), realizzata in occasione della mostra presso il Museum Haus Konstruktiv di Zurigo, una struttura tridimensionale a griglia percorribile, veniva “abitata” da sfere solide di pietra naturale di diverse dimensioni che galleggiavano in apparente assenza di peso. Anche in questa installazione, il riferimento dell’artista era all’ idea dei mondi paralleli. Nell’ampia struttura di metallo ogni singolo confine cubico implicava una realtà distinta. Al sistema-griglia si aggiungevano le pietre: attraverso lo spostamento all’interno del sistema, le singole barre formavano i supporti delle sfere. Gli accessi che si creavano, così, invitavano i visitatori ad entrare in un multiverso e a sperimentare la gravità delle grandi sfere di pietra, come in un campo gravitazionale. Le pietre naturali provenivano dai varî continenti della nostra Terra e li simboleggiavano. L’elemento pietra, con i suoi varî strati formati nel corso di diversi milioni di anni e che rendono possibile determinare la sua età, agiva come una sorta di scala temporale. Con le installazioni degli ultimi anni, Alicja Kwade è riuscita a trasmettere i suoi pensieri sullo spazio, la gravità e il tempo in un modo nuovo e sempre più intrigante. ParaPivot (2019), realizzata per il Roof Garden Iris and B. Gerald Cantor del Metropolitan Museum di New York, seguiva lavori come Linien Land. Consisteva, infatti, in due grandi sculture fatte di acciaio, telai rettangolari e diverse enormi rocce sferiche. La Kwade voleva che i visitatori fossero in grado di camminare sotto le sfere, alcune delle quali pesavano più di una tonnellata. L’esperienza, in un certo senso, era quella di un rapporto di fiducia fra visitatore e artista. Le interazioni visive di ParaPivot con lo skyline di Manhattan sono state in parte ispirate dal fatto che i grattacieli della città sono simboli di un sistema capitalista che l’artista vede con diffidenza. Da alcune angolature, le rocce sferiche della scultura sembravano poggiare illusionisticamente sugli edifici circostanti, in modo che simbolicamente il capitale diventava piedistallo per il globo. Una critica sociale da parte della Kwade per chi ritiene il capitalismo un “pilastro” che sostiene la società. Una critica che realizzata nel cuore di New York aveva
certamente la sua rilevanza. «Il denaro, l’economia, il capitalismo, non hanno nulla a che fare con la realtà», afferma Kwade, poiché si basano interamente sulla fede delle persone. Le pietre intagliate, ciascuna di un colore unico e con un disegno intricato, provenivano da nove paesi diversi (si ricordano la pietra Hermelin dalla Norvegia e la Azul Macaubas dal Brasile). L’installazione sembrava tracciare i percorsi orbitali dei globi e come tale evocava un astrolabio, uno strumento scientifico inventato nell’antica Grecia e adottato dagli astronomi islamici nel periodo medievale per tracciare la traiettoria delle stelle e dei pianeti. Negli ultimi anni le sue opere hanno collocato la Kwade all’interno di una generazione di giovani artisti europei (come i tedeschi Michael Sailstorfer e Kitty Kraus, la svedese Nina Canell e l’artista austriaca Judith Fegerl) che esplorano aspetti della natura, del tempo e dello spazio, sfidando i sistemi di credenze ed esponendo ciò che è “reale” e “vero” nel nostro ambiente, in un mondo in cui gli oggetti sono sempre più abbondanti e quindi sempre meno
LVII Biennale di Venezia
FOTO SOTTO: Alicja Kwade alla LVII Biennale di Venezia, mostra internazionale Viva Arte Viva (Venezia, dal 13 maggio al 26 novembre 2017)
significativi. Nel 2018, l’artista ha trasferito il suo studio dal quartiere berlinese di Kreuzberg a quello di Oberschöneweide, dove lavorano colleghi come Olafur Eliasson, Christian Jankowski e Jorinde Voigt, molto affini alle sue ricerche artistiche e con cui si auspica, un giorno, una collaborazione. Intanto, nel 2021 è prevista la sua partecipazione alla prima Biennale d’Arte di Helsinki, in Finlandia, e sicuramente anche questa sarà un’occasione per sconvolgere le nostre credenze sull’universo in cui ci troviamo, reale o irreale che sia. ◊
alicjakwade.com

CONTEMPORARY LOUNGE | Luca Pozzi
La dinamica del passo e il carico del salto
testo di Cristina Principale
L’artista Luca Pozzi (Milano, 1983) sposta il tempo e le relazioni tra storia dell’arte e progresso scientifico, con un hyper-linguaggio che somma materia e informazione.
Cos’è l’Arte se non un salto? Un salto intuitivo, nello spazio e nel tempo. Concetti che nella storia della cultura hanno subito stravolgimenti di senso e distorsioni, assoluti e separati poi indissolubilmente uniti in “spaziotempo” quando Einstein nel 1916 ce li ha riconsegnati condizionati dai punti di osservazione con la teoria della relatività. Luca Pozzi ha esordito proprio con una serie di salti dinanzi a scene pittoriche rinascimentali di Paolo Veronese (The Supersymmetric Partner 2007/2009), e da appassionato di fisica teorica ha adottato la complessa definizione che dà dello spazio e del tempo la Teoria delle Stringhe, in seno dagli anni Ottanta alle ricerche di Gravità Quantistica.
Veri balzi di materia e fluttuazioni del pensiero per connettere la sua realtà a quella descritta dai quadri, sommando tri- e bidimensione per scostarsi momentaneamente dal proprio stato di osservatore, sollevarsi a certe altezze del sapere e poi riapprodare altrove in una dimensione differente, aggiungendo un’informazione al preesistente sistema. «Il tempo non è solo un palcoscenico dove accadono gli eventi», afferma, «è anche un attore tra gli attori». Pozzi infatti lavora col tempo, oltre che nel tempo. Così, ponendosi in una posizione di conquistato privilegio, con i salti nel Rinascimento congelati dalle fotografie ha sfidato innanzitutto la gravità, lavorando con la probabilità e il caso, e tanto più affrontando i limiti tra le discipline, storia dell’arte e fisica contemporanea, con mirabili esiti. Partito per un pellegrinaggio a tappe, iniziato dalla Cena in casa di Simone (1570) della Pinacoteca di Brera (nella cui Accademia si è formato avviando il suo percorso artistico) è saltato in altre sale di importanti musei europei che conservano il Veronese. Louvre di Parigi, Galleria Sabauda
di Torino, Chateaux de Versailles, Gemäldegalerie di Dresda e Fondazione Cini di Venezia fino dal Santuario di Monteberico di Vicenza. Solo all’inizio di un lungo itinerario, un primo approccio rudimentale all’arte aumentata. Augmented Painting, in questo suo caso da intendersi concettualmente come capacità di aggiungere informazioni e dimensionalità al sistema visivo con «esperienze non lineari che non procedono dal passato al futuro passando dal presente, ma che saltano da un tempo all’altro inaspettatamente come fa un elettrone tra le orbite di un atomo». Un procedere che lo ha reso noto in un contesto universale di virtualità spinta e digitalizzazione dello scibile, facendo avanzare l’espressione artistica verso la Quantum Computing. «La tecnologia del futuro», sostiene, «è la fisica delle particelle oltre il modello stanUn gioco di rimandi nascosti e citazioni ad oggi ininterrotto e via via più complesso. «Tuffi dello sguardo nell’abisso», prendendo a prestito una locuzione del fisico Carlo Rovelli, riferimento a lui caro sin dal loro incontro nel 2010. Ma i suoi link non sono solo con la fisica e la sua applicazione nell’informatica, riguardano ampiamente la cosmologia, con attenzione alla nuova branca chiamata multi-messaggera che si basa sullo studio delle onde gravitazionali, della materia oscura e dei neutrini quali canali inediti per l’osservazione dell’universo oltre lo spettro elettromagnetico. Come a dire, riportandola all’approccio artistico di Pozzi, la possibilità di guardare al suo lavoro come alla convergenza di più punti d’osservazione che tendono unitariamente ad un’immagine d’insieme. Tanto da poterlo definire l’artista
Luca Pozzi ha esordito con una serie di salti dinanzi a scene pittoriche rinascimentali di Paolo Veronese, e da appassionato di fisica teorica ha adottato la complessa definizione che dà dello spazio e del tempo la Teoria delle Stringhe.
dard». È dal 2009 che la realtà aumentata, permettendo ricerche avanzate a velocità sconosciute prima, è diventata di utilizzo comune. Anno anche della sua prima mostra personale in una istituzione pubblica e in cui compie una visita nel laboratorio per la fisica delle alte energie più grande al mondo, il CERN di Ginevra che ospita il superacceleratore di particelle LHC-Large Hadron Collider. L’assunto di partenza per entrare nell’opera di Pozzi è che la realtà, a suo stesso dire, «non è fatta di “cose” ma di informazioni interconnesse che “aumentano” la coscienza. […] La ricerca interdisciplinare ci porta così distanti dalla nostra percezione del quotidiano da aumentare i gradi di libertà delle nostre menti fino a trasformare la realtà in pura poesia». Arte e scienza si raggiungono in quel punto di contatto che è lo stupore della creazione per l’una, e della scoperta per l’altra. Ebbene i salti di Pozzi (continuerà a farne ben altri talvolta doppî, tripli… ) mostravano già da subito una genuina ambizione di allineamento al progresso della scienza, portando nel titolo del progetto il riferimento ai “Partner Supersimmetrici”, teoria della fisica delle particelle sulla quale al momento ancora si indaga. del +. Più materiali, più sistemi, più dimensioni spazio-temporali in relazione. Una “sovrapposizione di stato” tra: semiotica dell’arte, dalla archeologia rupestre ai suoi preferiti autori coevi; simbologia d’ispirazione scientifica, teorie, leggi e paradossi di campi specifici anche nel loro rimando grafico; iconicità multimediale, cosiddetta “pop”, della cultura di massa, cinematografica e televisiva, e dal mondo dei cartoons, manga e videogiochi; allegoria sportiva, l’allenamento psicofisico prima del salto… dalla meditazione zen al tennis e ping pong, che si legano a un lessico spirituale, ai richiami mistici dalla mitologia alla religione. È per via di questo hyper-linguaggio che si è insediato saldamente con mostre, fiere, commissioni e collezioni nel sistema dell’arte, collaborando al contempo con i centri di ricerca scientifica più influenti al mondo. La curiosità da studente di pittura ha innestato il “dubbio” sulla scienza: alla vista di un’opera tardo rinascimentale di Tiziano una folgorazione ha acceso la sua macchina del tempo. Nel 2005 esplorando la National Gallery di Londra, al cospetto dell’olio su tela Bacco e Arianna (1520-23) intuisce che il vuoto intorno alla figura centrale, colta nell’atto di saltare, potrebbe con-









