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grandangolo

pagina 20 • 5 maggio 2012

Perché non è solo un affare di Borse e barili

Come funziona il mondo del petrolio, dove niente è come sembra Attorno all’oro nero si consumano attività che nulla hanno a che fare con le politiche energetiche. Si passa dall’attentato all’oleodotto ai problemi di frontiera, dal braccio di ferro ai “dispetti” punitivi, per arrivare poi alle politiche declaratorie e agli affari dei Grandi Produttori. Ecco cosa è successo negli ultimi 30 giorni di Mario Arpino opo il gonfiamento della bolla del 2008, in cui il prezzo del barile era salito dai 90 dollari in febbraio al top storico di 147 dollari a luglio, per poi sgonfiarsi rapidamente dopo l’estate fino ai 40 dollari, nel 2009 e 2010 saliva gradualmente fino a 80, dove si attestava per tutto il 2010. La crisi, perdurante dal 2011, ha fermato queste oscillazioni e, dopo un picco a oltre 120 in marzo, il prezzo ora sembra essersi mediamente stabilizzato tra i 103 dollari per il Wti (West Texas Intermediate) alla Borsa di New York e i 120 del Brend, alla Borsa di Londra. L’attenzione del pubblico in genere si ferma a questo tipo di informazioni, che i media ci fanno vedere almeno una volta al giorno. Gli specializzati hanno addirittura la possibilità di osservare queste oscillazioni ora per ora, come una qualsiasi moneta di scambio. Vi è poi tutta una serie di micro-eventi che non vede quasi nessuno, se non quei pochi che in Italia ancora seguono gli accadimenti internazionali. La parola “petrolio” evoca subito il Medioriente, dove, scorrendo anche solo distrattamente le agenzie, ci si rende conto che

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attorno all’oro nero ci sono attività di tutti i tipi, che poco o nulla hanno a che fare con le politiche energetiche: si passa dall’attentato all’oleodotto ai problemi di frontiera, dal braccio di ferro ai “dispetti”punitivi, per arrivare poi alle politiche declaratorie ed agli affari dei Grandi Produttori. Per capire meglio come sia complicato questo mondo vediamone solo alcuni esempi, scelti tra gli avvenimenti degli ultimi trenta giorni in Turchia, Arabia Saudita, Kurdistan e Iraq, Siria, Israele, Palestina (Hamas e Anp), Egitto e Libia.

In Turchia, all’inizio di aprile, l’oleodotto Kirkuk – Yumurtalik, che si estende tra l’Iraq e la costa mediterranea, è stato colpito da tre esplosioni nei pressi della provincia sud-orientale di Sirmuk. La causa delle deflagrazioni è rimasta ignota, sebbene fonti non ufficiali parlino di sabotaggio. La mente va naturalmente al Pkk, ma con gli interessi che ruotano attorno all’oleodotto non sono escluse altre opzioni. Il danno alle strutture è serio, ma la compagnia turca che gestisce la tratta afferma che il deflusso del greggio è stato bloccato all’ori-

gine. La Turchia, va ricordato, è uno dei paesi che sinora non ha risposto all’embargo verso il greggio iraniano. L’Arabia Saudita, in questo periodo, si è data molto da fare. Il ministro del petrolio Ali al-Naimi ha affermato che il Regno è pronto a coprire eventuali carenze sul mercato ed ha individuato una serie di fattori che hanno impatto sul prezzo del barile, tra i quali ha elencato «…la disinformazione, le preoccupazioni infondate circa la capacità di produzione» e, sopra tutto, una comunicazione spesso eccessiva circa gli eventi negativi. Ad esempio, ha spiegato, «…i prezzi superiori ai 125 dollari nel marzo scorso erano ingiustificati in termini di do-

Greggio non significa solo Opec, futures, major, potere, contrattazioni e sanzioni

manda-offerta, essendo comunque in crescita la scorte globali. Non riusciamo proprio a capire come mai i prezzi si comportino a questo modo…». Se non lo capisce lui….

Tra Kurdistan e Iraq continuano nel frattempo le dispute sulle risorse. Alla fine di marzo il governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) ha minacciato di fermare le esportazioni se Bagdad continuerà a rifiutarsi di pagare i produttori. Ma questo è solo l’ultimo scontro di una lunga faida per il controllo del petrolio nella regione. Il governo centrale iracheno sostiene di essere l’unico ad avere il diritto di esportare il greggio, mentre le autorità del nord Kurdistan, che godono di ampie autonomie, sostengono il contrario. I rapporti con il governo di al-Maliki sono sempre più tesi, tanto che nei giorni scorsi il curdo Barzani ha deplorato l’intendimento degli Stati Uniti di fornire velivoli F. 16 all’aviazione irachena, ritenendolo «pericoloso per la sicurezza». Queste diatribe hanno tenuto sinora le compagnie straniere fuori dal Kurdistan, con detrimento per il rendimento dei giacimenti. Da parte

sua il governo centrale di Bagdad, per bocca del ministro del petrolio Abdul Karim Luaibi, sta cercando di guadagnare terreno e valutare offerte che provengono da compagnie internazionali, tra cui la BP e Shlumbergher NV, proprio per lo sfruttamento del giacimento di Kirkuk, e ciò provocherà un pericoloso incremento della tensione. In Siria, dopo la serie di attentati che hanno colpito in gennaio ed in febbraio le raffinerie, gli oleodotti ed i terminali di Homs, il 21 aprile un gruppo armato ha fatto saltare in aria un impianto nella città orientale di Dayr al-Zawr, mandandolo in fiamme. Secondo l’agenzia ufficiale del governo di Damasco «…sono diverse settimane che i vari gruppi di terroristi stanno cercando di mettere fuori uso la rete di gasdotti e oleodotti in tutto il Paese». Di tenore opposto i comunicati dei dissidenti, che accusano i governativi di organizzare questi attentati per poterne addossare a loro la colpa.

In questo periodo, anche Israele e Palestina (Hamas e Anp) si sono dimostrate insolitamente attive sul fronte del petrolio. Mentre gli israeliani in-


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