2010_07_29

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o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Perché il ministro Gelmini continua a raccontarci favole? In riferimento alla lettera che la studentessa Alice ha scritto al ministro Gelmini per essere stata esclusa con un sorteggio dal liceo classico della sua città, vorrei dire che se Alice ha scoperto di non vivere nel Paese delle meraviglie, il ministro Gelmini invece continua a raccontarci favole. Come quando afferma che «i tagli non c’entrano» nell’esclusione della studentessa. Una bugia degna del peggior Pinocchio. Il liceo classico di Novi ha creato una mega classe di 32 alunni, escludendone 3, semplicemente perché non ha insegnanti a sufficienza per comporre due classi. E non ha insegnanti perché i tagli indiscriminati della Gelmini hanno sempre avuto come credo ideologico quello di pigiare più alunni possibili in meno classi possibili e di avere ancor meno docenti in cattedra. Quando la Gelmini pensa alla scuola di qualità, fa forse riferimento a licei classici con classi di 32 alunni? E un ministro della Repubblica dovrebbe conoscere o no la normativa antincendio che prevede un affollamento massimo per classe di 26 persone (quindi un insegnante e 25 alunni, oppure 2 insegnanti e 24 alunni)? Cara Alice, ti meravigli perché sei stata esclusa per un sorteggio; questo è niente, è dal 2008 che siamo governati da chi abbindola l’Italia col gioco delle tre carte. Adesso è ora di finirla.

Francesca Puglisi

RICORDIAMO MINO DAMATO Spero che Mino Damato venga ricordato colui che ha vissuto la scienza da esploratore e speleologo dei drammi della storia contemporanea, prodigandosi in solidarietà e umanità. Con Alla ricerca dell’Arcaha avviato un certo discorso da antesignano della serie di misteri e scoperte del nostro pianeta. Egli è l’esempio di come politica e impegno civile possano abilmente sposarsi.

Gennaro Napoli

ESTATE. DISSETTARSI CON… L’ACQUA Dopo aver fatto per mesi diete per limitare cellulite e rotondità sono arrivate le vacanze e anche il desiderio di rilassarsi e degustare quella bevanda “pochissimo” alcolica, che disseta e che va tanto di moda. È evidente che il modo migliore di togliere la sete è quello di bere acqua che ha 0 calorie. Sor-

seggiare un Campari prima di cena significa dare inizio con 138 calorie, alle quali possiamo aggiungere un bel bicchiere di vino fresco che ne apporta 90, se ci aggiungiamo un quartino di vino rosso, le calorie aggiunte passano a 190, una lattina di birra ne porta 112, un po’di meno delle 125 di una aranciata o di una cola. Che dire delle bevande a base di frutta e poco-poco alcol? Piacevolissime, ma se si ha sete si entra in un meccanismo perverso che porta ad assunzioni considerevoli dei drink, visto che l’alcol disidrata e induce ad ulteriori assunzioni della bibita. A fine estate è facile, quindi, ritrovarsi con qualche chilo in più.

Primo Mastrantoni

STATO PATERNALISTICO Lo Stato paternalistico attua la benevolenza autoritaria sui cittadini, declassati a subordi-

Voglia di tenerezza Per consolarla della perdita della mamma, morta nel darla alla luce, le hanno regalato un orsacchiotto di peluche. Lei è Tahina, una cucciola di sifaka coronato (Propithecus coronatus) nata lo scorso anno allo zoo francese di Besançon. La piccola è uno dei rarissimi lemuri di questa specie che si trovano in cattività (sono solo 17 in tutto)

nati. È dispotico e toglie la libertà ai sudditi, considerati minorenni, incapaci di volontà autonoma.Tende ad affermarsi nella società massificata, dove prevale la corsa verso il godimento di beni materiali. Lo Stato paterno favorisce la dipendenza, la pigrizia, il parassitismo e la voglia di sollazzo. Il potere immenso e tutelare dello Stato paternalista tratta l’individuo da infante, veglia sulla sua sorte e gli toglie lo sforzo del pensiero indu-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

strioso. Lo Stato invadente pretende d’imporre la felicità ai sudditi, a modo suo (come egli si immagina il benessere dei singoli). Invece il cittadino libero cerca autonomamente la serenità (o felicità), secondo sue scelte, nel rispetto della libertà altrui. Critica la risoluzione dei problemi individuali e sociali tramite metodi burocratici, che lo allontanano dal sistema politico.

Gianfranco Nìbale

dal “Washington Post” del 28/07/2010

Dobbiamo fidarci del Pakistan. Per forza ei quasi nove anni di conflitto in Afghanistan, ogni persona di buon senso negli Stati Uniti – che volesse seguire per bene la guerra – ha avuto una preoccupazione ricorrente: l’America può fidarsi del Pakistan? Possono i nostri alleati in quella nazione turbolenta riuscire a eliminare i nascondigli dei talebani che si annidano sul confine? E, per essere proprio chiari, i pakistani ci stanno provando? L’enorme pubblicazione dei documenti segreti relativi alla guerra messi in Rete da Wikileaks questa settimana pongono un gran numero di domande, ma nessuna più importante di quella che riguarda il comportamento di Islamabad. Anche se l’Amministrazione Obama ha tenuto sotto tono la fuga di notizie in generale, alcuni alti rappresentanti del governo confermano che la capacità pakistana di distruggere i santuari del terrore è una delle questioni più importanti.

N

Secondo il generale Jim Jones, consigliere nazionale per la sicurezza, «questi rifugi sono di fatto la chiave del successo della guerra». Il militare ha sottolineato come i talebani e i loro affiliati usino questi luoghi per armarsi, addestrarsi, ritrovarsi e sviluppare strategie in grado di contrastare quelle statunitensi. I pakistani negano che il loro servizio di sicurezza abbia aiutato i talebani, e hanno sottolineato la natura incerta e frammentaria dei documenti apparsi su internet. Ma il fatto che i talebani continuino a usare territorio pakistano per i loro

di David Ignatius

scopi è reale e sotto gli occhi di tutti. Anche perché è da quelle basi che partono gli attacchi contro di noi. Senza un cambiamento radicale a questo stato di cose, lo sforzo americano in Afghanistan è destinato a fallire. Il generale Jones si è complimentato con l’esercito militare, che negli ultimi 18 mesi ha lanciato una serie di ottime operazioni nella regione di confine, ma ha sottolineato: «C’è ancora molto da fare e il tempo a disposizione è poco». La situazione nel luogo è cambiata nel tempo: dal 2003 al 2005, la presenza del nemico nell’area è stata limitata: circa 100 qaedisti e non più di 3mila talebani. Ma nel 2006, quando vennero tagliati i ponti con i tribali, le cose sono precipitate. Senza il sostegno delle tribù etniche di confine, che hanno impedito

per anni ai militanti islamici di passare sulle loro terre, l’esercito pakistano ha di fatto aperto una sorta di autostrada fra Afghanistan e Pakistan: di conseguenza, il numero di nemici è aumentato a dismisura. L’emorragia di documenti arriva in un momento in cui Washington è costretta a ripensare la propria strategia: più va avanti con il tempo, più questa guerra sembra destinata a non essere vinta. Persino i “falchi” credono che il successo – persino di “tipo C” – sia sempre più lontano. Forse impossibile in un tempo realistico.

Alcuni rappresentanti della Casa Bianca hanno ammesso in questi giorni che, al posto della vittoria, sarebbe accettabile anche uno “stallo definitivo”. Che significa un processo di patchwork studiato per dare maggiore sicurezza all’esercito e alla polizia nazionale. In quest’ottica, la cosa fondamentale diventerà il processo interno di pacificazione: e in questa fase sarà il Pakistan a fare la parte del leone. Ecco perché siamo di fatto costretti a fidarci di questo alleato: pur negando le rivelazioni secondo cui Islamabad arriva a sostenere militarmente i talebani e i qaedisti, i funzionari americani sanno che quando gli Stati Uniti non saranno più così presenti nell’area sarà il Pakistan a guidare Kabul verso la democrazia. Ed ecco che ritornano i “paradisi”dei talebani sul confine. L’America deve accettare un partner riluttante a fare come vuole lei, se vuole ottenere il suo “stallo definitivo” al posto di una vittoria.


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