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pagina 2 • 29 settembre 2009

Allarme. A Praga il Pontefice indica il santo patrono boemo come modello di rettitudine anche per la politica del futuro

Venceslao for president

Benedetto XVI lancia l’appello per un mondo di responsabilità. «Chi governa pensi al bene comune non al suo egoistico interesse» di Franco Insardà

ROMA. Il martirio di San Venceslao esempio di coerenza e di moralità per «quanti guidano le sorti delle comunità e dei popoli». Le parole di Benedetto XVI, celebrando la messa davanti a cinquantamila fedeli, nell’ultimo giorno della sua visita nella Repubblica Ceca, proprio nel santuario dedicato al principe boemo nella cittadina di Stara Boleslav, in occasione della ricorrenza liturgica e festa nazionale a lui dedicata, citato quale modello di santità e di coerenza, assumono un significato molto importante. «Chi nega Dio e non rispetta l’uomo sembra avere vita facile, ma sotto la superficie in queste persone c’è tristezza e insoddisfazione. C’è oggi bisogno di persone che siano credenti e credibili, pronte a diffondere in ogni ambito della società quei principi e ideali cristiani ai quali si ispira la loro azione» ha detto il Papa spiegando poi che «la santità è la vocazione universale di tutti i battezzati, che spinge a compiere il proprio dovere con fedeltà e coraggio, guardando non al proprio interesse egoistico, bensì al bene comune, e ricercando in ogni momento la volontà divina». La questione morale, quindi, al centro della vita sociale, anche se il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, per sgombrare il campo da possibili forzature, ha precisato che «nel suo discorso dedicato al patrono della Repubblica ceca il Papa non ha mai usato la parola “governanti”, né si è riferito a “responsabili politici”, come invece hanno riportato le agenzie di stampa». «Il Pontefice si rivolge a tutti, occorre attenersi fedelmente al testo del suo intervento», ha precisato padre Lombardi. La memoria, co-

In Italia non è più tempo di “salvare le apparenze” di Giancristiano Desiderio an Venceslao era San Venceslao e, dopo tutto, è sempre buona la massima di Cosimo il Vecchio che diceva che gli Stati non si governano con i paternostri. Dunque, lasciamo da canto i santi visto che siamo umili peccatori e non siamo buoni a fare la morale a nessuno. Ma, con tutta sincerità, c’è qualcuno che se la sente di sostenere che Papa Ratzinger ha torto quando dice che c’è bisogno di politici «credenti e credibili»? Il pontefice, parlando a Stara Boleslav nella Repubblica Ceca, trenta chilometri da Praga, due giorni dopo aver incontrato “casualmente” in aeroporto il capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, ha pronunciato un discorso, davanti soprattutto a migliaia di giovani, che pur utilizzando il linguaggio della tradizione religiosa ha un eminente ed esplicito significato politico: «C’è bisogno di uomini credenti e credibili, che non appaiano buoni e onesti, ma che lo siano realmente per coltivare il bene comune».

S

L’apparenza è una categoria fondamentale del politico. Tante volte abbiamo sentito dire che non bisogna solo essere, ma anche apparire. «Salvare le apparenze», del resto, è un modo di dire che riflette un preciso modo di essere. Tuttavia, a furia di puntare sull’immagine, la visibilità, il look, lo stile, in una sola parola, la comunicazione, ci si è persa per strada la sostanza. Il politico credibile a tutti i costi è diventato incredibile, nel senso letterale della parola:

non è più credibile. La comunicazione, che come forma di retorica una volta era una parte della politica, oggi è diventata tutta la politica. Il risultato è una manipolazione dei fatti che, essendo duri a morire come ripeteva giustamente quell’autentico liberale di Karl Popper, hanno la strana abitudine di ritornare sempre a galla. Eppure, come si può non essere d’accordo con il papa quando dice, in sostanza, che un buon governante deve essere anche credente? Che cosa significa: che un cattolico è un buon politico e un non-cattolico è un cattivo politico? È strano, ma oggi tocca al Papa difendere la fede nella ragione, perché anche la ragione, vanto dell’Occidente, ha bisogno che qualcuno creda e le dimostri fede. Il politico «credente e credibile» non è il politico che in cuor suo dice «Parigi val bene una messa» e ostenta la sua esteriore adesione ai principi di santa romana chiesa, bensì è il politico che crede nel valore del suo compito istituzionale per il quale sacrifica i minori interessi di parte. In questo caso è il credo che rende credibile il politico per il quale ci sono verità e valori che non sono né strumenti retorici né strumenti di conquista del potere.

La religione, soprattutto per chi si presenta come un liberale, non è una copertura del potere ma ciò che mostra il limite stesso oltre il quale il potere diventa arbitrio e usurpazione. Ragion per cui il politico «credente e credibile» non è colui che non perde il potere - «saremo qui per sempre» diceva domenica il presidente del Consiglio in un momento non raro di onnipotenza ma colui che non ha paura di perderlo. Qui sì che bisogna «salvare le apparenze».

munque, va a più di un anno fa, quando a Cagliari Benedetto XVI disse chiaramente che occorreva una nuova generazione di politici, preparati e coerenti. E su quella linea si sta muovendo anche la Conferenza episcopale italiana e il suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco che, nel suo intervento al Consiglio permanente, lo scorso 21 settembre, ha ribadito che «chiunque accetta di assumere un mandato politico sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta come anche la nostra Costituzione ricorda». L’appello di Benedetto XVI, pronunciato a Praga, assume un significato particolare per tutti, ma secondo Andrea Tornielli del Giornale «il Papa non ha assolutamente parlato nè di leader, nè di governanti né di responsabili politici. Il discorso fatto a Praga riguardava la realtà ceca e tutti i cristiani, anche se il riferimento era ai potenti che erano caduti. Non vedo un filo conduttore tra la prolusione di Bagnasco e le parole del Papa».

Il riferimento al magistero della Chiesa secondo il vaticanista del Tg3, Aldo Maria Valli, va tenuto ben presente. «È evidente che c’è una coerenza alla dottrina cattolica, le parole del Papa valgono per tutti e quindi anche per l’Italia, ma sarebbe riduttivo riferirle soltanto al nostro Paese. Il Pontefice ha sempre una visione più ampia e mondiale. Nel magistero della Chiesa - aggiunge Valli - si è detto tante volte che il cattolico deve impegnarsi in politica e già Paolo VI definì la politica la più alta forma di carità cristiana. È evidente che arrivando nel centro dell’Europa, in un Paese che è uscito da venti anni dal comunismo, faccia dei riferimenti storici, politici e culturali. Le cose che disse a Cagliari l’anno scorso, invece, erano riferite alla situazione italiana, qui il contesto è completamente diverso. Bagnasco, parlando come capo dei vescovi italiani, si riferiva alla situazione del nostro Paese, invece Benedetto XVI aveva in mente la situazione della Repubblica ceca e dei Paesi dell’Est che sono da una ventina d’anni alle prese con una nuova pagina della loro storia e hanno bisogno di una classe politica nuova». Anche per Marco Politi di Repubblica «la questione riguarda il rapporto tra credenti e società moderna e indifferentismo dell’età contemporanea. Il Papa è partito dall’immagine di un principe, quindi da un capo politico, che era santo e lo indicato a esempio di rettitudine e di credibilità. La posizione della Chiesa in questo momento è molto chiara: oggi non ci si può dire cristiani se non si è credibili, se non si è coerenti. Questo vale per la situazione italiana, come ha voluto ricordare il cardinal Bagnasco, e riguarda i politici e i cristiani di ogni condizione in tutto il mondo, come ha ricordato Benedetto XVI nell’Europa orientale secolarizzata». E in questo contesto vanno lette le parole di


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