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politica ROMA. Per i suoi detrattori, nel cosiddetto “effetto Brunetta” sulla pubblica amministrazione c’è più propaganda che sostanza. Ma a leggere gli ultimi numeri diffusi dal ministero per la Funzione pubblica c’è davvero poco da discutere: nel luglio 2008, le assenze per malattia si sono ridotte del 37,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007. Un calo che è il doppio di quanto rilevato nel mese di giugno (-22,4 per cento) e addirittura il quadruplo di quello registrato a maggio (-10,9 per cento). Il ministro Renato Brunetta non nasconde la sua soddisfazione. La “cura”funziona... Il decreto legge n.112 che abbiamo appena approvato, decreto triennale di stabilizzazione della finanza pubblica che ci dovrebbe portare a“zero deficit”entro il 2011, contiene quella cura di “antibiotici e vitamine”di cui ho parlato martedì nella conferenza stampa di Palazzo Chigi. Sono le medicine necessarie per far sì che il “malato”, cioè l’economia, possa curarsi e rilanciarsi. E nel decreto c’è anche una parte del progetto di riforma della pubblica amministrazione. Quali sono i prossimi passi della terapia? Se riusciamo a consolidare il taglio drastico dell’assenteismo, con la riforma della contrattazione del lavoro pubblico saremo in grado di cambiare le regole del gioco. È importante che si sia affermato il principio secondo cui tutto quello che viene risparmiato con la riforma torna dentro la pubblica amministrazione: potremo finalmente iniziare a premiare il merito. Aggiungiamo la trasparenza e otteniamo il quadro completo del nostro approccio. E in soli sei mesi. Se teniamo questa tabella di marcia fino alla prima metà del 2009, potremmo avere tassi di assenteismo attestati sul dimezzamento, risolto il problema del contratto e ottenuto un dividendo della riforma utilizzabile per un progressivo aumento delle risorse. Una grande rivoluzione. L’inizio del percorso è stato accolto come uno shock… Nel primo anno lo shock è necessario. Ma se i primi dodici mesi si dispiegano tutte le potenzialità della riforma, nell’arco di tre anni potremo avere una pubblica amministrazione in linea con gli standard europei. E questo comporterà risparmi, lavoratori pubblici pagati meglio, maggiore crescita e produttività per il Paese.

8 agosto 2008 • pagina 7

Brunetta a tutto campo: dal PdL al nucleare, dalla burocrazia al Wto

«Europee? Meglio due preferenze» colloquio con Renato Brunetta di Andrea Mancia I sindacati si sono messi di traverso. La loro è un’opposizione solo ideologica? È soprattutto di potere. Il sindacato, che aveva fino a ieri la cogestione di un settore addormentato, per non dire di peggio, non ha avuto la capacità culturale di comprendere il tipo di rivoluzione in atto. L’unica cosa che vogliono è “più soldi”. Questa per me è stata una grande delusione, anche se non ho perso la speranza di conquistare il loro appoggio... E come? Con la condizionalità: datemi una mano e avrete più soldi. Prima dare mano, poi vedere soldi. Parliamo d’altro. Non sembra anche a lei che il centrodestra italiano si stia trasformando in qualcosa di diverso da quello che conoscevamo? Il governo è un’attività fatta in ragione delle congiunture economiche, sociali e politiche, in ragione delle personalità dei ministri e di accadimenti più o meno esogeni. L’insieme di queste componenti costruisce il percorso complessivo.

La cura funziona: a luglio le assenze per malattia si sono ridotte del 37 per cento

Io non mi avventurerei in troppe teorizzazioni. Nella CdL, però, la linea di politica economica “liberista”, o quasi, non era mai stata messa in discussione. Adesso, invece... Secondo me, Tremonti ha svolto un ruolo straordinario di innovazione. Lo stesso stanno facendo Sacconi, Maroni o la Gelmini, attuando in tutto o in parte il programma. E lo sto facendo io, anche innovando rispetto al programma. Il risultato, vista la congiuntura così difficile che non ci aspettavamo, è che il governo ha reagito con tutto quello che è stato fatto. E devo dire che non è poco: la detassazione degli straordinari, Napoli, l’Ici, le cose fatte - “obtorto collo” sulla giustizia, la manovra triennale di stabilizzazione, la nuova Finanziaria, le riforme nella pubblica amministrazione, la svolta sul nucleare, le public utility, le fondazioni universitarie... Un bilancio straordinario per soli tre mesi di governo. Un bilancio che va oltre le

sue aspettative? Assolutamente sì. E se n’è accorto anche il Paese. Non si era mai visto un tale grado di consenso, soprattutto durante una congiuntura così difficile. Basta misurare l’afasia dell’opposizione, che non sa che dire o che dice cose trite e ritrite… Con una parte dell’opposizione è possibile dialogare? Certamente. Penso a Ichino o alla Lanzillotta. Il mio disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione è, non dico condiviso, ma sicuramente accolto da loro in maniera positiva. Praticamente lavoreremo insieme per scrivere un unico testo. Può bastare il ritorno al nucleare per risolvere il problema dell’energia in Italia? Io ho una teoria: se tutta l’Europa facesse come l’Italia, il prezzo del petrolio tornerebbe su livelli normali. Basterebbe dare il segnale che i prossimi incrementi di domanda saranno tutti coperti dal nucleare. Al di là delle fluttuazioni cicliche sulla speculazione, se l’Europa dicesse che da domani iniziano le procedure per costruire, entro il 2020, cinquanta centrali termonucleari, il prezzo del petrolio crollerebbe immediatamente. In realtà, sarebbe sufficiente che in Europa si desse vita a un “buyer unico” del petrolio per tagliare le spese del 20-30 per cento. L’Europa, però, attraversa una fase di stallo... Il vero problema è che, dove servirebbe una base giuridica europea, in realtà le competenze sono ancora in mano agli stati nazionali. Un problema antico. Antico, ma da risolvere. Energia, ricerca, scuola, difesa, burocrazia: sono tutte ancora in mano agli stati

nazionali. Mentre sulle altre, come il commercio internazionale... Non mi dica che ha ragione Tremonti... Almeno sull’asimmetria, Tremonti ha in parte ragione. Non si può essere troppo aperti quando gli altri sono chiusi. Quale è il suo giudizio sul fallimento dell’ultimo negoziato Wto? Negativo. Ogni volta che il Wto rallenta o fallisce, rallenta l’economia mondiale. Altri possono essere soddisfatti, ma non io. E si tratta di un fallimento causato da egoismi bilaterali che si sono consolidati in un egoismo comune. Ma mi preoccupo troppo. Non è la prima volta che attraversiamo una fase di rallentamento come questa. Nessuna svolta protezionista del pianeta, dunque? No. Appena la congiuntura economica volgerà al meglio, riprenderà anche il ciclo positivo nell’apertura del commercio internazionale. Ce la farà il PdL ad essere un partito vero prima delle elezioni europee? Assolutamente sì. E molto probabilmente cambierà anche la legge elettorale, con uno sbarramento e meno preferenze. Una sola? Secondo me è più facile conservarne due. Personalmente, vengo da due elezioni europee vinte con le preferenze. Ma mi rendo conto che si tratta di campagne elettorali gigantesche. Meglio ridurre i collegi? Questo complica le cose per altri versi. E tra l’altro siamo divergenti dall’Europa, dove normalmente non esistono le preferenze e la selezione viene fatta dai partiti. Non è meglio che la selezione la facciano i cittadini? Quello che so, è che se mi proponessero ancora di candidarmi alle europee, non accetterei. Troppo faticoso. Quali saranno i prossimi passi verso la costruzione del PdL? Stiamo facendo assemblee comuni, su base regionale e poi nazionale. E poi, prima delle elezioni europee, ci sarà il congresso. Un congresso vero? Verissimo. Come tutti i congressi. Quasi tutti... Questo lo dice lei. McCain o Obama? Nessuno dei due. Avrei preferito Hillary Clinton, anche se è antipatica, o Rudy Giuliani, che però non è piaciuto abbastanza agli stessi americani. Il sistema delle primarie negli Stati Uniti mi sembra stia diventando addirittura peggio di quello italiano. Se dopo tutto questo “ambaradan” il risultato è rappresentato da un reduce e da un “grillo parlante”... viva l’Italia. De gustibus... De gustibus.


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