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MobyDICK

25 aprile 2009 • pagina 7

religione

I libri su Dio, la vera fede di Augias

di Giancristiano Desiderio io è morto, Dio è risorto. Non si è mai parlato così tanto di Dio come nell’epoca della sua morte. Quando Nietzsche annunciò nella Gaia scienza «Dio è morto» sapeva che l’epoca del nichilismo - l’ospite inquietante - non sarebbe stata definitiva e dopo il tramonto del sole e dopo la notte un altro sole sarebbe sorto. Dio - inteso come il Dio di Abramo e di Isacco, di Francesco e di Jacopone, ma anche come il Dio dei filosofi - è il vero protagonista della storia dell’Occidente: la terra dove il sole tramonta. Senza Dio, la sua nascita e la sua morte, è difficile pensare l’Occidente e la nostra storia.

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Anche la nostra singola storia. Sarà per questo che nel libro Disputa su Dio e dintorni, i due autori - Corrado Augias e Vito Mancuso - parlano delle loro fedi, dei loro convincimenti, delle loro vite e della storia delle loro anime (scusate ma altra parola non mi viene). Chi sono Augias e Mancuso lo sapete, dunque non aggiungo nulla su loro. Do loro la parola. Il giornalista di Repubblica, che non crede nell’esistenza di Dio ma solo nell’esistenza dei libri su Dio, dice in quarta di copertina: «Non credo che siamo stati creati per volontà di un qualche dio; tanto meno fatti a sua immagine e somiglianza. Non credo che ci sia un’altra vita dopo la morte, sono convinto che con l’ultimo respiro ciò che era

polvere torni a essere polvere, torni cioè nel grande flusso dell’Essere». Dice il teologo sempre in quarta di copertina: «Credo che oltre alla polvere noi consistiamo di un’altra dimensione, l’anima spirituale. Per questo sostengo che la verità definitiva della nostra personalità è l’Essere eterno e personale, quel Dio interpretato dalle diverse religioni in vario modo, e dal cristianesimo come amore». Augias non crede. Mancuso crede. Il giornalista si sente più vicino al Dio dei filosofi, il teologo non è poi così distante dal Dio dei filosofi e aggiunge l’«amore che muove il sole e l’altre stelle» come espressione del cristianesimo. La disputa su Dio è infinita ma necessaria. La «morte di Dio» non è la

fine dell’idea di Dio, quanto la ricerca del senso dell’idea di Dio. Prima della morte, il senso era dato, dopo la morte il senso è da ricercare e la ricerca crea una molteplicità di sensi: il pluralismo sia religioso sia etico. Ma il protagonista della storia occidentale, anche nell’epoca del nichilismo o soprattutto, resta Dio che è da considerarsi come la proiezione del sistema-uomo. L’uomo in quanto uomo è figlio e il figlio è in relazione al padre.Tutti - quasi tutti - gli uomini si misurano con la morte del padre. Tutti gli uomini hanno un padre. Corrado Augias e Vito Mancuso, Disputa su Dio e dintorni, Mondadori, 269 pagine, 18,50 euro

Racconti brevi di un’India smisurata

di Vincenzo Faccioli Pintozzi prezioso e ben fatto, l’ultimo nato della collana Godot dell’editore Gaffi. Le Erbacce del titolo, lontane dall’essere lo scarto di una pregevole produzione letteraria, rappresentano una collana di racconti brevi e puntuali, che narrano con perizia e visioni mistiche uno dei paesi più citati e meno conosciuti dall’Occidente. Quell’India che, nel nostro misero immaginario, si divide fra i vecchi maharaja e Bollywood, fra madre Teresa di Calcutta e il Taj Mahal. E che invece è un mosaico composto da un miliardo di tessere, gli esseri umani che gli autori dipingono - trasponendoli in luoghi e momenti storici diversi con colori unici e irripetibili. Erbacce, dicevamo, ma anche L’incantatore di serpenti, Il Cielo e la gatta, La Capriola. E soprattutto Un figlio devoto, racconto straziante e unico che concilia la pietas in salsa induista e l’ambizione sfrenata che caratterizzano i giovani indiani che si affacciano (con

È

poche speranze e infinite capacità) nel mondo che li circonda. Fa bene leggere Erbacce, a chi cerca una visione reale dell’India, perché a suo modo dipinge il sub-continente e lo libera dagli stereotipi, fa capire il conflitto indo-musulmano e la spiritualità non depredata dai santoni hippy. Aiuta, insomma, coloro che sulla scia dei grandi scrittori-viaggiatori del secolo scorso hanno intenzione e interesse a calarsi in una realtà che già sanno essere sfuggente e sfuocata. Siamo arrivati ad Amrisar, che è il titolo del penultimo racconto, quello che oggi andrebbe letto nelle ultime

società

classi dei licei europei per capire cosa si cela dietro agli spregevoli attentanti di Mumbai. Che spiega senza fronzoli la nascita del Pakistan affidandone le considerazioni a pochi, umili viaggiatori chiusi in uno scompartimento e divisi dall’etnia. Mentre Nostalgia apre uno spaccato pregevole e senza pregiudizi sul mondo chiuso - una casta vera e propria - degli indiani emigrati. Una realtà utile da comprendere, se si pensa che questi rappresentano una sezione importante del futuro mondo occidentale. Sono gli emigrati di questa India, infatti, a ricoprire luoghi cruciali della nostra ricchezza come i call center e le fabbriche di software. Sono loro il motore di tante economie emergenti. Straziante, infine, Un uomo cieco e contento: storia di un padre non vedente e della moglie poco devota, che mettono insieme al mondo una progenie irriconoscente, che il padre non rinnegherà mai. AA.VV., Erbacce, Alberto Gaffi Editore, 259 pagine, 13,50 euro

Il Grande Fratello e il virus della visibilità di Mario Donati

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ualcosa di molto profondo è cambiato in questi decenni. Quindi occorre cambiare anche i codici interpretativi della storia. È quanto suggerisce il filosofo francese Jean Baudrillard (scomparso due anni fa) in questa agile raccolta di saggi che presentò a Madrid. Sbagliato, egli avverte, soffermarsi ancora sul concetto di dominazione. Si deve parlare piuttosto di egemonia, o comunque distinguere bene i due termini così da spazzare via il vecchiume concettuale sul rapporto tra servo e padrone. Dinanzi alla «realizzazione integrale di

ogni desiderio» e all’«emancipazione virtuale» si arriva a una situazione che si fonda sull’egemonia, «sull’interiorizzazione del padrone da parte del servo emancipato». In questo senso non è errato dire che l’egemonia è la fine della dominazione. Il rischio, ammonisce Baudrillard, è quello di inoltrarci in tempi di «asservimento delle menti a un unico modello, a una sola dimensione concettuale, di modo che qualsiasi altra prospettiva, qualsiasi altra posta simbolica, è diventata inconcepibile». Il mondo odierno è segnato dall’«accesso a tutta l’informazione» e dall’«obbligo del piacere». E così alcune conquiste sociali di fat-

to sono nuove forme di servitù. Francamente, noi lettori liberali, facciamo fatica ad aderire a quella sorta di giustificazionismo che Baudrillard fa del terrorismo, come risposta all’egemonia. Così come è difficile seguirlo quando afferma che «non si può più dare scacco al sistema in nome dei propri principi, perché il sistema li ha aboliti». L’interpretazione rigida e radicale del francese - viziata da un peccato d’origine marxista non tiene conto della spiritualità e della dimensione religiosa. Le sue teorie sono però affascinanti, e condivisibili, quando esamina quella che chiama «violenza dell’immagine». L’informazione spal-

mata senza criteri, o senza discrimanti etiche, porta alla «sparizione del Reale». Il virus più vistoso è il Grande Fratello televisivo: il farsi immagine ed esporre tutta la propria vita quotidiana, le sue disgrazie, i suoi desideri e le sue possibilità è violenza. Voyeurismo pornografico? Peggio: «Quello che la gente brama non è sesso, ma spettacolo della banalità, che è il vero porno di oggi, la vera oscenità, ossia piattezza, insignificanza, nullità».Visibilità come «forma più degradata dell’esistenza». Jean Baudrillard, L’agonia del potere, Mimesis Edizioni, 60 pagine, 10,00 euro

altre letture Come si è arrivati all’attuale cataclisma finanziario? Un passo dopo l’altro, si potrebbe banalmente rispondere. Del resto analisti seri ci avevano messo in guardia da tempo sui rischi di un’economia virtualizzata, fondata sulla speculazione, dissociata dal momento produttivo e umano. Da tempo per esempio Ronald Dore - docente alla London School of Economics a Harvard, diceva da tempo nei suoi saggi e articoli che l’economia reale si sarebbe trovata a pagare un conto molto salato. L’accelerazione che ha caratterizzato il processo di finanziarizzazione negli ultimi decenni ha creato le condizioni del cataclisma sistemico che ci troviamo ad affrontare oggi. Dore, in Finanza pigliatutto (Il Mulino, 117 pagine, 9,00 euro), racconta i passi che ci hanno condotto al baratro e dice che la situazione economica in cui ci dibattiamo obbligherà tutti a un ripensamento. «Quello che è certo - sostiene l’economista - è che i Paesi dove vige un capitalismo attento al welfare hanno subito un impatto meno duro e sembrano avere gli strumenti per reagire. Passate le celebrazioni del centenario del futurismo non si smette di studiare un fenomeno che in parte ha scosso la cultura europea in parte ne ha rappresentato le contrazioni. Il Futurismo tra cultura e politica di Angelo D’Orsi (Salerno editrice, 337 pagine, 18,00 euro) racconta come la corrente cui diede vita e impulso Filippo Tommaso Marinetti fu il primo movimento a teorizzare e praticare una concezione totalitaria dell’azione culturale. Il libro di Angelo D’Orsi affronta i temi principali del rapporto tra futurismo e politica, anche alla luce delle analisi di Antonio Gramsci, mettendone in luce i diversi, contraddittori aspetti, dando spazio alle componenti di sinistra del movimento presto emarginate. Che cos’è la società umana? La maggior parte delle teorie sociologiche odierne ritiene che l’interrogativo sia da relegare al regno di una metafisica perduta. La società attuale sarebbe una sorta di sospensione tra un passato che non esiste più e un futuro che non può cominciare, una liquidità in crisi permanente, nella quale la crisi sarebbe allo stesso tempo il sintomo e la terapia prescritta dalle scienze sociali contemporanee. Insomma sembra impossibile pensare a una società a misura d’uomo. In La società dell’umano invece (Marietti 1820, 374 pagine, 24,00 euro) Pierpaolo Donati sostiene che si può ancora pensare di vivere in un mondo in cui la soggettività della persona umana e le relazioni siano differenziate e a misura dell’umano. a cura di Riccardo Paradisi


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