LA CONSULTA DI TORINO PER LA SINDONE

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La Consulta di Torino per la Sindone a cura di Angela Griseri Mario Verdun Davide Zannotti


La Consulta di Torino per la Sindone

sommario

Introduzioni

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La Sindone tra le Alpi I Percorsi Sindonici da Sant’Antonio di Ranverso alla Cappella della Sindone

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Gianluca Popolla

La Consulta di Torino per la Sindone 2009-2018

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Giacomo Affenita 2A Armando Testa Arriva Banca del Piemonte Banca Fideuram Banca Passadore Buffetti Buzzi Unicem C.L.N. Compagnia di San Paolo Costruzioni Generali Gilardi Deloitte & Touche Ersel Fenera Holding Ferrero FCA Fiat Chrysler Automobiles Fondazione CRT Garosci Geodata Gruppo Ferrero-Sied Energia Intesa Sanpaolo Italgas Lavazza Martini & Rossi Megadyne M. Marsiaj & C. Reale Mutua Reply Skf Unione Industriale di Torino Vittoria Assicurazioni

Coordinamento editoriale Angela Griseri, Mario Verdun di Cantogno, Davide Zannotti Referenze fotografiche Bruna Biamino: p. 27 Foto Sebastiani, Archivio Centro Culturale Diocesano Susa: pp. 10, 15 Goetlen, Ginevra: pp. 30, 40 Massimo Ferrero: pp. 18, 22, 25 Maurizio Momo: pp. 33, 35, 37, 60 Paolo Robino: foto in copertina, pp. 47, 49, 54, 59, 66, 77 Davide Zannotti: pp. 68, 73, 75 Maurizio e Chiara Momo, disegno di progetto: p. 57 Realizzazione editoriale Sagep Editori, Genova Direzione editoriale Alessandro Avanzino Grafica Barbara Ottonello Impaginazione Matteo Pagano Stampa Grafiche G7, Savignone (GE)

Gli interventi della Consulta per la Sindone Angela Griseri

La Cappella della Sindone 11 aprile 1997

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Maurizio Momo

Il Cupolino nella fabbrica della Cappella del Santissimo Sudario

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Marina Feroggio

Il Cupolino

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Giacomo Affenita

L’intervento di restauro

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Chiara Momo

L’arte contemporanea e la Sindone Pietre Preziose di Giulio Paolini © 2018 Sagep Editori www.sagep.it ISBN 978-88-6373-583-3

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Mario Verdun di Cantogno

Conclusioni Luisa Papotti

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o scorso anno, nel mese di ottobre, la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino celebrava i suoi 30 anni di attività. Lo faceva con l’inaugurazione di una toccante opera d’arte contemporanea: “Pietre Preziose” di Giulio Paolini, realizzata nel boschetto dei Giardini Reali, ispirata alla Cappella della Santa Sindone: un messaggio di forte partecipazione al dramma dell’incendio dell’11 aprile 1997 e insieme di speranza per la rinascita di questa grandiosa architettura. Dopo 20 anni da quella tragica notte potremo ammirare in tutto il suo splendore architettonico questa struttura rinnovata e consolidata. Un lavoro che ci riporta direttamente alla realtà della Sindone, il tesoro più prezioso che la nostra città custodisce e che è oggetto di una grande devozione popolare diffusa nel mondo intero. In quella occasione sottolineavo la presenza attenta e preziosa della Consulta, che ha rappresentato un grande dono per la comunità torinese – e non solo

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per essa –, vista l’universalità del messaggio che l’Arte e le testimonianze del passato portano nel mondo. Non si è trattato solo di iniziative di sostegno ispirate da un sano e lodevole “mecenatismo”, ma si è colta, nei molti interventi realizzati, la volontà di rispondere ad un imperativo etico-morale: donare alla collettività, attraverso azioni concrete di valorizzazione della sua Storia e del suo sentire, un gesto di forte appartenenza, di condivisione di un destino comune, di costruzione di una coscienza collettiva. Lavorare per offrire a tutti la gratuità del Bello, dell’Arte, dare la possibilità di tornare a fruire di luoghi, spazi, edifici, opere d’arte che hanno visto crescere la coscienza civile e religiosa, significa anche credere e lavorare per una società più giusta e più libera, per la condivisione di beni comuni, realizzati spesso grazie alle fatiche e all’impegno disinteressato di tante persone che ci hanno preceduto; doni che noi dobbiamo valorizzare e trasmettere alle future generazioni. Ma l’intervento sul cupolino della Cappella della

Santa Sindone, di cui la Consulta si è fatta carico con grande cura, assume un significato particolare, a pochi mesi dalla riapertura al pubblico della Cappella. Non è solo un intervento ascrivibile all’esaltazione della bellezza dell’Architettura e dell’Arte, ma con questa immagine si recupera il percorso che attraverso la Fede ognuno di noi può cogliere e compiere, nel passaggio dal buio della morte spirituale causata dal male e dal peccato, alla luce salvifica della rinascita nella Risurrezione in Cristo. Il cupolino è infatti il punto focale per eccellenza della Cappella, rappresenta l’ascesa verso l’Assoluto, l’esaltazione della forza salvifica della Resurrezione, il passaggio dalla morte, ben rappresentato dal buio del marmo nero che sottolinea il lutto per la morte di Gesù, alla luce salvifica delle parti alte della cupola, fino allo splendore in cui è immersa la colomba, immagine dello Spirito Santo. Si tratta di uno degli elementi simbolici di forte richiamo alla Salvezza portata dalla Resurrezione di Cristo.

Un altro elemento, bisognoso esso stesso di altrettanta cura e devozione, è l’altare, che in passato conteneva la teca in cui era deposta la Santa Sindone, per il quale occorrerà ancora lavorare, per restituirlo al suo splendore e al suo significato originario. Accogliamo questo lavoro sul cupolino della Cappella come un segno di speranza, un omaggio al «candido lenzuolo» icona viva dell’amore più grande che Cristo ha donato all’umanità intera e che costituisce la fonte perenne di quell’impegno che siamo chiamati a compiere ogni giorno nel nostro tessuto familiare e sociale per costruire un mondo nuovo sempre più giusto, solidale e pacifico per tutti. Con viva riconoscenza intendo quindi ringraziare la Consulta per il grande impegno profuso in questi anni, e formulare i più fervidi auguri per i progetti futuri di questa bella e significativa realtà torinese. X Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino

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l Palazzo Reale di Torino conserva uno straordinario monumento del Barocco europeo: la Cappella della Sindone, progettata nel 1667 dall’architetto Guarino Guarini per ospitare il Sacro Lino, una delle immagini cristologiche più venerate della cristianità, acquisita dai duchi di Savoia nel 1453. L’11 aprile del 1997 un tragico incendio ha gravemente minato la stabilità e la conservazione della struttura. Il progetto di restauro ha dovuto affrontare una lunga fase preliminare di studio, di rilievo e di messa in sicurezza delle parti danneggiate, con il censimento e la schedatura di migliaia di frammenti, le indagini storiche e quelle chimiche, fisiche, e strutturali, la mappatura del degrado, l’individuazione dei punti resistenti dell’edificio. Gli interventi hanno preso avvio nel 2002 e hanno comportato, tra l’altro, la riapertura della antica cava di Frabosa Soprana, in provincia di Cuneo, da dove sono state ricavate le pietre necessarie per sostituire i materiali irrecuperabili. Contemporaneamente, sono stati consolidati gli elementi originali che potevano essere mantenuti e restaurati i capitelli, le basi in bronzo delle colonne e delle lesene. Nel 2016, grazie anche al contributo della Compagnia di San Paolo, sono iniziati i lavori di restauro delle

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superfici, con il consolidamento, l’integrazione e la finitura dell’apparato decorativo in pietra e, infine, il ripristino degli intonaci interni ed esterni. Il restauro del cupolino completa la restituzione delle superfici interne e costituisce uno degli ultimi passi del progetto ventennale di recupero del monumento. La sommità della cupola riacquista così la decorazione dipinta voluta da Guarini, con una corona costituita da sei coppie di cherubini che, poste a guardia della sfera celeste, circondano la colomba dello Spirito Santo. Il numero dodici corrisponde a quello delle punte della stella in pietra che sormonta la Cappella e richiama anche il ritmo della raggera in legno dorato, delineando una base simbolica che coinvolge in maniera armonica l’architettura e i suoi complementi decorativi. L’intervento mette in luce anche un importante momento dell’attività del pittore Carlo Giuseppe Cortella, attestato accanto ai Recchi per commissioni ducali dal 1676 e documentato per lavori di decorazione nel Palazzo Reale, oltre che a Palazzo Carignano, nel castello del Valentino e in quello di Moncalieri. Nel Palazzo Reale di Torino, il pagamento per le pitture “fatte nella cupola e nella cappella del SS. Sudario” risale al 1682;

negli anni immediatamente successivi, tra il 1683 e il 1684, Cortella lavora ai Gabinetti e nel Salone per quadrature architettoniche che i documenti descrivono “in chiaro et oscuro con modiglioni, cartelami, rabeschi, festoni di vari colori, et reparti di bassirilievi di pietra mischia”. Nel 1685 il suo talento scenografico trova applicazione nell’allestimento di quinte e apparati per il teatrino del Rondò, che Vittorio Amedeo II stava erigendo all’intersezione del padiglione della Piazzetta Reale con la Galleria di collegamento della Reggia al Castello e, sempre nello stesso anno, lo troviamo nuovamente attivo nella Cappella della Sindone, dove gli vengono commissionati “tre ritratti di pittura rappresentanti la SS. Sindone […] che si sono messi attorno il modello [dell’altare] nuovamente fatto nella Cappella”. In ultimo, tra il 1698 e il 1699, con Aurelio Gambone, dipinge “di chiaro e scuro il gabinetto attiguo alla camera di S.A.R.”. Tutti questi interventi sono stati cancellati da trasformazioni successive degli ambienti, con l’unica eccezione, forse, dei putti che decorano il corridoio di accesso al Pregadio di Carlo Alberto. Quello delle pitture del cupolino rappresenta dunque un tassello che meriterà di essere sviluppato a vantaggio dell’aggiornamento storico critico intorno alla

pluralità di presenze e di competenze ingaggiate nelle imprese edilizie che, a partire soprattutto dagli anni del regno di Carlo Emanuele I di Savoia, cambiarono il volto di Torino. Il progetto di restauro della Cappella di Guarini, promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, con il concorso del Segretariato regionale e della Soprintendenza e in collaborazione con la Diocesi di Torino, affronta la sua fase conclusiva in vista della riapertura al pubblico. I lavori del cupolino, realizzati grazie al sostegno e al diretto intervento della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, rappresentano non solo un significativo passo avanti nell’economia generale del progetto, ma anche il segno della fruttuosa collaborazione tra pubblico e privato, nella prospettiva di quella allargata condivisione e partecipazione ai destini del nostro patrimonio culturale, che costituisce il senso profondo dei processi di tutela e di valorizzazione. Enrica Pagella Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Direttore Musei Reali Torino

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a Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino è nata nel 1987 con lo scopo di contribuire a valorizzare e a migliorare la fruibilità del patrimonio storico-artistico torinese. È composta oggi da oltre 30 Aziende ed Enti Soci che ogni anno mettono a disposizione una cifra a favore della loro Città: in 30 anni sono stati investiti più di 30 milioni di euro e realizzati 90 interventi di restauro e valorizzazione, in collaborazione con le Istituzioni e gli Enti di tutela. Da 30 anni le Imprese e gli Enti soci di Consulta investono insieme a favore del patrimonio artistico e culturale al fine di restituire identità, bellezza e vitalità al territorio. Consulta, facendosi forza della ricchezza di collaborazione fra imprese, enti e istituzioni, compone i propri interventi su di una trama strategica a lungo termine e ad ampio spettro, al fine di accrescere il contributo dell’arte e della cultura al benessere economico, sociale e sostenibile della comunità. Gli interventi comprendono tutela e valorizzazione, con una regia che guarda al territorio nel suo complesso, promuovendo sinergie, proponendo nuove offerte culturali, rilanciando i valori locali come parte dell’imponente museo diffuso che è l’Italia. Gli interventi di Consulta collegati alla Sindone sono iniziati nel 2009, con il restauro delle facciate della Chiesa del Santo Sudario e del Museo della Sindone, mirabili punti di congiunzione fra passato e presente, che rendono attuali speranze sia religiose che laiche e, assieme alla speranza, restituiscono identità. Non è un caso che la realizzazione più recente, l’opera contemporanea Pietre Preziose di Giulio Paolini nei Giardini reali di To-

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rino, sia stata definita dall’Arcivescovo Cesare Nosiglia “monumento alla Speranza”. Il ciclo di interventi realizzati da Consulta in relazione alla Cappella della Sindone seguono uno schema ben definito che mette in comunione il presente con il passato, il patrimonio locale con il territorio esteso, i beni di elevato valore con opere più semplici, l’arte e la cultura con la natura e la vita. Armonia nel tempo Il tragico incendio che colpì la Cappella della Sindone nel 1997, con la sua ferita, ha suscitato il ciclopico lavoro di recupero al quale ha partecipato Consulta con la ricostruzione del cupolino. Durante i lavori, Consulta ha promosso e sostenuto una notevole opera di un artista torinese di fama internazionale, Giulio Paolini. L’artista ha riproposto al mondo alcuni frammenti marmorei della Cappella caduti durante l’incendio, rivestendoli di vita nuova. Il capolavoro secentesco di Guarino Guarini, restituito alle generazioni presenti, tramite le sue ferite sboccia così in un’opera artistica contemporanea. Consulta si prende cura anche di questa nuova vita: lavorare per la cultura è per l’associazione un impegno per una eredità che giunge dal passato e si rende presente e viva, fondamenta del futuro. Armonia nello spazio La Sindone, lungo i suoi percorsi reali e presunti per giungere da Chambery a Torino nel 1578, ha ispirato numerose opere non a tutti conosciute che oggi costellano le valli alpine. Consulta ha sostenuto il Centro

Culturale Diocesano per l’individualizzazione, lungo la Valle di Susa, di itinerari di notevole interesse culturale e religioso che permettono di scoprire testimonianze artistiche collegate alla Sindone. Tali percorsi di uno o più giorni vengono proposti con un piano di fruizione e comunicazione coordinato. La finalità di questo impegno è di trarre il massimo vantaggio da collaborazioni e sinergie a livello territoriale ricollegabili alla Cappella della Sindone, esaltando così un’armonia di concerto. Similmente, tale progettualità ha portato Consulta da quasi 10 anni a contribuire a numerose altre iniziative e lavori su temi sindonici nell’area torinese. Armonia fra patrimonio primario e beni semplici Consulta, sostenendo il progetto “La Sindone attraverso le Alpi”, si prende cura del valore economico e sociale che scaturisce dalla creazione di circuiti che mettono in relazione tracce di devozione alla Sindone. Il progetto non tralascia, lungo i percorsi della valle di Susa, tappe semplici che compongono il cammino. I beni e i luoghi d’arte sono nella loro essenza comunicativi, parlano e parlando coinvolgono. Le loro parole si collegano le une alle altre come poesie e sinfonie in cui le opere più semplici, inserite nell’armonia complessiva, acquisiscono un ruolo fondamentale. Un bene di grande valore come la Cappella della Sindone, da solo imponente, viene inserito nel contesto che lo mette in relazione con il territorio generando un circuito che valorizza ogni parte coinvolta, incluse le più semplici.

Armonia fra arte e natura L’opera Pietre Preziose di Paolini nei Musei Reali di Torino, frammenti caduti e distolti dalla Cappella della Sindone rese pietre vive dall’artista, è immersa nella natura come musica nella cassa armonica di un violino. Consulta si è presa cura di tale contesto appoggiandosi alla professionalità dell’architetto “Giardiniere” Paolo Pejrone, artista dei giardini. Grazie a lui l’opera di Giulio Paolini è immersa in un mondo di vita, dove migliaia di piantine di sottobosco evidenziano la meraviglia degli alberi che le sovrastano. Paolo Pejrone ha colto la forza di quelle umili piantine, una forza figlia dell’armonia di insieme, dove ogni azione non tende ad imporsi bensì a diventare parte di un’opera d’arte contribuendo a renderla meravigliosa. La bellezza fiorisce nell’armonia e l’armonia è figlia della capacità di collaborare e mettere in comunione. Gli interventi della Consulta per la Sindone seguono una progettualità che dà potenza a tale armonia, considerata imprescindibile in una strategia finalizzata ad accrescere il benessere economico sociale e sostenibile del territorio tramite l’arte e la cultura. Nella collaborazione, partendo da quella fra le aziende che la compongono, Consulta fonda la propria forza. A tutte le parti coinvolte va un sentito ringraziamento. Adriana Acutis Presidente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino

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La Sindone tra le Alpi I Percorsi Sindonici da Sant’Antonio di Ranverso alla Cappella della Sindone Gianluca Popolla Le premesse ncastonata nel cuore delle Alpi occidentali, lì dove i percorsi naturali segnati dai valichi del Monginevro e del Moncenisio collegano l’Oltralpe e la Pianura Padana, la Valle di Susa è sempre stata un crocevia imprescindibile nelle rotte di comunicazione della storia europea. In un contesto così articolato, trovano spazio anche i continui spostamenti della corte sabauda, dettati di volta in volta da esigenze politico-militari e cessati di fatto con il definitivo trasferimento della capitale del ducato a Torino (1563). Durante i trasferimenti da una dimora all’altra, una lunga carovana di muli seguiva i duchi trasportando tutti gli oggetti necessari alla corte e le reliquie della cappella domestica, tra le quali figurava anche la Sindone, acquistata da Ludovico di Savoia nel 1453. Non conosciamo con esattezza tutti i percorsi compiuti dal Lenzuolo nei suoi spostamenti attraverso il Piemonte, sino al periodo del suo arrivo a Torino. Ignoriamo ad esempio quando per la prima volta passò le Alpi. Sappiamo invece che nel 1476 Jolanda di Savoia, moglie del duca Amedeo IX, scese in Piemonte, forse attraverso la Valle di Susa, recando con sé le reliquie della cappella di corte di Chambéry e quindi verosimilmente anche la Sindone. L’importanza del reperto e la sua vulnerabilità soprattutto durante

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Giacomo Jaquerio, Cristo morto emergente dal Sepolcro, affresco, 1406-1410 ca., Buttigliera Alta (Torino), Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

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Nella pagina a fronte Pagina web del sito www.vallesusa-tesori.it Mappatura dei principali luoghi sindonici della Valle di Susa.

i viaggi hanno costretto al silenzio le fonti dell’epoca, estremamente reticenti in merito ai trasferimenti della Reliquia, di norma tenuti segreti e, si dice, affiancati addirittura da viaggi paralleli di reliquiari vuoti al fine di depistare possibili malintenzionati. Gli itinerari iconografici in Valle di Susa e la loro valorizzazione Al di là di ogni circostanza specifica, per i motivi sopra sintetizzati, numerose sono in Valle di Susa le testimonianze artistiche legate alla Sindone. Il Centro Culturale Diocesano, in occasione della riapertura della Cappella del Guarini, ha avuto l’incarico nel 2016 dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino di costruire un itinerario storico artistico legato alla Sindone dalla Valle di Susa a Torino, denominato La Sindone tra le Alpi. Perché questo progetto? Il Centro Culturale è dal 2003 capofila del piano di valorizzazione culturale del territorio denominato Valle di Susa. Tesori di Arte e Cultura Alpina e la Consulta è impegnata nell’intervento di restauro del cupolino affrescato e nella ricostruzione dell’apparato decorativo della cappella sindonica di Torino; è parso dunque utile intrecciare le competenze e gli interessi di entrambi a vantaggio delle comunità locali per la valorizzazione del territorio. La Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, riaperta al pubblico nel giugno del 2017, già visitata in questi primi mesi da migliaia di turisti, è stata individuata come il naturale strategico luogo di interpretazione degli itinerari sindonici e di collegamento tra la Valle e la città, nel prossimo futuro da potenziare e strutturare meglio. I cicli affrescati di Giacomo Jaquerio raccon-

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tano, infatti, un divino profondamente umano, incarnato nella fragilità dei tanti pellegrini e bisognosi che affollavano gli spazi del complesso alla ricerca di cure per il corpo e per l’anima. La sua pittura è debitrice anche alle tematiche della cosiddetta devotio moderna, una corrente di rinnovamento spirituale del XIV e XV secolo che si sviluppa nei paesi fiamminghi e auspica una religiosità soggettiva di testimonianza evangelica, contrapposta alla pietà collettiva di stampo medievale. Il movimento propone la lettura personale della Bibbia come strumento di rinnovamento spirituale e l’imitazione di Cristo come modello di vita, con un forte apostolato laico, molto attento al problema educativo e alla riforma della vita religiosa. Questa pratica nasce anche dall’esperienza religiosa di Geert Groote e considera come manifesto spirituale il testo, attribuito a Tommaso da Kempis, noto come De Imitatione Christi. In questo senso la Sindone è, come ha richiamato il Santo Padre Giovanni Paolo II “icona della sofferenza dell’innocente e della nostra responsabilità personale e collettiva”. Le azioni progettuali sono state articolate secondo una traiettoria tesa a costruire un piano di fruizione e comunicazione coordinato, finalizzato a rendere più evidente l’identità territoriale, permettendo a pellegrini e turisti di meglio orientarsi tra le proposte culturali offerte dai percorsi sindonici. Si è partiti con un’attenta ricognizione storico artistica e iconografica delle emergenze presenti sul territorio, per passare al concept del logo e della grafica coordinata dell’itinerario. Si sono costruiti tre itinerari in alta, media e bassa valle Susa, da uno a più giorni, da proporre ai tour operator e da sperimentare nel corso del 2018, attra-

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Giacomo Jaquerio, Salita al Calvario, affresco, 1406-1410 ca., Buttigliera Alta (Torino), Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

verso l’elaborazione dei contenuti storico-artistici, la realizzazione grafica e la stampa di una guida, l’organizzazione di una pagina facebook dedicata, con rimandi sul portale del piano di valorizzazione della valle www.vallesusa-tesori.it. Per una diffusione più capillare si è deciso di animare il territorio attraverso l’organizzazione di una serie di incontri con gli operatori della ricettività, con le guide turistiche e naturalistiche, con gli accompagnatori bike. Molto utile si è rivelato il monitoraggio dei pellegrini, in gruppo e singoli, che attraverso i cammini della Valle dal Moncenisio e dal Monginevro giungono a Torino. Il progetto prevede l’inserimento di nuovi strumenti per la conoscenza dei luoghi come i beacon, piccole apparecchiature basate sulla tecnologia bluetooth che consentono, attraverso l’utilizzo di uno smartphone e di apposite app, di ricevere informazioni dettagliate

La Sindone tra le Alpi. I Percorsi Sindonici da Sant’Antonio di Ranverso alla Cappella della Sindone

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relative ad un sito culturale, alla sua storia e ai percorsi storico artistici che si possono effettuare visitandolo; la sperimentazione di modalità innovative per l’apertura dei luoghi di interesse storico artistico con l’impiego di tecnologie innovative, per favorire una sempre maggiore fruizione dei luoghi d’arte sacra diffusi sul territorio in modo sostenibile e che consenta, in condizioni di sicurezza, di effettuare le visite in assenza di un presidio umano. Obiettivi del progetto Il progetto La Sindone tra le Alpi mette in campo due sfide. La prima è finalizzata al consolidamento del sistema, dando continuità alle attività intraprese e migliorando la partecipazione e la responsabilizzazione diffusa del vasto partenariato di progetto. La seconda sfida è lo sviluppo di progetti sul patrimonio culturale della Valle e di Torino, capaci di generare valore, a partire da quello sociale per arrivare a quello artistico ed economico. Queste progettualità potranno essere candidate a bandi locali e nazionali o europei, con particolare riferimento ai seguenti temi: innovazione e creatività, sostenibilità sociale, social innovation, imprenditorialità giovanile, solidarity sourcing, digital agenda, creating shared value. Valore sociale e artistico. L’arte e l’architettura sono state per secoli uno strumento di formazione e informazione della comunità: si ammirava il bello, si evocava il divino, si consolidava il senso di appartenenza, si educava il popolo. Ora tale linguaggio rischia di disperdersi e dissolversi, è molto autoreferenziale, basato su categorie linguistiche codificate, ma non più percepibile dalla stessa comunità.

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Il progetto ha la possibilità di attivare rinnovati codici linguistici per la comprensione e l’utilizzo di tale patrimonio, anche per lo sviluppo di nuove forme di espressione artistica e per l’attivazione di forme di dialogo interculturale. È terreno per la crescita e la coesione delle comunità dei volontari, del territorio e del progetto anche per attività didattica nei musei, a partire dai Musei diocesani di Susa e di Torino. Valore economico. L’intento è di costruire dei percorsi di cultural heritage collegati al turismo, anche finalizzati alla creazione di nuova imprenditoria con la creazione di servizi turistici e culturali che possono essere promossi attraverso il portale al fine di completare l’offerta (visite guidate on demand, esperienze sul territorio personalizzate, affitto bici elettriche, affitto pulmini etc.). Strategico in questo senso sarà riuscire a coinvolgere i visitatori nella costruzione e nella condivisione delle esperienze di visita nei luoghi. Le descrizioni puntuali dei beni e degli itinerari saranno così arricchite dalle proposte di itinerari elaborate e sperimentate direttamente dai singoli navigatori, con la possibilità di inserire segnalazioni frutto delle esperienze di visita (servizi di accoglienza, notazioni paesaggistiche, produzioni enogastronomiche, persone etc.), sul modello dei siti animati dal pubblico/cliente (come ad esempio trip advisor) che iniziano a essere utilizzati anche in campo culturale. Una sfida dunque che intende unire cultura, comunità ed economia.

La Sindone tra le Alpi. I Percorsi Sindonici da Sant’Antonio di Ranverso alla Cappella della Sindone

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La Consulta di Torino per la Sindone 2009-2018 Giacomo Affenita

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interesse verso la Sacra Sindone – reliquia che per Torino e il suo territorio riveste uno straordinario valore storico, culturale e religioso – contrassegna da un decennio i programmi della Consulta di Torino.

Beato Angelico, Compianto sul Cristo morto, tempera su tavola, 1436-1441, Firenze, Museo di San Marco.

L’associazione è intervenuta su questo tema in numerose occasioni e con progetti inseriti in una prospettiva di ampio respiro, nella consapevolezza che la riapertura della Cappella della Sindone possa rappresentare un nuovo punto di forza nel sistema culturale della città. Una visione in linea con la tradizionale prassi operativa della Consulta, che in ogni progettualità vede un investimento sul lungo termine, foriero di molti possibili sviluppi. Nell’insieme, quello che si dipana è un lavoro composito, caratterizzato dal taglio innovativo e multidisciplinare tipico dell’associazione. Dal 2009 ad oggi si sono infatti succedute operazioni differenti ma complementari: si va dai restauri tradizionali, condotti sulle facciate della Chiesa del Santo Sudario e del Museo della Sindone, all’allestimento di mostre ed esposizioni di grande qualità, inserite nel contesto delle due più recenti Ostensioni: nel 2010 si trattò del

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sostegno alla mostra Tesori della Sindone in Palazzo Reale; mentre nel 2015 l’evento fu dedicato al Compianto sul Cristo Morto, eccezionale tavola di Beato Angelico che per l’occasione venne esposta al pubblico presso il Museo Diocesano.

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CRONOLOGIA DEGLI INTERVENTI SUI TEMI SINDONICI DELLA CONSULTA DI TORINO

A questi interventi si sono affiancate, nel 2017, due nuove iniziative. La prima guarda oltre la città, e apre alla collaborazione di un inedito progetto turistico: gli “Itinerari sindonici della Valle di Susa” promossi dal Centro Culturale Diocesano di Susa. Primi concreti risultati di questa partnership sono stati la pubblicazione di una guida e la proposta di 7 percorsi di uno o più giorni da effettuare sulle strade tra Chambéry e Torino, con visite guidate ai siti di maggiore rilevanza artistica e culturale. L’altra iniziativa riguarda invece più specificamente la Cappella della Sindone e la sua storia. Con felice intuizione, i frammenti lapidei della Cupola del Guarini, abbandonati dopo l’incendio del 1997, sono stati recuperati e affidati al maestro Giulio Paolini: è nata così l’opera Pietre Preziose, installazione che dallo scorso ottobre si può ammirare al centro del Boschetto dei Giardini Reali, progettato dall’architetto Paolo Pejrone.

2009 / Restauro delle facciate della Chiesa del Santo Sudario e del Museo della Sindone.

In ultimo, ed è storia di oggi, la significativa partecipazione al grande cantiere della Cappella guariniana, con il recupero integrale del Cupolino, terminato lo scorso 24 gennaio. Questo intervento della Consulta è anche il primo restauro ufficialmente concluso all’interno della Cappella e inaugura il calendario dei lavori che impegneranno gli Enti di tutela nei prossimi mesi, con l’obiettivo di riaprire l’intera struttura nell’autunno del 2018.

2017 / Giardini Reali, installazione nel Boschetto, progettato dall’architetto Paolo Pejrone, di Pietre Preziose, opera di Giulio Paolini realizzata utilizzando i frammenti lapidei originali della Cappella della Sindone.

2009 / Acquisto del dipinto di Giovanni Battista della Rovere, La Sepoltura di Cristo, 1625 ca. L’opera è stata donata al Museo della Sindone, presso il quale è esposta in modo permanente. 2010 / Palazzo Reale, sponsorizzazione della mostra Tesori della Sindone. Mirabilia del sacro e incisioni sindoniche di Umberto II di Savoia. Esposizione tenutasi in occasione dell’Ostensione della SS. Sindone. 2015 / Museo Diocesano di Torino, restauro ed esposizione del Compianto sul Cristo Morto di Beato Angelico, in prestito dal Museo di San Marco di Firenze. L’esposizione ha affiancato la mostra Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del Sacro e si è tenuta in occasione dell’Ostensione della SS. Sindone. 2015 / Redazione del progetto di recupero dell’ex Ospedaletto dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, complesso che è tappa fondamentale della Via Francigena. 2017 / Sostegno del progetto “Percorsi Sindonici in Valle di Susa”, promosso dal Centro Culturale Diocesano di Susa. Da questa collaborazione sono nate una guida degli itinerari sindonici, e l’organizzazione di una serie di percorsi turistici, della durata di uno o più giorni.

2018 / Cappella della Sindone, restauro del Cupolino e riproposizione, secondo l’originale progetto secentesco, della raggiera lignea.

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Gli interventi della Consulta per la Sindone Angela Griseri

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Torino, Museo Diocesano, mostra Umberto Mastroianni tra coscienza civile e spirito del sacro, 2015.

n occasione dell’ultima Ostensione della Santa Sindone nel 2015 e del bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, la Consulta ha accolto la richiesta del Direttore del Museo Diocesano di sostenere due significative esposizioni, Umberto Mastroianni tra coscienza civile e spirito del sacro e Il Compianto sul Cristo morto opera del Beato Angelico. La mostra antologica sulle opere sacre di Umberto Mastroianni ha reso omaggio ad uno dei più grandi scultori italiani del’900, un artista che con il capoluogo piemontese ha intrattenuto un rapporto privilegiato nel corso di tutta la vita. Promossa dall’Associazione S.T.Ars e dal Museo Diocesano, e patrocinata da Comune di Torino e Regione Piemonte, la retrospettiva è stata realizzata grazie alla Consulta di Torino e alla Fondazione CRT, ideata in stretta connessione con il parallelo progetto di esporre l’opera del Beato Angelico a Torino, instaurando così un dialogo diretto di arte e fede con l’Ostensione della Sindone. Umberto Mastroianni non è autore che si presti a facili sintesi: la sua opera ha attraversato periodi diversi, che vanno dal figurativo degli anni giovanili al neocubista, dall’informale al cosiddetto “macchinismo fantastico”, fino ad approdare alle “figure dell’inconscio”; si sono ammirati

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Giovanni Battista della Rovere, La Sepoltura di Cristo, miniatura ad olio su seta applicata su tela, 1625 ca., Torino, Museo Sindonologico.

Torino, Cattedrale, Torre campanaria, veduta esterna.

bronzi, terrecotte, legni, piombi, rami, vetri, mosaici, arazzi, cartoni graffiati, opere su carta e cartone, juta, una grande eterogeneità di stili e linguaggi. In questa prospettiva è nato il progetto riguardante l’esposizione del Compianto sul Cristo morto opera di Beato Angelico, un’iniziativa ideata dall’Associazione Sant’Anselmo-Imago Veritatis e realizzata grazie alla collaborazione e al sostegno della Consulta. Questa straordinaria tempera su tavola, databile tra la fine del quarto e l’inizio del quinto decennio del Quattrocento e conservata presso il Museo del Duomo di Firenze, era in origine una pala d’altare realizzata per l’Oratorio della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, dove i condannati a morte ascoltavano l’ultima messa.

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gli interventi della consulta per la sindone

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L’opera è stata interessata da un accurato intervento di restauro conservativo, che ha riguardato l’assetto del supporto ligneo e la superficie pittorica, purtroppo raggiunta dalla pioggia nel corso della tromba d’aria che ha investito la città di Firenze nel settembre del 2014. Il percorso di visita del Museo Diocesano, già nel 2013, era stato ampliato con la realizzazione del nuovo percorso di salita della Torre Campanaria del Duomo: l’apertura al pubblico del campanile offre uno spettacolare punto panoramico sui Musei Reali e sulla Cappella della Sindone, una sorta di “porta d’ingresso”, un “museo verticale” che consente di comprendere, con una visione dall’alto, la collocazione spaziale dei 5 musei legati all’eredità della corte sabauda (Palazzo Reale, Galleria Sabauda, Armeria Reale, Biblioteca Reale e Museo di Antichità). La torre si configura quindi come il fulcro della zona in cui si concentra la porzione più consistente del patrimonio culturale cittadino. Storicamente si tratta di una costruzione molto antica, divisa in due parti distinte: la più vecchia, a pianta quadrata, fu elevata tra il 1469 e il 1470. L’altra, di epoca barocca, è quella che la sormonta e si deve a un progetto, rimasto incompiuto, firmato nel 1722 da Filippo Juvarra. Per rendere possibile la salita sono state realizzate opere da fabbro, allo scopo di adeguare le scale alle normative di sicurezza, ed è stato integralmente rifatto l’impianto elettrico; è stato inoltre creato un nuovo impianto di elettrificazione delle quattro campane. Nella cella campanaria, che si presenta come una straordinaria terrazza aperta sui 4 punti cardinali, sono stati collocati alcuni pannelli esplicativi che identificano i monumenti cittadini visibili attraverso le aperture. L’interesse di Consulta per i temi sindonici risale al 2009 quando si decide di intervenire a restaurare le

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Nella pagina a fronte Torino, Chiesa del Santo Sudario, facciate esterne.

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facciate del Museo Sindonologico e della Chiesa del Santo Sudario: quest’ultima era in origine la Cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, risalente al 1728 quando Vittorio Amedeo II concedeva alla Confraternita del Santo Sudario un sito, verso Porta Susina nell’Isolato di San Isidoro. Solo nel 1734 veniva scelto il progetto dell’ingegnere Mazzone, mentre la decorazione interna era stata affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, attivo con la collaborazione di Michele Antonio Milocco per le figure e la pala d’altare. Nel 1764 il re concedeva il permesso di aprire la chiesa al pubblico; veniva costruito il campanile e sostituito l’altare maggiore: il re inviava in dono “parecchie carra di bronzo, rame, ferro per fabbricare sei grandi candelieri e servirsi del residuo per la costruzione della facciata”. La facciata è attribuita all’architetto Giovanni Battista Borra. Dopo il periodo napoleonico, la chiesa veniva riaperta e restaurata nel 1821. La Consulta ha donato alle collezioni del Museo della Sindone l’opera di Giovanni Battista della Rovere, La Sepoltura di Cristo: si tratta di una miniatura ad olio su seta applicata su tela, raffigurante la sepoltura di Cristo e tre Angeli a sostegno della Santa Sindone; il tema protagonista è definito in alto nella bordura con la scritta “il verissimo ritratto del santissimo sudario del nostro salvatore giesv christo”. In basso, a destra, la firma “joannes baptista de rvuere taurinensis fe(ci)t inventor”, sottolinea l’autografia relativa all’esecuzione e le scelte per il duplice risultato iconografico, incentrato sul telo sindonico, avvalorato dalle presenze rituali per la scena della “Sepoltura” e dalle tre figure angeliche per la presentazione della Sindone. Nonostante sottili abrasioni e cadute di colore, l’opera, databile al 1625 cir-

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ca, riveste un importante significato storico-artistico, con il chiaro riferimento alle opere ben documentate del padre Gerolamo della Rovere, miniatore e pittore attivo dal 1605 alla corte del duca Carlo Emanuele I, rimunerato nel 1612 per “ritratti del SS. Sudario miniati”, attività specifica ricordata nella Patente ducale a lui concessa nel 1616. Giovanni Battista della Rovere è documentato in una lettera del cardinale Maurizio di Savoia che lo presenta e lo raccomanda al conte d’Agliè, residente a Roma come “giovane d’honorate qualità”. La corte era attenta alla divulgazione capillare del tema sindonico, inserito con la precisione e la raffinatezza di uno stile tardo cinquecentesco, evidenziato in quest’opera nelle figure degli otto angeli recanti i simboli della Passione, collocati nei riquadri della bordura. Un segno calligrafico che si riscontra nella miniatura ad acquerello con il medesimo soggetto realizzata dal padre Gerolamo, conservata nelle collezioni alla Galleria Sabauda. Per l’Ostensione del 2010, Consulta in collaborazione con il socio Martini & Rossi ha sostenuto la mostra in Palazzo Reale Il Tesoro della Sindone. Mirabilia del sacro e incisioni sindoniche di Umberto II Savoia, che ha visto esposte opere provenienti dalla Fondazione Umberto II e Maria Josè di Savoia raffiguranti le Ostensioni nel corso dei secoli, realizzate in occasione di importanti avvenimenti della dinastia sabauda.

gli interventi della consulta per la sindone

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La Cappella della Sindone 11 aprile 1997 Maurizio Momo

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Veduta dell’Altare della Santa Sindone, incisione.

ono svegliato nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997, verso le 23.30 da una telefonata di mio figlio e poi da una seconda del segretario del cardinale Saldarini: la Cappella della Sindone sta bruciando. Attraverso velocemente la città nel traffico diradato e raggiungo la piazza San Giovanni. La vista è agghiacciante: nel buio della notte si staglia la cupola della Sindone illuminata dalle fiamme che fuoriescono dai finestroni del tamburo e dagli archi della cupola. E anche dai tetti di Palazzo Reale addossati alla cappella. Entro con fatica in Duomo e procedo di corsa verso il presbiterio: dietro l’altare maggiore in una teca di vetro è conservata la Sindone. Supero lo sbarramento dei vigili del fuoco che hanno posizionato nel presbiterio una serie di idranti che sparano acqua verso il fuoco. Un immenso rogo fuoriesce dal finestrone vetrato e sembra rovesciarsi verso il basso. Le persone che stanno affollate sui fianchi dell’altare maggiore sembrano essere quasi respinte. Vado di corsa da don Cavallo, il parroco del Duomo. Insieme a lui c’è il cardinale Saldarini con il suo segretario, c’è mons. Martinacci e poi il sindaco Valentino Castellani. Ci stringiamo in un abbraccio. Il fuoco sembra scendere e Saldarini quasi inconsciamente si spinge verso la

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teca di vetro attraverso la quale si intravede la cassa argentata che protegge il telo del Sudario. Noi tutti lo tratteniamo. Dall’alto continuano a cadere spezzoni e pietre che colpiscono gli stalli del coro e il pavimento. Intorno alla teca ci sono i vigili del fuoco che stanno armeggiando convulsamente per aprirla. L’architetto Andrea Bruno, quando era stata inaugurata, mi aveva fatto vedere come si apriva agendo contemporaneamente su due viti senza fine poste agli estremi. Cerco di comunicare senza successo. Subito dopo compare un vigile armato di ascia che incomincia a colpire la teca vetrata. Ma il vetro stratificato resiste e i colpi violenti continuano sino a che una parete verticale si incrina e poi cede. I vigili del fuoco estraggono la cassetta, la mettono in salvo quasi proteggendola con il corpo e si avviano lungo la navata centrale seguiti da Saldarini. Ritorno in Duomo il mattino dopo. Tutte le porte sono chiuse ma come architetto della cattedrale posso entrare dall’ingresso laterale. I banchi della navata centrale sono ammassati sui lati e con don Cavallo dobbiamo spostarli per passare. L’interno del Duomo è irriconoscibile. Nella luce attutita del mattino tutto sembra avvolto in una nebbia bianco grigia. Manca la luce. I quadri delle cappelle sono nelle loro sedi, ma sembrano come offuscati dallo strato di cenere che copre gli altari. La navata centrale sembra un campo di battaglia, invasa dall’acqua, dalla cenere, da spezzoni di legno e dai detriti. Il presbiterio, dove i vigili avevano collocato gli idranti e avevano con ogni mezzo lottato con le fiamme è coperto di cenere, acqua, vetri e frammenti lapidei. Le sedi di marmo dei concelebranti sono accatastate e rovesciate, alcune hanno fianchi e schienali divelti, l’altare in travertino ha la mensa spezzata. Tutto questo

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Particolare del degrado del capitello della colonna dell’arcone tra il Duomo e la Cappella della Sindone dopo l’incendio, 1997.

è sparso sul pavimento policromo da poco restaurato. La grande vetrata della Cappella della Sindone, che in basso appena si intravede, sembra distrutta così come le colonne guariniane, ancora in piedi, ma spaccate sul retro all’azione dell’acqua di spegnimen-

La Cappella della Sindone 11 aprile 1997

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to, che è penetrata nei canali degli impianti di riscaldamento ed è scesa nella Chiesa ipogea allagandola parzialmente. Anche l’arcone di Guarini sembra seriamente danneggiato. Lo possiamo guardare solo da distante perché i frammenti lapidei che cadono dai ponti combusti e dal rivestimento marmoreo della cappella, hanno reso il coro inaccessibile. Ogni tanto il silenzio è rotto da questi tonfi, che rimbombano nella chiesa chiusa, attutiti ma agghiaccianti quando colpiscono gli stalli del coro. Mi avvicino al coro e tenendomi riparato dietro lo spigolo del pilastro di destra guardo verso l’alto, verso il groviglio fumante del ponteggio accatastato sull’altare di Guarini. Vedo e non vedo perché bisognerebbe stare al centro del coro. Ma la cupola dal piano del presbiterio mi sembra altissima, percorsa da lampi di luce e mi sembra di vedere, tra il fumo che sale dalle macerie, la stella- sole, con i raggi di pietra che si librano nel vuoto. Forse è solo una allucinazione. Lo dico a don Cavallo e poi guardiamo la teca della Sindone squarciata, con i frammenti di cristallo stratificato sparsi tutt’intorno sul pavimento. Don Cavallo mi tocca un braccio e mi fa guardare la vetrata della galleria del coro, proprio dietro la teca distrutta. È visibile una delle due tende della vetrata, bianca, forse bagnata, ma intatta. Il fuoco è rimasto in alto e non è mai sceso all’altezza della teca. Qualche giorno dopo salgo sul cestello della grande gru stazionata nella piazza S. Giovanni di fronte a Palazzo Chiablese: la cappella, con i vuoti degli infissi bruciati che si stagliano sulle murature, dall’alto sembra profondamente ferita ma strutturalmente abbastanza integra e appare altissima. Intorno alla cupola e al cupolino è un brulicare di vigili del fuoco al lavoro appesi alle corde. Ci avviciniamo al cupolino. Le

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Scorcio dell’interno della Cappella della Sindone dopo l’incendio. Degrado dei dipinti murali del cupolino e mancanza della raggiera, 1997.

dodici finestre ovoidali della straordinaria macchina guariniana, prive di infissi, rendono la lanterna quasi immateriale. Da queste finestre, dopo l’apertura delle porte del Duomo, le fiamme uscivano altissime. Sono bruciati in parte o gravemente danneggiati i tetti delle maniche di Palazzo Reale addossate alle murature perimetrali della cappella, che sono sprofondate sino al piano nobile in un intrico di travi, mattoni e tegole. E quando il cestello si abbassa compaiono in eviden-

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za muri, archi e speroni prima occultati dalle falde e dai tamponamenti e ora disvelati dall’incendio. Nella foschia del pulviscolo che sempre sale dalle macerie, soprattutto ora che ha piovuto, sembrano irreali. Bisogna proteggere subito i tetti distrutti con teli e strutture provvisionali. Dopo, in momenti successivi, sono entrato molte volte nella cappella che conoscevo bene per lunga frequentazione. Non ultima l’Ostensione della Sindone del 1978. I ricordi mi si accavallano nella mente quando salgo lungo lo scalone destro che nella parte inferiore è rimasto quasi integro. Subito, dal basso, sembra la cappella di sempre, poi salendo nella luce attutita che scende dall’alto, tutto è sconvolgente. Molte delle colonne in pietra nera di Frabosa del vestibolo sono a terra, rovesciate. Alcune sono spezzate e ingombrano il passaggio. Oltre non si può andare, se non strisciando contro le pareti e calpestando le macerie. Rimango nel vestibolo per essere protetto dagli spezzoni lapidei che continuano a cadere e consentono solo ai vigili del fuoco di operare. Subito, nella semi oscurità, non vedo l’altare-reliquario, coperto alla base dalla massa delle macerie cadute e dalle tavole combuste dei ponti che quasi sommergono i gradini e il pavimento. Poi incomincio ad intravedere qualche tratto sbrecciato della mensa di pietra e più indietro l’alzato dell’altare con l’inferriata che proteggeva la cassetta della Sindone. In alto la grande raggiera sembra completamente bruciata, inglobata nell’intrico fittissimo dei tubi pontali che cadendo hanno formato una sorta di arco che ha parzialmente protetto l’altare. Non è molto ma intorno agli alzati rimasti e alle volute lapidee mi sembra di nuovo di intravedere l’antico, consueto profilo. Protetto dalla volta del vestibolo, che ha resistito

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La Cappella della Sindone 11 aprile 1997

Nella pagina a fronte La Cappella della Sindone subito dopo l’incendio. In evidenza la presenza della struttura del ponteggio deformata, 1997.

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mentre al di sopra la balaustra lignea e l’organo sono coperti dai detriti e forse sono bruciati, vedo quello che rimane della vetrata che nella parte superiore risulta completamente distrutta. In basso sono ancora presenti parti del grande infisso carbonizzato, con poche superstiti dorature risparmiate dal fuoco. Dietro si profila la balaustra con cimasa, pilastrini e balaustrini fortemente anneriti e sbrecciati ma in sito. La base non si vede, sommersa dai detriti. Di fianco sono ancora in piedi le due colonne guariniane, che dal Duomo presentano il profilo usuale, ma che viste dall’interno, dove la pietra è stata a contatto con le fiamme e con l’acqua di spegnimento, sono come scoppiate. Sembrano divise a metà con la pietra spaccata resa instabile dalle profonde fratturazioni. La stessa immagine di devastazione persiste se ci si affaccia al livello superiore della cappella, nel bacino tronco conico illuminato dalle finestre tonde. Che prive di infissi, disvelano sul retro il biancore delle camere di luce. Siamo sopra la massa aggrovigliata dei tubi del ponteggio: il grande ponteggio che raggiungeva la cupola e che sotto l’effetto del fuoco si è come accartocciato ed è precipitato sul pavimento della cappella senza distruggere per un caso fortuito l’altare-reliquario. Qui l’incendio è durato moltissime ore e ha trasformato lo spazio del bacino e del tamburo in una fornace. La temperatura altissima ha cotto la pietra che in superficie si è sgretolata e staccata precipitando. A questo si aggiunge l’effetto dell’acqua di spegnimento sulla pietra infuocata che in alcuni casi è come esplosa. Ne abbiamo poi discusso con il comandante dei vigili del fuoco: in questi casi, in futuro, bisognerà usare schiumogeni. Lo straordinario rivestimento lapideo, staticamente collaborante,

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appare come scorticato in profondità. E sulle modanature, sui lacunari, sui pilastri e le pareti diritte e curve appare il colore rossastro della pietra cotta dal fuoco, prevalente, alternato al colore bianco- grigio degli stacchi e al grigio scuro della pietra di Frabosa rimasta in sito. Lo stesso colore rossastro, con le tonalità del nero-fumo e dello zinco si coglie dall’ alto sull’intrico dei ponteggi precipitati. Si è, si potrebbe dire, più sollevati guardando verso l’alto: la fuga dei sei archi sovrapposti e della stella-sole della cupola sembrano nel controluce meno degradati. Oltre, nella luce intensa della lanterna data dalle finestre ovoidali senza infissi, non si vedono più la raggiera dorata e la colomba dello Spirito Santo che erano in legno, ma compaiono ancora i pendini in ferro di sostegno, come puntolini neri sullo sfondo rossastro.

La Cappella della Sindone 11 aprile 1997

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Il cupolino nella fabbrica della Cappella del Santissimo Sudario Marina Feroggio

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Nicolas Bertin, Veduta della Cappella della Sindone, incisione, 1685.

e fonti documentarie inerenti alla costruzione di un luogo consono a custodire la preziosa reliquia della SS. Sindone, posseduta dai Savoia dal 1453 e trasportata da Chambéry a Torino nel 1578, testimoniano un processo di ideazione della fabbrica del SS. Sudario lungo e faticoso avviato alla fine del XVI secolo per volere testamentario di Emanuele Filiberto. Dopo il primo impianto ovale, su disegno di Carlo di Castellamonte, innalzato di pochi gradini sopra al livello del coro del Duomo, e le cui fondamenta vennero avviate nel 1611, il cantiere venne ripreso solo molti anni dopo, nel 1657, sotto l’impulso del principe cardinale Maurizio. Il progetto venne affidato allo scultore e architetto luganese Bernardino Quadri che ideò un impianto circolare sopraelevato alla quota del piano nobile del Palazzo ducale, collegato al Duomo attraverso due rampe simmetriche in asse alle navate laterali. Il progetto di Quadri denotava in questo modo il complesso equilibrio in cui la reliquia si andava a collocare e dava forma eloquente alle intenzioni di celebrazione della dinastia sabauda, conferendo alla Cappella il significato di una vera e propria cappella palatina, dove l’accesso privilegiato era quello dei du-

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chi e l’accesso dal Duomo appariva come un processo cerimoniale di accostamento alla reliquia. I lavori avevano raggiunto la quota del primo registro della Cappella, con la realizzazione dello scurolo, della rampa destra di ascesa alla Cappella e dell’affaccio sul coro del Duomo, quando nel 1665 vennero bruscamente interrotti a causa di una serie di carenze del progetto esecutivo, ma soprattutto per la messa in dubbio delle conoscenze del Quadri con riguardo alle resistenze della struttura muraria, su cui doveva ergersi una cupola che doveva sovrastare in altezza quella del Duomo. In questa fase di crisi del cantiere giunse a Torino Guarino Guarini che succedette a Quadri e realizzò tra il 1667 e il 1683, anno della sua morte, una struttura a torre quanto mai straordinaria e originale, così come ancora oggi la vediamo. La fabbrica venne infine ultimata nel 1694 quando la Sindone fu traslata nella Cappella e deposta nell’altare progettato da Antonio Bertola. La presenza in cantiere di Guarini venne ufficializzata il 19 maggio 1668 con la nomina a ingegnere della Cappella della Sindone e lo stipendio annuo di 1.000 lire. I primi due anni furono dedicati a consolidare gli interventi fino ad allora realizzati da Quadri, in modo da conferire stabilità alle strutture già poste in opera. A seguire, Guarini attuò il suo progetto inserendo sull’invaso cilindrico di Quadri un bacino tronco conico caratterizzato da tre grandi archi inclinati verso l’interno che gli consentirono di ridurre di un quarto il piano di imposta del tamburo per soddisfare la necessità di alleggerire la struttura in modo da poter innalzare la cupola al di sopra di quella del Duomo. Su questo nuovo piano di imposta, Guarini innalzò il singolare tamburo, forato dai sei grandi finestroni centinati, sul quale realizzò infine il cestello “diafano”, costituito da 36 archetti sovrapposti digradanti e ruotati gli

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Nella pagina a fronte Mandato di pagamento al pittore C.G. Cortella datato 3 settembre 1682, f. 258 recto, particolare (fig. 2).

uni rispetto agli altri che si ricongiungevano in sommità nell’anello di imposta della stella lapidea a dodici punte che incorniciava la vista della gloria celeste con la colomba raggiata dello Spirito Santo. Ed è stato proprio durante la fase di studio delle fonti d’archivio di quegli anni, eseguita preliminarmente alla redazione del progetto di restauro del cupolino, che è stato reperito il mandato di pagamento del 3 settembre 1682 con il quale veniva remunerato il pittore Carlo Giuseppe Cortella “in sodisfattione delle pitture dal medesimo fatte nella cupola della Capella del Sant.mo Sudario”, pitture che vengono descritte come segue nella nota del misuratore di Sua Altezza Reale, Gaspare Ferrero (cfr. fig. 2):

Il cupolino nella fabbrica della Cappella del Santissimo Sudario

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Mandato di pagamento al pittore C.G. Cortella datato 3 settembre 1682, f. 258 recto, particolare (fig. 3).

“[…] fatto un splendore con raggi dove và messo lo Spirito Santo £ 030 Più all’ingiù fatto dodeci teste di Cherubini di grandezza d’un piede liprandi cad.o et attorniati di nuvoli £ 030 Più haver fatto alle dodeci finestre ornam.t com’anco alli sguanciati £ 045 Più una Cornice che distingue le finestre dal splendore £ 015 Più dato il colore dalle finestre sino alla volta di pietra £ 15 Carlo Giuseppe Cortella Pittore £ 135 […]” (cfr. fig. 3) Mandato di pagamento al pittore C.G. Cortella datato 3 settembre 1682, f. 258 verso, particolare (fig. 4).

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Dalla nota emerge inoltre un particolare singolare secondo cui il misuratore Gaspare Ferrero, “fatta la dovuta considerazione”, liquida la parcella al pittore riducendola a £ 90, a fronte delle £ 135 richieste. Ma l’elemento di maggior rilevanza che emerge dal documento è la testimonianza diretta della presenza di Guarini all’epoca in cui si stavano ultimando le parti sommitali della Cappella, e questo conferma che tutta l’edificazione della Cappella è avvenuta secondo un progetto unitario sotto la sua regia e le sue direttive. Nel documento si legge infatti “[…] il Pittore Carlo Giuseppe Cortella d’ordine del m.° Revdo Padre Guerino Ing.re di S.A.R. della Capella del Santissimo Sudario ha dipinto la volta o sia Lanternino soura la gran cupola del San.mo Sudario […]” (cfr. fig. 4).

Il cupolino nella fabbrica della Cappella del Santissimo Sudario

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L’intervento di Cortella ha interessato nello specifico tutta la superficie intonacata della calotta, a partire dalla quota della cornice lapidea in cui convergevano le 12 punte della stella lapidea, che ritroviamo descritta come “[…] dato il colore dalle finestre sino alla volta di pietra”, per salire alle decorazioni che incorniciavano le dodici finestre ovali compresi i loro sguinci “[…] haver fatto alle dodeci finestre ornam.ti con anco alli squarciati, più una cornice che distingue le finestre dal splendore”, sino al soprastante giro delle sei coppie di cherubini “[…] fatto dodeci teste di cherubini di grandezza d’un piede liprandi cad.° et attorniati di nuvoli” e terminare nel cielo con nuvole nella calotta sommitale che concludeva e incorniciava definitivamente lo “splendore con raggi” al cui centro spiccava la colomba dello Spirito Santo. Il contributo di Guarini è dunque andato ben oltre la risposta funzionale ai temi prefissati attorno ai quali si è incentrata la storia della Cappella, apportando uno straordinario valore aggiunto nell’impatto visivo prospettico dal Duomo, nella coinvolgente sensibilità emotiva della sequenza di spazi giustapposti e nella interpretazione narrativa e simbolica della Passione di Cristo. L’intervento di restauro del cupolino affrescato e la ricostruzione della raggiera lignea dorata con al centro la scultura raffigurante la colomba dello Spirito Santo ha operato all’interno del più complessivo intervento di completamento del restauro della Cappella della Sindone, in maniera pienamente coerente agli indirizzi e agli orientamenti adottati nell’ambito di quest’ultimo, riscoprendo, con grande sorpresa e soddisfazione, la cromia originale degli intonaci del lanternino sui toni del grigio chiaro, in perfetta armonia con le cromie del marmo bigio di Frabosa impiegato da Guarino Guarini nei sottostanti registri della Cappella della Sindone.

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Nella pagina a fronte Torino, Cappella della Sindone, Cupolino, particolare dei dipinti murali restaurati.

Il cupolino nella fabbrica della Cappella del Santissimo Sudario

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il Cupolino Giacomo Affenita

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ttuato dalla Consulta di Torino, l’intervento inaugura ufficialmente i lavori che hanno portato al completo recupero del capolavoro di Guarini.

Torino, Cappella della Sindone, Cupolino dopo l’intervento di restauro.

Il grande cantiere di restauro della Cappella della Sindone taglia il suo primo traguardo: grazie a un intervento della Consulta di Torino, dallo scorso 24 gennaio il Cupolino è tornato all’originario splendore. Il restauro, che ha impegnato architetti e tecnici per circa un mese e mezzo, ha interessato la parte sommitale della struttura secentesca (un ambiente raccolto ma non piccolo, considerando una superficie murale di 115 metri quadrati), concepita dal genio di Guarini come una sorta di “camera di luce”, verso cui lo sguardo doveva essere irresistibilmente attratto, aiutato anche dal contrasto con i marmi neri delle architetture sottostanti, che hanno il loro fulcro nella stella lapidea. Proprio in questo spazio – come in un cannocchiale prospettico che sposti ogni volta più a fondo l’attenzione dell’occhio – Guarini aveva posizionato un magnifico “capriccio” barocco: una sontuosa raggiera lignea, al cui centro si librava la colomba dello Spirito Santo.

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Situazione prima del restauro Naturalmente niente di tutto ciò sopravvisse al disastroso incendio dell’aprile del 1997, punto cruciale nella storia della Cappella, ed evento a cui bisogna tornare per capire quanti e quali sforzi richieda qualsiasi opera di restauro in tale contesto. L’incendio trasformò il Cupolino nella “bocca di fuoco” di quell’enorme camino che era diventata la Cappella della Sindone, e l’effetto fu reso ancora più devastante dalla cera protettiva che era stata appena stesa sui marmi, e che si rivelò un combustibile perfetto per cuocere le pareti e incenerire ogni elemento. Al fuoco che aveva arricciato la tinteggiatura dei muri e distrutto la raggiera si erano poi aggiunte le rovinose conseguenze dovute all’acqua di spegnimento, che lassù, a contatto con le altissime temperature, esplose evaporando all’istante, con il risultato che il vapore fissò lo sporco sui muri, quasi impastandolo agli intonaci. Il Cupolino era dunque un tema complesso. Al di là dei danni, anche per il fatto che dei precedenti interventi di restauro (oltre a quello del 1996-1997, altri vennero eseguiti già nell’Ottocento) la documentazione è molto carente. Restano soltanto poche fotografie di cantiere realizzate poco prima dell’incendio.

congruo per progettare e ridisegnare filologicamente la raggiera, e infine l’apertura di un primo cantiere-pilota nell’estate del 2017, allo scopo di condurre la prima serie di saggi e prendere le misure. Le ricerche hanno dato esiti interessanti e nuovi. Si è scoperto infatti che il Cupolino fu il frutto di due specifiche competenze che lavorarono di concerto: quella architettonica di Guarino Guarini e quella scenografica di Carlo Giuseppe Cortella, esperto di apparati scenici che alla corte dei Savoia si occupava dei grandi eventi dinastici quali feste, matrimoni, esequie. Una partnership efficace, che permise di trasformare il Cupolino nel fulcro della Cappella: grazie a un sapiente gioco di proporzioni è un punto che può essere osservato con facilità da molteplici angolazioni e diventa un “fuoco” della vista anche a grande distanza. I colori ritrovati, un risultato inedito Eseguito dal laboratorio di Barbara Rinetti, il restauro dei dipinti murali ha dovuto affrontare problemi creati anche da precedenti interventi conservativi. In particolare, una scialbatura molto coprente effettuata probabilmente nell’Ottocento: su tutta la superficie venne steso uno strato di scialbo tinteggiato con un color ocra intenso. Questo strato fu poi rimosso, ma solo in parte, durante il restauro del 1996-1997, quando le operazioni di pulitura scoprirono tracce di decorazioni secentesche. Dalle poche testimonianze rimaste si nota però che il risultato finale fu incerto: i colori furono in generale molto travisati, con cieli azzurri e una teoria di angeli in un contesto dove il rosso-ocra restava predominante. Con il nuovo restauro si è pulito tutto, eliminando a bisturi la carbonatazione del fuoco, lo scialbo otto-

Fasi preliminari Per gli architetti Maurizio e Chiara Momo – che hanno redatto il progetto di restauro e diretto i lavori del cantiere – è stata quindi una sfida su più fronti. Tanto più che la linea operativa indicata dagli Enti di tutela per l’intera Cappella della Sindone è quella di restaurare com’era e dov’era. È stata necessaria perciò una lunga fase preliminare: mesi di studio e di ricerca negli archivi, un tempo

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IL Cupolino

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centesco (ancora assai presente) e anche i ritocchi dell’ultima fase. “Ora – spiega l’architetto Chiara Momo – abbiamo finalmente ritrovato i colori originali: è uscito un cielo nuvoloso, in tempesta, ma tutto giocato sui toni del grigio. E sono tornate le gamme del grigio e del bruno, e i colpi di luce del bianco. I colori tipici della cultura dell’epoca, perché nel Seicento non venivano utilizzati i colori caldi, e persino i toni del bruno e del mattone erano sempre virati verso tinte più fredde. Si tratta, inoltre, di colori assolutamente coerenti con l’architettura, in pietra e marmo, che si sviluppa al di sotto”. L’esito di oggi – totalmente inedito – ci restituisce un Cupolino luminoso su cui spiccano, con effetto teatrale, le coppie dei putti secenteschi dipinte da Cortella. Completano l’impianto pittorico le decorazioni delle finestre che, con estrema raffinatezza, ripropongono gli stessi motivi a riccioli presenti più in basso nelle finestre reali.

Chiaro come, in assenza di disegni o di modelli ad eccezione della documentazione fotografica di prima dell’incendio, sia stato particolarmente difficile ricostruire questo manufatto, al quale si è dedicato, forte di una vasta e sicura competenza storica, l’architetto Maurizio Momo. Dopo una fase di studio e di disegno è stato interpellato un fabbro per la costruzione della sinusoide in ferro; su questa, successivamente, sono state assemblate le parti lignee. Realizzate in legno leggero (abete), le bacchette sono state montate gradualmente, ampliando la raggiera sin quasi alle pareti del Cupolino, giungendo così a un effetto completo. Ultima ad essere collocata la colomba dello Spirito Santo, che è stata ricostruita in legno, quindi gessata e verniciata, e infine argentata a foglia secondo la tecnica tradizionale. Tutto questo nel rigoroso rispetto delle normative di sicurezza, che esigono l’utilizzo di materiali ignifughi, e cercando di ottenere un oggetto il più leggero possibile. Oggi, come per il modello antico, la raggiera viene sostenuta dai 43 pendini storici, che rappresentano gli ultimi elementi sopravvissuti dell’apparato originale. Accanto al motivo squisitamente architettonico, si potrebbe infine approfondire il discorso della simbologia religiosa, che per i progettisti del passato, come nel caso del padre teatino Guarino Guarini, non poteva essere disgiunto dalle capacità tecniche. Come in tutta la Cappella della Sindone, anche nella raggiera si cela un coerente pensiero simbolico, legato al tema della Trinità e al ricorrere del numero tre. Uno spunto fertile, da cui potranno partire gli studi per future indagini su storia, architettura e cultura religiosa.

La raggiera: perfetta ricostruzione di un manufatto barocco Il tema più complicato dell’intervento è stato senz’altro la riproposizione della raggiera lignea, ricostruita integralmente sui pendini originali rimasti sul posto. Si tratta di un oggetto scenografico di tutto rispetto, dalla larghezza massima di 4 metri, composto da tre raggiere sovrapposte e formato in tutto da 228 bacchette di misure diverse, divise in gruppi di 4 o 7. Ma non è tutto. Si sapeva anche che questa “macchina barocca” era stata inventata per trasmettere, guardandola dal basso, la sensazione della tridimensionalità: una sorta di effetto “pop-up” creato dalle differenti inclinazioni delle tre raggiere, una delle quali costruita su una sinusoide.

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IL Cupolino

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l’intervento di restauro Chiara Momo

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Torino, Cappella della Sindone, Cupolino, scorcio dei dipinti murali restaurati e della raggiera con la colomba dopo il montaggio.

l cantiere di restauro dei dipinti murali e della raggiera del cupolino della Cappella della Sindone, come previsto al tempo del nostro incarico, si è svolto in tempi molto rapidi - circa un mese e mezzo a cavallo delle festività natalizie - perché all’interno di un cantiere estremamente più articolato per tipologia e durata. È stato quindi necessario un preliminare e quanto più approfondito possibile lavoro di studio e di conoscenza propedeutico alla redazione del progetto di restauro. Da un lato sono stati rivisti, con attenzione mirata alla parte sommitale della cupola, i documenti di archivio e i numerosi e autorevoli studi dedicati all’architettura della cappella, individuando con chiarezza i progettisti ed esecutori di questa specifica porzione, dall’altro si è posta una attenzione specifica alla materia su cui si sarebbe operato, coinvolta da vicende non ancora del tutto indagate su vari fronti. A partire dal restauro realizzato negli anni Novanta del Novecento che aveva riportato alla luce una parte dell’apparato decorativo coperto da uno scialbo color ocra solo parzialmente asportato, intervento mai presentato al pubblico perché parte del restauro della

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Nella pagina a fronte Sezione del cupolino con l’inserimento del progetto della raggiera.

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cappella quasi ultimato e interrotto dall’incendio del 1997 e con una documentazione estremamente lacunosa dovuta chiaramente al succedersi degli eventi, ma di fondamentale importanza per la comprensione, e, attraverso la documentazione fotografica, per la visualizzazione del cupolino e dei suoi manufatti nel succedersi degli interventi, prima e dopo l’incendio e nei venti anni successivi. Successivamente, quando nell’estate 2017 il ponteggio ci ha permesso di “avvicinarci” al culmine della cupola, è stata realizzata una complessa fase conoscitiva sulla materia costitutiva dei dipinti murali tramite saggi stratigrafici, analisi fisico-chimiche di laboratorio per la composizione degli strati originali e delle sovrammissioni unitamente ad una indagine termografica che ha evidenziato in particolare l’alterazione dei pigmenti superficiali, la successione degli strati con la presenza della stesura originale grigia, dello scialbo ocra e dell’intervento novecentesco e i diversi fenomeni di coesione. Contestualmente l’indagine metrico-dimensionale – anche se complicata dalla presenza della massa dei pendini, da conservare con religiosa attenzione – ci ha permesso di ricostruire l’effettivo tracciato della muratura costitutiva del cupolino e della sua finitura, evidenziando una totale coerenza tra i tracciati geometrici dei 24 raggi della stella lapidea chiusi all’interno dei profili circolari delle cornici, le dodici finestre ovoidali del cupolino e la macchina della raggiera dorata, nonchè l’esatta posizione dei pendini rimasti in loco. Questo a dimostrazione, come riportato dalle fonti documentarie, di un progetto unitario realizzato in una unica fase o in fasi strettamente successive quando ancora Guarini era presente in cantiere.

l’intervento di restauro

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Infatti il mandato di pagamento del 1682 a favore del pittore Carlo Giuseppe Cortella specifica che lo stesso “d’ordine del” molto reverendo “Padre Guerino Ingegniere di S.A.R. ha dipinto la volta o sia Lanternino souvra la gran cupola del Santissimo Sudario”. Il documento continua descrivendo nei particolari la tipologia dell’intervento “con averli fatti un splendore con raggi ove si è posto lo Spirito Santo attorniati di nuvole con teste di dodici Cherubini…”. I dipinti murali del cupolino si articolano indicativamente in tre fasce decorative: una fascia di decorazione di tipo architettonico, con cornici e volute intorno alle dodici finestre ovali, una fascia decorata con cielo e nuvole e sei coppie di cherubini e la parte sommitale della calotta quasi monocroma. La lettura dei dipinti murali risultava compromessa. L’esposizione al fuoco e all’acqua di spegnimento in modo dinamico e quindi non omogeneo si erano abbattute sulle superfici e rendevano evidenti diverse zone annerite e buona parte dei pigmenti che avevano subito irreversibili alterazioni cromatiche: in particolare sono emersi la presenza di particelle di piombo e di annerimenti forse dovute all’alterazione del cinabro nella porzione di volta. La decorazione intorno alle finestre presentava una forte dominante rossa, non omogenea, per la trasformazione, conseguente all’incendio, degli ossidi di ferro costitutivi dei pigmenti utilizzati nel restauro novecentesco. In particolare negli sguinci delle finestre, i cui serramenti sono andati distrutti nell’incendio e sono stati collocati recentemente, erano presenti numerose stuccature incongrue con estesi rifacimenti di malta con fessurazioni ed erosione della malta stessa unitamente al sollevamento degli strati superficiali di colore.

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Nella pagina a fronte Vista del Cupolino restaurato attraverso la stella-sole lapidea che chiude la sommità della cupola.


La raggiera durante l’assemblaggio in loco dei diversi elementi.

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penetrato nelle porosità dell’intonaco, quindi sono state sigillate le fessurazioni e consolidati gli strati dell’affresco, rimosse le stuccature incongrue e risarcite le cavillature e le lacune. Infine alcune alterazioni cromatiche irreversibili sono state equilibrate ad acquerello così come le lacune. Lo “splendore con raggi” ossia la macchina della raggiera risultava composta da una vera e propria armatura in ferro costituita da ben 42 pendini e da altrettante staffe distanziali che avevano la funzione di sostenere le parti lignee del manufatto: il sostegno cilindrico centrale e le bacchette delle tre raggiere sovrapposte. L’incendio ha ovviamente bruciato le parti lignee del manufatto lasciando completamente in sito, anche se in parte distorti e instabili nell’ancoraggio, i pendini. Si è salvato anche un numero rilevante di staffe distanziali a cui stavano appesi chiodi ritorti usati per il sostegno delle bacchette dei raggi e anche fili di ferro, testimonianza di antichi interventi di adeguamento. Questa armatura, restaurata e resa funzionale, è diventata struttura portante della parte lignea riproposta e ha permesso la reintegrazione delle parti mancanti con una notevolissima approssimazione. “Lo splendore con raggi” oggi realizzato è pertanto costituito da un sostegno centrale cilindrico in acciaio zincato e verniciato da cui si staccano tre raggiere in bacchette di legno ignifugato e dorato di dimensioni diversificate poste su tre piani sovrapposti e diversamente inclinati. Questo per conferire profondità al manufatto e permettere alla luce di esaltare il tracciato dei singoli raggi. Il sostegno centrale cilindrico, ancorato alla muratura della volta tramite sei pendini in ferro battuto, porta la raggiera superiore mentre l’intermedia è appoggia-

Una fitta rete di crepe, fessurazioni e cavillature interessava sia la porzione della calotta sia le decorazioni intorno alle aperture, con estesi distacchi di pellicola pittorica e intonachino. L’intervento realizzato, in completo accordo con gli Enti di Tutela, si è posto come obiettivo prioritario la conservazione fisica di tutta la materia esistente mediante la definizione di metodi conservativi non invasivi per la protezione dell’integrità dell’opera, assicurandone una adeguata conservazione nel tempo. Particolarmente complesse sono state le operazioni volte al recupero delle cromie originali attraverso un sistema di puliture selettive e diversificate. Mediante rimozione meccanica a bisturi e tramite impacchi sono stati eliminati gli strati sovrammessi e lo sporco

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ta alla superficie circolare del cilindro. La raggiera inferiore è ancorata alla corona circolare inserita sull’estradosso del supporto cilindrico. La raggiera superiore, che ha un diametro superiore ai quattro metri e in molti punti è quasi tangente alla muratura dell’ellissoide, è costituita da 12 raggi singoli divergenti dal sostegno centrale cilindrico e tra di loro distanziati con una scansione angolare di 30 gradi. La raggiera intermedia presenta un andamento simile a quella superiore ed è costituita sempre da 12 raggi dotati di quattro bacchette divergenti dal sostegno cilindrico. La raggiera sinusoidale inferiore è costituita come le precedenti da 12 raggi uguali con bacchette di lunghezza diversificata posate senza soluzione di continuità, secondo lo schema tipico dell’ostensorio. Al centro della raggiera è collocata la mostra costituita da uno sfondato circolare che fa da sfondo alla colomba dello Spirito Santo, da cui si staccano le bacchette divergenti della raggiera. La colomba, riproposta secondo la tecnica antica, è stata realizzata dall’architetto Gianfranco Vinardi in legno, poi gessata e argentata a foglia ed è stata appesa al pendino storico ancora in sito e assicurata alla lunga vite in ferro battuto che in origine sosteneva il volo della colomba seicentesca. Il cupolino della Cappella della Sindone costituisce il nodo conclusivo del grande invaso della cappella e si inserisce nella parte sommitale della cupola costituita dalle sei file di archi sovrapposti e dalla stella lapidea che penetra nella calotta ellissoidale della lanterna. La calotta alla base, proprio in corrispondenza dei raggi della stella, è forata da dodici finestre ovali, costruite fortemente ravvicinate da Guarini proprio per illuminare la superficie su cui si staglia la stella lapidea che chiude l’impalcatura traforata della volta. Al

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di sopra la luce è più diffusa e illumina il giro pittorico dei cherubini di Carlo Giuseppe Cortella e quasi radente colpisce la raggiera dorata che fa da sfondo alla colomba dello Spirito Santo Il risultato, alla conclusione dei lavori, è una forte e diffusa luminosità che investe a distanza diversificata i raggi lapidei e il profilo circolare della cornice della stella e poi, sullo sfondo rende immateriale la grande raggiera dorata, disposta su tre livelli e il volo della colomba.

SCHEDA TECNICA Barbara Rinetti

Si è concluso il restauro del cupolino della Cappella della Sindone che costituisce la parte sommitale della Cappella, incastonato nella stella di marmo che lo incornicia e ne fa risaltare l’apparato decorativo. Proprio la sua posizione elevata ha favorito “l’effetto camino” che ha contribuito al forte degrado generato dall’incendio del 1997. La raggiera in legno dorato che illuminava la cupola è andata completamente distrutta e i dipinti murali hanno subito gravi danneggiamenti: le elevate temperature e l’azione diretta del fuoco hanno provocato la perdita di materiale costitutivo e di pellicola pittorica con l’apertura di una fitta rete di cavillature. I pigmenti hanno subito alterazioni in un alcuni casi irreversibili. L’intervento di restauro è stato complesso e articolato: le delicate superfici sono state trattate con metodi

l’intervento di restauro

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Nella pagina a fronte Cupolino, particolare dei dipinti murali restaurati e della raggiera con la colomba, ricostruite.

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innovativi in grado di estrarre i depositi sovrammessi e penetrati all’interno della porosità degli intonaci senza ledere la pellicola pittorica e senza utilizzo di acqua: sono stati rimossi i depositi di nero fumo, le alterazioni rossastre e le ridipinture imputabili ai restauri precedenti. La pulitura ha riportato alla luce le sfumature cromatiche del cielo con le fitte nubi vibranti nei toni grigio occultate da pesanti sovrammissioni. Le coppie di cherubini hanno ritrovato il loro originario aspetto monocromo che li rende simili ad eleganti stucchi tipicamente secenteschi come la finta architettura che circonda le 12 finestre ovali. La decorazione è realizzata con pennellate fluenti e dinamiche, chiaroscuri giocati sui contrasti di tono per creare profondità e volume alle figure in un insieme mirabilmente scenografico. L’integrazione cromatica delle estese lacune e abrasioni è stata realizzata in modo puntuale nel rispetto delle coloriture originali recuperate dopo la pulitura. Con l’inserimento della nuova raggiera dorata il cupolino ha riacquistato la luminosità, le cromie e i volumi originali tornando ad essere il degno coronamento di questo straordinario esempio di architettura guariniana.

l’intervento di restauro

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L’arte contemporanea e la Sindone Pietre Preziose di Giulio Paolini Mario Verdun di Cantogno

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Giulio Paolini, Pietre Preziose nel Boschetto di Paolo Pejrone, Torino, Giardini Reali, 2017.

el tardo autunno 2014 alcuni rappresentanti di Consulta ebbero la gradita opportunità di visitare il cantiere di restauro della Cappella della Sindone. Al termine della visita una sorprendente visione attirò la nostra attenzione. Una scura colonna, leggermente ferita, giaceva a terra in posizione innaturale accanto ad un informe insieme di variegati frammenti di lesene scanalate. Come Consulta stavamo avviando in quel periodo il progetto di riqualificazione del Boschetto nei Giardini Reali, in collaborazione con il socio Reale Mutua, e sorse spontaneo il desiderio di individuare il modo di salvaguardare, da una possibile perdita, questa diretta testimonianza del drammatico evento distruttivo della Cappella. Dalla metà degli anni Sessanta conoscevo ed apprezzavo l’opera di un allora giovane artista esordiente, Giulio Paolini, e di fronte a questi frantumati reperti lapidei mi comparve nitido nella memora visiva, inspiegabilmente dopo tanti anni, un suo lavoro del 1978, Selinunte II. Un tronco di colonna scanalata si ergeva su di un trasparente basamento cosparso di sparsi frammenti,

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Colonna e frammenti lapidei provenienti dalla Cappella della Sindone. Giulio Paolini, Selinunte II, 1978.

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forse provenienti dalla frattura della colonna stessa. Il primo pensiero, conseguente a questa situazione di analogia concettuale, mi portò a riflettere: chi meglio di Paolini avrebbe potuto dare un significativo contributo di memoria ai reperti lapidei della Cappella sindonica? Presentammo al Comitato Direttivo di Consulta l’ipotesi di coinvolgere l’artista nel progetto del Boschetto ed ebbi l’incarico di verificare la sua disponibilità a collaborare con noi nel definire un’installazione artistica che traesse ispirazione da quanto era avvenuto e ne perpetuasse la memoria. Pur apprezzando l’invito di Consulta, Paolini per un lungo periodo del 2015 fece garbata resistenza, per motivi personali, alle mie sollecitazioni di accettare l’incarico finchè, in occasione di uno scambio di lettere e di un proficuo incontro, nel marzo 2016 mi svelò di essere stato molto colpito dall’evento distruttivo e di aver superato l’iniziale ritrosia maturando un primo pensiero concettuale. Il mio commento fu: “mi pare che il teatro della memoria da te concepito, calato in un arcadico boschetto, possa ben prendere corpo in un chiaro progetto: un candido basamento cosparso di frammenti e colonna, attorno ad un pensoso personaggio, coinvolge emotivamente i visitatori in una malinconica esperienza della drammatica rovina…”. Prese così forma l’intuizione di far diventare “preziose” le “pietre” sindoniche proprio attraverso il superamento della contraddizione in termini, come dice Paolini: “queste pietre non sono preziose, prezioso è l’intento che le aveva prodotte e collocate e anche la configurazione che oggi viene loro restituita”. Da quel momento prese avvio un lungo iter di aspetti amministrativi e procedurali: progettazione attraver-

L’arte contemporanea e la Sindone Pietre Preziose di Giulio Paolini

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Giulio Paolini e Mario Verdun davanti al bozzetto dell’installazione artistica Pietre Preziose.

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so modellini con prove fisiche di collocazione degli oggetti, disegni digitali del basamento intarsiato di segni neri evocativi delle geometrie della cupola guariniana su di un fondo di granito bianco, verifiche di fattibilità tecnica ed economica, modalità per l’allontanamento temporaneo dal sito di origine dei reperti lapidei e così via. Tutto ciò che portò nell’autunno 2017 alla realizzazione presso la ditta Catella Marmi di un grande modello in scala al vero dove l’artista definì le reciproche posizioni della colonna e dei frammenti di varia dimensione; si

Nella pagina a fronte Giulio Paolini, Pietre Preziose, particolare, nel Boschetto di Paolo Pejrone, Torino, Giardini Reali, 2017.

L’arte contemporanea e la Sindone: Pietre Preziose di Giulio Paolini

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Nella pagina a fronte Giulio Paolini, Pietre Preziose, nel Boschetto di Paolo Pejrone, Torino, Giardini Reali, 2017.

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passò al rilievo dei perni di fissaggio e successivamente allo smontaggio programmato, al trasporto in opera ed al riposizionamento fisico della composizione. Nello stesso periodo stava prendendo corpo il progetto dell’architetto Paolo Pejrone per la riqualificazione del Boschetto sopra citato. Un’ampia scacchiera, guidata dalla preesistenza di vecchie alberate tipiche dei rigorosi giardini di corte, si apriva improvvisamente in uno spazio centrale quadrato dove trovava perfetta collocazione l’allestimento artistico incentrato sul grande cerchio di granito ricoperto di frammenti di colonne. Il suggello di tutta l’operazione fu magistralmente riassunto nel bellissimo, anche per la sua concisione, testo di Giulio Paolini. “Qualcuno (l’autore) si trova qui, secoli dopo, a constatare un’architettura in rovina, frammenti caduti e distolti dalla loro collocazione originaria. Noi (spettatori) assistiamo così alla ‘natura morta’ costituita dai resti marmorei della cupola gravemente danneggiata nell’incendio del 1997. È da allora che il cielo ci guarda dall’alto, attraverso il vuoto di quella voragine ora restaurata”.

L’arte contemporanea e la Sindone Pietre Preziose di Giulio Paolini

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conclusioni

Torino, Cappella della Sindone, Cupolino dopo l’intervento di restauro.

Torino, come ogni città, porta scritta nel fitto intreccio di vie, nell’ombra dei portici, nella luce improvvisa delle piazze la propria lunga storia, una storia di paziente e geometrica costruzione, voluta da popolazioni diverse e segnata da tappe essenziali, ciascuna legata ad un segno monumentale preciso. Nel quadrante nord-orientale, il cui taglio asimmetrico assecondava l’intreccio dei fiumi, a svettare sulle torri di Augusta Taurinorum, sulla facciata levigata del Duomo é dalla fine del XVII secolo l’alta cupola della Cappella della Sindone. Protagonista da allora di ogni veduta urbana, con il suo vertiginoso ascendere, quasi un preludio alle più tarde audacie antonelliane, la cupola corona uno spazio segreto, attentamente studiato per valere da cerniera tra il Palazzo Reale ed il Duomo ed essere uno scrigno eloquente per la reliquia che i Savoia avevano voluto traslare a Torino. Uno spazio voluto per esibire, ed ancora più per custodire la Sindone, in un luogo in cui fosse “sicura dai pericoli del fuoco” che già in passato l’avevano ripetutamente minacciata. Raccolto e privato, segregato rispetto al Duomo e tuttavia rivelato a chiunque si avvicinasse alla città grazie alla

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estrosa architettura guariniana, atta a divenire segno e simbolo del potere dinastico. La forma complessa, il linguaggio formale coerente ed il virtuosistico inserimento nei due corpi imponenti del Palazzo e del Duomo sono rimasti per secoli intatti, preservati dalla solennità della funzione; uniche trasformazioni quelle del XIX secolo: la costruzione della grande vetrata, a separare e risparmiare dal gelo invernale lo spazio officiato del Duomo e l’inserimento dei quattro monumenti marmorei. Pochi i restauri, solo nel corso del Novecento; pochi i danni causati dalle guerre e dagli assedi, o dagli spezzoni e dalle bombe incendiarie del secondo conflitto mondiale, che pure devastarono il vicino Palazzo dei Duchi di Genova. Poi, l’incendio. Un incendio violento che ha stravolto e cancellato un luogo fino ad allora sacro ed inviolato; tanto più brutale, perché coincidente con un gesto di cura, un restauro meditato e impegnativo, pressoché concluso. Con lo spegnersi dei bagliori delle fiamme, si è aperto per la Cappella della Sindone un lungo periodo d’ombra, un periodo che è durato vent’anni, denso di studi, pensieri, ricerche ed azioni che tuttavia sono rimaste silenti e smorzate, quasi incapaci di emergere dalla dimensione prevalente, quella della catastrofe e della distruzione. Come ogni evento traumatico, anche l’incendio della Cappella ha imposto la necessità di riflettere: sulle modalità di salvaguardia e rafforzamento di quanto era rimasto, sulla continuità o discontinuità delle forme da riproporre, sui materiali da scegliere, sulle misure di prevenzione e messa in sicurezza da attuare. I ponteggi che hanno avvolto da allora la cupola gua-

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riniana sono divenuti parte del paesaggio urbano: la loro geometria grezza e semplice, che esprime il messaggio ordinario della costruzione e manutenzione, si è sostituita allo svettare nitido e simbolico della cupola. Nel tempo, ne hanno quasi cancellato l’immagine e il ricordo. All’interno del Duomo, lo stesso ruolo è spettato al grande scudo, alzato dietro l’altare per dividere e rendere sicuro lo spazio destinato al culto rispetto a quello destinato al cantiere; alto e ferreo, sebbene raffigurante l’immagine bidimensionale della cappella, l’ha di fatto negata, alterando la luminosità e la prospettiva dello spazio interno. Ed allo stesso modo in Palazzo Reale, è rimasta sbarrata da allora la Porta Reale, quella che consente l’ingresso all’interno della Cappella dalla Galleria di ponente. Guardando a ritroso ai vent’anni intensi di ricostruzione della Cappella, i temi che appaiono dominanti sono quello dell’oblio e quello della memoria, temi che sempre accompagnano i processi di recupero delle grandi distruzioni e che sono intimamente connessi, tanto che, secondo Jorge Louis Borges, l’oblio è solo una forma della memoria, un suo luogo sotterraneo “su vago sòtano”. Così, paradossalmente, da un lato si sono impostati processi di restauro fortemente improntati al recupero della memoria, alla riproposizione e ricostruzione concreta dell’immagine della Cappella ricca di ogni elemento materiale e simbolico che l’aveva composta e consolidata; in quest’ottica, ad esempio, la scelta – impegnativa e quasi ardua – di ritrovare per integrare le componenti lapidee dematerializzate dalle fiamme quello stesso marmo di Frabosa “nigro e finissimo” impiegato nel cantiere secentesco, proveniente da cave chiuse e perdute.

CONCLUSIONI

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D’altro lato, in città la memoria della Cappella si è stemperata: un’intera giovane generazione non vi è mai entrata, non ne ha conosciuto il volume arioso, il ritmo solenne ed audace della costruzione. Quattro successive Ostensioni (1998, 2000, 2010, 2015) hanno avuto luogo in Duomo, senza poter coinvolgere lo spazio sacro voluto dai sovrani sabaudi proprio per “maggiore commodità di partecipare al popolo gli indulti”; il legame forte tra la città e la sua reliquia, privo del luogo sorto per celebrarne la presenza, risulta allentato e perduto. Il processo di restauro, di cui alcune parti sono state descritte in questo volume, non è stato quindi un atto di pura conservazione della materia, ma anche un’azione di restituzione della memoria, trovando in questo molti elementi di contatto con i processi di ricostruzione dei luoghi colpiti dal sisma. Né avrebbe potuto essere diverso, poiché il patrimonio culturale non è composto soltanto da quanto è tangibile, ma è ricco di una dimensione intangibile di memorie e significati, fragili e vulnerabili quanto le murature di pietra e calce. Di qui l’importanza delle azioni promosse dalla Consulta, come descritte in questo volume. Azioni indirizzate a preservare e restituire la memoria della presenza sindonica, non solo a Torino, ma anche sul territorio. Con questo intento è stato garantito il sostegno ad un esteso progetto di riscoperta di quei percorsi che si snodano nelle valli montane, scanditi da cappelle e affreschi, a ricordare il lungo processo di avvicinamento della reliquia alla capitale; un gesto questo attento al fenomeno nascente dei cammini, in stretta relazione con la messa a valore del tratto di Via Francigena piemontese.

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Grazie alla mostra Tesori della Sindone, realizzata anche con il contributo della Consulta durante l’Ostensione del 2010, è stata offerta ai pellegrini ed ai molti visitatori del Palazzo Reale l’opportunità di apprezzare lo stretto legame tra il Palazzo, la corte e la cappella. E ancora, con l’intervento di restauro del Cupolino, che si è articolato perfettamente con i tempi della riabilitazione e del restauro della cupola, si è restituita l’immagine perfetta della cuspide luminosa che domina l’altare. Ma tra i tanti interventi, risalta l’ultimo: la commissione ad un artista di un’opera – allestita nei Giardini Reali, all’ombra della cupola – che potesse conservare e raccontare la memoria della distruzione, nella composizione casuale di alcuni dei frammenti marmorei dell’edificio incendiato sovrapposti al suo razionale e geometrico disegno. Azioni che, secondo la consuetudine dell’Associazione, hanno accompagnato la Soprintendenza nel lungo percorso di restauro con costante attenzione ed affetto. Ed è questa attitudine, più ancora della pur rilevante liberalità, che merita riconoscimento e gratitudine. Luisa Papotti Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Torino

CONCLUSIONI

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GLI INTERVENTI REALIZZATI DALLA CONSULTA DI TORINO PER LA SINDONE

2018 Cappella della Sindone, Cupolino Progetto e Direzione Lavori: Maurizio Momo, Chiara Momo con Silvia Leone Referente e collaboratrice al progetto per i Musei Reali: Marina Feroggio Coordinamento sicurezza: Giancarlo Gonnet Indagini e analisi: Gionatan Furnari Opere di restauro: Barbara Rinetti, con Elisabetta Gatti, Magda Canalis, Tommaso Pongolino, Enrico Viscione Ricostruzione raggiera e colomba: Marco Berrone (elementi in acciaio); Giovanni Tesio (elementi in legno); Gianfranco Vinardi (colomba) 2017 Giardini Reali, Boschetto e Pietre Preziose Progetto e Direzione Lavori Artistica: Paolo Pejrone Opera Pietre Preziose: Giulio Paolini Progetto e Direzione Lavori: Diego Giachello, Marco Gini, Michele Cirone, Officina delle Idee Progetto impianti elettrici e speciali: Corrado Angeloni Responsabile unico del procedimento: Gennaro Napoli Coordinamento interno al progetto: Barbara Vinardi, Sergio Fiorentino Coordinamento sicurezza: Gianfranco Vinardi Realizzazione e montaggio Pietre Preziose: Ditta Catella Fratelli con la supervisione di Mariano Boggia Fornitura e posa piante e arbusti: Armando Gardening dal 1955 2015 Museo Diocesano, mostra Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del Sacro Cura della mostra: Floriano De Santi, Direttore Archivio Umberto Mastroianni Progetto di allestimento: Maurizio Momo, Chiara Momo Allestimenti: Berrone Livio & C.; Elettro-Sì; Ilti Luce; Mario Accornero Coordinamento: Giuliana Valenza, Associazione Stars

2015 Museo Diocesano, mostra Il Compianto sul Cristo Morto, opera di Beato Angelico Cura della mostra: Monsignor Timothy Verdon, con Associazione Sant’Anselmo-Imago Veritatis Restauri: L’Officina del Restauro, Firenze; Relart, Firenze Progetto di allestimento: Maurizio Momo, Chiara Momo Allestimenti: Berrone Livio & C.; Elettro-Sì; Ilti Luce; Piermatteo Reviglio; Mario Accornero 2009 Chiesa Santo Sudario e Museo della Sindone, Facciate Progetto e Direzione Lavori: Mario Cicala Alta Sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte Coordinamento Sicurezza: Giuseppe Perfetto Opere edili: Co.ge.fa spa Opere di restauro: Ottaviano Conservazione e Restauro Opere d’Arte Coordinamento tecnico-organizzativo per gli interventi realizzati nel 2009 e 2015: Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri, Consulta Coordinamento tecnico-organizzativo per gli interventi realizzati nel 2017 e 2018: Mario Verdun di Cantogno, Angela Griseri, Davide Zannotti, Consulta


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