Stupinigi libro

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SETTECENTO A STUPINIGI · Nuovi orizzonti europei

Edizione limitata realizzata da Fondazione CRT fuori commercio

SETTECENTO A STUPINIGI Nuovi orizzonti europei


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SETTECENTO A STUPINIGI


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SETTECENTO A STUPINIGI Nuovi orizzonti europei a cura di Angela Griseri e Mario Verdun di Cantogno


La Fondazione CRT, in collaborazione con la Consulta di Torino, ha realizzato l’intervento di restauro conservativo degli apparati decorativi dell’Appartamento della Regina. Giovanni Zanetti, Commissario Cristiana Maccagno, Vice-commissario vicario

Supervisione tecnico scientifica Anna Maria Bava, Franco Gualano per la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Torino Progettazione e Direzione Lavori Maurizio Momo Chiara Momo Mario Verdun di Cantogno

Luisa Papotti, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Torino

Coordinamento sicurezza Roberto Baffert Direzione Operativa Barbara Rinetti

Antonio Maria Marocco, Presidente Massimo Lapucci, Segretario Generale

Coordinamento tecnico e organizzativo Consulta di Torino Mario Verdun di Cantogno Angela Griseri Davide Zannotti

Adriana Acutis, Presidente I Soci 2A Armando Testa Banca Fideuram Buffetti Burgo Group Buzzi Unicem C.L.N. Compagnia di San Paolo Costruzioni Generali Gilardi Deloitte & Touche Ersel Exor Fenera Holding Ferrero Fiat Chrysler Automobiles Fondazione CRT

Fotografie Archivio Ordine Mauriziano Fototeca Musei Civici Franco Gualano Laboratorio di Restauro e Analisi Persano Radelet Giacomo Lovera

Restauri Persano & Radelet Laboratorio di restauro e analisi Rinetti Barbara Restauro Opere d’Arte Tessili Antichi, Viterbo

Garosci Geodata Gruppo Ferrero-Presider Huntsman Intesa Sanpaolo Italgas Lavazza Martini & Rossi Megadyne M. Marsiaj & C. Reply Skf Reale Mutua Unione Industriale di Torino Vittoria Assicurazioni

Maurizio Momo Ernani Orcorte Polo Museale del Piemonte Barbara Rinetti Restauro Opere d’Arte Tessili Antichi Davide Zannotti

Ove non altrimenti specificato le fotografie sono di Davide Zannotti

Realizzazione editoriale Sagep Editori, Genova

Direzione editoriale Alessandro Avanzino Grafica Barbara Ottonello Impaginazione Fabrizio Fazzari, Barbara Ottonello Redazione Titti Motta Fotolito Grafiche G7, Savignone (Genova) Stampa Grafiche G7, Savignone (Genova) ISBN 978-88-6373-458-4


SOMMARIO

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PRESENTAZIONI

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STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO L’ARCADIA INTERNAZIONALE Andreina Griseri

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STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA RESTAURI E NUOVE PROPOSTE PER LA CELEBRAZIONE DI UNA RESIDENZA EUROPEA Anna Maria Bava, Franco Gualano

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STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME

Cristina Scalon 77

IL RESTAURO PER LA CONOSCENZA 1987-2009 Maurizio Momo

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MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA Mario Verdun di Cantogno

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UNA NUOVA STAGIONE DALLA RIAPERTURA DELLA PALAZZINA AGLI ULTIMI INTERVENTI Chiara Momo

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UNO SMAGLIANTE INTERNO JUVARRIANO IL RESTAURO DELL’APPARTAMENTO DELLA

REGINA

Anna Maria Bava, Franco Gualano 137

IL CANTIERE Chiara Momo

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LE TAPPEZZERIE IN OPERA. RESTAURO E RICOLLOCAZIONE Barbara De Dominicis

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RESTAURO DEGLI APPARATI DECORATIVI Galileo Persano e Thierry Radelet

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INTERVENTO DI RESTAURO DEI DIPINTI MURALI E STUCCHI Barbara Rinetti

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BIBLIOGRAFIA a cura di Angela Griseri


È

di grande rilievo questa nuova pubblicazione dedicata alle meraviglie di Stupinigi e all’impegno di esemplare filantropia privata cui si devono i suoi restauri, prossimi a restituire alla fruizione l’intero percorso settecentesco della museale Residenza. La Palazzina è presenza eminente nel Patrimonio Culturale Mauriziano non solo per fama e bellezza, ma anche per rilevanza e molteplicità delle sue componenti immateriali di conoscenza e di sviluppo e crescita delle utilità culturali e sociali rappresentate. Spetta ora alla Fondazione assicurarle, per successione dell’Ordine che vi ha provveduto – con alterne secolari vicende – sin dalla sua origine. Ci piace ricordare che il Territorio di Stupinigi è luogo-simbolo della storia mauriziana. Assegnato all’Ordine dal duca fondatore Emanuele Filiberto nel 1573, costituisce la prima dotazione per sostenere, grazie ai proventi delle sue terre, le funzioni di beneficenza e assistenza che all’Ordine erano riservate e che si svilupperanno fino alle soglie dei nostri giorni nelle eccellenze dell’attività ospedaliera. Acquisito il titolo regio dopo un secolo e mezzo e Torino divenuta città capitale, proprio quel Territorio è affidato da Vittorio Amedeo II alle cure del suo Juvarra perché vi inserisca nuovi percorsi di caccia per l’ospitalità reale. Intatte le terre, Stupinigi è così anche esempio straordinario di trasformazione architettonica dello spazio-paesaggio. Il genio dell’Architetto vi insedia il Monumento1, articolato nelle strutture funzionali agli esercizi venatori e alle attività produttive e negli edifici di loisir che gli armoniosi sviluppi di Alfieri, Bo e Prunotto condurranno alle attuali consistenze. Capolavoro delle Residenze sabaude, per singolarità e armonia dell’impianto complessivo, splendore e sapiente coerenza delle stanze e dei percorsi, delle decorazioni e degli arredi, Stupinigi è in questa monografia ancora una volta magistralmente celebrata, anzi poeticamente cantata, da Andreina Griseri, nella perfetta connessione con la funzione: «spazio qualificato per il mito, nutrimento del codice regale avvistato con una nuova struttura mentale, nucleo germinante del linguaggio architettonico». «Primato della bellezza», secondo il felice titolo del saggio di Anna Maria Bava e Franco Gualano, preziosi custodi negli anni della tutela dei beni e dei restauri, ma anche «celebrazione di una Residenza europea» che, grazie alla riconquistata visibilità, ha conseguito e si giova ormai di fama internazionale. Le pagine riservate a Cristina Scalon consentono non solo di ripercorrere le origini del Monumento e i suoi legami con l’Ordine, ma anche di dare contezza dei secolari fondi documentari affidati alle cure dell’autrice, responsabile dell’Archivio Storico Mauriziano che le raccoglie, e che costituisce in sé Tesoro mauriziano, nella fondamentale funzione di conservazione e attestazione delle memorie. Dalla penna acuta di Mario Verdun, si ha conoscenza della propensione verso le iniziative di mecenatismo culturale della società civile torinese, e della componente imprenditoriale in particolare, «consapevoli del fatto che i beni storico-artistici sono luoghi di identità attorno ai quali è possibile costruire un concetto nuovo e dinamico di cittadinanza». Iniziative che si concretano non solo a livello di episodico intervento finanziario, ma, grazie anche ad alcuni incoraggiamenti normativi, con la creazione di stabili strutture dedicate, a partire dalla metà |9


degli anni ottanta del secolo scorso, quali l’associazione Amici dell’Arte in Piemonte, e poi la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino. Su Stupinigi, si concentrerà specifico strumento di intervento, per accordo tra la Fiat, la Cassa di Risparmio di Torino e l’Ordine proprietario, con l’istituzione della Fondazione Palazzina Mauriziana, grazie alla quale, nonostante la mancata attuazione dell’accordo di programma del maggio 2002 con Regione Piemonte e MiBACT, sarà assicurata specifica continuità di interventi. Pur nelle difficoltà affrontate dall’Ente proprietario, si rivelerà così possibile la restituzione del bene alla pubblica fruizione sin dall’anno delle celebrazioni dell’Unità d’Italia e sarà incoraggiato (grazie al confluire degli altri importanti contributi, in particolare sinergia con Consulta) il compito di una gestione ancora straordinaria di promuovere e coltivare in autonomia un piano integrato di valorizzazione che vedrà riportata Stupinigi a dignità museale. Col sapiente impianto della curatela di Angela Griseri, il volume sviluppa ancora, nei saggi di Maurizio e di Chiara Momo, e con i dettagli dell’ultimo grande intervento, lo spessore culturale, l’importanza della ricerca specifica, la rilevanza e complessità di ciascun restauro, nel quadro del progetto museologico complessivo di questo esemplare cantiere, aggiungendo un fondamentale contributo alla funzione non solo espositiva e museale, ma anche di attestato delle esperienze del conservare, dall’accesso e coordinamento delle risorse, alle scelte estetiche e alle tecniche applicative che fanno di Stupinigi, nel generale riconoscimento, un caso esemplare. L’opera, nel suo complesso, ben testimonia dunque l’impegno conservativo fondamentale, che ha innescato e sostenuto il piano di valorizzazione ancora affidato a rappresentanza commissariale, con il mandato della restituzione dell’Ente a condizioni di ordinario governo e di stabilità di risorse per la continuità della gestione. Un risultato certo coerente con la riaffermazione non solo della natura pubblica della Fondazione proprietaria, ma anche della considerazione costituzionale della sua funzione, quale erede del secolare Ordine «in ragione – così il Consiglio di Stato in recente rescritto2 – della garanzia apprestata dalla XIV disposizione finale della Costituzione e della sussistenza di un preminente interesse pubblico generale… che nel caso di specie è rappresentato dalla salvaguardia del patrimonio storico, culturale e religioso di pertinenza sabauda, ereditato dallo Stato repubblicano». Un risultato nient’affatto scontato, nelle difficoltà che una sana politica culturale si trova di questi tempi ad affrontare, per chi del Patrimonio mauriziano nel suo complesso ha dovuto occuparsi a vario titolo lungo quasi un decennio. Fulminante, la profetica citazione con la quale sia apre il saggio di Andreina Griseri: «Si sa da sempre che la fortuna si accanisce ad esaltare e ad abbattere il merito degli uomini e stabilisce il prezzo delle loro qualità come fissa il prezzo della moneta»3. Speriamo. Giovanni Zanetti · Cristiana Maccagno Fondazione Ordine Mauriziano

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“Territorio, Monumento, Patrimonio” sono parole-chiave, labels di Stupinigi: così Carlo Olmo – componente, con Andreina Griseri, Isabella Massabò Ricci e con il coordinamento di Mario Verdun di Cantogno, del Comitato Scientifico della Fondazione Ordine Mauriziano – in un ormai risalente intervento (Fili, tracce e inganni: il territorio della Palazzina di Caccia di Stupinigi, Atti del convegno Le Cacce Reali nell’Europa dei Principi, Stupinigi-Venaria, 7-9 novembre 2012). 2 Consiglio di Stato, parere 00079/2016 del 21 gennaio 2106, reso su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel corso delle consultazioni per l’adozione di nuovo Schema di statuto della Fondazione proprietaria, predisposto dalla stessa rappresentanza commissariale e che ha ora incarico di recepirne le indicazioni. 3 Da F. de La Rochefoucauld, Massime, introduzione di G. Macchia, Rizzoli, Milano 1978.

L’

opera che la Fondazione CRT dedica alla Palazzina di Caccia di Stupinigi rappresenta un’occasione importante per fare il punto sul progredire costante dei lavori di restauro, che via via restituiscono all’uso e all’ammirazione dei visitatori gli appartamenti e i saloni, le pitture, le decorazioni e gli arredi, i viali ed i giardini. Si ricompone così la grandiosità della Palazzina, testimone dello stile di vita lieve, scandito da giochi, cacce, feste e teatri, che segna la metà del XVIII secolo ed al tempo stesso snodo e cerniera dell’emblematico disegno territoriale sabaudo. Le sale rinnovate raccontano l’evoluzione del progetto; affidato da Vittorio Amedeo II a Juvarra, matura intorno all’idea di un luogo di delizie, piccolo e adatto al gioco, al teatro, ad una vita di corte facile e raffinata. Già i primi schizzi, o pensieri, elegantissimi di Juvarra ne rivelano la perfezione, una perfezione che non si chiude in sé stessa, ma si riflette e si completa, nel giardino, nel parco, nella natura circostante, che le direttrici dell’architettura incidono con tracciati e rotte di caccia fino a sfiorare la città. Innumerevoli architetti, pittori, scultori operano poi a completare l’idea di Juvarra; ma nulla di quanto viene aggiunto cancella o smentisce la lievità e la forza dell’idea originaria, quella di una bagattella, un’architettura scherzosa, chiusa intorno ad un salone disegnato per essere un palcoscenico teatrale ed immersa in una scena naturale rigogliosa. In questa impostazione, nella storia della sua costruzione risiedono anche le ragioni della sua fragilità: il sommarsi dei corpi di fabbrica, l’utilizzo di materiali effimeri e scenografici, l’intreccio dei rivi che ne attraversano le fondazioni sono solo alcune della cause di un degrado che, da oltre un secolo, le Soprintendenze contrastano con continui e attenti interventi di restauro, operando a sostegno della proprietà, l’Ordine Mauriziano dapprima, quindi la Fondazione Ordine Mauriziano. Nell’arco di questi cento anni si sono susseguiti interventi di conservazione importanti e iniziative di promozione e valorizzazione, a partire dal consolidamento dei restauri di Alfredo d’Andrade e Cesare Bertea nel 1913 e dalla appassionata attività di Giovanni Chevalley e Augusto Telluccini, all’atto del passaggio nel 1919 dalla Casa Reale allo Stato. Se la cura e l’attenzione delle Soprintendenze non sono mai venute meno, dagli anni ottanta del secolo scorso è stato cruciale e prezioso il ruolo di altri attori, quali la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali, che hanno sostenuto ed attuato le fasi più recenti del processo di conservazione, testimoniate dai saggi di questo volume. Le sue pagine sono il documento vivo di un cantiere di restauro che procede di pari passo con un cantiere della conoscenza, fondamentale per il rilancio della Palazzina; costituiscono un punto di partenza importante per proseguire nel percorso che la restituirà al pubblico restaurata e fruibile, facendone nuovamente il fulcro del circuito di regge e palazzi che circondano Torino. Luisa Papotti Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Torino

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ecenate dell’arte e della cultura, la Fondazione CRT è da 25 anni al fianco delle realtà che rendono unico il patrimonio artistico del Piemonte e della Valle d’Aosta, qualificandosi come il principale sostenitore privato del grande progetto di valorizzazione della Palazzina di Caccia di Stupinigi: un gioiello del circuito delle Residenze sabaude, di straordinario valore storico-artistico. Abbiamo percorso un lungo cammino per preservare la bellezza di questa magnifica dimora, capolavoro architettonico di Filippo Juvarra: un cammino iniziato con la Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi, istituita nel 1987 tra l’Ordine Mauriziano, la Cassa di Risparmio di Torino e la Fiat. La settecentesca residenza sta tornando al suo originario splendore, grazie anche alla Fondazione CRT che, negli anni, ha sostenuto numerosi interventi: le Scuderie di Levante trasformate in nuovi spazi espositivi, il corpo centrale, le Gallerie di collegamento, le Scuderie di Ponente. Sono stati eseguiti imponenti lavori, non solo sul fronte del consolidamento statico, delle installazioni impiantistiche e dell’abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche per garantire la conservazione e la rinascita dell’intero complesso: dagli affreschi del Salone juvarriano alle strutture lignee, dalla riqualificazione dei giardini fino al restauro dei preziosi arredi. L’ultima tappa in ordine di tempo è stata la riapertura al pubblico dopo 13 anni dell’Appartamento della Regina, a conclusione di un complesso restauro conservativo interamente finanziato dalla Fondazione CRT e realizzato in collaborazione con la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino: ulteriore testimonianza di un comune impegno per il recupero e la promozione del patrimonio storico, artistico e culturale del territorio. Il restauro ha riguardato tutti gli apparati decorativi fissi, in particolare gli straordinari affreschi delle volte, le boiseries dipinte e dorate, le tappezzerie, i serramenti e i camini che, finalmente, sono tornati a svelarsi ai visitatori in tutta la loro magnificenza. Antonio Maria Marocco Presidente della Fondazione CRT

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opo 13 anni, grazie a 12.000 ore di lavoro, 450.000 euro donati dalla Fondazione CRT e il contributo della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, il 9 giugno 2016 riapre l’Appartamento della Regina della Palazzina di Caccia di Stupinigi. La notizia ha subito avuto una risonanza internazionale, ad attirare l’attenzione sono stati in particolare i notevoli affreschi di Van Loo nella Camera da letto della Regina. La Consulta, attiva dal 1987, è presente a Stupinigi fin dal 2007. La sua prima realizzazione nella Palazzina è stata il reimpianto di 1.700 pioppi cipressini lungo le antiche rotte di caccia. Da allora l’impegno nell’area è stato costante negli anni, forte della costanza delle 31 aziende socie che per Stupinigi hanno versato negli anni oltre 800.000 euro. L’intervento di restauro dell’Appartamento della Regina ha restituito alla Città un bene prezioso, evidenziando ancora una volta il valore del metodo di Consulta fondato sulla propensione al lavoro sinergico. Le aziende socie di Consulta non si limitano a mettere a frutto i loro talenti, la loro capacità imprenditoriale e tecnica, li intrecciano in un sistema che coinvolge realtà pubbliche e private e così facendo permettono di vincere le sfide più ardite e di contribuire al benessere del territorio. Sono aziende che condividono la passione per le cose fatte bene, coscienti che il rafforzamento di Torino come hub culturale possa attirare nuove attività imprenditoriali e contribuire alla crescita e alla qualità di vita a vantaggio dell’impresa, della comunità e della società nel suo complesso. La consapevolezza di essere profondamente coinvolta nel territorio, nella storia di ieri, di oggi e di domani sostiene una ricca progettualità di Consulta, che si avvicina ai 30 anni di attività con oltre 30 milioni investiti. Nella Palazzina di Caccia di Stupinigi questo impegno, iniziato nel verde dei pioppi cipressini, trova un respiro potente grazie alla capacità di Juvarra di generare armonia fra architettura e territorio, un’armonia che contiene grandi potenzialità per il futuro. Grazie a tutte le persone e le realtà che rendono possibile questo meraviglioso cammino. Adriana Acutis Presidente Consulta di Torino

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STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO L’ARCADIA INTERNAZIONALE Andreina Griseri

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G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, particolare, 1733, Anticamera della Regina.

i sa da sempre che la fortuna si accanisce ad esaltare e ad abbattere il merito degli uomini e stabilisce il prezzo delle loro qualità come fissa il prezzo della moneta»1. Il filo memorialista coglie una delle sfumature del valore in crescita per l’incontro di Vittorio Amedeo II e Juvarra architetto a Torino settembre 1714. Il titolo regio, ottenuto nel 1713 con il Trattato di Utrecht, nutriva il pensiero ossessivo del re per la sua capitale, desiderio – anzi un rovello – maturato con incontri a Palermo, Messina e a Roma: dialogando con Pietro Ottoboni riesce a selezionare Filippo Juvarra, protagonista ambizioso con le famiglie di Scarlatti e di Corelli nel Teatro aristocratico del cardinale, ma convinto di misurare la sua identità solo con regi committenti. L’approdo a Torino avrebbe collaudato il prezzo del «continuo esercizio» sperimentato a Roma, commosso, entusiasta tra le forme antiche e moderne: un tutto di «sodezza e perfezione», voce viva che entrava nei suoi taccuini, fogli tascabili per i disegni, i Pensieri (fig. 1), a matita, lapis e carboncino, inchiostro nero o rosso, il suo museo tascabile e portatile, datato 1707-1714, tesoro privato, prezioso per i suggerimenti che avrebbero indirizzato i progetti, e di qui quelli per Stupinigi. Il progetto di svolta per la Palazzina, voluto da tempo da Vittorio Amedeo II e firmato nel 1729 alla vigilia dell’abdicazione, offriva un piedistallo iperperfezionato al figlio Carlo Emanuele III: una sfida, che dopo il difficile passaggio dinastico segnava l’incrinatura con le metafore e la retorica autocelebrativa del Palazzo Reale. Il segno fortemente emotivo è avvertito da Juvarra, pronto a definire i profili di una residenza di ordine moderno aperta al piacere arcadico, spazio qualificato per il mito, nutrimento del codice regale avvistato con una nuova struttura mentale, nucleo germinante del linguaggio architettonico. Di qui il taglio, scenografia esatta che lavora le maglie del parco, i viali, l’intreccio liberatorio dei pioppi cipressini, e sceglie la luce, perfezione limpida, fulcro della visuale nel verde dinamico. La stessa logica visiva, nutrita dalle sorprese dei Pensieri risolve la struttura delle ali per gli interni e segna il nodo del Salone, spina dorsale per la festa: è indirizzata all’homo ludens, venata con la grande passion di cui parlerà Diderot. Per l’unità viva, paradigma vincente il potere creativo di Juvarra, pensa al ritmo leggero dell’affresco – largo-presto-allegro ma non troppo – e sceglie Giuseppe e Domenico Valeriani esperti di scenografie e quadrature; il contratto è firmato a Venezia il 20 febbraio 1731 con il gradimento di doppie seicento e precisa «saremo obligati di mostrare li Disegni all’Architetto e concertare il modo, e quantità d’ornati, che si richiede in detta opera»2: era deciso nel Pensiero per lo Spaccato di Stupinigi firmato Juvarra (fig. 2), così in altro pure conservato al Museo Civico di Torino; offrono confronti datati Roma 1711 con i Pensieri per una camera centrale e per La Camera di un Teatro torinese. Nel Salone, | 19


1. F. Juvarra, Pensiero per una Sala, Torino, Biblioteca Nazionale.

teatro e palcoscenico elegante, chiare le alternative per vivere la festa, messaggio mediatico e omaggio al Potere: paramenti e colonne portanti, capitelli e cornici ondulate, cordonature a profili multipli, morbide per spazi parietali e mensole, finti stucchi con rilievi mitologici, decorazione viridaria avvolgente, puttini e trofei, efebi con ali. Al centro il Trionfo di Diana, dea sublime come nel Salone della Venaria Reale; è presentata nell’affresco centrale con La partenza di Diana per la caccia all’alba: la caccia, passaggio essenziale vissuto attingendo nella forte tradizione, governata con precetti meditati da Senofonte a oggi, sentita come metafora principe dell’assolutismo: alternando emozioni e riposo esaltava oltre l’ambizione il senso dell’onore, le pieghe purificate dell’adulazione, è sottolineata dignità, decoro, eleganza, abilità, scelta tra audacia e prudenza, caso e capriccio della Natura. Su questa linea Juvarra indirizza il pittore Giovanni Crivelli per otto paracamini, riprese di chiaro realismo, fonte ampia per le conversazioni, il cervo, l’aquila, la lepre e la volpe scaltrita. Con i Valeriani aveva concordato la linea protagonista della volta magnifica: cocchio dorato e cavalli bianchi per accogliere Diana, frammento dorato dell’Olimpo, faro risonante tra cordonature di nubi e brani d’alberi, verde natura serena, ancelle coinvolte, frecce e cani in primo piano, presenza arcadica l’efebo alato, cenno a sorpresa. Su tutto, misura essenziale, è unito il focus di Diana in volo con l’aggancio del lustro, fonte di luce, qualità suprema della cupola, pen20 |

2. F. Juvarra, Pensiero per il Salone di Stupinigi, 1729 ca., Torino, Museo Civico d’Arte Antica, vol. II, f. 5, n. 7.

siero mirabile dominante dei suoi Pensieri, percezione orchestrata per esprimere il senso della sovranità e del Potere, perno di esempi e di governo aperto allo spettacolo3. In quella concatenazione fortemente illusiva, Juvarra realizzava l’omaggio al suo grande re, Vittorio Amedeo II, rivolgendosi allo spettacolo, feste per le partite di caccia, testimone continuo la Natura, vero manto regale con il cielo, cupola della nuova architettura. E qui tanti spettatori, coinvolti nel gioco illuminato da risposte colorate in pittura, cornice del progetto. La ricchezza della decorazione affidata ai Valeriani doveva toccare il filo alto: fonte primaria sempre Guarini, spazio unitario carismatico sostenuto con foga e chiarezza, e con Juvarra la svolta verso un realismo illuminista (fig. 3), mondo organico, felicità offerta al giudizio dell’occhio, decisa la convinzione in tensione corale, l’immaginazione tesa a dare l’equivalente del migliore dei mondi possibili (fig. 4). Il carattere cruciale della renovatio è segnato dal Salone, struttura strategica lavorata dai Valeriani attenti ad ogni suggerimento di Juvarra, così per i particolari nobili del Trionfo di Diana e per gli inserti con gli Dei della caccia, Atteone, Atalante e Meleagro, carattere di un verosimile elegante, staccato dalla quadratura a finti stucchi affrescata a Palazzo Reale l’anno prima. Per il Salone Juvarra aveva anticipato il pensiero – a scultore e doratore – per il fissaggio stupendo dedicato alle colonne, le placche in legno che saranno presentate nel 1737, dipinte in grigio perla e azzurro di Prussia, teste di cervo in rame e argento (fig. 5). Traguardo raggiunto, si apre la prospettiva centrifuga di altre nuove rotte, e per Juvarra altra prova d’orchestra; altro teatro dovrà intrecciare confort e agrément, essenziali per Carlo Emanuele III e Polissena regina. Sposa dal 1724, STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO. L’ARCADIA INTERNAZIONALE | 21


3. Stupinigi, Palazzina di Caccia, Salone (fotografia di Ernani Orcorte). 4. F. Juvarra, Pensiero per il corpo centrale della Palazzina di Caccia di Stupinigi, 1729 ca., Torino, Museo Civico d’Arte Antica, vol. I, n. 15.

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Cristina Giovanna Polissena d’Assia Rheinfelds ha portato da Francoforte e da Rottemburg eleganza cifrata dell’Alto Palatinato, che abbina con le pietre preziose scelte ad Amsterdam per il matrimonio dallo stesso Vittorio Amedeo II4, incastrate nei fermagli e pendenti di diamanti, perle e smeraldi dono di Anna Maria d’Orlèans; ma al Palazzo Polissena ha portato potere giovane e senso di autonomia, con discrezione sostiene il diario cangiante, difficile, di Carlo Emanuele III. Sarà regina anche a Stupinigi, polo di incontri e scambi, area aperta e non solo ai menus plaisirs. Il clima riflette ritmi sensibili dal 1731, con la presa di potere di Carlo Emanuele III, e la scena che si svolge a corte ha frammenti robusti in divenire al Regio Teatro e nelle feste delle ville, oltre che a Villa della Regina e a Palazzo Chiablese. Si misura il crescere dei contatti con viaggiatori e invitati, i percorsi degli ambasciatori di stanza a Parigi, a Vienna, cene programmate dal cerimoniale e colazioni all’aperto, segni che rinnovano le ambizioni della nuova aristocrazia e prendono il sopravvento, ben connotati dai documenti per regali e acquisti – velluti, pizzi e sete – e per l’arredo il magnetismo dei legni pregiati, ebano, acero, noce d’India con avorio e madreperla, sottolineati dal gusto degli specchi, pari a gioielli ingranditi e di nuovo tipo, trait d’union con l’essere tenace dell’architettura e cornici, mobilità della luce tangibile, stimolo sensoriale offerto alla percezione, e non solo all’occhio raffinato: tocca i nodi della pittura, i toni celebrativi e i progetti inaugurano fascino a Palazzo Reale e a Stupinigi, segnando il nuovo tempo5. E qui per Juvarra specchio parlante, di fronte ai programmi previsti, l’autostima, potente dimensione per essere con la sua toga nell’anello giusto della corte, di qui le mosse per le scelte indirizzate all’Appartamento Reale. In primo piano sempre i punti nodali dell’Arcadia romana, e da quel labirinto le qualità apprezzate e godibili a corte, qui oltre i sentieri targati dalla chiarezza e aperti con l’Ut pictura pöesis, la curiosità; percezione infallibile lo invita a scegliere sorprese autentiche per la funzione comunicativa, verso la prima e la nuova aristocrazia, di qui la prima sorpresa nella scelta di due nomi per Stupinigi: segno del bello classico e del gusto capriccioso, saldati con l’intreccio vitale della scenografia. E per queste scelte cronologia perfetta nei rendiconti: lire 1450 a Carlo Van Loo da giugno 1733 a ottobre per il saldo; lire 1050 a Crosato da ottobre 1733 a gennaio 1734. Breve l’anticipo dell’incarico registrato per Van Loo rispetto a Crosato: decisiva l’appartenenza, l’entourage legato ai principi di Carignano, alla famiglia Somis: aveva sposato Cristina Somis, cantante apprezzata, sorella del violinista Lorenzo e figlia del grande violinista Giovanni, a Roma rapporto privilegiato con l’Accademia6 e così a Parigi, cantiere eccellente per esperimenti in competizione: studi recenti ne STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO. L’ARCADIA INTERNAZIONALE | 23


6. C.A. Van Loo, episodio dalla Gerusalemme Liberata, Torino, Palazzo Reale, Gabinetto di toeletta della Regina.

hanno analizzato in ogni nervatura le variazioni sottili, più d’una, legate al Van Loo7. E non va trascurato il clima allora storico che trovava al suo arrivo a Torino, ricevuto in una corte legata a tradizioni severe fortissime, conosciute a Parigi e nutrite da stima reciproca. Carlo Van Loo era preceduto dall’impegno del fratello Giovanni Battista al Castello di Rivoli per l’affresco di due Gabinetti con Giochi di puttini, 1719, ma non avevano segnato il senso vero della svolta di Juvarra. Lo dirà chiaro un viaggiatore infallibile come Montesquieu, arrivando nel 1727 non condivide gli amici della corte, sente Carlo Emanuele III per cui «le fabbriche della corte sono tutte da finire» e a Rivoli «la vista è magnifica … quello che si farà potrà essere bello, ma quello che c’è di fatto non lo è». Partirà per Roma, dove «non si finisce mai di vedere». Torino era sempre Juvarra, ritmo rispecchiato nelle tele di Francesco Trevisani del 1721-17248 e di Sebastiano Conca alla Venaria, orizzonte schermato per l’emergere luminoso del blu, canale aperto per le prove di Carlo Van Loo. Non erano mancate, con l’invito, 1733, per il Palazzo Reale, Appartamento d’inverno del Re, Gabinetto del Pregadio, tele con episodi della Gerusalemme Liberata, (fig. 6) morbidezza sciolta, risultato mirabile dell’impatto visivo perfezionato 24 |

5. F. Juvarra, Pensiero per le porte del Salone di Stupinigi, Torino, Museo Civico, vol. I, 1782 DS.

negli intagli, grottesche, decori, il nuovo mestiere dedicato al pittoresco materico, all’unisono «la force et la fraicheur de la couleur», ammirata dal Cochin, e sulla linea del laboratorio che procedeva a Parigi. A Torino aveva conosciuto le volte con il capriccio delle grottesche e quelle superbe del pittore di corte Claudio Francesco Beaumont9, intoccabile, apprezzato da Juvarra: perfetto nel disegno accademico, forte dei contatti con il maestro Trevisani, risolve su altra linea i paradigmi di una bellezza protagonista, idealizzata nella volta con Le virtù proprie di un Monarca (fig. 7), la Prudenza, la Clemenza, la Liberalità, perfezionate nel ritmo del colore glittico, lavorato ad uso di cristallo trasparente, altro splendore pregiato e naturale nel rosso, a spatola piena, per allegorie dominanti, su tutto l’intreccio di azzurri e grigi luminosi per i cieli delle volte, unità orchestrata dal disegno consigliato e rivisto da Juvarra10. Era il tempo giusto segnato a Carlo Van Loo per passare al cantiere di Stupinigi. E nel 1733 la stanza di Diana, Camera da letto della Regina: sprigiona l’eleganza di un profilo onirico, «una bellezza perfetta, suscita l’ammirazione in un luogo dove si era assuefatti a vedere ambienti deliziosi e belle persone», così la percezione della principessa di Clèves per fissare un’emozione intensa, prevedibile a Stupinigi STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO. L’ARCADIA INTERNAZIONALE | 25


dinanzi alle Storie di Diana (fig. 8), accademismo erotico giocato tra Parigi, Roma, Torino, ritmo e smalto della corte di Carlo Emanuele III e di Polissena. Emerge nella luce primaria misurata nell’orizzonte globale, accentuate le figure nell’affresco della volta, e qui l’autoesplorazione di Juvarra per lo spazio-finestre di fronte alla luce di Torino e di Stupinigi, diramata verso un lontano inflessibile, avvincente, non quella di Roma, creatrice reale di bellezze classiche e moderne. Il bello naturale, acqua e cielo, è reso emotivo e pittoresco nel mondo di Diana, dimensione orchestrata nella limpidezza gioiosa, specchio dilatato nella sublimazione del rito, desiderio appagato (fig. 9), il lavacro fonte di salute e piacere, l’arco dorato tra sete e panni eleganti, puttini erotici festosi, spazio per erbe, foglie e frutti, l’accoglienza con i cani puntati (fig. 10). Entra nel timbro di un messaggio, respiro aperto per la corte e la città, Diana è regina riconoscibile: manto azzurro alleggerito; l’acqua lustrale e il momento breve del riposo e ne conosciamo il bozzetto, ora all’Ermitage; assolo protagonista con lo sfondo arcadico del marmo, la cupola bianca paradigma classico che sarà amato da Benedetto Alfieri. La pittura con Van Loo tessuto elegante e raffinato, scartava il ritmo preferito degli inginocchiatoi dei potenti, evitava il mondo biblico incorniciato nelle sovrapporte di Palazzo Reale, presentava il timbro amabile della bellezza, indirizzata da edonismo e genialità, suggerimenti dai dipinti di Albani, Maratta e Luti, nudi perfetti, anticipa il risultato per cui il bello può passare dalla bellezza assoluta al sublime. 26 |

7. C.F. Beaumont, Le Virtù di un monarca, particolare, Torino, Palazzo Reale, Gabinetto per il Segreto Maneggio degli Affari di Stato.

Area di svolte: è segnato il progetto per l’Anticamera della Regina. Juvarra registra le variazioni della forza intrinseca alla corte e ai giardini aristocratici, serbatoio vigoroso gli anni 1720-1723 maturati ex novo all’Università, con presenze di docenti arrivati a Torino; altre riforme nel 1729, in primo piano alla Facoltà delle Arti con discipline filosofiche e tecnico-scientifiche, legate alla Medicina. Di qui respiro amplificato con l’arrivo e il commercio di libri: ne scrive Bernardo Andrea Lama11, personaggio autentico, arrivato dal meridione, maestro di eloquenza, per i programmi umanistici tra i “novatori”, esperto degli ambienti Roma, Napoli, Parigi dove aveva frequentato Malebranche e i circoli libertini; aveva preparato un progetto cultura di pedagogia per i Collegi piemontesi, sue le varianti legate a studi su Port Royal. Ripensando a Lama, appassionato di scambi oltre Torino, immerso nel vagliare il prezzo conveniente con l’arrivo di libri utili ai suoi confronti, possiamo intuire che il suo nome, entrato nei circoli aristocratici e lui spesso consultato, era certo apprezzato nello studio di Juvarra, immerso a precisare ogni soggetto erudito, ogni metafora che poteva entrare nei progetti senza sfaldature: archetipo del laboratorio creativo restava il paradigma classico, verificato in ogni sfumatura, chiaro nei risultati a Palazzo Reale, a Villa della Regina, a Stupinigi. Travolgendo il teatro della ragione dell’assolutismo, Juvarra sceglie il ritmo scandito dall’Arcadia, miniera rivitalizzata e sperimenta decisamente con il classico il gusto del pittoresco, organico e naturale, aperto a percezioni sensibili, chiare nei Pensieri; così per gli orientamenti della sua scenografia emerge il compendio teatro e pittura, «aequa potestas» filtrata dalla corte. Su questo punto decisive le pagine di Mercedes Viale Ferrero12, ne emerge il tassello clou per Crosato e per l’entourage colto, elitario, della Torino anni 1727-1730, nodo brillante il Regio Teatro dominato dalla Società dei Cavalieri, filo conclusivo della politica teatrale di Vittorio Amedeo II che obbligava una rappresentanza aristocratica ad avere responsabilità artistiche e finanziarie nella conduzione dei pubblici spettacoli. Con gli scenografi nel 1730 arriva dal Veneto Giovanni Battista Crosato, aveva lavorato nel cantiere a Udine del giovane Tiepolo, demiurgo inarrestabile della luce, unica e superlativa, un orizzonte oltre i Savoia. Con questo curriculum Crosato entra con Juvarra a Palazzo Reale, nell’Appartamento del Re lavora un paracamino, Allegoria dell’inverno, davvero gelido quello tra le mura del palazzo, e decorazioni per porte e finestre, puttini allegorici e fiori, calibratura esaltante, impegno celebrativo e messaggio politico stratificato. Juvarra perfeziona i suggerimenti per il mobilio, paesaggio dell’immaginario costruito dal Piffetti, aperto all’ammirazione dei viaggiatori; da parte di Crosato antidoto potente la straordinaria immediatezza, carnosità rilevata con ritmi esaltanti di fronte alle volte del Beaumont, abdica a ogni allusione impegnativa per faretre, coralli e puttini, valido è il consiglio di Luigi XIV «il faut de l’enfance repandue par tout». E intorno, oltre agli arazzi, la luce inventiva, tesoro offerto da un cantiere unico, maestri dell’ornato, tradotto in oro e intaglio mitico. Era il segno di una superba tradizione coltivata da Juvarra, attento alla misura di nuove alternative (figg. 11-12). Così a Stupinigi è varato il progetto per la volta dell’Anticamera della Regina (fig. 13), il tema scelto è dedicato al Sacrificio di Ifigenia, entrato nei disegni di Juvarra, 1713 a Roma, per il teatro a Palazzo Zuccari della regina Maria Casimira, ed erano scene con musiche di Scarlatti. Altra passione spettacolare il rito del sacrificio propiziatorio per la presa di Troia, scelto nella Palazzina di Caccia come momento salvifico mediatico (fig. 14): incorniciato con brocche, vasi, candelabri, enormi vassoi, e per l’alone del sacrificio ceri e rose, piedistallo per il ragazzo in tunica bianca che regge l’anfora magnifica (fig. 15); centro dell’inquadratura l’eroina, vestita con una tunica acquamarina e manto rosso fuoco, in ginocchio l’omaggio della fantesca, azzurro intenso, unita alla preghiera del sacerdote offerente: Artemide scesa dal cocchio dorato libera la cerva, vittoria STUPINIGI 1733 JUVARRA VAN LOO CROSATO. L’ARCADIA INTERNAZIONALE | 27


8. C.A. Van Loo, Il riposo di Diana con le ninfe, 1733, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Camera da letto.

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9-10. C.A. Van Loo, Il riposo di Diana tra le ninfe, particolare, 1733, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Camera da letto. 11. G.B. Crosato, Venere che piange Adone, Torino, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica (su concessione della Fondazione Torino Musei; fotografia Matteo De Fina, 2011). 12. G.B. Crosato, Diana ed Endimione, Torino, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica (su concessione della Fondazione Torino Musei; fotografia Matteo De Fina, 2011).

segnata a dito dall’alfiere alle spalle del padre, parato in veste gialla. Il gioco del rito è legato con libertà spregiudicata alla caccia: Artemide libera Ifigenia e offre per il sacrificio la cerva, cornice animata il gruppo corale dei cavalieri in attesa della partenza delle navi: il dinamismo dei passaggi avvalorato da stacchi liberi procede fuori dal mondo di Tiepolo. Il tema intriso di suspense e pathos che certo toccava Carlo Emanuele III e Polissena, giungerà a Choderlos de Laclos, a Gluck, a Goethe e al marchese De Sade. Con Crosato una realtà allettante, di sublime festa agreste, comparse che potevano passare dalle locande di Dresda alle ceramiche di Vinovo; un’apertura mutevole, in consonanza con il gusto che sceglieva la vitalità accesa dell’antico, direttamente da Ovidio, le Metamorfosi, Crosato lavora alla serie stupenda di pannelli che Carlo Emanuele III offre nel 1740 per il matrimonio del principe Vittorio Amedeo di Carignano con Cristina Enrichetta sorella di Polissena, tassello di vero significato13. Il segno coerente di confluenze, innesti e alternative realizzate in Palazzo Reale e nelle sorprese della Palazzina di Caccia, aveva costruito una memoria profonda e ricchissima per i taccuini dei viaggiatori: in primo piano la mission di Juvarra, forza guida, regista dei risultati di Beaumont, Crosato e Carlo Van Loo, di qui contatti moltiplicati tra le generazioni attive nelle regge, valutando le competizioni. È chiaro per scambi negli affreschi che toccano Charles Antoine Coypel, procedendo con Jean Restout e François Lemoyne, con riprese alleg30 |

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13. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, 1733, Appartamento della Regina, Anticamera.

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14-15. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, particolari, 1733, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Anticamera.

gerite tratte da Charles Joseph Natoire e alla pari da Jean Baptiste Pierre, per una cultura dell’eleganza, legge d’armonia del mestiere accademico, sostenuta da Charles Poerson e Nicolas Vleughels, direttori decisi. L’interscambio sostenuto dall’Accademia e dall’Arcadia in senso internazionale avrebbe trovato altre dimensioni con il gusto dell’esotismo, senso vivo del Settecento europeo, carattere vissuto a Stupinigi con lucidità. Il gioco critico è innescato per tempo da un occhio conoscitore dei percorsi europei: così Voltaire, 1736, parla di unicità per il secolo, questo siècle de fer, che tocca «tout le plaisir, les arts de toute espèce, la propreté, le goût, les ornemants», senza soluzione di continuità per il valore del nuovo luminismo. L’ossatura delle affinità delle arti avrebbe segnato un modo di vita aperto a sensazioni e convinzioni possibili. E contro il tempo che consuma ogni cosa, anche l’artificio e l’utilità delle cose inutili risalivano, toccate dal senso interiore della bellezza, filo potente di un mondo in metamorfosi. In quelle tappe ogni passaggio, e si pensa a Stupinigi, rivela spirito spregiudicato e fissa il senso del fuggevole, carattere non eroico, sottilmente emotivo. È il nuovo senso del pittoresco a creare paesaggi naturali dove coesistono attenzioni per le radici di ori e intagli, conchiglie sensibili e concrete, intelaiature surreali negli specchi, verismo magico immerso a suscitare ogni valore delle apparenze, legate agli ideali di Watteau, di Fragonard, di Gilles-Marie Oppenordt, di Juste-Aurèle Meissonnier, di Pietro Piffetti14. E dall’occhio lievitato dalle specchiere hanno ritrovato spazio Hubert Robert e Francesco Guardi, segnando l’aggancio tra spazio interno ed esterno, la vita in gioco continuo, l’uomo sentito infinitamente piccolo come il Gulliver di Swift e il Micromegas di Voltaire, in visita ai giganti, è il filo che lega gli scambi delle città e delle capitali, identità riconoscibili nella stessa fiducia della volontà d’arte15. Il piacere della ricerca e del risultato porterà l’approdo alla nuova arte con icone rivoluzionarie, modelli anche per i gobelins, fino a raggiungere la rivoluzione industriale sempre aperta, oltre le fila in primo piano, con nuove scelte per fotografia e restauro.

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De La Rochefoucauld ed. 1978. Per Domenico e Giuseppe Valeriani e i documenti relativi cfr. La Palazzina di Caccia 2014. 3 Per la misura dell’artificio che nella volta realizza lo splendore della volontà di Potere, il riferimento è al capitolo critico di Starobinski 1975. 4 Sempre classico è il testo di Symcox 1985. Cfr. Storia di Torino 2002; Le strategie 2010. 5 Per il Palazzo Reale di Torino dagli anni 1960-1990 studi, mostre e analisi hanno registrato orientamenti critici per la validità dei percorsi artistici e si segnala ora il contributo innovativo Palazzo Reale a Torino 2016, diretto da Dardanello fissando contesti e immagini legati agli eventi dinastici. 6 Cfr. Rosenberg 2005. 7 Per Van Loo il catalogo della mostra Le Théâtre des Passions 2011 decisivi contributi critici di: Rizzo 2011 e Rizzo 2016. Il bozzetto del Riposo di Diana, proveniente dalla collezione di LouisMichele Van Loo, e ora all’Ermitage, esposto a Torino alla mostra Da Poussin agli impressionisti 2016. 8 Prestigiosa a Torino l’attività di Francesco Trevisani: cfr. Griseri 1963; Griseri 1983. 9 Per Beaumont il capitolo dell’attività del pittore di corte con Juvarra, cfr. Griseri 1989; Beaumont 2011. 10 Per Juvarra: Griseri 1957; Gritella 1987; Filippo Juvarra 1989; Filippo Juvarra 1995; Sperimentare l’architettura 2001; Disegnare l’ornato 2007. 11 Cfr. Braida 2002; Carpanetto 2002. 12 Cfr. Viale Ferrero 1978. Griseri 1961; Griseri 1996; Ton 2012. 13 Cfr. C. Mossetti, scheda n. 307, in Il Tesoro della Città 1996. 14 Per ornati e Piffetti, ampiamente documentato il repertorio presentato da Ferraris 1992; Antonetto 2010. 15 Per le scelte nell’intreccio del gusto sublime diramato dalle corti europee, icona ammiraglia, González-Palacios 1986; González-Palacios 1993. 2

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STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA RESTAURI E NUOVE PROPOSTE PER LA CELEBRAZIONE DI UNA RESIDENZA EUROPEA Anna Maria Bava, Franco Gualano

I

P. Piffetti, Scrittoio a ribalta, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento di levante, Camera da letto.

l 18 novembre 2011 avveniva la riapertura al pubblico dell’Appartamento di levante della Palazzina di Caccia di Stupinigi, dopo un importante lavoro di risanamento generale e rimessa in valore dell’insieme degli apparati decorativi e degli arredi (fig. 1)1. I risultati che venivano mostrati volevano costituire nella loro globalità un modello di analisi delle problematiche, di programmazione di interventi e di azione concreta per il recupero di ambienti di straordinario valore, proposti all’osservazione dei cittadini tutti come esempio di quell’azione di tutela e restauro irrinunciabili per i beni della nostra Nazione, al fine di conservarne integro, per quanto possibile, il superbo patrimonio storico artistico2. Esigenza ancor più forte in considerazione della straordinaria qualità e bellezza della Palazzina, nei confronti della quale assai spesso par di leggere, tra le righe, nelle trattazioni riguardanti le Residenze Sabaude, un’ammissione di primato sulle altre quanto a compiutezza ed equilibrio. Come spesso accade per i lavori di grande impegno e durata, l’inizio era avvenuto in sordina: i primi risultati (ci riferiamo allo specifico settore storico artistico) si erano colti col riemergere dei disegni (1770-1780) degli equipaggi di caccia, i cani reali, sulle pareti della scuderia di Levante3; e il restauro del padiglione centrale aveva portato con sé quello del cervo di bronzo, poi musealizzato4. Finalmente, dal 2006, dopo una lunga fase preparatoria, si entrava nel vivo dei restauri del Levante. Il padiglione di Levante della Palazzina di Caccia di Stupinigi era stato affiancato al corpo centrale con lavori eseguiti tra il 1739 e il 1741, con istruzioni firmate da Tommaso Prunotto, anche se per la critica è ormai assodata la paternità alfieriana5. Esso era destinato al duca del Chiablese Benedetto Maurizio (ritratto nella specchiera a trumeau della cosiddetta Sala del Bonzanigo), figlio di Elisabetta di Lorena e Carlo Emanuele III di Savoia, e le campagne decorative si prolungarono sino agli anni settanta. La prima fase decorativa, promossa tra il 1752 e il 1758, aveva caratterizzato la zona d’angolo sud dell’appartamento, con i Gabinetti intorno all’atrio centrale d’ingresso, ora Sala delle Prospettive (Gabinetti di Passaggio, delle Cacce, del Bonzanigo e Cinesi), mentre una seconda campagna di decorazione, che si colloca negli anni 1761-1768, aveva interessato una serie di ambienti (anticamera, salotto e camera da letto) in grado di ampliare sensibilmente l’Appartamento com’era in origine, con l’infilata di sale poste verso ovest, e le altre collocate a nord di quelle più antiche, a disegnare genialmente una nuova simmetria esterna su scala maggiore; ma collegate tra loro tramite la grande Sala da Gioco, che determina la formazione d’un cortiletto interno di foggia triangolare6. A dispetto di quello che rimane comunque il quadro complessivo della Palazzina, con il suo gusto festoso che si pone ad una certa distanza dall’aulicità delle dimore torinesi, risulta piuttosto netta una differenza d’intonazione già tra i due nuclei decorativi all’interno del Levante: il primo, affidato ad Alberoni coi | 37


suoi collaboratori, presenta volte a quadrature architettoniche, oppure a tema, con le cacce o le battaglie, oppure ancora quadrature più vedute e rovine. La rocaille vi appare moderata e minuta, non carattere preminente; vi si cerca leggerezza, spaziosità che dilata le dimensioni, mentre i particolari sono a volte luminosi e preziosi, le battaglie quasi araldiche in una luce alabastrina. Nel secondo, invece, dove si alternano i Pozzo, capaci di variare grandemente le tecniche utilizzate (e che forse non a caso sentono il bisogno di firmare il loro impegno, come si è ritrovato nel corso dei restauri, nel Gabinetto di Passaggio, «J.P.P. 1761» e nel cosiddetto Gabinetto di Paolina, ancora «J.P.P.»)7 (fig. 2), il Perego, il Rapous, gli ambienti, più ampi, presentano al centro vasti sfondati decorati in modo come alleggerito per la distanza, ma agli angoli gl’incombenti motivi a rocailles in stucchi dorati o policromi disegnano suggestivi insiemi quasi da grotta marina, molto più alfieriani, intanto, e in parallelo con le quasi contemporanee soluzioni di Palazzo Chiablese e, più genericamente, delle residenze austro tedesche. In questa fase, sono Giovan Battista San Bartolomeo e Bartolomeo Papa gli stuccatori documentati. Vediamo in questi anni l’architetto più sicuro e più libero da intenti cerimoniali e celebrativi precisi o troppo condizionanti; dobbiamo però immaginare un cantiere strettamente controllato dalla regia del sovrano, che esamina le prove, i cartoni, le scadenze dei lavori, offrendo indicazioni e suggerimenti agli stessi esecutori, in uno con la regia dello «studio di architettura». Di questo quadro complesso, che si articola in tutte le componenti dei mestieri, e dove anzi si segna proprio un risultato d’insieme, in cui tutte le risorse decorative si fanno spazio a segnare con la loro forza il volto stesso degli ambienti, «Aequa potestas» tra architettura, pittura e arti della decorazione, come evocato da Andreina Griseri8, le attività di studio e restauro hanno potuto evidenziare l’ancor più che sostanziale autenticità. Tra tutte le volte, quella «a ghiacci e finte porcellane» (con cristalli e stucco dipinto a motivi floreali ad imitazione della porcellana), eseguita nel 1763 da Giovan Pietro Pozzo, si evidenzia come la più straordinaria invenzione delle sale del Levante. Dalle pareti a specchio, cifra ricorrente degli ambienti alfieriani, si giunge al soffitto a specchi, termine di un’escalation stilistica, nel segno della metamorfosi della materia. Il disegno del centro della volta suggerisce l’aspetto d’un pergolato fiorito, ma il trattamento pittorico simula piuttosto la presenza di porcellane quasi diafane. Inedito però l’effetto complessivo, dove i motivi a stucco delle zone angolari, presenti in genere nelle sale degli anni sessanta, e il cui naturalismo pare a volte disegnare la conchiglia, la spuma marina, quasi ad evocare la suggestione d’incrostate grotte costiere, si rinserrano qui nella ridotta superficie della volta, divenendo non interrotto contorno a un arabesco di rocailles e fiori dipinti alternati a specchi, con effetti continuamente variati nel gioco dei riflessi, animati dallo stesso muoversi dell’osservatore. Uno spazio trasfigurato, una sorta d’incantato ambiente come linea di confine tra terra e mare, quest’ultimo simulato appunto dallo specchio, quasi liquida superficie, in quella che è una summa della poetica rococò. Per la sua importanza, e per la necessità di mettere a punto tecniche e materiali di restauro a volte del tutto nuovi, la volta è stata restaurata direttamente dal laboratorio interno della Soprintendenza, che ne ha potuto rilevare con attenzione i materiali costitutivi e tecniche esecutive molto particolari9. Tra gli altri ambienti, la Sala delle Prospettive, che aveva funzione d’Atrio centrale d’ingresso durante la fase costruttiva in cui il primo nucleo era ancora un padiglione isolato, e fu affrescata da Alberoni fra il 1751 e il 1753, e poi ripresa nel 1761, ha mostrato una curiosa serie d’incongruenze, evidenziate dai restauri, nel corso dei quali se ne sono però riconosciute anche le ragioni10. La sala ha una forma particolare, non presenta lambriggi né stucchi, ad eccezione 38 |

di quelli del cornicione, tra le due fasce modanate del quale v’è un intonaco che mostra parti in rilievo, come la sommità dei capitelli ionici delle finte paraste. I dipinti murali delle pareti raffigurano quadrature architettoniche, con cornici a finto marmo, entro le quali trovano spazio cinque grandi ovali al centro delle pareti stesse e sei sovrapporte rettangolari di minori dimensioni, tutte con vedute di maestose architetture, analizzate attraverso il filtro del tempo che corrompe e rovina, e con figurette teatralmente disposte. La matericità dell’impasto della pittura trova la sua massima espressione in alcuni dettagli delle vedute, come volti e particolari descrittivi, ad esempio un sarcofago scolpito, ove l’aggiunta di sabbia vuole fornire un risultato maggiormente illusionistico, come si trattasse, per così dire, d’una pittura a stucco. Il disegno d’insieme è tra quadraturismo e influsso d’architetture «vere» vittoriane, e più ancora lo sarà quello dell’esaltante cupola a canestro della Sala Esagonale. Soltanto dopo la fine dei restauri se ne può apprezzare fino in fondo la bellezza, perché di tutto il padiglione del Levante, la Sala delle Prospettive mostrava le più gravi problematiche conservative, come conseguenza di una copiosa infiltrazione di umidità che, alla metà del secolo scorso, avevano veicolato sulla porzione di volta e sulla parete verso il corridoio, nonché nell’angolo verso il Gabinetto di passaggio, le acque di scarico provenienti da un appartamento di servizio; e ugualmente devastante era stata la crescita microcristallina di quei sali solubili che, portati dalle acque d’infiltrazione, si erano depositati in fase di asciugatura sulle superfici, facendo sollevare o cadere le pellicole pittoriche e parte degli intonaci di finitura. La Sala da Pranzo era invece quella che meglio mostrava inalterate le sue caratteriste pittoriche originali, sia tecniche che materiche. La sala in questione nasce come Camera da Letto (come confermano anche le scritte ora rinvenute sopra le mantovane delle finestre, es. «Chamera da letto vicino al gabinetto a giasse»). La decorazione si colloca nell’ultima fase dei lavori del Levante, al 1765 e vi lavorano Gaetano Perego e Vittorio Amedeo Rapous. Gli stucchi, probabilmente ascrivibili a Papa e San Bartolomeo, presentano decorazione più elaborata di quella delle altre sale, e furono eseguiti immediatamente prima dell’affresco, infatti la pittura vi passa talvolta sopra, e risultano dipinti anche tratti di cornicione dal basso non visibili. A stucchi finiti, Perego disegna l’architettura illusionistica, cromaticamente accordata sopra i cornicioni e più in chiaro al centro volta, e a completamento si chiama il Rapous a dipingere i putti policromi della parte centrale, mentre più in basso essi sono riproposti in monocromo grisaille come su porte e boiseries. Tutta quanta la volta è stata eseguita a secco, probabilmente con tempera molto magra e totale assenza di incisioni e tracce di giornate visibili, tranne labili segni di riporto solo sui putti policromi; eppure il disegno dovette esservi, come si ricava anche dai documenti: «S.M. ha approvato il dissegno fatto dal Signor Gaetano Perego Pittore dimostrato in grande con una quarta parte nel volto della Camera da letto»11. Perego dipinge inoltre sguinci di finestre, i pannelli sopra queste ultime, passate di porta e battenti di porte volanti (a parte i putti al centro dei pannelli superiori); a Rapous, che sembra esser stato proposto a lavori avviati, come una risorsa per far ancora meglio, spettano le figure dei lambriggi e della volta in genere, ma probabilmente non le cariatidi poste lateralmente alle cornici ovali dipinte: però lavorano insieme di gran concerto, come usassero gli stessi colori, prelevati da contenitori comuni, e in qualche parte sembra quasi di vederli all’opera fianco a fianco. Rapous utilizza una tecnica molto moderna, con pennellate visibili e grande velocità esecutiva. La Saletta di Passaggio ha infine riservato una bella sorpresa, con la scoperta ex novo di un ciclo pittorico sacrificato in passato nel corso di manutenzioni riduttive e poi del tutto dimenticato. Il piccolo corpo di fabbrica, addossato al corpo maggiore evidentemente molto in antico, era infatti adornato da eleganti STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 39


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2. La firma di Giovan Pietro Pozzo ritrovata sul soffitto del Gabinetto di Passaggio del Levante (fotografia di Franco Gualano). 3. Il nuovo ciclo pittorico ritrovato nella saletta di passaggio durante il restauro (fotografia di Franco Gualano). 4. Disegno del padiglione della Palazzina realizzato sugli intonaci del Levante (fotografia di Franco Gualano).

lesene con specchiature decorate, motivi vegetali e rosoni, con un gusto che richiama, per quanto semplificato, quello delle parti decorative della volta dell’ex biblioteca di Palazzo Reale (dipinta da Pécheux e terminata nel 1784)12 e di certe sale dell’appartamento dei Savoia ad Oropa. L’esecuzione non si può dunque pensare prima del nono decennio del Settecento, ma potrebbe anche risultare alquanto posteriore13 (fig. 3). Il padiglione di Levante della Palazzina di Caccia di Stupinigi fu dunque decorato con straordinaria coerenza e con assestamento entro il 1776, salvo le sostituzioni delle tappezzerie. Scelte decorative studiate e realizzate in armonia anche per quel che concerne le boiseries delle sale, il cui restauro non ha richiesto meno cura delle volte dipinte, ed ha mostrato il non minor estro e attenzione progettuali dei cantieri14 (fig. 4). A Gaetano Perego, che eseguì la volta dell’Anticamera, spettano della stessa anche le decorazioni pittoriche dei pannelli dei lambriggi, delle porte volanti, delle imposte delle finestre, ultimate nel 1764; Giovanni Pietro Pozzo esegue, oltre all’affresco della volta del Gabinetto adiacente alla Camera da Letto, anche le decorazioni delle boiseries del medesimo. Nella Sala da Pranzo, Vittorio Amedeo Rapous realizzò nei pannelli delle porte e nei lambriggi gli squisiti putti scherzanti, in coerenza con quelli delle volte: è la prassi comune. A differenza delle soluzioni presenti nelle volte, le boiseries, che comprendono spesso specchiere racchiuse da cornici dorate o inserite come decorazioni nelle porte, rivelano comunque soluzioni più omogenee tra loro; la regia è peraltro così accurata e sottoposta ad una visione d’insieme, che le porte volanti di alcune sale si presentano in apparenza diverse tra loro, perché la decorazione è progettata in maniera che se la posizione abituale è quella di apertura, tale decorazione è legata all’impronta dell’ambiente in cui esse vengono a rovesciarsi contro il muro: è il caso, ad esempio, della porta volante lato sud ovest della Sala delle Prospettive, che non offre alla visione le «rovine» che compaiono nelle altre porte, bensì i rami fioriti di ispirazione orientaleggiante che connotano boiseries e soffitto dell’adiacente Gabinetto di Passaggio. Tale apertura favorisce peraltro un felicissimo gioco d’intersezioni spaziali nella zona d’angolo del padiglione. Anche per questo settore cantieristico bisogna riferire d’uno stretto controllo progettuale, con lunghi tempi di realizzazione specie per «ante e boiseries, continuamente modificate nel corso delle verifiche di sopralluogo, ma progettate unitariamente fin dal 1761 con Istruzioni al minusiere firmate dall’architetto Prunotto»15; è prevista, disegni alla mano, la verifica del lavoro anche dei minusieri, perché «non lavorino di fantasia». Alfieri vi spende, certo con entusiasmo, le risorse d’una équipe di levatura ormai internazionale ed affinata, come risorse 42 |

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5. F. Bolgiè, Stipo scrivania, Sala del Bonzanigo (fotografia Musei Reali, archivio).

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e come prassi operativa, per quasi trent’anni. Rimane tuttavia, questa degli apparati decorativi, la parte meno documentata, o comunque indicata solo sommariamente nei documenti che similmente ricorrono nelle citazioni del Mallé per la Palazzina. Che nomi di simile peso e prestigio come Riva, De Giovanni, Bolgiè, Gianotti, Ghigo, Taberna, (dei quali talvolta si riesce in realtà a ricostruire la personalità incrociando con fortuna le fonti16) siano impegnati nelle attività di decorazione delle residenze spiega con una certa facilità come quei settori di mestiere non risultino di tanto in soggezione rispetto ai cantieri pittorici e siano anzi spesso decisamente punti di forza nel quadro delle vitali proposte del Rococò piemontese. Non è tuttavia ancor ben chiaro, dai disegni esecutivi, di precisione, sui quali Alfieri assesta, al livello più alto, l’attività dello Studio di Architettura, dove e come si situino in relazione il momento ideativo dell’architetto, e gli eventuali stessi apporti degli artigiani, che egli sembra, allo stato delle conoscenze attuali, controllare senza quasi prendere in mano la penna17. Anche se non strettamente compresi nell’Appartamento di levante, va ugualmente sottolineata la straordinarietà dei due locali dell’Antibiblioteca e Biblioteca, spazi ricavati rimodellando appunto con le boiseries una parte di quella ch’era in precedenza la scuderia juvarriana, ed oggetto di parziale manutenzione prima della riapertura della Palazzina (fig. 6). Provenienti da Palazzo Reale, a seguito dello smantellamento della Biblioteca di Carlo Emanuele III e degli Archivi Particolari di Sua Maestà (tre ambienti in tutto), le boiseries costituiscono un’altra delle più straordinarie invenzioni che nobilitino gli spazi della Palazzina18. Furono eseguite su progetto alfieriano a partire dal 1738 (della Biblioteca, realizzata forse da Giovan Battista Ugliengo, è noto un disegno del 1739). Diverse nel carattere, mostrano impronte quasi evolutive, l’Antibiblioteca (certo posteriore) quale successione di armonici partimenti luminosi, appena raffrenati dalla decorazione floreale, squisito Rococò prossimo ad appianarsi in Luigi XVI, e la Biblioteca maestosa parata di scansie di eleganza sottile, ritmate dalle prestigiose lesene corinzie giganti, di sapore classico, forse anche più fine, ma ora maggiormente condizionata dalle trasformazioni che ne spezzano un po’ troppo l’andamento. Gli arredi, dismessi nella stagione degli imponenti lavori (1840-1842) di Palazzo Reale tra i quali vennero realizzate le due biblioteche del piano terra e del primo piano, rispettivamente su disegno del Melano e del Palagi, furono sistemati nel Regio Guardamobili di Moncalieri, con lavori eseguiti dal minusiere Giuseppe Cerutti nel 1843, come da nota vistata da Ernesto Melano, prima di approdare, nel 1852, nella Palazzina, dove vennero riallestiti nella Galleria, suddivisa dalle diverse pannellature, con vari interventi di integrazione, in due ambienti grandi, all’epoca denominati Sala del Dejeuner e Sala del Bigliardo, e altri due minori, Vestibolo e Buffetto. Il lavoro fu eseguito in più tempi, coi necessari rimaneggiamenti e poi con un generale ripensamento anche della finitura (che doveva essere con verniciatura a imitazione di vari legni) dal minusiere ed ebanista del re Gabriele Capello, detto il Moncalvo. Gli studi preparatori al restauro hanno consentito di distinguere in dettaglio, in base ai materiali utilizzati, ma anche alla tecnica d’incastro del legno, le parti settecentesche dai completamenti di Capello, e conoscere gli incompiuti progetti di finitura. L’Anticamera dell’Appartamento di levante fu dipinta, per quanto concerne le boiseries, negli anni 1763-1764 da parte del Perego. Se l’apparato di rivestimento ligneo, in modo inconsueto rispetto alle altre sale e comunque non con progetto unitario, si dilata dai lambriggi, incorniciature e pannelli di porte e sovrapporte, finestre, sino ai pannelli maggiori e minori che incorniciano alle pareti i “cartoni” per arazzi eseguiti nell’atelier del Beaumont, per costituire un continuo che fascia integralmente l’ambiente, si può rilevare che di quanto la superficie s’estende, altrettanto si semplifica, attestandosi su di una linea lucida e sobria, versione piemontese d’un razionale Luigi XVI, su cui si stendono STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 45


trofei di bandiere, armi, targhe, nonché nastri, fiori e racemi di semplice fattura e tocco lieve ed acquerellato. La sala è ornata da sette grandi dipinti su tela, raffiguranti episodi delle Storie di Cesare, Ciro e Annibale, già ritenuti opera di Francesco Beaumont poi assegnati ai suoi collaboratori Giovanni Domenico Molinari, Felice Manassero e Matteo Boys19. Databili tra il 1750 e il 1760 circa, vennero eseguiti su bozzetti preparatori del maestro torinese con la funzione di modelli di grandi dimensioni per la trasposizione in arazzi da parte della Regia Manifattura, formalmente istituita nel 1737 da Carlo Emanuele III e posta sotto la guida di Vittorio Demignot e dal 1743 del figlio Francesco. La scelta di destinare le tele all’allestimento di una sala della Palazzina di Stupinigi dovette avvenire a stretto giro di posta, dato che sin dal 1767 i dipinti sono attestati nell’Anticamera dell’Appartamento di levante – alias Prima Camera d’Entrata dell’Appartamento Nuovo destinato a Benedetto Maurizio Duca del Chiablese. Essi vennero inseriti nella boiserie dopo una serie di modifiche dimensionali che comportarono ingrandimenti realizzati con l’aggiunta di pezze di tela cucite o riduzioni effettuate con il taglio di porzioni di tela lungo i lati, subendo di conseguenza anche la perdita di parti figurative. In tale occasione vennero effettuati con colori ad olio le ridipinture più estese realizzate sulle zone perimetrali dei dipinti per mascherare, con pennellate corpose, le porzioni di cornici decorative rimaste, esattamente corrispondenti a quelle realizzate negli arazzi e completamente sacrificate alla nuova funzione d’arredo. Il recupero del patrimonio artistico della Palazzina di Caccia di Stupinigi ha del resto interessato anche il restauro e la revisione conservativa dei dipinti già presenti nell’itinerario di visita dell’Appartamento di levante, o esistenti in deposito e trascurati per decenni con naturali conseguenze anche sulla conservazione. Un primo lotto di interventi ha riguardato l’importante nucleo dei pastelli attribuiti a Jean-Etienne Liotard (Ginevra 1702-1789), che rappresenta uno dei vertici, per raffinatezza e spirito, degli arredi della Palazzina, assieme ad un gruppo di paracamini del pittore Giovanni Crivelli, noto animalista settecentesco di cui abbiamo più testimonianze nella Palazzina, ed alle sovrapporte di Biblioteca ed Antibiblioteca, dipinte da Giuseppe Nogari, già in stato di conservazione piuttosto critico e per le quali il restauro ha dato forse le più interessanti novità dal punto di vista storico artistico20. Un secondo nucleo di interventi ha poi riguardato il restauro di un’altra serie importante di paracamini, alcuni anche con attribuzioni di notevole nome, a partire dal Vittorio Amedeo Rapous del Gabinetto a ghiacci e finte porcellane, sino a Vittorio Amedeo Cignaroli, Francesco Antoniani, Giovanni Francesco Fariano, Anna Caterina Gili, e numerosi altri anonimi21. La serie delle 31 sovrapporte ad olio su tela contestualmente sottoposte a restauro riflette lo sviluppo del cantiere dell’Appartamento di levante, dall’originario ingresso coincidente con l’attuale Sala delle Prospettive e degli ambienti immediatamente adiacenti avviati nel 1755, alla nuova configurazione assunta a partire dal 1767 e sostanzialmente coincidente con il percorso cerimoniale. Nel complesso, i dipinti aventi funzione di sovrapporta documentano un patrimonio in sostanziale stato di integrità che ben riflette la cultura figurativa in auge presso la corte sabauda tra il sesto e il settimo decennio del Settecento, affidata ad artisti quali Pietro Domenico Olivero (entro il 1753), Vittorio Amedeo Gaetano Cignaroli e Michele Antonio Rapous con il più raro Francesco Bolgié (circa il 1763), infine Vittorio Amedeo Rapous e Christian Wehrlin tra il 1763 e il 1766. Anche le scelte iconografiche mutano radicalmente, pur restando sempre lontane dalla diretta celebrazione dinastica: dalle apprezzate scene di genere di caccia e di guerra dell’Olivero e del Bolgiè, alle più leggere ambientazioni venatorie del Cignaroli, attraverso i trionfi floreali di Michele Antonio Rapous (forse alcuni da avvicinare piuttosto alla produzione della pit46 |

6. Una visita scolastica nell’Antibiblioteca (fotografia di Franco Gualano).

trice Anna Caterina Gili) e i raffinati giochi di putti di Vittorio Amedeo, sino all’aggiornamento del Wehrlin, con vivaci composizioni di uccelli, omaggio al gusto per l’esotico. Nell’ambito del più ampio progetto di manutenzione straordinaria, di restauro e di riallestimento della Palazzina di Caccia di Stupinigi, si è collocato anche il recupero del patrimonio tessile, noto nel panorama delle residenze sabaude per l’eccezionale ricchezza22. Gli interventi hanno riguardato in primo luogo le tappezzerie dell’Appartamento di levante, ma anche un importante nucleo di arredi mobili con rivestimenti tessili destinati al riallestimento museale degli ambienti, che sono stati oggetto di vero e proprio restauro o quanto meno di una particolare manutenzione. Un recupero dettato dalla straordinaria importanza storico artistica dei tessuti che rivestono le pareti, per la maggior parte settecenteschi, seppur ampiamente danneggiati nel corso degli anni da lacerazioni, depositi di polvere e dall’esposizione alla luce e già oggetto di un’invasiva manutenzione negli anni sessanta del Novecento. Tappezzerie e mantovane in seta di diverse tipologie, databili tra la metà del XVIII e il XX secolo e documentate dagli inventari della Palazzina che presentano diverse tipologie di tessuti: tre differenti lampassi nei toni del bianco e rosso, del ciclamino e del verde, due taffetas dipinti con fondo STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 47


bianco a fiori e uccelli e un raro taffetas chiné à la branche. Dall’analisi comparata degli inventari si può dedurre che l’Appartamento di levante fu caratterizzato almeno da due momenti distinti che segnarono le scelte di gusto per gli apparati tessili: dopo la fase iniziale di allestimento degli ambienti fotografata dall’inventario del 1767, una svolta di gusto è segnata negli anni tra il 1780 e il 1805 con il rinnovamento degli ambienti negli anni napoleonici. Un discorso a sé meritano le carte cinesi23: la prima attestazione documentaria della loro esistenza nei due così detti Gabinetti cinesi dell’Appartamento di levante risale all’inventario della Palazzina del 1805, redatto dal Governo francese poco prima che la Palazzina fosse scelta come sede da Camillo Borghese, Governatore Generale dei Dipartimenti transalpini. Qui i parati sono descritti come «Une tapisserie de papier chiné à figures qui fait le tour du cabinet avec baquettes sculpturée et dorée, et blanches». Per lo meno sino al 1780 le pareti dei due ambienti risultavano però rivestite da una tappezzeria di péquin a fiori e arabeschi su fondo bianco. Le carte dei due salotti vennero dunque poste in opera tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX e non è da escludere che possano riferirsi anche a questi parati i pagamenti registrati nel 1781 e nel 1783 al tappezziere Costanzo Guglielmo per la stesura di carte nelle camere dell’Appartamento Reale e in quelle destinate alle Dame di Madama Felicita, alla quale erano stati assegnati proprio gli ambienti dell’Appartamento di levante. Si può supporre che si tratti di carte non destinate direttamente a tali ambienti ma disallestite da altre sedi, forse da sale della stessa palazzina (dall’Appartamento dal Re?, come potrebbero far supporre i documenti sopra citati), o da altre residenze piemontesi e non solo: evidenti mancanze lungo i bordi laterali dei vari pannelli potrebbero essere conseguenti all’impossibilità di recuperare le parti marginali forse fissate al muro o su listelli lignei; si spiegherebbero così anche le tracce di frammenti di intonaco ritrovate sul verso delle carte in punti in cui l’intonaco delle due stanze si trovava in perfette condizioni conservative. La presenza inoltre di numerosi segni e di strappi evidenti sulle carte può essere ricondotta ad un intervento di stacco dal muro, mentre le grinze e le pieghe che interessano le carte derivano dalle modalità di applicazione sull’intonaco effettuato da maestranze locali con poca dimestichezza con questa tipologia di carte dipinte e una conoscenza non approfondita dei loro materiali costitutivi. Messi a nudo gli intonaci per i lavori sui parati, è intanto riapparsa la dimensione quotidiana del cantiere, con l’azione concreta degli artigiani, risvolto interno del suo «volere artistico»: nella scrittura antica, sulle chiare superfici, si precisa che l’intonaco dell’Anticamera è finito «Sopra l’anno 1762». Ecco emergere i nomi degli indoratori che si dividevano per settori lambriggi e stipiti, Pace, Allonardi, Riccardi o Monticelli, ecco l’indicazione dei colori delle tappezzeria «verde e biancha» (nel Gabinetto del Pregadio), e ancora lo schizzo dei ganci per i baldacchini dei letti (Salotto), e persino disegni di tavoli, volute decorative, prospetti colonnati, ingressi decorati; sui muri della Sala delle Ghiacce, v’è una rapida evocazione della cupola dell’edificio centrale, in anni in cui se ne discutevano ed eseguivano le modifiche alfieriane, quasi roccia incombente, ma governata da progetto umano; un’altra interpretazione, con la balaustra, se ne dà nell’odierna Sala da Pranzo, insieme a schizzi di facciata, arco di trionfo, galleria; nella Sala del Bonzanigo, uno schizzo dei vasi di coronamento e altro forse d’un campanile: oltre al lavoro, dunque, segni di passione, dialoghi e serrato confronto, sino a creare un repertorio che andrà studiato24. Alla rifunzionalizzazione degli impianti del Levante e ai cantieri degli apparati fissi, hanno poi fatto seguito, dopo i restauri, che hanno naturalmente mirato a ricostruirne, oltre all’immagine, anche la funzionalità, la scelta e l’accostamento degli arredi da proporre nel riallestimento25. 48 |

Non si trattava certo di mancanza di rispetto nei confronti di un esito globale di cui si conoscevano sia le ragioni profonde sia le molteplici esigenze concrete, stratificate sin dai tempi delle attenzioni del Telluccini, particolarmente tra gli anni 1920-1925 con la creazione del Museo dell’Ammobigliamento, per finire al ripensamento di Noemi Gabrielli in preparazione alla Mostra del Barocco del 1963; ma le cospicue, progressive alterazioni del percorso di visita, che non coincideva più né col percorso cerimoniale della residenza settecentesca, né con l’originario itinerario museale novecentesco, e insieme una serie di spostamenti o eliminazioni di arredi, dettati da avvenimenti contingenti come allestimenti di mostre o di set cinematografici, per non dire di più spicciole necessità di custodia, o di avvicendamento di pezzi non più in buone condizioni, purtroppo senza una ratio che potesse lasciar sopravvivere la giusta visione d’insieme, sia pur sminuita, avevano cominciato a compromettere, almeno dalla fine degli anni novanta, l’intelligenza delle proposte superstiti. Per un altro verso ancora, i mobili e arredi prescelti per il riallestimento dell’Appartamento di levante, che fanno riferimento sia al riallestimento Gabrielli, sia alle scelte effettuate da Telluccini, già ricordati, comprendevano una scelta vastissima di pezzi, facenti parte non soltanto dell’arredo in varie fasi progettato per la Palazzina, ma provenienti da altre residenze, sabaude e no, il che accresceva il disorientamento. Da tempo perciò, già prima della chiusura decisa nel 2006 per l’avvio dei cantieri impiantistici, quando il museo scontava anche l’impoverimento determinatosi dopo il furto del febbraio 2004, Stupinigi era divenuto indecifrabile: fornito di chiavi di lettura ormai sconnesse e parziali, alle prese con una comunicazione didattica che non rispecchiava che in parte lo stato degli studi sulla cultura figurativa e di arredo settecenteschi in Piemonte come nelle altre sedi, il visitatore non riusciva più a distinguere con chiarezza né la ricchezza delle dotazioni settecentesche della residenza, né il quadro complessivo del museo. Chi si trova a dover attuare delle scelte per come restituire alla fruizione pubblica una residenza dalla storia così complessa come la Palazzina di Caccia di Stupinigi, dopo anni di approfondite ricerche e di diversificati interventi di restauro, non può che chiedersi quale senso di identità di quel luogo voglia trasmettere. E il dubbio non è certo se si possa ripresentare l’Appartamento di levante nel suo aspetto originario di residenza del duca di Chiablese, nemmeno proponibile, date le profonde trasformazioni succedutesi nel corso dell’Ottocento e del Novecento, ma piuttosto quanto e come il museo attuale debba rispecchiare gli episodi storici più interessanti della sua vita di residenza e della successiva musealizzazione, quanto cioè debba anche essere museo che musealizza la sua storia. I risultati delle indagini storico-documentarie e la catalogazione di tutte le opere della Palazzina ormai effettuati avevano fornito un efficace sostegno conoscitivo e di documentazione per i cantieri di restauro, garantendo nel contempo un rinnovato supporto scientifico per le scelte di riordino del museo. E la ricognizione completa e l’informatizzazione degli inventari e dei cataloghi della residenza e del museo in un ampio arco cronologico, che si estende ormai dalla seconda metà del Settecento agli anni sessanta del secolo scorso, ha anche permesso di comprendere le trasformazioni degli ambienti in ordine a declinazioni diverse, quali decorazione, arredo mobile e fisso, destinazione cerimoniale e di mappare collocazioni e spostamenti dei singoli componenti d’arredo. Insomma, il riordino era ormai ineludibile, anche tenendo conto di nuove riflessioni sulle attuali concezioni museografiche e museologiche. Ed è ormai chiaro che se gli Appartamenti del Re e della Regina, adiacenti al Salone centrale, sono almeno in parte in grado di rievocare la grazia brillante degli ambienti juvarriani, ricchi delle volte affrescate più belle della Palazzina, e gli Appartamenti di Carlo Alberto e di Carlo Felice potranno in futuro testimoniare i fasti dell’età napoleonica e di quella della Restaurazione, le sale del STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 49


Levante sono invece quelle maggiormente deputate a mostrare, oltre agli allestimenti alfieriani, per altro verso i più complessi e variati della Palazzina, gli esiti degli episodi di musealizzazione, a partire dagli anni venti. L’arredo alfieriano originale aveva subito aggiornamenti in età neoclassica, spostamenti e trasformazioni in epoca napoleonica, con Camillo e Paolina Borghese, e ancora alla fine del XIX secolo, quando la regina Margherita aveva eletto le sale a residenza estiva continuativa. In seguito, dopo la dismissione nel 1919 dal Patrimonio della Corona ed il passaggio al Demanio dello Stato, quest’area era stata prescelta dalla Commissione presieduta da Telluccini come meta privilegiata degli arrivi contestuali alla creazione del nuovo museo, e l’aspetto complessivo degli ambienti, ch’erano ancora conformi ad un gusto eclettico sontuoso e ridondante dell’epoca regina Margherita, venne alleggerito, puntando piuttosto sulla qualità di pezzi selezionati da altre residenze sabaude, tra cui Palazzo Reale, la Reggia di Venaria, Villa della Regina, Moncalieri. Ne va chiarito il meccanismo: in tutte le residenze, in effetti, a seguito del passar delle mode o di vicende contingenti, tanti arredi potevano essere «declassati» nei Guardamobili26; ovunque, infatti, ogni nuovo assetto determinava per solito l’almeno parziale abbandono dell’ammobiliamento ritenuto ormai superato, i cui singoli elementi ritenuti d’eccellenza venivano tuttavia conservati in depositi a ciò deputati, riordinati secondo una periodica redazione di inventari, e pronti per futuri riutilizzi, anche in sedi diverse da quelle d’origine.

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7. G. Galletti, Scrivania, Gabinetto di passaggio, a metà pulitura (fotografia Musei Reali, archivio).

Il nuovo allestimento si è proposto pertanto di presentare nelle sue sale, il cui arredo fisso appare sostanzialmente assestato a fine anni settanta del Settecento, con esclusione delle tappezzerie, gli arredi mobili storici pervenutici, ambientati secondo le più recenti indicazioni della ricerca documentaria, e integrati da nuclei di capolavori da altre residenze, disposti per criteri tematici o cronologici aggiornati, per offrire il miglior saggio delle produzioni piemontesi (e a volte non solo) lungo il secolo XVIII, e sino agli esordi del successivo. Il percorso museale restituisce globalmente le diverse fasi della cultura stilistica e l’evoluzione delle differenti tecniche professionali e realizzative. Si possono perciò cogliere, a complemento, anche i contributi di residenze importanti come Parma e Colorno, con cui, già all’epoca, stretti rapporti culturali erano stati favoriti da qualificati intermediari, mentre per i più cospicui nuclei piemontesi si dà conto delle novità introdotte dagli studiosi di settore in ordine alle distinzioni d’epoca e di mano, quindi, ad esempio, il passaggio dai mobili del Prinotto a quelli del Piffetti (quando forse non integrati in un medesimo capolavoro, come la scrivania di Diana), e ancora a quelli del Galletti, talvolta riconosciuti dalle descrizioni nei documenti (come quello ora nel Gabinetto Cinese minore); si possono ora distinguere, grazie agli inventari, gli assoli da virtuoso di un Francesco Bolgiè (lo stipo scrivania bianco azzurro), all’interno dell’aulico filone di cui il Bonzanigo determina per gran parte caratteri ed eccezionalità di livello27 (fig. 7). Altri aggiornamenti riguardano, tanto per esemplificare, i tavoli oro e nero con piani a cineserie, ora ricondotti a manifattura tedesca (su basi probabilmente nostrane), trasferiti dalla Biblioteca alla Sala da Gioco, lo stipo scrivania della Saletta di Passaggio, nel frattempo riconosciuto dal Gonzales Palacios a Giuseppe Maggiolini; i due tavoli a muro provenienti da Colorno, in passato nella Sala delle Prospettive e ora nella Sala da Pranzo, e probabilmente in rapporto con idee di Petitot, la scrivania da viaggio nello stesso ambiente, di cui si è evidenziata una probabile produzione piemontese, anche per l’uso della filettatura in verde (verderame?). Oltre alla riproposizione della storia della minuseria ed ebanisteria nel corso del Settecento e sino agli inizi del secolo successivo, il progetto museologico ha voluto tener conto anche di tematiche particolarmente significative nei riflessi del percorso stilistico all’interno della Palazzina: sono stati perciò collocati, nelle sale più consone a tale obiettivo, arredi che testimoniano, in modo davvero delizioso, il diffuso gusto per le cineserie che viene a connotare alcuni decenni del Settecento. Il completamento architettonico e di arredo della Palazzina viene del resto effettuato per lo più in un’età, quella di Carlo Emanuele III, in cui la politica matrimoniale e dinastica dei Savoia porta la corte ad interagire con le case regnanti dei Wittelsbach e di Assia, e infine anche degli Asburgo, in una rete di concorrenza europea anche artistica, dove non si poteva non gareggiare ad alto livello, e addirittura cercar d’imporsi. Ma non si è dimenticato di riprendere, nell’allestimento, qualche esempio di quegli accostamenti eclettici tipici del tardo Ottocento e del gusto regina Margherita, particolarmente significativi in un ambiente come quello della Sala da Gioco. Vale ancora la pena di sottolineare che i diversi allestimenti degli arredi mobili, per quanto possibile coerenti, solo in parte possono essere ripercorsi in senso strettamente cronologico, in quanto l’ordinamento non può non tener conto sia dell’omogeneità o almeno complementarietà con l’arredo fisso, che dei vincoli posti dalle dimensioni degli ambienti. Vicende storiche che lasciano sbigottiti a ripercorrerle, col mutamento di stati, monarchie, assetti dinastici, hanno spesso per gran parte compromesso lo straordinario patrimonio di manufatti che un’irripetibile stagione creativa aveva concretizzato in Piemonte, sul filo del miracoloso equilibrio che legava svariatissimi apporti d’arte e di mestiere in una cultura ed un gusto unitari e per STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 51


8. Particolare del tetto a padiglione. 9. Restauro della cancellata, 2014 (fotografia di Franco Gualano).

Nelle pagine seguenti 10-11. Stupinigi, Palazzina di Caccia, Sala degli Scudieri (fotografie di Giacomo Lovera). 12. V.A. Cignaroli, Sortita di Vittorio Amedeo III dalla Palazzina di Caccia per andare al “lasciar correre”, 1771-1777, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Sala degli Scudieri (fotografia di Giacomo Lovera). 52 |

tutto riconoscibili; ma il fortunato, e talora fortunoso, recupero di tanti capolavori in seguito confluiti nella sede mauriziana nutre oggi l’esigenza d’un forte senso di responsabilità conservativa e genera al tempo stesso la percezione d’una sorta di altissima finalità anche nel proporre e mantenere un’adeguata fruizione di arredi che non possiamo più vedere nelle sedi d’origine, oggi avviate ad altri destini, quando non compromesse o sminuite, ma di cui non è tuttavia nemmeno pensabile poter fare a meno, in quanto testimonianze irrinunciabili d’eccellenza ed ingegno umani. Confidiamo così che l’ormai proverbiale «doppia anima» della Palazzina di Stupinigi, la feconda complementarietà tra la residenza settecentesca (con le sue varie fasi) e l’articolata vicenda del Museo dell’Ammobigliamento a partire dagli anni venti, continui anche ad alimentare il respiro ed il fascino del capolavoro juvarriano. L’itinerario dei restauri e delle visite all’interno della Palazzina si è potuto inoltre arricchire, dopo il 2011, di due ambienti contigui al Salone centrale che ne ampliano certo l’interesse, consentendo di sottrarre ai rischi del degrado opere di grande prestigio: si tratta di ambienti del nucleo juvarriano, decorati entro il 1737, ma entrambi interessati da rimaneggiamenti intervenuti già a pochi decenni dalla realizzazione (a partire dal 1767). Nella Sala degli Scudieri (figg. 10-12), durante il restauro, si è potuto finalmente osservare da vicino e rilevare la parte affrescata dal Crosato sopra il soffitto della contigua Cappella, con la raffinata figura di un paggio, la cui visibilità ristabilisce i giusti legami con le figure degli altri coretti; inoltre si è risanata la boiserie con i trofei di caccia su fondo blu dipinti da Angelo Vacca, e soprattutto si è recuperata un’efficace visibilità e comprensione del ciclo delle tredici tele con soggetti venatori eseguite da Vittorio Amedeo Cignaroli tra 1771 e il 177728. Nell’Anticappella29, in passato mensa degli ufficiali, si è invece pienamente riSTUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 53


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13. Salone juvarriano (fotografia di Ernani Orcorte).

Nelle pagine seguenti 14-15. Stupinigi, Palazzina di Caccia, l’Anticappella e la Cappella di Sant’Uberto (fotografie di Giacomo Lovera).

scattata la volta dipinta da Crosato e Mengozzi Colonna dalla condizione di rischio in cui versava, ed è stato confermato che al centro della stessa, dove certo si trovava un episodio non più in carattere con la nuova funzione della sala, una porzione di affresco era stata eliminata e, dopo aver steso nuovamente l’intonaco, era stata eseguita una nuova, semplice, quadratura architettonica da parte di Giacomo Borri (figg. 14-16)30. L’attenzione nei confronti degli esterni si è poi concretizzata, dal punto di vista storico artistico, col restauro della grande cancellata della corte d’onore, di cui si è riproposto un grigio chiaro ad imitazione di quello prospettato da Juvarra, idoneo alla creazione d’un lieve diaframma tra due successive porzioni di edificato, senza certo introdurre nessuna idea di chiusura spaziale31 (fig. 9). Il 2015 è stato l’anno del restauro del Salone centrale, nodo essenziale delle scelte architettoniche di Filippo Juvarra32; allestito tra il 1732 e il 1734, continuato nel 1739 con Tommaso Prunotto, fu poi affidato a Benedetto Alfieri, che concepì nel 1764 l’attuale grandioso tetto a padiglione, allusivo ad un coperto provvisorio allestito per le battute di caccia (fig. 8). Ma all’interno lo Juvarra è ancora una volta riuscito a declinare la bellezza in termini irraggiungibili per la maggior parte degli altri architetti, e anche per merito della pittura da scenografia teatrale dei Valeriani, che pure ha offerto qualche motivo di critica33: ma conta soprattutto come è stata inserita, e com’è divenuta tutt’uno con lo spazio architettonico. Non esiste piano di fondo, nel Salone, dilatato tra i diaframmi sempre variabili per dimensioni e luminosità che fanno osmosi con gli ambienti laterali; e dove passaggi e spazi non sono reali, soccorre la pittura a riproporli con l’illusionismo: non si è mai sicuri di quel che si vede, tra pilastri a finte scanalature, finte nicchie, figure che sbordano dalle cornici e particolari di ornato dipinto che si ispessiscono nello stucco, come reclamando maggiore realtà (fig. 13). Il restauro ha consentito, con lo sguardo ravvicinato, di rilevare con precisione tutti questi tesori d’inventiva, e poi di restituirceli in condizioni tali da farceli apprezzare al meglio. In questo sfavillante padiglione da giardino, in questa Wunderkammer, in questa conchiglia dove esplode la gioia delle feste, solo i trofei di caccia dei paracamini o le lugubri teste di cervo con corna vere poste tra i finestroni, forse allusione alla triste fine di Atteone, il cui mito è raffigurato nei tondi a monocromo34, sembrano oggi ricordarci che la vita, anche quella splendida della corte, è caduca. Il restauro della balaustra, ha infine consentito di porre l’accento, con l’avvenuto riscatto di tutto l’apparato ligneo, comprendente le dorate figure ceroferarie che l’animano, probabilmente introdotte dopo l’epoca juvarriana, su di una componente finora non ancor troppo evidenziata nella Palazzina, come quella genovese: le quattro sculture più belle, raffiguranti le Stagioni, richiamano singolarmente opere similari di Filippo Parodi, e insieme rimandano alla serie dei delfini restaurati per il 2011 e collocati nella Sala da Gioco, col muso così espressivo da trasfigurarsi spontaneamente in esotico, la cui provenienza non è ancor stata ben chiarita35. Con i lavori del Salone si è naturalmente toccato uno dei culmini del lungo lavoro di questi anni, ed è ormai storia di ieri. L’ultima storia, quella odierna, che concerne l’Appartamento della Regina, viene raccontata, per la prima volta in dettaglio, in questa sede, in una serie di saggi a parte.

16. V.A. Rapous, Il miracolo di Sant’Uberto, 1768, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Cappella di Sant’Uberto (fotografia di Giacomo Lovera). Veduta di Stupinigi sotto la neve (fotografia di Franco Gualano). 56 |

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Tali lavori di restauro sono stati realizzati con fondi del Ministero Beni Culturali a seguito di Accordo Quadro (2001) con Regione Piemonte e Fondazione Ordine Mauriziano. Sugli intenti, la ricerca d’archivio, la progettazione, gli operatori impegnati, i lavori in dettaglio, e anche i restauri del passato, si può consultare La Palazzina di Caccia 2014, comprendente tutta la bibliografia attinente. 2 Si veda, in proposito, Bava, Gualano 2014a, da p. 211. 3 Di Macco 1989, pp. 43-44, che registrava l’inizio del dibattito sui restauri della Palazzina nelle varie discipline. 4 La questione è ampiamente trattata in Il progetto per interventi 1994. Gli interventi architettonici sono sostenuti da Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Maurizio Momo e altri; dal lato storico artistico le questioni metodologiche sono presentate da Pinto 1994, pp. 31-33, e Di Macco 1994, pp. 157-169. Per il cervo ladattiano, si cfr. Ang. Griseri 1996, e ora Di Macco 2014. 5 Sulla Palazzina, oltre a Museo dell’Arredamento 1966 e Mallé 1968, si vedano ancora Gritella 1987 e naturalmente Stupinigi. Luogo d’Europa 1996, retaggio dei restauri ricordati in apertura, ed ora La Palazzina di Caccia 2014. Per il periodo napoleonico, si cfr. Le delizie di Stupinigi 1997, e in particolare il contributo di Ballaira, Ang. Griseri 1997, pp. 57-66. Sugli interventi alfieriani nella Palazzina, si veda almeno Bellini 1978, passim. 6 Sui caratteri stilistici e decorativi dell’Appartamento di levante si veda, in particolare, Mossetti 1996, da p. 83; le osservazioni qui riassunte trovano peraltro particolare rispondenza con quanto avanzato in Gualano, Sandri 2014, da p. 227, e nelle schede relative, 1, 2, a nome degli stessi autori, e 3, a nome di R. Bianchi, E. Carbotta e F. Gualano in La Palazzina di Caccia 2014, alle pp. 235, 241 e 245. 7 In Gualano, Sandri 2014, p. 228 e fig. 89. 8 Griseri 1996, p. 74. 9 Si cfr. ora in R. Bianchi, E. Carbotta, F. Gualano, scheda 3 La volta a ghiacci, in La Palazzina di Caccia 2014, pp. 245-252. 10 Esse sembrano appunto spiegabili alla luce della non contemporaneità di alcune lavorazioni: ad esempio, le porzioni d’intonaco sopra le porte, dai margini troppo evidenti, sono in effetti esito d’un rimaneggiamento murario che ha comportato l’abbassamento dei cielini, come è emerso dallo smontaggio delle tele sovrapporta degli ambienti attigui. Anche le superfici dipinte della parete mostrano differenze tecniche rispetto al resto della sala, e la spiegazione è forse che potrebbero esser state dipinte nella seconda fase; dal confronto con la planimetria primitiva, sembra di capire che su tale parete esistesse un’apertura centrale, poi tamponata e sostituita con le due aperture ora visibili, il che comportò il rifacimento delle decorazioni, e quei pochi anni segnarono anche una certa crescita del pittore. Inoltre la volta maggiore, le passate di porta e l’intera superficie del piccolo andito finestrato si discostano dal resto per la tecnica esecutiva, come se in esse si mostrasse all’opera un collaboratore o collega che sceglie diverse modalità di riporto del disegno e s’avvale d’una gamma cromatica non coincidente: potrebbe essere Gio Francesco Cassinis, per analogia coi cielini della prima Anticamera dell’Appartamento di Ponente e di una passata di porta, non a caso la stessa sulla cui superficie si legge la scritta “francescho”. 11 Museo dell’Arredamento 1966, pp. 52-53. 12 Si veda in Cultura figurativa e architettonica 1980, I, p. 16, scheda di F. Dalmasso. 13 Si rimanda anche alle osservazioni in proposito in Gualano, Sandri 2014, p. 234 (gli affreschi sono visibili alla tav. 141), dove si riferisce dell’ipotesi di Elisabetta Ballaira (riferita a voce) che l’ambiente possa essere in relazione al più facile utilizzo d’un teatrino effimero organizzato in esterno in anni napoleonici. I possibili riferimenti ad un ambiente del genere del nostro (definito «corridoio di comunicazione») erano presentati, prima della scoperta delle pitture, in Ballaira, Ang. Griseri 1997, pp. 63-64, dove si ricorda il pittore e scenografo Fabrizio Sevesi, pagato nel 1812 per le pitture relative (da Schede Vesme 1968, III, pp. 986-989). 14 L’argomento è più ampiamente trattato in Fabaro, Gualano 2014, da p. 253, e nelle schede relative, 4, a nome di M.D. Fabaro, F. Gualano, e 5, a nome di A. Curti, F. Gualano, in La Palazzina di Caccia 2014, pp. 259 e 263. 15 Mossetti 1996, p. 94. 16 Si vedano in proposito le osservazioni e la bibliografia riportate in Fabaro, Gualano 2014, p. 254. 17 Giuseppe Dardanello, comunicazione a voce. 18 Sulla storia delle boiseries, si veda in particolare il contributo di Cornaglia 1998, pp. 123-136, e altre osservazioni in Fabaro, Gualano 2014, pp. 255-256, e A. Curti, F. Gualano, scheda 5, L’Antibiblioteca e la Biblioteca, in La Palazzina di Caccia 2014, pp. 263-265. 19 Per quanto riguarda il restauro del ciclo in questione e più in generale dei dipinti su tela conservati nell’Appartamento di levante si confronti Bava, Canavesio, Fabaro 2014, da p. 285, con la bibliografia attinente. Sulla scuola torinese degli arazzi e i diversi esecutori, si veda ora Graffione 2016, da p. 171. 20 W. Canavesio, scheda 7, Le sovrapporte dell’Antibiblioteca e della Biblioteca, in La Palazzina di Caccia 2014, pp. 299-301. 21 W. Canavesio, scheda 6, I paracamini, in La Palazzina di Caccia 2014, pp. 295-297. 22 Si veda Bava, Carbotta 2014a, da p. 267. 23 Confronta Bava, Carbotta 2014b, da p. 277, con la bibliografia citata. 24 Sugli intonaci del Levante, più ampiamente in Gualano, Sandri 2014, cit., da p. 227. Un esempio delle figurazioni alla tav. 86. 62 |

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Anche su questo tema complesso, si cfr., più ampiamente e con la bibliografia relativa, Bava, Gualano 2014b, pp. 329-345, nonché Ballaira, Damiano, De Blasi, Failla 2014, pp. 353-367; e ancora Spantigati 2014, pp. 115-133. 26 Ragusa 1987, pp. 199-214. 27 La discussione relativa agli aggiornamenti dei dati sugli arredi mobili si può ripercorrere nei testi qui ricordati, che comprendono naturalmente la bibliografia attinente: Curti, Gualano 2014; F. Gualano, schede 8, 9, 10, 11 in La Palazzina di Caccia 2014; Bava, Gualano 2014b (particolarmente nell’itinerario stilato sala per sala). Per la riapertura del Levante la Consulta effettuò anche il difficile restauro dei dodici medaglioni con ritratti di conti e duchi sabaudi, su cui Genealogie figurate 2011. La loro tipologia pare in connessione anche con quella dei medaglioni con busti di Cesari che appaiono in un disegno di Alfieri e Martinez riferito alle decorazioni del Salone delle province di Palazzo Madama (cfr. Sculture nel Piemonte 2005, p. 46) come rilevato da Ilaria Fiumi (comunicazione a voce). 28 Sui lavori di restauro, finanziato con fondi della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, e sulle nuove acquisizioni, si veda Bava, Gualano 2012, pp. 39-43, e Le cacce del Re 2012 comprendente diversi contributi. 29 Gli interventi di restauro dell’Anticappella sono stati finanziati dal Ministero dei Beni Culturali per quanto concerne la volta, e dalla Consulta per le boiseries, nonché la cappella vera e propria. 30 Sui lavori nel 2014 effettuati nell’Anticappella si può utilmente consultare Bava, Gualano 2014c, e Il sentimento religioso 2014 con contributi storico artistici e altri più propriamente tecnici. 31 Il restauro è stato realizzato con fondi FESR. 32 Finanziato con fondi della Consulta. 33 Alludiamo ad esempio a Gabrielli 1966, pp. 89-90, e a Mallé 1968, pp. 95-98. Nostre considerazioni in Bava, Gualano 2015, pp. 15 e 24-25, nota 15. Si veda ora anche Griseri 2014, da p. 39, ma pure il precedente Griseri 1996. Sugli aspetti decorativi del Salone, si veda ora anche Dardanello 2007, passim. 34 Sulla complessa simbologia della caccia e dei suoi significati, si cfr. Bava, Gualano in c.d.s. 35 Si cfr., più ampiamente, in Bava, Gualano 2015, pp. 16-21.

STUPINIGI E IL PRIMATO DELLA BELLEZZA | 63


STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME Cristina Scalon

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Provvedimento con cui Emanuele Filiberto conferisce la prima dotazione all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

a Bolla Pontificia del 13 novembre 15721 sanciva la nascita dell’Ordine militare-cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro2 e, al contempo, ne stabiliva le finalità, tra cui quella dell’assistenza che si è perpetrata nei secoli fino ai giorni nostri. Emanuele Filiberto di Savoia, duca sabaudo e Gran Maestro dell’Ordine, per consentire alla «neonata» istituzione di perseguire i fini di primaria importanza sociale, con atto notarile del 29 gennaio 15733 la dotò dei redditi dei castelli e luoghi di Stupinigi, Sommariva del Bosco, Cardè, Caramagna, Settimo Torinese, La Margarita di Tronzano, Cavoretto, Scros, Cainea, Tosone, Burges, Aiguibelle, Pont d’Ain, Jasseron, Tréfort, e dei proventi derivanti dalla gabella del vino in Savoia, del sale in Piemonte e del dazio di Susa (fig. 1). Le rendite derivanti dalla donazione consentivano all’Ordine il suo funzionamento, mentre i redditi della Commenda di Stupinigi erano destinati in particolare al mantenimento dell’attività assistenziale dell’Ospedale della Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro, fondato da Emanuele Filiberto nel 15754 a Torino presso Porta Doranea (attuale quartiere di Porta Palazzo). Nel corso del XVII e XVIII secolo bolle pontificie e altre donazioni private contribuirono ad incrementare il patrimonio mauriziano e l’Ordine, con oculatezza e sensibilità, non solo fece fronte alle necessità, ma anche intraprese nuove attività, sempre nel rispetto delle finalità originarie5. Il sovrano sabaudo, nelle sue vesti di Gran Maestro dell’Ordine, godeva di assoluta autonomia, e non mancava di servirsene per realizzare con relativa facilità quanto sarebbe stato invece difficile perseguire come capo dello Stato sabaudo, soprattutto quando impegni economici e finanziari fossero gravati sulle casse demaniali o anche sulle casse della Real Casa. L’abito del Gran Maestro consentiva invece di assumere iniziative e prendere decisioni che non potevano riguardare il governo dello Stato, ma che rientravano nella sfera personale o che gravitavano ai margini di essa; e soprattutto i relativi costi sarebbero stati previsti e coperti in tutto o in parte dalle rendite dell’Ordine. In questa prospettiva va letta la volontà di Vittorio Amedeo II di esercitare la caccia, ormai dismessa la Venaria Reale, su possedimenti dell’Ordine, e di far progettare e costruire un casino da caccia a Stupinigi, ove già il disegno del territorio vedeva rotte e rottine che percorrevano il tenimento, disseminato di cascine e poderi e ricco d’acque. Nel 1729 inizia il cantiere della Real Fabbrica di Stupinigi che si protrae fino a fine secolo sotto la guida di illustri architetti e misuratori; il territorio è la scenografia su cui opera l’abate Filippo Juvarra, e il genio messinese lo legge, lo studia e lo modifica in funzione dell’ideologia e della politica sabauda, delle esigenze venatorie e del gusto del committente, senza tuttavia stravolgerlo (fig. 2). Il risultato è la scelta di costruire la Palazzina in asse con la Capitale, con un corpo centrale a croce di Sant’Andrea da cui si dipartono rotte e rottine di caccia | 65


2. Particolare di mappa della Commenda di Stupinigi prima della costruzione della Palazzina di Caccia: l’edificio in colore rosso è il Castelvecchio, e a destra di questo si intravede a matita lo schizzo della croce di Sant’Andrea, futuro corpo centrale della Palazzina. In AOM, Mappe e Cabrei, Stup.XVIII.7, ante 1729.

sapientemente corrette o ridisegnate con rondò, con un viale d’accesso su cui si ritrovano, nelle stesse misure e dimensioni, alcune cascine che prima costellavano il tenimento, là demolite perché il sovrano voleva spazi liberi anche alla vista, e qui ricostruite6 (fig. 3). Stupinigi nelle carte dell’Archivio dell’Ordine Mauriziano Con Regio Viglietto 11 aprile 1729 il sovrano sabaudo stabilisce la costruzione della Palazzina di Caccia, e lo trasmette all’Ordine7: «Il Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, Generale Gran Mastro. Consiglio della Sagra Religione ed Ordine nostro Militare de’ Santi Maurizio e Lazzaro. Ci siamo determinati di far construere una nuova fabrica nelle vicinanze di Stupiniggi secondo il Disegno, che vi facciamo rimettere, qual Fabrica dovrà in avvenire restar unita ed affetta à quella Commenda; e siccome intendiamo che tal travaglio si faccia ripartitamente, cioè con far mettere a coperto detta Fabrica nel corso dell’anno corrente, e si compischi poi al rimanente nell’anno venturo 1730; dovrete pertanto dar prontamente in tal conformità le vostre disposizioni per farvi mettere quanto prima la mano». Il Consiglio provvede immediatamente con sua disposizione a dar corso alla volontà del Gran Maestro, assumendo gli atti e i provvedimenti di propria competenza: «In seguito alla lettura del sovra descritto Viglietto si sono date dal suddetto Conseglio li seguenti disposizioni. In primo luogo si è nominato il sig. Prunoto di Guarene per Direttore della Fabrica sudetta, e rimesso al medesimo il dissegno d’essa, acciò lo porti al sig. Abbate Juvara per farvi quelle aggiunte e variazioni ordinate da S.A.R. […]»8. Il sovrano, nel suddetto Regio Viglietto, non manca di dare disposizioni in merito alla gestione economico-finanziaria e patrimoniale dell’impresa: «Rispetto 66 |

1. Atto di registrazione presso la Camera dei Conti del provvedimento con cui Emanuele Filiberto conferisce la prima dotazione all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. In AOM, Scritture della Religione de’ SS. Maurizio e Lazzaro. Donazioni, Assegni e Cessioni fatti dai Duchi di Savoia e da Pontefici per la dotazione della Sacra Religione. Permute diverse di terre, beni e redditi dotali, M.1, fasc. 4, 1573, 27 febbraio.

poi al fondo necessario per suplire alla spesa suddetta, abbiamo ordinato al Generale delle nostre Finanze di farvi provvedere nell’anno corrente la somma di lire 33 mila, che farà pagare nelle mani del vostro Tesoriere, ed a suo tempo vi faremo poi provvedere il rimanente fondo, che vi sarà di bisogno per compimento della fabrica suddetta, de’ quali fondi dovrete poi farne rimborzare le suddette nostre Finanze con far annualmente pagare alle medesime lire 7 mila de’ Redditi di detta Commenda, che restano presentemente liberi, come vedrete dal qui gionto stato sin all’intiera estinzione delle somme, che vi verranno come sovra anticipate […]. Quanto a Boscami sia da lavoro, che per le Fornaci, che dovranno farsi per detta Fabrica, gli farete prendere ne Boschi della medesima Commenda, facendo però invigilare che nel tagliamento d’essi non s’ecceda in verun modo il necessario et indispensabile, e non venghino quelli devastati, e senza più preghiamo il Signore che vi conservi». In osservanza il Consiglio dà le disposizioni per le procedure da adottare nell’affidamento lavori, per la gestione contabile, per le forniture dei materiali, nonché in merito alla fornace da farsi sul luogo: il tutto dovrà essere controllato dal Direttore dei Lavori9. Da allora quella che noi oggi chiameremmo «gestione della pratica» è affidata all’Ordine, che negli anni provvederà anche a proprie spese non solo alla costruzione e ai successivi ampliamenti, ma anche alla realizzazione degli apparati decorativi interni e dei giardini, alle riparazioni e manutenzioni, nonché al pagamento di architetti, misuratori, maestranze e fornitori. È questa la ragione per cui la storia costruttiva della residenza sabauda di Stupinigi non si può trovare e leggere, come altre residenze, nell’Archivio di Stato di Torino, bensì nell’Archivio dell’Ordine Mauriziano, ove sono conservati, in diverse tipologie documentarie, atti e provvedimenti relativi a lavori e interSTUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME | 67


3. Il cosiddetto “buco di serratura”. Particolare di mappa della Commenda di Stupinigi (nota come mappa Denisio, dal nome del suo autore) durante la costruzione della Palazzina di Caccia e del suo concentrico: sono chiaramente già visibili il Corpo centrale e gli Appartamenti Reali, il giardino, e alcune cascine allineate lungo lo stradone di accesso, che collega direttamente la residenza con il centro della Capitale. In AOM, Mappe e Cabrei, Stup.XVII.10/1-2, 1762-1763.

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venti che hanno interessato l’immobile e il territorio limitrofo, modificato in funzione della residenza. Ricca messe documentaria relativa alla vita e agli abitanti della residenza, agli eventi storici che ivi si sono svolti e alle vicende che si sono susseguite fino al 1925-1926 si trova invece negli Archivi di Stato di Torino e Firenze, quando queste furono Capitali del Regno e poi d’Italia, e presso l’Archivio Centrale dello Stato a seguito del trasferimento della capitale a Roma. Per il periodo di dominazione francese bisogna far riferimento anche agli archivi francesi. La distribuzione delle carte in più istituti di conservazione riflette la complessa storia della Palazzina: questa fece parte della dotazione della Corona fino al 191910, quando venne retrocessa al Demanio dello Stato; successivamente nel 192011 la stessa venne assegnata in uso al Ministero della Pubblica Istruzione con destinazione a sede di Museo di Storia, di Arte e di Ammobiliamento. Solo nel 192512 la Palazzina fu assegnata in proprietà all’Ordine, e nel 192613 venne assegnato in proprietà all’Ordine anche l’arredo del suddetto Museo; tuttavia dagli ultimi inventari dei beni mobili e degli oggetti d’arte, datati 1908 e conservati nell’Archivio Mauriziano14, si apprende che parte del mobilio venne direttamente assegnato ai ministeri e trasferito a Roma. Nel 192915 poi alcuni mobili del Real Castello di Moncalieri andarono ad arricchire il patrimonio museale, che in parte già proveniva da altre residenze sabaude come Palazzo Reale e Venaria. Le fonti documentarie mauriziane per la conoscenza e lo studio di Stupinigi sono ricche e corpose, e sono organizzate principalmente in due tipologie, il fondo e la serie. Il fondo archivistico è costituito da mazzi al cui interno si trovano in cronologia le unità archivistiche, ossia i fascicoli o pratiche, numerate progressivamente. Lo strumento di corredo per la consultazione del fondo è l’Inventario, ove sono proposti in forma di regesto, ossia riassunto, i contenuti dei singoli fascicoli o di altri provvedimenti contenuti nei mazzi o nelle serie archivistiche. La serie è un insieme di unità archivistiche, per lo più costituite da registri o volumi, omogenee per tipologia e forma, come ad esempio bilanci o atti notarili; i registri sono documenti rilegati dall’origine, ove dati e informazioni vengono riportati direttamente sui fogli in cronologia: la loro redazione è contemporanea alla cronologia del dato. I volumi invece sono costituiti da fascicoli che vengono compilati e solo successivamente rilegati in un’unica unità archivistica. Le informazioni contenute nelle serie archivistiche sono sempre complementari a quelle dei fascicoli, e infatti gli inventari dell’Archivio dell’Ordine spesso le riportano in cronologia con i fascicoli, rimandando alla pagina o carta del registro o volume. Non esiste un fondo relativo esclusivamente alla Palazzina di Caccia, poiché la struttura dei fondi dell’archivio mauriziano e la sedimentazione delle carte rispecchia fedelmente il criterio dell’organizzazione per territorio, e non per edificio, e all’interno del territorio per cronologia e non per oggetto. Questa informazione è fondamentale per la ricerca: individuato il territorio di riferimento e il relativo fondo si procede per cronologia attraverso l’inventario, e le pratiche relative ad uno stesso oggetto si troveranno disseminate lungo tutto l’arco temporale d’interesse. La ricerca sul fondo deve essere completata con le informazioni e i dati rilevabili dai documenti delle serie archivistiche, anch’essi ordinati per cronologia. Il fondo archivistico Stupinigi, Vinovo e Dipendenze è costituito da più di 170 mazzi; la documentazione registrata nell’Inventario storico in tre volumi copre l’arco temporale dal 1086 al 1925, sebbene il materiale documentario si estenda ben oltre tale data; come si nota dalla datazione suindicata, sono riportati anche dati e informazioni precedenti alla donazione della Commenda di Stupinigi, ma relativi a quel territorio (fig. 4). La storia della Palazzina di Caccia inizia nel 1729, con il fascicolo 451 contenuto STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME | 69


nel mazzo 14 del fondo, ove troviamo preventivi di lavori e di fornitura di materiali per la costruzione della Palazzina Reale, tre dei quali curiosamente datati 10 marzo, ossia prima della disposizione sovrana16. Tuttavia il documento principe sottoscritto da Juvarra è l’«Istruzione per la Palazzina di Caccia da farsi nuovamente nelle vicinanze di Stupiniggi»17: vengono qui dettagliatamente descritti interventi e lavori da farsi, come il cavo di terra, il pilotaggio, la muraglia ordinaria e la muraglia di mattoni, le volte e le stabiliture che saranno all’italiana, gli sterniti rigati, fregati e rustici, le cornici interne ed esterne, cui vanno aggiunte indicazioni sulla tipologia dei materiali da usare, come la calcina e la sabbia. Annualmente troviamo una pratica relativa agli appalti per la fornitura di materiali18; a questa si accompagnano le deliberazioni del Consiglio che autorizzano i pagamenti al Direttore dei Lavori Giovanni Battista Prunotto per il suo incarico e per sostenere anche le spese delle maestranze. Interessante è anche l’«epistolario» di Ludovico Bo, un fascicolo19 ove si conserva la corrispondenza del misuratore e architetto che si è dedicato a Stupinigi per oltre cinquant’anni, dal 1748 al 180020, e che trova a suo complemento il registro intitolato «Lettere dell’Ufficio della Direzione della Commenda di Stupinigi e Dipendenze 1753-1800, con instruzioni e qualche lettera per la Commenda di Staffarda»21. Poiché la costruzione della Palazzina è un cantiere che si protrae nel tempo, cui partecipano, susseguendosi, anche insigni professionisti, il fondo è ricco di materiale iconografico, ripiegato all’interno dei fascicoli con la relativa pratica: vi si trovano infatti progetti e disegni di architetti, ingegneri, geometri e misuratori della Real Fabbrica, che intervengono anche sulla morfologia del territorio circostante, deviando corsi d’acqua, costruendo ponti e progettando e costruendo gli edifici rustici che insistono sullo stradone d’accesso alla Palazzina e nelle aree limitrofe. A complemento, nel fondo Mappe e Cabrei sono conservati, nella sezione relativa a Stupinigi, i documenti relativi alla Palazzina 70 |

4. I mazzi del fondo Stupinigi, Vinovo e Dipendenze conservati in un armadio dell’archivio mauriziano; al loro interno i fascicoli con carteggi e documenti iconografici di formato ridotto relativi alla costruzione della Palazzina e al territorio della Commenda magistrale.

5. I registri della serie Conti e Bilanci, conservati in un armadio dell’archivio mauriziano. Una parte di questi è relativa esclusivamente alla Reale Palazzina di Stupinigi. 6. Coperta di registro Recapiti 1763: un esempio di registro relativo alla Reale Palazzina di Stupinigi nella serie Conti e Bilanci.

e al territorio di Stupinigi, che per dimensione o formato non potevano essere conservati all’interno dei mazzi22. Le principali serie archivistiche richiamate negli inventari di Stupinigi e imprescindibili per la storia della Palazzina di Caccia sono le seguenti: Sessioni (dal 1573 al 2002), che raccoglie le deliberazioni del Consiglio dell’Ordine; Giuramenti, Deliberamenti e Sottomissioni (con denominazioni diverse nel tempo, dal 1728 al 1907), ove troviamo procedure per incarichi e appalti di lavori; Conti e Bilanci (inventariati dal 1609 al 1982), ove sono registrati pagamenti per lavori e servizi; Protocolli, Minutari e Atti notarili (dal 1573 al 1948 con alcuni atti successivi), ove si conservano atti notarili rilegati. Le informazioni riportate negli atti delle sedute del Consiglio si trovano sempre anche nei fascicoli del fondo Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, come anche quelle riportate in giuramenti, deliberamenti, sottomissioni, protocolli, minutari e atti notarili; non sempre invece nei fascicoli ritroviamo quanto possiamo leggere nella serie Conti e Bilanci, costituita da registri riguardanti la contabilità della Sacra Religione, del Tesoro, delle Commende magistrali, degli Ospedali; numerosi registri sono relativi alla sola contabilità della Palazzina di Caccia: da ciò si deduce la rilevanza economica dell’impresa della Real Fabbrica, in ordine non solo ai costi sostenuti, ma anche alla gestione contabile corrente (conti e recapiti) e di rendicontazione (bilanci) (fig. 5). Alle informazioni dei fascicoli si affiancano dunque quelle contenute nei registri dei conti e recapiti della Palazzina (fig. 6) ove, suddivisi per anno, si trovano i pagamenti delle spese delle singole maestranze, dai piccapietre ai ressignini, dal capo de’ boccari al capo de’ lavoranti, dal capo mastro da bosco al capo mastro da muro, dal calcinaro al fornararo, dal serragliere al minusiere, senza tralasciare il bovaro, il vetraio, il giardiniere e il regio stampatore per la stampa dei tiletti riguardanti l’esecuzione dei lavori; a questi si aggiungono i pagamenti per la fornitura dei materiali, dalla sabbia alla calcina di Giaveno. STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME | 71


Gli artisti e i loro interventi nei documenti d’archivio Gli interventi settecenteschi che noi oggi, con una certa emozione, possiamo ammirare sono gli apparati decorativi e alcuni oggetti realizzati su disegno o su indicazione di Juvarra, che stabiliva anche il compenso da corrispondere all’autore dell’opera. I nomi degli artisti che hanno fatto di Stupinigi un gioiello del Barocco iniziano a comparire nella rubrica dei conti della Palazzina a partire dal 173323, con rimando ai capitoli di conto in cui è suddiviso l’anno, nei quali è descritta l’attività prestata. Per gli interventi nel Salone, nel 1733 troviamo al capitolo 28 il pagamento di «lire cento sessanta pagate al Signor Pittore Giovanni Crivelli, per aver dipinti li otto quadri per li fornelli del Salone della suddetta nuova fabbrica convenuti dal Signor Abate Juvara sul piede di lire venti caduno» e al capitolo 29 il pagamento di «lire cento trenta pagate alli Signori Pittori Giuseppe e Domenico fratelli Valeriani per diverse pitture a’ fresco fatte di più della lor obbligazione, cioè le faciate e laterali con le volte dei due anditi superiori, come pure li quattro finestroni nella facciata di fuori […]» (fig. 7). Troviamo al capitolo 26, il pagamento di «lire centocinquanta pagate al signor Scultore in bosco Angelo Giuseppe Marocco a’ conto delle Placche […]», mentre al capitolo 6 del conto del 1734 si legge: «Più si scarica di Lire ducento ottanta due pagare allo scultore Giuseppe Marocco per fatto di n°. 36 Plache di Legno per il Salone […] indipendenza di scrittura eseguita in Maggio 1733 tra esso e il Signor Cavagliere D. Filippo Juvara Primo Architetto di S.M., d’ordine del quale sono state rimesse all’Indoratore Giovanni Carlo Monticelli come da sua fede delli 11 giugno 1734; et a’ ragione di £ 12 caduna […]». Segue il conteggio delle 36 ventole per £ 12 caduna pari a £ 432, cui va detratto l’acconto di £ 150, di cui al capitolo 26 del 1733, quindi per un totale dovuto di £ 282. Nei conti del 1737, al capitolo 30 si riscontra, per il completamento di dette «Plache», il pagamento di «lire cinque cent’otto e soldi cinque da pagare al predetto Indoratore Giovanni Carlo Monticelli, cioè £ 393,15 per avere in seguito agli ordini di S.M. indorate n. 35 Plache per il Salone […] col fondo griggio di Perla, ed azzurro Prussia a’ £ 11.5 caduna compresa la mettitura in opera, e £ 87.10 per aver fatto la Testa di Cervo di dette Plache con rame ed argento, a’ £ 2.10 caduna e £ 27.10 per una simil placca indorata in pieno per mostra, ed indi rifatta come le sudette […]». Per altri interventi nel Corpo centrale si riscontrano nel 1733, al capitolo 30, il pagamento di «lire mille ducento cinquanta pagate al Pittore Carlo Vanloq per la pittura fatta alla volta della Camera da letto di Sua Maestà […] rappresentante la storia di Diana a’ fresco, a’ tanto convenuta dal signor Abate Juvara [… ]» e al capitolo 31 il pagamento del pittore a noi noto come Mengozzi: «Più si scarica di lire duemila quattro cento pagate al Signor Pittore Gerolamo Mengovi Colonna per avere indipendenza di scrittura di convenzione fatta sotto li dodici maggio mille sette cento trenta tre col Signor Abate Juvara dipinte a’ fresco le due volte delle due Camere dette de li Buffetti colla storia di Diana […]». Oltremodo interessante il seguente capitolo 32, ove all’indicazione del lavoro svolto si accompagna l’informazione del collaudo dello stesso da parte dell’Architetto Regio: «Più si scarica di lire mille quattro cento pagate al Signor Pittore Pietr’Antonio Pozzo per avere dipinte le volte delle due piccole Gallerie attigue al Sallone […] a’ tanto convenute dal predetto Signor Abate Juvara […] che rimette con le opportune quittanze, constando nell’ultimo d’essi anche della collaudazione di detto Signor Abate». Non può mancare il riferimento all’altro grande artefice dell’Appartamento di Sua Maestà, ossia Giovanni Battista Crosato, ed infatti lo troviamo al capitolo 33 del 1733: «Più si scarica di lire mille cinquanta pagate al Signor Giovanni Battista Crosati a’ conto della sua pittura alla volta dell’Anticamera di S.M. a’ Stupiniggi […]» (fig. 8). Ai conti relativamente scarni del 1735 e 1736, segue 72 |

7. Particolare dal “Registro Conti Stupinigi dal 1729 al 1739” con la tipica suddivisione in capitoli; qui 1733: al cap. 28 pagamento al pittore Crivelli per i paracamini del Salone; al cap. 29 pagamento ai pittori fratelli Valeriani per affreschi nel Salone; al cap. 30 pagamento al pittore Vanloo per la volta della Camera da letto di S.M. rappresentante la storia di Diana.

nel 1737 una ripresa, con registrazione di interventi definitivi su gran parte del corpo centrale; ad esempio al capitolo 32 troviamo il pagamento di «lire due mille quatro cento pagate al Sig. Pittore Michele Antonio Milocchi per aver in seguito all’ordine di S.M. dipinto la Camera ed Anticamera dell’appartamento di S.M. la Regina […], come dalli 3 infradessignati recapiti di cui sovra appoggiati a’ fedi del Sig. Ingegnere Prunotto, con Collaudazione del Sig. Cavagliere Beaumont Primo Pittore della M.S. […]». Da quanto sopra riportato, si comprende come i ruoli in capo al solo Juvarra fino alla sua permanenza a Stupingi (1735) siano stati successivamente ricoperti da figure diverse: i lavori e i relativi compensi vengono da allora definiti preventivamente da Prunotto, già Direttore Lavori, e dallo stesso sono autorizzati i relativi pagamenti, mentre il collaudo è affidato per competenze a figure eminenti esterne al cantiere, ma già impiegate a Corte; in questo caso infatti troviamo il pittore Beaumont, mentre nel 1735 il Primo Ingegnere di Sua Maestà Ignazio Bertola aveva avuto l’incarico di provvedere al collaudo dei lavori fatti dall’impresario Giacomo Bellotto e di autorizzare il relativo pagamento, poiché Juvarra, ormai in Spagna, non poteva più occuparsene24. Con il completamento del Corpo centrale si realizza il progetto juvarriano di Stupinigi quale riportato nelle prime testimonianze iconografiche della Palazzina, ossia i pensieri e i disegni del Regio Architetto conservati negli album della Biblioteca Reale, della Biblioteca Nazionale e dei Musei Civici di Torino. Durante tutto il Settecento i lavori continuano con gli ampliamenti e le sopraelevazioni dell’edificio senza comunque stravolgere il piano originario juvarriano; di pari passo procedono gli interventi di artisti e maestranze per gli apparati decorativi fissi e mobili, registrati anch’essi nelle fonti documentarie dell’Archivio dell’Ordine. STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME | 73


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All’importante patrimonio archivistico mauriziano, che comprende anche la documentazione contemporanea25 relativa agli interventi di manutenzione condotti direttamente dagli uffici dell’Ordine fino al 2002, e ai fondi degli Archivi di Stato e degli altri istituti di conservazione, si deve necessariamente aggiungere la documentazione prodotta dalla Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi26, che ha sostenuto e diretto gli interventi di restauro architettonico e di manutenzione straordinaria non solo dell’edificio, ma anche del parco interno, nonché quella prodotta e conservata dalle Soprintendenze, relativa agli interventi sia di catalogazione sia di restauro dalle stesse direttamente sostenuti e condotti, soprattutto nell’ambito del DOCUP 2002. La Fondazione Ordine Mauriziano, istituita nel 2004 con primarie finalità liquidatorie, a seguito del dissesto economico-finanziario dell’Ordine, e con finalità di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico alla stessa temporaneamente assegnato, ha realizzato questo secondo scopo sia direttamente, attraverso interventi di manutenzione ordinari e straordinari, sia tramite convenzioni e accordi con istituzioni del territorio. La Fondazione Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale si è occupata del restauro di parte del mobilio con il contributo della Compagnia di San Paolo, mentre la Consulta per la Valorizzazione Beni Artistici e Culturali di Torino, già impegnata nel sostenere la piantumazione dei pioppi cipressini intorno al perimetro del parco della Palazzina, è stata fondamentale nel progettare e realizzare, d’intesa con le competenti Soprintendenze, gli ultimi interventi di restauro (2013-2016) degli apparati decorativi fissi e mobili del corpo centrale, ossia del cuore juvarriano della Palazzina. I documenti prodotti da queste realtà nello svolgimento di dette attività vanno dunque ad implementare il patrimonio archivistico relativo a Stupinigi, e costituiscono valido strumento di conoscenza e di studio per progettare e realizzare interventi di conservazione preventiva e di manutenzione, ordinaria e straordinaria, del meraviglioso complesso architettonico emblema del barocco piemontese. 74 |

8. Particolare dal “Registro Conti Stupinigi dal 1729 al 1739”; qui 1733, cap. 33 pagamento al pittore Crosati per la volta dell’Anticamera di S.M.

Archivio Ordine Mauriziano (AOM), Scritture della Religione de’ SS. Maurizio e Lazzaro. Bolle, Privilegi e Brevi Pontifici, supplemento, fasc. 2, 1572. 2 D’ora in poi “Ordine”; indicato anche come Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro. 3 L’instrumento notarile, redatto dal notaio Calusio, è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino; in copia è conservato in AOM, Bolle Pontificie, Leggi e Provvedimenti per l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, vol. I, 1565-1699, pp. 211-224. All’Ordine viene trasmessa in originale la registrazione del provvedimento presso la Camera dei Conti: in AOM, Scritture della Religione de’ SS. Maurizio e Lazzaro. Donazioni, Assegni e Cessioni fatti dai Duchi di Savoia e da Pontefici per la dotazione della Sacra Religione. Permute diverse di terre, beni e redditi dotali, m. 1, fasc. 4, 1573, 27 febbraio. 4 AOM, Ospedale di Torino, m. 1, fasc. 4, 1575, 27 aprile. 5 Per una breve storia dell’Ordine e delle sue funzioni rimando a Devoti, Scalon 2012, pp. 1928. 6 Per gli edifici rustici di Stupinigi rimando a Zorio 2003. 7 AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 14, fasc. 453, 1729, 11 aprile; anche in AOM, Provvisioni, 1728 a 1733, c. 70. 8 AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 14, fasc. 453, 1729, 12 aprile. 9 Ibidem. 10 Decreto-legge 3 ottobre 1919 n. 1792. 11 Decreto Presidenziale 30 aprile 1920 n. 882. 12 Regio Decreto-legge 25 giugno 1925 n. 1083. 13 Regio Decreto-legge 15 aprile 1926 n. 833. 14 In AOM sono conservati gli inventari di mobili ed oggetti d’arte per gli anni 1880, 1908, 1926. 15 Disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 gennaio 1929, anno VII E.F. numero 1443. 16 Vedi nota 7. 17 AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 14, fasc. 452, 1729, 5 aprile. 18 Per la prima si veda AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 14, fasc. 454, 1729, 16 maggio14 luglio. 19 AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 20, fasc. 690, 1754. 20 Per la vita e le opere di Ludovico Bo rimando a Balma Mion 2007. 21 AOM, Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, m. 19, fasc. 639, 1753-1800. 22 Per il riordino del fondo cartografico rimando a Devoti, Scalon 2012, pp. 31-37. 23 AOM, Conti e Bilanci, 1729-1739, n. 153. 24 AOM, Sessioni, 1734-1736, c. 78v e c. 86v. 25 La documentazione novecentesca è in fase di revisione e al momento sono disponibili solo elenchi di consistenza. 26 La Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi è stata istituita nel 1987 da Ordine Mauriziano, Fiat e Fondazione CRT per sostenere gli interventi di restauro architettonico del complesso. Ora è costituita da Fondazione Ordine Mauriziano, ente cui è stata assegnata la Palazzina, e Fondazione CRT, che ha sostenuto e sostiene buona parte degli interventi conservativi.

STUPINIGI E L’ORDINE MAURIZIANO: ORIGINI DI UN ANTICO LEGAME | 75


IL RESTAURO PER LA CONOSCENZA

1987-2009 Maurizio Momo

Premessa storica

I

F. Ladatte, Il cervo, 1766, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Galleria d’ingresso.

l territorio di Stupinigi rappresenta, all’interno del comprensorio torinese, una entità di eccezionale rilievo – la sua superficie è di 1655 ettari –, confrontabile per estensione e consistenza alla sola Venaria Reale. Ma, a differenza di Venaria, collocata in un’area di singolare bellezza ma marginale rispetto alla città, Stupinigi (e come prima di Stupinigi solo Rivoli) è stata legata alla città settecentesca attraverso un grandioso lunghissimo tracciato che collegava in un unico percorso Porta Nuova alla Palazzina e proseguiva, attraverso il Parco, raggiungendo Volvera e poi Pinerolo. Il progetto di Juvarra si sviluppa negli anni trenta del Settecento all’interno e lungo questo tracciato, a partire dal grande cortile esagonale, la corte d’onore, su cui prospettano i fabbricati che hanno come fulcro assiale il Salone e come quinte laterali le due scuderie simmetriche. La residenza è limitata al Corpo centrale, appena sollevato rispetto al terreno circostante, dove gli Appartamenti Reali, affacciati sul Salone, sono ospitati nei padiglioni costituenti la croce di Sant’Andrea. Dalla corte d’onore l’ingresso alle grandi scuderie rettangolari avveniva tramite due atri simmetrici, in origine aperti con arcate: da un lato collegavano le scuderie ai guardarnesi, alla portineria e ai canili, dall’altro si affacciavano sui due porticati che univano le stalle agli Appartamenti regi del Corpo centrale. Questi atri simmetrici sono posti in rilievo nella pianta conservata a Parigi1 e nel celebre schizzo prospettico della Palazzina2: entrambi i disegni documentano una prima fase del progetto di Juvarra, prima che le scuderie fossero raddoppiate e il Salone assumesse l’attuale configurazione3. Il cortile esagonale, in ambedue i disegni, costituisce il polo dell’impianto e dal suo centro si diramano a raggiera otto fughe: due verso il Salone e l’ingresso verso Torino, due verso le grandi porte delle Scuderie e altre quattro verso gli Atri, aperte verso la campagna e i territori di caccia. Sempre a questa fase è da ascrivere l’ideazione delle gallerie porticate che collegano le Scuderie agli Appartamenti reali e al Salone. Questi doppi portici passanti, costruiti in origine allo stesso livello del cortile, avevano una funzione del tutto diversa da quella attuale. Permettevano innanzi tutto di accedere direttamente dal cortile al giardino e al parco: sotto le loro arcate passavano le carrozze e gli equipaggi di caccia. Nel casino di caccia di Juvarra il grande cortile era anche il luogo dove, nel periodo delle cacce, si radunavano i cavalieri e le carrozze delle dame, si formavano gli equipaggi, si raccoglievano le mute dei cani prima del rituale venatorio. Alla morte di Filippo Juvarra l’opera fu proseguita da Tommaso Prunotto e successivamente da Benedetto Alfieri, che sovraintese alla progressiva trasformazione della Palazzina da casino di caccia a residenza di corte tramite la costruzione delle due ali degli Appartamenti ducali, la chiusura delle Gallerie porticate, la trasformazione degli atri in vestiboli e la sopraelevazione del Sa| 77


lone. Seguiranno Ignazio Birago di Borgaro e Ludovico Bo: questi concluse nell’ultimo decennio del Settecento la fabbrica con la realizzazione delle nuove scuderie affacciate sull’esedra di ingresso. La situazione della Palazzina alla fine degli anni ottanta e i restauri storici Numerose opere di manutenzione si sono avvicendate nel corso dell’Ottocento e del Novecento, anche in occasione di celebrazioni o avvenimenti culturali, come quando Stupinigi, dopo essere trasferita al Demanio dello Stato nel 1919, è assegnata in uso al Ministero della Pubblica Istruzione che istituisce il Museo dell’Arredamento4. Agli inizi del Novecento risalgono interventi sulle coperture e sulle volte delle grandi scuderie della Palazzina, anche conseguenti al terremoto del 1914. In particolare Vittorio Mesturino nel 1921 dirige i lavori di restauro della copertura in rame e degli abbaini del Salone. Ritornata nel 1926 all’Ordine Mauriziano, sono documentati lavori di manutenzione e restauro (1946-1947 sino al 1953) per la riapertura della Palazzina dopo i danni subiti dall’occupazione tedesca e ulteriori interventi, anche di adeguamento impiantistico (1959-1960), per la nuova sistemazione a museo, iniziata nel 1961 con le celebrazioni dell’Unità d’Italia5. L’ultimo intervento significativo risale al 1961 quando, in occasione delle celebrazioni per il Centenario dell’Unità d’Italia, la Palazzina è scelta come sede del gran ballo notturno del 28 giugno. Successivamente, nel 1963 la Palazzina è sede, per volere del curatore Vittorio Viale e dell’Ordine Mauriziano, della Mostra del Barocco, che viene preceduta da significativi interventi di restauro in particolare sull’Anticamera e la Camera da letto della Regina. Quando nel 1987 con Roberto Gabetti, Aimaro Isola e Beppe Bellezza abbiamo cominciato a “frequentare” la Palazzina6 erano passati circa trentacinque anni dagli ultimi interventi di restauro e manutenzione e l’edificio appariva fortemente dimesso, con le coperture visivamente degradate e evidenti cedimenti. All’interno, in particolare in corrispondenza delle grandi volte del Salone centrale e della Sala da gioco e in tutti gli ambienti dei sottotetti, era riscontrabile il degrado dovuto alle infiltrazioni di acqua meteorica. Negli ambienti sottostanti gli appartamenti abitati dai dipendenti dell’Ordine Mauriziano erano diffusi i fenomeni di degrado derivanti da una impiantistica obsoleta che causava perdite dai servizi igienici e dall’impianto di riscaldamento. Il piano interrato era in stato di abbandono, adibito a deposito, con la presenza nel Corpo centrale dei servizi igienici realizzati per le manifestazioni degli anni sessanta, rimasti inutilizzati e senza interventi manutentivi. 78 |

1. F. Juvarra, Prospettiva a volo d’uccello per la Palazzina di Caccia dal viale d’accesso, 1729 circa, Torino, Museo Civico, V,1, 1777 D.s.

2. Fronti delle Scuderie di levante verso il cortile interno dopo gli interventi di restauro (fotografie di Maurizio Momo).

Le scuderie e gli antichi canili di levante, linee fondamentali per il restauro È tra il 1989 e il 1990 che prende corpo il cantiere di restauro delle scuderie e degli antichi canili di levante7. In ogni progetto di restauro l’obiettivo è la protezione e la salvaguardia della fabbrica nella sua consistenza fisica, così come a noi è pervenuta nel tempo: è questa una posizione culturale consolidata, condivisa dalla maggioranza degli operatori. Diversa e meno generalizzata invece è la condivisione quando si affronta il tema della innovazione, quando, per esigenze di utilizzo, di salvaguardia, di ulteriore sviluppo, è necessario accostare ad interventi effettuati «con rigoroso rispetto», secondo metodologie sperimentate, elementi innovativi derivati da un linguaggio ancorato alla cultura del presente. Pochissimi infatti sono i casi in cui si può operare con soli interventi di manutenzione, mentre per la maggioranza degli altri casi il naturale trascorrere del tempo, le manomissioni degli uomini, le istanze continue di riuso esigono l’apporto di nuovi innesti: diventa giocoforza accostare il nuovo all’esistente, costruire nel costruito, senza creare polemiche contrapposizioni, ma piuttosto cercando di instaurare una fase di confronto dialettico. A Stupinigi il progetto si fonda su una complessa fase conoscitiva8, ritenuta indispensabile per definire gli interventi di restauro e per individuare le destinazioni d’uso compatibili. Il restauro delle coperture e delle murature e quindi il ricupero delle singole fabbriche discende da queste analisi preliminari, prima estese a tutto il complesso e in seguito riferite ai singoli manufatti e agli specifici nodi progettuali. Per poter procedere ai primi improcrastinabili, per il degrado incipiente, interventi – da realizzare in fase sperimentale – si è scelto di operare su ambienti all’epoca da anni in disuso o usati parzialmente per il ricovero dei citroni e sui locali degli antichi canili trasformati a metà Ottocento in scuderie. Questi edifici sono una sintesi, in un contesto meno aulico e meno esposto, delle principali tipologie costruttive dell’insieme. IL RESTAURO PER LA CONOSCENZA 1987-2009 | 79


3. Sezione della Scuderia retta, con stralci dei prospetti in muratura e intonacati. Progetto di restauro, 1988-1989. 4. Restituzione grafica in sezione trasversale della cupola con le strutture progettate da Filippo Juvarra e da Benedetto Alfieri. Progetto di restauro, 1992.

Tutti gli interventi di restauro sono stati finalizzati alla manutenzione e conservazione degli elementi architettonici della fabbrica: coperture, volte, orizzontamenti, murature faccia a vista e intonacate, balaustre e serramenti. Si è in primo luogo operato sull’assetto distributivo dei locali a piano terreno, valorizzando e recuperando i percorsi e le comunicazioni originali fra le grandi scuderie e la piccola scuderia ancora arredata con gli stalli ottocenteschi. Qui, come in tutta la Palazzina, i paramenti murari rivolti verso i luoghi di rappresentanza sono intonacati mentre quelli prospettanti i cortili di servizio sono lasciati faccia a vista. Per questi il restauro ha comportato il consolidamento dei paramenti erosi e solo in presenza di scassi – in gran parte causati dai tracciati fognari novecenteschi dei servizi igienici – localizzate ritessiture. Per i paramenti intonacati9 le indagini avevano evidenziato nelle aree meno esposte stesure di malta antica a base di calce forte, segnata dalla carbonatazione e da tinteggiature stratificate che andavano dal bianco originale al giallo paglierino fino al «giallo Torino». Insieme ai numerosissimi saggi nel corso dei lavori è stato rintracciato intatto il cornicione della manica juvarriana. «La conferma c’è stata: un biancore palladiano, ecco il tono originario. Così quel giallo «Torino», che una retorica locale ha diffuso come singolare «invenzione della tradizione», è stato definitivamente cancellato dalla memoria e, a poco a poco, sarà cancellato da tutti i muri di Stupinigi10 e successivamente da molte facciate auliche della città. Nella corte rustica e nella corte d’onore è stato abbassato il piano di calpestio riportandolo al livello originario, compromesso fra Ottocento e Novecento, riscoprendo così parte degli antichi acciottolati, i pozzi, i pilastri che sostenevano le tettoie di servizio alle scuderie, lo scivolo e la vasca circolare realizzati a metà Ottocento per l’elefante ospitato nella scuderia curva. All’interno, ad eccezione della fascia igroscopica, sono stati restaurati gli intonaci originali che nell’area degli antichi canili presentavano disegni a carboncino e gli stalli delle scuderie mentre la pavimentazione in cotto è stata adeguata al percorso e dove possibile conservata. La grande orditura delle coperture, in legno di rovere, è stata quasi completamente conservata mentre la piccola orditura e soprattutto il manto di copertura in coppi, che si presentava in pessimo stato con accentuati cedimenti e rischio di cadute, è stato parzialmente reintegrato. Particolarmente complesso è stato l’intervento sul tratto di copertura della manica degli ex canili dove la presenza della balaustra aveva compromesso la tenuta di tutta la falda del tetto. Le due scuderie settecentesche, quella retta affacciata sull’esedra d’ingresso e quella curva, di raccordo con gli antichi canili e le residenze auliche, attraverso interventi localizzati al di sotto del piano dei pavimenti, sono state adeguate con impianti specifici e sofisticati – illuminazione e condizionamento – a sale espositive per grandi mostre temporanee. In questa fase iniziale sono stati programmati tutti gli impianti termici ed elettrici per l’intero complesso11, collocando la centrale termica a metano interrata in una posizione a ovest dell’area delle Scuderie di ponente; in adiacenza sono state posizionate le cabine elettriche di servizio e di smistamento, utilizzando reti di teleriscaldamento ed escludendo l’uso di ulteriori bruciatori e camini e sfruttando le antiche canalizzazioni verticali senza effettuare interventi invasivi sulla muratura antica. In questa ottica nel locale di raccordo fra le scuderie e i canili è stato inserito un ascensore vetrato di collegamento con il piano superiore – dove sono presenti locali accessori e di servizio – che permette lungo il percorso di riscoprire la testata delle antiche fabbriche juvarriane. Il Corpo centrale: urgenze, degrado, interventi L’intervento12 venne condotto in condizioni di urgenza poiché, anche a causa di un lungo periodo di sospensione delle manutenzioni, era presente un gene-

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9. Particolare della centrale termica interrata collocata nel cortile interno delle Scuderie di Ponente (fotografia di cantiere).

5. Salone centrale, copertura del tamburo della cupola. Degrado della struttura interna portante le falde del tetto (fotografia di cantiere). 6. Salone centrale, particolare del degrado del nodo d’incastro fra trave e puntone dell’orditura di copertura (fotografia di cantiere).

rale e diffuso degrado delle testate delle travi che poggiano sul perimetro esterno. Nell’estradosso della cupola, al degrado specifico dovuto alle infiltrazioni di acqua meteorica, alle muffe, ai funghi, si aggiungevano fenomeni indotti dalla presenza di uno strato di guano dello spessore massimo di circa due metri, in corrispondenza dei pennacchi delle volte, particolarmente allarmante. I tavolati piani, le centine e i listelli erano stati decoesi e resi marcescenti, provocando il collasso della struttura lignea e dei sottostanti intonaci dipinti13. Come 82 |

7. Salone centrale, Armatura per il restauro della testata di una capriata dell’orditura di copertura (fotografia di cantiere). 8. Centrale interrata di smistamento degli impianti termici collocata nel cortile interno delle Scuderie di levante (fotografia di cantiere).

scrivevano nel 1994 Mariella De Cristofaro e Delio Fois14 «la cupola, avendo quasi perduto i vincoli al suo contorno... si stava aprendo». Il restauro ha avuto qui come obiettivo prioritario la conservazione fisica della grande macchina strutturale, un intervento realizzato su passati interventi, specificatamente documentati nelle loro stratificazioni successive. Il lavoro di consolidamento è stato condotto nella prospettiva di individuare metodiche atte a consentire la rigorosa conservazione della originale configurazione strutturale e i minimi sacrifici possibili rispetto all’autenticità del manufatto. Dopo il consolidamento delle travi superiori, si è passati a operare sull’estradosso del plafond, liberato dal guano, con il meticoloso intervento di operatori specializzati, al di sopra della straordinaria volta affrescata su cui si stava eseguendo il restauro delle pitture. Il ponteggio costruito sotto le volte affrescate ha consentito di valutare appieno lo stato di consistenza degli intonaci, degli strati pittorici e della struttura del grande velario ligneo che qui agisce come cassa di risonanza alle vibrazioni dei mezzi che transitano sulle strade adiacenti. Più complesso e impegnativo, per l’esposizione del cantiere e per il pericolo, sempre presente, di infrangere il fragile equilibrio della struttura dissestata, è stato l’intervento sulle testate delle travi, delle banchine e dei puntoni, a volte mancanti o del tutto corrose, delle falde ad andamento mistilineo della copertura. Tutte le orditure sono state pertanto restaurate in opera: quando non è stato possibile procedere a una integrazione soltanto lignea, l’intervento è stato realizzato mediante l’azione congiunta di un’armatura di irrigidimento e di ancoraggio estesa alla parte sana della trave e di una protesi interna a base di resina, rivestita in rovere di congruente spessore. Sono state restaurate anche tutte le falde del manto di copertura in rame, con momenti di grande attenzione e applicazione e la struttura portante interna, più protetta dalle intemperie. Le puliture delle lastre di rame che coprono le falde e gli abbaini hanno fatto riemergere sui partiti decorativi le antiche dorature. Si è così materializzata l’iconografia di fine Settecento15: l’articolata copertura in rame in origine dipinta di grigio chiaro, solo in seguito resa verdeazzurra dall’azione del tempo, con il cervo, i cordoli e le decorazioni degli abbaini dorati. Il tema del restauro del Cervo di Ladatte16 si è rivelato complesso e fonte di lunghe riflessioni: dalle indagini, anche endoscopiche, erano emersi all’interno dapprima uno sciame di insetti, il collasso del vello in lamiera sbalzata, le gambe in bronzo fuso, la struttura interna, modellata in legno, volatilizzata dagli insetti. Si è deciso pertanto per una cauta rimozione, per il restauro e la musealizzazione dell’originale la sua sostituzione con una copia in fusione di bronzo. Sono stati restaurati anche gli intonaci, le balaustre e la straordinaria serie dei trofei marmorei di Bernero e Collino17. Coperture e facciate: problematiche e soluzioni Dopo il restauro delle Scuderie di levante, dove subito sono stati resi operativi gli spazi per le mostre temporanee, e l’intervento di urgenza sul Corpo centrale prosegue il piano manutentivo della Palazzina, che si sviluppa dal 1993 al 2002, interrompendosi solo per realizzare le opere di adeguamento per accogliere la grande mostra I Trionfi del Barocco inaugurata nel luglio 1999. Alcuni interventi sono eseguiti per fermare situazioni di degrado avanzato, come quelli del 1993 sulle coperture dell’Appartamento della Regina Margherita e nella Sala del Cervo dell’Appartamento ducale di levante. Viene in questo modo concluso il restauro dei fabbricati sulle corti di ingresso della Palazzina e sulla corte d’onore. Sono così restaurati coperture, balaustre, paramenti murari intonacati e faccia a vista, serramenti dell’Atrio e della Galleria dei ritratti, delle scuderie, degli Antichi canili e Guardarnesi di ponente, delle Gallerie di levante e poIL RESTAURO PER LA CONOSCENZA 1987-2009 | 83


10. Degrado dei balaustrini e del basamento della balaustra posta a coronamento delle facciate intonacate (fotografia di Maurizio Momo). 11. Canale di gronda e della balaustra posta a coronamento della facciata della Galleria di levante dopo gli interventi di restauro (fotografia di Maurizio Momo).

12. Cucine sottostanti gli Appartamenti di Levante dopo gli interventi di restauro (fotografia di Maurizio Momo).

nente, mentre negli anni Duemila si concludono i lavori relativi anche alle scuderie juvarriane affacciate sulla corte d’onore, ai Guardarnesi di levante e all’Appartamento ducale di levante. Questi lavori, attraverso lotti successivi, hanno consentito in primo luogo di mettere in sicurezza la quasi totalità delle coperture, per una superficie pari a 11.000 metri quadrati, e a provvedere, attraverso interventi conservativi messi a punto specificatamente per la Palazzina, alla conservazione dei locali sotto84 |

stanti. Un tema rilevante è stato quello del restauro delle testate della grande orditura – capriate e travi – delle coperture gravemente deteriorate in corrispondenza delle balaustre. Le balaustre, inserite a coronamento delle facciate intonacate da Benedetto Alfieri già nella seconda metà del Settecento, si sviluppano per una lunghezza superiore a 850 metri. La loro costruzione aveva richiesto che le gronde per la raccolta dell’acqua fossero inserite per motivi estetici e funzionali all’interno della balaustra e da subito i canali, prima in lamiera e poi in rame, avevano evidenziato problemi di tenuta con versamenti d’acqua sulle orditure e sui locali sottostanti. L’intervento, oltre al restauro mirato delle orditure degradate, ha comportato per tutta l’estensione della balaustra, adattandosi alla specificità delle situazioni, l’abbassamento della piccola orditura, l’allargamento e percorribilità della gronda e la formazione di un doppio strato di impermeabilizzazione, guaina, rame e piombo, dotato di troppo pieno. In questo modo si è potuta conservare integralmente la stabilità della balaustra, resa precaria dall’azione dell’acqua, fermare i distacchi e le cadute e procedere alla conservazione dell’apparato lapideo. Le murature, miste quelle di fondazione e in mattoni quelle in elevazione, denotavano generalmente degrado in corrispondenza dei pluviali e per umidità di risalita, fenomeno esaltato nelle scuderie di Juvarra in corrispondenza degli attraversamenti del grande canale diagonale realizzato in origine per lo scolo dei liquami dei cavalli. I fronti faccia a vista presentavano inoltre visivamente i paramenti fortemente degradati anche dal tipo di finitura a giunti poveri di malta espressamente previsti nelle Istruzioni di Juvarra per permettere l’intonacatura delle pareti, mai realizzata. Ciò ha richiesto specifici interventi di consolidamento, complicati a livello di imposta delle volte dalla presenza dei nuovi bolzoni delle catene che all’inizio del Novecento, dopo il terremoto, erano state inserite a rinforzo di quelle originali settecentesche. Il restauro, oltre a eliminare le cause oggettive del degrado, con il rifacimento IL RESTAURO PER LA CONOSCENZA 1987-2009 | 85


dei pozzetti e delle canalizzazioni di scarico delle acque bianche, l’abbassamento del sedime del canale di scolo e il suo isolamento dalle murature, ha comportato la realizzazione di vespai aerati su tutto il perimetro, esterno ed interno, dei fabbricati. Questo intervento esteso in forme differenziate – intercapedini o vespai aerati – a tutto il complesso, corre al di sotto degli antichi marciapiedi in acciottolato, e oltre ai drenaggi e alle fognature, permette il passaggio di raccordi impiantistici. Nota curiosa, gli scavi per la sistemazione del canale diagonale hanno permesso di intercettare i muri di fondazione del primitivo tracciato delle scuderie, così come rappresentato nell’iconografia della prima fase costruttiva della Palazzina, quando le scuderie erano previste per alloggiare una sola fila di stalli per i cavalli. Il restauro dei fronti intonacati di questa zona rilevante della Palazzina ha of86 |

13. Piano direttore per la ridestinazione dei vari ambienti della Palazzina di Caccia, pianta del piano terreno e piano seminterrato.

ferto, come per gli intonaci del Corpo centrale, spunti di conoscenza sulle fasi e sulle modalità costruttive delle grandi quinte rivolte verso le corti auliche. Sono evidenziate due situazioni ben distinte che coincidono con le fasi storiche di costruzione. Quella inerente alle due scuderie di Juvarra e alle scuderie di Bo, realizzate tramite interventi unitari che hanno subito parziali rifacimenti di carattere manutentivo delle parti più esposte (coronamenti, lesene e basamenti). Quella riferita ai Guardarnesi e agli Antichi canili di Juvarra, sopraelevati da Birago di Borgaro, e alle gallerie aperte juvarriane, chiuse da Benedetto Alfieri, che hanno documentano con chiarezza le due diverse fasi costruttive e gli aggiornamenti di gusto introdotti da Alfieri. L’intervento di restauro di questi fronti ha comportato la conservazione scrupolosa degli intonaci antichi, l’integrazione con malta di calce di composizione IL RESTAURO PER LA CONOSCENZA 1987-2009 | 87


colore e granulometria simile a quella degli intonaci originari, l’uso nelle parti interessate da umidità di risalita di intonaco deumidificante, la velatura finale simile a quella già realizzata sugli intonaci del Corpo centrale. Per distribuire gli ingressi e per l’illuminazione dei locali sono documentati una serie di infissi che riproducono le tipologie esistenti nella Palazzina, sia quelle originali sia quelle modificate nel tempo. Il restauro ha conservato in modo scrupoloso chiara e percettibile l’originaria unità del disegno ricuperando rari campioni di serramenti antichi e sostituendo solo quelli degradati e i pochissimi non congruenti. Fra gli antichi si segnalano i grandi infissi vetrati delle Gallerie, con sopraluce semicircolare, che riprendono la tipologia introdotta da Juvarra nel Salone, alcuni adattati alle nuove esigenze di apertura solo agendo – in modo reversibile – sulle ferramenta, senza intaccare il profilo dei battenti e i portoni di rovere delle scuderie, dotati di portello di servizio che, seppure segnati da numerosi interventi manutentivi, sono ancora perfettamente rispondenti alle loro funzioni. Tecnologia nascosta: adeguamento impiantistico Sono stati realizzati diversi interventi impiantistici a servizio degli ambienti della Palazzina, a partire da quelli già descritti nella prima fase. Tra il 1998 e il 1999 si è proceduto alla completa messa in sicurezza del piano terreno e all’estensione dell’impianto antincendio18, prevedendo gli interventi successivi nelle altre zone. In quest’ottica si è definito un circuito principale di visita al piano terreno e in prospettiva uno secondario al piano seminterrato e un terzo, limitato a piccoli gruppi guidati, alle aree speciali ai piani superiori. I primi due circuiti sono indipendenti e però interrelati: sono non solo abilitati ai disabili, ma prevedono che i disabili e il pubblico seguano insieme gli stessi itinerari. Gli ambienti visitabili e aperti al pubblico sono in comunicazione tra loro con porte perennemente aperte e passanti nel senso della visita, seguendo il criterio, per quanto possibile, di un senso unico di marcia. Le porte di sicurezza sono state realizzate prestando la massima attenzione alle caratteristiche dei serramenti preesistenti mentre, seguendo le metodologie già ampiamente sperimentate, i serramenti sono stati adeguati alle normative, ma non trasformati rispetto alle caratteristiche storiche dell’impianto; le porte lignee sono state ricuperate e restaurate e, dove richiesto, i pannelli REI 120 sono integrati alle porte originali. Le porte REI, che delimitano le scale e gli ambienti compartimentati, sono collocate in corrispondenza degli ambienti di servizio della Palazzina. Le scale poste in adiacenza agli ambienti con alto valore artistico sono state compartimentate ai piani superiori ed inferiori, lasciando libero il piano terreno. La Palazzina di Caccia è dotata di rete idrica antincendio, del tipo chiuso ad anello con canali esterni, interrati, seguendo tracciati il più possibile coerenti con il disegno architettonico dell’edificio e colonne montanti inserite in ambienti di servizio, sfruttando i percorsi dei camini e le canalizzazioni esistenti. L’impianto è realizzato in maniera tale che in caso di eventuali perdite non siano assolutamente danneggiate parti di edificio di rilievo. La stazione di pressurizzazione antincendio, interamente interrata, è stata collocata nell’area occupata anticamente dal giardino retrostante le maniche a ponente delle Scuderie.

che i rapporti con gli utenti e gli studi d’archivio fino ad allora svolti avrebbero consigliato per gli anni futuri. Inoltre il progetto vuole creare un percorso museale continuo all’interno dell’edificio, collegando con rampe e ascensori i vari ambienti in modo tale da permettere una visita che, al piano terreno, dalla Scuderia retta di levante, arrivi fino alla Scuderia retta di ponente e quindi percorrendo il piano interrato ritorni alla Scuderia di levante per consentire un percorso di visita continuo chiuso ad “anello”. Pertanto per il Museo della Palazzina si prevedono: un circuito principale al piano terreno, un circuito secondario di ritorno al piano seminterrato, un circuito limitato a piccoli gruppi guidato alle aree speciali. Il Piano Direttore individua inoltre le aree per gli uffici e i servizi del Museo, le zone dove collocare gli alloggi dei custodi, le aree per gli impianti tecnologici. Questo progetto ha costituito un fondamentale riferimento per gli interventi in programmazione, pur con le variazioni intercorse negli anni in base alle esigenze e alle strategie emerse da parte della Proprietà, degli enti finanziatori e dagli Organi di Tutela. Ad oggi, nel 2016, parte di questi interventi sono stati realizzati, parte sono in programma mentre per alcune previsioni si pensa a proposte alternative nell’ottica di mutate esigenze emerse nel tempo, quali per esempio il trasferimento degli uffici della Fondazione Ordine Mauriziano nei locali della Palazzina. Il circuito museale principale al piano terreno prevede l’ingresso dall’atrio della Galleria dei ritratti, passando dall’androncino, quindi l’accesso al primo salone (ex scuderie). Il percorso museale segue poi quello storico adeguandosi alle esigenze dei visitatori disabili. Si prevedono inoltre le uscite di sicurezza da inserirsi restaurando i serramenti esistenti e invertendone il senso di apertura, senza alterare l’immagine del contesto. Le stesse soluzioni si ripetono specularmente – procedendo dall’ala est all’ala ovest, fino all’ingresso degli Appartamenti di ponente, che avrebbero una destinazione museale più riservata (come settore di rappresentanza per l’Ordine Mauriziano, ivi compreso l’appartamento soprastante). Il salone dell’ala ovest è adibito a museo della Palazzina o del restauro, o a museo delle carrozze, eventuale esposizione dei bassorilievi napoleonici. I visitatori, raggiunto l’atrio della Galleria napoleonica, possono poi proseguire nella visita al piano interrato o attraversare il cortile all’interno della cancellata e ritirare poi gli effetti personali riposti nei locali adiacenti all’atrio della Galleria dei ritratti e qui servirsi delle aree book-shop e bar tea-room. In questa manica sono sistemati al piano interrato i servizi per i visitatori, collegati con il piano terreno mediante un ascensore abilitato per i disabili. Il circuito museale secondario al piano seminterrato costituisce di per sé un insieme di notevole interesse museale dettato dall’architettura singolare degli ambienti ipogei e dalla presenza degli arredi fissi delle cucine storiche: camini, fornelli, lavatoi. A questo piano potrebbe essere sistemata la mostra didattica della Palazzina e dei suoi restauri. Il Piano Direttore prevede ancora un terzo circuito museale alle aree speciali con visita guidata limitata a piccoli gruppi ai locali espositivi restaurati nella manica est con accesso dall’atrio verso il giardino: vani delle scuderie settecentesche retta e curva di levante e scuderia ottocentesca arredata con stalli negli ex canili juvarriani.

L’importanza di un Piano Direttore Il Piano Direttore per la ridestinazione dei vari ambienti della Palazzina di Caccia è stato definito tra il 1999 e il 2002 nel tentativo di attribuire ad ogni locale una futura destinazione e di integrare il complesso con quelle innovazioni (archivi dell’Ordine Mauriziano, servizi al pubblico, nuovo disegno del parterre),

Adeguamento museale: restauri delle cucine, impianti, scale ascensore L’intervento di restauro19 realizzato negli anni 2005-2010, ha comportato la sistemazione e l’adeguamento impiantistico di gran parte dei locali del percorso museale principale, al piano terreno, e di una parte dei locali del percorso museale secondario, al piano seminterrato. In particolare ha riguardato i locali al

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piano terreno e rialzato delle fabbriche dei Guardarnesi e della Galleria d’ingresso o dei ritratti, della Biblioteca alfieriana, degli Appartamenti di levante e del Corpo centrale e, al piano seminterrato, i locali sottostanti alla Biblioteca e agli Appartamenti di levante, usati nel passato in prevalenza come cucine. L’intervento, per i locali del percorso museale principale, è consistito nella rimozione, restauro e parziale sostituzione dei pavimenti esistenti – in cotto, cotto dipinto e pietra – o, dove mancanti o incongruenti, nella formazione di nuovo pavimento, per inserire sotto il piano di calpestio impianti di riscaldamento a pannelli radianti e nuovi impianti elettrici, consoni alle esigenze museali e adeguati alle normative vigenti. Nello stesso tempo sono state realizzate le strutture di accoglienza e di servizio poste all’ingresso del museo e disposte, secondo quanto indicato nel Piano Direttore, in modo tale da servire i tre percorsi espositivi. Il blocco delle quattro scale – due simmetriche ascendenti dal piano della Galleria al piano della Biblioteca e due discendenti dalla Galleria al piano dei servizi – unitamente al centrale elevatore per disabili, costituisce il nodo risolutivo dei percorsi museali della Palazzina perché permette di collegare in un unico percorso circolare il piano terreno con gli ambienti aulici del piano rialzato e contestualmente con i locali delle cucine storiche e delle stanze di servizio poste al piano seminterrato. La geometria del nuovo impianto pone al centro il prisma ottagonale dell’elevatore, costituito da un telaio di acciaio rivestito da specchi che lo smaterializzano e riflettono le architetture circostanti. Sempre ad andamento ottagonale sono le due rampe di scale simmetriche in massello di pietra di Luserna, sostenute da putrelle e pilastri in acciaio. Le due scale, sempre in pietra, che scendono al piano dei servizi, hanno andamento rettilineo e collegano la Galleria dei ritratti con l’atrio che dà accesso al guardaroba e ai servizi. Anche l’elevatore per disabili inserito nell’involucro ottagonale è rivestito da specchiature. Nell’occasione sono stati risanati tutti i locali privi di cantinato e che hanno i pavimenti che poggiano direttamente su terrapieno, mediante la formazione di vespaio aerato e in seguito restaurati gli intonaci di questi locali, oltre a quelli degli Atri e delle Gallerie, nelle zone degradate e interessate da fenomeni di umidità di risalita. Al piano inferiore, negli ambienti di servizio prima abbandonati sottostanti la Biblioteca alfieriana, sono state ricavate le aree del guardaroba e dei servizi igienici, abbassando il piano del pavimento, creando lungo il percorso verso il piano seminterrato rampe di raccordo e seguendo, nella sistemazione dei locali dei servizi, per gli impianti, i rivestimenti e i pavimenti, le modalità già sperimentate nella realizzazione del complesso dei servizi igienici dei locali espositivi per le mostre temporanee delle Scuderie di levante. Al piano seminterrato sottostante agli Appartamenti di levante sono stati restaurati gli intonaci, i pavimenti e gli infissi di ogni ambiente contemporaneamente agli arredi storici delle cucine ancora presenti nei locali, quali camini, fornelli, lavandini, stufe. Si prevede di utilizzare a caffetteria e a bar alcuni di questi locali occupando i locali privi di arredo come locali tecnici e inserendo il bar e i tavoli della caffetteria nelle grandi cucine storiche complete di arredi. L’intervento ha consentito di collegare tra di loro gli impianti distribuiti lungo i percorsi museali attraverso un unico tracciato impiantistico interrato che corre all’esterno dei fabbricati ed è in parte alimentato da una cabina di pompaggio e da una nuova cabina elettrica collocate nelle aree di servizio a ponente della Palazzina.

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Pianta di Stupinigi di D. Filippo Juvara, Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes, Topographie de l’Italie, VB 132 Y, 2. 2 F. Juvarra, Schizzo prospettico della Palazzina di Stupinigi, M.C.To., Vol. I, c. 52, n. 75 1777/DS. 3 A questa fase fanno ancora riferimento i disegni conservati presso la Biblioteca Reale di Torino nel fondo Promis: Il Profilo interiore della nova Pallassina di Caccia e il Profilo esteriore della nuova Palassina di Caccia dentro il Cortile, B.R.To. Cartella disegni Promis. Cfr. Gritella 1987, pp. 49-54; Comoli Mandracci 1989, pp. 72-77. 4 Biancolini 1989, pp. 55-66. 5 Damiano 2014, pp. 183-200. 6 Gabetti, Isola 1994, pp. 39-52. 7 Momo, Bellezza 1989, pp. 67-80; Momo 1992, pp. 159-169. 8 Verdun di Cantogno 2014, pp. 201-208. 9 Momo 1994a, pp. 69-71; Gabetti 1994, pp. 65-68. 10 Gabetti, Isola 1996, pp. 9-26. 11 Il progetto impiantistico è di Fiat Engineering Spa con la consulenza di Marco Filippi. 12 Momo 1996, pp. 27-47. 13 Momo 1994b, pp. 53-74. 14 Fois, De Cristofaro Rovera 1994, pp. 117-126. 15 V.A. Cignaroli, Veduta della Palazzina di Caccia verso Moncalieri, Torino, Palazzo Chiablese. 16 Ang. Griseri 1996, pp. 105-114. 17 Di Macco 1996, pp. 115-141; Di Macco 2014, pp. 95-113. 18 La progettazione impiantistica è stata curata da Gianfranco Lo Cigno. 19 Il progetto è stato redatto da Maurizio Momo e Aimaro Isola, la direzione dei lavori è di Luisa Papotti.

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MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA Mario Verdun di Cantogno

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Architettura della facciata e apparati decorativi a coronamento.

l valore storico ed artistico, universalmente riconosciuto, del complesso di Stupinigi e le innovative modalità di progettazione e di intervento conservativo adottate a partire dalla fine degli anni ’80, rendono opportuno una breve analisi del contesto ambientale e culturale in cui ha preso avvio l’impegnativa e lungimirante modalità di approccio al problema e lo sforzo congiunto di enti pubblici e imprese private (fig. 1). Già dalla metà degli anni ottanta era in corso a Torino una riflessione sulla necessità di un maggior impegno della società civile e delle imprese nel campo della conservazione e miglior fruizione dell’importante patrimonio architettonico ed artistico cittadino. Si discutevano linee strategiche e modalità operative per una migliore integrazione tra capacità professionali e risorse economiche provenienti dal mondo imprenditoriale e dalla sfera pubblica. Occorre innanzitutto ricordare che in quel periodo le imprese divenivano sempre più coscienti delle responsabilità che loro competevano nel contribuire ad assicurare un giusto equilibrio tra la propria dinamica economica e lo sviluppo della società, in particolare nel settore della cultura. Impegnandosi in iniziative culturali le imprese potevano mettere al servizio della collettività, accanto alle risorse finanziarie, anche quelle competenze organizzative e gestionali che erano, e sono, le valenze specifiche della propria cultura imprenditoriale, che significa essenzialmente obbiettivi chiaramente definiti, programmazione, controllo dei costi, misura dei risultati, rispetto di tempi e della qualità. Negli anni ottanta l’anima di Torino era ancora quella di una città prevalentemente manifatturiera, one company town leader internazionale nell’ambito industriale, ma connotata da una limitata sensibilità per il patrimonio artistico ed architettonico. Questo atteggiamento era presente sia nel mondo pubblico che in quello privato, anche se non mancavano puntuali esempi in controtendenza. Tuttavia non si manifestava quel comune sentimento di appartenenza civica e di coinvolgimento sociale che negli anni successivi hanno portato alla costituzione e consolidamento del cosidetto «modello torinese», virtuosa circolarità di impegno pubblico e privato che trova la propria ragione sociale nella salvaguardia e promozione del patrimonio culturale cittadino. In particolare gli imprenditori provavano maggiore affetto ed un debito di riconoscenza verso la loro città, anche consapevoli del fatto che i beni storicoartistici sono luoghi di identità attorno ai quali è possibile costruire un concetto nuovo e dinamico di cittadinanza: appartenere ad un territorio ben definito ed essere nello stesso tempo universali come lo sono i beni culturali. In questo contesto sono stati definiti progetti condivisi con il mondo pubblico e si è giunti alla loro realizzazione, generando un effetto volano per la formazione di valore economico e di reddito per il territorio e per il Paese, oltre a conservare e valorizzare il patimonio della comune identità culturale nazionale. Questi sono i concetti di ordine filosofico ed etico che hanno portato ad un at| 93


1. V.A. Cignaroli, Veduta della Palazzina di Caccia di Stupinigi, particolare, 1775, collezione privata.

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teggiamento di tipo mecenatistico da parte di enti e imprese private. Su un altro piano invece, quello legislativo, una circostanza favorevole era rappresentata in quel periodo dalla promulgazione della legge n. 512 del 2 agosto 1982 che forniva nuove norme, poi ampiamente integrate con successive disposizioni, volte ad incentivare le iniziative di mecenatismo culturale dirette al finanziamento di interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico italiano (fig. 2). Si aprivano così due nuove opportunità per gli investimenti privati nel settore pubblico dei beni culturali vincolati dalla legge n. 1089 del 1939. Un primo aspetto, molto importante, era quello fiscale, perché venivano consentite forme di agevolazione nella modalità di tassazione sia per privati che per aziende. Veniva infatti determinata la deducibilità, nella determinazione del reddito d’impresa, delle erogazioni liberali effettuate a favore di soggetti considerati meritevoli ed affidabili perché dotati di riconoscimento giuridico quali «… le fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale ed artistico … effettuate … per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro di beni che costituiscono patrimonio storico-artistico…». Non vanno tuttavia taciute le difficoltà e le lungaggini poi riscontrate in sede di rendicontazione agli enti statali di controllo, perché mancavano indispensabili punti di riferimento, causa la mancata emissione di un regolamento di attuazione che avrebbe dovuto fornire più precise procedure per le defiscalizzazioni (fig. 3). Solo la fattiva collaborazione con gli enti centrali del Ministero per i Beni Culturali e il positivo apporto delle Soprintendenze competenti ha consentito una, ancorché faticosa, soluzione dei problemi. Un secondo aspetto molto interessante della legge sopracitata era costituito dal fatto che le erogazioni di fondi, transitando attraverso enti legalmente riconosciuti a livello locale, potevano restare sul territorio che li aveva generati invece di affluire alla contabilità generale dello Stato. Si invogliavano così i privati a destinare risorse economiche su beni pubblici, potendone controllare il corretto utilizzo o addirittura gestirli direttamente. Una specie di federalismo antelitteram: queste considerazioni servono a spiegare il perché del fervore, in quel periodo, di iniziative sul recupero dei beni culturali (fig. 4). In sintesi l’impresa poteva utilizzare nuovi strumenti che le permettevano di diventare parte attiva nella gestione diretta di un progetto culturale, non limitandosi quindi solo alla parte di semplice finanziatore. Per il buon funzionamento di queste procedure era però determinante, come lo è tuttora, che fossero chiaramente definite le competenze dei partners pubblici e privati e che ciascuno si assumesse le proprie responsabilità, operando in massima trasparenza. Nel marzo 1985 veniva costituita, su iniziativa di alcuni privati cittadini, l’associazione culturale Amici dell’Arte in Piemonte con la finalità di favorire la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale della Regione; da allora sono stati realizzati interventi per oltre 10 milioni di euro con contributi di enti privati e pubblici. L’anno successivo prendevano avvio i primi contatti tra i rappresentanti di alcune delle più importanti imprese ed enti torinesi desiderosi di contribuire alla rinascita di Torino, idee e programmi che si concretizzarono nel 1987 con la costituzione della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino. In quasi trent’anni sono state realizzate oltre settanta iniziative sul patrimonio cittadino, con un investimento di fondi privati di oltre 30 milioni di euro. Di questa esperienza viene segnalata in particolare, per la sua attinenza ai temi di cui qui si tratta, l’esperienza dei numerosi Workshops organizzati annualmente proprio per discutere e definire le linee strategiche dei rapporti tra Beni Culturali ed Imprese. MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 95


2-3. Stato di conservazione delle facciate prima e dopo gli interventi di restauro (fotografie di cantiere). 4. Veduta aerea del complesso della Palazzina, dei parterres e del parco (fotografia Archivio Ordine Mauriziano).

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Va posta in questo contesto anche l’iniziativa della Fiat, sviluppata fin dall’origine in stretta collaborazione con la Cassa di Risparmio di Torino, per un progetto di recupero di uno dei più prestigiosi complessi architettonici della committenza sabauda, la Palazzina di Caccia di Stupinigi, che versava in un preoccupante stato di conservazione. Venne istituita la Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi, con atto costitutivo redatto in data 17 aprile 1987, dall’Ordine Mauriziano, proprietario del bene, con i due partner promotori dell’iniziativa. La Fondazione ottenne subito il riconoscimento di persona giuridica privata dalla Regione Piemonte e divenne lo strumento operativo del programma di recupero, avviando i primi incontri con le Soprintendenze ed i progettisti. La missione del nuovo ente era definita all’Articolo 3 dello Statuto: «La Fondazione si propone la valorizzazione e la promozione del complesso monumentale della Palazzina di Caccia di Stupinigi, curando l’esecuzione, d’intesa con la proprietà, di interventi di restauro, di protezione e di adeguamento funzionale atti a restituire al citato complesso l’originario splendore e la miglior fruizione culturale ed artistica per il pubblico». Tutti i programmi sulla Palazzina di Caccia vennero impostati in accordo con l’Ordine Mauriziano e di concerto con le Soprintendenze piemontesi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, al fine di valorizzare lo straordinario capolavoro settecentesco attraverso interventi di restauro e di adeguamento funzionale. Vennero infatti firmate apposite Convenzioni tra le istituzioni coinvolte per definire un quadro giuridico ed organizzativo adeguato alla complessità dell’intervento programmato. Il primo atto fu la definizione di un gruppo di professionisti e ricercatori che avviarono il lavoro con una ricerca approfondita sulle fonti storiche e documentarie, fortunatamente abbondanti sia nell’Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano che nell’Archivio di Stato, integrate da recenti ricerche e rilievi sulle fabbriche che costituivano il complesso iniziato e praticamente completato entro il secolo XVIII. Non mancò una difficile ricerca, rivelatasi purtroppo inMECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 97


7. Citroniera di levante dopo i lavori di restauro, trasformata in spazio espositivo secondo gli standard impiantistici internazionali (fotografia di Maurizio Momo).

5. Citroniera di levante durante i lavori di restauro per l’inserimento delle dotazioni impiantistiche sotto la pavimentazione (fotografia di cantiere).

fruttuosa, presso i depositi di diverse istituzioni parigine per tentare di ritrovare il modello ligneo della Palazzina, di cui è documentato il trasporto a Parigi in epoca napoleonica, che era stato realizzato in grandissima dimensione per volere dei committenti sabaudi. In parallelo vennero avviate le pratiche per liberare l’edificio dagli inquilini installati in circa 40 unità abitative nei piani alti della Palazzina, incontrando non poche resistenze, che generarono anche ritardi soprattutto nell’esecuzione dei lavori sulle coperture. Il progetto di restauro preliminare, definitivo, esecutivo e la direzione artistica vennero affidati a Roberto Gabetti (sino al 2000), Aimaro Isola, Maurizio Momo con Giuseppe Bellezza (sino al 1995). Il coordinamento tecnico-gestionale dei lavori e la realizzazione delle opere in qualità di General Contractor furono assunte, nelle importanti fasi inziali dei cantieri, dalla Fiat Engineering. Le diverse fasi operative vennero coordinate, per conto della Fondazione Palazzina Stupinigi, dall’autore del presente saggio, nella sua qualità di consigliere designato da Fiat nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione stessa nell’arco di una cinquantina di riunioni operative del consiglio stesso, ampiamente documentate da altrettanti verbali. Determinante si rivelò la partecipazione al gruppo di lavoro di Daniela Biancolini, quale rappresentante dell’organo di tutela Soprintendenza per i Beni Architettonici ed Ambientali, sia per la determinazione delle scelte progettuali che per la definizione delle tecnologie di intervento. Questo tipo di organizzazione manageriale, in parte mutuata da quelle tipicamente aziendali, ha consentito di ben condurre un così complesso e gravoso intervento senza contenziosi con le imprese, nel rispetto dei preventivi ed in particolare dei tempi, almeno fin quando fu assicurata la continuità delle risorse economiche messe a disposizione pariteticamente da Cassa di Risparmio di Torino e Fiat nel periodo 1987-2000. Per gli interventi di restauro, la complessità del cantiere ha suggerito un progetto globale da realizzare poi in lotti successivi; questa scelta ha consentito di operare per fasi funzionali complete senza però compromettere le attività di visita del Museo dell’Ammobiliamento ospitato nella Palazzina. Il progetto venne fondato su una complessa fase conoscitiva, indispensabile per definire 98 |

6. Messa in opera degli impianti tecnologici lungo tutto il perimetro della Palazzina (fotografia di cantiere).

gli interventi di restauro e per individuare le destinazioni d’uso compatibili. Fondamentali si dimostrarono a tale riguardo le ricerche storiche, i rilievi e le analisi sul costruito, finalizzati alla conoscenza capillare delle tecniche costruttive, dei materiali, del degrado e dei restauri del passato. Le ricerche archivistiche e storiche furono affidate, con il coordinamento dei progettisti e delle Soprintendenze, a Elisabetta Ballaira, Laura Collobiano e Marina Lupano e si avvalsero del materiale di rilievo e di studio già prodotto da Gianfranco Gritella. Le linee guida dell’intervento naturalmente tendevano verso il massimo rispetto del valore storico e architettonico della Palazzina, senza tuttavia escludere la possibilità di inserire interventi impiantistici, all’epoca molto scarsi, adatti a garantire l’adeguamento funzionale degli spazi museali (figg. 5-6). La prima fase di restauro, risalente agli anni 1889-1990 ha riguardato le fabbriche delle scuderie e degli antichi canili di levante, per la realizzazione di spazi e sale adatte ad ospitare vari tipi di attività culturali ed istituzionali. Le due scuderie settecentesche, quella retta affacciata sull’esedra d’ingresso e quella curva, di raccordo con gli antichi canili e le residenze auliche, attraverso interventi localizzati al di sotto del piano dei pavimenti, vennero dunque adeguate, dopo accurati scavi anche archeologici, con impianti specifici e sofisticati – illuminazione e condizionamento – dotando la Palazzina di un Centro con sale espositive adatte a grandi mostre temporanee. In questa stessa occasione furono restaurate le murature sia a vista che intonacate, le coperture, gli infissi, gli intonaci interni e i coronamenti lapidei delle fabbriche, intervenendo, anche in via sperimentale, in una zona limite ma significativa della Palazzina, in cui erano riassunti tutti i caratteri costruttivi presenti nell’intero complesso. Ciò permise di raccogliere informazioni importanti e di indirizzare in modo mirato i successivi restauri nei corpi di fabbrica più ricchi di testimonianze architettoniche e decorative (fig. 7). Oltre 200 tra restauratori, stuccatori, minusieri, marmisti, carpentieri, impiantisti ed operai di una dozzina di imprese, contemporaneamente presenti in cantiere, lavorarono per dare finita l’opera in appena dodici mesi. Un intervento di tale dimensione e delicatezza costituì un esemplare punto di riferimento, a dimostrazione che è possibile fare presto e bene, anche nel difficile campo del MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 99


8. Grande struttura di carpenteria a protezione dei lavori di restauro alla copertura (fotografia di Maurizio Momo). 9. Trasporto della copia in bronzo del cervo posto a coronamento della cupola (fotografia di Maurizio Momo).

restauro, se si persegue una piena sintonia tra progettisti, esecutori ed enti pubblici preposti al controllo. In questo Centro per le manifestazioni temporanee vennero allestite diverse apprezzate mostre, tra cui si ricordano principalmente nel 1989, in occasione dell’inaugurazione, I Tesori del Palazzo Imperiale di Shenyang antica capitale della Manciuria cinese; San Pietroburgo 1703-1825. Arte di corte dal Museo dell’Ermitage, nel 1991; Il Tesoro della Città. Opere d’arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama nel 1996; I Trionfi del Barocco. Architettura in Europa 1600-1750, nel 1999. La seconda fase dei lavori di ristrutturazione e restauro generale, avviata nel 1991, interessò il corpo centrale della Palazzina, fulcro dell’intero organismo dove sono conservate le più significative testimonianze del pensiero juvarriano. Nel 1990-1994, la scelta di intervenire al più presto sulla copertura del tamburo del Salone centrale, riplasmata da Benedetto Alfieri, e sulla sottostante volta in plafond progettata da Juvarra e decorata dai fratelli Valeriani, fu conseguente allo stato molto avanzato di degrado ed ai dissesti causati dalle infiltrazioni di acqua meteorica e dalle muffe dovute anche alla presenza di uno spesso strato di guano, generato dalla presenza massiccia di colombi, sui pennacchi delle volte (fig. 8). L’intervento sulla grande macchina lignea che sosteneva la cupola rivestita di rame e il cervo posto come finimento, è consistito nel restauro di tutte le testate delle travi che poggiano sul perimetro esterno – capriate, banchine, puntoni –, nel restauro dei solai posti a protezione dei plafond e dei sottostanti plafond intonacati, nel restauro delle falde di copertura, in coppi e rame chiodato sui tavolati. Un tema a sé è stato il restauro del cervo: il degrado avanzato, certificato anche da indagini endoscopiche sulla struttura lignea che modella il corpo poi rivestito di rame laminato d’oro, di cui purtroppo è rimasta solo un piccola traccia, 100 |

10. G.B. Bernero, Uno dei meravigliosi trofei di caccia (fotografia di Maurizio Momo). 11. Scuderie di levante dopo il restauro (fotografia di Maurizio Momo).

ha imposto il restauro e la musealizzazione del manufatto originale di Ladatte e la sua sostituzione con una copia in fusione di bronzo eseguita secondo la tecnica tradizionale (fig. 9). Dopo l’intervento sulle coperture si è potuto operare sui plafonds affrescati dai Valeriani: un grande ponte costruito all’interno del Salone ha permesso di ripristinare l’aggrappo dell’intonaco affrescato del soffitto e il consolidamento e la reintegrazione della superficie pittorica originale che si era distaccata dal supporto ligneo, per fortuna in quel momento in dimensioni ancora molto limitate. Con la stessa tecnica si sono restaurate le falde di copertura degli Appartamenti Reali, seguendo le esperienze maturate nella prima fase di restauro, le balaustre e gli intonaci del Corpo centrale e la straordinaria serie di oltre 60 trofei marmorei di Bernero e Collino (fig. 10). Sul piano metodologico si può sottolineare che la Fondazione ha sempre assicurato, con proprie risorse interne, il coordinamento delle varie fasi progettuali e realizzative, affidando a professionisti esterni di provata competenza tutti gli aspetti di ricerca storica, di indagini conoscitive sul manufatto, di progettazioni architettoniche e specialistiche, di ingegneria impiantistica e di sicurezza, di realizzazione ad opera di maestranze addestrate anche ad utilizzare le antiche tecniche di lavorazione dei materiali, di direzione e contabilità lavori. Parallelamente la Fondazione Palazzina Stupinigi, in collaborazione con l’Ordine Mauriziano e la SBSAEP (Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte), ha promosso la schedatura scientifica e la catalogazione fotografica di tutti gli arredi del percorso di visita, curate da Elisabetta Ballaira e Angela Griseri, che hanno anche seguito la sistemazione dei depositi ai piani alti del Corpo centrale e il riarredo e la riapertura temporanea dell’Appartamento di Carlo Felice nel periodo 1994-1996. L’aggiornamento e il completamento della schedatura, oltre al prosieguo della ricerca storica artistica ed archivistica, in vista del nuovo progetto museale, vennero promossi e coordinati per un lungo periodo di tempo dalla citata Soprintendenza sotto l’illuminata guida delle Soprintendenti che negli anni si sono avvicendate, Carlenrica Spantigati e Edith Gabrielli. La conoscenza e la divulgazione delle opere realizzate ha trovato puntuale riscontro presso il pubblico e gli studiosi in occasione di conferenze, di seminari e di presentazione dei volumi a stampa, pubblicati a cura della Fondazione. Due MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 101


seminari, documentati da altrettanti Quaderni furono tenuti nel 1989, Il cantiere della Palazzina di caccia di Stupinigi, a cura delle tre Soprintendenze del Piemonte coinvolte e dei progettisti, e nel 1991 Il progetto per interventi in edifici antichi, teoria e pratica. Nel 1996 venne pubblicato dalla Fondazione Palazzina Stupinigi il volume Stupinigi. Luogo d’Europa a cura di Roberto Gabetti e Andreina Griseri. Il restauro delle Gallerie di levante e di ponente, delle fabbriche delle scuderie e degli antichi canili di ponente, dei Guardarnesi di ponente nel 1994-1997 e successivamente delle fabbriche delle antiche scuderie juvarriane di levante e ponente e dei Guardarnesi di levante nel periodo 2000-2002 costituisce l’ultimazione degli interventi sugli edifici fronteggianti il cortile d’onore e conclude il restauro delle fronti della Palazzina rivolte verso Torino, sempre utilizzando un ulteriore significativo contributo della Fondazione CRT (fig. 11). Gli interventi hanno ripreso, come modalità esecutive, le opere realizzate sui corpi di fabbrica simmetrici nella prima fase e si sono concentrati principalmente sul restauro delle coperture – intervento rivelatosi di fondamentale importanza per la conservazione della fabbrica – sulle murature in mattoni e intonacate, sul restauro degli infissi e sulla predisposizione degli impianti tecnologici. Rilevante il consolidamento statico delle volte della scuderia di ponente, la prima realizzata in epoca juvarriana, su cui erano evidenziati ripensamenti avvenuti in corso d’opera e interventi di consolidamento di inizio Novecento. Le fasi di lavoro dal 1994 al 2003 hanno esteso le stesse tipologie di restauro ad altri corpi di fabbrica quali le due Gallerie di collegamento al Corpo centrale e il complesso delle scuderie di ponente e più recentemente alle facciate prospicienti il parco interno (fig. 12). Un più dettagliato rapporto sulle modalità e sulle tecnologie adottate nei vari cantieri sono oggetto delle relazioni e dei saggi contenuti nel presente volume. A partire dal 2004 si è finalmente potuto procedere ad intervenire nell’adeguamento del percorso museale, dotandolo di specifici impianti elettrici e di riscaldamento per consentire la riapertura al pubblico delle parti più significative della Palazzina. Proseguivano contestualmente lavori di recupero delle gradinate e terrazze sui fronti nord e sud nonchè restauro delle facciate prospicienti il parco interno. Questi cantieri vennero coordinati e diretti dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio sotto l’appassionata e qualificata direzione della Soprintendente Luisa Papotti. Più recentemente, dal 2010 ad oggi, è stata affrontata una campagna di adeguamento funzionale ed artistico sugli apparati decorativi fissi del Corpo centrale, restituendo l’originaria bellezza della Sala degli Scudieri, del Salone centrale, della Cappella di Sant’Uberto e dell’Appartamento della Regina. Determinante per la miglior riuscita dei lavori è stata la stretta collaborazione tra progettisti, maestranze dei restauratori, sotto la direzione operativa di Barbara 102 |

12. Rilievo architettonico, sezione trasversale e prospetto principale verso il cortile d’onore.

Rinetti, funzionari Anna Maria Bava e Franco Gualano della Soprintendenza, personale della Fondazione Ordine Mauriziano. Con le stesse modalità è ora programmata un’ulteriore fase di lavori, finanziati dalla Fondazione CRT e gestiti operativamente da Consulta, per completare il pieno recupero di tutti gli ambienti del Corpo centrale così da poter offrire ai visitatori un meraviglioso percorso nelle parti più auliche e spettacolari della residenza reale. Su una diversa tipologia di lavori, grazie ad un generoso contributo appositamente stanziato della Fondazione CRT, la Fondazione Ordine Mauriziano ha potuto intervenire sui parterres antistanti e retrostanti la Palazzina ridefinendo il tracciato dei viali e delle aiuole, a partire da quelli originari juvarriani nel cortile d’onore e proseguendo con quelli di fine Settecento e Ottocento. Sempre sul tema del recupero del verde e dell’immagine delle rotte di caccia, la Consulta aveva tempo fa già provveduto, sempre in accordo con la proprietà, al reimpianto di 1700 pioppi cipressini, fondamentale per ricostruire il legame architettura-natura che era stato il pensiero dell’articolata struttura juvarriana: essa estendeva ai tracciati nelle radure e nei boschi l’impianto degli assi visuali generati dai corpi di fabbrica dipartenti dalla croce di Sant’Andrea del padiglione centrale. Una menzione a parte merita un evento che ebbe luogo negli anni 1998-1999 con grande richiamo di pubblico: l’allestimento della grande mostra sul Barocco, voluta da Fiat per celebrare il centenario della sua costituzione e realizzata con la collaborazione della prestigiosa istituzione veneziana di Palazzo Grassi. In quell’occasione vennero eseguiti una prima parte di quegli interventi in campo impiantistico, per adeguamento alla normative antincendio e di sicurezza che vennero ampliati e completati, come detto, negli anni successivi. Per dare un’idea dell’entità degli interventi fisici effettuati in venticinque anni, si possono segnalare alcuni dati: i circa 10.000 metri quadrati di tetti restaurati anche mediante i consolidamenti degli incastri di 400 travi portanti; i 1.000 metri di balaustrate e coronamenti lapidei; gli 800 serramenti oggetto di recupero anche con vetri appositamente prodotti; gli svariati chilometri di tubazioni delle reti idriche, riscaldamento, climatizzazione, antincendio ed elettriche in parte interrate in appositi cunicoli impiantistici lungo il perimetro del fabbricato; le ampie centrali tecnologiche e i canali di distribuzioni nei sottopiani e nei cortili di servizio, la gigantesca copertura provvisoria realizzata a protezione dei delicatissimi interventi sulle coperture del Corpo centrale e dei sottostanti affreschi del Salone centrale; lo smontaggio del Cervo posto a coronamento della cupola e la sua sostituzione con una copia fusa in bronzo secondo le antiche tecniche; i 1700 pioppi ripiantati e i molti metri lineari di siepi di bosso e ligustrum lungo i tracciati dei parterres. Questa sommaria elencazione è solo una sintetica e non esaustiva descrizione di quanto eseguito, mirata a far cogliere l’entità e la qualità degli interventi che hanno riportato la Palazzina al rango che le compete nel panorama delle analoghe residenze sia italiane che europee. Fondamentale riferimento per la programmazione degli interventi passati, presenti e futuri fu il Piano Direttore 1998-2002 per la ridestinazione dei vari ambienti della Palazzina di Caccia ponendo altresì le basi di un percorso continuo all’interno dell’edificio, collegando con rampe e ascensore i vari piani, in modo da permettere un percorso di visita continuo, chiuso ad «anello» ed adeguato anche alle esigenze dei portatori di disabilità. L’investimento finanziario dei restauri ha superato i 40 milioni di euro, per circa la metà messi a disposizione dalla Fondazione CRT, e per il resto da rilevanti contributi di Fiat, del Ministero Beni Culturali, della Regione Piemonte e della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino. MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 103


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MECENATI PER LA PALAZZINA DI CACCIA | 105


UNA NUOVA STAGIONE DALLA RIAPERTURA DELLA PALAZZINA AGLI ULTIMI INTERVENTI Chiara Momo

L’allestimento museale per la riapertura del 2011

L

a Palazzina di Caccia riapre al pubblico nel novembre 2011 dopo diversi anni di chiusura per permettere gli interventi – in parte già descritti – di adeguamento impiantistico dei locali visitabili, il restauro delle cucine e l’imponente restauro dell’apparato decorativo fisso e mobile dell’Appartamento di levante1. È l’occasione per esporre per la prima volta i dodici grandi medaglioni in legno con i ritratti dei primi conti della Genealogia sabauda, ritrovati negli anni ottanta al piano seminterrato della Palazzina e restaurati con il contributo della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino2. L’apertura di una parte del percorso di visita, già pensato nel 2003 e poi nel 2010-2011, richiede l’allestimento3, anche se in parte provvisorio, del percorso di visita della porzione di Palazzina visitabile. Dall’Atrio di ingresso, che fornisce informazioni sul territorio e sulla storia della Palazzina e dell’Ordine Mauriziano, si accede alla Galleria dei ritratti dove è esposto l’originale settecentesco cervo, rimosso negli anni novanta dalla sommità della cupola e sostituito con una copia, presentato su un supporto, smontabile e movimentabile, che ripropone il finimento della cupola in rame su cui il cervo è ancorato. Contestualmente sono presentati gli enti finanziatori che hanno contribuito negli anni ai diversi interventi di restauro e recupero della Palazzina e dei suoi arredi. Il percorso museale si sviluppa poi tramite una passerella che si amplia in isole, attraverso la Biblioteca alfieriana, l’Atrio dell’Appartamento di levante, la Galleria di levante, con l’esposizione dei bozzetti dei trofei di caccia di Collino4 e ancora testi sugli interventi di restauro del verde e del Corpo centrale, e, tramite la scala juvarriana, giunge nel Corpo centrale dove attraversa la Sala degli scudieri e accede al Salone centrale. Da qui ci si affaccia sugli Appartamenti reali5 e sulla Cappella e si procede al percorso di ritorno, riattraversando la Sala degli Scudieri e la Galleria, sino all’Atrio dell’Appartamento di levante, al quale si accede seguendo il percorso d’onore che trova la sua conclusione nella Sala da Gioco secondo il percorso definito dal «Progetto museologico per la Palazzina di Caccia di Stupinigi»6, redatto dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte. Per questo percorso sono stati progettati tutti gli elementi espositivi, di protezione dei manufatti storici e delle passate dell’Appartamento di levante, i supporti per la comunicazione. Maestranze piemontesi, Beroldo, 1770-1780, Stupinigi, Palazzina di Caccia, Galleria d’ingresso.

Il restauro dei parterres e della cancellata Chi guarda le carte, antiche o recenti, che illustrano Stupinigi, è subito colpito dal lungo tracciato che assialmente attraversa tutto il complesso e in molti luo| 107


1. Complesso di Stupinigi: tracciati della Palazzina di Caccia, delle assialità del verde, delle rotte di caccia e dei rustici.

2. Galleria di ingresso nell’allestimento per la riapertura della Palazzina del 2011 (fotografia di Maurizio Momo).

ghi lo suddivide quasi specularmente. È una linea marcata che, a partire dal torrente Sangone, all’inizio della tenuta, attraversa i fabbricati dei rustici, la grande esedra, i cortili della Palazzina, il Salone centrale e quindi i viali del giardino e le rotte e le strade del parco7. Da questo asse rettore, secondo l’ideazione juvarriana, si staccano gli allineamenti che dal casino di caccia, collocato in posizione sopraelevata sulla pianura, regolano i tracciati del giardino e del parco e dell’intorno circostante. Ne consegue un diramato reticolo, chiaramente codificato al momento dell’ideazione e quindi nelle fasi esecutive, che costituisce un esempio singolare – a livello europeo – di connessione fra l’architettura delle fabbriche e il territorio circostante: viali e parterres dei rustici e della Palazzina, giardino, parco per la caccia e aree coltive. Ma anche una delicata situazione di equilibrio che richiede la scrupolosa conservazione di tutti gli elementi che partecipano alla definizione della coreografia dell’impianto. Il parterre erboso dell’esedra o semirondò antistante la Palazzina, rimasto tale dall’epoca di Juvarra sino all’ultimo decennio del Settecento8, era formato da una grande area prativa costituita dal tracciato dell’esedra e da una fascia erbosa, poi occupata dalle scuderie di Bo, che raccordava il semicircolo dell’esedra al muro di cinta e alle balaustre che delimitavano frontalmente la Palazzina. 108 |

Con il completamento dei fabbricati sul lato destro dell’esedra e la faticosa costruzione dei canili, l’emirondò di arrivo alla Palazzina assume negli anni ottanta una precisa configurazione. Il progetto di Bo9 evidenzia la strada che dal centro dell’esedra, dividendola in due settori simmetrici, attraversa l’androne carraio che dà accesso alle scuderie simmetriche. Questo tracciato ribadisce con evidenza le intenzioni dei progettisti: costituire una raggiera di percorsi, retti e obliqui, convergenti sul polo d’ingresso della Palazzina, a conclusione del vialone che la collega alla città. Un vero e proprio parterre anche se incompleto è rappresentato ai primi anni dell’Ottocento10 ma, per disporre di un disegno accurato bisogna aspettare la metà del secolo. Il tracciato rimane, come d’obbligo, costruito sull’asse centrale, il grande viale di accesso, da cui si staccano, direttamente o mediante piccoli rondò, percorsi ortogonali o diagonali che collegano il viale centrale ai vari ambienti11. Nel cortile d’onore il parterre riprende i tracciati juvarriani: rispetto al disegno antico non è più riproposto l’asse trasverso centrale mentre vengono introdotti due percorsi aperti che collegano direttamente i due atri degli Appartamenti ducali. Nella piccola corte il vialone è intersecato da percorsi secondari, a diverse angolazioni, che si attestano sugli atri di accesso ai Guardanesi, alla portineria e alle scale simmetriche ovali e attraversano gli androni dei cortili di servizio. Lo stesso schema geometrico viene riprodotto nell’esedra, secondo un disegno molto simile a quelli previsti a partire dalla seconda metà del Settecento: un tracciato a raggiera, che ha come centro la rotonda costruita sull’asse centrale del vialone all’incrocio del viale trasverso che corre lungo le fronti delle scuderie. Per la prima volta, ai lati del grande viale, nel tratto che fronteggia le cascine, compare una doppia fila di alberi in sostituzione dell’originaria semplice alberata. Questo stato di fatto permarrà sino ad oggi. Il parterre a prato verrà mantenuto tale presumibilmente sino agli inizi degli anni quaranta12, periodo in cui, per le vicende della guerra, furono sospese le manutenzioni e molti dei prati furono trasformati in orti. Il restauro del parterre, realizzato tra l’autunno 2010 e la primavera 201113, ha riUNA NUOVA STAGIONE. DALLA RIAPERTURA DELLA PALAZZINA AGLI ULTIMI INTERVENTI | 109


proposto il tracciato desunto, nelle proporzioni e negli allineamenti, dai rilievi storici della Palazzina e per i parterres contenuti all’interno delle fasce in acciottolato che perimetrano lo spiccato dei muri della Palazzina ha comportato il ribassamento del piano dell’inghiaiato in corrispondenza del filo degli acciottolati e soprattutto delle soglie storiche dei portoni al fine di ripristinare l’antico e naturale deflusso delle acque piovane, convogliate in caditoie di pietra e scaricate nella rete di irrigazione e nell’antico canale che attraversa in diagonale la corte d’onore. Contestualmente, nel cortile d’onore, nell’esedra e nella piccola corte che precede la cancellata è stata realizzata una rete di irrigazione dotata di pozzetti interrati alimentata in prevalenza dalle acque meteoriche provenienti dai tetti e dai cortili della Palazzina, raccolte dall’impianto fognario e convogliate in apposite vasche. Nella grande esedra o emirondò coltivata a prato antistante le Scuderie alfieriane, dove sono stati ripiantati lungo la bordura curva segnata dal ciglio della strada i pioppi cipressini14, è stato ripristinato il tracciato a raggiera preesistente, che collega il vialone centrale con gli androni carrai simmetrici che danno accesso alle scuderie alfieriane. Anche l’impianto del giardino, come quello del complesso (Rustici, Palazzina, Parco), è costruito sull’asse rettore longitudinale che attraversa tutto il territorio della tenuta e che nel giardino diventa prima viale e nel parco prosegue come Rotta Reale. È diviso in due settori, un primo quasi quadrato, in prevalenza parterre, che si sviluppa a partire dal fronte sud della Palazzina ed e un secondo, rotondo, in prevalenza alberato, che ha al centro il Rondò Reale ed ha un raggio di circa 193 metri. Questi settori si compenetrano tramite lo spazio ampio del parterre che si incunea profondamente nella raggiera boscata del parco circolare. 110 |

3. Parterres del giardino dopo l’intervento di restauro (fotografia di Massimo Ferrero).

Il primo settore, chiuso sui lati dal muro di cinta, è segnato dal tracciato della Rotta Reale e, ai lati di questa, dalle due grandi aiuole simmetriche del parterre chiuse, verso il muro di cinta, dal tracciato dei viali degli Appartamenti Verdi. Verso la Palazzina il giardino è delimitato dall’ampio spiazzo inghiaiato che aveva la funzione di convogliare la corte verso la Rotta Reale, il parterre e i viali degli Appartamenti Verdi. Ai lati del parterre due viali minori, paralleli al viale centrale, dividono il sedime delle aiuole dagli Appartamenti Verdi e proseguono all’interno del parco a raggiera. Tutte queste aiuole, dall’inghiaiato antistante la Palazzina al grande rondò, sono decorate durante il periodo estivo da grandi vasi di agrumi, conservati, nel periodo invernale, in apposite serre. L’impianto del giardino della Palazzina assume l’attuale configurazione formale negli ultimi anni del Settecento15, dopo la serie non interrotta di lavori iniziati dopo il 1740 da Tommaso Prunotto (affiancato dal direttore dei Giardini Reali Bernard) e proseguiti sino alla fine del secolo da Ludovico Bo. Con l’occupazione napoleonica gli Appartamenti Verdi vennero privati delle strutture di sostegno in ferro e dei trillage lignei per adattare al gusto romantico l’impianto settecentesco. Dopo la Restaurazione, quando a Stupinigi vennero introdotti animali esotici, realizzando uno dei primi esempi di giardino zoologico, la gestione del giardino sembra limitarsi ad una ordinaria manutenzione. Gli ulteriori interventi di manutenzione introdotti nel corso del secolo sono documentati nei Testimoniali di Stato del 1864 e 191316, e nei Testimoniali delle Piante ad alto fusto compilati nel 1876. Successivi lavori sono riscontrabili a cavallo del Novecento, a cura del giardiniere Scalandris, in particolare la manutenzione e riproposizione degli arredi del lago e del padiglione costruito sulla sommità dell’isola. Nel 1920 la Palazzina e l’annesso giardino vennero consegnati al Ministero dell’Istruzione per poi passare al Demanio dello Stato e in seguito all’Ordine Mauriziano. Negli stessi anni il giardino venne aperto al pubblico. Sottoposto sino agli anni novanta ad ordinaria manutenzione, il giardino venne in seguito progressivamente abbandonato ed ora è percorribile lungo la Rotta Reale, anche se fortemente degradato, e in attesa di restauro. Il cantiere di restauro dei parterres del giardino antistanti la facciata sud della Palazzina, dall’aprile all’ottobre 2013, ha portato alla riapertura all’interno delle due grandi aiuole prative dei tracciati diagonali e al rafforzamento del disegno radiale degli allineamenti storici che convergono al centro del Salone. Questi due tracciati, che all’interno dell’aiuola si sdoppiano e che all’incrocio sono arricchiti dalla presenza di un rondò, proseguono poi nel settore circolare del giardino e intersecando i viali radiali confluiscono nel grande tournant che corre lungo il muro di cinta. Tutti i percorsi all’interno delle aiuole sono stati realizzati con graniglia su sottofondo drenante modellato per raccogliere l’acqua piovana. Particolare attenzione è stata posta nella formazione delle fasce perimetrali da realizzare sul perimetro esterno dei parterres che hanno la funzione di ospitare nel periodo estivo i vasi di citroni. I tracciati dei viali e le nuove aiuole sono state perimetrate da siepi di ligustro, dello stesso genere di quelle già presenti, che sono state, dove possibile, rimosse, ripiantate e integrate. Il tappeto erboso delle aiuole, realizzate con pendenze atte a consentire un perfetto deflusso delle acque dall’interno verso l’esterno, si estende sino al margine della siepe di ligustro. In totale per questi parterres sono stati realizzati circa 12.000 mq di tappeto erboso e 1.800 metri lineari di siepe, per un totale di oltre 4.500 arbusti messi a dimora. A completamento del restauro dei parterres, nel 2014 si è proceduto al restauro del grande manufatto costituito dalla duplice balaustra con tracciato curvilineo alternato a due tratti retti, costruita con le stesse modalità degli acroteri balaustrati che decorano le fronti della Palazzina chiusa al centro da una grande canUNA NUOVA STAGIONE. DALLA RIAPERTURA DELLA PALAZZINA AGLI ULTIMI INTERVENTI | 111


cellata formata da tre cancelli che si alternano a due specchiature fisse17. Le ante dei cancelli, che si ribaltano completamente, sono contenute del tutto in queste specchiature consentendo una grande visibilità dei fabbricati aulici della Palazzina. Ogni cancello è finito superiormente da una cimasa decorata con motivi floreali sormontato da un fastigio: quelli laterali portano monogrammi reali, quello centrale uno stemma sormontato da corona18. Il restauro ha comportato un importante intervento di consolidamento della balaustra in marmo di Susa su basamento rivestito in pietra, in pessimo stato conservativo tanto da compromettere la stabilità delle lastre e dei singoli balaustrini a cui sono seguiti la pulitura dalle croste nere, l’eliminazione di muschi e licheni, la risarcitura delle fessurazioni e delle fratturazioni e la protezione finale. Anche la cancellata in ferro d’Aosta ha richiesto un delicato intervento su tutti gli elementi strutturali – montanti di sostegno delle cancellate fisse e delle ante mobili dei cancelli, telai delle ante mobili dei cancelli comprese le bacchette interne, sistema di movimentazione dei cancelli – mediante la verifica dei singoli elementi con la sostituzione puntuale delle parti che hanno subito danneggiamenti di tipo traumatico. È seguita la verifica dei sistemi di chiusura dei cancelli e la messa in funzione di tutto il sistema di fissaggio a terra e di scorrimento. Si è poi proceduto con la pulitura per l’eliminazione dei depositi di sporco, delle verniciature sovrammesse e della ruggine e alla verniciatura protettiva e all’accurato restauro dell’apparato decorativo, con il consolidamento, la pulitura e le piccole integrazioni del fragile apparato decorativo sommitale.

4. Scala juvarriana dopo l’intervento di restauro (fotografia di Maurizio Momo).

L’adeguamento del percorso per i disabili: il recupero della scala juvarriana L’adeguamento del percorso museale per la visita dei disabili costituisce un ulteriore passo in avanti nella prospettiva di quanto previsto nel piano direttore. Per consentire ai disabili una completa accessibilità del museo si è realizzato un percorso che si discosta minimamente, e solo in alcuni tratti, dal percorso di visita comune. In particolare il superamento dei gradini del vano compreso tra l’Atrio degli Appartamenti di levante e la Galleria di levante19 avviene mediante una rampa in vetro stratificato antisdrucciolo e struttura in acciaio, mentre l’accesso alla scala juvarriana è consentito da una rampa più ridotta in legno ignifugo e moquette. L’inserimento di un servoscala nella scala alfieriana consente il superamento dei gradini esistenti tra l’Atrio e gli Appartamenti di levante e l’occasione degli interventi funzionali al superamento delle barriere architettoniche permette di operare un intervento di recupero dell’intero ambiente occupato dalla scala juvarriana. Uno dei nodi non secondari del progetto di Juvarra è infatti costituito dal duplice blocco di scale simmetriche, contenute in un vano rettangolare, che collegano tra di loro i tre piani principali del corpo centrale: il piano terreno degli Appartamenti Reali con al centro il Salone, il piano seminterrato delle cucine e dei servizi, il primo piano destinato ad ospitare i principi di casa reale e il seguito, sia pure in numero molto limitato. Il blocco è costituito da cinque rampe longitudinali, da quella centrale, la rampa principale, più larga, che collega la Galleria al piano del Salone e che sta al centro dell’invaso e dalle quattro rampe laterali simmetriche che su questa si affacciano e servono gli altri due piani. L’impianto è conseguente alla seconda fase progettuale juvarriana, e segue un primo pensiero20 che prevedeva l’inserimento del blocco delle scale al fondo dei due portici aperti poi trasformati in galleria chiusa. La soluzione realizzata è in realtà molto più articolata21, secondo l’intenzione di inserire la rampa principale all’interno del Corpo centrale in un unico vano scale e di creare un ambiente a più livelli con rampe dotate di ringhiere che si affacciano sulla rampa centrale22. 112 |

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5. Stupinigi, Palazzina di Caccia, Salone centrale, particolare dell’apparato decorativo (fotografia di Ernani Orcorte).

Nelle pagine seguenti 6. Stupinigi, Palazzina di Caccia, Salone Centrale, particolare della balconata dopo l’intervento di restauro (fotografia di Ernani Orcorte). 7. Stupinigi, Palazzina di Caccia, Salone Centrale, L’Estate, una delle sculture lignee delle Quattro Stagioni dopo il restauro. 114 |

Il risultato, non documentato da un progetto completo ma solo dai rilievi di fine Settecento23, è costituto da una struttura portante relativamente semplice formata da pianerottoli e rampe di scale, quella centrale e le quattro laterali, appoggiate ai muri perimetrali e sostenute da quattro pilastri collocati centralmente al vano e a due a due contrapposti. Dai pianerottoli della rampa centrale si staccano le scale: dal pianerottolo di ingresso le due scale che tramite due piccole rampe trasversali e una longitudinale scendono al piano seminterrato mentre dal pianerottolo superiore si staccano le due scale simmetriche che portano al piano ammezzato e poi al primo. Queste scale sono costituite da rampe longitudinali doppie affacciate sul vano centrale e da brevi rampe trasversali di raccordo con il piano ammezzato. Tutte le rampe, dal piano interrato a quello terreno e ai piani superiori percorrevano longitudinalmente lo spazio all’interno dei pilastri protette in origine solo da ringhiere. Il risultato era una totale trasparenza visiva fra le varie rampe di scale e un effetto dilatato degli spazi. Nella prima metà dell’Ottocento furono tamponate le due rampe di salita affacciate sul vano centrale per costruire dei locali igienici ad uso del corpo di guardia posto a servizio del Salone: vennero chiuse con murature addossate alle ringhiere le arcate dei sottoscala e realizzato un pavimento sostenuto da volta in muratura di limitato spessore, ma ancora capace di consentire il passaggio di chi doveva scendere al piano seminterrato. Sempre, nel corso del secolo, nel vano scala vennero collocati altri servizi igienici, a servizio degli appartamenti del primo piano, compromettendo ulteriormente il disegno del vano, invaso, a piano seminterrato, dai tracciati degli scarichi fognari. Ma gli interventi visivamente più significativi risalgono agli anni sessanta del Novecento, quando si ricostruirono i locali igienici del piano terreno integrati con una batteria di servizi al piano seminterrato. La volta ottocentesca venne controsoffittata, ulteriormente ribassata e in alcuni punti demolita per inserire gli scarichi e nascondere i nuovi inserimenti impiantistici e al piano seminterrato quella settecentesca fu parzialmente tamponata. Per occultare visivamente questi interventi le due arcate laterali alla rampa principale e le due arcate delle rampe di discesa vennero tamponate con un paramento in mattoni forati, e le ringhiere juvarriane delle rampe di discesa smurate. Negli anni novanta queste batterie di servizi vennero demolite e la scala venne, con interventi provvisionali, compartimentata e dotata di collegamenti impiantistici. L’obiettivo dell’intervento è consistito nel rendere visibile, dove possibile, la – parziale – originaria spazialità della scala tramite la rimozione dei tamponamenti recenti, in particolare i quattro setti in mattoni forati e i due al piano primo in tavelle e mattoni contro cui si appoggiano le ringhiere. Si è potuto così reintegrare l’impianto architettonico del vano scala al piano seminterrato da cui sono percepibili, verso l’alto, il susseguirsi dei sott’archi rampanti e gli sfondati lasciati in antico aperti tra i tracciati delle rampe e contestualmente ricollocare le ringhiere disegnate da Juvarra a protezione delle rampe discendenti, poi smurate e ora ritrovate nei depositi. Inoltre, per rendere il percorso museale accessibile ai disabili, è stato inserito nel sottoscala prima occupato dal servizio igienico, secondo un progetto del tutto reversibile, un servo scala con rampa di servizio, destinata agli eventuali accompagnatori dei disabili, in acciaio e vetro stratificato e quindi trasparente, che permette di collegare il piano della Galleria al piano del Corpo centrale. Balaustra e Salone centrale L’intervento di restauro del Salone centrale24 si è configurato da una parte come intervento di completamento di quanto realizzato sulla copertura e sulle facciate dell’intero Corpo centrale e sulla volta del Salone all’inizio degli anni novanta del Novecento e dall’altra come prosecuzione degli interventi di restauro dell’apparato decorativo del Corpo centrale che hanno coinvolto la Sala degli UNA NUOVA STAGIONE. DALLA RIAPERTURA DELLA PALAZZINA AGLI ULTIMI INTERVENTI | 115


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Scudieri25 nel 2011 e la Cappella di Sant’Uberto nel 2013-2014. La prima fase è stata dedicata alla conoscenza del manufatto derivata dal continuo confronto con la documentazione d’archivio e gli autorevoli studi, con le indagini condotte sul costruito, con l’analisi del degrado e delle sue cause e con i primi saggi condotti dai restauratori, senza perdere il continuo riferimento agli ultimi interventi di restauro. In particolare prima di procedere all’intervento sull’apparato decorativo sono stati fatti accertamenti sullo stato conservativo strutturale della balconata anche tramite indagini magnetoscopiche, che ne hanno confermato la sostanziale solidità e che hanno evidenziato la presenza di una struttura di rinforzo in travi di ferro risalente probabilmente ad un corposo intervento di ripristino realizzato negli anni 1739-1740, quindi pochissimi anni dopo il completamento della decorazione, e che ha comportato anche la totale o, per le poche parti superstiti, parziale ridipintura dei plafond piani in tela e i modiglioni – sempre rivestiti in tela – da Innocente Bellavite. L’apparato decorativo restaurato, di disegno e regia juvarriani, è costituito dalla balaustra in legno «della loggia interiormente al Salone», affidata ai falegnami luganesi Giovanni Dragone e Francesco Raineri, appoggiata e staffata al tavolato del solaio, dalle tele dipinte su armatura lignea sottostanti la balconata, dai dipinti murali eseguiti nel 1732 da Giuseppe e Domenico Valeriani. Prospettive per il futuro Complessa è la realtà della Palazzina di Caccia, dalle sue articolate fasi costruttive alle diverse manutenzioni e agli interventi di restauro che si sono succeduti, e complessa è anche la gestione di un simile monumento, l’adeguamento alle normative di sicurezza anch’esse sempre in fase di aggiornamento, così come il reperimento di risorse. Da questa complessità deriva una prospettiva certamente da articolarsi nel tempo, da affinarsi secondo le opportunità e le esigenze emergenti, ma che senz’altro vede la possibilità nel prossimo futuro di intervenire sull’apparato decorativo fisso dell’Appartamento del Re, secondo un progetto in parte definito, in parte «indirizzato» da quanto realizzato per l’Appartamento della Regina e in parte da indagare sulla materia. In questo modo potrebbe essere esteso il percorso di visita all’intero Corpo centrale. Un ulteriore intervento potrebbe essere individuato nel restauro e nell’adeguamento impiantistico della Galleria interrata di Levante26: è già stato redatto un progetto che, con la sua realizzazione, permetterebbe di ampliare il percorso museale di ritorno al piano seminterrato attraverso la scala juvarriana e le cucine restaurate. Ancora, il giardino rotondo, con i viali radiali, il labirinto, il laghetto, il casino cinese…

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Per il restauro dell’Appartamento di levante si veda La Palazzina di Caccia 2014 e in particolare i contributi di A.M. Bava e F. Gualano. 2 Genealogie figurate 2011. 3 Il progetto di allestimento, così come la direzione dei lavori, è di Maurizio Momo e Chiara Momo. 4 Di Macco 2014, pp. 95-113. 5 Da giugno 2016 è aperto al pubblico l’intero Appartamento della Regina. 6 Bava, Gualano 2014b, pp. 329-345. 7 Momo 2002, pp. 32-38 e Momo 2003, pp. 79-91. 8 Descritto dalle mappe del Settecento e anche dalla veduta dello Sclopis, Veduta di Stupinigi dal lato di Torino, 1783 9 L. Bo, Pianta della fabbrica da costruersi in contorno del Albere Pine dall’ultima fabbrica di Cassina, sino alla fabbrica de’ novi Canili verso sera, da cominciarsi nel corrente anno per la partita tinteggiata di rosso, da rendersi ultimata nelli anni successivi 1780 e 1781 per altra parte tinteggiata di nero, 1779, 21 marzo A.O.M. Stupinigi, Mazzo 39 c. 1156. 10 Veran, Pianta del regio Parco di Stupiniggi. AST, Carte topografiche segrete, 37 A. V.rosso. 118 |

Il disegno, di inizio Ottocento, introduce per la prima volta all’interno del cortile d’onore, che qui appare rappresentato solo nella parte superiore, il tracciato del parterre. Sono evidenziate le aiuole a campo mistilineo adiacenti alla scalinata e i viali diagonali che dal rondò centrale portano agli appartamenti ducali. 11 P. Foglietti, L. Tonta, Reale Palazzina di Stupinigi, Pianta Terrena, tav. II, 28 settembre 1864. AST, Casa di S.M. cartella disegni n. 33. La tavola fa parte di una serie di disegni datati 1864, ma che probabilmente documentano una situazione antecedente di qualche anno. P. Foglietti, L. Tonta, Reale Palazzina di Stupinigi, Piano Generale, tav. I, 28 settembre 1864. AST, Casa di S.M. cartella disegni n. 33. 12 Testimoniato da successive tavole di rilievo redatte nel 1913 come aggiornamento dei testimoniali del 1864 e come risulta da fotografie d’epoca. 13 Il progetto e la direzione lavori sono di Maurizio Momo e Chiara Momo, con la consulenza botanica di Silvia Crida. I lavori sono stati eseguiti dalla Ditta Fratelli Airaudi sas. 14 Nel 2007 la Consulta provvede al reimpianto delle Alberate storiche: 1700 pioppi cipressini lungo le tre principali rotte di Caccia. Verdun di Cantogno 2015, pp. 62-63. 15 P. Denisio, Mappa del Territorio e Beni della Commenda di Stupinigi, Vinovo e loro aggregazioni…, particolare del Tenimento di Stupiniggi, 1757-1762 A.O.M. Tipi e cabrei, Mappa Denisio 2, Stup. 48 bis; Plan de Stupinis et ses environs, prima del 1789, senza firma. A.O.M. Stupinigi, Mazzo 48, c. 1607. 16 M. Vicarj, R. Siano, Reale Palazzina di Stupinigi, Giardino – Planimetria, tav. XII e Reale Palazzina di Stupinigi, Piano Terreno, tav. II, 10 marzo 1913. A.S.T. Casa di S.M. cartella disegni n. 21. 17 L’idea di chiudere il Cortile d’onore con una cancellata o balaustra è già presente nei primi pensieri di Juvarra per Stupinigi. Nel celebre schizzo prospettico del 1729, insieme alla balaustra dotata di cancellata che chiude la Palazzina all’estremità dei fabbricati dei canili, si coglie l’intenzione di delimitare con una recinzione anche lo spazio della Corte d’onore. La recinzione e la cancellata, forse anche per la relativa fragilità, sono documentate dalle fonti archivistiche del Settecento ma non dai tracciati planimetrici; solo una pianta del primo Ottocento e alcune vedute di metà Ottocento ne documentano l’effettiva presenza. Cfr. mappa Denisio, 1757-62, I. Sclopis del Borgo, Veduta di Stupinigi dal lato di Torino, 1783, I. Michela, Pianta generale del Reale Castello di Stupinigi, 1818 A.O.M. Stupinigi, Mazzo 52, c. 1713. 18 I monogrammi, V.E. e lo stemma sono chiaramente riconducibili a Vittorio Emanuele I, e quindi agli interventi eseguiti nel periodo della restaurazione, dopo l’occupazione francese, testimonianza di un aggiornamento o forse anche di una possibile riproduzione del manufatto. 19 I lavori sono stati eseguiti nell’autunno 2014. 20 Disegno della pianta del piano terreno pubblicato da Comoli Mandracci 1989, conservato a Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes, Topographie de l’Italie, VB 132 Y,2. 21 Cfr. gli studi e gli schizzi di Juvarra, in particolare il Profilo delle scale di Stupinigij, in Studi per scale interne della Palazzina di Stupinigi, M.C.To., Vol. I, c. 60, n. 88 1790/DS. 22 Delle ringhiere da realizzare per proteggere le numerose rampe Juvarra redige un disegno con allegata Istruzione. Il Dissegno della Ringhiera che và nella Scala (A.O.M. Stupinigi, Mazzo 14, c. 461), che in questo caso coincide perfettamente con quanto eseguito, compreso il fregio superiore e laterale, riporta anche le dimensioni in altezza del tratto di ringhiera, indicato di oncie 22 (pari a circa cm 94). L’Istruzione, datata 8 marzo 1721, specifica inoltre che le ringhiere delle due scale dovranno essere eseguite secondo il dissegno con il suo freggio sopra (non cita il fregio laterale, di inizio e fine campata che però è evidenziato nel disegno), e le pilastrate cò le bachette d’un terzo d’oncia in quadro (cm 1.43), le Collone più grosse di ferro come sopra, cioè di ferro d’Agusta (Aosta), come riportato nella prima parte del documento, riferito ai poggioli delle finestre esterne. L’Istruzione continua specificando che le ringhiere dovranno avere il giusto decliuio delle Scale, e le bachette posate à piombo perfetto dovranno essere ben ribattute e unite assieme. 23 Cfr. le planimetrie della Palazzina di fine Settecento e la Pianta generale di Michela del 1818. 24 Stupinigi 2015 e in particolare Bava, Gualano 2015, pp. 9-27 e C. Momo 2015, pp. 29-40, e le relazioni di restauro di B. Rinetti e G. Persano e T. Radelet. 25 Le cacce del Re 2012. 26 Il progetto, redatto da Maurizio Momo e Chiara Momo, è stato sostenuto dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, si veda Verdun di Cantogno 2015, pp. 61-66.

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UNO SMAGLIANTE INTERNO JUVARRIANO: IL RESTAURO DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA Anna Maria Bava, Franco Gualano

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C.A. Van Loo, Il riposo di Diana dalla caccia, particolare con Cupido, 1733, Camera da letto della Regina.

e sale dell’Appartamento della Regina rappresentano il trionfo della pittura nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, magnificate come sono dai due soffitti del Crosato e di Van Loo che ne costituiscono la nota saliente ed irresistibile. Il pittore veneto Giovanni Battista Crosato veniva pagato per il soffitto dell’Anticamera in tre riprese, tra l’ottobre 1733 e il gennaio 17341, ed offriva un risultato particolarmente consono agli intendimenti ed al tono juvarriano. Se nell’insieme della volta sembra imporsi l’ardita prospettiva che qua e là pare accrescere lo slancio di figure (fig. 1), alberi, particolari vari in vertiginosa rotazione, la visione delle singole scene è in fondo toccata allo stesso modo dai «più squisiti artifici e le più codificate pose» e dai «più freschi e istintivi atteggiamenti, le più libere e respiranti grazie», come ha sottolineato Luigi Mallé2, dunque oltre l’attitudine ultrabarocca del Tiepolo, alla ricerca d’un teatro più intimo, dove cogliere il clima della villa, della campagna, con le sue sensazioni fresche, in chiave rocaille, come commento all’Arcadia e alle fonti classiche; lo studioso vi ha letto con intelligenza anche piccoli particolari ben ponderati, come il ramo di roselline e campanule sull’ara, «che toglie al mito la sua atemporalità», e il particolare rilievo sul podio «un piccolo capolavoro d’anticlassicità»3 . La concezione del maestro veneto è del tutto libera da quadrature, espandendosi pienamente dalla base ai più arditi scorci contro il cielo azzurro, e le note squillanti, dal rosso al giallo, dallo stesso oro ai bruni delle parti controluce, spiccano in un’atmosfera appena fredda, che spesso alita serenamente, ove non si addensi più cupa nella zona del dramma. Fondamentale è l’interpretazione del mito, che è stata acutamente commentata dalla Griseri4: il Sacrificio d’Ifigenia deve propiziare la partenza dei Greci, la presa stessa di Troia; ma le ragioni dell’assolutismo scartavano il rito cruento della morte d’Ifigenia, come nelle scene di Eschilo, Sofocle e poi Lucrezio; se già nella versione di Racine, alla corte di Luigi XIV, il sacrificio era risolto con l’entrata di Erifile, che si offriva liberamente, a Stupinigi il sacerdote alle spalle della giovane si rivolge ad Artemide che, scesa dal cocchio, addita la cerva che sostituirà la figlia di Agamennone, rinverdendo la versione di Euripide, e tornando al tema del rito sovrano celebrato alla Palazzina: dai frutti della caccia può venire anche la salvezza (fig. 2). È una partita che si gioca in quattro quadri: i Greci in Aulide in snervante attesa d’una partenza che si fa troppo attendere, perché il duce Agamennone aveva offeso la dea, vantandosi d’esser cacciatore più bravo di lei; l’ara del sacrificio, di cui s’è detto; il podio col guerriero dall’elmo piumato, e finalmente la schiera delle navi le cui vele stanno ormai per gonfiarsi al vento, scena d’una tale felicità narrativa da far rammentare i versi dell’augusta Saffo «dicono che sopra la terra nera la cosa più bella sia una fila di cavalieri, di fanti o di navi»5; in primo piano spicca lo stendardo dei Dioscuri, protettori dei naviganti. | 121


Il soffitto della Camera da letto fu invece affrescato dal pittore francese Charles André Van Loo, sempre nel 1733, e fu pagato dopo il collaudo di Juvarra stesso6. Dunque i due artisti dipinsero pressappoco negli stessi mesi in due ambienti contigui: due grandi individualità che diedero ognuna la propria diversa celebrazione venatoria. Il soggetto concerne Il ritorno di Diana dalla caccia: Luigi Mallé ne decanta la raffinatezza ai limiti del preziosismo, ma pur tuttavia condotta «con una ricchezza d’intonazioni liriche quasi costituenti…un contrappeso alla nota di gentile naturalezza che impronta la massima parte della realizzazione di Stupinigi»7, mentre la Griseri ne ricostruisce i richiami culturali tra Roma e Parigi, da Poussin a La Fage, da Boucher a Lemoine, fino a Trevisani, Conca e l’Arcadia8. La grande scena, immersa in una natura più particolareggiata e realistica rispetto al Crosato, è quasi del tutto unitaria per tempo e per luogo, ma la caratterizzazione è così felicemente risolta che i deliziosi episodi, dalla giovane che si asciuga dopo il bagno, presso i cani che giocano nell’acqua (e come risultano vive e vere l’acque e l’erbe!), alle altre fanciulle che mollemente adagiate conversano amabilmente, in vista di selvaggina e amorini, finalmente a Diana che le ancelle spogliano lentamente per il bagno (già il petto è soavemente scoperto), acquistano vivacità sino a vivere singolarmente di vita propria9. Il nudo richiama nel mito le valenze dell’antichità e stiamo dunque per assistere impunemente (privilegio di questo tempio della caccia), e sia pur nella versione castamente allusiva che Van Loo può preparare per la corte del rigorista Carlo Emanuele III, a quello spettacolo che ad Atteone (peraltro raffigurato nel Salone, due ambienti più in là) è invece costato la vita, partecipi dunque di un’altra apoteosi del mito della dea inaccessibile e selvaggia (fig. 3). È stato scritto che Diana «volendosi riposare dalla corsa, vuol vedersi mentre riposa immersa nell’onda, ma resta nondimeno aggressiva. È per uccidere che accetta di essere vista, ma nell’uccidere si concede. Ucciderà se uno sguardo la insozza, ma esalterà colui che, morente, l’avrà scorta»10: la dea, tanto giovane e innocente quanto crudele, rimane simbolo del desiderio incoercibile e al tempo stesso rovinoso. L’atmosfera, d’intonazione cromatica bianco-argentea, che riassume anche note 122 |

1. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, particolare, 1733, Anticamera della Regina. 2. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, particolare con l’ara del sacrificio, Anticamera della Regina.

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intense, opulente, come i gialli cedro, i rossi, gli azzurri intensi, si colora di senso della realtà, che fa magicamente capolino dentro l’aura mitica. I due soffitti hanno dunque sempre reclamato ogni attenzione, ma in fondo non al punto da oscurare i complementi di due ambienti fra i più sontuosi e riusciti di quegli anni, che contengono tesori ideativi e realizzativi, tanto nell’arredo fisso che in quello mobile, tali da non sfigurare al confronto e, tra le sale che possono ambire, almeno in senso lato, all’illustre qualifica di juvarriane, paiono forse più juvarriane di tutte. Sono comunque prodotto storico, e hanno attraversato complesse vicende, così da poterle oggi considerare un poco composite, sia pur nel senso più nobile del termine. S’inquadrano perfettamente l’una con l’altra, eppure non si somigliano in nulla: mostrano dunque la ricchezza incommensurabile che contraddistingue i frutti dei più fertili ingegni umani. L’Anticamera della Regina presenta sui lambriggi, ante di finestre e “porte volanti” una ben congegnata decorazione pittorica, fornita tra 1738-1739 da Francesco Casoli, dunque un pensiero originario, di soggetti di vedutismo, architetture e rovine con figurine, tra colonnati classici, scenografie barocche, porticati quasi neogotici ante litteram, qualche più tetro ambiente da “carceri”, con ben riuscita intenzione decorativa (non discordando nemmeno con le architetture di rovine dell’affresco); un microcosmo che mostra tutta la vita umana, dal teatro un po’ indolente dei cortigiani, all’attività spicciola dei tanti mestieri, alla contemplazione smagata di fanciulli e girovaghi. Ma il pensiero juvarriano non sussiste invece più a livello delle boiseries, sostituite con intervento del 178611: per le nuove decorazioni, accordate alla severa e un po’ rarefatta eleganza di Giuseppe Maria Bonzanigo, si dovette cercare una nuova consonanza, e la scelta delle cornici di tappezzerie a fondi di vetri blu con teneri tralci mostra come sia stata trovata, tanto rispetto all’affresco che nei confronti dei lambriggi (fig 4). Certo Bonzanigo introdusse il suo rigore stilistico, la sua perizia tecnica ecce124 |

3. C.A. Van Loo, Il riposo di Diana dalla caccia, particolare con la dea che si prepara al bagno, 1733, Camera da letto della Regina.

4. Anticamera della Regina, particolare con le pitture di Francesco Casoli.

zionale, in maniera da creare quasi un altro centro d’interesse, che riposa in verità in tutto l’accordato insieme dell’arredo, con alcuni particolari «a solo» non unicamente negli esempi di mobilio (qui però non attinenti al nostro restauro), di qualità indicibile che non cede di fronte ad alcun altro esempio dell’epoca, neppure in un quadro europeo, ma anche nella boiserie stessa; nelle porte magicamente risplendono, al centro delle cornici rettilinee, dove d’un tratto quasi si estingue il pur fertile naturalismo settecentesco di fronde e foglie flessuose, le panoplie appuntite, entro le quali sembrano ritornare, insieme con i nitidi profili di volti, la stessa neoclassica meditazione sulle sorti dell’uomo, la sua consapevolezza e il suo costume morale, insieme alla suadente, nostalgica nota della mitologia. Gli insiemi scolpiti delle quattro porte sono certo un inno alla grandezza della dinastia, con le ghiande simbolo della forza e le foglie d’alloro che alludono alla gloria; e insieme alla rievocazione delle armi e insegne della romanità compaiono quali emblemi di valore e di messaggi di significato fors’anche in parte da ricostruire, simboli che sembrano alludere a Zeus, di nuovo Diana o ArteUNO SMAGLIANTE INTERNO JUVARRIANO: IL RESTAURO DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA | 125


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mide, ad Helios o Apollo e probabilmente a Mercurio, educatore dotato di ragione ed eloquenza. Alle pareti, sull’intelaiatura lignea lasciata in mostra dal disallestimento delle tappezzerie settecentesche, la matita nera delle maestranze pare riflettere sulle scelte dei profili dei cornicioni, sui fragili, toccanti arzigogoli delle specchiere12; come già sui nudi intonaci delle sale del Levante13, aulica progettazione dall’alto e commento degli artigiani coinvolti svelano la doppia dimensione d’un cantiere che sa esprimere con coerenza il suo volere artistico. Di fianco agli intonaci bianchi compare poi una piccola pannellatura di legno, in apparenza misteriosa. Maurizio Momo ne ha dedotto, e poi verificato, l’esistenza sul retro d’un piccolo passaggio, ricavato nello spessore nel muro che confina col Salone centrale, che portava ad una scala di comunicazione coi grandi ambienti seminterrati, cui in seguito si preferì rinunciare. La Camera da letto è più unitaria nel perseguire un clima barocchetto squisito quanto spiritoso: dal cornicione in stucco, ove splende il naturalismo delle conchiglie, alle porte e sovrapporte nitide d’incorniciatura, ma dagli interni profili sontuosi fin quasi al capriccio, ai lambriggi e infine alle ante di finestre, a cascate e mazzi di fiori policromi; il fulcro della decorazione è però nelle porte con sovrapporte, dovute, come il contorno, a Francesco Fariano, tra il 1737 e il 174114, su disegno juvarriano, che ricompone con putti alati, anche in metamorfosi, figurine classiciste di nobile profilo, tripudi floreali, il tutto condotto nello spirito delle grottesche e candelabre, un suo personalissimo universo decorativo, dove la luminosità dei fondi bianchi introduce una preziosa nota esotica, che rinterza l’ondeggiare tra gioco e più sontuosa misura (fig. 5). Entrare in questi ambienti, riconoscerne il portato anche in termini di sempiterna eredità artistica, domandarsi infine come restituirne un’idonea qualità fruitiva e contemplativa ed una possibile chiave di lettura non equivoca, è stato tutt’uno. Nell’Anticamera, l’attività di restauro si è dapprima concentrata sulle puliture, quando necessario precedute da localizzati preconsolidamenti. Le boiseries hanno visto riemergere il luminoso grigio azzurro delle origini: per contrasto risaltano assai meglio, ora, le decorazioni dorate a girali, con teste femminee, dei cornicioni; anche le finissime fronde dorate delle decorazioni sovrastanti i vetri blu cobalto meglio risplendono sopra i vetri stessi, ormai riscattati dai depositi polverulenti e da passati ritocchi, talora approssimativi e mal condotti: limitate sono state le sostituzioni per mancanze e rotture non rimediabili. Ma tutti i fondi e le dorature, così preziose e ben calibrate, nella sala, sono tornate all’originario prestigio, ridando mordente al complesso di porte e sovrapporte splendidamente inquadrate dalle entreportes bordate di blu. Le boiseries di lambriggi e scuri di finestre presentavano estesi sollevamenti e cadute di colore, e già in passato erano state velinate. Ora si è proceduto al consolidamento ed alla pulizia delle diverse parti. Si sono eliminate le estese ridipinture dei fondi, ma la scelta è stata quella di attestarsi sul secondo dei tre livelli presenti nei dipinti degli scuri, perché ritornare allo strato originale avrebbe poi comportato ridipinture troppo estese, rischiando anche di modernizzare irrimediabilmente il risultato; è comunque risultata impegnativa l’azione di eliminazione di ritocchi alterati, rimaneggiamenti pittorici, come pure il necessario lavoro di uniformazione delle diverse scenette; ma il risultato finale è parso felice e ben calibrato (fig. 6). Le pareti dell’Anticamera sono ornate da una delle tappezzerie di maggior pregio ed eleganza della Palazzina: databile all’ultimo quarto del XVIII secolo e coerente con il coevo intervento decorativo sulle boiseries, il parato in gros de Tours di seta avorio presenta un motivo decorativo formato alternativamente da medaglioni più grandi sormontati da mazzi di tulipani viola e peonie arancio e da medaglioni più piccoli contenenti ramoscelli di foglie e fiori bianchi, col128 |

Nella pagina precedente 5. Camera da letto della Regina. 6. Camera da letto della Regina, particolare con sovrapporte dipinte da Francesco Fariano. 7. Anticamera della Regina, con le boiseries di Giuseppe Maria Bonzanigo.

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legati tra di loro da tralci di convolvoli e peonie, che creano dei festoni orizzontali. Il restauro ha potuto chiarire la raffinata tecnica esecutiva, con ricami ad applicazione, che permette all’apparato tessile di raggiungere un effetto tridimensionale di grande persuasione, simile a quello della pittura: i diversi elementi decorativi sono ricavati da rasi precedentemente tinti nelle varie sfumature dei diversi colori occorrenti e profilati da cordoncini, al di sotto dei quali si è rilevata la presenza di sottili fogli di carta utilizzati per delineare il disegno ornamentale dei singoli elementi, appena tracciato in maniera sommaria sul gros de Tours (fig. 7)15. La volta dell’Anticamera non ha presentato grandi problematiche di restauro, l’affresco del Crosato era anzi quasi miracolosamente ben conservato, come si era notato con compiaciuto stupore già nelle peregrinazioni di questi anni di restauri, che ogni tanto ci conducevano nell’ambiente, alla ricerca di ispirazione, di fiducia, magari nei momenti di rovello di fronte a certi problemi. Così l’opera di pulizia è risultata in fondo bastevole, come del resto impagabile la risultante più approfondita conoscenza della tecnica ad affresco, cui erano sovrapposte a secco tinte particolari, ad indicare le predilezioni ed il procedere del veneziano: valga per tutti l’uso della lacca rosso cinabro per il mantello d’Ifigenia, fulcro di quella zona, insieme all’azzurro della fantesca e al giallo dorato e al prugna del gran sacerdote. Nella Camera da letto la complessiva problematica di restauro era certo più articolata. Di poco più ampia della precedente, ma soprattutto con tre lati di muri sull’esterno esposti alle intemperie, da sud, ma anche da sud-ovest e nordovest, tutta la sala era stata preda di più forti flussi d’aria calda e fredda, che avevano lasciato considerevoli depositi polverulenti, e soprattutto era stata danneggiata, insieme alle sale contigue, nel corso della cattiva stagione dell’anno 2009, ricca di nevicate e piogge, da rotture e scoppio delle gronde, con diffuse infiltrazioni d’acqua piovana, aggravate dal generale cattivo stato degli intonaci esterni. Anche quegli interni, in corrispondenza delle zone d’infiltrazione, risultavano ormai imbevuti d’acqua, con considerevole detrimento dei preziosi affreschi, e alcune parti di lambriggio avevano dovuto essere smontate e spostate per facilitarne la lenta asciugatura. Con gli attuali restauri si è finalmente posto mano, dopo gli interventi di salvaguardia del 2009, alla completa bonifica e ripristino tanto dei muri che dei lambriggi. Gli intonaci interni, dove necessario, sono stati risanati e consolidati; la situazione conservativa assai differenziata nelle diverse porzioni ha tuttavia sconsigliato l’azione di rifacimento generale, che avrebbe sacrificato molti frammenti originali, anche se in precario stato conservativo, e si è perciò preferito una sommatoria di azioni localizzate, concludendo con la presentazione in leggero sottolivello delle parti d’intonaco rifatte; le decorazioni svanite non sono state riproposte, per non appesantire l’ambiente con troppi segni moderni, data la ricchezza dei decori stessi, ed anche perché, fortunatamente, tali decorazioni sono normalmente nascoste dalla presenza degli scuri di finestre nell’abituale posizione di apertura. Altri lambriggi sono stati smontati dove occorreva, risanati, trattati contro i tarli, consolidati, puliti e ritoccati pittoricamente dove necessario. Le estese manutenzioni degli scuri di finestre evidenziavano almeno due riprese pittoriche, con risultati d’irrigidimento e banalizzazione decorativa: per questo si è ritenuto di tornare all’esecuzione originaria che, se ha reso necessaria l’asportazione di tanti ritocchi, ha però consentito il recupero della decorazione migliore, del resto in fase con quanto emergeva sulle porte e sui cornicioni. Anche in questa sala l’intonazione appare ora più chiara ed elegante. Sui serramenti, come nella sala precedente, sono state anche recuperate le tracce dell’oro sulle modanature. Lo scoprimento dei muri dopo il distacco della carta da parati moderna ha anche qui consentito di ritrovare disegni a matita con le prove di esecuzione di particolari decorativi: 130 |

8. Gabinetto di toeletta della Regina, Angoliera dipinta da Francesco Servozelli.

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9. La piccola Galleria attigua al Salone.

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sul muro verso l’Anticamera, modelli di schemi di modanature forse utilizzati in altri contesti, e sul muro tra le due finestre sud, un frammento terminale di girali a fiori che sembra l’esatta prova della decorazione poi eseguita sul cornicione in corrispondenza della sovrapporta della parete est. La pulizia della volta dai depositi superficiali incoerenti è stata eseguita con acqua demineralizzata con interposizione di carta giapponese, con locali minime addizioni di tensioattivi; l’asportazione dello sporco è avvenuto con tamponi di cotone idrofilo, per poter controllare la rimozione selettiva, soprattutto in corrispondenza dei panneggi delle figure, in molte parti eseguiti a secco: la tecnica di esecuzione anche in questo caso s’identifica con quella prevalente nel corso del Settecento, vale a dire esecuzione a buon fresco, con aggiunte a secco ove necessario; chiara la presenza delle giornate e delle incisioni. Ove si presentavano problemi di decoesione superficiale si è preliminarmente proceduto con preconsolidamento delle parti. Le zone che parevano interessate da ridipinture sono state analizzate tramite microprelievi di materiale da sottoporre ad indagini di laboratorio, per poter procedere con più informazioni e consapevolezza delle scelte da operare. La pulitura ha consentito l’asportazione di quel velo grigio che offuscava l’originaria tonalità della volta, riportando anche alla luce particolari prima poco apprezzabili, come la luce solare che irradia attraverso le nuvole collocate sopra la calotta del tempio raffigurato in corrispondenza della parete nord: non a caso quei raggi emanano dalla zona in cui certamente, in origine, era posto il baldacchino del letto del sovrano, e si deve anche notare che, comunque, il tempio fu dipinto dal lato opposto al settore di volta che si dispone verso il parco, in maniera che, guardando verso l’esterno, la visuale naturale che si coglieva dalle finestre sembrasse coincidere con quella del soffitto, allietata dai grandi alberi frondosi. Il problema di più difficile soluzione è stato forse l’annerimento in corrispondenza delle guance di Diana e delle sue compagne, dovuto al viraggio del cinabro, che il pittore aveva generosamente sparso su di esse, rendendole in qualche modo antesignane delle Gotine rosse di fattoriana memoria; l’effetto era come d’un imbarazzante velo di barba, specie in un paio di personaggi; non si è però ritenuto di caricare l’affresco di sostanze estranee il cui buon esito sarebbe stato comunque solo temporaneo, preferendo spezzare la continuità del nero con alcuni punti di gessetti al caolino colorati. Qualche parola di più bisogna forse spendere sulle ridipinture sopra le nuvole nella parte destra della volta ponendosi di fronte a Diana cui stanno per esser sciolti i lacci dei calzari, che paiono matericamente, morfologicamente e come tratto e qualità pittorica assai differenti dai modi di Van Loo. Le analisi vi hanno individuato una miscela di ocre gialle con nero carbone, con esecuzione a secco, senza tracce che potessero però far pensare a pigmenti otto-novecenteschi. La tentazione di una rimozione, con il riscoprimento della versione originaria, che pur sembrava apparire con le sue sfumature bianche e grigie nelle zone appositamente tassellate, si è scontrata con le riflessioni sulla storicità della nuova versione che, pur ben difficilmente spettante a Van Loo, anche per la troppo diversa tecnica di esecuzione, poteva riflettere su di sé ragioni di ricerca di una versione atmosfericamente più mossa, fors’anche con allusione alle diverse ore del giorno nelle quali si dipanava la vicenda della dea, che non si può escludere potesse spettare anche ad un pittore di nome, come ad esempio Angelo Vacca, il cui impegno di completamento e restauro è stato ancora di recente evidenziato16. Sulle pareti si è scelto di ricollocare la tappezzeria di inizio Novecento già smontata e posta nei depositi, dopo averne constatato le condizioni conservative, tutto sommato discrete, ed aver eseguito un restauro manutentivo rispettoso anche di alcuni precedenti interventi. Il rivestimento tessile bene mostra l’attenzione riservata nei secoli alle vicende conservative della Palazzina, anche attraverso UNO SMAGLIANTE INTERNO JUVARRIANO: IL RESTAURO DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA | 133


10-11. Il Gabinetto verso l’Anticappella con l’infilata delle porte dell’Appartamento della Regina, prima (fotografia di cantiere) e dopo l’intervento di restauro.

ora ben chiari i monogrammi arzigogolati di Carlo Emanuele III. Pure le sovrapporte a fiori e architetture (1755) di Francesco Antoniani sono state ricondotte a una situazione decorosa, rimediando vecchi guasti e ripristini affrettati19. Nel piccolo ambiente si è scelto di posare una tappezzeria moderna in tessuto ignifugo di tinta neutra, essendosi ormai completamente perduti i parati settecenteschi in seta dipinta, che dovevano presentarsi analoghi a quelli con soggetti esotici ancora in situ fino alla prima metà del XX secolo nel gemello Gabinetto dell’Appartamento del Re. Come spesso avveniva, alcuni frammenti di questa tappezzeria in taffetas dipinto a fiori e uccelli su fondo bianco sono stati riutilizzati nel tempo come tessuti di rivestimento di sgabelli e sono fortunatamente ancora oggi visibili20. La piccola Galleria successiva, entrando nella quale non si può sfuggire all’emozione della vista dell’apparato pittorico di alata fantasia della volta, quasi debordante per forza intrinseca dal Salone (pittura a fresco con disegno a incisione della prima fase della Palazzina, con nastri, frecce, faretre, stucchi illusionistici e fiori a cascata di bellezza indicibile) e che riscatta lo spazio limitato dell’ambiente; intorno alle porte e sovrapporte in fondo modeste, l’affresco, di elegantissimo tono quasi monocromo, sviluppa un disegno di un gusto rocaille di taglio architettonico (tipicamente juvarriano) con foglie e frutti, capace di trasfigurare quegli ingressi in quelli di una reggia di sogno, come a significare che tutto è grande e nobile quanto esce da progetto di nobile spirito. Affreschi e boiseries sono stati puliti e rimessi in ordine, come da tempo reclamavano (fig. 9). Infine, nelle pareti dell’ultimo Gabinetto si è ritrovato un motivo architettonico a modanature in verde e bruno (ancor sconosciuto ne è l’autore), scoperto anche con sorpresa sotto le carte ormai irrecuperabili, rinunciando invece ai troppo estesi rimaneggiamenti che avrebbe richiesto la riproposizione della sottostante decorazione pittorica in rosa: il livello prescelto è del resto in sintonia coll’apparato architettonico-floreale della volta (di autore parimenti anonimo), ancora vitale se pur frutto di ripensamenti e rifacimenti anche assai posteriori (forse a fine Ottocento-inizio Novecento) rispetto agli ambienti attigui (figg. 10-11).

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Gabrielli, Tagliapietra Rasi 1966, pp. 28-29. Mallé 1968, pp. 117-118. 3 Mallé 1968, p. 118. 4 Griseri 2014. Altre osservazioni della studiosa in Griseri 1996, part. pp. 59-82. 5 Saffo, fr. 16 Lobel-Page. 6 Gabrielli, Tagliapietra Rasi 1966, pp. 32-33. Il pittore fu pagato in tutto lire 1250, contro le 1050 che ricevette Crosato. 7 Mallé 1968, p. 132. 8 Griseri 2014, p. 31. 9 Gabrielli, Tagliapietra Rasi 1966 vogliono che nella figura di Diana si possa ravvisare Caterina Somis, celebre cantante divenuta consorte del pittore. 10 Klossowsky 1956; trad. it. Il bagno di Diana, Milano 1962. 11 Gabrielli 1966, pp. 90-91. 12 Tali schizzi, ritrovati da Michela di Macco durante i restauri dell’Anticamera, furono pubblicati per la prima volta in Ferraris 1989, p. 182; si cfr. anche Ferraris 1991, pp. 64-65. 13 Per i segni concreti sulle pareti di diverse sale dell’Appartamento di levante, si confrontino le note in Gualano, Sandri 2014, pp. 229-230. 14 Si cfr. almeno tav. LXXVIII, in Villa della Regina 2005; Ghisotti 2005, pp. 403-422. 15 Per un’approfondita analisi della tecnica esecutiva e per il restauro della tappezzeria si rimanda alla relazione di Barbara De Dominicis in questo volume. 16 Griseri 2014, p. 36. Le osservazioni nel testo sono maturate anche nel corso di un prezioso e cortese colloquio con la stessa Andreina Griseri, che qui ringraziamo sentitamente. 17 Si rimanda in proposito all’intervento di Barbara De Dominicis in questo volume. 18 Per l’ambiente, si cfr. Ghisotti 2005, pp. 403-422, e le schede a cura della stessa, di Paola Manchinu e di Paola Traversi in Repertorio dei luoghi 2005, pp. 520-523. Su Servozelli, cfr. anche Antonetto 1985, pp. 148-149. 19 Gabrielli 1966, p. 91. 20 Per la tappezzeria antica dell’ambiente gemello dall’altro lato del Salone e i frammenti ancora conservati si confronti: D’Agostino 2005, pp. 235-236 e tavv. CX-CXI; Repertorio dei luoghi 2005, pp. 520-523. 2

scelte attuate in piena sintonia con le opere già esistenti. Il parato in taffetas color nocciola chiaro con effetto gros presenta motivi decorativi a fiori e nastri verticali con evidenti e studiati rimandi all’apparato tessile settecentesco dell’Anticamera, del quale ripropone peraltro un’analoga tecnica esecutiva17. I lavori di restauro sono proseguiti nei tre piccoli ambienti successivi, la Sala di toeletta della regina, la piccola Galleria attigua al Salone e l’ulteriore Gabinetto verso l’Anticappella: nella prima sala sono stati riscattati lo zoccolo, i serramenti (fig. 8), la volta decorata a grottesche, figure all’orientale, alberi esotici di Francesco Fariano, e le due angoliere di Francesco Servozelli (1757, ma certo quest’ultimo è autore soltanto della finitura pittorica)18, una delle quali era stata trasportata presso il laboratorio della Soprintendenza per un indifferibile intervento di salvaguardia dopo i gravi danni subiti nel 2006, di cui s’è detto. I lavori hanno recuperato nei fondi un colore bianco azzurrato assai diverso dal giallo intenso visibile negli ultimi anni; la volta, dipinta con una tempera grassa, è stata ricucita, integrata quando possibile, conclusa con neutri intonati e mostra 134 |

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IL CANTIERE Chiara Momo

I

Volta della Galleria di collegamento al Salone centrale dopo il restauro.

l restauro dell’apparato decorativo fisso dell’Appartamento della Regina ha costituito un esempio virtuoso di intervento di restauro reso possibile grazie alla piena e disponibile collaborazione tra tutte le professionalità coinvolte. Il progetto definitivo è stato redatto da Maurizio Momo, Chiara Momo e Mario Verdun per la committenza e il coordinamento della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino nella primavera del 2015 in seguito a sopralluoghi e incontri di confronto con gli Organi di tutela. La metodologia di intervento, alla quale si rimanda nel capitolo dedicato, è definita in base al degrado, individuato e mappato nelle tavole di rilievo e alla prassi del restauro mirato alla massima conservazione della materia costituente i manufatti, in sequenza ideale con quanto già meditato, conosciuto, sperimentato e realizzato nelle precedenti fasi di intervento di restauro architettonico e decorativo. L’analisi dello stato dei difetti si caratterizza come momento prioritario per la definizione degli interventi che dovranno essere realizzati nella fase di restauro. È essenziale, pertanto, tradurre graficamente tutte le informazioni che compongono il progetto attraverso indicazioni che rendano immediatamente comprensibili le intenzioni progettuali. È stata quindi predisposta, per ciascun ambiente da restaurare, un’apposita scheda con il rilievo delle pareti e del soffitto, in cui riportare le indicazioni relative al progetto di conservazione, con gli interventi previsti. Le diverse fenomenologie di degrado sono quindi individuate e definite in rapporto al grado di approfondimento dell’indagine e alle finalità del progetto, procedendo alla rappresentazione grafica in scala. La lettura è facilitata dal raggruppamento in «famiglie» di fenomeni analoghi. A questo, in tempi brevissimi, è seguita la redazione del progetto esecutivo che ha permesso lo svolgimento della gara per l’aggiudicazione dei lavori, divisi in lotti differenziati – boiseries da un lato, dipinti murali, tele, opere in pietra e serramenti dall’altro, tessili da un altro ancora –, entro l’estate 2015. Durante il mese di settembre sono stati perfezionati i contratti1 in modo da procedere con la consegna dei lavori il 5 ottobre. Il cantiere ha preso avvio dall’Anticamera della Regina2 e ha comportato una prima fase conoscitiva approfondita mediante analisi conoscitive non invasive e analisi scientifiche. Le riprese a raggi infrarossi in ‘falso-colore’ hanno permesso l’identificazione di alcune stesure cromatiche: in particolare è emerso l’utilizzo di una lacca rossa nel panneggio di Ifigenia che testimonia l’importanza e la centralità del personaggio. Sono stati eseguiti approfonditi test di pulitura al fine di individuare il materiale più idoneo in grado di asportare i depositi di polveri superficiali senza ledere la pellicola pittorica particolarmente delicata in corrispondenza delle finiture a secco. Diverse analisi sono state eseguite anche sulla cornice in vetro: è stata identi| 137


Mentre procedevano gli interventi di pulitura e consolidamento, emergevano anche, sulla porzione di muratura sottostante la tappezzeria, piccoli schizzi. In particolare è parso evidente un tamponamento in legno, anch’esso riportante interessanti disegni di apparati decorativi, da indagare, che nasconde un vano passante, probabilmente pensato per un’eventuale comunicazione con il sottostante piano seminterrato. Il vano non è presente né sulle planimetrie né sugli attuali rilievi: è una ulteriore novità che offre spunti per l’approfondimento. Durante gli interventi di restauro dell’Anticamera della Regina è stato inoltre necessario smontare parte delle chiambrane delle porte e delle tele sovrapporta: in entrambi i casi è stato evidente sulla materia quanto già conosciuto dagli studi storici e dalla documentazione archivistica. Sulle aperture è emersa con chiarezza la conformazione delle chiambrane risalenti alla prima fase decorativa della stanza, poi riplasmata da Giuseppe Maria Bonzanigo. Lo stesso è stato evidente sulle tele smontate, su cui è ben visibile la modanatura della primitiva cornice, poi modificata con l’attuale. Con la definizione degli interventi di pulitura prima, consolidamento, stuccatura e integrazione poi3, con particolari valutazioni e campionature per la pulitura della cornice in vetro con tralci di edera dorata, gli interventi sull’Anticamera si sono conclusi e hanno creato un palinsesto fondamentale, dal punto di vista dell’approccio metodologico e materico, per gli interventi successivi. Mentre si lavorava nell’Anticamera della Regina la preziosa tappezzeria settecentesca, trasportata nei laboratori di Viterbo, era restaurata con la massima cura. Quando il cantiere si è spostato nella Camera da letto della Regina, i pannelli di tappezzeria restaurata sono stati trasportati nell’Anticamera per essere preparati per la ricollocazione e quindi messi sui telai già presenti in loco nel mese di febbraio 2016. L’apparato decorativo dell’Anticamera era reintegrato in tutte le sue componenti!

ficata una diversa rispondenza agli infrarossi dei vetri originali, rossi in infrarosso falso-colore, rispetto a quelli di sostituzione, blu. Inoltre è stata individuata una patina uniforme sia sui vetri originali sia su quelli ondulati, inseriti in un precedente intervento di manutenzione, che in entrambi i casi continua sotto la decorazione dorata. Si può quindi ipotizzare la stesura di una sostanza proteica per omogeneizzare la lucentezza dei diversi vetri; il film, originariamente lucido, si è opacizzato con il tempo alterandosi in ossalato, come verificabile dalle analisi FTIR. Inoltre una delle cause del degrado individuate nell’Anticamera della Regina e ancora più significativamente nei locali esposti a ovest era costituita dall’infiltrazione delle acque meteoriche dalle aperture finestrate. Si è proceduto pertanto alla verifica dei telai e dei vetri degli infissi, al ripristino dell’ortogonalità degli stessi e della tenuta all’acqua, oltre al restauro del telaio ligneo interno che ha portato alla luce le dorature offuscate dai depositi di sporco. Tutte le specchiature vetrate sono state inoltre dotate di pellicole anti raggi u.v. al fine di preservare i manufatti appena restaurati. 138 |

1. Appartamento della Regina, rilievo della piccola Galleria con indicazione delle tipologie di degrado.

Nelle pagine seguenti 2. Anticamera della Regina prima degli interventi di restauro (fotografia di cantiere). 3. Camera da letto della Regina prima degli interventi di restauro (fotografia di cantiere). 4. Anticamera della Regina dopo gli interventi di restauro sulla boiserie, sulla tappezzeria settecentesca, sulle tele dipinte. 5. Camera da letto della Regina dopo gli interventi di restauro sulla boiserie, sulla tappezzeria, sui dipinti murali.

Nella Camera da letto gli sguinci delle aperture finestrate erano in pessimo stato di conservazione, presentando in forma più accentuata gli stessi fenomeni già descritti dovuti a infiltrazioni di acqua e umidità di risalita. In particolare nella parte bassa degli sguinci era totalmente mancante la pellicola pittorica e appariva fortemente decoeso, quando non del tutto distaccato fino a lasciare in vista l’apparato murario, l’intonaco sottostante, interessato anche da efflorescenze diffuse, cadute e presenza di umidità tanto da richiedere la rimozione precauzionale di parte della boiserie della zoccolatura. Nelle porzioni superiori degli sguinci e dei voltini erano presenti macchie di umidità, diffuse cadute e decoesioni. Questi fenomeni di degrado interessavano anche l’intonaco sottostante la tappezzeria, rimossa, delle pareti finestrate. Prioritario, unitamente alla fase conoscitiva e alle campionature, è stato pertanto considerato il risanamento delle murature e delle boiserie in pessimo stato conservativo. Un tema rilevante è stato quello riguardante l’intervento sulla tappezzeria. In questo ambiente non era presente la tappezzeria originale, ma una riproposizione databile all’inizio del XX secolo il cui restauro secondo i criteri utilizzati per la tappezzeria settecentesca non era sostenibile economicamente. La collaborazione tra le diverse professionalità anche in questo caso ha permesso comunque di mantenere in sito questa tappezzeria, che è parte della vicenda conservativa della Palazzina e che presenta studiati rimandi stilistici alla preziosa tappezzeria dell’anticamera, di cui ripropone anche la tecnica esecutiva. L’organizzazione generale del cantiere e la disponibilità di personale e Committenza hanno permesso quindi un intervento sulla tappezzeria in loco e anche di affrontare un tema «imprevisto» come la ricomposizione e il restauro di oltre 90 metri di cornice dorata su fondo di tessuto, in pessimo stato di conservazione. IL CANTIERE | 139


E ancora il restauro del Gabinetto di toeletta, della piccola Galleria, che come la simmetrica dà accesso al Salone centrale e distribuisce i locali di servizio compresi fra i padiglioni diagonali, decorata con ornati nel soffitto e a trompe-l’oeil sulle pareti laterali che, a restauro ultimato, ci ha fatto ben comprendere le parole di Andreina Griseri riferite a questi spazi: «Juvarra imposta una visuale prospettica, sul filo della luce naturale, in cui protagonista è la sorpresa dell’improvviso espandersi dello spazio nella grandiosa scenografia del salone»4. È stata una magnifica e complessa avventura, partita dallo studio dei documenti e dei testi dei tanti studiosi che si sono dedicati a questi luoghi, dall’esperienza quasi trentennale in Palazzina, dall’analisi dello stato di fatto e di quanto emer140 |

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6. Camera da letto della Regina, boiserie e pregadio dopo gli interventi di restauro. 7. Gabinetto della Regina, dipinti murali delle pareti e della volta e ante dipinte dopo gli interventi di restauro.

geva sulla materia, e maturata in oltre otto mesi di cantiere, di cammino comune segnato da sopralluoghi almeno settimanali, da pause di riflessione, da continui confronti con i restauratori, con gli Organi di tutela, con gli studiosi. Sono stati restaurati oltre 1.100 mq di superficie decorata in oltre 12.000 ore di lavoro con grande soddisfazione per tutti coloro che sono stati coinvolti in un cantiere organizzato, efficiente e in cui si è sempre mantenuto un clima di grande professionalità e piena sintonia nel comune convincimento di avere a che fare con una materia preziosa, frutto di un pensiero grandioso e geniale e dell’opera di grandissimi artisti a cui accostarsi con rispetto ed entusiasmo, nel segno di «quella attenta ricollocazione storico-critica dell’opera oggetto di restauro rispetto al suo tempo, rispetto al nostro tempo» che Roberto Gabetti ci indicava già nel 19915.

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I lavori di restauro sono stati affidati a Persano e Radelet per quello che riguarda gli interventi sulle boiserie, a Barbara Rinetti srl per i dipinti murali, le opere su tela e in pietra, il restauro dei serramenti, a Tessili Antichi per il restauro delle tappezzerie. 2 La direzione dei lavori è stata affidata a Maurizio Momo con Chiara Momo e Mario Verdun di Cantogno, la direzione operativa del cantiere a Barbara Rinetti, il coordinamento della sicurezza a Roberto Baffert. 3 Per il dettaglio sugli interventi di restauro si veda il progetto sopracitato e, in questo testo, i contributi di A. Bava e F. Gualano e le schede di restauro. 4 Griseri 1982, p. 62. 5 Gabetti, Isola 1994, pp. 39-52.

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LE TAPPEZZERIE IN OPERA. RESTAURO E RICOLLOCAZIONE Barbara De Dominicis

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e tappezzerie dell’Anticamera e della Camera da letto rappresentano due momenti diversi nella storia degli arredi della Palazzina: la prima stanza è dotata della tappezzeria originale mentre la seconda mostra l’ultimo di una serie di rivestimenti che sono stati mutati nel tempo per adeguare l’ambiente ai cambiamenti di gusto e di destinazione d’uso1.

Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Anticamera, particolare tappezzeria e consolle.

Anticamera La tappezzeria è databile all’ultimo quarto del XVIII secolo ed è composta da 12 pannelli: quattro grandi riquadri nelle pareti est ed ovest e otto pannelli di larghezza variabile negli spazi liberi delle pareti nord e sud. Le tre finestre sono corredate da grandi mantovane di sostituzione che ripropongono probabilmente la fattura originale, decorate con passamanerie, frange, coccarde e nappe recuperate dai manufatti precedenti2. Il rivestimento è confezionato in Gros de Tours di seta avorio, con ricamo ad applicazione di elementi profilati da cordoncino serico fissato a punto posato con filo di seta. Gli elementi sono ricavati da raso con orditi a disposizione, tinti in sfumature dei colori necessari al decoro; in questo modo i vari elementi, petali dei fiori, foglie e segmenti dei nastri, risultano tutti diversi tra loro e con un effetto di tridimensionalità paragonabile a quello raggiungibile con la pittura. Il cordoncino e i fili dei punti di fermatura sono accordati nel colore all’elemento in raso profilato. Al di sotto del cordoncino si è rilevata, per tutto il decoro, la presenza di una sottile profilatura in carta con delineatura del disegno ad inchiostro. Il ricamo è eseguito dopo la giunzione dei teli del tessuto di fondo. I colori originali del ricamo, fortemente sbiadito, sono in parte visibili nelle piccole zone ripiegate al di sotto delle cornici. Il decoro è impostato dalla disposizione a scacchiera di medaglioni ovali, alternativamente più grandi e più piccoli, descritti da un nastro attorcigliato blu sfumato: in alto il nastro forma un fiocco e in basso i due lembi trattengono un ramoscello di foglie e fiori bianchi tipo arancio. I medaglioni più piccoli sostengono un mazzo di tre grandi peonie con tulipano viola centrale in boccio affiancato da altro aperto. Le due peonie laterali sono una in tonalità nocciola-giallo pallido (da arancio originario), l’altra nocciola-lilla pallido (da rosa salmone originario); la peonia centrale è in tonalità avorio-brune. I medaglioni sono collegati da tralci di convolvoli e di peonie, originati dai fiocchi e disposti a festone orizzontale formando un motivo ad embricature. All’impostazione a scacchiera si sovrappongono quindi le embricature descritte dai tralci e l’effetto di linee orizzontali suggerite dalla conformazione dei mazzi di peonie. L’armonizzarsi di questi tre diversi percorsi di lettura rende la rappresentazione vivace e annulla la ripetitività del modulo decorativo. Le osservazioni e le analisi condotte durante il restauro hanno rivelato caratte| 145


ristiche di complessità e ricchezza che motivano l’attribuzione del manufatto ad un laboratorio di ricamo di elevatissima qualità guidato da un progetto decorativo raffinato e curato nei minimi dettagli. La permanenza delle tappezzerie alle pareti dell’Anticamera è segnata da vari cicli di manutenzione. Un intervento di restauro ad adesione fu condotto negli anni ottanta e non si dimostrava più efficiente al momento del distacco dei tessuti dalle pareti nel 2007; altre azioni furono realizzate negli anni sessanta e settanta in maniera artigianale, mirando a mantenere in sito le tappezzerie, risarcendo con toppe incollate i danni più vistosi e dipingendo grossolanamente il disegno del ricamo sulle toppe più estese. La conservazione del manufatto, nonostante i danni subiti, è certamente dovuta all’alta qualità dei materiali tessili impiegati e alla estrema accuratezza della tecnica esecutiva del ricamo, elementi che hanno contribuito a rallentare l’azione negativa di almeno tre fattori principali: il pesante deposito di parti146 |

1. Anticamera della Regina, particolare della tecnica del ricamo ad applicazione, diritto e rovescio (fotografia di cantiere). 2. Anticamera della Regina, pannello 2-2. Degrado della zona inferiore dei pannelli più esposti alla luce, con interventi di risarcimento mediante incollaggio realizzati negli anni sessanta e settanta (fotografia di cantiere).

LE TAPPEZZERIE IN OPERA. RESTAURO E RICOLLOCAZIONE | 147


3. Anticamera della Regina, pannello 2-2. La stessa zona dopo il restauro (fotografia di cantiere). 4. Anticamera della Regina, pannello 2-3. Perdita totale della zona inferiore sostituita da una toppa incollata e dipinta (fotografia di cantiere). 5. Anticamera della Regina, pannello 2-3. La stessa zona dopo il restauro con inserimento di integrazione dipinta (fotografia di cantiere).

cellato grossolano e sottile, il soleggiamento a cui sono esposte le pareti e la bassa umidità relativa all’interno dell’ambiente. Il particellato grossolano era accumulato diffusamente lungo i rilievi del ricamo e negli imborsi. Denso e non uniforme il deposito di polvere impalpabile penetrata nelle fibre, più concentrato nel terzo superiore dei pannelli per lo spostamento verso l’alto del pulviscolo portato dal moto ascensionale dell’aria. L’azione acidificante e abrasiva del particellato, caricato anche di sostanze inquinanti e residui di combustione dei camini, è stata potenziata dalla prolungata permanenza tra le fibre che risultavano deidratate e fragili. L’effetto di opacità e grigiore generale causato dalla velatura polverosa rendeva meno apprezzabile la cromia dell’opera tessile. Il decadimento del fondo in Gros de Tours della tappezzeria in generale era acuto ma non estremo; lacerazioni e lacune medie e piccole erano sparse sulla 148 |

LE TAPPEZZERIE IN OPERA. RESTAURO E RICOLLOCAZIONE | 149


superficie, con concentrazione notevolmente più elevata in relazione all’incidenza della luce. L’osservazione della stanza nelle varie ore della giornata e in diverse stagioni ha permesso di rilevare come il percorso dell’irraggiamento solare che penetra dalle finestre sia segnato da un più grave infragilimento dei tessuti. Inoltre, per tutto il perimetro, questa era anche la zona soggetta ai guasti accidentali conseguenti all’uso, esposta a sfregamenti, urti, appoggio di arredi. La distribuzione delle cuciture del ricamo ha influito positivamente sulla conservazione, impedendo una eccessiva messa in tensione dei tessuti ma d’altro canto la scarsa cedevolezza dell’insieme cordoncino-cuciture ha determinato un contrasto nell’accordo tra il tessuto e il ricamo, al di sotto di quasi tutti i ramoscelli con i fiori d’arancio alla base dei medaglioni. In questo punto del modulo disegnativo vi è un’area libera dal ricamo in cui il tessuto non ha resistito al contrasto tra la trazione verso il basso e la rigidezza della cucitura soprastante ed ha subìto tagli netti orizzontali. L’intervento di restauro è stato preceduto da un’approfondita analisi per il riconoscimento dei materiali presenti e per testare la loro stabilità ai prodotti e ai metodi previsti per il restauro. Le precedenti integrazioni sono state rimosse; le toppe erano degradate, non più funzionali ed esteticamente intrusive, le colle disseccate avevano perso capacità adesiva, erano imbrunite e pulverulente. Dopo la depolveratura che ha rimosso le polveri, i pannelli sono stati trattati per nebulizzazione con soluzione detergente, per liberarli dallo sporco e dai diffusi residui di colle penetrati tra le fibre. A seguito dell’idratazione riacquisita, anche minima, i tessuti sono stati posizionati restituendo ortogonalità ad orditi e trame, riallineando cuciture, decori e bordi. Dopo l’asciugatura le zone frammentarie sono state temporaneamente velinate al diritto per mantenerle stabili durante le fasi successive. Per il consolidamento è stata seguita la metodica del doppio supporto: il primo in crepeline di seta aderito al tessuto antico infragilito lo rinforza mentre il secondo ha la funzione di reggerne il peso e consentire la manipolazione e la ricollocazione in verticale dei pannelli. Il secondo supporto in tela di seta è stato tinto nel colore medio riferibile all’originale e adeguato localmente alle variazioni indotte dal degrado cromatico. Per le lacune e per la sostituzione delle toppe dipinte rimosse sono state predisposte integrazioni in tessuto di seta analogo al fondo originale circostante, sulle quali è stato riprodotto con colori acrilici il decoro perduto, con fedeltà al disegno originale ma calibrato alla cromia di ogni singola zona dopo le puliture3. L’inserimento delle integrazioni è svincolato dall’intervento di consolidamento, pertanto sono eventualmente rimuovibili senza interferire con il restauro. Sulla superficie tessile è poi stato poi disteso il velo in maline net4 con funzione di protezione della superficie. I pannelli sono stati riposizionati sulle pareti della stanza fissandoli ai telai lignei rivestiti con TNT ignifugo in clorofibra che isola i pannelli dalla polvere proveniente dalle pareti, permette il passaggio dell’aria e fornisce sostegno. Il fissaggio dei pannelli è stato effettuato per spillatura lungo i margini del secondo supporto. Camera da letto Il progetto di restauro delle tappezzerie della camera è stato sollecitato dalla decisione di ricollocare in sito questo rivestimento, parte della vicenda conservativa della Palazzina anche se più recente di quelli degli altri ambienti. I motivi decorativi inoltre presentano studiati rimandi alla preziosa tappezzeria dell’anticamera, di cui è riproposta anche la tecnica esecutiva. È stato quindi pensato un intervento di restauro conservativo che consentisse la salvaguardia 150 |

6. Camera da letto della Regina, pannello 1-1. Degrado della zona inferiore, con perdita degli orditi, trame sciolte e spezzate e lacuna (fotografia di cantiere). 7. Camera da letto della Regina, pannello 1-1. La stessa zona dopo l’inserimento del supporto totale, ordinamento delle trame, fermatura a cucito con protezione in maline (fotografia di cantiere).

e la ricollocazione delle tappezzerie, compatibilmente con gli obiettivi cronologici del cantiere di restauro dell’ala della Palazzina e all’interno delle risorse economiche disponibili. La camera è rivestita con tredici pannelli e cinque mantovane realizzate en suite, ricamate, arricchite da frange e nappe. I pannelli erano inchiodati alle pareti lungo il perimetro, profilati da larghe LE TAPPEZZERIE IN OPERA. RESTAURO E RICOLLOCAZIONE | 151


cornici traforate i cui intagli lasciavano intravedere del taffetas di seta verdeazzurro. Sotto le tappezzerie le pareti erano ricoperte con tela di cotone cerata nocciola; in corrispondenza dei danni maggiori la tappezzeria era stata incollata alla tela. I tessuti sono stati distaccati dalle pareti nel 2007, liberati dal particellato più grossolano, e conservati in deposito fino all’intervento di restauro, effettuato allestendo il cantiere all’interno dell’Appartamento della Regina. La tappezzeria è in taffetas effetto gros con ordito in seta nocciola chiaro e trama in cotone nocciola. Il ricamo è realizzato per applicazione di elementi in raso trattati sul rovescio con un leggero strato di colla vegetale; il raso è in parte dipinto per simulare gli orditi sfumati. Sono profilati da cordoncino monocromo in seta fermato a punto posato con filo di seta. Il ricamo è eseguito dopo la giunzione, con cuciture a macchina, dei teli del tessuto di fondo. La tappezzeria è databile all’inizio del XX secolo, ed è analoga per tecnica e decoro a rivestimenti di arredi tuttora presenti nel Palazzo Reale di Torino. Il disegno ha una marcata impostazione verticale, scandita da nastri azzurro piombo e celeste che si avvolgono a spirale a tralci verticali ondulanti di rosette e tulipani. I torchon così formati sono posti paralleli e delimitano larghe spaziature nelle quali sono disposti a scacchiera due tipi di mazzolini simili di rose, tulipani e foglie. Benché più recente delle altre questa tappezzeria era in uno stato di conservazione piuttosto compromesso a causa di fattori ambientali fortemente incidenti. I tessuti dei pannelli grandi, stressati anche dal loro peso, erano allentati e rimborsati. Nel tessuto di fondo la diversità materica di ordito e trama aveva determinato anche una diversa risposta alle sollecitazioni subite: gli orditi in seta erano infragiliti e spezzati quindi le trame in cotone risultavano in più punti sciolte, scomposte e spezzate. Il soleggiamento sulle pareti di fronte alle cinque grandi finestre aveva accentuato il decadimento subìto dalle fibre e causato il degrado cromatico del tessuto di fondo, imbrunito e spento, e dei rasi delle applicazioni. Nelle pareti esterne la fuoriuscita dell’efflorescenza salina era depositata anche sui tessuti con concrezioni biancastre, macchie, gore e un irrigidimento locale dei tessuti. Il pannello collocato nel percorso di passaggio tra le stanze era soggetto a sfregamento e all’appoggio dell’apertura della porta con danni estesi e una grande lacuna che interessava due teli contigui. I manufatti mostravano sul diritto e sul rovescio un pesante deposito di particellato grossolano, proveniente dalle pareti, che aveva esercitato un’azione acidificante, disidratante e abrasiva sulle fibre e opacizzato l’aspetto dei tessuti. Solo su un pannello era stato realizzato negli anni settanta un intervento di integrazione5. I rasi delle applicazioni erano danneggiati in più punti dall’adesivo irrigidito e imbrunito che aveva reso gli elementi cartacei, marroni, friabili e frammentari. Le mantovane erano gravate da molta polvere, gualcite e scucite e mostravano alcune lacerazioni. La rimozione del pesante deposito di polvere ha restituito una certa lucentezza e chiarezza al tessuto di fondo e anche i colori del ricamo sono più apprezzabili. Inoltre a livello conservativo la rimozione della polvere diminuisce il peso dell’opera, effetto non secondario in manufatti così estesi e «autoportanti». Ciascun pannello è stato poi umidificato e posizionato per recuperare l’ortogonalità dei filati ed assorbire le deformazioni recuperando la planarità. Il consolidamento è stato effettuato a cucito, con supporto totale idoneo per grana e colore, sul quale è stato disteso il tessuto della tappezzeria. La superficie è stata protetta con un velo di maline net e gli strati sono stati fissati con filze di distribuzione e cuciture di ancoraggio delle zone danneggiate6. Nelle 152 |

zone gravemente deteriorate, trame sciolte e aggrovigliate sono state districate e composte così da assumere un aspetto ordinato che mitiga notevolmente l’impatto della perdita del tessuto e del decoro. Le mantovane sono state depolverate e vaporizzate; le zone danneggiate sono state consolidate con supporti e protezioni locali in maline; le deformazioni delle calate sono state ovviate realizzando filze di distribuzione che ancorano il tessuto alla fodera. Sulle pareti destinate a riaccogliere i pannelli restaurati è stato tesato come controsupporto il TNT di clorofibra fissato a listelli perimetrali. I pannelli sono stati ancorati lungo il perimetro mediante spillatura passante attraverso il tessuto di supporto.

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Le informazioni sulla sostituzione delle tappezzerie e sugli interventi di manutenzione più avanti descritti sono state fornite dalla Fondazione Ordine Mauriziano, che qui si ringrazia per la disponibilità; per i documenti di riferimento si rimanda al saggio di C. Scalon nel presente volume. 2 La dotazione della stanza comprende inoltre divani, poltroncine, sgabelli e un paravento, rivestiti en suite, già in precedenza oggetto di un intervento di conservazione. L’intervento fu realizzato da Tessili Antichi nel 2003. 3 Le integrazioni dipinte sono state realizzate in collaborazione con la decoratrice Simonetta Rosati. 4 Tessuto sottile e trasparente ad intreccio bobbinet, in poliammide. 5 Nel corso dell’intervento l’autorità di Alta Sorveglianza ha ritenuto di mantenere in sito l’integrazione in quanto testimonianza documentata e rappresentativa delle riparazioni compiute sui tessuti della Palazzina prima che si diffondesse anche in Italia il concetto di restauro delle opere tessili. Sono comunque state effettuate azioni per renderla non dannosa dal punto di vista conservativo e per attenuarne l’intrusività estetica. 6 A titolo di esempio: per effettuare l’ancoraggio del sistema supporto-tessuto antico-maline, in ciascuno dei pannelli grandi sono stati eseguiti circa 130 m di cuciture a punto filza.

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Anticamera della Regina.

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RESTAURO DEGLI APPARATI DECORATIVI Galileo Persano e Thierry Radelet

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Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Camera da letto.

l lungo e complesso restauro dell’Appartamento della Regina ha interessato ben cinque locali di cui due di rilevanti dimensioni con apparati decorativi su legno di estrema bellezza e notevole pregio. La decorazione delle ante e dei pannelli della boiserie presenti nell’Anticamera fu assegnata alle maestranze di Francesco Casoli, mentre nella Camera da letto intervenne Giovan Francesco Fariano. Verso la fine del XVIII secolo l’Anticamera fu rinnovata da Giuseppe Maria Bonzanigo il quale profilò le pareti con grandi cornici che delimitano la tappezzeria, raffiguranti un’edera dorata su fondo di vetro blu. Fu anche incaricato di sostituire i rosoni delle porte con intagli raffiguranti scene di caccia. Prima di ogni intervento di restauro le stanze, spogliate della loro originale tappezzeria non risultavano in buone condizioni; le boiserie che riguardavano la zoccolatura perimetrale di alcune stanze erano fortemente danneggiate e presentavano numerosi sollevamenti del film pittorico, lacune ed evidenti cadute di colore, in particolare lungo la cornice inferiore adiacente al pavimento. L’intera superficie, inoltre, era interessata da un consistente strato di deposito superficiale di sporco che aveva scurito le tonalità. In ultimo, si poteva osservare un’importante presenza dell’azione degli insetti xilofagi (fori di sfarfallamento). Vista la precaria condizione della superficie di alcune aree dipinte, prima di ogni intervento, è stato necessario consolidare tutti i sollevamenti per evitare eventuali danneggiamenti durante le successive fasi del restauro. Per questa operazione è stata utilizzata della colla animale che è stata sia stesa a pennello che iniettata con siringhe; dopodiché è stato necessario abbassare i sollevamenti con il termocauterio, interfacciato al film pittorico con carta velina giapponese. Terminata questa operazione, è stata eseguita una prima pulitura superficiale con l’ausilio di pennelli a setole morbide e l’utilizzo di un microaspiratore. La pulitura si è conclusa con il passaggio di una soluzione di E.D.T.A. addensata in gel così da poter controllare l’operazione. Nella Camera da letto, dove la boiserie aveva subito i maggiori danni causati dagli insetti, è stato necessario rimuovere tutti i pannelli di legno e pulirli anche sul retro, dopodiché è stato applicato un trattamento antitarlo steso a pennello. Sulle boiserie delle pareti esposte a maggior umidità è stato eseguito, oltre al trattamento antitarlo, un intervento di consolidamento applicando una soluzione di resina sintetica. Su tutti i pannelli infine è stata applicata una mano di cera microcristallina a scopo protettivo per l’umidità (figg. 1-2). La seconda fase di pulitura è stata realizzata con il passaggio di una soluzione di E.D.T.A. addensata in gel così da poter controllare l’operazione. Lo stesso prodotto è stato utilizzato sia per le aree policrome che per pulire la decorazione ad intaglio dorata. L’intervento successivo è stato una verniciatura a pennello di tutte le superfici; in seguito si è passati alla stuccatura delle lacune con un impasto di gesso di Bologna e colletta animale. Lo stesso tipo di gesso è stato utilizzato per la chiusura dei numerosi fori dei tarli. Le stuccature sono state poi levigate con l’utilizzo di bisturi e retina in ottone. | 157


3. Anticamera, particolare in cui si nota la differenza tra un elemento in vetro blu originale e uno sostituito (fotografia di cantiere).

L’intervento di restauro estetico si è svolto in maniera distinta a secondo delle superfici da ritoccare: sulle aree dipinte l’integrazione pittorica è stata realizzata a mimetico con colori a vernice, mentre per gli intagli e le cornicette dorate è stato steso il bolo e applicata la lamina d’oro 23 ¾ kt successivamente brunita e patinata. Tutte le parti dorate sono state protette con una verniciatura nebulizzata utilizzando delle mascherine sagomate per evitare che la vernice si depositasse anche sulle aree policrome dipinte. Una nota di particolare riguardo va sicuramente dedicata al cornicione con tralci di edera dorata dell’Anticamera. Tra il 1784 e il 1786 Giuseppe Maria Bonzanigo intervenne negli arredi di percorso da un’edera intagliata e dorata a foglia d’oro. Lo stato conservativo di questa cornice, prima di ogni operazione di restauro, era 158 |

1-2. Camera da letto della Regina, particolare della boiserie prima e dopo il restauro (fotografie di cantiere).

piuttosto compromesso poiché il vetro blu risultava completamente alterato da una patina che opacizzava l’intera superficie. Inoltre, alcuni vetri probabilmente rotti, erano stati sostituiti con altri vetri di colore simile a quelli originali ma che presentavano un differente tipo di alterazione; circa una decina di mattonelle in vetro, infine, risultavano fratturate. Anche l’edera, che in origine era stata inchiodata tra un vetro e l’altro, aveva subito qualche intervento poiché risultava privata dei chiodi e incollata direttamente ai vetri con del silicone il quale, in alcuni casi, non possedeva più il potere collante lasciando l’intaglio sollevato dalla superficie vetrosa. La superficie dorata dell’edera era caratterizzata da un considerevole deposito di sporco superficiale e in alcune aree era possibile osservare le tracce di precedenti interventi di restauro a causa della presenza di bronzina che col passare del tempo era notevolmente alterata di tonalità. Inoltre, alcune foglie risultavano incollate in maniera non regolare distinguendosi dal motivo originale. In ultimo, su una parete della stanza, nella parte inferiore della cornice, era riscontrabile la totale mancanza di una parte del motivo floreale. La superficie dorata dell’edera è stata pulita con una soluzione di E.D.T.A. in gel; durante questo intervento, oltre allo sporco superficiale, sono state eliminate tutte le tracce di bronzina che nascondevano numerose abrasioni della lamina d’oro. Nei casi in cui le abrasioni risultavano di grandi dimensioni, si è deciso di intervenire con una doratura a guazzo con oro in foglia a 23 ¾ kt mentre per le abrasioni meno considerevoli sono stati eseguiti piccoli ritocchi con polvere minerale applicata a pennello. La sezione di edera mancante è stata ricostruita attraverso uno stampo in gomma siliconica con cui è stato possibile ricreare il motivo floreale attraverso l’utilizzo di una resina bicomponente. Sul calco è stata poi stesa una mano di gesso e successivamente è stato applicato il bolo; anche in questo caso la tecnica di doratura è stata a guazzo, con applicazione a foglia d’oro, brunitura e patinatura della stessa. Come ultimo intervento, si è deciso di intervenire con una verniciatura protettiva che è stata applicata a pennello (fig. 3). RESTAURO DEGLI APPARATI DECORATIVI | 159


5. Porta decorata con tasselli di pulitura (fotografia di cantiere).

Importante è stato anche l’intervento che ha riguardato le ante lignee delle finestre anch’esse decorate in policromia come le boiserie. In particolare quelle dell’Anticamera, in pessime condizioni di conservazione, sono state rimosse e trasportate in laboratorio. La causa di questo forte degrado è riconducibile all’esposizione della parete soggetta per diverse ore durante il giorno ai raggi diretti del sole. Alcune formelle decorate con architetture e paesaggi erano già state sottoposte a numerosi interventi precedenti di manutenzione e risultavano ricche di sollevamenti e lacune causate dal degrado di colori sintetici utilizzati per ritocchi. Il primo intervento in laboratorio, che richiedeva un’estrema urgenza, è stato un consolidamento eseguito con colletta animale, la quale con l’azione del termocau160 |

4. Anticamera della Regina, particolare di una delle formelle decorate delle ante delle finestre (fotografia di cantiere).

terio ha permesso di spianare la superficie e fermare le scaglie di colore sollevate. Il risultato dei tasselli di pulitura ha portato alla luce la presenza di due ridipinture, una più superficiale di colore giallo ocra, eseguita con vernici sintetiche facilmente rimovibili e una seconda, più antica, dalla tonalità beige stesa sui cieli dei paesaggi (fig. 4). In accordo con la Soprintendenza e la Direzione dei lavori è stato scelto di eliminare integralmente le ridipinture più recenti e di abbassare quelle sottostanti poiché in molti casi, la cromia originale era gravemente compromessa. L’intervento di pulitura è stato differenziato a seconda delle superfici su cui intervenire: una soluzione in gel con Butilacetato per le ridipinture gialle sintetiche e una miscela di Ligroina e Acetone (LA7) per abbassare la ridipintura più antica. Sulle decorazioni dorate che contornano le formelle è stato invece possibile eseguire una pulitura con una soluzione di E.D.T.A. che ha permesso la rimozione dello sporco superficiale senza in alcun modo danneggiare lo sfondo dipinto e l’oro. L’intervento successivo è stato quello di stuccare tutte le lacune; dopodiché si è passati al ritocco pittorico con colori a vernice per tutte le aree dipinte e con oro micaceo per le decorazioni dorate; infine, come protettivo, è stata nebulizzata una vernice. I locali sono collegati tra loro da meravigliose porte lignee decorate, in alcuni casi da ambo i lati, anch’esse con necessità di interventi di restauro. La pulitura è stata eseguita, come sulle superficie precedenti, con una soluzione di E.D.T.A. addensata in gel che ha dato ottimi risultati sia sulle policromie che sulle aree dorate. Dopodiché è stato eseguito un trattamento antitarlo steso a pennello. I buchi causati dagli insetti xilofagi sono stati stuccati per passare a un’integrazione pittorica delle stuccature con colori a vernice. Per gli elementi dorati, che presentavano alcune abrasioni, l’integrazione è stata eseguita a guazzo con foglia d’oro, mentre per le piccole lacune è stato sufficiente applicare a pennello della polvere d’oro micaceo. Sull’intera superficie, come protettivo finale, è stata nebulizzata una vernice (fig. 5). Per concludere, è necessario descrivere un ultimo lavoro di restauro molto impegnativo che ha interessato le due angoliere decorate facenti parte dell’arredo del Gabinetto da toeletta. Prima dell’inizio dei lavori, in sito si trovava solo una di esse poiché l’altra, fortemente danneggiata a causa di un’infiltrazione di acqua, era stata precedentemente trasportata nei laboratori della Soprintendenza di Torino dove ha subito un pronto intervento di consolidamento. La superficie dell’angoliera che si trovava nella Palazzina aveva una tonalità gialla piuttosto scura; da un’indagine stratigrafica è stato possibile ricondurre quel tono paglierino ad una precedente stesura di gomma lacca che aveva completamente alterato le cromie originali. In accordo con la Direzioni Lavori e la Soprintendenza è stato deciso di ritornare ai candidi toni originali eliminando la strato di gomma lacca. Prima è stato necessario effettuare un consolidamento generale della superficie data la presenza di alcuni sollevamenti a scaglie. Terminata questa fase è stato possibile eliminare lo strato giallo-bruno procurato dall’alterazione della gommalacca. Successivamente le lacune e vari fori causati dagli insetti xilofagi, sono stati stuccati con gesso di Bologna e colla animale. Laddove era prevista una doratura è stato steso del bolo per poter intervenire con una doratura a guazzo. Il ritocco pittorico è stato poi realizzato con basi ad acquerello e velature con colori a vernice; come protettivo finale è stata nebulizzata vernice Retoucher. Anche l’angoliera proveniente dai laboratori della Soprintendenza ha subito i medesimi interventi; inoltre l’anta anteriore ricurva era danneggiata da una fenditura del legno larga circa un centimetro che è stata risarcita con l’inserimento di una filza di legno successivamente stuccata e poi ritoccata. Il risultato del restauro così impegnativo della boiserie e degli apparati decorativi lignei è stato stupefacente e ha ricompensato il duro lavoro perché ha permesso di far tornare a nuovo splendore una parte della Palazzina che finalmente sarà oggetto di visite per un pubblico che ne rimarrà indubbiamente conquistato. RESTAURO DEGLI APPARATI DECORATIVI | 161


INTERVENTO DI RESTAURO DEI DIPINTI MURALI E STUCCHI Barbara Rinetti

I

Stupinigi, Palazzina di Caccia, Appartamento della Regina, Volta del passaggio che conduce al Salone centrale.

l restauro dell’Appartamento della Regina è iniziato dall’Anticamera, caratterizzata da un complesso apparato decorativo. L’affresco della volta fu eseguito da Giovanni Battista Crosato nel 1733. Il dipinto rappresenta Il sacrificio di Ifigenia il cui nucleo centrale è la figura della figlia di Agamennone sull’altare del sacrificio. L’esperienza di Crosato quale scenografo di corte è ben presente nell’impostazione delle figure affacciate dalle pareti della volta come da un palcoscenico. Il dipinto è stato eseguito ad affresco con estese finiture a secco in corrispondenza dei panneggi, le giornate sono di ampie dimensioni ben distinguibili a una visione ravvicinata. L’intervento permette al restauratore di «entrare nell’opera d’arte», di godere di un punto di vista privilegiato a contatto con il lavoro dell’artista, in questo modo si riescono a cogliere particolari tecnici importanti altrimenti non distinguibili, come le incisioni indirette realizzate dal pittore sull’intonaco fresco attraverso il cartone che riportava il disegno preparatorio. Si tratta di segni veloci eseguiti con un punteruolo per abbozzare le figure e le campiture di colore. Il dipinto non presentava gravi patologie conservative: la vivacità delle cromie originali era offuscata da depositi di nero fumo, particellato atmosferico e dall’alterazione cromatica di strati protettivi. La penetrazione dello sporco nella porosità dell’intonaco in particolare nelle cavillature aveva evidenziando una fitta reticolazione superficiale. Il fregio che incornicia la base dell’affresco, era alterato nell’aspetto da una ridipintura colore ocra scuro stesa nel corso di un intervento manutentivo precedente. Notevoli depositi di sporco scurivano il modellato degli stucchi dorati, ottundendo la luminosità della doratura a foglia. La conoscenza dello stato di conservazione e della tecnica esecutiva è stata approfondita tramite analisi conoscitive non invasive. Le riprese a raggi infrarosso in “falso-colore” hanno permesso l’identificazione di alcune stesure cromatiche, è emerso l’utilizzo di una lacca rossa nel panneggio di Ifigenia che testimonia l’importanza e la centralità del personaggio (figg. 1-2). L’operazione di pulitura è stata delicata ma efficace, ha permesso di eliminare la reticolazione dovuta allo sporco penetrato nelle micro cavillature dell’intonaco. Le cromie hanno ritrovato l’originaria luminosità e chiarezza scurita dai depositi di sporco. Le lacune d’intonaco e finitura sono state consolidate, stuccate e integrate cromaticamente nell’ottica del «minimo intervento» nel rispetto dell’opera d’arte e della sua conservazione. La ridipintura del fregio è stata asportata con sostanze chelanti in gel supportante per ridurre la polarità al fine di diminuire la possibilità d’interazione con i materiali costitutivi. È stato recuperato il colore originale grigio chiaro simile alla boiserie. | 163


La doratura ha ritrovato la sua lucentezza grazie ad una pulitura eseguita con tensioattivi e chelanti in gel supportante, applicati per rimuovere strati di colla frammisti a sporco depositato. Dall’Anticamera si accede alla Camera da letto della Regina, qui l’affresco della volta è opera di Carlo Van Loo e rappresenta Il riposo di Diana. Il pittore ha scandito la volta con gruppi di figure femminili mollemente adagiate in riva all’acqua e avvolte in panneggi dai colori vivaci e luminosi. Anche in questo caso il punto di vista ravvicinato del restauratore è stato fondamentale per l’approfondimento delle conoscenze dei materiali originali e della tecnica esecutiva. Il contatto diretto con l’opera d’arte ha permesso di individuare le giornate di lavoro in cui è suddiviso l’affresco e le ampie riprese «a secco»: il pittore ha steso l’intonachino suddividendo la volta in porzioni di intonaco fresco su cui è stato eseguito il disegno con incisioni indirette. Inizialmente è stato realizzato lo sfondo azzurro (dipinto a smaltino) con le nubi e i raggi che partono da un sole centrale (posto sopra a quello che in origine era il letto del Re) per scandire con le loro sfumature luminose tutto il dipinto. Ben visibili sono i tratti veloci e decisi delle incisioni che contornano tutti i gruppi di figure. La pennellata di Van Loo è corposa e materica come si apprezza nei colori chiari, Il pittore riesce a rendere intensamente vibranti i chiaroscuri sfumando morbidamente dalla luce vivace alle ombre realizzate con piccoli tratteggi ravvicinati. Particolari dell’affresco dove è visibile la giunzione d’intonaco e delle cromie in corrispondenza delle giornate. Per realizzare le guance e le labbra delle figure femminili, il pittore ha utilizzato il rosso vermiglione (o cinabro), un pigmento rosso che a contatto con la biacca produce solfuro di piombo che annerisce in modo irreversibile. Minime velature di pigmenti compressi hanno restituito la coloritura rosa delle guance (fig. 3). La volta presentava fenomeni diffusi di reticolazione molto evidenti in alcune porzioni di cielo. La patina di sporco mascherava le sfumature del cielo e le de164 |

1. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, radiografia a raggi infrarossi, Appartamento della Regina, Anticamera (fotografia di cantiere).

2. G.B. Crosato, Il sacrificio di Ifigenia, particolare dopo l’intervento di restauro, Appartamento della Regina, Anticamera. 3. C.A. Van Loo, Il riposo di Diana, mappatura delle giornate di lavoro, Appartamento della Regina, Camera da letto (fotografia di cantiere).

licate trasparenze dell’acqua recuperate con la pulitura eseguita mediante sostanze tensioattive e acqua demineralizzata (figg. 4-5). Le decorazioni murali degli sguinci erano molto degradate a causa delle infiltrazioni ripetute di acqua dagli infissi. L’intervento ha previsto la rimozione delle efflorescenze saline con impacchi estrattivi. L’intervento di restauro sui diversi manufatti è costantemente orientato alla valutazione della compatibilità dei materiali prescelti con i materiali costitutivi, per garantire risultati durevoli e reversibili nel tempo. Le scelte metodologiche sono state supportate da indagini chimico-fisiche e analisi multispettrali. Le estese lacune d’intonaco degli sguinci sono state stuccate con malta idonea sotto livello. Le abrasioni della pellicola pittorica sono state integrate con velature ad acquerello. Le ricostruzioni di parti figurative sono state reintegrate con tecnica a tratteggio riconoscibile. L’Appartamento comprende due piccoli ambienti di passaggio la tra la Camera da letto e il Gabinetto di toeletta: l’andito e il servizio igienico riccamente decorati con finte architetture e motivi floreali. I dipinti murali presentavano gravi problemi conservativi dovuti infiltrazioni d’’acqua, variazioni climatiche e manomissioni. La formazione di efflorescenze saline di notevole entità ha portato alla polverizzazione del materiale costitutivo con notevole perdita d’intonaco e finitura pittorica. L’inserimento recente dei sanitari (lavabo e wc) ha provocato la rottura dell’intonaco originale con la perdita della decorazione nella parte corrispondente agli elementi. La nicchia che includeva il sanitario e le parti adiacenti erano state ridipinte in seguito ai rifacimenti d’intonaco. I depositi di sporco e le ridipinture realizzate a tempera sono stati asportati con applicazione ripetuta a tampone di acqua demineralizzata e tensioattivo non ionico. I sanitari sono stati rimossi e le estese lacune di intonaco sono state stuccate con malta di calce e sabbia ed integrate cromaticamente con pigmenti naturali e grassello di calce; le parti mancanti di decorazioni ripetitive sono state reintegrate mimeticamente con colori ad acquarello. INTERVENTO DI RESTAURO DEI DIPINTI MURALI E STUCCHI | 165


Il Gabinetto di toeletta è finemente decorato con grottesche, figure floreali e personaggi in stile cinese opera di Giovan Francesco Fariano. Ai quattro lati sono presenti stemmi che contenevano il monogramma di Carlo Emanuele III di Savoia, poi coperto con una ridipintura azzurra. L’analisi ravvicinata del dipinto ha permesso di analizzare la tecnica esecutiva a secco con legante lipidico, il supporto è molto liscio e compatto con presenza di gesso nell’impasto; questi accorgimenti tecnici hanno permesso al pittore di realizzare delicate sfumature e particolari decorativi minuti e raffinati. Lo stato di conservazione era pessimo: erano presenti efflorescenze saline con diffusi fenomeni di decoesione e perdita di pellicola pittorica. La leggibilità dell’immagine risultava gravemente compromessa. Ridipinture localizzate e fissativi alteravano la luminosità delle cromie (figg. 6-7). I difetti di adesione e coesione sono stati risanati con resina acrilica in solvente ad alta volatilità evitando l’utilizzo di materiali acquosi per non interagire con il supporto igroscopico. Il consolidante è stato applicato a pennello con interposta carta giapponese. La pulitura è stata effettuata con sostanze complessanti a ph neutro, adottando un approccio controllato con la minima polarità necessaria a solubilizzare e rimuovere le ridipinture e lo sporco depositato e minimizzare le interazioni con lo strato pittorico. Le estese lacune e le abrasioni di pellicola pittorica sono state reintegrate cromaticamente con colori ad acquarello. Le figure centrali dei puttini erano interessate da estese mancanze che non consentivano la ricostruzione completa dell’immagine. Le cadute di pellicola pittorica sono state integrate con velature riconoscibili finalizzate alla ricucitura dei numerosi lacerti per restituire parzialmente la leggibilità. La decorazione della Galleria che distribuisce gli accessi dal Salone ai locali di servizio è stata realizzata dal luganese Pietro Antonio Pozzo. La volta e le pareti sono interamente dipinte con finte architetture e composizioni di fiori e frutti che creano un insieme complesso e armonioso. La distribuzione spaziale 166 |

4-5. C.A. Van Loo, Il riposo di Diana, particolari di saggi di pulitura, Appartamento della Regina, Camera da letto (fotografia di cantiere). 6-7. G.B. Fariano, Volta, particolare, Appartamento della Regina, Gabinetto di toeletta (fotografia di cantiere). 8. G.B. Fariano, Volta, Appartamento della Regina, Gabinetto di toeletta.

e le cromie delicate proseguono l’impostazione del Salone centrale e risentono fortemente della personalità juvarriana. Le decorazioni a finto marmo e finte architetture sono eseguite ad affresco con incisioni indirette che segnano il disegno. La superficie pittorica presentava differenti stati conservativi: la volta e le parti superiori delle pareti presentavano depositi di sporco incoerente, localizzati fenomeni di decoesione, fessurazioni e piccole mancanze; invece lo spazio compreso tra il basamento fino a 3 metri di altezza presentava estese ridipinture che modificavano notevolmente le tonalità originali, compromettendo il morbido gioco di chiaro-scuro degli elementi architettonici. Le ridipinture mascheravano il degrado della pellicola pittorica. L’angolo a sud-ovest, era fortemente danneggiato da infiltrazioni di umidità ed efflorescenze saline, la superficie decorata presentava decoesione e caduta d’intonaco e finitura cromatica. I dipinti murali sono stati puliti con un intervento delicato e selettivo e con le precauzioni atte a minimizzare la possibilità di interazione con i materiali costitutivi. Sono state utilizzati tamponi imbevuti di acqua demineralizzata e tensioattivi. Questa soluzione unita all’azione meccanica di spazzolini con setole morbide ha permesso di rimuovere i depositi di sporco e le ridipinture a tempera. Le efflorescenze saline sono state rimosse con impacchi di acqua demineralizzata supportata da polpa di carta e sepiolite lasciata agire fino a secchezza. Le lacune d’intonaco e finitura sono state risarcite con malta idonea a base di calce naturale e sabbia di fiume per l’arriccio e calce naturale e polvere di marmo per lo strato di finitura. Le stuccature e le abrasioni della pellicola pittorica che interrompevano la lettura dell’apparato decorativo sono state integrate con velature ad acquerello per restituire unitarietà e completezza di lettura. Le parti ripetitive di decorazione mancanti sono state ricostruite con reintegrazione riconoscibile mediante il sottotono. INTERVENTO DI RESTAURO DEI DIPINTI MURALI E STUCCHI | 167


Camera da letto della Regina.

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M.C.To Museo Civico Torino B.R.To Biblioteca Reale Torino BIBLIOGRAFIA | 175


Finito di stampare nel mese di novembre 2016 da Grafiche G7 sas, Savignone (Genova) per Sagep Editori srl, Genova


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