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DILEMMA PIL

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IN VETRINA

IN VETRINA

di Claudio Lucifora

Negli ultimi anni l’occupazione è aumentata un po’ in tutta Europa, ma la produttività è calata. E l’Italia non fa eccezione. Qui a crescere sono state soprattutto le occupazioni di basso profilo, con stipendi contenuti che poco incidono sul Pil nazionale. Dobbiamo tornare a investire in settori strategici, puntare sull’innovazione e sulla formazione del capitale umano.

E l’unica chance per recuperare il gap velocemente sono i fondi del Pnrr.

Pena rimanere fanalino di coda d’Euorpa e perdere progressivamente appeal sullo scacchiere geopolitico europeo e internazionale

Idati Istat lasciano pochi dubbi: anche per questo 2023 l’occupazione è destinata a crescere più del Pil che, come negli ultimi 20 anni, continuerà a ruotare intorno allo zero. Tanto che dopo alcuni mesi in leggera salita, Confindustria prevede addirittura una decrescita per i mesi di agosto e settembre, rispettivamente del -0,2% e -0,3%. Una situazione simile caratterizza però un po’ tutti i Paesi del Vecchio Continente, dove negli ultimi mesi l'occupazione è aumentata del 2,3% rispetto ai livelli pre-crisi, ma la lenta rial- locazione della manodopera ha portato a una crescita lenta della produttività in tutta l’Eurozona. Basti dire che in Germania, da sempre locomotiva d’Europa, la produzione industriale è scesa del 3,4% lo scorso marzo.

A dirlo è l’ultimo report redatto dall’agenzia Bloomberg, che evidenzia un crollo particolarmente pronunciato nel settore automobilistico. E se il Pil non cresce, le buste paga dei lavoratori sono destinate a rimanere al palo. Lo sanno molto bene gli italiani che da 20 anni non vedono movimenti negli importi dei loro cedolini. A incidere sulla produttività di un Paese sono diversi elementi: l’efficienza con cui vengono impiegati i fattori di produzione come tecnologie e digitalizzazione; la qualità delle istituzioni, l’efficienza del sistema giuridico, la burocrazia, la libera concorrenza, l’allocazione di risorse verso imprese produttive (incluso il funzionamento del mercato dei capitali), la qualità delle infrastrutture, e la competitività del capitale umano. Ma anche il sostegno statale al fabbisogno energetico e alla digitalizzazione delle imprese. Tutte aree in cui l’Italia arranca. Se a questo si aggiunge la micro dimensione della maggior parte delle nostre imprese in tutti i settori, compreso quello dei servizi che ormai raccoglie l’80% dell’occupazione, è facilmente comprensibile come mai l’economia del paese ristagni.

Aziende di piccole dimensioni faticano infatti ad avere accesso al mercato dei capitali, dunque non fanno investimenti, non fanno formazione, non sono in grado di fare sistema, sono fragili e non sono nelle condizioni di poter crescere e di incrementare la loro produttività. Sia chiaro, le imprese poco produttive esistono in tutta l’Eurozona, ma in Italia rappresentano l’80%, mentre le eccellenze ovvero quelle efficienti, che innovano ed esportano in tutto il mondo, rappresentano solo il 20%. Proporzione che negli altri Paesi Ue è invertita, un esempio per tutti può essere la Francia, dove le aziende di grandi dimensioni sono il 70% e il 30% è invece la fetta che comprende le piccole realtà.

Occupazione Di Bassa Qualit

Il problema è che organizzazioni di questo genere sono anche quelle che puntano a creare un’occupazione di bassa qualità e che non avranno mai le risorse necessarie da investire per invertire la marcia. E la nostra politica economica ha sempre assecondato questo modello, varando politiche fiscali orientate a incentivare l’aumento del numero di Pmi e introducendo bonus per abbassare il costo del lavoro al fine di far leva sull’occupa-

EUROZONA - SALARI, INFLAZIONE E PRODUTTIVITÀ

zione. Senza rendersi conto, però, che in questo modo le imprese sono state aiutate a creare occupazione di bassa qualità e che, senza una crescita anche sul fronte della produttività, non riusciremo mai a competere con il resto del mondo.

Basta soffermarsi un attimo su quello che è successo durante il post-covid per rendersene conto. Nel 2022, infatti, c’è l’Italia ha vissuto una forte ripresa del mercato del lavoro che ha visto crescere l’offerta soprattutto nel settore edilizio e nei servizi (commercio, alberghi, ristoranti). Tutti comparti caratterizzati da un’occupazione povera e da stipendi bassi che, proprio per questo, ha un impatto quasi nullo sul Pil nazionale, al contrario di altri settori strategici come quello delle auto elettriche e della loro componentistica, dell’It o dell’energia rinnovabile, solo per citarne alcuni.

Pnrr Chance Imperdibile

Per colmare il gap velocemente ed evitare di perdere altro tempo prezioso sul fronte degli investimenti in innovazione, formazione, infrastrutture, energia green, digitale, trasporti, l’unica strada che il Paese ha a disposizione è quella di implementare senza indugi il Pnrr che fornirà all’Italia 191,5 miliardi di euro per facilitare una ripresa più stabile, omogenea, duratura e superare, così, le storiche divergenze regionali. Aspetti fondamentali in vista delle sfide a lungo termine che attendono il Paese. Per questo il Pnrr è una chance unica per l’Italia, anche perché se entro il 2026 non riusciremo a investire

PREVISIONI SUL TASSO DI DISOCCUPAZIONE (&)

tutto i capitale che l’Ue ci ha messo a disposizione, la parte non utilizzata dovrà essere restituita.

Il Nodo Degli Investimenti

Il problema è che ci rimane un debito enorme sulle spalle non più finanziabile dalla Bce, che dal luglio 2023 non acquisterà più nuove obbligazioni (quelle italiane comprese) per sostituire quelle in scadenza nell’ambito dell’APP (Asset Purchase Programme), lanciato nel 2015 per sostenere l’economia e l’inflazione dell’area dell’euro.

E quindi i titoli italiani dovranno acquistarli sul mercato i risparmiatori italiani. Questo vuol dire che nei prossimi anni, oltre al rigore necessario per far quadrare i conti pubblici, gran parte del risparmio degli italiani andrà a finanziare il debito pubblico. A dire il vero alcuni passi in questa direzione sono già stati fatti. Negli ultimi tempi, infatti il Tesoro ha collocato Btp Italia e con discreto successo, visto che rispetto ad altre forme di risparmio, è risultato attrattivo per gli investitori.

Ma nel lungo periodo questa è una situazione che rischia di ridurre ulteriormente gli investimenti per incentivare la crescita delle nostre imprese e quindi della nostra economia. Una grande incognita che rischia di mettere in ginocchio il Paese nel prossimo futuro. Gli economisti lo chiamano il fenomeno dello “spiazzamento”, che si verifica, appunto, quando il soddisfacimento della domanda pubblica implica la riduzione del soddisfacimento dalla domanda privata e che rischia di relegare l’Italia al ruolo di fanalino di coda d’Europa. ■

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