Eravamo Felici di Ogni Cosa

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Periodico del Centro diurno del Mendrisiotto N° 3 –2021 Via Bossi 11, 6830 Chiasso www.clubathena.ch
Il Menestrello

INDICE

Editoriale pag. 2

Speciale mostra

Benvenuti ad Arzo pag.3

La mia impressione pag.4

L’inizio di qualcosa di meraviglioso pag.5

Arte condivisa pag.6

Fantasia tanta, colori tanti e focolare pag.7

Il pensiero in un’immagine pag.8

Guardare fuori dalla finestra pag.9

Un’esperienza iniziata per caso pag.10

Never lose hope pag.11

Non perdere mai la speranza pag. 12

Muovere il mio corpo a ritmo di musica pag.13

Natascia si racconta pag.14

Intervista a Ricardo Torres pag.15

Un percorso in cui pag.18

Rassegna stampa pag.19

Giardino Rasan pag. 24

Benvenuto Dorian pag. 25

Gite interclub forever pag. 26

Un’estate al mare pag. 27

Seminario a Sessa pag. 28

Festival dei diritti umani pag.29

Giornata mondiale della salute mentale pag. 31

Le dimensioni della vulnerabilità pag.32

Ti auguro un buon natale pag. 33

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EDITORIALE

Non potevamo non onorare la splendida esperienza fatta quest’anno con il progetto della mostra. Ecco quindi uno speciale Menestrello dedicato a questo evento con le voci dei suoi protagonisti e il loro vissuto.

Come potrete percepire tramite questi racconti siamo molto grati e soddisfatti per la buona riuscita e i riscontri ricevuti. È stato estremamente importante, in questo tempo di pandemia, uscire dalle mura del Centro diurno e poter condividere ciò che abbiamo da esprimere, superando attraverso l’arte i pregiudizi o le resistenze a incontrare l’Altro, anche nella sua diversità. Due professionisti ci hanno aiutato a mettere in poesia, tramite immagini e racconti audio, le memorie dei partecipanti al laboratorio di costruzione della mostra: Ricardo Torres, artista visivo, e Natascia Bandecchi, giornalista, che ringraziamo di cuore. Senza di voi nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Ma per la buona riuscita dell’impresa dobbiamo ringraziare anche Lucia Ceccato di Chiasso culture in movimento, Amanda Ostinelli e il Comitato del Festival internazionale di narrazione di Arzo, il Servizio di socioterapia e gli utenti del Club ’74, Olmo Cerri, Stefano Mosimann e l’Associazione REC, gli abitanti di Arzo e Meride che hanno messo a disposizione i muri delle proprie case, il Comune di Mendrisio, tutti gli utenti del Centro diurno di Chiasso per il loro sostegno e Consuelo, Jackie, Manuela, Patrick e Sonia che hanno partecipato in modo diretto realizzando le opere.

Questo progetto è stato anche una ventata di energia che ci ha aiutati ad attraversare un anno non facile per il Centro diurno. Tra le vicissitudini, quest’autunno abbiamo dovuto salutare l’amico e compagno Rasan. Un saluto particolare è dedicato a lui nella seconda parte di questa pubblicazione. Trovano poi spazio alcune altre riflessioni legate agli eventi che ci hanno accompagnato in questa ultima parte dell’anno.

Buona lettura

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BENVENUTI AD ARZO

Discorso di presentazione a cura di Patrick Adro

Venerdì 20 agosto 2021

Gentili Ospiti,

A nome degli utenti del Club Athena del Centro diurno di Chiasso, vi do il benvenuto alla presentazione della mostra di arte pubblica, nata dalla nostra collaborazione con Ricardo Torres ed intitolata

Gli scopi di questo progetto sono molteplici. In primo luogo si è trattato di un progetto di gruppo, nel quale 5 utenti del Club Athena hanno dato continuità ad un lavoro in tutte le sue fasi.

C’è poi tutto l’aspetto terapeutico del lavoro, incentrato sulla memoria, sui ricordi, ma anche sulla gestione delle emozioni. Un progetto che nelle varie fasi ha richiesto precisione, concentrazione, ma che ha pure dato il via libera alla creatività, il tutto in un ambiente di non giudizio.

Uno degli scopi di questa mostra è pure quello di farci maggiormente conoscere nel nostro territorio, di far conoscere il Club Athena, i nostri utenti e le nostre attività. Fra l’altro, il Club Athena è nato con queste finalità, ossia come club socioterapeutico ma anche culturale.

Infine, ma non da ultimo, l’aspetto della condivisione con lo scopo di abbattere il muro dei pregiudizi verso il nostro ambito, quello psichiatrico, che sono largamente presenti all’interno della nostra società.

Termino il mio intervento ringraziandovi a nome del Club Athena della vostra partecipazione, da noi molto gradita, e vi invitiamo a visitare le nostre opere, soffermandovi anche ad ascoltare tutto ciò che abbiamo da narrarvi.

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LA MIA IMPRESSIONE

Ho vissuto relativamente poco tempo la preparazione della mostra a cura di Riccardo Torres, ma questo non mi ha impedito di percepirne l’energia positiva. I momenti che gli ho dedicato sono stati qualche primo incontro, cominciando dalla presentazione del progetto, ai primi racconti dei vari utenti, dove dovevamo parlare di ricordi, prima cominciando da un immagine che ci veniva consegnata, poi stimolati da tre domande: un sogno ricorrente che abbiamo, un evento determinante della nostra vita e una persona importante per la nostra vita. Poi ho aiutato verso la fine del progetto, quando i collage erano già stati fatti e stampati a grandi dimensioni, ritagliandone uno (devo dire che era anche complesso!). Con il realizzarsi del progetto, ho chiaramente percepito un valore emotivo sempre più alto legato a quest’ultimo. Tutte le persone che sono state coinvolte, ci tenevano molto e credo che sia stato per la buona organizzazione del progetto. E’ stato preso con il giusto ritmo e una buona cura e le persone se ne sono accorte.

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L’INIZIO DI QUALCOSA DI MERAVIGLIOSO

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ARTE CONDIVISA

Sebbene ciascuno dei partecipanti abbia creato una propria opera partendo dai propri ricordi, la mostra di arte pubblica che ci ha visti partecipi è stata a tutti gli effetti un progetto di gruppo. Da qui vorrei partire, da questo concetto che riveste a mio avviso un grande significato. Il Club Athena e più nello specifico il gruppo di lavoro, composto da 5 utenti, che hanno creato, elaborato e istallato un vero e proprio capolavoro. Oltre a noi 5, Patrick, Sonia, Manuela, Consuelo e Jackie, anche la nostra operatrice Ursula, Ricardo, Natascia e Halima. Stare in gruppo e lavorare insieme significa aprirsi e condividere con il resto delle persone la propria storia e le proprie memorie. Ciò risulterebbe impossibile senza un presupposto fondamentale: la fiducia che si ripone nell’altro. Ciascuno di noi si è affidato al resto del gruppo in ciascuna delle tre fasi che hanno composto questa realizzazione artistica. La prima parte è stata quella della creazione vera e propria dell’opera. Ciascuno di noi si è raccontato, in un ambiente protetto e di non giudizio e niente è uscito dalle 4 mura del locale del Centro diurno in cui ci trovavamo. La seconda fase, quella del ritaglio, ci ha visti coinvolti per una settimana intera. Anche in questo caso c’è stato un gran lavoro di condivisione, sempre basato sulla fiducia reciproca. E capitato di dover ritagliare le opere di un altro utente, quindi la concentrazione e la precisione erano massime. Ognuno ha fatto capo al proprio senso di responsabilità e di rispetto nei confronti del gruppo e di ciascun partecipante e tutti hanno risposto al meglio. La terza e ultima fase è stata quella dell’istallazione delle opere alle pareti. Questa è stata forse la parte più delicata, soprattutto in certi frangenti. Ognuno di noi aveva un compito ben preciso e importante per il buon funzionamento del lavoro. Le gigantografie necessitavano per forza della collaborazione di tutti, ma quello che era più importante era un lavoro fatto in sicurezza. Spesso ci

siamo trovati ad operare in situazioni di poco equilibrio, con le scale appoggiate al muro in pendenza, o in mezzo alla strada. Anche il semplice “tenere la scala ferma” era questione di fiducia riposta su ciascuno di noi. Ho apprezzato anche le parole che ci ha rivolto Ricardo, dicendoci che si sentiva al sicuro con noi al suo fianco. Un sentimento di grande fiducia che ci ha fatto sicuramente piacere e che ci ha accomunato tutti, utenti, operatori e professionisti. Un’altra cosa ci ha accomunato senza ombra di dubbio: la voglia di stare insieme e di condividere questa magnifica avventura. Questa esperienza di arte condivisa ha avuto altre cose in comune. A me piace sottolinearne in particolar modo una che mi ha colpito molto: le parole che abbiamo usato nel raccontare ognuno la propria storia erano uguali per molti di noi. Io considero la scrittura, ma pure la narrazione come delle vere e proprie arti, con cui comunicare e soprattutto condividere con il prossimo ogni cosa che portiamo nella nostra anima.

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FANTASIA TANTA, COLORI TANTI E FOCOLARE

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IL PENSIERO IN UN’IMMAGINE

A voi che passate davanti a me e mi guardate con il naso all’insù. A voi che passate senza nemmeno rallentare. Non mi importa se io attiro la vostra attenzione, io resto qua incollata al muro e guardo il mondo con il mio sorriso. La vita non è sempre molto divertente e dentro di me ci sono macchie. Forse dall’ esterno vedete che sono una marea di punti neri su di un foglio bianco. Sembra strano: anche la mia anima è fatta così. Per arrivare ad esser qua hanno dovuto cercarmi nella valigia dei ricordi di quando ancora credevo che la vita non era altro che un mondo magnifico. In questa realizzazione c’è una bambina, un cane di nome Laika e una mucca. In mezzo c’è il cosiddetto gerlo, quello che ha intrecciato con le sue mani mio nonno. Come se da esperto di sofferenza di un vecchio mondo contadino volesse darmi qualcosa per portare il mio bagaglio per un viaggio dove non esiste una vera meta e che non si sa come sarà il tracciato. Io mio nonno non ho mai avuto la grazia di conoscerlo, ma sembra strano, lo vedo comunque con le sue mani callose che hanno sofferto il duro lavoro in tutte le stagioni. Ogni legno che fa parte di questo attrezzo è stato scelto con cura ancora quando era un semplice ramoscello vivo nel bosco. Sicuramente mio nonno avrà aspettato la luna giusta, e la grandezza giusta. Questa primavera ho fatto parte di cinque anime per un unico progetto, cinque anime che sono uscite dal proprio guscio per abbattere ogni pregiudizio e ogni stereotipo. In fondo il mio margine è sottile come un foglio di carta e tutti in un modo o in un altro possono stare dalla mia parte, alcuni stanno lì soffrono e si vergognano di aver una sofferenza. Perché avere una ferita nell’ anima è sempre stata un’ indecenza come se si diventasse persone di serie B. La natura ci crea tutti uguali nonostante il colore della pelle o la nostra diversità. Ma tranquilli io non resto qui in eterno, basteranno il sole e l’acqua, con l’aiuto del tempo, e io mi scioglierò e me ne andrò dove la pioggia e il vento vorranno, ma come dico non mi importa, il mio ombrello mi protegge da tutto e niente, sorrido alla vita almeno per ora. La mia voce è comunque incisa e vi racconta. Tanti hanno versato lacrime di emozioni per un progetto, un viaggio inaspettato che ci hanno inglobato in un Festival di narrazione ad Arzo. Le mie

di Manuela Cattola

emozioni invece sono qua un po’ bloccate tra stupore, soddisfazione e gratitudine. Ma io ho imparato a soffocare le lacrime perché ho dovuto ingoiare i rospi e mostrare la mia maschera per nascondere la mia sofferenza. Sarà stata la vergogna o i pregiudizi a dirmi di sorridere in ogni caso. Ma è probabile che in queste sere di luna piena qualche goccia di rugiada scivolerà via come l’immagine qui stampata. Io ho imparato dall’ agricoltura che c’è un tempo per seminare e un tempo per raccogliere. Sperando che la natura non giochi brutti scherzi chiamati intemperie o siccità. Ma come sempre una festa del raccolto ci sarà, anche per ringraziare il fatto che sul tavolo abbiamo del pane e del vino.

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GUARDARE FUORI DALLA FINESTRA Di Consuelo Rigamonti

UN’ESPERIENZA INIZIATA PER CASO

Partecipare al progetto realizzato dal CD Chiasso in occasione del XXI Festival internazionale di narrazione di Arzo, Meride e Tremona è stata una gioia.

Sono stata contattata da Ursula quale possibile aiutante amministrativa del progetto e mi sono ritrovata a maneggiare oggetti e fotografie del mio passato remoto. Il gruppo composto da me, Sonia, Patrick, Jackie e Manuela, e guidato da Ricardo, Natascia e Ursula si è via via sempre più affiatato per creare, in un ambiente disteso, cordiale e armonico, immagini surreali legate al nostro passato. La soddisfazione maggiore oltre a vedere i poster sui muri, poster che raccontano in modo insolito il nostro passato che fu, è stata il riscontro positivo delle persone.

Un’esperienza iniziata per caso, inconsapevolmente, che si è dimostrata, cammin facendo, costruttiva e arricchente.

di Consuelo Rigamonti 10

NEVER LOSE HOPE

Di Jackie

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NON PERDERE MAI LA SPERANZA

La mostra che si è svolta dal 19 al 22 agosto 2021 ad Arzo, Tremona e Meride è stata per me un'esperienza grande e sorprendente. Innanzitutto vorrei ringraziare i principali organizzatori della mostra: Ushi Rampoldi, Ricardo Torres, la giornalista Natascia Bandecchi, i partecipanti e il team del Centro diurno per il grande sostegno e lo spirito di unione durante il progetto. Affiggere le foto in posti diversi è stato davvero un sacco di lavoro ma, grazie alla grande squadra, è andato tutto bene. Rivolgo molti ringraziamenti a Ricardo e Ushi che mi hanno supportato così tanto dalla creazione dell'idea delle immagini fino alla fine. Durante il progetto, quando ho iniziato a parlare dei ricordi importanti della mia infanzia, è stato un momento molto emozionante perché mi ha ricordato quei giorni in cui ero bambina, anche se la mia infanzia non era perfetta ma ero felice della vita che avevo. Spesso guardo la mia foto inondata di frutta, uccelli e cibi africani.

Alcuni incidenti sono ancora freschi nella mia memoria: a 8 anni con mia madre, che era ormai in gravidanza avanzata di mia sorella, ci svegliavamo molto presto prima che arrivasse il sole, la aiutavo a portare un po' di frutta al mercato alimentare e alcuni oggetti come sedili di legno lungo la strada poi mi preparavo per andare a scuola. Ogni volta che tornavo da scuola, andavo ad aiutarla con i clienti fino alla tarda ora del ritorno a casa. Spesso mi diceva di non perdere mai la speranza e di non arrendersi mai. È una madre che era presente quando avevo bisogno di lei, nei giorni buoni e cattivi, e non sono mai andata a dormire con la fame. E, cosa più importante, si è assicurata che ricevessi un'istruzione con il suo piccolo reddito anche se non ho finito il college. In effetti, dopo la mostra, ora mi rendo conto che ci sono momenti nella vita in cui non siamo contenti di tante cose, ma ci sono molti momenti che possono sempre portare un sorriso sui nostri volti e scopri che queste sono cose a cui non penseresti, ma nella vita reale queste stesse cose fanno la differenza.

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MUOVERE IL MIO CORPO A RITMO DI MUSICA

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Di Sonia L.

LA MIA ESPERIENZA...IN PUNTA DI PIEDI

di Natascia Bandecchi

Ricordo come fosse oggi quando Ricardo mi ha chiamata: “ti propongo una collaborazione” mi dice lui. Ci sono persone con cui si innesca un collegamento immediato, un’empatia istantanea, beh, con Ricardo è così. Ho ascoltato quindi la mia pancia e senza chiedere troppi ragguagli in merito alla proposta gli ho detto subito: “certo, ci sto!”

Ricordo la prima volta che sono arrivata al Centro di Chiasso, ero emozionata e curiosa di conoscere le persone coinvolte nel progetto. Sono entrata in punta di piedi in quella sorta di laboratorio creativo dove Manuela, Jackie, Sonia, Consuelo e Patrick hanno condiviso pezzetti della loro vita. Un caleidoscopio di ricordi, fotografie a colori e in bianco e nero, canzoni, forbici e colla.

Come mi sono sentita io? Beh, non è scontato entrare in un gruppo già affiatato. Ho fatto come faccio di solito: sono stata semplicemente me stessa e ho portato anche io un pezzetto di me raccontando cosa mi appassiona, il motivo per cui ero lì e soprattutto mi sono messa in ascolto senza invadere i loro spazi.

Per me ascoltare significa mettersi al servizio di chi ti racconta, di chi ti confida angoli della sua esistenza, a volte intimi, a volte dolorosi, a volte divertenti. Per me – e anche per loro che si raccontavano a me – è stato fondamentale mettere in rilievo la loro forza, la loro resilienza. Non c’è stato nulla di telecomandato o costruito. Tutto è avvenuto naturalmente, in un flusso naturale. Quando era il momento, chi voleva, poteva appartarsi con me: io semplicemente premevo “REC” sul registratore, ascoltando i loro racconti e facendo loro delle domande, dettate dal momento presente.

Il risultato è arrivato dopo una manciata di settimane: 5 diari di 5 esseri umani meravigliosi che non hanno temuto di mostrarsi vulnerabili ma nel contempo immensamente forti e soprattutto amorevoli verso loro stessi.

Grazie a Manuela, Jackie, Sonia, Consuelo e Patrick che mi hanno permesso di sfogliare qualche pagina del loro personale diario.

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Ricardo Torres: Mi ispirano le persone coraggiose!

Intervista di Patrick e Ushi

Ricardo è l’artista visivo che ci ha accompagnato nel progetto della mostra “Eravamo felici di ogni piccola cosa”. Per parlare dell’esperienza dal suo punto di vista l’abbiamo intervistato andando a trovarlo alla REC di Lugano, dove lavora.

Chi è Ricardo Torres?

Innanzitutto è qualcuno che a un certo punto della sua vita è arrivato in un posto dove mai si sarebbe immaginato di essere. E prima? Sono di base un grafico, ho studiato grafica in Colombia e qui la vita mi ha portato a fare altre cose: ad occuparmi di fotografia, di documentari, in generale di produzione audiovisiva. Ultimamente mi piace usare la definizione “artista visivo”, perché ingloba un po’ tutto, tutti gli ambiti in cui cerco di muovermi. E sono un papà!

Qual è il tuo percorso professionale, quello umano, e come si intrecciano?

Il mio percorso professionale inizia con l’università di grafica a Bogotà. Lì ho lavorato soprattutto nell’ambito della pubblicità per qualche anno. Avevo tante domande senza risposta rispetto a quello che stavo facendo in ambito professionale e mi sono messo in viaggio durante due anni in America latina con lo zaino in spalla. Ed è lì che il professionale e il personale si intrecciano, perché in quel viaggio ho conosciuto Alessia che è la mia compagna ancora adesso (stiamo parlando di 16 anni fa). Una volta arrivato l’amore, c’era da prendere la decisione di dove stare insieme. Abbiamo deciso di venire qua, dove ho continuato gli studi alla Supsi in comunicazione audiovisiva per avere un titolo, e poi pian pianino ho iniziato a lavorare in diversi ambiti. Vengo dalla Colombia, un paese con tanti conflitti sociali, oltre ai conflitti politici, che ho iniziato a vedere paradossalmente più in profondità quando mi ci sono allontanato. Quando sono andato via dal mio paese, ho iniziato a vedere che certe cose che già mi sembravano molto strane non erano proprio normali. Poi ho avuto la fortuna, dopo che avevo vissuto qui 4 anni, di lavorare nell’ambito dei diritti umani e comunicazione. Lì ho conosciuto tantissime realtà che sono quelle che mi interessano: di esclusione ma allo stesso modo di resilienza e di vite un po’al limite della società e delle possibilità di vita, come nel caso del documentario ALGÚN DÍA ES MAÑANA. Tradotto in italiano con IL DOMANI ARRIVERA’, tratta di una comunità in Colombia che rischia di perder la propria terra a causa del conflitto armato, ma che ha una grandissima capacità di resilienza basata sull’arte e sulla musica.

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Questa cosa mi ha dato molte chiavi per fare questo abbinamento: arte/resilienza. Attraverso l’arte si può uscire da certe situazioni di esclusione, questo è uno dei temi che spesso torna.

Cosa o chi ti ispira?

Mi ispirano le persone coraggiose, mi ispirano alcuni temi legati all’esclusione e ai conflitti che hanno a che fare con la politica globale. Mi interessa anche molto la migrazione, e in questo ambito sono sempre colpito dalle persone che hanno il coraggio di raccontarsi e, attraverso questo, di permettere ad altre persone di mettersi nei loro panni. Io cerco di raccontare la storia di queste persone in modo che possano ispirare altre persone. Penso alle persone che ho incontrato per il documentario: quando siamo andati da loro c’erano delle guardie armate che erano lì per fare loro paura e che in passato avevano ucciso delle persone. Noi avevamo paura, ma ci sentivamo anche protetti dal loro coraggio. Oppure al documentario fatto con Stefano Ferrari ai confini tra Grecia e Macedonia, dove c’erano persone che non potevano continuare il loro viaggio di migrazione dalla Siria e dall’ Afghanistan. Ci vuole tanto coraggio e disperazione per intraprendere un viaggio così lungo e puoi capirlo solamente stando insieme a queste persone. E lì è nato il progetto WELCOME, UN ABBRACCIO CONTRO IL RAZZISMO. Diciamo che dall’unione che si sentiva in quella situazione, su un confine chiuso, 12000 persone in un campo profughi, si è espressa anche una grandissima solidarietà di persone che venivano dall’Europa a vedere come potevano dare una mano. Io sono andato con un gruppo di queste persone, abbiamo incontrato questa realtà e sono rimasto colpito di come quello che conta realmente siano le relazioni tra le persone. Quando lasci da parte la nazionalità e tutte le etichette che la società ti mette, è lì che trovi le cose reali della vita. Questa collaborazione, fratellanza e solidarietà, mi ha ispirato per creare questo progetto

dei ritratti per creare un lunghissimo abbraccio, che è ancora in corso. Un abbraccio che ho iniziato là e che ho continuato qua, nel tunnel di Besso nel 2018.

Come ti sei trovato a lavorare con noi?

È stata una bellissima sorpresa, perché per me era un ambito che era un grandissimo punto interrogativo. Quando sei tra le persone, ti guardi negli occhi e lasci tutto da parte, iniziando ad ascoltare e a raccontare e, qualsiasi barriera poi sparisce. È così che io cerco di affrontare i progetti! Ho trovato una grandissima capacità di ascolto e una bellissima accoglienza, e queste sono le basi per riuscire a fare un lavoro come quello che proponevo e nemmeno io sapevo benissimo quale sarebbe stato il risultato. Questa è stata la magia! Ho sempre avuto fiducia che il risultato sarebbe stato all’altezza delle aspettative.

Come è nato il concetto della mostra?

Devo dire che, per me, l’arte urbana deve parlare in modo semplice e chiaro. L’arte in generale ti deve trasmettere qualche cosa che non devi fare troppi giri per capire. La mia intenzione è sempre fare delle cose che a guardarle e sentirle ti trasmettano già un’emozione o ti raccontino qualcosa. La base è questa, e il concetto è sempre stato quello di lavorare sulla memoria, sul proprio bagaglio personale. Tutto è partito dal magnifico libro che ha portato Ushi, che abbiamo visto il primo giorno e che si chiama COSA C’È NELLA TUA VALIGIA?

In poche parole aprire questa valigia voleva dire aprire il nostro cuore e vedere che cosa c’era e penso che ci siamo riusciti!

Che bilancio fai della mostra?

E’ stata un’esperienza intensa, in tutti i suoi passaggi sicuramente, perché nei momenti in cui ci trovavamo a lavorare c’era sempre una bellissima energia creativa. Da ogni incontro uscivamo con la soddisfazione di aver fatto qualcosa.

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Quale è stata la fase del lavoro che hai preferito?

Quando passavamo a concretizzare, cioè quando stavamo mettendo le foto sui muri, quando ci sporcavamo le mani, quando stavamo all’aperto. Questa è sempre stata la mia parte preferita in questo tipo di progetti e che mi diverte tantissimo, soprattutto perché è una cosa che non puoi fare da solo. Tu puoi fare tutto il concetto da solo, con la tua macchina fotografica, davanti al computer… non è stato il nostro caso, l’abbiamo fatto insieme. Qualcosa di queste proporzioni non si fa da solo e penso che era questo il senso. Quindi è stato arricchente e intenso per me e, soprattutto, penso che siamo riusciti a trasmettere un’emozione.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Per il momento ho questo progetto a lungo termine che è quello di continuare l’abbraccio: fare tante sessioni in tante parti del mon-

do per riuscire a creare qualcosa di globale. Mi piacciono sempre i temi legati alla bicicletta e ho diverse idee per la testa. E qualcosa ancora sulle migrazioni: non vi dico nulla concretamente, perché nemmeno io lo so esattamente. I temi sono questi e tutto prenderà forma prima o poi.

Concludo ringraziandovi per la fiducia, perché aprire questa valigia del cuore e far vedere cosa c’è dentro non è una cosa per nulla scontata e questa vostra generosità e fiducia per me sono la base di quello che siamo riusciti a fare insieme.

Grazie a te, Ricardo.

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Un percorso in cui…siamo stati ‘felici di ogni piccola cosa”

Tutto ha avuto inizio oltre un anno fa, quando ci siamo riproposti di “fare qualcosa” nonostante la pandemia, alla faccia della pandemia, come se anche tramite un gesto, organizzando un evento a fronte delle difficoltà, si contribuisse ad abbatterla. L’idea era quella di una mostra, ma all’esterno del Centro diurno, troppo piccolo per ospitare un vernissage o visite che avrebbero potuto creare assembramenti In quel momento non avevamo immaginato che l’avremmo fatta davvero “all’esterno”! Abbiamo cominciato immaginando di collaborare con altre realtà del territorio, perché diventasse un progetto condiviso di Arte pubblica, impresa a cui abbiamo dovuto rinunciare perché non era conciliabile con le misure di sicurezza. Abbiamo discusso con Lucia Ceccato di Chiasso culture in movimento che, grazie alla sua esperienza, ci ha dato ottimi spunti e suggerimenti – e per questo la ringrazio. A questo punto era chiaro che avremmo lavorato con un artista in grado di guidarci e portarci alla realizzazione di qualcosa da offrire a un pubblico ampio. Mi sono rivolta all’amico e regista Olmo Cerri e mi è stato consigliato di coinvolgere Ricardo Torres – che si presenta da solo tramite l’intervista che potete leggere in queste pagine. Ricardo ha accolto la proposta con entusiasmo e via l’avventura è partita. E il progetto è nato sotto una buona stella perché tutto è andato come meglio non si poteva desiderare. Abbiamo ricevuto dal Festival internazionale di narrazione l’invito a esporre la mostra nei luoghi del Festival, quindi abbiamo trovato una vetrina splendida per le opere che avremmo realizzato. Una parte faticosa è stata la ricerca dei luoghi dove affiggere i nostri enormi collage con i relativi permessi, ma finalmente abbiamo incontrato una grande disponibilità sia da parte dei proprietari delle case private che dal Comune di Mendrisio per gli edifici pubblici. Il percorso di incontri con Ricardo e Natascia Bandecchi – con cui lui ci ha proposto di lavo-

rare, altro ottimo acquisto – è stato intenso, carico di emozioni e arricchente per tutti noi. Purtroppo Giulia, che aveva iniziato con noi, prima della fine del progetto si è ritirata per ragioni personali. Anche questa rinuncia è stata integrata nel percorso, elaborata anche tramite la decisione di intitolare la mostra con la sua frase, quella che sarebbe stata il titolo dell’opera di Giulia e che, guarda caso, racchiudeva benissimo tutto il senso della mostra. Gli ultimi preparativi – la stampa, i ritagli, l’affissione, l’organizzazione e il lancio - sono stati, come prevedibile, il periodo più intenso, intriso di momenti stressanti ma anche di una grande, enorme soddisfazione. Ogni volta che un’opera è stata affissa è stata un’emozione indescrivibile. E quei giorni di agosto ad Arzo, Meride e Tremona, accompagnati da tante altre persone che hanno semplicemente interagito o ci hanno dato una grande mano, e accompagnati dal bel tempo (una volta di più: grazie buona stella!) non li dimenticheremo facilmente. Poi è arrivato il giorno della presentazione, integrata nel momento di apertura del Festival in quel luogo magico che è il Roccolo di Meride: il coronamento dell’esperienza. Abbiamo dato spazio alla spontaneità di ognuno ed è stato molto bello, molto apprezzato da persone anche estranee da cui, ancora in seguito, abbiamo ricevuto squisiti complimenti. Io ho avuto l’impressione che abbiamo espresso la maturità che era il frutto di un percorso di crescita condiviso, e questa è stata una delle cose più belle e importanti di tutto il progetto. Ora la mostra dovrebbe essere al suo termine ma abbiamo deciso di prolungarla almeno fino alla primavera, perché nessuno vuole lasciarla, e parlo degli abitanti delle case che la ospitano, dei visitatori che ancora la frequentano, degli abitanti dei paesi che chiedono che rimanga. SIAMO felici di ogni piccola cosa.

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Fonte: L’informatore 6 agosto 2021

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Fonte: La Regione 2021

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Fonte: Corriere del Ticino

Giovedi

Giovedì 18 agosto 2021

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Fonte : Rsi 18 agosto 2021 Fonte : Ticinoonline

Fantasia tanta, Colori tanti e Focolare, di Manuela Cattola per la mostra

“Eravamo felici di ogni piccola cosa

A fornire una visione ancora differente sono stati i muri privati e pubblici dei luoghi del Festival, ad Arzo, a Meride e a Tremona. Proprio qui, sulle pareti esposte agli occhi di tutti, consapevoli o meno della cosa, è stata allestita la mostra “Eravamo felici di ogni piccola cosa”, organizzata dal Club Athena di Chiasso insieme all’Associazione REC, sotto la guida dell’artista visivo Ricardo Torres. Un percorso a collage sulla memoria di chi ha partecipato ai laboratori preliminari che accosta fotografie ed oggetti in un racconto multimediale

Guardare fuori dalla finestra, di Consuelo Rigamonti per la mostra

“Eravamo felici di ogni piccola cosa”

Fonte: Espoarte.net 23 agosto 2021

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GIARDINO RASAN

I nostri ricordi

C’è qualcosa a cui nessun essere umano è invulnerabile: questa è la morte. Quando giunge il nostro momento non esiste protezione che tenga perché siamo tutti esseri umani e quindi mortali. Davanti alla morte siamo tutti uguali, il ricco e il povero, l’uomo e la donna, il giovane e l’anziano. La morte non fa distinzioni di sorta: tutte le differenze culturali, linguistiche e religiose si azzerano. Oggi siamo tutti un po’ più vulnerabili, perché la morte ci ha colpito al cuore portandoci via il caro Rasan. Essa ha reso vulnerabile il gruppo intero, ogni singola persona e me stesso. Patrick

Rasan, sei stata una persona di cuore e gentile con tutti. Sei nel mio cuore. Ida

Rasan era una brava persona, ha fatto molto per gli altri. A me ad esempio non ha esitato ad offrire del denaro una volta che stavo facendo fatica. Io ho rifiutato d’impulso, ma non ho dimenticato il suo gesto, come non dimentico tutti i suoi sorrisi e le volte che mi ha detto che per lui ero come una figlia. Grazie Rasan. Ciao. Cecilia

Rasan era un uomo molto cordiale. Ci ho parlato più volte di musica e di cucina, tutti bei ricordi. Credo che gli faccia piacere l’orto con il suo nome. Mi manca, era di casa al CD. Andrea

Un grande abbraccio ad una persona umile che sapeva, con abilità e impegno, fecondare la terra e, mescolando con maestria acqua aria e fuoco, ne apprezzava le trasformazioni in splendidi fiori e frutti. Aleks

Rasan, anima gentile, ho voluto continuare il tuo lavoro nel giardino, per mantenere vivo il tuo dolce ricordo. Ines

Rasan era una presenza unica al Centro diurno: discreta, cordiale e… una certezza, perché sapevamo che almeno una volta al giorno sarebbe passato a controllare che il giardino stesse bene. Non dimenticherò il tuo sorriso e la tua disponibilità, me lo ricorderà ogni nuovo fiore che spunta nell’orto del nostro cortile. Ushi

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BENVENUTO DORIAN

Il miracolo della Vita di Patrick Adro

Martedì 29 giugno 2021 alle ore 9.31 è finalmente venuto al mondo il mio nipotino Dorian, un batuffoletto di tre chili e mezzo e lungo ben 51 cm. L’emozione è stata davvero parecchia, già dal giorno precedente quando mia sorella Samantha è entrata in ospedale. Dorian non aveva fretta di nascere, in quanto si trovava a suo agio nella pancia della mamma. Eravamo tutti noi impazienti di conoscerlo e poterlo abbracciare. La lieta novella io l’ho ricevuta mentre mi trovavo in macchina (come passeggero) durante un’uscita con i miei amici del Centro diurno e ho lanciato un urlo di gioia. Non capivo più niente da quante belle emozioni stessi vivendo. Le stesse belle emozioni che ho vissuto lo scorso mese di dicembre, proprio il giorno di Natale, quando mia sorella mi ha comunicato che sarei divenuto zio per la prima volta. Ricordo che quello è stato il giorno più bello della mia Vita, che stava acquisendo sempre più valore.

Il primo di tanti giorni stupendi: il secondo quando ho ricevuto la notizia della nascita di Dorian, il terzo quando l’ho tenuto fra le mie braccia per la prima volta, una volta arrivato a casa. E ce ne saranno certamente molti altri! Fra le quattro mura di casa mia mi è capitato spesso di piangere di gioia e, in questi mesi mi è successo diverse volte. Ero come una fontana, piangevo ininterrottamente, piangevo di felicità. Piangevo ogni qual volta ricevevo le foto dell’ecografia e piango tutt’ora quando lo posso vedere durante una videochiamata oppure ritratto in foto. Anche in questo preciso momento che sto scrivendo il mio cuore splende di gioia e continuerà sempre ad essere così. La Vita mi ha regalato questo dono, che custodirò per sempre dentro di me. Perché è di questo che si tratta, di un dono. Non a caso il suo nome, Dorian, che viene dalla lingua greca doron, significa appunto dono.

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GITE INTERCLUB FOREVER

Passano gli anni, tante difficoltà incontrate, non ricordo effettivamente qual è stata la mia prima gita fatta con un Centro diurno. Se non erro ho cominciato nel 2008 e allora facevo parte di quello di Locarno diretto dalla nostra Speaker Romina, ora lei ha issato le sue vele ed è partita con la sua barca. Io invece viaggio tra un centro e l’altro e ora faccio parte di quello di Athena. Ho lavorato anche per il Club 74 ai tempi di Valeria, Manolo, Ivo e così via. In questo periodo da lontani ma vicini il ritrovarsi con gli altri centri per me corrisponde a un ritrovo famigliare come quando tutti si incontrano sotto l’albero, nonni, zii e nipoti. Per me l’abete non è altro che il tetto di una casa di colonia dove rivedo gli amici/fratelli degli anni passati. Ma anche nuovi volti e nuovi membri di una famiglia fantastica come era l’ultima gita fatta a Splügen dal 1. al 5.agosto. Tre notti tra mantelline e mascherine, per noi annoiarsi è una parola che non esiste.

dI Manuela Cattola

Abbiamo visitato Flims e Coira, camminato da intrepidi, fatto il bagno alle terme di Andeer. Ma anche per le persone a cui piaceva stare più tranquille un bar con un caffè c’era sempre. La sera uscita per mangiare pizzoccheri o giocare a tombola con ricchi premi golosi. Credo che chi non ha vinto nulla siano due o tre persone: “io tra quelli” ma non importa, mi sono divertita tantissimo. Il regalo di un vasetto di miele di montagna a tutti mi ha reso un po’ orsetta Yogi. In queste gite ormai mi sento un po’ veterana ma vado fiera di farne parte. Per me, amante della montagna e soprattutto della vita in capanna, non c’è una vacanza più entusiasmante. Ammetto non sia facile dividere la stanza con altre persone, ma la mia esperienza da Scout mi ha aiutato tantissimo. Negli anni ho imparato la tolleranza, il rispetto e la collaborazione.

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UN’ESTATE AL MARE

La nostra vacanza di Cecilia N.

C’era mancata molto una vacanza al mare, dato che non ne abbiamo fatte per un anno. A differenza delle altre volte, non abbiamo usato i mezzi pubblici, ma ci siamo spostati con una macchina ed un furgone guidati da Ushi e Marina, che ci hanno accompagnato. Dopo un estenuante viaggio in autostrada durato oltre 5 ore a causa del forte traffico e durante il quale Ushi ha per un momento sbagliato strada, creando un momento di ilarità, siamo giunti finalmente a destinazione a Rivazzurra di Rimini. Si è trattato di una vacanza terapeutica, il cui scopo è stato quello di consolidare alcune dinamiche di gruppo al di fuori delle 4 mura del Centro diurno, come ad esempio la buona convivenza tra tutti i partecipanti, il rispetto degli orari e delle regole di comportamento. Era consuetudine, ogni sera, trovarsi sulla spiaggia a bere un aperitivo presso un bar all’aperto a pochi metri dal mare. Abbiamo fatto amicizia con una bravissima e simpaticissima barista che sapeva preparare dei formidabili cocktails alcolici e analcolici. Era un momento spensierato dopo aver passato il pomeriggio sdraiati a prendere il sole. Sulla spiaggia c’è chi ha fatto parecchie passeggiate e chi invece, quelli più pigri, hanno oziato tutto il tempo. Io avevo una cassa con cui mettevo musica per allietare tutto il gruppo. Tutte le sere, dopo cena, uscivamo per qualche oretta a fare una passeggiata, a visitare i negozi e a mangiare il gelato. Abbiamo acquistato delle cose molto carine come occhiali da sole molto bizzarri e incensi vari per profumare gli ambienti. Siamo stati in centro a Rimini e a Riccione. Nonostante ci fosse meno gente rispetto al resto della stagione, ci siamo divertiti ugualmente. Un pomeriggio in cui il tempo non era bello, abbiamo deciso di andare a visitare San Marino. Eravamo io, Patrick, Andrea, Sara ed Eduard con l’accompagnamento di Ushi, mentre Marina e il resto del gruppo sono rimasti in spiaggia. Sul posto ci siamo fatti anche una cultura sulla

storia di San Marino e abbiamo girato per il centro storico. Il giorno della partenza abbiamo deciso di andare a visitare il parco Mutonia, una comunità che vive grazie a delle opere costruite riciclando materiali di ogni tipo. Si tratta di punk che si sono trasferiti dall’Inghilterra durante gli anni della Thatcher, che non si trovavano bene nell’ambiente politico della loro nazione e che si sono sentiti accolti presso Santarcangelo di Romagna dove risiedono ora. Questi 4 giorni di vacanza sono stati molto rigeneranti e siamo grati alle operatrici, Ushi e Marina, che ci hanno accompagnato e sopportato.

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SEMINARIO A SESSA

Io e Patrick lo scorso fine settembre abbiamo partecipato a qualcosa di originale dove a me sono uscite nuove emozioni. Grazie a ProMente Sana abbiamo trascorso cinque giorni di autobiografia in movimento. Tutto partiva da un momento di risveglio usando tecniche di tai-chi per poi finire a fare delle danze e prendere coscienza del proprio corpo. Per poi finire anche a recitare improvvisando . Tutto questo per provare a raccontarsi in un altra forma. Federica e Maria Grazia anno ideato qualcosa di molto particolare. Anna Kiskanç, attrice teatrale, cantante e animatrice è stata molto brava a trasmettere queste arti anche alle persone più ignare sul tema di recitare o trasmettere solo con gesti e movimenti corporei. Tutto questo accompagnato da pranzi e cene meravigliosi e divertimento nei momenti di riposo dove siamo diventati un gruppo molto più unito.

Grazie Promente Sana
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di Manuela Cattola

IL FILM FESTIVAL DEI DIRITTI UMANI DI LUGANO

Come ogni anno, in autunno è venuto riproposto il FFDUL (Film Festival dei Diritti Umani di Lugano). Sono venuta a conoscenza di questo festival quando ancora andavo alla Scuola superiore per le professioni sociosanitarie: il nostro professore di geoeconomia decise di portarci a vedere un documentario presso il cinema Corso di Lugano, esso parlava dei danni che le associazioni umanitarie possono fare ai popoli che dicono di aiutare. Ricordo che ne rimasi molto stupita, perché nessun’altro mi aveva mai parlato di danneggiamento dell’economia in questo modo. Mi piacque la crudità del contenuto, che mi parlava in modo onesto e la evidente verità che stava divulgando. Così quest’anno me ne ricordai, e decisi di frequentarlo. Acquistai una tessera per 5 entrate, e passai il fine settimana a Lugano, dove passeggiavo in attesa di vedere la successiva proiezione. Parlai anche a Ushi di questo festival, certa che lo conoscesse bene anche lei - ormai ho imparato quali sono i suoi interessi - proponendole di andare a vedere qualche film con il CD. Purtroppo lei però la settimana che c’è stato il festival era sempre super impegnata, così non abbiamo potuto vederlo assieme. Mi è sembrata affranta di non poter visionare i documentari e film di denuncia sociale protagonisti del festival, così mi sono proposta di trascrivere in un articolo per raccontare quello che ho visto.

Il primo film, “Toto and his sisters” parla di una situazione familiare particolare in Romania. Il regista ci fa entrare nella quotidianità di tre fratelli, due sorelle di 16 e 19 anni e di un fratellino di 9 anni. Essi vivono in una situazione di disagio e povertà, legata anche alla droga, da parte della sorella più grande, che ne fa uso e la vende. Si vedono entrare i suoi amici in casa, che è sempre sporca e disordinata e dove non c’è neanche molto da mangiare (hanno un pentolino che mettono sopra dei tubi caldi per cuocere un uovo). La madre è in galera, e il padre li ha abbandonati da piccoli. Mi ha fatto molta tristezza vedere questo film, perché vedere questi giovani abbandonati a loro stessi non mi è parso giusto. Però mi ha fatto piacere che ha fatto anche vedere dei momenti di gioia, come la loro frequentazione di un corso di ballo, e una premiazione per le performance del bambino, per non parlare di quando la madre è uscita di galera e si è riunita coi bambini.

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di Cecilia N.

Il secondo film, “Light a candle”, parla del rapimento del Panchen Lama, un esponente del buddismo in Tibet, avvenuto da parte del governo cinese quando aveva 6 anni. Lo stato cinese l’ha sostituito con un altro Panchen Lama, in modo da avere il controllo sulla popolazione. Gli studenti per un Tibet libero, in modo da mandare un messaggio mondiale, cercano di battere il guinness world record del maggior numero di candeline su una torta, da qui il titolo del film. Onestamente, non mi ricordo come finisce il documentario, però mi sembra che qualcosa vada storto e non riescano a batterlo.

La terza entrata mi ha permesso di vedere 2 cortometraggi: il primo, “Mutha & the Dead Of HamMa Fuku, che parla di una donna che nel Sahara occidentale cerca mine antiuomo. Così da far passeggiare le persone liberamente su quel terreno. È evidentemente un lavoro molto pericoloso, ma lei non esita a farlo.

Il secondo corto parla di una ragazza che vive negli Stati Uniti e va alla ricerca delle sue originipartecipando a una maratona nel deserto del Sahara, con l’obiettivo di ricongiungersi a popolo Sahrawi. Giunta in Africa viene accolta calorosamente dal popolo di sua madre e ha modo anche di confrontarsi con loro, rispetto alla loro storia di guerra e occupazione occidentale.

Il quarto film, “Tantas almas” parla di Josè, un uomo colombiano che ha perduto due figli per via dei paramilitari, che gli hanno sparato e gettato i corpi nel fiume. Esso per le sue credenze religiose va alla ricerca delle due salme, in modo da dargli una giusta sepoltura. Quello che gli preme è che le loro anime non restino intrappolate in questo mondo, tormentate, ma che vadano in paradiso. Si vede lui che va alla ricerca dei figli, lungo il fiume, su una barchetta. Nel percorso incontra non pochi problemi, tra cui, mentre guarda dei cadaveri trovati, incontra dei paramilitari che lo minacciano di lasciar stare i morti, altrimenti avrebbe fatto la stessa fine. A un certo punto finisce anche sequestrato da una banda, da cui riesce a sfuggire grazie al fatto che stavano guardando una partita di calcio e la squadra a cui tenevano ha vinto. Il film ha un lieto fine, perché riesce a trovare le salme e a dargli una degna sepoltura.

Il quinto e ultimo film, “As I want”, parla di una protesta femminile a Il Cairo, Egitto, successa in seguito a una serie di aggressioni sessuali condotte da uomini nei confronti di donne durante la manifestazione per il secondo anniversario della primavera araba. Il documentario parla di come cambiare la società, in modo da evitare che altre donne vengano abusate in futuro. Nel fare ciò la protagonista mi è sembrata molto agguerrita e devo dire che spesso mi sono ritrovata nei loro sentimenti. Si vedevano delle scene dove lei e le sue colleghe si scervellavano su come risolvere il problema, giungendo alla conclusione che “Bisogna cambiare la società!!”

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GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE

Io ho un pensiero…

di Manuela Cattola

10 ottobre 2021

Io ho un pensiero da combattere: lo stigma e la vergogna di avere un problema considerato un disagio psichico.

L’altro giorno ho visto la mia decisione dell’AI: io ho ricevuto la mia rendita grazie ad un incidente sul lavoro, ma dopo 15 anni di “dentro e fuori” dalle cliniche psichiatriche, non mi è stata riconosciuta alcuna sofferenza psichica.

Ora sto abbastanza bene, ma combatto anche per gli altri e perché la psichiatria abbia il suo legittimo riconoscimento.

Manuela

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LE DIMENSIONI DELLA VULNERABILITA’

Le tre tazze: scenari di vulnerabilità

Questo progetto fotografico, realizzato grazie alla collaborazione tra i membri del Club Athena del Centro diurno di Chiasso, nasce dal desiderio di contribuire ad incentivare una riflessione collettiva sul tema della vulnerabilità. A partire da un percorso di riflessione condivisa attorno al concetto, che ha visto emergere diversi punti di vista e differenti sensibilità, si è cercato di costruire una rappresentazione comune sul tema. A questo scopo, la metafora della Bambola di Manciaux (1999) ci ha consentito di individuare e di integrare nella riflessione non solo su quegli aspetti riconducibili a fattori di vulnerabilità intrinsechi alla persona, ma anche sugli aspetti legati al contesto di vita e agli eventi fuori dalla portata del nostro controllo. La metafora illustra infatti come, facendo cadere una bambola, essa potrebbe danneggiarsi non solo in funzione del materiale da cui è costituita, ma anche del suolo su cui cade e dalla forza con la quale impatta.

Il concetto di vulnerabilità è stato trattato in quanto dimensione umana, come elemento che accomuna le persone e, in funzione di questo, può aprire al dialogo. Attraverso le immagini si spera di contribuire alla riflessione collettiva e a promuovere la co-costruzione di contesti di vita, di luoghi di cura e di reti di sostegno, che possano fungere da “terreno morbido”. Le tre fotografie fanno riferimento ad alcuni differenti scenari che parlano di vulnerabilità. A partire da sinistra (fig. 1 e 2), i primi due scatti raccontano infatti di un vissuto comune – la caduta di due tazze – che si differenziano per l’esito da esse riportato. Ciò, proprio in funzione dell’assenza (rispettivamente della presenza) di un suolo in grado di attutirne la forza dell’urto. La terza tazza raffigurata (fig. 3) è stata invece ricostruita con la tecnica giapponese del Kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”). Lo scatto racconta la storia di una tazza con alle spalle un vissuto di rottura, eppure nuovamente integra.

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Figura 1 Figura 2 Figura 3

TI AUGURO UN BUON NATALE

Siamo a metà ottobre e provo a scrivere qualcosa. Ultimamente mi muovo in una strana dimensione dove la mia mente spesso naviga in tempi diversi, ancora l’altro giorno mentre scrivevo la data avevo la sensazione che la puntina del mio giradischi interno ripeteva costantemente “siamo nel 2020”. Accipicchia! No, siamo nel 2021 e già in ottobre per giunta. Sarà stato questo periodo strano tra quarantene e restrizioni che ho perso il senso del tempo. L’altro giorno passando tra i bancali di un negozio di alimentari mi sono accorta che avevano messo i nuovi prodotti natalizi. Tra i primi panettoni e qualche renna e bocce colorate mi sono fatta la domanda “ma che data è oggi?” Qualcuno comincia già ad accennare la parola “regalo” e io perplessa accendo la mia agenda sul cellulare che mi conferma che il mese di ottobre è appena cominciato.

di Manuela Cattola

Io allora con una smorfia tra incredula e già infastidita mi dico “che noia è già di nuovo Natale”. Io qualche anno fa, anche se adulta credevo ancora nella poesia di questa festa oggi non più tanto. Tra illuminazioni, giardini che sembrano piste d’atterraggio per un Boeing 747 e babbi natale che invadono ogni singolo terrazzo… mi sembra più una gara di chi espone più in grande. Non parliamo dei regali, ricordo l’hanno scorso prima della chiusura per Covid dei negozi commerciali. Lunghe code per acquistare ogni ben di dio senza pensare che dovevamo forse mantenere le distanze. Tra icone religiose e pagane mi chiedo qual è il senso di questa festa. Nella mia mente emergono storie dei nostri nonni che per questa festa si imbarcavano sui bastimenti e senza telefoni e WhatsApp si presentavano alla famiglia per poter festeggiare con i propri cari. Ma qualcuno si perdeva tra una nuova vita e l’oceano senza far più ritorno.

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Immagino l’amarezza delle donne e bambini che non lo vedevano rientrare e nemmeno le sue ultime notizie. In famiglia si mandava avanti il tutto con numerosi figli e donne inchinati nelle faccende domestiche. Legna, stalla e procurarsi da mangiare per tutti. Chi lo sa che spesso madri disperate vendevano i propri figli ai imprenditori Milanesi per 4 centesimi e che questi figli morivano dentro i camini perché è li che lÍ facevano entrare. In fondo erano gli unici che riuscivano a passare e a pulire il tutto dalla fuliggine. Questa dovrebbe esser un momento di condivisione della famiglia ma spesso le persone si trovano da soli con strani regali che non capiscono se è uno schiaccianoci o uno sturalavandini. La festa religiosa insegna che una famiglia di immigranti senza soldi hanno avuto un bambino in una stalla perché per loro non c’era da nessun posto da nessuna parte.

Ma poi i pastori della zona erano venuti a saper e portarono a questa nuova famiglia doni dove i neo genitori potevano sfamarsi. Ma oggi tra affari commerciali, moda la mania di grandezza abbiamo perso il senso che la gioia più grande è passare con i propri cari. Io invece adoro passare con i miei gatti, il mio cane e i miei due coniglietti davanti al mio camino e farò un pensiero o una preghiera a Gesù che tutti possano passare un buon Natale e che questo Virus non renda ancora più soli e ancora più poveri di sentimenti mentre chi può permettersi mangerà banchetti e altri i soliti pasti di tutti i giorni magari con una fetta di panettone fabbricata ad agosto, esposto a settembre e comperato ancora prima di saper che dovremmo ancora ricordare anche i nostri defunti e forse provare a versare due lacrime false o vere e qualcuno oserà passare dai cimiteri dimenticati da un anno e scoprire che li in fondo siamo tutti uguali

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