Il Menestrello

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del Mendrisiotto .. N°2/2023 Via
Chiasso
Periodico del Centro diurno
Bossi 11, 6830
IL MENESTRELLO

Guerra e pace pag.3

La pace bianca pag.4

Perdono e guarigione pag.5

La nostra pace pag.6

Teatro uguale emozioni pag.7

Uniti nel teatro pag.8

Teatro, che emozione! pag.9

Emozioni in onda pag.12

Il Centro diurno pag.13

Mad Pride 2023 pag.14

Storie di vampiri pag.15

Alla RSI quasi per gioco pag.17

Io Capitano pag.18

Questione di numeri pag.

Tutto cambia pag.21 Perdere il controllo pag.23

Antropocentrismo pag.24

Due passi prima di Natale pag.25

La svolta pag.26

Dietro la maschera pag.10 ALTRI ARTICOLI Distacchi pag.11

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INDICE Editoriale pag.2 PACE E DINTORNI
TEATRO
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EDITORIALE

a cura del gruppo redazione

Fine dell’anno, tempo di bilanci. Nel trascorrere di questo mare ognun* passa attraverso le sue tempeste, ogni tanto, e ogni tanto, se va bene, anche attraverso qualche arcobaleno, che giunge sempre gradito quanto inaspettato.

La nave del Club Athena è appena passata dal porto della sua Assemblea ordinaria, a far rendere conto una volta in più al proprio equipaggio che le avventure, anche quest’anno, non sono mancate.

La nostra agenda 2023 ha poche pagine vuote e si è arricchita di incontri e opportunità che sono diventati importanti progetti.

Nella prima parte dell’anno siamo tornati a partecipare all’Atelier teatro organizzato dal Club ’74, come raccontano diverse persone, che hanno vissuto l’esperienza, in queste pagine. Il teatro è uno strumento potente che crea situazioni sorprendenti, indescrivibilmente intense e significative: situazioni che curano.

Ci auguriamo di proporvi, in un prossimo numero, un’intervista al regista Diego Willy Corna con cui si è instaurata una nuova e proficua collaborazione.

Un altro progetto molto importante per il Club Athena e il Centro diurno di Chiasso ci è stato proposto da Benedetto Norcia, che ha voluto condividere con noi la sua arte e la sua idea per Chiasso: delle tavole in mosaico, che riportano parole o brevi frasi di valore umano, in italiano e in una lingua straniera, e che verranno apposte sul suolo cittadino in maniera definitiva. Il progetto è sostenuto dal Comune di Chiasso e le installazioni verranno inaugurate nell’ambito del Festival ChiassoLetteraria il prossimo mese di maggio.

Alla realizzazione dei mosaici partecipano utenti del Centro diurno di Chiasso e degli altri enti coinvolti: il Progetto Macondo della Fondazione Il Gabbiano, Soccorso Operaio Svizzero-Sezione Ticino e il Servizio di prossimità di Ingrado.

Tutt* unit* nell’intento di dare concretezza al concetto di inclusione, della società tutta, con tutti i suoi cittadini e cittadine. Concetto che riteniamo particolarmente importante ribadire a Chiasso, città di frontiera, spesso attraversata da un flusso in costante movimento ma con un’anima fragile, con un senso di appartenenza minacciato da una narrazione che, in nome della sicurezza, tende troppo spesso a dividere la comunità in categorie più o meno pericolose.

Noi preferiamo adoperarci per sentirci e far sentire tutt* a casa sviluppando il senso di comunità, come fa ad esempio il neonato Centro di socializzazione

Calicantus inaugurato recentemente in Via Soldini.

Vi terremo aggiornati su questo e su altri progetti che incontreremo o promuoveremo in un 2024 che auguriamo a tutt*, voi e noi, solidale, incoraggiante ed evoluto in senso positivo

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GUERRA E PACE

Scrivo queste righe seduto nel salotto di casa, con appesa al muro una grande e colorata bandiera della pace. Già, la pace, qualcosa che pensiamo di sapere cosa sia, ma di cui in realtà il significato non conosciamo appieno. La guerra si, quella sappiamo cos’è: morte e distruzione! A parer mio la pace è un concetto un po’ più astratto rispetto alla guerra, che è qualcosa di più tangibile. Del resto le immagini dei combattimenti le stiamo vedendo anche noi, ogni giorno. A differenza della guerra che è facilmente rappresentabile, la pace rappresenta più un’ideale difficilmente raggiungibile, quantomeno in termini assoluti. Da che mondo è mondo l’uomo combatte e uccide per tutta una serie di motivi che, ad elencarli tutti, non basterebbe una vita intera. L’uomo è violento di natura, fin dalla sua comparsa sulla Terra, per difendersi da tutti i suoi aggressori. Ciò è innegabile, poiché altrimenti ne sarebbe andato della propria sopravvivenza. Dare un significato personale del termine pace è molto difficile anche perché è veramente personale e ognuno da’ la definizione che meglio crede. Per esempio, io userei il carrarmato per raffigurare la guerra, ma per la pace ci dovrei pensare più a lungo. Del resto, per natura o per abitudine, all’uomo risulta più facile pensare ad una cosa brutta che a una bella! Come spesso faccio quando non conosco il significato di un termine, anche in questa circostanza ho beneficiato dell’utilizzo di un dizionario, rimanendo particolarmente sorpreso da un paio di cose che desidero qui condividere. Pace è quella situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell'idea di interdipendenza nei rapporti internazionali, e caratterizzata, all'interno di uno stesso Stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale. Ecco che torna d’attualità la questione dei legami, che è stato tema di un vecchio numero del Menestrello. Torno quindi un passo indietro e vado a recuperare il significato di interdipendenza, che è la somma di

tutti i legami incrociati che esistono fra gli esseri umani. In pratica, l’interdipendenza positiva fa in modo che le persone siano consapevoli di essere dipendenti le une dalle altre, ma che vivono questa situazione come una ricchezza e non come un limite. La seconda sfaccettatura del termine pace è invece collegata ad un’altra parola che ci tocca molto: salute. Il dizionario che ho utilizzato, spiega come la pace sia assenza, anche solo momentanea, di malattia e di dolore fisico o morale. Al contrario la pace è quel preciso momento di quiete, di tranquillità e serenità spirituale. Questa ultima circostanza in ordine di tempo, la guerra, ma pure la situazione pandemica legata al Covid tutt’altro che finita, mi stanno condizionando molto a livello emotivo. Non sono in pace, quindi non sto bene come vorrei. Quello che penso di questa situazione è che ogni guerra sia sbagliata a prescindere, soprattutto quando ci vanno di mezzo persone innocenti. Mi chiedo pure una cosa, a cui faccio fatica a rispondere con tutta onestà. La domanda è la seguente: cosa penso della guerra, vista non dal punto di vista dell’aggressore, ma da quella della vittima che la subisce? Una seconda domanda a cascata è la seguente: chi viene aggredito deve arrendersi, oppure difendersi arrivando a sua volta ad uccidere, costi quel che costi? Morte tua vita mia, dice un noto proverbio, ma è giusto sia così? Se torniamo indietro nel tempo, agli albori della vita, quando l’uomo è comparso sulla terra, esso ha dovuto difendersi da tutti i suoi aggressori, proprio come ho affermato anche io poco fa. Quel che è certo è che l’uomo è un essere propriamente opportunista!

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LA PACE BIANCA

La pace spesso è bianca, una colomba che vola in cielo e porta con sé un messaggio, puro e di speranza. Ma, senza pensare a colombe bianche, la pace cosa può essere? Come la trovi? Per me la pace è musica, melodia, voce, note. E la posso trovare un po’ ovunque, basta avere un paio di cuffie e qualche gingillo tecnologico su cui schiacciare play. Che genere di musica? Dipende...dipende da come mi sento, dipende da che tipo di pace voglio. Se voglio quella pace dei sensi, perché ho voglia di rilassare la mente e fermare i pensieri metto i Pink Floyd Shine on your crazy diamond.

di Loreda (allieva infermiera)

Se voglio pace prima della tempesta o della battaglia allora metto gli Skald Valhalla Calling me, e la pace che arriva è quella che ti da’ la grinta per combattere e non arrenderti. Se voglio pura, bianca e semplice pace, per forza dovrò mettere Billy Joel Vienna. Il suo pianoforte calma il mio battito e la sua voce mi riempie di pace. Pace può essere tanto o poco, tutto o niente, può essere calma o intensa.. Pace per me è quella sensazione di galleggiare come se fossi in mezzo al mare. Se la cerchi puoi trovarla ovunque e, a volte, basta semplicemente schiacciare play.

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PERDONO E GUARIGIONE

Durante uno dei tanti gruppi di parola a cui partecipo, abbiamo discusso di un tema molto interessante ma assai complesso: il perdono. In quella circostanza ci siamo chiesti se l’uomo fosse in grado di perdonare. Durante il mio intervento ho affermato che il perdono è un qualcosa che l’essere umano, a parte poche eccezioni, non è in grado di attuare. Ritengo infatti che il perdono sia qualcosa di un livello superiore, quasi divino e che non compete a noi individui. Chi siamo noi per perdonare, ma soprattutto chi siamo noi per giudicare se una persona è meritevole di perdono oppure no? Ricordo che questa tematica l’ho affrontata più volte durante le mie sedute terapeutiche con i professionisti della mia rete e che altrettante volte mi è stato detto di lasciar da parte questa parola. Piuttosto che pensare al perdono, ritengo più utile il concetto di “lasciar andare”, che è qualcosa più alla nostra portata. Se il perdono può essere considerato come una meta difficilmente accessibile, il “lasciar andare” è un percorso di crescita personale e consapevolezza con tutti i significati del caso. In primis, vivere il momento presente, lasciando il passato alle spalle, ma senza neppure fiondarsi troppo avanti generando ansia.

Un altro aspetto è quello del non giudizio, verso il prossimo e verso noi stessi. Siamo in grado di accettare i limiti e le difficoltà altrui? E allo stesso modo, siamo in grado di accettare e non giudicare le nostre difficoltà, quantomeno di non farlo troppo severamente? Non ci dobbiamo perdonare nulla, io personalmente non ho nulla da farmi perdonare, ma ho tanto, tantissimo da lasciar andare, che non mi permette di vivere in maniera serena. Dipende quindi da me, da noi stessi e non dagli altri questo processo di consapevolezza, che va di pari passo con quello di guarigione. Cosa lega il percorso di guarigione, o sarebbe meglio dire la salute, al perdono? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1998 definiva la salute come uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale ma anche spirituale. In fin dei conti anche la spiritualità ha la sua importanza nel proprio percorso di crescita, a prescindere da ciò che ognuno crede. Sempre L’OMS, ma nel 2011, definisce la salute come capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive. Questa capacità ad adattarsi è quello che affermavo io prima, ossia lasciar andare per non fossilizzarci in qualcosa che ci ancora al terreno.

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LA NOSTRA PACE

Il mio soldato alla Robin Hood mi ricorda tanto l’Arcangelo Gabriele, rappresentata spesso con una spada tesa. Combattere per i propri ideali non è facile, sia che siano per un buon fine o per altro. Il mio soldato combatte per la mia pace interiore, fatta di ansie e paure, ai tempi anche di attacchi di panico. Spesso facevo un gran uso di medicamenti, ora provo a combattere usando tutto quello che mi fa bene, come pitturare, passeggiare e stare nella natura. Io dico che devo esser un soldato con la spada tratta per trovare la mia pace interiore. Penso anche di essere una piccola combattente anche per aiutare gli altri

(Manuela)

La pace è una concetto su cui hanno riflettuto in tanti durante il corso dei secoli. D’altronde è qualcosa che ha sempre fatto parte della natura umana, così come la guerra. Personalmente credo che dal momento che esistono un mondo con luci e ombre, giorno e notte, bene e male, questo non possa non riversarsi sui suoi esseri.

(Cecilia)

Io sto passando un periodo di depressione. Per me la pace è quando ascolto la musica o guardo le fotografie delle persone di cui mi sono innamorata e che mi piacciono. Più che altro le ragazze, dato che sono omosessuale e sono fiera di esserlo. A volte quando sono triste guardo le foto rimanendo di incanto. La pace assoluta è quando sono a letto e dormo senza sentire niente e soprattutto quando sono al mare sono in pace con me stessa. La stessa cosa al bar quando mangio un gelato

(autrice anonima)

a cura del gruppo scrittura

Pace per me è quando le persone son felici e quando vivono e si godono la vita. Quando capiscono che la vita non è solo lavoro, famiglia e responsabilità. La pace è capacità di godersi il momento presente. Vorrei che nel mondo non ci fossero guerre, politica, fame e malattie. Vorrei che le persone raggiungessero un diverso livello di sviluppo e che potessero superare il loro pensiero, che porta ad una vita vuota.

(A.K.)

Luigi è sulla spiaggia seduto sulla sdraio. E 'sera e tutti dormono. I suoi 3 figli e la moglie sono sdraiati sulla sabbia, sopra a degli asciugamani. Più in là il furgone aperto dove dormono russando rumorosamente e sereni. Luigi è contento. La famiglia è li’ e stanno tutti bene. Si sono divertiti e hanno scelto di accamparsi lì. Luigi si sente in pace. Si dice che quel momento della sua vita vuole ricordarselo per sempre. Nella sua semplicità egli vede all’orizzonte delle barche muoversi lente. Il rumore delle onde gli da’ tranquillità. Vede le stelle e, mentre tutti dormono, lui si sente soddisfatto. Luigi vuole essere un soldato di pace, rivivere quelle sensazioni ogni volta che può.

(Marco)

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TEATRO UGUALE EMOZIONI

Il teatro senza emozioni è come un minestrone senza sale. Questo per dire ciò che conta. Diego, il nostro bravo regista, ce l’ha fatto capire fin dal primo giorno. Il nostro scopo principale non era essere dei bravi attori, bensì essere noi stessi e far trasparire il nostro lato emotivo. Un altro scopo era quello di far emozionare gli spettatori presenti allo stesso modo. Con il racconto dei nostri mondi è successo , con piena soddisfazione di tutti noi protagonisti e degli spettatori in sala. Le emozioni non sono qualcosa che concerneva lo spettacolo in sé, ma tutto il processo creativo a partire dall’atelier di teatro ogni martedì mattina. E poi l’avvicinamento alla data dello spettacolo con le ulteriori prove. Lo stesso giorno in cui era fissato lo spettacolo ci sono state le prove generali e poi la trepidante attesa dell’andare in scena. E, infine il momento degli applausi, meritati in pieno.

L’apice è stato lo spettacolo, che era un momento da vivere nel migliore dei modi possibili.

Così è stato per tutti, così è stato per me. La voglia di fare teatro da parte mia era tantissima, altrettanto l’impegno e la dedizione che ci ho messo. Volevo salire su un palco e l’ho fatto, ci sono riuscito. Desideravo parlare davanti a tanta gente e ce l’ho fatta. Soprattutto volevo emozionarmi e fare emozionare gli altri. Un successo, oltre le mie più rosee aspettative. Inoltre mi sono anche molto emozionato nel vedere e nel sentire la storia degli altri, le loro emozioni che sono diventate un po’ anche le mie. Anche qui sento di ringraziare Diego, che ci ha spiegato quanto sia importante stare ad osservare la rappresentazione dei compagni di avventura, sia nelle prove che ovviamente durante lo spettacolo. Il mondo non gira solo attorno a noi stessi: noi abbiamo il nostro momento, ma è più che giusto dare valore al lavoro di tutti. Come ho vissuto l’attesa? Beh, con un po’ di legittima ansia, ma pure con tanta serenità, dato che sapevo che sarebbe andata bene. E come dice una citazione di Giacomo Leopardi: l’attesa del piacere è essa stessa piacere. Così è stato!

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UNITI NEL TEATRO

Da gli anni ‘80 fino alla sua conclusione, nel 2000, ho partecipato all’Atelier Mimo, l’Atelier di teatro creato da Ettore Pellandini al Club ‘74. Mi ricordo la parte dei vecchietti che era faticosa perché non era facile stare piegata e fare finta di tremare. Abbiamo imitato anche il mare con la rete, la battona, e ne abbiamo fatte così tante che non riesco a ricordarle tutte. Per me è stata una cosa bella, mi è piaciuto tutto quello che ho fatto. Mi piaceva perché era una bella compagnia; c’era anche Learco che è stato il mio compagno per 9 anni, finché è morto. Ettore era bravo ma gridava, per me è stato come un padre. Siamo andati in giro con lo spettacolo: ricordo le rappresentazioni a Milano e a Basilea. Non avevo più fatto teatro fino al 2019 quando insieme ad Ushi abbiamo partecipato al gruppo condotto da Antonello Cecchinato e Prisca Mornaghini. Ho cantato e ballato il Tango. Quest'anno abbiamo lavorato con Diego Willi Corna che mi piace perché è gentile , non grida, è molto carino. Lo spettacolo mi è piaciuto perché ognuno fa la sua parte, ma siamo uniti. Uniti nel teatro!

di Ida

Siamo andati in scena il 3 di giugno scorso nel Teatro di Casvegno con un enorme successo. Dopo l’estate abbiamo ripreso le prove e il 7 ottobre eravamo a Losanna per portare lo spettacolo all’interno della manifestazione del Mad Pride. E’ stato un fine settimana intenso ma entusiasmante. Poi, a fine ottobre stavamo facendo le prove per un’ultima rappresentazione come parte del programma del Convegno OSC “In dialogo con la follia” e PATAPUM! Sono caduta rompendomi la spalla! Sono finita in ambulanza all’ospedale di Mendrisio, poi trasferita all’Ospedale Italiano di Lugano dove dovevano operarmi… ma mi sono risvegliata in cure intense all’Ospedale Civico, perché avevo avuto uno spasmo polmonare. Dopo 3 settimane sono stata infine operata e dopo tre giorni sono rientrata a casa dai miei uccellini che mi hanno fatto festa! Sto bene, solo dolori leggeri, ho subito un piccolo trauma che sto cercando di superare. Guardiamo avanti e che Dio ce la mandi buona!

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TEATRO, CHE EMOZIONE!

Ho fatto teatro per la prima volta. Ho rotto la paura di parlare al pubblico, ho vinto la paura di non sapere gestire l’emozione che il teatro porta. Molte emozioni. Gli abbracci di fine spettacolo, la mano data per fare le scene, il nostro hip hop. Stupende emozioni. Emozioni. Fare teatro non è solo improvvisare sul palco ma c’è tutto un lavoro dietro, c’è collaborazione della squadra, del nostro meraviglioso gruppo. Devi avere forza fisica, pazienza, concentrazione, saperti mettere in empatia con l’ altro. Con l’altro. Fare teatro è sentire tutte le emozioni che hai dentro ed esprimerle. Fuori. Eravamo un bellissimo gruppo. Si è riso, pianto, incoraggiato ma tutti insieme. Uniti.

Sentivamo un’energia da squadra, da team, come dice la nostra Ushi un’energia magica. Sì quella magica energia pulita difficile da spiegare ma che vale la pena provare perché ti fa venire i brividi, il sudore, il respiro che accelera e boom: energia pura, magica. Ho chiesto alla nostra Carla cosa ne pensa del nostro teatro: “Non pensavo che con solo la volontà e la poca esperienza potesse venire un capolavoro così”. Dallo spettacolo si percepiva grande energia. C’è chi si è commosso, c’è chi si è divertito, chi ha riso. E sì il teatro è anche questo un insieme di emozioni, ed è proprio vero che l’unione fa la forza. Un insieme di gruppo.

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CHI E’ DIETRO LA MASCHERA

Era un giovedì qualunque, mentre sfoglio il mio classico quotidiano mi scappa l’occhio su un annuncio: questo sabato sera ci sarebbe stato un teatro che mi poteva interessare. Alla fine ordino il biglietto e vado allo spettacolo. Come previsto arrivo sulle poltroncine rosse. Da quello che dice la locandina dovrebbe essere una commedia, cioè dovrebbe far ridere. Guardo il cast, tra gli attori c’è un mio amico di vecchia data del tempo delle scuole. Per lui recitare è un vero proprio hobby che prende seriamente, fin dai teatrini scolastici dove ero obbligata anch’io a partecipare, ma al contrario di lui non era una mia virtù. Ecco, il sipario si apre e comincia la prima scena, io comincio a ridere a più non posso come tutte le altre persone sedute in sala. Dopo circa un’ora e mezza e due atti finisce il tutto: caspita, tutti molto bravi. Tutti lasciano il loro posto, io invece cerco di aspettare Claudio, l’attore cresciuto a scuola con me. Dopo un po’ lo intravvedo e gli vado incontro. Lui mi accoglie stringendomi la mano e poi un abbraccio forte forte da buoni vecchi amici. Dopodiché mi dice di aspettarlo nella pizzeria accanto al teatro per offrirmi la cena, ma prima ha il dovere di togliersi il trucco e darsi una sistemata. Dopo circa una mezz’ora mi raggiunge e si siede al tavolo, mentre ordiniamo la cena si comincia a parlare un po’ del più e del meno. In fondo sono anni che non ci vedevamo, io gli faccio i complimenti… “sei davvero bravo”, ma mentre lo elogiavo a lui scende una lacrima. Rimango di gesso e gli chiedo come mai di quelle lacrime, in fondo grazie a lui tutti hanno riso. Con voce un po’ soffocata mi confida che nella suo vita privata non gli va molto bene

Mi dice che aveva una relazione con una persona conosciuta un po’ di anni fa ma che lei lo aveva lasciato per un altro uomo e che nel frattempo sua madre era spirata. Mi spiegò che aveva più volte invitato la sua amica a vedere le sue esibizioni ma

che non si era mai presentata. Dopo tutte queste parole tristi ho cercato di mettermi al suo posto, ma confesso che non sarei mai riuscita a far ridere soffrendo di solitudine. Ma come esperto del settore mi dice che ci vuole un po’ di pratica e tutto funziona, poi il trucco sul viso lo nasconde dietro a una maschera. La sua più grande consolazione è rallegrare tutti. Mi confessa però che la parte più difficile sono gli applausi finali, a lui non servono mille complimenti ma un solo bravo, quel bravo che dovrebbe venire da quella poltrona vuota. Io, da persona inconsapevole di quello che succede a riflettori spenti, dopo aver riso tantissimo mi sono trovata con un nodo alla gola. Ma poi lui mi guarda e prova a farmi un sorriso… In fondo quella sera gli è arrivato un applauso da una vecchia amica che non si aspettava di avere tra il pubblico e mi promette di dimenticare la sua vita passata e pensare che tante persone, amici, saranno lì davanti al palco per incoraggiarlo e sostenerlo anche moralmente con un “in Bocca al Lupo!”

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DISTACCHI

Quest’anno ci hanno salutato alcuni operatori del Servizio. Lo psicologo Marco, le due allieve infermiere Natalia e Loreda e la Dr.ssa Rainoldi hanno terminato il loro percorso insieme a noi. L’occasione era buona per parlare del distacco in maniera serena e vivere questo momento nel migliore dei modi. Non come un abbandono, non come la morte e nemmeno come una separazione traumatica, ma come un evento del tutto normale. Le persone vanno e vengono, le relazioni e soprattutto le emozioni restano per sempre. Ognuno intraprende la propria strada, ci si lascia e magari ci si ritrova, cresciuti a livello umano. A me è successo più volte lungo il mio percorso e continuerà a succedere, ma non ci si abituerà mai quando tieni tanto ai legami come faccio io. Ogni volta che parte qualche persona che ha significato qualcosa per me, io sono triste. La tristezza è un’emozione, non è giusta né sbagliata, ma è semplicemente umana e quindi del tutto normale. Se però alla tristezza si affianca un’altra emozione come la gratitudine verso questa persona, allora tutto risulta più semplice. Per questo motivo sento di essere grato a Marco, a Loreda, a Natalia e alla Dr.ssa Rainoldi, ma in realtà a tutte le persone che ho incontrato fin qui e che mi hanno arricchito. Io penso di aver arricchito anche loro e questo mi rende fiero e continuerò a comportarmi nella stessa maniera anche con chi verrà dopo di loro, accogliendoli al Centro diurno ma anche nella mia vita. Se ripenso alla strada percorsa fin qui ho incontrato tante persone, con alcune di loro mi son perso di vista, ma poi le ho incontrate in un'altra fase della vita di ciascuno. Succederà di nuovo, ne sono certo e ogni volta sarà meraviglioso incontrarsi, come la prima volta. Un modo per mantenere un legame emotivo con queste persone è quello di ricordare i bei momenti vissuti insieme. Con Marco siamo andati a visitare Roma, ma io lo ricordo pure per il gruppo scrittura che in vari frangenti mi è stato

utile. Se ho imparato a scrivere con un po’ più di creatività lo devo anche a lui che ha stimolato questa virtù, in me ma in realtà in tutto il gruppo. Di Natalia serbo un particolare aneddoto che porto nel cuore: il primo giorno che l’ho incontrata negli spazi del Centro diurno abbiamo chiacchierato un po’. Mi ha chiesto se le potessi dare un consiglio per il suo stage. Io le ho semplicemente detto di essere sé stessa e, nel concreto, di parlare con i suoi interlocutori e di stare ad ascoltare la loro storia, ciò che essi vogliono dire anche quando non lo esprimono con chiarezza. Di Loreda ho apprezzato le sue competenze e la sua professionalità: come ho affermato anche in passato io considero gli allievi/allieve in stage dei veri e propri operatori/operatrici. Della Dr.ssa Rainoldi ho apprezzato la grandissima gentilezza e l’enorme disponibilità che ha avuto nei confronti di tutti, del gruppo intero. Oltre che naturalmente, per l’attività che ha proposto al Centro diurno, un gruppo parola con l’utilizzo delle immagini che a me ha fatto ricordare il periodo in cui ero ricoverato in Clinica. Di tutti e quattro ho apprezzato infine il fatto che sono sempre stati presenti e disponibili al Centro diurno, nelle loro attività, ma anche solo per scambiare quattro chiacchere e sempre con il sorriso. Cari Marco, Loreda, Natalia e Federica andate dove vi porta il cuore e che possiate aiutare tante altre persone come avete fatto con noi.

A presto!

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EMOZIONI IN ONDA

La giornata di Ferragosto del 2023 me la ricorderò per un bel pezzo, facendo tesoro dell’esperienza che ho vissuto. Ho avuto la bellissima opportunità di parlare alla radio in diretta. Non la primissima volta che parlo alla radio, ma la prima volta in cui partecipo ad una trasmissione live. La radio in questione era la Rete 1, la trasmissione era Millevoci e la speaker radiofonica era la bravissima Natascia Bandecchi, che ho avuto modo di conoscere durante il progetto di arte pubblica di 2 anni fa. Lei aveva curato la parte audio delle nostre opere dopo averci intervistato. La tematica odierna era il teatro e l’esperienza teatrale che abbiamo vissuto giusto poco tempo fa, portando anche in scena il nostro spettacolo. Le domande che mi sono state rivolte erano però riguardanti il Club Athena: chi siamo, cosa facciamo e perché lo facciamo. Domande a cui io sono abituato a rispondere e lo faccio molto bene, ma oggi qualcosa non è andato per il verso giusto, o forse, tutto è andato come meglio non poteva. Faccio una doverosa premessa: non ho grande esperienza come speaker radiofonico, per ciò che riguarda la parte che sta attorno alla trasmissione. Nel concreto esiste una scaletta ed esistono dei tempi in cui si può parlare e altri destinati per esempio agli intermezzi musicali. Mi è stato chiesto di non dilungarmi troppo nei miei discorsi, perché dovete sapere che quando inizio a parlare di qualcosa non mi fermo più. Questo paletto mi ha scombussolato un po’ la vita, nel senso che ho provato a riassumere ciò che dovevo dire mettendo in forma cartacea i punti che dovevo trattare. Così facendo ho perso la spontaneità che mi ha sempre contraddistinto in tutte quelle circostanze, anche recenti, in cui mi è capitato di raccontarmi e raccontare il mio mondo. Anche l’esperienza di teatro, la prima volta che salivo su un palco, è stata bellissima perché genuina. Oggi in radio mi sono sentito in difficoltà perché ero più concentrato sul fatto di non sforare i tempi, che

per ciò che dovevo dire. Considerate poi il fatto che si trattava di una trasmissione in diretta: qui non si fa il classico “taglia e incolla” che esiste per le trasmissioni che vengono registrate e mandate in onda in un secondo momento. Sul più bello mi sono inceppato e non riuscivo più a dire nulla, salvo poi scusarmi per essermi interrotto. In realtà non mi dovevo scusare di nulla e con nessuno, perché succede a tutti di perdere le parole, salvo poi ritrovarle in un secondo momento come poi è successo. A inizio trasmissione mi sentivo veramente ansioso per la tempistica, tanto da dire a chi mi accompagnava di farmi segno se andavo troppo per le lunghe. Poi è subentrata la frustrazione per non essere stato in grado di dire ciò che volevo. Poi ho detto, fra me e me: Vaffanculo, questo sono io! Ho avuto la grandissima opportunità di sdoganare le mie imperfezioni, perché non sono un automa ma un essere umano. Essere emozionati è la cosa più bella del mondo perché ci rende vivi e non è per nulla un limite ma una forza. Per questo dico che meglio non poteva andare, perché è uscita la mia parte emotiva quella che si è vista anche a teatro. Dopo avere preso consapevolezza di ciò e chiuso il mio libretto degli appunti, il resto della trasmissione è proceduta in maniera fluida, perché fluide erano le parole che uscivano dalla mia bocca. La frustrazione iniziale, accompagnata anche da alcune lacrime, ha lasciato il posto alla contentezza per un’esperienza che voglio al più presto ripetere, cercando di essere me stesso al cento per cento.

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IL CENTRO DIURNO

Il Centro diurno è un punto d’accoglienza, di svago, d’incontro dove ci si ferma in qualche modo volentieri. Non è solo un centro di ritrovo per “matti”, maledetti pregiudizi, ma è un centro di ritrovo dove ti aiutano a solidificare le ali ahimè fragili. A volte. Ma non è appunto solo un punto di ritrovo ma anche di decollo, quando sei pronto come ogni pilota nella pista di atterraggio, non è solo un punto di arrivo ma anche di sosta e di decollo. Ma solo quando le ali sono pronte a mettersi in volo.

MAD PRIDE 2023

Di venerdì presto ritrovo presso la Clinica per prendere il torpedone che ci porterà a Losanna.

Un programma pieno, dalla esibizione dell’ Atelier teatro, al Museo di Art Brut, al corteo Madpride.

Una città di sua natura molto viva e molto eterogenea e interculturale. Tre giorni di una agenda pienissima senza calcolare la trasferta. Sono felice di aver portato un mio contributo, quest’anno come l’anno prima a Berna, perché il folle, il matto, come sinonimo di disturbo mentale non esiste, ma esistono solo anime che camminano su trampoli o fili per dare un senso alla loro vita.

STORIE DI VAMPIRI

Ad agosto il Centro diurno di Chiasso è andato in trasferta, come oramai consuetudine, al Festival internazionale del film di Locarno per guardare una proiezione il cui titolo era Mimì - Il Principe delle tenebre. La trama raccontava la relazione tra Mimi, un giovane pizzaiolo napoletano con una deformazione ai piedi e Renata, alias Carmilla, un’ancor più giovane ragazza, sofferente di un disagio psichico e che si considerava una vampira discendente del Conte Dracula. Sebbene fossimo al corrente della possibilità di contenuti e scene che avrebbero potuto colpire la sensibilità dello spettatore, non mi aspettavo che si arrivasse a tanto. In realtà non è che mi sia impressionato più di tanto ma altre persone sì, soprattutto per scene cruente e di violenza perpetrata e con lo scorrimento di molto sangue. Ovviamente, dopo la visione del film, il tema della serata era quello della condivisione all’interno del gruppo. Io ho poi anche fatto, tra me e me, alcune considerazioni. Intanto il film non lo considero un genere horror, sebbene ci siano delle scene che potrebbero far pensare a questa categoria, come ad esempio quelle splatter legate allo schizzare del sangue che tanto han fatto parlare. I film horror sono caratterizzati da personaggio di fantasia e ambientati in situazioni non reali, al di là delle scene macabre che ci possono essere.

Questo film rappresentava la realtà più cruda di situazioni vere portate all’estremo, che noi non possiamo fingere non esistano o che non facciano parte del nostro vissuto quotidiano. Io ho cercato di andare al di là di queste scene cruente, cercando il maggior numero possibile di stimoli. Per esempio, tanto per citare episodi di cronaca che non fan più notizia, uno di cui è stata data notizia pochi giorni dopo. Nella vicina Penisola, in Trentino Alto Adige una ragazza di 21 anni è stata massacrata e uccisa a coltellate dall’ex fidanzato che lei voleva lasciare. Non una coltellata che per sbaglio ha ucciso la donna, ma tante coltellate. Io ho provato ad immaginare la scena e compararla con una di quelle del film, con un bagno di sangue per terra. Tornando al film ho notato più che bene lo stigma che contraddistingueva entrambi i personaggi in quello che era il loro tessuto sociale. Mimì era un “povero” ragazzo cresciuto in orfanotrofio con questa malformazione ai piedi che teneva nascosta e Carmilla una ragazza scappata di casa finita in un giro di prostituzione minorile e considerata una “tossica” e una “poco di buono”. Oltre ad avere quel disagio psichico che le faceva affermare di discendere dal Conte Dracula e di essere lei stessa una vampira. Un’altra cosa che ho colto bene nel film è la possibilità di ammalarsi, ma allo stesso tempo di iniziare a guarire se ci si cura.

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A causa di diversi motivi Mimì ha cominciato a sviluppare un proprio disagio psichico, lo stesso di cui soffriva Carmilla e lei stessa, dopo aver accettato aiuto, ha ripreso a tenere a bada i propri pensieri nocivi. E qui è partito un pensiero, che è ciò che è pure successo a me in prima persona: può accadere a ciascuno di noi nel corso della propria vita di ammalarsi di un disagio psichico e senza che ce se ne renda conto o se ne capisca il motivo, almeno inizialmente. Ma veniamo ai vampiri, che esistono. Eccome se esistono, ma non quelle creature immaginarie e sovrannaturali appartenenti ai film horror, di diverso tipo ma con una caratteristica in comune, ossia quella di nutrirsi dei propri simili. Mi riferisco a noi esseri umani in carne ed ossa che, metaforicamente parlando, ci nutriamo dei nostri simili e lo facciamo in tanti modi. In gioco entrano concetti a me cari quali le relazioni sociali e le emozioni, di cui questi pseudo vampiri si cibano. Persone che fanno del male ad altre persone, arrivando a rubar loro la dignità, come successo nel film e come succede nella realtà del nostro mondo spesso malato. O perfino portar via la Vita alle persone, come sempre più spesso accade. Poi, ci sono i vampiri subdoli e manipolatori, quelli che succhiano la linfa vitale delle persone, quelli che prosciugano le energie fisiche e mentali di coloro che hanno a che fare con questi mostri. Quelli che fan credere ciò che non è, o quelli che avvelenano il sangue rendendolo amaro. Si chiama rancore! Se guardo al film, la relazione fra Mimì e Carmilla non era a mio avviso propriamente funzionale e l’amore fra i due, durante la prima parte del film, non era sincero. Sempre a parer mio, Carmilla ha messo in atto una sorta di manipolazione psicologica nei confronti di Mimì, che ha avuto successo, dal momento che lo stesso Mimì ha voluto diventare un vampiro come lei.

Nella seconda parte invece si è notato l’amore malato, ossessivo e non corrisposto di Mimì nei confronti di Carmilla, nel frattempo tornata ad essere Renata, che aveva iniziato a curarsi. In Mimi ha iniziato a prendere il sopravvento quel rancore nei confronti del mondo circostante, che lo ha portato a uccidere tutti quelli che egli riteneva un ostacolo nella relazione con la ragazza, compresa la stessa Carmilla e i genitori di lei. Farsi il sangue amaro, ossia provare rancore, è come se un vampiro ci mordesse al collo, facendoci diventare dei vampiri noi stessi. In effetti è proprio così, perché il passaggio da vittima a vampiro è questione di un attimo e, spesso, non ce ne rendiamo conto proprio come successo a Mimì. Ognuno di noi può proteggersi da questi presunti vampiri, mettendo dei paletti (di frassino) a queste relazioni tossiche, creando distanza da quelle persone che portano negatività. Volersi bene è il punto di partenza per stare bene e per mettere le basi per una sana relazione con il prossimo, poi il rispetto nei confronti degli altri è fondamentale. A tal proposito, termino il mio scritto con un’ultima considerazione personale, che esula dal film che abbiamo visto e che riguarda il disagio psichico in generale. Non mi è stato detto, ma l’ho capito fin da subito, che un disagio psichico, qualunque esso sia, non può e non deve essere una giustificazione per fare male o per mancare di rispetto ad un'altra persona. Allo stesso modo il disagio psichico non può e non deve essere un motivo perché una persona manchi di rispetto a noi stessi, ledendo la nostra dignità. E non da ultimo, un disagio psichico non può e non deve essere un motivo per cui noi ci facciamo a nostra volta del male. Ciascuno di noi si assuma le proprie responsabilità!

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ALLA RSI QUASI PER GIOCO

Era il 31 ottobre, tanti a festeggiar Halloween, io invece mi trovo presso gli studi televisivi a registrare una partita di “Attenti a quei due”. Mi ero iscritta pensando di fare un qualcosa di diverso e di darmi un po’ di slancio. Non è facile stare davanti a una telecamera, ma il conduttore Luca Mora mi ha subito messo a mio agio: ti accompagna in un modo tranquillo e quasi ti dimentichi che sei sotto ai riflettori. Non è la prima volta, a me piacciono molto i quiz televisivi.

A casa sono le attività che preferisco, dove la mente lavora tantissimo. Un sistema per trovare tregua è mettere la mente sotto pressione: così riesco a rilassarmi. La partita è andata in onda il 7 novembre, tanti l’hanno guardata, tanti hanno visto che il gioco l’ho vinto. Mostrarsi davanti alle telecamere non è facile, qualche anno fa avevo paura delle persone ed evitavo posti affollati, bus, treni. Ma dopo tanto lavoro su di me ho cancellato i miei pregiudizi .

IO CAPITANO

A novembre sono andata con il Centro diurno di Chiasso a vedere Io Capitano al cinema. È stato molto bello. Il film parla di migrazione dall’Africa Nera verso l’Italia e tratta della maggior parte delle difficoltà per raggiungere questo obbiettivo. La pellicola inizia con Seydou e Moussa impegnati nel raccogliere i soldi sufficienti per affrontare quello che gergalmente viene definito "Il viaggio”. Un uomo del loro villaggio però gli sconsiglia vivamente di intraprenderlo, perché avendone fatto esperienza, sa che porta solo a grandi sofferenze. Anche la madre di Seydou non lo incoraggia, perché potrebbe incorrere in gravi pericoli. Il nostro protagonista però, un ragazzo ingenuo e sognatore di 16 anni, con l’ambizione di diventare un cantante famoso per aiutare la propria famiglia ad avere una vita più agiata, non si lascia convincere.

di Cecilia Norcia

Viene inoltre incoraggiato dal cugino e così, nascondendolo alla madre, decidono di partire, ignari di che tipo di mondo li aspetta, al di là delle loro fantasie. Fortunatamente il film finisce bene, ma lascia nello spettatore uno spaccato non indifferente, che colpisce e impressiona, una realtà dura sul “Viaggio” degli africani del Sahel. Personalmente, dopo la visione di questo film, le notizie sugli sbarchi a Lampedusa mi fanno tutto un altro effetto e provo anche una certa compassione per coloro che intraprendendo questo viaggio, stravolgono completamente la propria vita, purtroppo non sempre in positivo. Ricordo che il film ha vinto il Leone d’argento al Film Festival di Venezia e ha ricevuto una candidatura agli Oscar 2023 come miglior film straniero. L’attore protagonista, con lo stesso nome del suo personaggio, Seydou Sarr, è stato premiato col premio Mastroianni per la sua eccelsa interpretazione.

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QUESTIONE DI NUMERI

Tutta la nostra vita è caratterizzata dai numeri, fin da quando eravamo sui banchi di scuola. C’era il libretto delle note, chi non se lo ricorda, in cui maestri e professori emettevano la loro sentenza inappellabile. Succedeva due volte l’anno, la prima con un giudizio intermedio dopo alcuni mesi e la seconda al termine della scuola a giugno. A mio modesto parere i maestri e i professori dovrebbero solo insegnare la materia e astenersi da ogni tipo di giudizio, ma si sa che viviamo in una società dove bisogna essere performanti. Viceversa, guai a emettere un giudizio nei loro confronti: sarebbe lesa maestà.

La cosa che mi lasciava perplesso era che la maggior parte dei maestri o professori, la prima lezione dell’anno, si preoccupavano di fissare le date dei lavori scritti. C’erano periodi dell’anno in cui questi lavori scritti erano all’ordine del giorno, tutti i giorni ce n’era uno. Personalmente io abolirei i lavori scritti, le note a fine anno e giudizi di ogni tipo, ma penso che non sia possibile. L’unica nota che ho avuto modo di ricevere e apprezzare è stata un 5 in francese il primo anno di scuola media. Alle elementari io non ho studiato il francese e per me era la prima volta, ma il mio professore in prima media mi ha accolto e aiutato ad apprendere la materia.

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Oltre a essere un bravo professionista e competente nella sua materia, un docente dovrebbe saper accogliere i propri studenti con le loro difficoltà, anziché giudicarli. Sempre alle medie ciò è successo anche con il docente di matematica, una brava persona che metteva gli studenti prima dei numeri, le relazioni sociali prima delle espressioni o delle equazioni. Passate le scuole medie non senza difficoltà, eccomi alle superiori, nello specifico le scuole di commercio. Oltre a quanto detto finora, qui ho imparato una nuova materia: economia aziendale e contabilità. Tre anni di contabilità con argomenti legati ai numeri, qui declinati in pura moneta sonante. Tre anni di contabilità per capire che alla fine è un numero ciò che conta, un solo numero: l’utile o la perdita. Per fare un utile, qualunque azienda deve aumentare i ricavi e diminuire i costi, semplicemente questo. Quali sono i costi che gravano di più su un azienda? I costi del personale, ovvio, ossia gli stipendi ed i contributi sociali. Ne ho avuto la riprova quando ho iniziato a lavorare io stesso, qualche anno dopo. Nelle aziende di tutto il mondo funziona cosi: il dipendente è un costo, nulla più di un costo da abbattere. E veniamo dunque alle mie esperienze lavorative, nello specifico in quella che ha determinato 17 anni della mia vita, quella di agente di sicurezza. Anche qui era tutta una questione di numeri e ora vi spiego meglio. Io al lavoro non ero Patrick, ma il numero di serie che compariva sul mio badge personale (29341). Sembravo un carcerato, con il proprio numero di matricola. Oltre a ciò, ero identificato tramite alcune sigle: T2, T3, T11, che non erano le linee del tram, ma i turni che mi competevano. E il mio lavoro come veniva valutato? Semplice: con dei numeri anche in questo contesto, chiamati qui punti efficienza. Ero valutato e giudicato in ogni maniera, e più punti avevo, più soldini entravano nelle mie tasche a fine mese. Efficere, da cui efficienza, significa portare a compimento. Io venivo valutato per ciò che facevo, non per come lo facevo. L’efficienza ad ogni costo e nonostante tutto. Ovviamente, quando bisognava tagliare i costi, venivano tagliati questi punti efficienza senza un vero motivo plausibile, semplicemente per-

ché non si poteva fare altro. Io pero’ non capivo, ma era meglio cosi. Quando ho smesso di essere prestante ed efficiente, come ero prima, ho cominciato ad esser messo da parte, fintanto che sono arrivato ad ammalarmi. Ora so che non mi devo più preoccupare, perché mi trovo in un ambito che mi protegge da questa corsa ad eliminazione. Ora che sono consapevole di ciò che mi è successo, cerco di sensibilizzare la gente ad aprire gli occhi contro queste forme di sfruttamento, perché è di questo che stiamo parlando. Io ho deciso di proteggermi e volermi bene.

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TUTTO CAMBIA

Oggi, quell'undici settembre che riporta ad avvenimenti di qualche anno fa. Io invece sono sul treno che mi sta riportando a casa dopo un soggiorno balneare a Bellaria. Per rigenerarmi, avevo bisogno di relax. Sono anni che quando ho bisogno di una vacanza vengo in questa piccola ma accogliente struttura a conduzione famigliare. Quando arrivo qui mi rilasso tanto, sarà l’ambiente familiare, il solito bar dove quando arrivo mi dicono “ciao svizzera bentornata”, sarà per il bagnino con qualche capello bianco in più. Io qui spesso mi fermo a riflettere, il blu del cielo e del mare sono i colori che più mi rilassano. Oggi mi viene da tirare un po' le somme di della mia vita.

Ultimamente i problemi fisici erano così imponenti che mi sentivo uno straccio. E’ tutto a livello fisico, o una componente può essere lo stress della vita, ma non potrebbe anche esser quel periodo dove a livello ormonale una donna cambia? Ma spesso non c’è una risposta. In questo periodo ho detto basta a una relazione iniziata nel 2010. Ho voluto molto bene a quest’uomo ma nello stesso tempo stavo malissimo. Ho riso tantissimo ma ho anche pianto nello stesso modo. Gli volevo bene, tanto da dimenticare di volermi bene anch’io; dire sempre sì non è sempre giusto. Beh dopo tutto questo faccio due calcoli e qualche mia analisi, manca poco, poco più di due anni e avrò 50 anni.

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Ora mi ritrovo a sentire quel vuoto interiore e di solitudine. So di certo che domani devo riprendere le mie visite mediche. La mia famiglia sono sempre più le persone che frequentano i Centri diurni, i miei animali mi aiutano nella mia quotidianità, ma la carenza di una spalla su cui far conto è sempre più concreta. Alessio quel bambino figlioccio ora sedicenne, nonostante la sua problematica di Asperger inizia un apprendistato e andrà a scuola a Bellinzona. Mi sento orgogliosa di quanto ci ho messo per aiutarlo; ora lui e pronto per spiccare il volo. I miei genitori stanno invecchiando parecchio e pur essendo molto legata a loro, ho spesso attriti per le zone dove sono cresciuta che non erano tutte rose e fiori.

Mi sono detta che la casa dei miei non è la mia casa, e dopo anni di cambio casa mi sono convinta che le mie radici si devono insediare nel Mendrisiotto perché ora la sento tanto mia questa terra. Nel 2015 avevo cominciato il percorso con una operazione di bypass …Ai tempi ero arrivata a 130 kg, ogni giorno ho lottato per tornare autonoma, perché non riuscivo più ad lavarmi e vestirmi e soprattutto a mettermi le scarpe Mi sembra che il corpo si senta grosso ancora, come anche la mente. Avevo comperato abiti credendo fossero della mia taglia e invece mi vanno larghi. Penso di non poter passare da un posto stretto, invece passo. Ora comincio ad aver paura: i dottori si passano il mio stato e attualmente non trovano una soluzione e la cassa malati non risponde

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PERDERE IL CONTROLLO

Vi è mai capitato di perdere il controllo, anche solo per un attimo? E con quali conseguenze? A queste due domande e ad altre che mi frullano per la testa, provo a dar risposta attraverso l’articolo che mi accingo a scrivere. Chi mi conosce bene sa che io sono una persona che desidera avere tutto sotto controllo, ma proprio tutto, perfino le emozioni che provo e che non riesco a lasciar come vorrei. Sì, sono una persona molto rigida ed esigente, cose che poi proietto nelle relazioni con le altre persone. Anche i pensieri che gravitano nella mia mente sono poco flessibili: tutto deve andare in un solo modo, quello da me preventivato. Faccio ancora fatica ad accogliere e accettare l’imprevisto, che mi genera parecchia ansia e, a volte, paura. Già, proprio l’ansia! La so riconoscere, ma non la so ancora gestire nel migliore dei modi, nonostante la consapevolezza maturata. Ho le mie strategie per combattere l’ansia, ma a volte capita che non le metta in atto e perciò l’ansia prende il sopravvento. Un po’ come se la mia consapevolezza venisse meno, per un certo periodo. È proprio in questo frangente che mi capita di perdere il controllo delle mie azioni e delle mie emozioni, salvo poi tornare in me e spalancar la porta ai sensi di colpa. Anche a me è successo di perdere il controllo in diverse circostanze, ma mai in maniera inopportuna se si può dire così. Non è una questione di cosa giusta o sbagliata, ovviamente fintanto che la reazione rimane entro certi limiti. A volte perdere il controllo può anche essere positivo se serve a stemperare il picco emotivo. Certo, ognuno è anche responsabile dei propri comportamenti, di questo ne sono pienamente consapevole anche io. Fintanto che si lanciano e rompono oggetti tra le proprie mura domestiche, come è successo anche a me più di una volta, le conseguenze sono limitate. A me è però capitato di perdere il controllo in altre maniere correndo anche dei rischi, una volta ingurgitando un’intera bottiglia di

limoncello. Un altro modo poco funzionale di perdere il controllo lo vivo attraverso il mio rapporto con il cibo, che alla lunga può causare problemi di salute. Nei momenti di grande ansia mi attacco al frigorifero e mangio senza un vero perché. Uno dei sintomi tipici dell’ansia è l’agitazione psicomotoria: ecco che quando sono ansioso, comincio a camminare senza motivo in cerca di qualcuno che mi rassicuri. Mi conosco, succede proprio così! Una delle mie paure, ma penso anche di tante altre persone, è proprio quella di perdere il controllo e non aver piena consapevolezza delle mie azioni e delle conseguenze negative che potrebbero insorgere. Non so dire perché ciò accada, se la mia paura di perdere il controllo si basi su qualcosa di concreto o si tratti solamente di una percezione errata. So che ho fatto enormi progressi in tal senso e che spesso sottovaluto le mie possibilità di reagire a un determinato evento. Basterebbe semplicemente fermarsi un attimo e respirare, ma non è sempre scontato. L’accettazione delle proprie vulnerabilità è anche fondamentale. Io ci sto provando e, a fatica, ci sto pure riuscendo a lasciar la presa su tante cose che non mi permettono di vivere come vorrei. Controllare tutto è oggettivamente impossibile e richiede un sacco di energie. Energie sprecate che potrei canalizzare altrove, in cose che mi portano gratificazione e benessere.

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ANTROPOCENTRISMO

Con la natura ho sempre avuto un forte legame. Sin da piccola ho dimostrato di avere una forte affinità con piante e animali, andando a passeggiare nel bosco e uscendo tutti i giorni nel mio giardino di casa. Fortunatamente ho passato l’infanzia a Pedrinate, il paesello sopra il Penz di Chiasso, circondato dal bosco. Di questo devo ringraziare mio padre e mia madre, due persone molto legate alla natura, che mi hanno trasmesso i loro valori. Andavamo spesso a raccogliere castagne e funghi, ma senza snobbare il bosco anche nelle altre stagioni, dove ci recavamo anche per uscite di piacere con dei nostri amici. Ricordo che all’inizio del bosco c’era una scultura in legno di un gufo che aveva una specie di incavo sul ventre, e io un po’ per giocare ho iniziato a metterci dei fiori raccolti tutte le volte che ci passavo davanti. Era diventato un rituale in cui dicevo al gufo di proteggere il bosco, credevo fosse il suo protettore.

di Cecilia Norcia

Mio padre mi parlava degli animali della foresta, che uscivano di notte e se fossimo andati alle 5.00 – 6.00 del mattino li avremmo potuti vedere. La cosa mi affascinava moltissimo. Poi ho preso un quaderno dove appuntavo le osservazioni sul comportamento di animaletti che incontravo. Quando andavo in vacanza in Costa Azzurra, passavo il tempo in spiaggia disegnando i pesci che popolavano il reef. Non risulterà affatto strano che il mio desiderio fosse diventare una biologa. Quando stavo in casa a guardare la televisione era per i cartoni del mattino o della merenda, gli ultimi ricordo, seguiti sempre da documentari. Ne ero incantata. Conoscevo tutte le caratteristiche degli animali a memoria, ancora oggi mi ricordo che la lunghezza massima di un anaconda è 12 metri o che il ghepardo è l’animale più veloce al mondo. uomo il più sapiente, ma il protettore della foresta resta il gufo, diamogli la giusta importanza.

DUE PASSI PRIMA DI NATALE

A Natale 2023 ormai manca poco, ho 47 anni e una vita da raccontare passata a cercare di aggiustare quello che non va. Di letterine a Gesù bambino non ne ho più scritte anche se spero sempre in qualche miracolo senza sapere cosa chiedo. Forse sono in quel periodo dove una donna sente che il corpo cambia, un corpo stanco che tira assieme le fatiche, in particolare quelle fisiche. La solitudine del Natale io la interpreto come una solitudine di cose mancate. Da piccola ho conosciuto un uomo che voleva giocare con me a dei giochi da me sconosciuti in cambio di poter prendere il suo cane per andare a spasso. Ho scelto un lavoro quello dell’agricoltore dove la maggior parte dei miei colleghi erano uomini . Ricordo bene le mie fatiche solo per ottenere del vestiario adatto come scarponi e salopette per donne, io ero l’unica donna nella mia classe. E le voci del mio direttore scolastico erano: le donne non avranno mai futuro in questo lavoro. Comunque io ho condotto diversi macchinari nell’impossibile come pendii, ecc. Ho saputo usare motoseghe come macchine da cucire. Gestire animali dal carattere ribelle: tori, mucche, cavalli e ne sono sempre uscita bene. Purtroppo, una mia sottovalutazione ha fatto si che appunto un toro mi giocasse un brutto tiro e quindi dovetti smettere con questo lavoro che adoravo. Non ci è voluto molto perché io mi ammalassi di depressione. Alcuni anni prima un altro uomo dove lavoravo si e divertito con me senza il mio consenso. Non ho mai fatto denuncia per tante paure e colpe che mi attribuivo; soprattutto mi sentivo in colpa. Durante il mio primo ricovero ho conosciuto il mio primo e unico compagno. Una storia durata più di quindici anni. Una relazione assai difficile per le problematiche di disturbi ossessivi e conpulsivi di lui. Gli ho sempre voluto bene e ho sempre cercato di aiutarlo, ma poi un giorno mi sono accorta che la sua salute peggiorava e ho chiamato aiuto: purtroppo questo gesto lo

ha portato ad esser ricoverato in un reparto del Carl e dopo tre anni è ancora lì. Io nel frattempo ho provato a rifarmi una vita un po’ più libera, quella libertà di andare da un parrucchiere o prendere un aereo per visitare il mondo. Mi accorgo di quante rinunce ho fatto per il lavoro che facevo o perché ero impegnata a curare il mio compagno. I natali non erano di sicuro delle belle feste. Quando lavoravo non avevo mai libero, ma a me piaceva entrare in stalla e augurare a tutte le bestie un dolce Natale. Portavo sempre delle leccornie per loro e a ognuno davo una carezza sul muso. Ora tutto ciò e finito, io sono da sola e potrei divertirmi ma i miei doveri sono di occuparmi dei miei genitori anche se dentro di me il mio Natale non lo posso passare con loro, i miei ricordi di un padre ubriaco non riesco a cancellare. Il mio corpo sta passando una serie di problematiche che spesso non so a cosa attribuire, forse è psicofisico, con una dose di ormoni allo sbaraglio. Ora i miei natali sono diventati delle feste con persone sole e con il mio cane e i miei gatti. Poi guardo dei ragazzi, i cinque figli della mia miglior amica, per me dei nipoti, ma con loro la magia delle feste sta passando perché ormai sono adolescenti/giovani adulti ,e ti rendi conto di quanto veloce passa il tempo. Così mi sento ancora più sola.

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LA SVOLTA

Ci ritroviamo ancora qua perché una storia ognuno ha da raccontare e ascolterà anche un po’ me

La solitudine non c’è se canto e conto su di te come uno scambio d’anime, e nasce…

L’amore che è in me l’amore che è in te l’amore che è in noi darà la svolta.

La forza che è in te la forza che è in me la forza ch’è in noi e quella svolta c’è….oh ...si c’è. Tu con me io con te voi con noi, noi con voi io con te tu con me quella svolta ora c’è

Io con te, tu con me un abbraccio è solidarietà, reciprocità. Stare insieme, camminare sotto un grande sole nell’immensità che dentro ognuno ha. Quando sei solo e pensi solo che non ne uscirai e ci affogherai nell’incomprensione nella confusione qui ti puoi aggrappare tu ce la puoi fare.

a cura del Laboratorio musicale

Giorno per giorno capirai che fai fatica ma vivrai che c’è speranza e niente guai tu rinascerai.

La piaga più profonda è l’indifferenza quando c’è ti rende solo e fragile, ma è forte…

In agguato sempre c’è quella paura che cerca te ma poi la luce ritorna se

La forza c’è è dentro me è dentro te per sempre.

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