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L’EVOLUZIONE SI EVOLVE

Leonardo Di Carlo presenta il suo quinto libro

EMOZIONI DI NATALE

Panoramica su tecniche, idee, ispirazioni e ricette in tema

A BERLINO CHE DOLCE C’È

Immersione nei molteplici volti della città, e pensiero su cibo e resistenza

LA SCIENZA DEI PRODOTTI CONGELATI

Come migliorare la qualità dei lievitati sottozero

L’EVOLUZIONE SI EVOLVE

Un gioco di parole per esprimere l’impegno che Leonardo Di Carlo porta avanti dal 2012 e che oggi prende il nome di Pasticceria Evolutiva

NUOVA ENERGIA

IL LIBRO SPIEGATO

DALL’AUTORE

“Dal 2012, quando è uscito il primo volume, ad oggi – scrive Di Carlo nell’introduzione al volume - i consumi alimentari sono cambiati, influenzando la domanda nel mondo della pasticceria artigianale: ciò che un tempo era definibile di nicchia, oggi richiede ai professionisti un impegno quotidiano per proporre soluzioni mirate e pensate”. È da questo assunto che prende forma il libro, in cui per ogni ricetta l’Autore parte da una base “madre”, andando a mostrare passo dopo passo come trasformarla in versioni senza lattosio, senza glutine, senza uova, senza zucchero e vegane, mantenendo sempre prioritari gusto, equilibrio e salubrità.

“Con meno, fare di più, è la filosofia che da tempo guida il mio percorso: semplificare senza rinunciare alla qualità, ridurre senza perdere valore”.

Leonardo, in questi anni hai raccolto e continui a raccogliere consensi da un numero crescente di colleghi e appassionati che ti riconoscono quale “padre” di una pasticceria ragionata, appunto in incessante evoluzione. Ma qual è il tuo “segreto”?!

Essere formatore–divulgatore e ricercatore è per me una ragione di vita: condividere risultati concreti, ricevere gratitudine e crescere insieme dà senso al mio lavoro e alimenta la volontà di mettere a disposizione la mia esperienza. Sono riconoscente per questi riscontri e

non saprei definire un segreto, piuttosto un mio modo di essere, da sempre: amo mettermi in gioco, in discussione e sfidare in primis me stesso in un miglioramento che non hai mai fine. Di certo questo è dettato dalla mia indole innata, così come da un senso di amore e rispetto verso il mio mestiere e verso i colleghi. Mi piace nutrire in me, e negli altri, quel coraggio di non fermarsi nella comfort zone.

Come fai a non accontentarti mai?

Si cresce facendo test e prove sempre diverse, per capire e vedere dove stai andando. Nel mio laboratorio, così come in trasferta, ogni cosa che porto avanti non la faccio mai uguale, proprio per scoprire cose nuove. Annoto una ricetta e immediatamente la modifico e così me ne ritrovo subito due. E non è neanche necessario che le scriva, perché me le ricordo, le vivo, le sento. Non so come spiegarmi, perché mi viene spontaneo. Ho tutto in testa: grammature, percentuali, procedimenti. Vedo la ricetta nella mia mente appena mi pongo una domanda o altri mi chiedono qualcosa.

Alludi all’intuizione?

Di certo alla base c’è una predisposizione innata che, negli anni, ho con forza allevato, accresciuto: mi prendono per pazzo,

ma quando assaggio un prodotto capisco immediatamente le proporzioni degli ingredienti, le tecniche usate. Ormai mi basta guardarlo o toccarlo per capirne difetti e punti di forza. Grazie ai tanti anni di ricerca, test, assaggi, confronti… ho la fortuna di aver acquisito una padronanza che nulla mi intimorisce, anche le richieste più strampalate che arrivano dai social!

Parliamo quindi anche di una memoria del gusto, intesa, a livello neuroscientifico, come connessione tra sapori, odori e ricordi, in cui il palato agisce quale archivio emotivo e di esperienze passate. Sì, sento, percepisco, intuisco, vedo, assaporo ancor prima di degustare. Ripeto, è un dono di natura che ho sempre sentito di avere. Adesso, con l’esperienza e l’allenamento, tutto viene ancora più spontaneo e semplice, così come il grande desiderio di condividere, di trasmettere agli altri.

Scrivere libri, insegnare, fare consulenze, tenere demo sono tutte espressioni di questo tuo amore verso la divulgazione del sapere?

Amo confrontarmi con gli altri, condividere stimoli, conoscenze e aspirazioni. Solo attraverso il dialogo e l’ascolto si

“ “ La ricetta classica va capita per essere trasformata in molteplici varianti, tenendo a mente, e a cuore, la composizione degli ingredienti e le loro interazioni, le dinamiche di processo, il food cost, la razionalizzazione del tempo e dei metodi
Le numerose farine analizzate nella prima parte del volume, insieme agli zuccheri, ai grassi e alle proteine. Pancake goloso

EMOZIONI DI Natale

Le torte con facciate in gingerbread sono di Roberto Murgia.

ELEGANTE E SALATO

Con Giuliano Casotti riscopriamo tutta la bontà e le potenzialità del panettone gastronomico in veste natalizia

Il panettone gastronomico è una preparazione lievitata che si ritrova di frequente sulle tavole natalizie e che vanta una gloriosa e golosa storia. Un maestro come Fulvio Scolari lo proponeva ad inizio anni ’90 nel suo “La pasticceria salata”, volume dato alle stampe dalla nostra casa editrice, sancendo una popolarità raggiunta negli anni Ottanta, quando impreziosiva banchetti e buffet delle feste, grazie alla versatilità e alla forte presenza scenica e cromatica. Con radici che affondano nel Medioevo, per via di preparazioni salate simili come la crescia al formaggio o la torta di Pasqua, viene definito anche pan canasta, poiché leggenda narra che sia stato ideato per

coloro che giocavano a carte, con il taglio a spicchi pensato per facilitare la presa senza interrompere la partita. Oggi questa specialità vintage torna di moda anche tra le nuove generazioni, quale idea sfiziosa e personalizzabile. Ed è così che entra anche a far parte del ricettario di un pasticciere attento ai dettagli e all’estetica come Giuliano Casotti, che esercita le sue competenze e la sua arte tra la Pasticceria Soldi di Forte dei Marmi, Lu, e varie consulenze.

La sua versione del raffinato antipasto in veste natalizia, “non è un impasto ‘classico’ per panettone interpretato senza canditi o altre inclusioni dolci, a cui vengono invece accostati elementi salati,

oltre. Qui lo vediamo assieme a Stefania Mantero, dell’omonima pasticceria genovese.

ma è piuttosto un pan brioche, frutto di una ricetta studiata e ottenuto con ingredienti pregiati, a cui abbinare farciture di qualità altrettanto elevata”, puntualizza. Alludendo all’offerta di questo tipo di composizioni, Casotti aggiunge: “A Forte dei Marmi, presso la pasticceria in cui lavoro, ci richiedono sovente questo tipo di elaborati e noi offriamo preparazioni personalizzate, con farciture e ripieni a scelta del cliente. Per esempio, non solo salumi, salmone, carciofini e altri elementi simili, ma anche creme a base di pesce, di carne, di formaggi, o creme pasticcere salate, come quella di cui trovate qui la ricetta, da aromatizzare a piacere”. Oltre che per il gusto ricercato e mai banale, elaborati di questo tipo si devono distinguere per la forma e per l’estetica: “L’esempio in foto è di un panettone gastronomico che diventa centrotavola natalizio. Quindi, in casi simili si deve studiare una decorazione d’impatto, capace di allietare la tavola delle feste. Insomma, deve essere non solo buono – conclude il pasticciere toscano – ma anche ovviamente bello!”.

DA BASE PER SEMIFREDDI

A PROTAGONISTA FESTIVO

MISTER PANETTONE

Protagonista della magia del Natale la versione del lievitato agli agrumi di Paolo Brunelli

Ah, il Natale! Ci arriviamo ogni anno con il fiatone, eppure resta magico. Perché ci sono luci calde ovunque, gli abeti decorati, le rimpatriate con amici e parenti lontani, le serate attorno al fuoco con un buon calice in mano, la gioia di regalare e, soprattutto, la tavola. Fra tradizioni e leggende, questo periodo trionfa di sapori e croccantezza come mai negli altri mesi. Sul trono c’è lui, Mister Panettone, re indiscusso di colazioni, merende e cene chiassose in famiglia.

LE LEGGENDE

Checché se ne dica, l’origine del panettone non è certa. È avvolta da racconti popolari che si tramandano da secoli, tanto che oggi si tende a considerarlo un dolce nato tra storia e mito. C’è chi crede alla storia di Toni, cioè del garzone alla corte di Ludovico il Moro, duca di Milano: pare che durante un banchetto natalizio il cuoco di corte avesse bruciato il dolce e si servì allora l’impasto che il giovane aveva preparato per sé: farina, burro, uova, zucchero e uvetta. Il risultato piacque così tanto al duca che il dolce fu battezzato Pan de Toni, cioè il pane di Toni. Oppure quella di Ughetto, altrettanto suggestiva, che narra di un nobile milanese innamorato di Adalgisa, la figlia del fornaio, che iniziò a prestare servizio da apprendista pur di starle accanto. La chimica tra i due fece scoccare il genio culinario del ragaz-

zo, che un giorno ebbe l’idea di arricchire il pane con burro, zucchero e canditi, dando forma ad un pane più alto e più dolce che conquistò tutti (anche il futuro suocero!).

LA MIA VERSIONE

Al di là dei racconti, molto probabilmente il panettone è figlio dei dolci tradizionali che si preparavano già nel Medioevo, in Lombardia, e che quel pan de Natal sia cresciuto di mano in mano, fino a diventare il nobile dolce che tutti conosciamo e riproduciamo in Italia e nel mondo intero. Anche da noi al Laboratorio Sentimentale di Marzocca,

An, quello precedente il Natale è un periodo magico: tutti insieme mettiamo testa, cuore e mani al servizio della gioia di grandi e piccini, a tutte le ore. Uno dei lievitati più gettonati è il panettone agli agrumi: tra tutte le varianti è la più profumata, grazie ai canditi al suo interno – arancia, mandarino, limone – che piacciono anche a chi di solito li scarta. E in ogni confezione si trova un messaggio per noi emblematico:

Tagliane una fetta con il coltello a sega, stiepidiscilo sul calorifero o nel forno spento… e mordi!

Vuoi esagerare? Provalo con uno dei nostri zabaioni, con il caramello salato o con un Caffè dei Poeti., la nuova bevanda fatta con caffè, L’Alchermes. e una scorza di arancia: ci ringrazierai!

Buon Natale!

” Il nostro panettone è squisitamente imperfetto

Paolo Brunelli&family

BRIO E NOSTALGIA A Parigi

Con il compito di addolcire spiriti e tavole esploriamo le collezioni di fine anno presentate nella capitale francese

Domenico Biscardi

e basilico, esaltato dall’olio d’oliva. Per l’Epifania, una galette al pralinato di nocciola, con cuore fondente al gianduja, e una galette Bordelaise ai fiori d’arancio, con applicazioni geometriche in zucchero a velo e una riga impressa all’impasto.

Volto noto della scena parigina, eletta Miglior Pasticcera del Mondo 2023 e World’s Best Pastry Chef 2024, NINA METAYER disegna una collezione impregnata dei propri ricordi delle feste in Alsazia. L’odore degli abeti, gli addobbi in famiglia, gli effluvi emanati dalle scorze dei mandarini… sono questi gli elementi che evoca con la Boule de Noël, bûche concepita come oggetto di decorazione e regalo prezioso, a base di note di pan pepato, agrumi, miele e spezie; le

bûche al cioccolato, pistacchio ed esotica; le galette Solstice, con frangipane dalle note acidule di limone candito e di verbena; L’Arbre de Vie, con mela e cardmomo, e L’Ambrée, profumata al rum (foto Louise Marinig).

I grandi magazzini PRINTEMPS, per mano dello chef pâtissier executif BRYAN ESPOSITO, hanno guardato a New York con la collezione Cram Puff, serie di bignè al caramello, alla vaniglia o al cioccolato, e la bûche Candy Cake (ispirata alla leccornia Candy Cane, che impazza nelle strade di Manhattan alla fine dell’anno), con biscotto morbido alle spezie e pezzetti di cookie croccanti, mousse alla cheesecake al lime e marmellata di cranberry.

ALLA PASTICCERIA DA RISTORAZIONE VOCE

Il Festival di Dessert di Condividere è l’apoteosi di un percorso sensoriale e ludico, con la regia di Federico Zanasi

Condividere è indiscutibilmente, sin dalla sua apertura, uno dei ristoranti più interessanti d’Italia. Vuoi perché dietro al progetto ci sono un’azienda solida come Lavazza e il genius loci di Ferran Adrià (tra i più grandi chef al mondo), vuoi perché la cucina è portata avanti da un modenese adottato dal Piemonte, quel Federico Zanasi che con determinazione, passione, umiltà e grande coerenza è da sempre l’anima di questo ristorante. Aperto 7 anni fa a Torino, Condividere è luogo del gusto e di esperienza gastronomica: si trova di fronte alla Nuvola, l’head quarter della storica azienda produttrice di caffè, e ogni dettaglio è studiato dal premio Oscar Dante Ferretti, con un servizio di sala giovane, informale, impeccabile. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui prenotare qui è un’impresa eroica: posti che si bruciano in una manciata di minuti e liste d’attesa interminabili, il che non fa demordere i tanti clienti che lo hanno decretato il miglior locale della città.

Protagonista assoluta è l’esperienza in tavola: un’interpretazione vivace della cucina italiana con sguardi sul mondo e la capacità di stupire per assaggi, gusti, consistenze, presentazioni. Due i percorsi

I pasticcieri sono giovani super performanti, appassionati e puntigliosi, lavorano con passione e precisione: entrano insieme alla cucina, aiutano nel servizio, vanno in pasticceria e finiscono dopo gli altri, ma non ho mai sentito nessuno lamentarsi

salati (oltre ai piatti classici): Festival e Gran Festival (€ 120 e 140), in grado di raccontare omaggi alla storia della cucina internazionale (Oliva sferica “El Bulli”), ai personaggi che hanno contribuito a renderla grande (Gelato al Parmigiano “Bob Noto”), ai piatti che sono diventati icone (Cubo di patata con tartare di carne cruda, Albese tiepida di Wagyu, Cafè de Paris, Gnocco burro e oro, Katsu Sando Piemontese o Ventresca di tonno come un saltimbocca alla romana, giusto per citarne alcuni).

COME AD UN FESTIVAL

A chiudere l’esperienza che si evolve con interessanti pairing di vini e di cocktail, c’è lui, il Festival di Dessert. Ci si alza da tavola e si cambia location: questo il primo atto dell’assaggio finale. “L’idea del dessert servito in questo modo – spiega Zanasi – nasce su suggerimento di Adrià, con l’opzione di farlo arrivare agli ospiti in una sala riservata come succedeva da Tickets a Barcellona. Ma, del resto, anche da El Bulli si viveva l’emozione di una cena itinerante. Siamo stati i primi a introdurre questo concetto nuovo valorizzando, certo, il mondo del dolce ma anche il caffè. L’idea è sempre stata quella di sedersi e mangiare a tavola e poi, come in una casa, spostarsi sul divano per assaporare il dessert, cambiando la routine della cena”.

All’inizio il Festival fu un omaggio alla città di Torino: la torta Tropezienne della pasticceria Uva, così come il Bicerin servito caldo e freddo. Un’evoluzione che oggi ha portato il momento finale ad assumere una forte identità che si rispecchia in pochi bottoni, sfiziosi e divertenti, come accade per il percorso salato. E,

NON MI PIACE

LA PASTICCERIA

Attenzione a scambiare l’affermazione «Non mi piace la pasticceria» per una vuota provocazione, perché si tratta, invece, di una confessione sincera e di una visione della materia agli antipodi di quella classica, frutto di un percorso genuino alla ricerca della propria strada e che propone un’esperienza gustativa differente rispetto ai canoni. Eletta come miglior pasticcera del mondo nel 2019 dai World’s 50 Best e pasticcera dell’anno dalla Gault & Millau, Préalpato racconta il suo percorso umano e professionale, in un momento particolarmente creativo del suo percorso. Nata nel 1986 in seno ad una famiglia di panettieri e pasticcieri di origini venete,

È questo il paradosso incarnato da Jessica Préalpato che da una decina di anni

figura tra i nomi di punta dell’alta pasticceria francese

con attività tra Tolosa e Mont-de-Marsan, nella regione delle Landes nel sud ovest della Francia, Jessica non pensa a seguirne le orme e si iscrive alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Bordeaux: «La psicologia infantile è un mio grande interesse, che tutt’ora coltivo, ma devo dire che mio padre è stato molto convincente - ci racconta -. E così, in realtà, non ho seguito neanche un corso e ho cominciato una formazione in cucina a Biarritz». Inanella, quindi, un’importante serie di stage a partire dal 2005: dotata di un carattere forte, perfezionista e dall’indole discreta, è capace di adottare strategie intelligenti all’interno delle brigate nelle quali è inserita. «Ricordo bene di essermi

ritrovata spesso ad essere l’unica ragazza tra decine di uomini. Per farmi ascoltare a trovare il mio posto, ascoltavo i discorsi, mi documentavo e il giorno dopo ero in grado di dire la mia su argomenti che fino a poco prima non padroneggiavo». Viene quindi battezzata camaleonte, per questa capacità di adattarsi e di conservare i tratti tipici del proprio profilo: «Non vi nascondo che si tratta di un esercizio pericoloso, attraverso il quale si rischia di perdere la propria identità, ma alla fine sono riuscita a salvaguardarla e a superare una certa timidezza». I tirocini effettuati, seppur cominciando con mansioni in cucina, la convincono del fatto che la pasticceria è la disciplina nella quale specializ-

CROSTATA DI FICHI, POMPELMO ED ELICRISO

E LUCE FU

Tecniche e tecnologie per un utilizzo consapevole e intelligente dell’illuminazione, linguaggio silenzioso e potente, che influisce sul comportamento d’acquisto

In una pasticceria, la luce non è mai solo un dettaglio tecnico: è la prima forma di accoglienza, la cornice che valorizza i colori, le texture e le emozioni racchiuse in ogni dolce. Ogni riflesso su una glassa lucida, ogni bagliore su un vassoio di croissant caldi o su una pralina perfetta comunica qualcosa: freschezza, artigianalità, eleganza. Se è vero che “si mangia prima con gli occhi”, allora la luce è il primo ingrediente del successo.

Un buon progetto illuminotecnico deve accompagnare l’esperienza del cliente dall’ingresso al banco, dal laboratorio alla zona degustazione, bilanciando funzionalità, estetica e comfort visivo. La luce serve, comunica e vende.

LA LUCE COME SERVIZIO

La luce di una pasticceria è prima di tutto un servizio. Deve garantire visibilità, sicurezza e precisione cromatica. Nel laboratorio — il cuore produttivo — servono sorgenti ad alta efficienza e temperatura neutra (tra i 3.500 e 4.000 K), capaci di restituire con fedeltà i colori naturali degli ingredienti e di non affaticare la vista di chi lavora per ore tra farine, creme e zuccheri.

Nella zona vendita, invece, la luce si fa più scenografica: accompagna lo sguardo, esalta la materia, racconta la qualità del prodotto. Le vetrine refrigerate, per esempio, richiedono un’illuminazione precisa, priva di eccessivo calore e con un’eccellente resa cromatica (CRI > 90), per non alterare i toni naturali di creme e frutta. La luce deve valorizzare, non “falsare”.

Nei banchi espositivi la temperatura colore ideale si colloca tra 3.000 e 3.500 K: una luce bianca calda, morbida ma brillante, che rende i dolci appetitosi senza risultare invadente.

NELLA Hacienda DI DONNA CAROLA

Il calore avvolgente del cioccolato per le feste secondo Carola Stacchezzini

Bto il momento di celebrare il cioccolato nella sua veste più generosa. Questo è il periodo in cui la conoscenza si fonde con la tradizione e la nostra intuizione ci guida a reinterpretare i grandi classici e a creare nuove meraviglie che scaldano il cuore e deliziano il palato. Spesso, il cioccolato natalizio si riduce a semplici figure, quasi solo un abbellimento. Ma credo che la vera magia stia nel trasformarlo in un’esperienza profonda, un racconto di sapori che evoca dolci ricordi e ne crea di nuovi.

Il dono del cioccolato: tra memoria e creatività

In questo periodo speciale, il cioccolato diventa un simbolo di condivisione, affetto e calore. Questa volta vi propongo due creazioni: una che affonda le radici nella tradizione e una che gioca con l’innovazione. Entrambe pensate per esaltare la versatilità del cacao e la vostra maestria intuitiva.

Dal mio diario…

LA CIOCCOLATA CALDA DENSA DELL’HACIENDA tradizione rivisitata

Questa è una coccola liquida, un abbraccio caldo che ci riporta ai ricordi più dolci dell’infanzia, con un tocco di raffinatezza che solo il cioccolato di grande qualità sa donare.

LA SCIENZA DEI PRODOTTI DA FORNO CONGELATI

Strategie, ingredienti e soluzioni tecnologiche per migliorare la qualità dei lievitati sottozero

Il congelamento rappresenta una tecnica di elezione per ottimizzare la produzione dei prodotti da forno e rendere più efficiente il servizio. Nonostante sia trascorso quasi un secolo dalla messa a punto del primo sistema per il congelamento rapido dei cibi (per merito del biologo statunitense Clarence Birdseye, fondatore della prima azienda di surgelati al mondo), ad oggi questo processo pone ancora notevoli sfide tecnologiche per via delle possibili conseguenze negative sul prodotto finale in termini di alterazioni di struttura, gusto, umidità, volume e consistenza. È pertanto fondamentale comprendere i complessi fenomeni chimici e fisici che si verificano per riuscire ad adattare le ricette e i processi al fine di minimizzare i danni.

DIVERSI APPROCCI

DI PRODUZIONE

Il processo di congelamento può essere applicato in diverse fasi della produzione, a seconda del risultato desiderato e

della gestione della filiera. Si possono distinguere due approcci principali: congelamento prima della cottura e congelamento dopo la cottura. A questi se ne aggiunge un terzo, a metà strada tra i due, che consiste nel congelare i prodotti parzialmente cotti e completare la cottura dopo lo scongelamento. Vediamoli tutti e tre in dettaglio.

CONGELAMENTO

PRIMA DELLA COTTURA: RTP E RTB

Questo approccio prevede il congelamento dell’impasto crudo prima della lievitazione (RTP, ready-to-proof) oppure già lievitato (RTB, ready-to-bake). Una volta scongelati, i prodotti RTP devono completare la lievitazione prima di essere infornati, mentre gli RTB sono pronti per la cottura in forno. Le criticità principali riguardano soprattutto gli RTP perché il congelamento può causare danni alle cellule dei lieviti, compromettendone la capacità fermentativa. Le conseguenze sono un minore volume del prodotto finito e una minore sofficità. Per evitare tali

problemi è necessario adottare sistemi di congelamento rapidi per danneggiare i lieviti il meno possibile, oltre a riattivare in modo controllato la lievitazione dopo lo scongelamento. Inoltre, sia negli RTP che negli RTB, il congelamento può causare un indebolimento della maglia glutinica a causa della formazione di cristalli di ghiaccio che ne deteriorano la struttura. Anche in questo caso il risultato è una riduzione del volume finale del prodotto dovuta a una perdita della capacità di ritenzione dei gas da parte della rete proteica. Diversi studi hanno evidenziato che la stabilità della struttura del glutine nei prodotti da cuocere tende a diminuire a partire dalla quarta settimana circa di stoccaggio congelato.

CONGELAMENTO DOPO LA COTTURA

Il prodotto, completata la lievitazione, viene prima cotto e poi congelato. Il processo è in genere più standardizzabile in termini di texture e profilo aromatico dei prodotti, anche se, nel tempo, la crosta può andare incontro a una perdita

Rossella Contato
Steve Johnson da Pexels

LA SCIENZA UTILE

QUALI FIBRE ALIMENTARI

AL POSTO DEI GRASSI NEL GELATO

Nel gelato light le fibre alimentari mimano il ruolo del grasso nel conferire palatabilità. Uno studio ha investigato l’effetto di fibre di acacia (o gomma arabica), avena, mela e inulina sulle prestazioni tecniche e le proprietà sensoriali di un gelato alla vaniglia a basso contenuto di grassi. I campioni, preparati sostituendo il 3% di olio di cocco con una di queste fibre, sono stati sottoposti a una serie di analisi per valutare le proprietà reologiche (viscosità e densità), fisiche (punto i congelamento, overrun, consistenza, fermezza, velocità di fusione…) e sensoriali (colore, cremosità, sabbiosità, sapore). I risultati hanno mostrato che l’aggiunta di fibre porta ad un aumento significativo della viscosità della miscela fluida e ad una diminuzione delle temperature di transizione vetrosa e di fusione rispetto al gelato full-fat di riferimento, con le riduzioni più pronunciate osservate per i campioni arricchiti con fibre di acacia e mela. Tutte e 4 le fibre alimentari hanno influenzato il profilo sensoriale del gelato a basso contenuto di grassi, tuttavia i campioni con inulina e fibre di acacia sono risultati parago-

nabili sul piano sensoriale al gelato di riferimento, suggerendo la potenzialità di utilizzo in particolare di queste due tipologie di fibre per ridurre l’apporto lipidico.

(Rif.: Tolve R. et al., Dietary fibers effects on physical, thermal, and sensory properties of low-fat ice cream, LWT - Food Science and Technology 199 (2024) 116094)

EMULSIONI PLANT-BASED

A ETICHETTA PULITA

Per stabilizzare le emulsioni esistono modalità alternative all’impiego dei tradizionali emulsionanti. Tra queste, l’utilizzo di particelle solide colloidali che si posizionano all’interfaccia tra la fase oleosa e quella acquosa. Le emulsioni siffatte, denominate emulsioni di Pickering, rappresentano una pro-

mettente strategia per prodotti in cui coesistono ingredienti non miscibili. Come particelle colloidali possono essere impiegate miscele a due componenti, in modo da avere un effetto migliore nel controllare la dimensione delle gocce e la stabilità dell’emulsione. Alcuni ricercatori australiani sono riusciti a produrre emulsioni di Pickering 100% vegetali, altamente stabili, utilizzando olio di girasole e diverse percentuali di una miscela binaria di farina d’avena e isolato proteico di fava. Tali emulsioni, caratterizzate da una consistenza di crema densa, sono state analizzate per determinare la dimensione delle particelle, la microstruttura, il comportamento di scorrimento e la stabilità nel corso della conservazione. I risultati, specie nel caso delle emulsioni con il 40% di grassi e il 4% di proteine, sono stati eccezionali: dimensioni uniformi e ridotte delle gocce (comprese tra 14 e 20 μm), consistenza spessa e liscia ed elevata stabilità. Gli autori sono convinti che l’esito del loro studio dimostri come sia possibile progettare emulsioni plant-based altamente stabili, senza l’uso di additivi emulsionanti, pertanto sostenibili e a etichetta pulita.

(Rif.: Rawal K. et al., Engineering plant-based Pickering emulsions as highly stable dairy cream alternatives using a binary mixture of particle stabilisers, Food Hydrocolloids 159 (2025) 110604)

I SOTTOPRODOTTI SOSTENIBILI

DELLA PRODUZIONE DI CACAO

La produzione di cacao genera grandi quantità di sottoprodotti, con un impatto negativo dal punto di vista sia ecologico che economico. L’utilizzo della mucillagine, ossia la polpa dei frutti (cabosse) che avvolge le fave di cacao, rappresenta una possibile strategia per affrontare il problema. In Germania il Ministero per gli affari economici e l’azione per il clima, insieme ad altri partner, sta sostenendo il progetto triennale CocoaFerm , nell’ambito del quale sono allo studio nuove soluzioni per la lavorazione e la stabilizzazione della mucillagine e delle fave di cacao parzialmente depolpate, aprendo, soprattutto per le PMI, opportunità non solo di riciclare scarti, ma anche di introdurre nuovi prodotti come bevande salutistiche e snack. Il lavoro consiste nell’indagare se e come la rimozione parziale della polpa influisca sul processo di fermentazione delle fave. Quindi, si cerca di individuare i processi e i parametri (tempo, temperatura) ottimali per la stabilizzazione della mucillagine, per poi farla fermentare con l’aiuto di basidiomiceti (funghi), prima di separare in componenti solidi e liquidi, impiegabili come base per la produzione di bevande fermentate o snack di frutta soffiata. Parallelamente, per allungare la shelf life della mucillagine si stanno studiando processi di essiccazione, come l’espansione sottovuoto a microonde e l’essiccazione in forma di schiuma ( foam-mat drying ). Il progetto, che si concluderà nel 2026, prevede anche una valutazione economica.

A cura di ROSSELLA CONTATO
Roman Odintsov da Pexels.
kamila211 da Pixabay
Shijan Kaakkara (ivv.fraunhofer.de)

TORRONE MORBIDO

zucchero semolato kg 1 acqua l 0,3 glucosio kg 0,8 miele d’acacia kg 0,6 albume fresco kg 0,15 mandorle bianche intere kg 1,3 caffè in grani kg 0,50

Fase 1 Portare ad ebollizione lo zucchero con acqua e, a 115°C, incorporare il glucosio.

Fase 2 Portare il miele a 121°C e lo zucchero sino a 145°C.

Fase 3 Montare gli albumi a neve con frusta a fili grossi e versarvi il miele a 121°C.

Fase 4 Accendere il gas sotto la bacinella, a fuoco lento. Versare a filo lo zucchero portato a 145°C e lasciare cuocere a fuoco lento in planetaria, con la frusta a velocità media, per 5 minuti.

Fase 5 Togliere la frusta e inserire la lira. Versare la frutta secca precedentemente tostata in forno a 80°C e inserire subito i grani di caffè tostato. Mescolare per 2-3 minuti.

Fase 6 Versare negli appositi stampi. Il torrone deve essere a 70/80°C. Procedendo in questa maniera, si consente agli zuccheri di amalgamarsi alla frutta secca calda e quindi di cristallizzare.

Abbiamo conosciuto Franco “Frank” Parpagiola e la sua modalità di utilizzo del caffè nei prodotti dolci grazie a Fabio Verona , responsabile formazione Costadoro che, sul n. 356, ne illustrava la dimensione bio. Il titolare della pasticceria Colpo di Frusta, in quel di Mestre, Ve, in collaborazione con l’azienda piemontese ha presentato una sua creazione a Sigep 2025, interpretando lo Specialty Coffee Costadoro Perù Juan in una specialità come il torrone morbido. L’interpretazione, con profilo ricco e nel riuscito intreccio di rimandi tra gli elementi distintivi (cioccolato e caffè), ben si adatta a diventare leccornia natalizia. Gli elementi classici nella ricettazione sono miele, albume, zucchero e mandorle, a cui si possono aggiungere altri tipi di frutta secca, cioccolato o altro. Questa è una versione tenera e, come ricorda lo stesso Frank, “per la perfetta riuscita di questa tipologia di torrone è fondamentale che le varie fasi siano svolte in maniera corretta, rispettando tempi e temperature. Il nostro torrone segue la ricetta classica, riequilibrata per aggiungere l’elemento principale, cioè il caffè biologico caratterizzato da note di agrumi, vaniglia e cioccolato”

La nota “cioccolatosa” del caffè richiama il cioccolato vero e proprio, “impiegato per la copertura della parte superiore, che è una pura origine Perù, fondente fruttato della regione di Piura – spiega Frank –. La decorazione è a sua volta in cioccolato (lo stesso della copertura), eseguita con uno stampo che riproduce la forma dei chicchi di caffè. Mentre i chicchi veri si trovano all’interno e rimandano all’origine del cacao, ovvero il Perù”. Lo Specialty Coffee Costadoro Perù Juan ritorna nella bevanda d’accompagnamento:

“Un’estrazione filtro fatta con lo stesso caffè – conclude Verona –, che aiuta a bilanciare e a pulire il palato”. pasticceriacolpodifrusta.it

Arabica di ottima qualità e biologico Specialty Coffee

Costadoro Perù Juan

è selezionato da una piccola cooperativa nella regione di Cajamarca, in collaborazione con l’Ecuador. Questa zona è stata a lungo la spina dorsale dell’economia locale, quella degli altopiani settentrionali, grazie alle ricchezze minerarie. La raccolta manuale (la coltivazione si situa tra i 1.800 e i 2.200 msl) e il processo di lavorazione conferiscono al caffè un profilo distintivo e visibilmente pulito.

COSTADORO.IT

Fase 7 Riporre gli stampi in un luogo fresco e asciutto, avendo cura di mettervi sopra un peso non inferiore a 10/15 kg, e lasciare riposare. Il torrone è pronto dopo un paio di giorni.

Franco Parpagiola

Pasticceria Colpo di Frusta pasticceriacolpodifrusta.it

foto Bononi

Franco “Frank” Parpagiola (il primo a sinistra) con alcuni membri del suo staff e, primo a destra, Fabio Verona.

VIAGGIO TRA I SENSI OLFATTO, GUSTO E MARKETING ESPERIENZIALE

Fabio Verona invita a ripercorrere le tappe dell’itinerario seguito attraverso le pagine di questa rubrica

Nel corso dell’anno abbiamo attraversato, insieme a un team straordinario di medici specialisti e professionisti del gusto, un percorso che ha unito scienza, percezione e creatività. Dalla prima tazzina di caffè osservata con occhi (e nasi) nuovi fino a dolci iconici reinterpretati con spirito ludico, il filo conduttore è sempre stato lo stesso: i sensi e, in particolare, olfatto e gusto, come strumenti di conoscenza, piacere e marketing. Abbiamo scoperto che ciò che definiamo “buono” non è mai solo questione di ricetta o di bilanciamento di zuccheri, ma nasce da un dialogo complesso fra memoria, emozione e stimolazione sensoriale. Profumi e sapori, molecole e ricordi, tatto e consistenze: tutto concorre a formare quella sinfonia che, in pasticceria, si traduce in esperienza.

L’OLFATTO, IL PRIMO ATTORE

Con il contributo del dott. Luca Raimondo, primario di otorinolaringoiatria all’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino, del prof. Thomas Hummel della Smell & Taste Clinic di Dresda, della dott.ssa Vilma Duretto (psicologa e sessuologa) e del prof. Fabio Lanfranco (endocrinologo), abbiamo posto le basi scientifiche del nostro viaggio. L’olfatto si è rivelato non solo un senso, ma un linguaggio primor-

diale capace di influire sulle emozioni, sulla memoria e persino sulle relazioni umane. Attraverso degustazioni guidate di caffè e alimenti, è emerso quanto il percepire consapevolmente possa elevare la qualità del piacere e la percezione del prodotto stesso.

QUANDO IL PROFUMO DIVENTA STRATEGIA

Ci siamo chiesti quanto l’olfatto possa influenzare il marketing e, insieme a Roberto Drago, direttore creativo di Laboratorio Olfattivo, abbiamo esplorato il potere dei profumi nel definire l’identità di un locale. Dai chicchi di caffè buono sparsi davanti a una vetrina, al profumo di croissant appena sfornato che cattura l’attenzione dei passanti, fino alle note di

caramello o cioccolato, che stimolano il desiderio d’acquisto: ogni aroma racconta una storia e costruisce un legame emotivo con il cliente. In fondo, chi domina gli odori, come scriveva Süskind, domina anche il cuore delle persone.

IL LATO SEGRETO DEL PIACERE

L’indagine si è spinta ancora oltre, esplorando il confine tra gusto e desiderio. Con la dott.ssa Duretto e il prof. Lanfranco abbiamo affrontato il tema

“ Ciò che definiamo “buono” non è mai solo questione di ricetta o bilanciamento, ma nasce da un dialogo complesso fra memoria, emozione e stimolazione sensoriale

““Entrambe le ricette vanno abbinate all’Harrods Spiced Black Tea Christmas Edition: è un tè disponibile solo in questo periodo dell’anno, che racconta il Natale a piccoli sorsi, scaldando anima e corpo”.

25 METRI QUADRI DI CUORE

Il piccolo mondo di Benedetta d’Antuono si trova a Sorrento e profuma di limoni e di sogni

ASorrento, in uno spazio di appena 25 m2, è nata una realtà che unisce arte e pasticceria. Profuma di limoni e di sogni: si chiama Cake Art – Piccola Pasticceria Artistica e porta la firma di Benedetta d’Antuono, giovane pasticcera che ha trasformato la pittura e i dolci in un linguaggio unico. Un percorso che parte dall’ALMA, passa per Parigi e approda in una bottega colorata e intima, dove ogni biscotto ha la stessa importanza di una brioche fragrante.

Quando le chiedo come sia arrivata ad aprire la sua realtà, Benedetta sorride e parte dal principio: «In realtà, i miei studi erano tutt’altro, avendo frequentato il liceo scientifico-linguistico; la pasticceria è entrata nella mia vita quasi per caso. Mi ha aiutata a superare un momento buio, insieme alla pittura che è per me una costante. Dopo il diploma ho deciso di frequentare il corso base all’ALMA: 10 anni fa non avrei mai immaginato di aprire una mia attività, mi sentivo fragile e insicura, ma col tempo mi sembra di aver vissuto più vite».

LA FRANCIA

È STATA UNA DI QUESTE VITE

tornata a casa non riuscivo più a risentire l’entusiasmo di prima. Parigi mi aveva aperto gli occhi su una realtà diversa, mentre da noi trovavo un approccio chiuso e tradizionalista». Poi succede un incidente, nel 2021, che diventa la spinta a fare il grande salto: «Ho deciso che era il momento di muovermi concretamente. Volevo un posto mio dove esprimere anche la mia parte artistica. E così è nata Cake Art».

cake design in un vero progetto creativo. Voglio dimostrare che un dolce bello può essere anche buono. Le torte americane spesso vengono considerate insapori, io invece credo che si possa fare un buon cake design con le nostre basi italiane e con quel pizzico di Francia che mi porto dentro».

IL FILO CONDUTTORE È CHIARO

Colore, stagionalità, dettagli: «Il mio stile è in costruzione, ogni torta mi arricchisce. Scelgo ingredienti stagionali e cerco di proporre monoporzioni e torte moderne legate al mese. I limoni non mancano mai, grazie a mio padre che li coltiva, e nel mio laboratorio sono banditi semipreparati e surrogati. I cupcake, ad esempio, sono lontani dall’immaginario americano: li realizzo leggeri, con ganache montate e crema al mascarpone». E poi ci sono prodotti che considera la sua firma: «Le madeleines, a cui sono legata particolarmente, i cookies, la tartelletta al limone e la mia torta Toffee: una mousse moderna al cioccolato al latte, nocciola e caramello salato».

IL PICCOLO LABORATORIO IMPONE ORGANIZZAZIONE FERREA

Dopo le prime esperienze in Italia, Benedetta vola a Parigi e si innamora del lavoro in ristorazione: «La pasticceria da ristorazione mi permetteva di spaziare molto di più nella creatività del dessert al piatto. È stato un periodo intenso, ma

IL NOME NON È CASUALE

«Piccola pasticceria artistica mi sembrava la definizione perfetta. Amo dipingere sulle torte e trasformare il

“ “ Ho imparato a dire no, quei no che talvolta servono per gli ordini all’ultimo minuto che minerebbero l’intera organizzazione del piccolo laboratorio

«All’inizio non è stato facile capire cosa funzionava di più, ma ora ho trovato un equilibrio: ogni giorno propongo tre torte moderne, tre monoporzioni, tre cookies e tre cupcake. Le madeleines non mancano mai e la domenica abbiamo pain au chocolat e cinnamon rolls sfogliati a mano: vanno a ruba ed è diventato un appuntamento fisso. Mi piace l’idea di creare attesa, di dare importanza ad un momento speciale».

Il tempo resta la difficoltà maggiore, soprattutto quando produzione ed eventi

A BerlinoCHE DOLCE C’È

Parafrasiamo il verso di una canzone di inizio anni ’80 di un raffinato musicista italiano, (Garbo, “A Berlino che giorno è…?”) per condurvi in un tour della odierna capitale tedesca

L’ALTRA Berlino

Nello scrivere il reportage su Berlino, abbiamo avuto il piacere di coinvolgere una persona per noi speciale che conosce molto bene questa città. Grazie al dialogo con lui, le strade narrative si sono ampliate, entrando in contatto con ulteriori realtà locali, una turca e l’altra palestinese, di cui potete leggere più avanti. Da qui, il desiderio di creare un ponte, proprio “approfittando” delle esperienze di vita e di lavoro di Adriano Lostia , per scrivere sì di pasticceria, ma anche per codificare una testimonianza più che mai urgente. Perché non è possibile tacere, tralasciare o dimenticare, e anche un “racconto di pasticceria” può e deve diventare veicolo di conoscenza e sensibilizzazione. Lasciamo quindi la penna al nostro inviato speciale, ringraziandolo per la collaborazione.

CIBO E RESISTENZA

La prima volta che andai in Palestina fu nel 2003. Passai un anno straordinario a Gaza, lavorando per i bambini. Successivamente tornai molto spesso, fermandomi per periodi molto più lunghi, ma anche quando vivevo altrove, il mio pensiero andava sempre a questa terra, alle amiche e agli amici di Gaza, Betlemme, Ramallah e Gerusalemme. In questi anni il cibo ha ricoperto un ruolo speciale nella mia relazione con la Palestina. Ricordo la sera del mio primo arrivo: dopo ore di interrogatori alla dogana dell’aeroporto, mi ritrovai finalmente al Jerusalem Hotel e ad accogliermi c’era una tavola imbandita di tutte quelle “insalate” che sarebbero entrate a far parte dei miei piatti preferiti: Mhammara, Baba Ghannush, Tabbule, Fattat Salat e, naturalmente, Hummus. Fu amore a prima vista, letteralmente, vista la cura nella presentazione, ma ancora di più lo fu al primo assaggio. E così l’interesse per la cucina palestinese aumentava, quanto più ne conoscevo la varietà e la ricchezza. Il cibo è stato per me l’argomento con cui instaurare una relazione con le persone che incontravo, a prescindere dalla classe sociale, dall’occupazione, dal genere. Per ognuno significava e significa più che il semplice mezzo per sfamarsi: un aspetto che ci accomuna un po’ tutti, in questo mosaico di culture che è il Mediterraneo. I prodotti della terra, del mare e i processi per trasformarli in alimento

rappresentano il legame con le nostre radici, con la terra che ci ha fatto nascere e nutrito, che parla dei nostri antenati attraverso secoli se non millenni di conoscenza tramandata, che nemmeno un genocidio riesce a rescindere, nonostante il rischio sia grande. Nelle fasi più buie della mattanza di Gaza, senza ingredienti da mettere insieme, la gente ricorreva a qualsiasi cosa potesse trovare in giro, considerando anche il blocco degli aiuti internazionali che marcivano ai valichi. Per molti la conoscenza delle piante spontanee è stata la salvezza, in tanti casi l’unico modo per assicurare vitamine e fibre, vista l’assenza di frutta o verdura sul mercato, se non a prezzi irraggiungibili per la stragrande maggioranza della popolazione. Il cibo che diventa non solo necessario, ma anche collante fra gli esseri umani e capace di ricordare che siamo esseri umani. Il cibo anche come dialogo e denuncia. Numerosi sono i video log (o vlog) di utenti che, negli infiniti mesi, mostravano come con pochi ingredienti disponibili si potessero fare ricette appetitose e nutrienti. È il caso della bambina di 11 anni Renad Attallah (con oltre un milione di follower su @renadfromgaza), che a dispetto della situazione terrificante si mostrava sorridente e allegra, ridacchiando nervosamente solo quando il costante ronzio dei droni era interrotto dalle esplosioni. Oggi lei vive in Olanda e continua a proporre ricette che provengono dalla tradizione, adattate in base agli ingredienti disponibili, piatti semplici che rispecchiano l’identità palestinese.

La lotta per la sopravvivenza impoverisce l’anima e toglie la volontà di vivere. Affermare la propria identità preparando e mostrando al mondo i propri piatti tipici, nonostante la difficoltà o l’impossibilità di procurarsi gli ingredienti necessari, diviene un atto fondamentale per affermare la propria esistenza come popolo, tanto più se il colonizzatore cerca di appropriarsi non solo della tua terra, ma addirittura delle tue tradizioni e dei tuoi piatti. E così la cucina diviene una forma di resistenza, di sumud, la perseveranza anche nei momenti più difficili, per mantenere il proprio posto su una terra, non perché la si possiede, ma perché di questa terra si è parte.

Alcuni giorni dopo il 7 ottobre 2023, preparai nel ristorante di Berlino dove lavoravo la zuppa di lenticchie rosse alla

moda di Gaza, piatto di cui mi innamorai in uno dei campi rifugiati di della Striscia, Al Shati Camp. Era una minestra che mettevo spesso sulla lavagna del menù del giorno, ma quella volta venne vista dai manager come una provocazione, tanto che portò al mio licenziamento. Dopo di allora rifeci molte volte quella zuppa e altri piatti palestinesi per un vasto pubblico, sia allo scopo di raccogliere fondi da mandare alle famiglie di Gaza, sia per creare momenti conviviali e rifocillanti per gli attivisti che, in questi 2 anni, si sono battuti contro il genocidio e per la libertà di tutte le persone che vivono tra il fiume Giordano e il Mare Mediterraneo.

PS

Avrei voluto parlare di dolci qui. Ma lo zucchero non se lo può permettere nessuno, arrivando a costare $100 il chilo. Allo stesso modo ingredienti come pistacchi, formaggio, noci e latte sono tutti introvabili. Addirittura l’esercito israeliano non permette che nessuna merendina o dolce in ogni sua forma possa entrare. Certo si può vivere senza dolci, ma a Gaza manca ogni cosa, la carne è un lusso per pochi, il pesce non può essere pescato se non da riva e ogni cibo fresco è immensamente caro e scarso. Come spesso accade nei genocidi, la privazione del cibo ricopre un ruolo profondo. Non solo si indebolisce la popolazione avversaria, togliendogli la volontà di vivere e obbligandoli a lottare per una manciata di farina, arrivando a colpire quei luoghi, come i cafè, in cui le persone si incontrano per stare assieme, dialogare e, appunto, “restare umani”.

I MIGLIORI BAKLAVA DI BERLINO

La pasticceria PASAM BAKLAVA delizia locali e turisti lungo la Goebenstrasse. Ad accoglierci c’è il titolare Gül Bulut: “Abbiamo aperto nel 2002 grazie all’esperienza di mio cugino che aveva imparato l’arte della manifattura dei baklava in Turchia. La nostra famiglia è arrivata in Germania già negli anni

Buongiorno Samuele, in vista delle festività vorrei proporre un elaborato moderno tipo tronchetto di Natale, che contenga inserti e mousse, e le chiedo come mantenere stabilità dopo il congelamento e il passaggio in vetrina.

Luca Canegrate, Mi

Buongiorno collega, il dolce che immagina dovrà essere frutto del connubio riuscito tra bilanciamento tra solidi solubili (gradi Brix) e grassi, in modo da controllare l’attività dell’acqua libera e prevenire cristallizzazione e rilascio di umidità durante lo scongelamento.

Montare le uova intere con zucchero e zest di limone fino a massima aerazione. Setacciare le farine e incorporarle alla montata. Aggiungere il burro fuso mescolando delicatamente. Stendere su teglia e cuocere a 170°C per circa 10-12 minuti.

Cremoso allo zafferano panna fresca g 200 tuorli g 80 saccarosio g 80 cioccolato bianco g 250 pistilli di zafferano g 1 gelatina 200 Bloom g 4 acqua per idratazione g 20

Entusiasta e instancabile direttore di SigepGiovani, formatore e divulgatore, Samuele Calzari risponde a dubbi e quesiti su info@pasticceriainternazionale.it

■ Per quanto riguarda gli zuccheri tecnici, sconsiglio l’impiego esclusivo del saccarosio, mentre sono utili zuccheri dal basso potere congelante (PAC). Potrà aggiungere una piccola parte di sorbitolo, che agisce come umettante trattenendo l’umidità, e anche il destrosio per abbassare il punto di congelamento, migliorando la consistenza finale dopo l’abbattimento.

■ In merito agli stabilizzanti, anche per la struttura del tronchetto moderno consiglio la combinazione di gelatine: gelatine animali, che offrono strutture elastiche e termoreversibili, ideali per mousse a base panna e/o cioccolato; pectine NH o agar agar per gli inserti, ricordando che necessitano di riscaldamento e di ambiente acido per l’attivazione. Spesso le maltodestrine sono indicate per preparazioni da forno con poca farina (come una pasta biscotto) per migliorare la sensazione di “fondenza” e cremosità in bocca, legando anch’esse acqua libera.

Buongiorno, vorrei un dolce natalizio diverso dal solito, dagli accostamenti di gusto inusuali. Suggerimenti?

Francesco Roma

Buongiorno Francesco, il segreto sta nel “vestire” un ingrediente classico in maniera inaspettata unendo, per esempio, un sapore caldo ad uno fresco e ad un altro innovativo. Le propongo quindi zafferano, limone DOP e pistacchio salato: il primo, oltre al colore, conferisce calore; il secondo aiuta per l’acidità; il terzo introduce una nota di umami e croccantezza. Ecco la ricetta di una monoporzione che raggruppa tutti questi elementi.

Goccia d’inverno

Biscuit soffice al limone

uova g 200 saccarosio g 160 farina 00 W180 g 80

polvere di mandorle g 80

burro fuso g 40

zeste di un limone

Idratare la gelatina in acqua fredda. Scaldare la panna fino a 60°C e unire i pistilli di zafferano. Lasciare in infusione e filtrare. Lavorare insieme tuorli e zucchero, aggiungere la panna filtrata e portare a 82°C (cottura alla rosa). Sciogliere la gelatina idratata nella crema calda e versare sul cioccolato bianco. Emulsionare con un minipimer. Colare il cremoso in stampi da inserto e porre in abbattitore.

Croccante al pistacchio salato purea di pistacchio g 200 burro di cacao g 100 cioccolato bianco g 100 fior di sale g 2

Sciogliere il burro di cacao insieme al cioccolato bianco a 45°C. Incorporare mescolando purea di pistacchio e fior di sale. Stendere il composto molto sottile sul disco di biscuit ritagliato e già coppato della misura della mono.

Mousse leggera di mascarpone mascarpone g 400 zucchero invertito (o destrosio ) g 40 panna fresca semi montata g 600 gelatina 200 Bloom g 12 acqua per idratazione g 60

Idratare la gelatina in acqua fredda. Ammorbidire il mascarpone con lo zucchero invertito. Scaldare una piccola parte di panna e sciogliervi all’interno la gelatina idratata, poi unire al composto di mascarpone. Inserire la panna semi montata, quindi riempire gli stampi da mousse.

Montaggio

Versare la mousse al mascarpone in stampi monoporzione fino a circa metà del volume. Inserire il cremoso congelato e coprirlo con la restante mousse, lasciando spazio per la base. Livellare la superficie con una spatola e chiudere con il disco biscuit croccante. Abbattere in negativo fino a completo indurimento. Glassare o decorare.

Samuele Calzari samuelecalzari.com

NOTIZIARIO

I 180 anni di Besuschio

Correva l’anno 1845 quando nella cittadina dell’hinterland milanese, tra il Ticino e il Naviglio Grande e distante una ventina di chilometri dal capoluogo, Ambrogio Besuschio dava vita all’attività nello stesso locale dove si trova ancora oggi, in un edificio costruito tra il 1400 e il 1500 sotto i portici di piazza Marconi. Sei generazioni dopo, la famiglia celebra l’importante traguardo dei 180 anni di esistenza con la creazione di un dolce inedito, sia in versione mono che

brandizzata creata per il 180° anniversario. In alto, la barretta al cioccolato commemorativa, incisa tramite taglio ad acqua.

per 6/8 persone, pensato come simbolo di continuità tra passato e futuro: una torta moderna brandizzata (con il logo della pasticceria riprodotto su tutta la superficie), che contempla un biscotto al cioccolato 70% senza farina, ganache montata al cioccolato al latte, composta di albicocche e una mousse di due cioccolati (fondente e al latte) in uguali proporzioni. Oltre a questa torta, che gli autori definiscono “audace”, è nata

una tavoletta di pralinato alla nocciola di produzione propria con biscotto finissimo e croccante, sale e vaniglia del Madagascar, sormontata da una sottile lastra di cioccolato al lampone, incisa tramite taglio ad acqua con le date 1845 e 2025. “Questo è un traguardo che ci rende orgogliosi perché, nonostante le diffi-

coltà storiche che si sono susseguite nel tempo e i cambiamenti nelle abitudini e nei consumi, la nostra famiglia è riuscita sempre a reinventarsi non abbandonando le sue radici e ritrovandosi ancora qui, dopo 180 anni, ad essere una tra le famiglie pasticcere italiane più antiche ancora in attività”, dichiarano Andrea Besuschio e il figlio Giacomo. Insieme a loro, che si occupano della supervisione di tutta l’attività e di produzione, coordinamento del laboratorio e sviluppo di nuovi prodotti, lavorano Roberta, moglie di Andrea, che segue packaging, amministrazione e vendita, e il secondogenito Anselmo, che aiuta nelle questioni informatiche. “La nostra è sempre stata una famiglia umile, dedita al lavoro e al sacrificio – aggiungono -. Ancora oggi la mentalità rimane la stessa e riteniamo possa essere proprio questo il filo che unisce tutte le generazioni susseguitesi: impegnarsi nel lavoro, cercando sempre la migliore tecnica o la materia prima

Andrea e Giacomo Besuschio davanti allo storico forno di mattoni.
Torta

ALBUM DEI LETTORI

Quello di Gennaro Aruta è un nome che per decenni è stato punto di riferimento per molti artigiani del cioccolato a Torino e provincia, operando per marchi e realtà di rilievo. Oggi, raggiunto il più che ragguardevole traguardo dei 100 anni compiuti in ottobre, viene festeggiato da famigliari, parenti, amici e colleghi di un tempo, che hanno voluto rendergli omaggio evidenziandone la statura professionale. Anche noi, su queste pagine, desideriamo omaggiarlo, coinvolgendo la figlia Cristina, che ringraziamo, per aiutarci a compiere un breve viaggio a ritroso nel tempo, raccogliendo ricordi e aneddoti.

“Sono nato nel 1925 a Napoli – esordisce Aruta – e mi sono trasferito a Torino nel 1957 per accompagnare mio fratello, al tempo minorenne, che aveva vinto un concorso alle Poste. All’epoca lavoravo per una ditta di Verona, che commercializzava camomilla, e mi diedero un’auto, una 500 Belvedere con la pubblicità del marchio sulle portiere. Uno dei soci mi presentò i clienti di Torino e mi diedero 3.000 lire per lavorare per un mese. In quello stesso periodo mi contattarono da una ditta di Pinerolo attiva al tempo (Manfreres), che cercava un agente di zona: ne avevo sentito parlare e così ho accettato”.

Dopo queste prime “avventurose” esperienze al nord, Aruta si inserisce nel settore del cioccolato: “Ho iniziato con Van Houten, la grossa azienda olandese parte del gruppo Barry Callebaut e la cui concessionaria in Italia era a Milano, gestita dalla famiglia Oreggia. In questa azienda sono rimasto per tutta la mia carriera”. L’operato di Aruta riscuote grande successo nel diffondere i prodotti

e nel confrontarsi con clienti di prestigio, grazie ad un impegno incessante: “Ho girato tanto, in lungo e in largo per tutta la provincia e, prima di andare dai clienti, lasciavo una cartolina con l’avviso di passaggio. Tra le pasticcerie più conosciute di Torino, Gertosio è stato il mio primo cliente. Poi è seguito Paissa in piazza San Carlo (ex emporio storico, tra i più antichi importatori nel nostro Paese dei cosiddetti generi “coloniali”) e non sono mancati marchi importanti come Galup, Maina, Venchi Unica, Pastiglie Leone, Sebaste, Albertengo, Giordano…”. Tra i cioccolatieri torinesi, poteva annoverare tra i clienti e amici anche il compianto Gianfranco “Capitano” Rosso, che si aggiunge ai nomi e marchi noti che hanno beneficiato del supporto attivo di un interlocutore attento, di cui in tanti hanno apprezzato l’operato. “Sono rimasto in contatto con Barry Callebaut, in particolare, ma tutti coloro che ho citato mi ricordano – dichiara soddisfatto –. Per esempio, sono stato invitato da Sebaste in occasione del centenario e la Venchi conserva alcuni miei mandati scritti a macchina con carta carbone…”. E non mancano gli ex colleghi come Gerry Scorzelli a ricordarne l’importan-

te lavoro compiuto, esprimendo sentita gratitudine nei suoi riguardi: “Aruta ha via via ricoperto mansioni di responsabilità a livello regionale e nazionale per Barry Callebaut. Io sono stato assunto da lui come agente per la città di Torino, nel 1994, e gli sarò sempre riconoscente per l’opportunità che mi ha dato”. In conclusione, torniamo allo stesso Aruta, chiedendogli quale insegnamento desidera lasciare ai giovani che iniziano a muovere i primi passi nel suo campo: “Non dite mai di no nel gestire i rapporti, ma tenendo sempre ben presenti gli obiettivi che volete raggiungere. Bisogna essere sempre positivi e tutto può essere risolto con la bocca, per esprimere il vostro pensiero, e con gli occhi, per osservare l’atteggiamento di chi vi sta di fronte e agire di conseguenza”.

“ ”

Bisogna essere sempre positivi e tutto può essere risolto con la bocca, per esprimere il pensiero, e con gli occhi, per osservare l’atteggiamento di chi sta di fronte e agire di conseguenza

Aruta con, da destra, Andrea Pucci, direttore vendite Callebaut; Luigi Lomonaco, titolare di Chocolitaly; Piero Arpesella, dirigente Irca Group.
Alessandro Fioraso, Aldo Frezzato, Gianni Gertosio e Gerry Scorzelli.

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