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INSERTO BAMBINO INFORMAZIONE PUBBLICITARIA A CURA DELLA A. MANZONI & C. S.P.A.
LA CEFALEA NEL BAMBINO. PARLA IL NEUROLOGO UBALDO BONUCCELLI
Mamma, il cuore mi batte in testa NE SOffRE Il 15%. SPESSO è EREdITARIO. lE cuRE.
Ubaldo Bonuccelli, (nella foto) direttore dell’Unità Operativa di Neurologia, all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, spiega il fenomeno che coinvolge circa il 15% della popolazione in età pediatrica
“M
amma, sento il cuore che mi batte in testa. Mi fa male. Ho paura.” “Dottore, al mio bambino per qualche secondo è andata via la vista. Sono preoccupata”. Sono due sintomi tipici delle cefalee infantili, un fenomeno non raro che sovente giunge in Pronto Soccorso, coinvolgendo anche il 15% della popolazione in età pediatrica. “La cosa importante – spiega Ubaldo Bonuccelli, direttore dell’Unità Operativa di Neurologia, all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana – è di inquadrarla innanzitutto nella storia della famiglia e del paziente e poi iniziare un percorso personalizzato”.
La maggior parte dei casi di mal di testa del bambino/adolescente, soprattutto quelli in cui gli episodi tendono a ripetersi – spiega in questa intervista rilasciata nell’ambito della “Settimana mondiale del cervello”, promossa dalla SIN, la Società Italiana di Neurologia --sono classificabili tra le cefalee primarie: emicrania, cefalea tensiva e molto raramente cefalea a grappolo. L’emicrania rappresenta la più frequente cefalea primaria del bambino, almeno fino all’adolescenza. È dovuta ad una predisposizione genetica, testimoniata spesso dalla presenza di altri casi di emicrania nella famiglia
di appartenenza. Può manifestarsi a qualsiasi età anche se, di solito, i sintomi nella prima infanzia non includono il mal di testa: si tratta di sintomi definiti come equivalenti emicranici e comprendono: il vomito ciclico, i dolori addominali ricorrenti, le vertigini parossistiche benigne, il torcicollo parossistico, i dolori ricorrenti agli arti inferiori (comunemente noti come “dolori di crescita”). Nel bambino più grande, invece, il sintomo dominante è il mal di testa, generalmente di intensità medio-forte e di breve durata (anche 5-10 minuti). In alcuni casi il dolore interessa metà del capo ed è pulsante (spesso i bambini dicono di “sentire il cuore in testa”).Vi può essere la presenza di sintomi di accompagnamento, come il fastidio per la luce (fotofobia), i rumori (fonofobia) e gli odori (osmofobia); e, ancora, nausea, vomito, dolori addominali e pallore. Inoltre, durante l’attacco emicranico il bambino appare abbattuto, a volte sonnolento e può accadere che interrompa
le attività. La principale differenze del dolore emicranico infantile rispetto a quello dell’adulto può riguardare tutta la testa anziché solo metà. Anche quando è molto intenso, non è scontato che sia accompagnato da nausea, vomito, intolleranza ai rumori e alla luce. Aumenta d’ intensità, ma non è sempre pulsante e gli attacchi hanno una durata più breve, al massimo 2-3 ore. Nella forma di emicrania con aura (più rara), il mal di testa è preceduto o accompagnato da veri e propri sintomi neurologici: disturbo della vista (visione di “luci”, offuscamento della vista, perdita transitoria di parte del campo visivo), formicolii e riduzione della sensibilità di un arto o di metà del corpo, difficoltà a muovere un arto o metà del corpo, disturbo del linguaggio. I fattori che scatenano l’emicrania infantile sono più o meno gli stessi degli adulti: lo stress come gli impegni scolastici ed extrascolastici che sottopongono i bambini a una serie di tensioni emotive. Il cioccolato è spesso l’alimento preferito, ma può dare luogo ad attacchi di mal di testa, il fast food ricco di cibi che contengono nitriti e nitrati, vasodilatatori che possono scatenare un attacco. Un altro tipo di cefalea primaria dell’età pediatrica è la cefalea tensiva che colpisce nel periodo adolescenziale. In questo caso il dolore è general-
mente di intensità più lieve, bilaterale e costrittivo (come una morsa) ed è solo eccezionalmente associato a fonofobia, fotofobia e nausea. L’adolescente sembra in grado di proseguire le sue attività. La frequenza dell’emicrania cambia con l’età:2-3% sotto i 7 anni,7-10% fra i 7 ed 11 anni fino al 15% negli adolescenti, sempre con evidente prevalenza nel sesso femminile. Ancora più frequente la cefalea tensiva. Interessante il dato relativo al ricorso al Pronto Soccorso: in genere accedono con i genitori gli adolescenti di 13-14 anni, spesso dopo un paio
di giorni di mal di testa e sintomi di accompagnamento come il vomito.
Le possibili cure sono numerose e si basano su farmaci che bloccano il vomito e/o agiscono sull’infiammazione che accompagna l’attacco e sui meccanismi arteriolari che scatenano l’attacco: questi ultimi farmaci, i triptani, ben noti agli adulti che soffrono di emicrania, vanno assunti poco dopo l’inizio dell’attacco e sono ormai approvati anche in età evolutiva al di sopra dei 12 anni.
Gian Ugo Berti
INSERTO BAMBINO - SABATO 12 APRILE 2014
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Il PARERE dI ARMANdO PIccINNI, PSIchIATRA All’uNIvERSITÀ dI PISA
Depressione e bambini: scoprirla non e’ facile Ne soffre l’1– 2%. Tanti e diversi i disturbi. Il ruolo dei genitori, del medico e della scuola
P
uò cominciare a perdere l’appetito, ad avere disturbi del sonno, a lamentarsi per un mal di pancia non ben definito e senza un punto di riferimento preciso, ma può accusare al contempo una strana ed inspiegabile stanchezza. Oppure viene a mancare la fiducia in sé stesso, si dimostra in sostanza nervoso ed irritabile, reazioni in verità non comuni per il suo consueto comportamento. Sovente è dunque la mamma ad avvertire un insolito disagio, attraverso una sensibilità unica rispetto ad altre figure che ruotano attorno al bambino nell’ambito della sua vita quotidiana. Sta quindi soprattutto a lei mantenere un contatto costante con il medico e lo psichiatra, se dovessero perdurare nel tempo. Fare quindi diagnosi di depressione ( 1-2% in epoca giovanile) non è facile, ma è possibile. Lo spiega Armando Piccinni, psichiatra all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. In pratica, si riteneva che solo l’adulto potesse avere questa malattia, ma le cose, rispetto a soli
Le caratteristiche nei giovani - aggiunge - sono i cambiamenti emotivi, dell’attività cognitiva, le variazioni delle motivazioni ed i sintomi della sfera neurovegetativa. L’umore depresso è il principale sintomo emotivo. Il bambino piange più del solito, ma in alcuni casi ci sono bambini che hanno voglia di piangere ma non sono in grado di farlo. Non riesce a dire di sentirsi depresso, ma dice di sentirsi “male”. E’ più irritabile e nervoso . Uno stato d’animo che precede l’insorgenza dell’umore depresso è l’incapacità di provare gioia di vivere e piacere. vent’anni fa, sono cambiate. Oggi, ad esempio – precisa Piccinni in questa carrellata espositiva -un bambino oppositivo e incontentabile o particolarmente irritabile può essere un bambino con un episodio depressivo in atto. La coesistenza con la depressione di altri disturbi psichiatrici appare comunque frequente. Come quelli di d’ansia, da iperattività con deficit dell’attenzione ( ADHD), psicotici ed, a causa della diffusione dell’utilizzo delle droghe, anche tra i giovanissimi, i disturbi da uso di sostanze.
In questi bambini – sono sempre sue parole - l’autostima si abbassa e compare un’ipervalutazione delle difficoltà anche rispetto a compiti che essi stessi svolgevano senza fatica fino a poco prima. Sono indecisi e prendono le decisioni
con difficoltà sia a causa della mancanza di fiducia in se stessi, che della difficoltà che hanno nello svolgimento del pensiero. Quando la depressione si approfondisce, possono sentirsi “cattivi” o in colpa per piccole marachelle compiute nel passato che appaiono come insanabili incidenti. E’ normale per i più grandi e gli adolescenti sentirsi in colpa quando i genitori si separano; il senso di disperazione e d’ impotenza può essere presente nei casi più gravi, un richiamo a valutare l’ideazione di suicidio. Ecco allora che compaiono la scarsa vitalità, l’apatia e la stanchezza immotivata. Avere informazioni dagli insegnanti può essere molto importante per la valutazione di questi aspetti del disturbo. I principali sintomi vegetativi – continua lo psichiatra pisano -sono le variazioni dell’appetito, del peso, del ritmo sonno veglia e dell’attività. Spesso gli adolescenti si lamentano di sintomi dolorosi diffusi in tutto il corpo o di dolori addomi-
nali o alla testa. Ciò puo’ distrarre il medico dalla diagnosi di depressione. Non è facile però arrivare ad una identificazione della malattia. Di sicuro è la differenziazione tra umore “normale” e umore depresso. Il dilemma – sottolinea - risiede proprio nella definizione dei confini tra normalità e patologia. Ciò accade anche a causa delle continue variazioni fisiche e cognitive che intervengono in questa fascia d’età. Gli adolescenti hanno infatti la tendenza a sentire le cose e i fatti con particolare profondità, sono particolarmente frequenti gli sbalzi d’umore e può essere difficile distinguere le intense reazioni emotive dai disturbi depressivi. Al contrario i bambini più piccoli hanno difficoltà a descrivere come si sentono e con facilità fanno confusione tra differenti sensazioni, come la tristezza e la rabbia non riuscendo sovente a descrivere la disperazione o la perdita della capacità di provare piacere. Ecco, dunque, il messaggio – così conclude Piccinni – continuare in
I segni a cui dobbiamo prestare particolare attenzione sono il cambiamento del comportamento sociale, scolastico o familiare sostanza ad essere vigili e ad ascoltare sempre attentamente, a scuola ed in famiglia, quello che i bambini e gli adolescenti cercano di comunicarci, pur se a volte attraverso un linguaggio improprio o poco decifrabile per noi adulti. Il ritmo di vita accelerato del nostro tempo ci ha, in ogni modo, disabituato a far questo. I segni a cui dobbiamo prestare particolare attenzione sono il cambiamento del comportamento sociale o scolastico o familiare, i segnali di sofferenza in qualunque modo vengano espressi e naturalmente i sintomi francamente patologici di umore depresso in cui compare l’idea del suicidio g.u.b.
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I suggerimenti del Pediatra, Edoardo Micheletti
Mal di pancia: quando preoccuparsi In attesa del medico, cosa deve fare la mamma
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l bambino comincia ad accusare mal di pancia. La mamma cerca di non mostrare preoccupazione. Ma tanti dubbi comprensibilmente l’assalgono. Sarà un fatto banale? Forse ha mangiato qualcosa che gli ha fatto male? Probabilmente fa così perché è stitico? Deve considerarla un’emergenza? Magari un’appendicite? Sarà necessario farlo vedere da un chirurgo? Lo porto subito in ospedale? In aiuto di un’evenienza non rara, viene Edoardo Micheletti, già direttore dell’Unità Operativa di pediatria Medica agli Spedali Riuniti di Livorno. Il dolore addominale acuto – sottolinea - si classifica in base alla storia della persona, alla sua natura, alla sede ed ai disturbi che si associano. Le principali cause di addome acuto chirurgico in base all’età sono nel lattante l’invaginazione intestinale,
la malrotazione con formazione di un volvolo, l’ostruzione di un’ernia. Oltre il primo anno prevalgono l’appendicite , la peritonite, la flogosi del diverticolo di Meckel. Dopo i primi 4/ 5 anni di vita un bambino è in grado di fornire utili indicazioni sulle caratteristiche e la sede di un eventuale sintomatologia dolorosa, prima di questa età è molto probabile invece che indichi sempre la zona periombelicale per indicare qualunque sintomo origini dall’addome, che sia esso nausea o dolore. La classificazione dei dolori addominali nel bambino piccolo e tanto più nel lattante, non è quindi di alcuna utilità per avvicinarci alla diagnosi. Preziose indicazioni si traggono invece dalla osservazione degli atteggiamenti spontanei del bambino, con riferimento a determinato posizioni antidolorifiche, ma soprattutto da elementi di accompagnamento . D’altra parte il bambino piccolo, tanto più se sofferente non accetta di buon grado i vari passaggi e le manovre per effettuare
l’esame dell’addome. La mancata collaborazione, il pianto, i movimenti di evitamento rendono impossibile procedere ad un esame che sia di una qualche utilità. Ecco quindi che dobbiamo valorizzare altre importantissime informazioni, alcune delle quali vengono dai familiari, altre che potranno essere direttamente osservate. Anche la diversa risposta al dolore di ogni singolo bambino diviene una variabile e nessun esame strumentale o di laboratorio, tranne rare eccezioni, è dirimente per certificare una diagnosi. La storia clinica si rivela importantissima, in riferimento alla presenza ed alle caratteristiche di eventuale vomito e all’aspetto delle feci. Il dolore dell’appendicite può iniziare uno o due giorni prima del quadro conclamato, all’inizio è vago e poco localizzato, è costante e con il passare del tempo tende a localizzarsi al quadrante addominale destro. In genere l’appendicite acuta dà stitichezza, ma nelle localizzazioni appendicolari pelviche possono essere
presenti diarrea e sintomi urinari. Il dolore tende ad accentuarsi con i movimenti e può essere di aiuto chiedere al bambino di scendere da solo dal lettino facendo un piccolo salto per osservare la eventuale accentuazione improvvisa del dolore. Nel caso che l’appendicite si perfori, la immediata detensione porta ad un improvviso miglioramento del sintomo dolore, con peggioramento rapido e grave poi nelle ore successive per la comparsa di peritonite. Il dolore dell’invaginamento intestinale del bambino tra i sei mesi e i tre anni, è spesso crampiforme, intermittente, con brevi periodi di apparente cessazione. Il pallore, lo stato sofferente e letargico, e successivamente la distensione addominale e le poche feci con muco e di sangue, debbono orientare il sospetto clinico verso un’invaginamento intestinale e porre l’indicazione per una immediato esame ecografico ed una consulenza chirurgica. Purtroppo nessun segno o sintomo hanno un valore dirimente assoluto, ma è
necessario tenere a mente che esistono sintomi comuni di allarme che debbono farci sospettare una patologia più grave. Il bambino appare malato o sofferente ? se i genitori
ci riferiscono che corre saltando su e giù per la stanza probabilmente il quadro non necessita di ulteriori approfondimenti diagnostici e possiamo suggerire solo una attenta osservazione delle evoluzione clinica dei sintomi riferiti. Il bambino appare malato o sofferente? È utile sapere se il quadro sta migliorando o sta peggiorando. Se il dolore si accentua con il movimento, vi è un atteggiamento di difesa addominale, il bambino sta quasi immobile per evitare determinati movimenti, vi è sanguinamento o disidratazione, anemia e/o pallore, è presente vomito ematico o biliare, il bambino è disfagico, dobbiamo necessariamente considerare la possibile presenza di una situazione grave che coinvolga anche il chirurgo nella valutazione di una diagnosi differenziale. L’attenzione alle condizioni generali del bambino, così come ai suoi comportamenti, fornisce quindi utilissimi parametri di riferimento, valutabili anche dai genitori, per l’inquadramento dei disturbi. g.u.b.
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1 su 3 è sovrappeso od obeso
Un bimbo grasso, non e’ sano Ma non sempre e’ colpa sua Le parole di Giuseppe Saggese, direttore Clinica Pediatrica all’Università di Pisa. Il ruolo della famiglia.
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ai bilancia non fa sconti: un bambino su tre, in Toscana, supera il livello normale ed è sovrappeso ed anche di più, obeso. Ma non basta: il 10% ha la pressione alta e soprattutto andranno incontri alla sindrome metabolica ovvero ipertensione, aumento del colesterolo e degli zuccheri nel sangue, con una ridotta aspetta-
tiva di vita. La colpa non è soltanto sua, precisa Giuseppe Saggese, direttore dell’Unità Operativa di Pediatria all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, ma del contesto sociale, culturale in cui nasce e vive. Già la stessa alimentazione della madre in gravidanza, se in eccesso di calorie, può essere la premessa di un sovrappeso infantile ed adolescenziale. Altre complicanze sono quelle ortopediche (valgismo, piattismo dei piedi), problemi respiratori (asma, apnea nel sonno). Quindi le psicologiche: l’adolescente obeso prova disagio per la propria immagine corporea, sviluppa
una sensazione di diversità con ridotta autostima. Ne nasce un complesso di inferiorità che porta ad un progressivo isolamento sociale e il cibo rimane l’unica fonte di gratificazione. Si tratta di un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Tra le cause si riconosce una predisposizione genetica ed epigenetica, ma sicuramente i fattori ambientali rivestono il ruolo principale. Tra questi l’alimentazione non corretta e la ridotta attività fisica. Le cattive abitudini alimentari hanno un ruolo predominante. Frequenza di consumo quotidiano di alcuni cibi fuori pasto: merendine 18,6%, focaccia 18,4%, bevande gassate 44%, nutella 25,3%.Solo il 37% dei bambini consuma frutta e verdura quotidianamente È stato anche dimostrato che il saltare la colazione si accompagna ad una maggiore incidenza di obesità e sindrome metabolica. Uno degli aspetti negativi del saltare la colazione è quello della mancata assunzione di latte che è fondamentale per
l’apporto di calcio che serve a garantire una ottimale mineralizzazione ossea. Poi ci sono la scarsa attività fisica e la sedentarietà: il 12% dei bambini non pratica alcuna attività fisica, il 13% dei bambini effettua attività fisica per non più di 1 ora la settimanat, solo il 17% dei bambini si dedica con continuità. Vanno a scuola a piedi/bicicletta il 27% dei bambini della scuola primaria e il 37% degli adolescenti della scuola secondaria, mentre vanno a scuola in automobile/bus il 71% dei bambini della scuola primaria e il 60% degli adolescenti della scuola secondaria. Per quanto riguarda la prevenzione si deve prevedere un’azione coordinata dal pediatra e si deve realizzare con l’intervento della famiglia, della scuola e delle istituzioni. Il lavoro del pediatra non è facile: di fronte ad un bambino obeso il 77% delle madri ritiene che sia solo in lieve sovrappeso. Nonostante questo, il pediatra ha la possibilità di iniziare precocemente un’educazione dei genitori e dei
bambini verso abitudini nutrizionali sane e la pratica dell’attività fisica. La famiglia ha un ruolo importante perché può educare i bambini verso una sana alimentazione, combattendo la sedentarietà attraverso un controllo sull’uso del computer e della TV da parte dei figli. Le istituzioni hanno anch’esse un ruolosignificativo sia nella programmazione di interventi sulla prevenzione dell’obesità sia con un maggiore controllo degli spot pubblicitari di alimenti. Un’indagine della Società Italiana di Pediatria ha dimostrato che per 3 ore di programmazioni televisiva nelle fasce orarie dedicate ai bambini vengono passati 20 spot pubblicitari di alimenti (patatine, meren-
dine, cioccolate, snacks, bibite gassate, etc.), che significa 5.000 spot all’anno. In Francia il governo ha tassato le bevande gassate ipercaloriche. Per l’obesità del bambino non c’è spazio per una terapia farmacologica.È importante che assuma una dieta normocalorica per l’età, con una adeguata ripartizione degli alimenti e dei macronutrienti (carboidrati: 55-60%, grassi: 25-30%, proteine: 15%). I risultati migliori si ottengono soltanto quando i familiari del bambino (genitori, nonni, etc.) sono ben consapevoli del problema e partecipano attivamente alla sua rieducazione alimentare, che in alcuni casi deve essere estesa a tutti i componenti familiari g.u.b.
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Una corretta prevenzione per evitare futuri problemi
Denti sani e bambini: via il ciuccio a 3 anni
Prima visita a 30 mesi. Come lavare i denti. I consigli di Ugo Covani dell’Istituto Stomatologico Toscano
L
a paura del dentista non nasce col bambino, ma sono i genitori a creargli uno stato d’ansia. Il ciuccio non va tenuto oltre i tre anni. Il biberon della notte deve contenere solo acqua e non sostanze zuccherine. Gia’ fin dalla nascita dei primi denti da latte, insegnare un corretto lavaggio. Più facile a dirsi che a farsi, perché sono importanti punti della prevenzione e della pedodonzia ovvero l’odontoiatria pediatrica. Lo spiega Ugo Covani, dell’Istituto Stomatologico Toscano. Il giusto approccio psico-
logico adottato dal professionista consente di aiutare il bambino a superare le paure, talvolta trasmesse inconsapevolmente dai genitori divenuti odontofobici a causa di esperienze negative pregresse e di affrontare con serenità lo studio odontoiatrico, con gli odori e i rumori, non sempre piacevoli, che lo caratterizzano. Il bambino è un soggetto dinamico in continua evoluzione, per questo alcune abitudini viziate, come parlare male, respirare in maniera inadeguata, deglutire in modo non corretto o succhiare il dito o il ciuccio in maniera prolungata, determinano un’influenza negativa sullo sviluppo dei mascellari. Compito è ripristinare, nelle diverse fasi della crescita, l’armonia, così da permettere un sano sviluppo delle strutture afferenti al cavo orale. ‰ Controllo ogni sei mesi Il succhiamento del pollice o l’utilizzo del ciuccio non dovrebbero prolungarsi oltre il terzo anno e, ove continuasse, bisognerebbe portare il piccolo dal dentista per monitorare che l’abitudine viziata non comporti nel tempo disfunzioni ed alterazioni dell’occlusione. Il biberon della notte dovrebbe contenere solo ACQUA, senza l’aggiunta
di zucchero o di qualsiasi altra sostanza (latte, camomilla, tisane varie, ecc.): durante la notte infatti la salivazione è notevolmente ridotta, e questo fa sì che gli acidi attacchino in maniera maggiore lo smalto dei denti. Il bambino dovrebbe essere sottoposto ad un controllo odontoiatrico ogni sei mesi. ‰ Alimentazione corretta I batteri cariogeni costituenti la placca batterica, necessitano di carboidrati per vivere e riprodursi e il metabolismo di tali sostanze, specie degli zuccheri, produce acidi che provocano la demineralizzazione dei tessuti duri dentali e la carie. L’assunzione di bevande e cibi contenenti zuccheri è sconsigliata fuori dai pasti principali; in particolare, l’uso del succhiotto edulcorato e l’uso non nutrizionale del biberon contenente bevande zuccherine devono essere sconsigliati. ‰ Andare dal dentista Lo scopo della prima visita, intorno ai due anni e mezzo, dovrà essere un momento di conoscenze fra i genitori, il piccolo paziente e il dentista, che provvederà a dare le informazioni sulle misure di igiene orale più opportune e le abitudi-
ni viziate capaci di creare le premesse malattie del cavo orale e dei denti . ‰ A che età cominciare a spazzolare i denti Lo spazzolamento dovrebbe cominciare fin dalla comparsa del primo dente ed eseguito dai genitori fino a che il bambino non avrà maturato adeguate capacità manuali, come un gioco. Così è utile farlo partecipare da spettatore alle manovre di igiene orale dei genitori. ‰ La paura del dentista Non è innata ed i genitori dovrebbero evitare di trasmettere paure ed ansie e avvicinare il bambino allo
studio odontoiatrico e al dentista, fin dalla più tenera età ed in condizioni di salute, così da creare una familiarità con il dentista ed il suo ambiente. ‰ Cura dei denti di latte Si dimostra importante perché è necessario che durino fino alla nascita dei denti definitivi, guidandone in qualche modo una corretta eruzione. In caso di perdita precoce, valutare con il dentista la possibilità di posizionare in bocca dei mantenitori di spazio onde evitare complicazioni. Inoltre la perdita precoce può comportare problemi che interessano la fonazione, la nutrizione e quindi la cor-
retta crescita fisica e psicologica del bambino. ‰ Traumi dentari Se un bambino cade e batte i denti da latte, le conseguenze possono interessare anche i denti permanenti che sono in formazione. Occorre far visitare il bambino da un dentista, che potrà inquadrare la situazione. In caso di trauma dei denti permanenti con perdita di un dente o di un suo frammento si consiglia di conservare il dente o il frammento in soluzione fisiologica, latte o anche solo acqua e di ricorrere nel più breve tempo possibile alle cure. g.u.b.
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SEIcENTO cASI l’ANNO IN TOScANA
Anca: dallo “scatto” all’ecografia: La storia della lussazione congenita L’esperienza di Luigi Pardelli, già professore alla Clinica Pediatrica dell’Università di Pisa
P
er generazioni di bimbi, è stato il “segno dello scatto”, una manovra importante per il pediatra allo scopo di verificare con la visita l’esistenza o meno della lussazione congenita dell’anca ovvero la testa del femore è posizionata fuori dalla cavità naturale, l’acetabolo. Divaricando infatti le gambe del piccolo, il movimento in caso positivo provoca un tipico suono dovuto allo scatto in entrata, che causa la riduzione della sublussazione dell’anca, col femore che ritorna all’interno dell’acetabolo. La manovra si chiama di “Ortolani”, dal nome del pediatra che l’applicò per primo, fin dagli anni ’30 del secolo scorso. Ma la conoscenza del problema esisteva fin dai tempi d’Ippocrate, il padre della medicina moderna.
Non è comunque un evento raro. In Toscana, ad esempio, è una situazione che coinvolge ogni anno circa seicento neonati ( in linea però con la media nazionale). Alla base – spiega Luigi Pardelli, professore fuori ruolo alla Clinica Pediatrica dell’Università di Pisa – possono sussistere fattori genetici, essendo spesso bilaterale, oltre alla presentazione podalica del feto al momento del parto. Ma non deve essere esclusa una particolare debolezza dei legamenti della capsula articolare.
L’esperienza dello specialista – aggiunge Pardelli– valutava al contempo altri segni come l’asimmetria delle pliche cutanee dei glutei, che apparivano più numerose e profonde. Poi l’accorciamento dell’arto che tende alla extra – rotazione. A confermare il sospetto diagnostico, fondamentale è stata ed è l’esecuzione intorno al terzo mese di vita della radiografia delle anche e calcolare quindi i rapporti scheletrici articolari tra femore ed anca. Da qualche tempo, grazie
al perfezionamento delle tecniche ultrasoniche, è di routine l’effettuazione dell’ecografia, un esame che si effettua entro sessanta giorni dalla nascita, soprattutto davanti alla positività del segno dello scatto. Non dà però una certezza assoluta. Circa le cure, molto dipende dall’entità dell’anomalia stessa, diagnosticata dallo specialista. Esistono varie scelte, come ad esempio il divaricatore ( quello più noto è senz’altro l’apparecchio di Putti) . Si tratta, in particolare, d’ un dispositivo più o meno rigido, che serve a mantenere le anche divaricate, in modo da aiutare la testa del femore ad incanalarsi e rimanere in sede corretta. Deve essere indossato per tutto il giorno (in alcuni casi anche solo di notte) per un periodo variabile di alcuni mesi, a giudizio medico. Se invece l’anomalia fosse di grado più lieve (come succede nella maggior parte dei casi), per correggere il difetto si consiglia alla mamma di tenere spesso il bambino in braccio su un fianco, in modo da farlo stare con le gam-
bine divaricate; un’alternativa efficace e comoda è tenerlo nel marsupio; va bene anche la posizione supina nella culla. Sul piano pratico della quotidianità, è diffusa opinione popolare che si possa trarre giovamento, applicando il doppio pannolino. Va detto subito, però, come il suo utilizzo non abbia alcuna validità scientifica a fini terapeutici, tuttavia – suggeriscono gli esperti - può rientrare tra le norme posturali che aiutano a tenere le gambe divaricate. Emerge dunque l’importanza di poter diagnosticare un’eventuale malformazione congenita dell’anca nei primissimi mesi di vita, per poterla curare evitando che diventi una malformazione vera e propria. Una pre lussazione diagnosticata e curata nei primi 3-4 mesi di vita, nella quasi totalità dei casi, va verso una guarigione completa in uno spazio di tempo rela-
tivamente breve. Diagnosticata dopo l’anno di età, quando il bambino ha già camminato, richiede delle cure molto più impegnative (come gessi, interventi chirurgici), più lunghe e con risultati non sempre eccellenti. Ne consegue allora la necessità – conclude Pardelli – di verificare con attenzione, fin dopo il parto, lo stato di salute dell’anca, nel contesto d’ una verifica della storia familiare. Basta in effetti un esame clinico accurato per far scattare un sospetto ed iniziare così quella serie di accertamenti strumentali, validi per giungere ad una diagnosi sicura. Oggi, senz’altro la cultura della salute è certo più elevata d’un tempo e dunque si parte con un rapporto pediatra – genitori ben diverso dal passato. In ogni caso, è bene instaurare un dialogo costante e fattivo nell’ottica di tutelare al meglio la salute del bambino g.u.b.
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Mille casi l’anno in Toscana
Occhio pigro: genitori fate attenzione A sei anni, non c’e’ piu’ niente da fare Lo sostiene Marco Nardi, dell’Università di Pisa. Prima visita fra i 2 ed i 3 anni.
U
na volta era la visita militare di leva ad evidenziare, fra altri problemi, la presenza dell’occhio pigro ( circa mille nuovi casi ogni anno in Toscana). Ora, con il perfezionarsi dei controlli di medicina sociale, può essere invece riconosciuto molto prima, consentendo così un’apposita cura. Sì, perché intervenire in qualunque modo ai 18 anni, è praticamente inutile. Il danno si è infatti ormai cronicizzato. Il termine medico è ambliopia. Il bambino tende ad utilizzarne soltanto uno, quello con cui vede meglio, smettendo dunque di lavorare con l’altro, che diventa appunto pigro. Ma non è soltanto questo il problema visivo nel bambino. Come spiega Marco Nardi, direttore dell’Unità Operativa di Oculistica Universitaria all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, pur raro ( tre nuovi casi l’an-
no nella nostra regione) è il glaucoma congenito con l’aumento della pressione all’interno dell’occhio, il suo aumento di volume e l’aspetto ad “occhio bovino”. Forse non molti genitori sanno inoltre che il torcicollo non sempre si dimostra essere un problema ortopedico, ma a volte si tratta di una condizione di strabismo. Ecco dunque alcuni utili consigli sul come comportarsi nei confronti dello stato di salute del sistema visivo nel bimbo, evitando situazioni non sempre facili a riscontrarsi
e comunque difficili da eliminare se si agisse troppo tardi. Il bambino – spiega Nardi - viene normalmente valutato in ospedale dopo il parto. Se non vi sono problemi manifesti si rivaluta tra i 2 ed i 3 anni quando riesce a comunicare verbalmente riconoscendo simboli semplici (sole, pesce, ombrello), in quanto solo a questo punto si può misurare la vista e ciò è importante poichè l’occhio pigro è anatomicamente normale. Poi si rivaluta verso i 5-6 anni all’inizio della attività
scolastica, per essere sicuro che non abbia situazioni che potrebbero penalizzarlo nell’apprendimento ma soprattutto in quanto è l’ultima occasione d’ un trattamento per l’occhio pigro ‰ Ambliopia: il bambino che ha un occhio pigro ha un comportamento perfettamente normale ed il difetto non è riconoscibile dai genitori. L’occhio pigro interessa il 3-4% dei bambini (molto spesso è familiare) e una volta veniva spesso
rilevato alla visita militare, quando era troppo tardi per un possibile trattamento; infatti l’occhio pigro è trattabile fino ai 6 anni di età costringendolo a lavorare, in genere con la occlusione dell’occhio buono. Dopo i 6 anni si ha la maturazione delle connessioni nervose con perdita della cosiddetta plasticità e quindi le cure non sono più efficaci. Il trattamento in genere permette di recuperare i 10/10 ma è tanto più efficace quanto più precocemente è iniziato. È pertanto essenziale far visitare i bambini anche se apparentemente sani intorno ai 2-3 anni di età (appena iniziano a riconoscere simboli semplici, quali il sole , il pesce e l’ombrello) e poi prima dei 6 anni di età, termine ultimo per un eventuale trattamento. ‰ Glaucoma congenito: è raro (1:10.000), ma non eccezionale. Durante il periodo fetale e la primissima infanzia il bulbo oculare ha infatti un involucro molto cedevole, per cui un aumento della pressione oculare causa un ingrandimento di tutto l’occhio (nei casi più evidenti si parla di buftalmo [occhio bovino]).
Ovviamente l’aumento di volume del bulbo non evita l’insorgenza di danni di tipo glaucomatoso a livello del nervo ottico, danni che possono portare alla cecità. Alcune volte è molto difficile per l’oculista dire alla mamma che quegli occhi così grandi non sono una variante normale, ma una grave malattia che porterà il bambino all’intervento chirurgico e potrà causargli handicap non indifferenti. ‰ Il torcicollo nel bambino non è sempre un problema ortopedico: molto spesso dipende da uno strabismo che consente la visione binoculare solo in alcune posizioni di sguardo. Per guardare diritto e vedere singolo il bambino sarà costretto a una posizione innaturale che, a lungo andare, porterà anche modificazioni scheletriche. È pertanto fondamentale che, in presenza di una posizione viziata del capo, il bambino venga visitato quanto prima dall’oculista. Una diagnosi ed una terapia (in genere chirurgica) precoce impediscono l’instaurarsi di alterazioni secondarie irreversibili della colonna vertebrale. g.u.b.