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Il Pd cambia Chi resta e chi va
from L'Espresso 10
by BFCMedia
Con Schlein alla guida ci sarà posto nel partito per le posizioni “riformiste”? Ecco le risposte diverse di due esponenti che vengono dalla tradizione dc
Beppe Fioroni, ne è fiero?
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«Scusi, di cosa?».
Per i grillini uno valeva uno, secondo la “sardina”

Mattia Santori, invece, nel Pd per un Fioroni che esce, ne entrano in cento.
«Ci vuole sempre prudenza con le battute quando si vince e però sono curioso di conoscere quelli che erano in coda all’ingresso aspettando il mio addio a un partito che ho contribuito a far nascere. E poi vorrei aggiungere per Sartori che ho lasciato alla vigilia delle primarie e non dopo la vittoria di Elly Schlein».
Era l’unico che sapeva?
«No, sono tra i pochi, non l’unico, che girava per le strade.
Attorno al Pd, e ne ho parlato con Stefano Bonaccini, c’era l’atmosfera di un cambio epocale». Un cambio che l’ha messa fuori.
«Esatto, io non contesto niente a Schlein. Ha ottenuto una vittoria ben definita e ha il dovere di esprimersi senza compromessi, ma le divisioni fra di noi sono incolmabili: eutanasia, droghe libere, utero in affitto, adozioni per le coppie gay, reddito di cittadinanza, pillola abortiva, politica estera, lavoro, economia. In un partito di sinistra, non più di centrosinistra, abolito l’inclusivo “ma anche” di Veltroni, un cattolico democratico non ci può stare».
E gli altri cattolici democratici che ci stanno?
«Forse è colpa della mia mole, ma io non sono capace di adattarmi, non so farmi concavo, impossibile farmi assieme concavo e convesso. Non è un numero di poltrone, un trattato di Versailles, che può garantire l’agibilità politica. Almeno non lo è per me, perché si rischia che, per tirare a campare, si fanno tirare le cuoia a una storia politica». Dove stanno bene i cattolici democratici?
«In un posto che al momento non esiste, in un’area comune che riunisca i popolari delusi di entrambi gli schieramenti per offrire ai cittadini le nostre idee, i nostri valori e credere in qualcosa e poi votare qualcuno».
Non mi dica che la cura è il solito partitino di centro.
«Sarei ingenuo. Osservo lo sforzo di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Ora a noi interessa rivitalizzare la cultura cattolica democratica con entusiasmo per riscoprire un senso di appartenenza. È l’obiettivo di piattaforma Popo-

Un salto di specie su cui ora costruire un nuovo Pd. Con un’apertura di credito verso Elly Schlein. Sperando non si fidi troppo di Conte, e non si affidi troppo a Zingaretti e alla sinistra dem – errori da non ripetere. Se non fosse cresciuto nella sinistra Dc, se non fosse novarese come Scalfaro (condividendo con lui la passione per gli apparati), Enrico Borghi, 55 anni, dieci in Parlamento e altri venti in politica (Ppi, Margherita, Pd), vicino a Lorenzo Guerini e già uomo chiave nella segreteria di Letta, la direbbe coi nomi. Si esprime con un linguaggio più felpato, per spiegare perché resta nel Pd pur avendo appena perso il congresso.
Se lo aspettava?
«Non immaginavo la diserzione al Nord dell’elettorato riformista, che non è stato mobilitato. Bonaccini ha fatto come Bersani nel 2013: ha dato la partita già per chiusa».
E Schlein?
«Rappresenta un salto strutturale, direi quantico per il lare-Tempi Nuovi».
Pd: è l’affermazione per la prima volta in Italia della cultura woke, quella anglosassone, ancorata ai temi dei diritti, delle minoranze, del politically correct».
È la fine del Pd?
«È un salto di fase rispetto alle sue culture originarie. Il ramo degli ex popolari è stato sconfitto, e gli eredi del Pci si sono arresi a questa cultura che fa della radicalità la propria cifra, ma non concordo con chi dice che ora finalmente il Pd può interpretare la sua natura vera, di sinistra. E nemmeno credo si tratti di un ritorno all’antico: il punto vero è il nuovo equilibrio che si può trovare».
C’è ancora l’ipotesi di una scissione?
«Il Pd è a un bivio, le chiavi sono in mano a Schlein, che ha acceso una speranza. È il motivo per cui io ed altri restiamo. Se questa cultura nuova, formata nelle primarie, è in grado di fare sintesi con la cultura più istituzionale che noi rappresentiamo, abbiamo la chiave per un Pd moderno e competitivo. Dopotutto Biden e Ocasio-Cortez sono nello stesso partito. Se invece prevalessero le tendenze settarie, ci sarebbe il rischio di una minorità».
Per lei Schlein ha una idea maggioritaria o no del Pd?
«I primi passaggi - la linea sull’Ucraina, la visita silenziosa a Cutro, la richiesta di dimissioni di Piantedosi - sono stati giusti, equilibrati. Raccontano di una persona che sa suonare i tasti, alternando idealità e pragmatismo».
Fa bene a parlare con Conte?
Fioroni non c’era alla manifestazione di Firenze per l’istruzione e contro il fascismo con la segretaria Elly Schlein e il pentastellato Giuseppe Conte.
«L’antifascismo non è una scelta, ma un valore fondante della Repubblica. Da ministro non avrei affrontato la “questione di Firenze” come ha fatto Valditara. Tuttavia, sia nata da una preoccupazione giusta - non si può transigere sui valori della Costituzione - la sua rappresentazione politica mi ha deluso. Invece di ricercare l’unità più ampia possibile, si è preferito sfruttare la circostanza per una “prova d’orchestra” tra Landini, Conte e Schlein, per dire che la sinistra è tornata in campo».
Alla fine in questo campo non c’era spazio per Fioroni?
«Dove lo trova Schlein un ospite che per essere non sgradito se ne va senza nulla pretendere? Un ultimo messaggio in bottiglia. Allora che facciamo, da qui alla ricorrenza del 25 Aprile: lasciamo che ritorni la polemica sulla “Resistenza rossa”? Gli italiani hanno il diritto di vivere la Liberazione come una grande festa di popolo, senza divisioni. Guai a non capirlo! Auguri».
«La politica è movimento: se il Pd torna a esercitare una funzione di leadership, significa che può anche tendere a svuotare il M5S. Quanto a Conte, è così camaleontico che, dovesse capire che il recupero del Pd è strutturale, si trasformerà nuovamente nell’epigono di Padre Pio. Per ora saluto il superamento dell’eresia di accostarlo a Berlinguer, dopo la bestemmia di paragonarlo a Moro». Quali rischi deve schivare la neosegretaria?
«Sotto la superficie si muovono dinamiche molto tradizionali. Per rompere cordate e correnti deve esercitare una azione politica forte, o si consegna a chi ha solo questo, nel software. Né andrebbe lontana con un’idea tipo arrivano i nuovi renziani. Altra dinamica malata».
C’è chi dice che fare peggio di Letta è impossibile. «Il tempo dimostrerà che ha svolto un compito essenziale. Nel marzo 2021, coi sondaggi al 14 per cento e Conte al 25, sembravamo i commissari liquidatori del partito. E ci sono amici e compagni che, grazie al fatto che noi abbiamo preso due anni il vento in faccia, si sono ricostruiti una verginità e ora sono a fianco di Elly dicendo di essere il nuovo, ma avevano già vinto nel 2019. Spero che Schlein ne abbia contezza. Ma penso che tra qualche anno si dirà che siamo stati noi a salvare il Pd».