3 minute read

PRIMA PAGINA LA MEMORIA RESISTENTE

rissima scuola: il carcere di Gaeta dove aveva conosciuto esponenti dei movimenti antifascisti ed intellettuali. Nella vicenda Cervi affondano le radici della Resistenza italiana. La loro vita, la loro lotta, la loro morte. Pur legati alle strutture clandestine del Partito Comunista, erano «indisciplinati» e la stessa allergia alle regole, ai fascismi scorre potente nelle vene di Adelmo.

«Mio padre era non solo antifascista ma anti-capitalista. Questo lo scriva, mi raccomando. L’antifascismo senza l’anti-capitalismo non ha senso. Il fascismo è stato ed è il braccio armato del capitalismo». Dentro queste mura simbolo di prime resistenze, riunioni clandestine, opposizione al regime, ospitalità ai rifugiati: «Il 25 luglio del ’43, giorno in cui fu deposto Mussolini, offrimmo pastasciutta a tutto il paese». Accogliere chi resiste e resistere insieme.

Advertisement

«La casa Cervi è sempre aperta», sottolinea Adelmo che oggi ospita una famiglia ucraina in fuga dalla guerra, madre e figlia.

«La nostra storia parla troppo poco delle donne che hanno portato avanti questa famiglia e mi dispiace. Non erano sette fratelli. C’erano anche due sorelle, cinque vedove. Ma quello era lo spirito del tempo. Anche le partigiane non le chiamiamo mai partigiane ma staffette. Penso spesso a Lucia Sarzi, la prima donna arrestata dal fascismo. Staffetta dicono, ma era una dirigente nazionale che aveva messo in contatto mio padre con Amendola e con coloro che erano dirigenti in Emilia del partito comunista clandestino. Per fortuna stiamo superando anche questa concezione maschilista. Se sei anti-fascista devi essere per forza anche anti-razzista, anti-capitalista. Altrimenti l’anti-fascismo è una parola vuota». Intersezionale, anti-litteram. «Ho appoggiato Elly Schlein, qualcuno mi ha insultato - sorride amaro –avevo dei compagni nei centri sociali che non hanno amato la mia scelta. Ma conosco Elly da tempo, anche lei come me vuole un partito di sinistra. E sa che le dico? Siccome questo PD non è mai stato di si- nistra era il caso di provarci. Lei è giovane, donna, profuma di aria nuova. Capisce? Di sinistra. Ma non so quanto potrà durare dentro quel partito». Adelmo con il Pd non è mai andato d’accordo, anzi ci ha litigato e parecchio. «Sono ancora arrabbiato per quello schifo votato dal Parlamento Europeo», dice riferendosi alla risoluzione che nel 2019 ha sostanzialmente equiparato sul piano storico il nazismo al comunismo. «Se l’avessero detto ai tempi dei fratelli prendevano legnate. Il nazismo è stata la dittatura più criminale che possa esistere. E poi essere di destra o di sinistra sono cose profondamente diverse per tanti motivi ma per una fondamentale, l’esistenza, il rispetto, il valore, l’amore del prossimo. Per capirlo basta rileggere la nostra Costituzione – una Costituzione antifascista - che spiega all’articolo 2, pro- prio all’inizio: il valore inderogabile della solidarietà. Rispettare, chiedere giustizia, dare solidarietà. Pensare che c’è sempre chi sta peggio di te».

Quando gli si ricorda del governo di Fratelli d’Italia, il più a destra della storia della Repubblica batte ancora il pugno sul tavolo e urla: «La fiamma! Faccio fatica a parlare di democrazia quando al governo abbiamo qualcuno che gira con quella appiccicata. Un simbolo del fascismo. Certo, hanno diritto ad averla ma io ho diritto di dargli del fascista». Ma come si riconoscono oggi i fascisti? «Sono i boriosi, pensano di essere al di sopra di tutti. Chiunque usi la violenza per imporsi lo è. Per me anche Stalin è stato un gran fascista». È a questo tempo a cui parla e guarda oggi Adelmo, gira l’Italia invitato dai giovanissimi nelle piazze, nelle scuole, nei teatri, nelle loro case come un amico, un compagno. Dall’altra parte riemergono simboli, croci runiche e aquile, giovani fascisti di ritorno, figli dell’odio e del disprezzo: «Forse avendo al governo dei rappresentanti si sono rassicurati. Ma quello che ci deve far pensare è che sono dei ragazzi. Fossero dei vecchi bacucchi lasceremmo perdere. Siamo di fronte alla de-generazione capitalista. Al cinismo egoista e squallido. I genitori insegnano che solo a spese degli altri si costruisce la propria fortuna, ciascuno la sua. I ragazzi mi cercano e capiscono che si può vivere in un mondo serio che non bisogna chiudere con l’ideologia ma con le porcherie. Ogni tanto basterebbe riprendere la nostra Costituzione e fare un pieno di memoria».

Al suo fianco c’è Liviana Davì che conosce Cervi da anni, quando lavorava presso il Museo. Questo documentario nasce nel lontano 2017: «Il suo impegno lungo una vita per l’antifascismo mi ha convinto che fosse il protagonista ideale di questa storia incredibile. Nel film è presente anche la nipote che insieme al nonno cerca in un tempo che non ha conosciuto un presente dotato di senso. È un frammento di storia da tramandare a chi verrà».

Il Documentario

Adelmo Cervi. Qui accanto, Liviana Davì, la regista del film “I miei sette padri”. Nella foto grande, una scena del film

This article is from: