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LA LUNA E OLTRE

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RECENSIONI

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LA LUNA E OLTRE

DI PATRIZIA CARAVEO*

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UN NUOVO SGUARDO A VENERE

SCOPERTE E PROGETTI PER UN PIANETA CHE NASCONDE ANCORA MOLTI SEGRETI

Per cercare di capire se esistano forme di vita in altri corpi del Sistema solare, che sono per noi lontanissimi e inaccessibili, bisogna andare a cercare i gas che vengono prodotti durante i processi biologici, quelli che gli astrobiologi chiamano biosignature.

Forti dell’esperienza terrestre, il gas che colleghiamo immediatamente alla presenza di vita è l’ossigeno, dato che si tratta di un gas molto reattivo, a “vita breve”, e deve essere continuamente prodotto dai processi di fotosintesi. A seguire, nella lista dei desideri degli astrobiologi viene il metano, un gas presente nell’atmosfera terrestre perché viene prodotto dall’uomo, dal bestiame che alleviamo e dalle coltivazioni.

Il metano viene dissociato dalla luce del Sole e quindi anch’esso deve essere continuamente prodotto.

L’INFERNALE VENERE

Il metano può essere prodotto anche da processi geologici, ma la sua presenza è un indizio molto interessante da non sottovalutare. Ipotetici esseri alieni che studiassero la composizione della nostra atmosfera si renderebbero conto di un’abbondanza anomala di questo gas. Nel Sistema solare, i corpi che offrono (forse) condizioni favorevoli allo sviluppo di vita elementare sono Marte insieme a Europa o Encelado, le lune gelate di Giove e di Saturno. In questi corpi ci sono acqua ghiacciata e metano. Di sicuro, nessuno avrebbe pensato a Venere, pianeta gemello della Terra, ma caratterizzato da un ambiente infernale. Lo spesso strato di nubi di anidride carbonica e acido solforico che lo ricopre interamente, oltre a

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renderlo difficile da studiare, causa uno spaventoso effetto serra che fa registrare temperature al suolo di oltre 450 °C, accompagnate da una pressione pari a 90 volte quella terrestre. Condizioni proibitive, tanto che gli strumenti che sono stati fatti atterrare negli anni 70 dall’Unione Sovietica sono riusciti a funzionare per breve tempo prima di essere sopraffatti.

LA PRESENZA DELLA FOSFINA

Con questi precedenti, si capisce quanto sia stato lo stupore quando, nel settembre 2020, è stato annunciato che nell’emissione proveniente dalle nubi di Venere era stata la scoperta una riga di assorbimento attribuita alla fosfina, una molecola semplice, praticamente una piramide costruita da tre atomi di idrogeno legati a un atomo di fosforo, che noi abbiamo nel nostro intestino grazie al lavoro dei batteri anaerobi con i quali conviviamo, ma che può avere anche origine geologica (v. Cosmo n. 11). Bisogna aggiungere che non è chiaro come i batteri anaerobi producano la fosfina, mentre i processi geologici, che avvengono in condizioni di alte temperature e pressioni, non pongono problemi. Di sicuro la molecola, che appartiene alla classe delle biosignature, non è semplicissima da formare, perché richiede energia e condizioni che non sembrano esistere nell’atmosfera di Venere. La fosfina potrebbe formarsi all’interno del pianeta ed essere liberata nel corso di eruzioni vulcaniche, che però dovrebbero essere molto violente per spingere i gas liberati fino a 50 km di altezza.

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Indipendentemente dalla sua origine, la fosfina non dovrebbe sopravvivere a lungo nell’atmosfera venusiana cosa che implica una produzione continua della molecola. I dati erano stati raccolti da due radiotelescopi

Alma (Atacama Large Millimeter

Array) in Cile e Jcmt (James Clark Maxwell Telescope) alle isole Hawaii. Apparentemente, il segnale era assente ai poli del pianeta, debole nelle zone equatoriali e molto più evidente alle latitudini medie. Gli autori suggerivano la presenza di ecosistemi anaerobi nelle nubi di Venere con una densità della biomassa fluttuante inferiore di diversi ordini di grandezza rispetto a quella della biosfera aerea terrestre. L’idea non è nuova: l’esistenza di qualche tipo di vita elementare nelle nubi di Venere era stata ipotizzata da Harold Morowits e Carl Sagan in un articolo pubblicato da Nature nel 1967. L’annuncio della presenza della fosfina (con la sua probabile origine biologica) è stato una bomba mediatica: il pianeta più inospitale balzava agli onori della cronaca e l’amministratore di allora della Nasa, Jim Bridenstine, scriveva su Twitter: It’s time to prioritize Venus. Tuttavia, l’evidenza osservativa non era molto robusta. Alla fine di ottobre veniva messo in dubbio il metodo di interpolazione del rumore di fondo che, apparentemente, creava righe spurie. A novembre lo staff di Alma ha reso pubblica la versione corretta dei dati e gli autori dello studio originale hanno rifatto l’analisi, trovando una densità di fosfina sette volte più bassa di quella pubblicata a settembre, riaprendo così la porta all’origine geologica.

» La spessa coltre nuvolosa di Venere ripresa nell’infrarosso.

LE NUOVE MISSIONI SPAZIALI CON OBIETTIVO VENERE

Indipendentemente dalla presenza e dall’origine della fosfina, l’annuncio ha fatto rinascere l’interesse per Venere, tanto che sia la Nasa sia l’Esa hanno deciso di inviare sonde a studiare la sua atmosfera. Tra il 2028 e il 2030, la Nasa lancerà due missioni chiamate Davinci+ e Veritas. Mentre Veritas (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography and Spectroscopy) userà la tecnologia radar ad apertura di

*PATRIZIA CARAVEO È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO. sintesi per mappare la superficie del pianeta perennemente coperta dalle nubi, migliorando significativamente quanto fatto dalla missione Magellan della Nasa all’inizio degli anni 90, Davinci+ (Deep Atmosphere Venus Investigation of Noble Gases, Chemistry and Imaging) studierà l’atmosfera con un orbiter e una sonda che scenderà fino alla superficie, mappando come l’ambiente cambia in funzione dell’altezza. Più o meno contemporaneamente, l’Esa ha annunciato che, all’inizio della prossima decade, lancerà la missione EnVision, che avrà un radar (fornito dalla Nasa) per mappare la superficie del pianeta, un ecoscandaglio per esaminare la struttura del pianeta e uno spettrometro per analizzare la composizione dell’atmosfera e della superficie.

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E SE CI ANDASSIMO IN MONGOLFIERA?

La considerazione che le condizioni ambientali dell’atmosfera di Venere sono meno proibitive di quelle in superficie ha suggerito l’idea di una esplorazione in mongolfiera delle nubi del pianeta. Per questo, un team di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa e della Near Space Corporation sta progettando una missione che prevede l’abbinamento di un pallone con un orbiter: mentre quest’ultimo rimarrebbe al di sopra dell’atmosfera, un pallone robotico aereo, o aerobot, di circa 12 metri di diametro, navigherebbe nell’atmosfera come una mongolfiera. Per testare il progetto, il team ha effettuato due voli di un prototipo ridotto del pallone nel deserto Black Rock del Nevada fino a una regione dell’atmosfera terrestre che si avvicina alla temperatura e alla densità che l’aerobot sperimenterebbe su Venere. L’obiettivo dell’aerobot è quello di viaggiare nei venti venusiani, fluttuando da est a ovest, circumnavigando il pianeta per almeno 100 giorni. L’aerobot fungerebbe da piattaforma per una serie di indagini scientifiche. L’orbiter che lo accompagna riceverà i dati dall’aerobot e li trasmetterà alla Terra. L’aerobot potrà anche essere indirizzato nei suoi cambiamenti di quota nell’atmosfera di Venere, per fare indagini scientifiche tra circa 52 e 62 chilometri. Il progetto prevede un serbatoio interno rigido riempito con elio ad alta pressione e un pallone esterno, che incapsula quello interno, che può espandersi e contrarsi. Per aumentare la quota, l’elio fuoriesce dal serbatoio interno nel pallone esterno, che si espande per dare all’aerobot ulteriore galleggiabilità. Per ridurre l’altitudine, l’elio viene ripompato nel serbatoio, provocando il restringimento del pallone esterno. Un volo di lunga durata nelle nubi di Venere, che contengono acido solforico e altre sostanze corrosive, non è comunque una passeggiata; perciò, il pallone esterno dovrà avere un rivestimento resistente agli acidi e uno strato necessario per ridurre il riscaldamento solare. Inquadra il QR per un video dedicato al prototipo di aerobot venusiano

La Redazione

Le tre missioni promettono di farci capire il vulcanesimo e la tettonica di Venere, insieme alla chimica dell’atmosfera responsabile del disastroso effetto serra. Ma lo straordinario revival dell’interesse per Venere non finisce qui. La costruzione di grandi missioni planetarie richiede tempo: chi ha fretta di capire se ci siano molecole organiche nelle nuvole di Venere ha pensato a una soluzione alternativa basata su una missione dalle dimensioni e dal costo molto contenuto che sarà interamente coperto da fondi privati. La strategia innovativa di questa missione sfrutta l’accoppiata tra il lanciatore Electron e la sonda High-energy Photon, sviluppati da Rocket Lab per lanciare la missione Capstone verso la Luna (ne abbiamo parlato su Cosmo n. 32). Questa volta nella navicella spaziale High-energy Photon ci sarà il modulo di entrata venusiano: si tratta di una struttura formata da una semisfera attaccata a un cono che deve contenere e proteggere lo spettrometro per l’analisi delle nubi venusiane. La traiettoria sarà simile a quella utilizzata per Capstone: per ottimizzare il consumo di carburante, la sonda inizierà il suo viaggio su un’orbita bassa circolare a circa 165 km di altezza. Grazie a brevi riaccensioni del motore, l’orbita diventerà ellittica con perigeo a 250 km e apogeo a 1200 km, che verrà poi alzato fino a 70mila km grazie a ripetute spinte durante i passaggi al perigeo. A questo punto, verrà fatta l’accensione finale, necessaria a lasciare la Terra lungo la traiettoria che porterà la sonda a Venere. È una tecnica al risparmio,

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» Rappresentazione artistica della presenza di molecole di fosfina nell’atmosfera venusiana.

per mettere la sonda in orbita interplanetaria con il minimo di carburante. Certo, è più lunga di quella che fa una sola accensione prolungata dei motori, ma richiede meno carburante, quindi meno peso al lancio. Stiamo parlando di una piccola missione poco costosa: supponendo di partire a maggio 2023, Venere verrà raggiunto a ottobre per iniziare il breve, ma intenso, programma scientifico.

CARL SAGAN AVEVA RAGIONE?

Le semisfera appuntita, con un diametro di 40 cm e circa 20 kg di peso, è il modulo che verrà rilasciato per attraversare le nubi di Venere. Lo spettrometro pesa 1 kg e lavorerà per 330 secondi, il tempo necessario ad attraversare le nubi nella sua traiettoria di discesa verso l’inferno venusiano. Raccolti i dati, li dovrà inviare subito a terra, perché la sonda non può sopravvivere a lungo. Sono 330 secondi dai quali gli astrobiologi sperano di avere informazioni cruciali per capire se ci sia qualche forma di vita su Venere. Vuoi vedere che aveva ragione Carl Sagan? Per Rocket Lab e per il team scientifico sarebbe un incredibile successo. Una piccola missione interamente basata su fondi privati, che fa presto e bene il suo compito

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» La missione EnVision dell’Esa destinata Venere: non partirà prima del 2031.

Sotto da sinistra: il rendering della navicella spaziale High-energy Photon con la sonda semisferica in avvicinamento a Venere e il distacco della sonda di Rocket Lab destinata a entrare nelle nubi del pianeta.

rappresenterebbe un game changer nell’esplorazione del Sistema solare. Invece di complicate e costose missioni equipaggiate con numerosi strumenti che richiedono molti anni di sviluppo, si cambia prospettiva con missioni a basso costo, piccole, semplici e veloci da sviluppare. Anche se sono molte le cose che possono andare storte, e nessuno sarebbe disposto a scommettere che il primo tentativo andrà a buon fine.

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