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SISTEMA SOLARE

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RECENSIONI

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SISTEMA SOLARE

DI CESARE GUAITA*

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I VENTI AMMINOACIDI DELL’ASTEROIDE

SENSAZIONALE SCOPERTA SUL MATERIALE CHE LA SONDA HAYABUSA-2 HA PRELEVATO E RIPORTATO A TERRA

SISTEMA SOLARE

Nell’ottobre 2005 la sonda giapponese Hayabusa-1 raggiunse i dintorni dell’asteroide Itokawa, un oggetto pericoloso di tipo Apollo, che interseca l’orbita della Terra al perielio e l’orbita di Marte all’afelio. Itokawa è una specie di sigaro di poche centinaia di metri, costituito da un mucchio di rocce, dal quale Hayabusa-1 riuscì con difficoltà a prelevare e portare a Terra qualche milligrammo di materia, comunque sufficiente per dimostrare una stretta parentela con i più comuni asteroidi rocciosi, le condriti ordinarie. La scarsità del materiale fu provocata da un guasto del sistema di prelievo, che ricorreva al lancio di un proiettile, ma fu comunque un’esperienza utile, che permise ai giapponesi di imbarcarsi nel più ambizioso progetto Hayabusa-2, destinato a prelevare e portare a terra dei campioni da un altro oggetto che si avvicina al nostro pianeta (Neo). Si voleva chiarire l’origine delle più interessanti tra le rocce cosmiche che piovono al suolo: le condriti carboniose, ricche di composti complessi del carbonio (amminoacidi, zuccheri e, addirittura basi del Dna), che potrebbero avere innescato la vita sulla Terra primordiale.

LA MISSIONE DI HAYBUSA-2

La scelta è caduta su Ryugu, un altro asteroide Apollo largo 865 m, che ruota su sé stesso in 7,5 ore. Su circa 8000 Neo conosciuti, solo cinque sono carboniosi: su di essi, oltre ai giapponesi, sta lavorando anche la Nasa, che ha raggiunto l’asteroide Bennu (grande la metà di Ryugu) alla fine del 2018 con la sonda Osiris-Rex, prelevando dei campioni che arriveranno a terra alla fine del prossimo anno. Hayabusa-2 è stata lanciata nel dicembre 2014 e ha raggiunto Ryugu nel giugno 2018, scoprendo un altro mucchio di sassi, di forma tondeggiante e schiacciata. Il sistema di prelievo era simile a quello di Hayabusa-1, ma dotato di più proiettili, per prelevare sia materiale in superficie che in profondità. La difficile ricerca di un sito privo di grandi massi ha fatto slittare il prelievo fino al 22 febbraio 2019. Quel giorno la sonda ha lasciato la sua orbita a 20 km di altezza, per scendere fino a 45 m dalla superficie. A questo punto ha sparato un proiettile e ha ripreso il polverone formatosi dopo il primo prelievo superficiale. La procedura per il prelievo in profondità è stata più complessa. Per prima cosa, il 5 aprile è stato creato un cratere artificiale con un proiettile esplosivo, operazione ripresa dalla camera di un minisatellite. Per evitare di essere investita dai detriti, Hyabusa-2 si è portata per due settimane dall’altra parte dell’asteroide, poi si è riportata a 1,7 km di altezza sopra il luogo dell’impatto, dove si osservava il nuovo cratere di circa 10 metri. Pochi mesi dopo, l’11 luglio, Hayabusa-2 ha toccato e prelevato un campione all’interno del cratere artificiale: era l’agognato “campione profondo”, quindi più primitivo rispetto a quello superficiale. Un mese dopo, i due campioni (superficiale e profondo) sono stati rinchiusi nella piccola capsula di rientro (40 cm di diametro), che ha iniziato il lungo viaggio di ritorno. Conclusosi il 5 dicembre 2020,

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» Dall’alto: I due piccoli asteroidi esplorati dalle sonde giapponesi Hayabusa. Inquadra il QR per vedere una rotazione completa di Ryugu.

La sonda Hayabusa-2 (disegno) in fase di prelievo di campioni.

quando Hayabusa-2, transitando a 220mila km dalla Terra, ha rilasciato la capsula, atterrata nei pressi del Woomera Range Complex, una base dell’esercito australiano. Intanto, riprendeva il viaggio di Hayabusa-2: grazie al combustibile ancora disponibile, la sonda è ora destinata a incontrare due oggetti scelti tra 350 candidati: “2001 CC21” nel 2026 e “1998 KY26” nel luglio 2031. Quest’ultimo è un monolite di soli 30 metri, ricco di acqua e rotante come una trottola, che fa un giro su sé stesso in soli 10 minuti. Un proiettile rimasto a bordo di Hayanusa-2 sarà sparato contro questo strano oggetto per cercare di comprendere la sua misteriosa origine.

L’APERTURA DELLA CAPSULA

La capsula di rientro è stata aperta il 14 dicembre 2020 presso l’Extraterrestrial Sample Curation Center (Escuc) nella sede Jaxa di Sagamihara: nello scomparto del campione superficiale c’erano poco più di 3 grammi di granuli scuri, delle dimensioni di chicchi da caffè, mentre nello scomparto del campione profondo c’erano 2 grammi di granuli scuri, di dimensioni un po’ maggiori. I primi dati analitici sono stati pubblicati un anno dopo. Per entrambi i campioni, il colore appariva molto scuro (albedo di 0,02 contro lo 0,06 della cometa 67P/ CG). La densità media dei frammenti è risultata di 1,28 g/cm3 (ma con inclusioni che arrivano a 1,8 g/cm3), coerente con il valore globale per Ryugu di 1,19 g/cm3 e maggiore della densità media della cometa 67P/CG (0,47 g/cm3). Alcune analisi sono state eseguite all’Escuc con uno spettrometro infrarosso; per altre analisi, i giapponesi si sono rivolti all’Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay (in Francia). Sia il campione superficiale che quello profondo mostrano un forte assorbimento a 2,71 micron, che mostra la presenza del radicale ossidrile (OH, forse dovuto a un antico contatto con acqua). È anche presente una banda intensa centrata a 3,4 micron, dovuta a una miscela di

» La sassosa superficie di Ryugu ripresa da Hyabusa-2 da circa 60 metri di distanza.

composti organici carboniosi. A livello sub-millimetrico sono stati individuati dei granuli chiari di carbonati, un ulteriore indizio dell’antica presenza di acqua. Sono presenti granuli chiari di probabili carbonati anche in immagini ad alta risoluzione di Bennu, l’asteroide visitato da Osiris-Rex. Su Ryugu sono inoltre presenti granuli con prevalenti assorbimenti a 3,06 e 3,24 micron, attribuibili al gruppo amminico (NH2), tipico di molti composti organici contenenti azoto.

ALLA RICERCA

DI NOMI E COGNOMI

Tutte informazioni interessanti, ma fondamentalmente qualitative. Era però importante identificare tutti questi composti organici. Una risposta è venuta lo scorso marzo 2022 durante la 53a Lpsc (Lunar and Planetary Science Conference).

*CESARE GUAITA LAUREATO IN CHIMICA E SPECIALIZZATO IN CHIMICA ORGANICA, HA LAVORATO COME RICERCATORE PRESSO I LABORATORI DI UNA GRANDE INDUSTRIA. È PRESIDENTE DEL GRUPPO ASTRONOMICO TRADATESE E DA OLTRE 25 ANNI CONFERENZIERE DEL PLANETARIO DI MILANO. Dove sono stati forniti dati precisi su distribuzione, quantità e tipologia del materiale carbonioso di Ryugu. Un’impressionante quantità di analisi effettuate dai giapponesi ha mostrato, grazie a immagini ottenute con il microscopio elettronico, che il materiale organico è presente sia in forma diffusa che globulare, senza molte differenze tra il prelievo superficiale e quello profondo. L’estrazione con solventi (esano, cloruro di metilene, metanolo, acqua) ha indicato una quantità di organici simile a quella di molte condriti carboniose, dove il forte eccesso di isotopi pesanti (deuterio e azoto-15) esclude l’origine biologica, dato che la vita (non sappiamo per quale motivo) predilige gli isotopi leggeri. Le analisi di gascromatografia, accoppiata alla spettrometria di massa, hanno individuato molti idrocarburi aromatici policiclici ed eterociclici (ossia con anelli di carbonio e azoto): si tratta di alcuni tra i composti più comuni degli spazi interstellari. La sorpresa più grande è però arrivata quando un frammento del campione superficiale è stato sottoposto alla ricerca di amminoacidi, tramite un reagente che permette di separare le forme destrogire dalle forme levogire. Infatti, gli amminoacidi si comportano come la mano destra (forma D) e la mano sinistra (forma L): in quelli di origine non biologica, le due forme sono presenti contemporaneamente, mentre nei sistemi biologici domina la forma L. La miscela di sostanze estratta dal materiale di Ryugu è stata analizzata infine con uno strumento di ultima generazione presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, che ha individuato almeno venti amminoacidi diversi. Di questi solo tre sono “proteici” (ossia presenti nelle proteine biologiche): glicina, α-alanina, α-valina. Tutti sono comunque presenti in forma mista (D e L), il che esclude qualunque ipotesi biologica. Decine di amminoacidi misti sono contenuti anche nelle condriti carboniose, per cui è plausibile una parentela genetica tra queste rocce ricche di carbonio e gli asteroidi tipo Ryugu.

COMETE ESTINTE

Secondo un gruppo di scienziati planetari dell’Università giapponese di Nagoya, Ryugu sarebbe una cometa estinta. Lo dimostrerebbe l’elevato contenuto di carbonio (tipico delle comete), l’elevata velocità di rotazione e la scarsità di acqua attualmente presente (vedi la news di Giuseppe Donatiello su Bfcspace, bit.ly/3iFTEEN). Ryugu sarebbe nato come un impasto di rocce e di ghiaccio, ma i numerosissimi passaggi al perielio (rivoluziona ogni 1,3 anni, avvicinandosi fino a 0,96 Unità Astronomiche dal Sole) avrebbero fatto sublimare tutto il ghiaccio. A questo punto, i frammenti

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I MATTONI DELLE PROTEINE

Un amminoacido è un composto del carbonio nel quale sono presenti i gruppi NH2 (amminico) e COOH (acido). Gli amminoacidi biologici hanno i gruppi NH2 e COOH sullo stesso atomo di carbonio (indicato con la lettera α). Questi α-amminoacidi possono presentarsi in due forme geometriche: D (destrogira) e L (levogira), non sovrapponibili, come la mano destra e sinistra. L’amminoacido più semplice è la glicina, scoperta anche sulla cometa 67P/CG dalla sonda Rosetta. » In alto a sinistra: i campioni di materiale prelevati da Hayabusa-2 in superficie (sinistra) e in profondità (destra).

La freccia indica un probabile frammento del proiettile usato per il prelievo.

Sopra: le molecole carboniose del materiale prelevato su Ryugu sono presenti sia in maniera diffusa sia in globuli concentrati, come si vede in queste mappe dei singoli elementi (carbonio in rosso) realizzate al microscopio elettronico.

rocciosi sono collassati su loro stessi, conferendo a Ryugu l’attuale aspetto di un “mucchio di sassi”. La contrazione del volume globale sarebbe anche la causa dell’alta velocità di rotazione, per la conservazione del momento angolare. Questa idea avvalora anche l’ipotesi che siano proprio le comete la fonte primaria delle condriti carboniose e quindi degli ingredienti che sul nostro pianeta hanno consentito la nascita della vita.

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