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L’OCCHIO ITALIANO DI ARTEMIS

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RECENSIONI

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SPACE ECONOMY

DI MATTEO MARINI*

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ARGOMOON, L’UNICO SATELLITE EUROPEO A BORDO DELLA PRIMA MISSIONE LUNARE, È DELLA TORINESE ARGOTEC. NON SERVIRÀ SOLO ALLA LUNA

Il passeggero italiano dentro al

razzo più potente mai costruito

è pronto a volare in direzione della Luna. Lo Space Launch System, il vettore della Nasa che fra maggio e giugno dovrebbe ricevere il battesimo del cielo per la prima missione del programma Artemis, è uscito allo scoperto a marzo, per gli ultimi test sulla rampa di lancio 39B del Kennedy Space Center, in Florida. Finalmente completo, con in testa la capsula Orion, è il sistema di lancio che utilizzeranno gli equipaggi nelle missioni verso il nostro satellite. Un elemento importante della navicella, il modulo di servizio, è stato costruito in Europa, grazie alla partnership con l’Esa. Ma c’è una missione nella missione, tutta made in Italy, in questa prima avventura lunare: Argomoon è il cubesat sviluppato e costruito da Argotec, in partnership con l’Agenzia spaziale italiana (Asi). Grande come una valigetta, sarà il testimone oculare di una delle fasi del trasvolo. Poi farà storia a sé: arriverà in autonomia a poche migliaia di chilometri dalla Luna per testare nuove tecnologie da applicare anche in altri settori strategici nella new space economy, dall’Osservazione della Terra all’in orbit servicing. “La Nasa già ci conosceva come provider di payload secondari: qualche anno fa abbiamo realizzato

la macchina del caffè Lavazza

arrivata sulla Stazione spaziale internazionale - afferma Silvio Patruno, capo della Ait & Design unit di Argotec - Argomoon è un payload secondario di Sls. Abbiamo partecipato al bando Asi e abbiamo sviluppato Argomoon per le esigenze della Nasa: testimoniare un evento che altrimenti non avrebbero potuto osservare. Siamo orgogliosi che sia l’unico satellite europeo insieme con quelli americani e giapponesi. Un riconoscimento per l’alta affidabilità della tecnologia italiana”. Il lavoro di Argomoon inizierà poche ore dopo il lancio, alloggiato all’interno dell’Icps (Interim Cryogenic Propulsion Stage), l’ultimo stadio del vettore, quello che darà la spinta a Orion per raggiungere la Luna. Una volta rilasciato, Argomoon dovrà guardarsi attorno e individuare il suo obiettivo tra tutto quello che osserverà nel suo campo visivo, nel quale compariranno la Terra, la Luna e altri oggetti, forse la stessa Orion: “Argomoon eseguirà manovre orbitali automatiche per orientarsi nel buio e riconoscere lo stadio del lanciatore grazie all’algoritmo di intelligenza artificiale allenato per questo. Scatterà foto storiche del distacco e di ispezione di avvenuta separazione di Orion” specifica Patruno. “Il satellite sarà in grado di classificare gli oggetti per identificare lo stadio lanciatore - spiega Simone Simonetti, a capo della System Engineering Unit di Argotec - con manovre automatiche, senza intervento da terra. E si avvicinerà per scattare immagini ad alta definizione”. La tecnologia sviluppata da Argotec è piaciuta alla Nasa, tanto che un’altra sonda sta già volando con la missione Dart dell’agenzia spaziale americana nello spazio profondo. Liciacube è

stata selezionata dopo Argomoon per un compito simile: scattare foto

dell’impatto contro un asteroide

previsto nel 2022. Gli ingegneri di Argotec non saranno a Cape Canaveral per il lancio di Artemis I. Il cubesat dovrà infatti agire in fretta e con precisione, quindi seguiranno tutto dal control center di Torino. La missione però non si esaurirà subito, anche Argomoon si farà vedere dalle parti della Luna. Durante i successivi sei mesi resterà su un’orbita ellittica attorno alla Terra, molto allungata, che lo porterà ad arrivare a circa 10mila chilometri dalla superficie del nostro satellite: “Incontrerà diverse volte la Luna e produrrà immagini ad alta definizione della superficie da inviare a Terra - continua Simonetti - stiamo seguendo diverse strade con l’Asi, vogliamo incrementare la valenza scientifica della missione”. L’altro obiettivo è testare le tecnologie in un ambiente difficile: lo spazio profondo: “Finora abbiamo lavorato soprattutto in ambiente terrestre; nello spazio profondo occorre una diversa resistenza alle radiazioni. Valuteremo queste tecnologie avanzate che potranno essere usate in missioni come Andromeda, il progetto della costellazione per un servizio commerciale di comunicazione e

navigazione sulla superficie della

Luna” sottolinea Simonetti. Alla gloria di partecipare alla più importante missione di esplorazione spaziale degli ultimi decenni si aggiunge la prospettiva commerciale che, per un’azienda come Argotec, è l’orizzonte. L’intelligenza artificiale, allenata per danzare nello spazio più buio con Artemis e Dart, collegata alle camere per l’osservazione della Terra da satellite, andrà a beneficio di applicazioni per riconoscere

incendi, lo scioglimento dei ghiacci

e la deforestazione. Ma anche per un settore ancora tutto da esplorare, come quello dell’in orbit servicing: “L’algoritmo di riconoscimento delle immagini potrà servire a un satellite per avvicinarsi a un altro e verificare eventuali guasti” sottolinea il capo della System Engineering Unit . “Verranno validate tecnologie di IA come React - prosegue Simonetti - in pratica, i piccoli satelliti hanno tre ruote per orientarsi. Quando se ne guasta una non è più possibile il

*MATTEO MARINI GIORNALISTA SCIENTIFICO, EX ARCHEOLOGO, SCRIVE DI ASTRONOMIA, MISSIONI SPAZIALI E AMBIENTE. ALLEVA GIOVANI REPORTER ALLA SCUOLA DI GIORNALISMO DI URBINO. » A sinistra: il mini satellite Argomoon; a destra: il team di Argotec. Sotto, da sinistra

Silvio Paturno e Simone Simonetti.

controllo d’assetto. Gli algoritmi

riconoscono il guasto e trovano la

soluzione ottimale per orientare il satellite con sole due ruote”. In questo momento storico, in cui costellazioni di migliaia di piccoli satelliti affollano le orbite basse, ogni oggetto fuori controllo riportato ad almeno parziale operatività significa un proiettile in meno che vaga minacciando di colpire qualcos’altro. “Argomoon è un pioniere e l’intelligenza artificiale la farà da padrone - conclude Patruno - sappiamo che il futuro è nei grandi numeri e nelle piccole dimensioni dei satelliti. Quelli più grossi hanno sistemi ridondanti, più ruote per orientarsi o più batterie in caso di guasti, ma costano molto di più. Queste soluzioni di recovery automatica del guasto potrebbero essere un game changer per ridurre i costi anche delle grandi piattaforme”.

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