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DI GIANFRANCO BENEGIAMO*
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I PADRI ITALIANI DELLA ASTRONOMIA A RAGGI X
BRUNO ROSSI E RICCARDO GIACCONI CONTRIBUIRONO AD APRIRE UNA FINESTRA SUI FENOMENI PIÙ VIOLENTI DELL’UNIVERSO
L’entrata in vigore delle leggi razziali nel settembre 1938 aveva costretto Bruno Rossi a lasciare la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Padova e qualche mese dopo anche l’Italia. Attraversato l’Atlantico, trovò impiego presso la Cornell University come professore associato dal 1940 al 1943, ma dopo l’avvio del Progetto Manhattan si trasferì a Los Alamos per partecipare alla costruzione della prima bomba atomica. Nel 1946 entrò al Massachusetts Institute of Technology come professore di fisica e lavorava in questa università quando fu invitato nello Space Science Board della National Academy of Science per contribuire alla pianificazione delle attività scientifiche americane nello spazio. Rossi figurava tra i quindici membri di quella commissione, riunitasi per la prima volta a New York il 27 giugno 1958, dove - oltre al suo principale interesse per i raggi cosmici - manifestò anche la convinzione di quanto fosse importante usare i futuri satelliti messi in orbita attorno alla Terra per cercare sorgenti cosmiche di raggi X.
TELESCOPI PER RAGGI X
L’ipotesi di fondo su cui ragionava Rossi era semplice, come scrisse nella sua autobiografia: “Poiché lo spazio è trasparente ai raggi X e poiché si possono immaginare diversi modi in cui i raggi X possono essere generati nello spazio e nelle stelle, si dovrebbe andare a vedere cosa si trova là fuori. [...] Ero fiducioso che, senza ricorrere a nessuna tecnologia fondamentalmente nuova, fosse possibile sviluppare rivelatori di raggi X più sensibili di quelli usati in precedenza per le osservazioni solari. […] La mia lunga esperienza come fisico dei raggi cosmici mi aveva insegnato che quando si entra in un territorio inesplorato c’è sempre la possibilità che si trovi qualcosa di imprevedibile”. Questa consapevolezza lo convinse a rivolgersi a Martin Annis, un suo ex studente, fondatore nel 1958 della American Science & Engineering (AS&E), specializzata in strumenti per rivelare i raggi X emessi dalle esplosioni di ordigni nucleari, per proporgli lo sviluppo dell’ottica necessaria a focalizzare i raggi X “molli” (con lunghezze d’onda superiori a 0,1 nm) e la costruzione di un rivelatore particolarmente sensibile a tale radiazione. Annis era consapevole che la sua neonata azienda avrebbe corso un serio rischio finanziario, imbarcandosi in un’impresa apparentemente priva di applicazioni commerciali, ma decise di accettare la sfida e nell’autunno del 1959 avviò un programma di astronomia a raggi X. La responsabilità di svilupparlo fu in larga misura affidata a Riccardo Giacconi, un giovane laureato di 28 anni, allievo di Giuseppe Occhialini all’Università di Milano, giunto poco prima negli Stati Uniti con una borsa di studio. Su suggerimento di Rossi, principale consulente scientifico della AS&E, Giacconi si concentrò sul telescopio a raggi X, che doveva
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» Intuito e perseveranza consentirono a Bruno Rossi (1905-1993) di avviare le prime ricerche di sorgenti X esterne al Sistema solare.
«I MOMENTI PIÙ ENTUSIASMANTI SONO QUELLI IN CUI UN MIO ESPERIMENTO HA DATO UN RISULTATO INCOMPATIBILE CON LE PREVISIONI: UNA PROVA DI QUANTO LA RICCHEZZA DELLA NATURA SUPERI L’IMMAGINAZIONE DELL’UOMO». BRUNO ROSSI
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» L’astronomia a raggi X permette di studiare i fenomeni più violenti dell’Universo, come l’accrescimento di un buco nero a spese di una stella vicina mostrato in questa ricostruzione artistica della sorgente Cygnus X-1.

avere caratteristiche piuttosto particolari: la forte penetrazione di questa radiazione nella materia rende necessario convogliare i raggi incidenti verso il fuoco ottico utilizzando angoli di incidenza molto piccoli (intorno a 1,5 gradi). Annis trovò supporto dal Goddard Space Flight Center, per sviluppare un prototipo di telescopio a incidenza radente, ma nessuna disponibilità a lanciare al di sopra dell’atmosfera terrestre strumenti ritenuti ancora troppo rudimentali per condurre con successo delle ricerche. Trovando chiuse le porte della Nasa, Rossi si rivolse ai militari della US Air Force, per un progetto ufficialmente destinato a cercare l’emissione di raggi X dalla Luna, prodotti dalla radiazione solare incidente e utili per determinare la composizione chimica delle rocce lunari. Obiettivo ancora più rilevante per i fisici italiani, però, era la ricerca di raggi X provenienti da lontane sorgenti galattiche e per farlo occorreva migliorare i sensori disponibili. A questo lavorò intensamente l’esperto di elettronica Frank R. Paolini, che riuscì a costruire un rivelatore decine di volte più sensibile dei precedenti.
*GIANFRANCO BENEGIAMO LAUREATO IN CHIMICA, NUTRE DA SEMPRE UN PROFONDO INTERESSE PER I MOLTEPLICI ASPETTI TECNICI E STORICI DELL’ASTRONOMIA.
LA PRIMA SORGENTE EXTRA-SOLARE Il 18 giugno 1962, intorno alla fase di Luna Piena, fu lanciato dalla base
di White Sands nel Nuovo Messico un razzo Aerobee 150 con a bordo questi nuovi rivelatori: salendo a una quota massima di 225 km, gli strumenti scansionarono una porzione di cielo ampia circa 100 gradi. Già all’altezza di 80 km, i contatori iniziarono a registrare la comparsa di un flusso, fortemente modulato dalla rotazione del razzo (pari a circa 2 giri ogni secondo), in base al quale si poteva ipotizzare che i raggi X non arrivavano con la stessa intensità da tutte le direzioni. Ciò portò alla scoperta della prima sorgente extra-solare di raggi X, situata in prossimità del centro galattico, annunciata durante un congresso alla Stanford University. Un articolo con i risultati dell’esperimento trovò poi spazio sulla rivista scientifica Phisycal Review, ma a condizione che Rossi si assumesse la piena responsabilità delle conclusioni proposte. Nell’aprile 1963 Stuart Bowyer e Herbert Friedman localizzarono la sorgente nella costellazione dello Scorpione e per tale motivo fu battezzata Scorpius X-1: la sua emissione nei raggi X si rivelò poi mille volte maggiore di quella rilasciata su tutte le lunghezze d’onda dal Sole. I risultati preliminari confermarono l’apertura di una nuova finestra su processi astrofisici, prima di allora sconosciuti e di violenza inaudita, che sarebbe stato difficile anche solo immaginare.
IL CATALOGO X di UHURU
Il primo satellite dedicato all’astronomia a raggi X, contrassegnato dalla sigla Sas-1 ma comunemente noto come Uhuru, fu lanciato il 12 dicembre 1970 dalla
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E ADESSO È IL MOMENTO DI IXPE
Il 9 dicembre 2021 è stato lanciato da Cape Canaveral il satellite Ixpe, un telescopio spaziale della Nasa, realizzato in collaborazione con l’Asi, l’Inaf e l’Infn e progettato per indagare aspetti sconosciuti degli oggetti più estremi dell’Universo, come resti di supernova, stelle di neutroni, getti di particelle dai buchi neri. Ixpe (Imaging X-ray Polarimetry Explorer) è la prima missione della Nasa progettata per studiare la polarizzazione dei raggi X, per tracciare la storia delle sorgenti di questa radiazione e delinearne la geometria. Il suo telescopio in grado di raccogliere informazioni doppiamente inaccessibili agli umani: per la frequenza (i raggi X sono al di là dello spettro visibile) e per la polarizzazione, una caratteristica della radiazione alla quale l’occhio umano non è sensibile. Le onde polarizzate oscillano su un piano preferenziale e non in modo disordinato come la radiazione normale. Misurare come e quanto la radiazione è polarizzata offre indizi sui meccanismi che l‘hanno prodotta e sull’ambiente che ha attraversato per giungere fino a noi. Ixpe è dotato di tre telescopi identici, ciascuno dei quali è formato da una serie di specchi cilindrici e da un rivelatore sensibile ai raggi X “made in Italy”, al quale spetta il compito di produrre un’immagine della sorgente e misurarne la polarizzazione. I tre specchi sono separati dai rispettivi rivelatori grazie a un braccio estensibile che si è aperto quando il satellite è giunto in orbita, a circa 600 km dalla superficie terrestre. Inquadra il QR per un servizio di Media-Inaf dedicato a Ixpe.

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» Una mappa del cielo nei raggi X (da 0,3 a 2,3 keV) realizzata dal telescopio spaziale eRosita imbarcato sull’osservatorio spaziale russo-tedesco Spektr-RG lanciato nel 2019. Sotto: il premio Nobel Riccardo Giacconi (1931-2018).


base italiana San Marco. La piattaforma marina situata al largo di Malindi in Kenya, che era stata fortemente voluta dal professor Luigi Broglio, diede ancor più rilevanza al contributo dato dall’Italia all’apertura degli studi astrofisici sulle alte frequenze dello spettro elettromagnetico. La principale missione di Uhuru consisteva nel creare un primo catalogo delle maggiori sorgenti di raggi X, per le energie comprese tra 2 e 20 kiloelettronvolt, attraverso la scansione sistematica dell’intera sfera celeste. Il satellite individuò centinaia di sorgenti e offrì a Giacconi l’opportunità di vincere, nel 2002, il premio Nobel per la Fisica “per i contributi pionieristici all’astrofisica che hanno portato alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi X”. Il suo maestro e mentore Bruno Rossi, meritevole almeno quanto lui di quel prestigioso riconoscimento, non poté riceverlo perché era purtroppo scomparso da quasi una decina di anni.




