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I MESTIERI DELLA (NEW) SPACE ECONOMY

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DI DOMENICO MARIA CAPRIOLI*

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I MESTIERI

DELLA (NEW) SPACE ECONOMY

Lo scorso novembre, l’equipaggio della Stazione spaziale internazionale ha tenuto il fiato sospeso per qualche ora a causa di una pioggia di detriti provocata dall’esplosione di un satellite russo. La Stazione non ha subito danni, tuttavia l’incidente ha riproposto, anche all’opinione pubblica, l’urgenza non già di una soluzione ma di un sistema di soluzioni al tema dei cosiddetti space debris. Sotto questa classificazione, secondo la Nasa, vanno tutti gli oggetti, i detriti e i frammenti prodotti dall’uomo e non più operativi: satelliti “passivati”, gocce di fluidi in sospensione, frammenti metallici, ceramici, scaglie di vernice. Oggetti anche minuscoli, della grandezza di qualche centimetro che, però, alle elevate velocità alle quali si muovono razzi e satelliti nello spazio, possono procurare danni significativi, com’è accaduto al satellite cinese Yunhai 1-02, distrutto dai detriti, retaggio di un lancio russo del 1996. Un recentissimo report dell’Agenzia spaziale europea conferma le stime di circa 900mila oggetti di diametro inferiore a 10 centimetri, 34mila oggetti di diametro superiore a 10 centimetri e, soprattutto, di 3200 oggetti intatti (quindi interi satelliti) nell’orbita bassa, quest’ultimo parametro in crescita significativa. Mentre negli anni 2004-2012 la media degli oggetti portati in orbita era di 72

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all’anno, nel triennio successivo essa è cresciuta a 125, principalmente in ragione dell’avvento dei microsatelliti. Con l’affermarsi turbinoso dei micro-lanciatori e con i propositi di molte aziende di costruire galassie di satelliti, è ragionevole immaginare che questo numero sia destinato a esplodere, più che ad accrescersi. Nella sua analisi, l’Esa riconosce che le strategie di mitigazione non sono più sufficienti a scongiurare uno scenario da “sindrome di Kessler”, cioè quella condizione nella quale le collisioni diventano così probabili da precludere ai terrestri l’accesso allo spazio. In effetti, sistemi basati su incentivi e sanzioni sembrano avere efficacia a livello nazionale, ma non sul piano internazionale, dove anche gli accordi in essere paiono avere una funzione piuttosto vestigiale, in maniera non difforme da quanto accade per altre grandi questioni globali. Quali sono, dunque, le soluzioni praticabili e come influenzeranno l’economia terrestre nel prossimo futuro? C’è, certamente, uno spazio significativo per le tecnologie digitali visto che, già oggi, la principale difesa contro gli space debris è costituita dalle tecnologie di monitoraggio e rilevazione, il cui compito è di identificare e catalogare gli oggetti sopra i 10-15 centimetri e provare a prevederne la traiettoria. La rilevazione è effettuata sia in orbita, attraverso i satelliti, sia da terra, anche da privati cittadini o istituzioni locali che, con attrezzature proprie o ricevute in affidamento, contribuiscono, secondo l’approccio della citizen science, a mappare questi piccoli e insidiosi bolidi: l’integrazione dei dati da satellite e da rilevazione terrestre costituisce un paradigma di grande interesse anche per molte altre applicazioni, dall’agricoltura di precisione allo studio dei cambiamenti climatici, costituendo un altro dei numerosi esempi di come lo spazio inneschi riflessioni originali anche sullo sfruttamento di tecnologie esistenti. La startup americana Scout Space ha recentemente ricevuto un finanziamento Sbir - il programma statunitense di investimenti sulle piccole e medie imprese - per un contratto con l’aeronautica Usa, proprio per delle tecnologie integrate di monitoraggio. L’Esa raccomanda, come unica opzione risolutiva, l’Active Debris Removal (Adr), il prelievo dei detriti, e a maggior ragione degli oggetti intatti (quindi più ingombranti) e, sebbene riconosca la necessità di un quadro legislativo di riferimento e

la sostanziale immaturità delle

tecnologie deputate alla raccolta, propone l’Adr come misura urgente, avendo determinato che azioni di rimozione attiva effettuate con continuità a partire dal 2060 (quando, cioè, le tecnologie saranno a piena maturità) avrebbero un impatto significativamente inferiore a iniziative avviate immediatamente ma con soluzioni meno efficaci. Per questo motivo l’agenzia spaziale europea ha lanciato il programma

*DOMENICO MARIA CAPRIOLI È PARTNER DI YOURSCIENCEBC LTD, ATTIVA NELLA RICERCA SULLE APPLICAZIONI SPAZIALI E SULLE TECNOLOGIE DI FRONTIERA, CON LA QUALE - OLTRE ALL’ATTIVITÀ DI RICERCA - FORNISCE CONSULENZA A ISTITUZIONI E AZIENDE INTERESSATE A COMPRENDERE LE OPPORTUNITÀ LEGATE ALLO SPAZIO E ALLA RICERCA. Clean Space, che supporta iniziative volte a migliorare i profili di impatto ambientale delle missioni spaziali, creando addirittura un sistema di valutazione dell’impatto, con tanto di green label. La missione supporta, fra gli altri, la startup svizzera Clear Space, uno spin-off dell’Epfl che conferma un approccio interessante e condiviso da molte altre startup, per esempio dalla giapponese Astroscale: la configurazione di servizi in orbita, finalizzati alla manutenzione, all’estensione della vita utile e, infine, alla dismissione sicura e senza detriti dei manufatti. Il fiorire di startup dedicate al tema della rimozione dei detriti è probabilmente il primo passo verso un sistema di servizi più ampio, che parte dalla ottimizzazione intelligente dei sistemi orbitanti, tenendo conto delle problematiche di fine vita già in fase di progettazione, coinvolgendo poi la gestione, con la possibilità, per esempio, di riparare piccoli malfunzionamenti, di sostituire sistemi di ricarica o altre tecnologie, direttamente in orbita, estendendo il ciclo di vita del sistema, e si conclude con la possibilità di recuperare i sistemi dismessi, consentendone la valorizzazione delle componenti tecnologiche e dei materiali. La necessità di limitare e poi di ridurre gli space debris, quindi, sta accelerando un processo di creazione di servizi (e di infrastrutture deputate a ospitarli e abilitarli) extra-atmosferici, rendendo l’orbita bassa un’autentica estensione dello spazio terrestre, innervata da funzioni di vario livello, servizi di supporto e attività eterogenee, veri e propri avamposti dell’economia terrestre verso lo spazio esterno.

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