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Le persone prima di tutto
from Small Giants 04
by BFCMedia
Massimo De Iasi guida Socotec Italia ponendo attenzione al welfare, alla condivisione dei risultati e prediligendo una struttura a rete che coinvolga tutta l’organizzazione
di Edoardo Prallini
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Da un garage a un’azienda leader nel suo settore, con 600 dipendenti e più di 70 milioni di euro di fatturato nel 2022 - 100 in previsione per il 2023 con le controllate. Non è una storia proveniente dalla Silicon Valley, bensì dall’Irpinia, un territorio corrispondente approssimativamente alla provincia di Avellino. Un’area geografica in cui i percorsi di innovazione di prodotti, servizi e processi produttivi possono essere lenti. Dove fondare un’impresa, farla sopravvivere e renderla un punto di riferimento nel suo settore è complicato. Massimo De Iasi ce l’ha fatta. Ha fondato Dimms (azienda che si occupava di ispezioni e certificazioni per infrastrutture e ambiente) da giovane ingegnere neolaureato. Nel 2018 la francese Socotec, colosso da più di un miliardo di ricavi, l’ha integrata nel suo gruppo. Oggi De Iasi guida il gigante della sicurezza, protagonista della costruzione del ponte Genova San Giorgio, verso le sfide future in ambito Tic (testing, inspection and certification) e nel settore energetico, affidandosi ad una leadership solida e gentile.
NEL MODO DI VEDERE
LE COSE E DI GESTIRE
LE EMERGENZE: SOLO COSÌ PUOI VINCERE
LA CONCORRENZA IN UN MERCATO COMPETITIVO COME IL NOSTRO”
Nella busta paga a Natale 400 euro in più e una polizza per gli infortuni extra lavoro. Quanto è importante avere una relazione trasparente e inclusiva con i dipendenti?
Ho sempre visto l’azienda non come un insieme di attrezzature e macchinari, ma come una creatura vivente. Ho sempre guardato con estremo rispetto il lavoro dei miei dipendenti, dei manager, del board. Quindi mi sento obbligato a mantenere un profilo alto nei loro confronti.
Ciò che è stato fatto a Natale è un segnale di coinvolgimento nei progetti futuri e di gratitudine per quelli passati. Abbiamo deciso di dare i 400 euro in busta paga a tutti, anche a chi era entrato nella famiglia Socotec da pochi giorni.
Qual è il suo modello di leadership?
Il mio desidero è sempre stato quello di creare una struttura amalgamata, che si sentisse parte delle scelte che prendo ogni giorno. Faccio sempre sharing di tutto ciò che riguarda l’azienda, a partire dai risultati finanziari. Esponiamo bilanci, progetti e problemi, qualora ce ne fossero. Mettiamo tutte le carte sul tavolo. Ho costruito l’azienda non su un modello piramidale, bensì con una struttura a rete. Nella rete ogni catena è fondamentale, ogni maglia deve essere saldamente intersecata all’altra. La struttura è sinergica soltanto se tutti i componenti sono totalmente coinvolti. Per questo è fondamentale condividere la propria leadership, non imporla.
Da un garage di Avellino a più di 70 milioni di fatturato. Qual è il segreto? Think different. Bisogna necessariamente differenziarsi dal modo comune di gestire, vedere e interpretare le cose. Quando fondi un’azienda e ti ritrovi in un mercato competitivo come quello del monitoraggio infrastrutturale, se non arrivi prima degli altri alle soluzioni vieni schiacciato dalla concorrenza e ti ritrovi a dover inseguire. È fondamentale pensare fuori dagli schemi e mettere sempre in dubbio se stessi. Ogni volta che prendo una decisione mi soffermo a pensare all’esatto opposto, in modo tale da capire se la mia è stata una scelta saggia o se altre strade potessero nascondere vantaggi.
La scelta più difficile e coraggiosa che ha preso?
Durante il periodo pre covid. La pandemia è iniziata in Italia a febbraio 2020: ricordo che nei primissimi giorni dell’anno stavo sciando e alla fine di ogni pista tiravo fuori dalla tasca il cellulare: prima controllavo l’app Ski Tracks, per controllare i parametri della mia sciata, poi l’aggiorna- mento dei contagi in Cina, dove si stavano verificando i primissimi contagi. In quei giorni convocai una riunione con tutto il board via Teams e decidemmo di organizzarci nel caso in cui l’epidemia fosse arrivata anche in Italia, con un piano per isolare il virus. Tutti sappiamo cosa è successo nei mesi successivi. Ebbene, la mia azienda non si è fermata un solo giorno, non abbiamo avuto nessuno contagio e grazie al piano che abbiamo messo in atto siamo rimasti operativi durante tutto il lockdown. In quei mesi lavoravamo anche su tre turni, persino di notte, per non mettere a rischio i dipendenti. Tra l’altro il 2020 è stato un periodo in cui i controlli sulle infrastrutture, soprattutto sulle autostrade, si erano intensificati, vista la drastica riduzione del flusso del traffico. I grandi concessionari, che hanno visto una società così pronta e performante in un periodo di crisi, hanno capito che potevano contare su di noi.

Con quale approccio gestite lo smart working in azienda? Cosa pensa di questa nuova modalità di lavoro?
Lavoriamo sulle grandi opere, quindi l’8590% del personale deve dirigersi direttamente sul posto e non può lavorare da remoto. Negli uffici, che pesano circa il 10%, stiamo dando l’opportunità di lavorare in smart working. Anche se ci sono alcune questioni che secondo me andrebbero gestite meglio, come le riunioni su Teams. Penso sia arrivato il momento di ridurre i meeting che non hanno un oggetto preciso, a cui non segue un follow up, che non siano accompagnate dall’invio di un’agenda e che includano persone che non possono dare un contributo alla riunione. Un utilizzo inappropriato di questi strumenti può rivelarsi controproducente. Se non portano un valore all’azienda, non ha senso farli. Quindi ‘sì’ alle nuove modalità di lavoro, ma a patto che vengano utilizzate in maniera appropriata.
Qual è stato il momento più bello e importante della sua carriera?
Ce ne sono tanti. Io però non sono uno che ama guardarsi alle spalle. Potrei elencare tutti i contratti chiusi con successo negli anni passati, tutti i premi che abbiamo ricevuto e che mi rendono orgoglioso. Ma preferisco guardare solo ed esclusivamente avanti. Se mi volto indietro rischio di rallentare, o addirittura di inciampare. Per intenderci, il 2023 lo ritengo quasi chiuso: per me è un anno che ha già tutti i suoi presupposti, i suoi contratti e le sue vie segnate. Io sto già guardando più in là, al 2024 e al 2025.
Come affronta la giornata lavorativa?
Io lavoro come se ogni giorno fosse il primo e ho sempre una forte tensione quando vado in ufficio la mattina. Non mi sento mai completamente rilassato, sono teso e concentrato sugli obiettivi. Mi piace immaginare l’azienda come se fosse fatta di tanti piccoli, medi e grandi ingranaggi, sui quali io possa intervenire. La sfida è capire quali andare a muovere e ruotare, anche tra i più piccoli, per far sì che vengano innescati quelli più grandi. I am a fixer diceva Sergio Marchionne: ecco, io mi sento molto rappresentato da questa citazione. E confesso che penso 24 ore al giorno a come cambiare e migliorare le cose nella mia azienda, a quali piccoli ingranaggi toccare per fare i grandi cambiamenti.
Parliamo di Socotec: cosa vede nel futuro?
Abbiamo appena vinto il lavoro di monitoraggio ambientale di Argo-Cassiopea con Saipem, al largo del mediterraneo, in Sicilia. Per il resto stiamo trasferendo le nostre competenze al mondo dell’energia, un settore importante non solo in relazione al conflitto russo-ucraino. Oggi il nostro Paese vuole e deve essere autonomo dal punto di vista energetico a prescindere. A parere mio dobbiamo esserlo contando sul green ma anche, ahimè, sul fossile, che è ancora oggi indispensabile per progettare un’indipendenza energetica. È impensabile credere che da un giorno all’altro il fossile non sia più una fonte energetica alla quale attingere.

Come sta cambiando il mondo Energy? Sta cambiando tanto. Noi stiamo lavorando in particolar modo su alcuni parchi eolici, sia in Italia che all’estero, nel Mare del nord. Quello che rammarica è vedere che la politica è ancora bloccata su questo tipo di processi e che in Italia non abbiamo una visione di lungo raggio. L’ultimo ad aver rappresentato questo tipo di personalità, almeno in ambito politico, è stato Enrico Mattei, simbolo della ripresa produttiva del Paese nel dopoguerra. Oggi vorrei dare una mano al Paese anche in questo senso. Mi definisco un fixer. Qualche idea su come cambiare le cose ce l’avrei.

