Azione 27 del 3 luglio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 3 luglio 2017

Azione 27 Ms alle hoppin pag g ine 3342 /

Società e Territorio Rendere accessibile l’arte a persone con disabilità visive: le linee guida per i musei in un progetto della Supsi

Ambiente e Benessere L’Agenzia spaziale italiana lancia una nuova missione per studiare l’impatto della vita nello spazio sul corpo umano

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Politica e Economia L’incriminazione del presidente Michel Temer aggrava la crisi istituzionale in Brasile

Cultura e Spettacoli Damien Hirst, artista attratto dalle provocazioni, è a Venezia con un’opera impressionante

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di Paolo Brovelli pagina 11

Paolo Brovelli

Viaggio in un tempo immobile

Il vaso di Pandora è stato hackerato di Peter Schiesser L’ex capo dei servizi di informazione Peter Regli lo aveva sintetizzato così, in un dialogo in margine ad una conferenza sulla guerra cibernetica organizzata un mese fa dall’Osservatore Democratico a Lugano: «Il mondo è una polveriera, e la miccia è già accesa». E Silvano Petrini, capo dei Servizi informativi del cantone e ufficiale dell’unità di Cyberdefence dello Stato maggiore dell’esercito, proiettando quella sera la cartina del mondo di un sito che mostra in tempo reale gli attacchi cibernetici che vengono scoperti, ne aveva dato una concreta dimostrazione. Eppure – siamo sinceri – quanti di noi pensano che questa nuova forma di guerra riguardi solo qualcosa o qualcuno lontano da noi? Un grosso errore, perché questa è davvero una guerra globale: non conosce confini, i suoi attori agiscono nell’ombra e la distinzione fra carattere militare e criminale si dissolve. La cronaca degli ultimi anni, mesi, giorni lo dimostra. Il caso più eclatante in Svizzera è stato il furto di 23 Gigabyte di dati subito dalla Ruag, conglomerato aerospaziale e di armamento elvetico che, ironia della sorte, intende specializzarsi in cyberdefence. Quello più

raffinato è forse stato l’attacco compiuto dagli americani nel 2010 ai danni del programma nucleare iraniano: come ha spiegato Petrini, siccome il sito di Natanz in cui sono concentrate le centrifughe per arricchire l’uranio (creando la potenzialità di produrre bombe atomiche) era impenetrabile, gli americani avevano sparso migliaia di chiavette usb infettate in tutto il Medio Oriente, lasciate «casualmente» in bagni, ritrovi pubblici, alberghi, nella speranza che prima o poi una arrivasse a Natanz. Così avvenne, e il virus Stuxnet mandò in tilt le centrifughe di Natanz, bloccando il programma nucleare iraniano. Ma di esempi ce ne sono tanti altri. E molto rapidamente ci si accorge che ad essere attaccati non solo obiettivi militari (la Nato subisce 500 attacchi al mese!), si rubano o si distruggono dati anche a grosse compagnie e ad amministrazioni pubbliche e private. Spesso chi ne rimane vittima non se ne accorge neppure, o solo molto tardi, alla Ruag per esempio ne hanno avuto consapevolezza solo a inizio 2016, ma l’attacco era stato compiuto alla fine del 2014. I massicci attacchi cibernetici avvenuti in maggio (WannaCry) e in giugno (ExPetr), in cui gli hacker hanno approfittato di un difetto di sicurezza insito nel programma Windows XP della Microsoft

(scoperto e sfruttato dalla National Security Agency americana, poi reso pubblico in rete dal gruppo di hacker Shadow Brokers, quindi sfruttato da hacker nordcoreani per diffondere il ransomware WannaCry) ci mostrano che siamo tutti potenziali vittime. Ma a minacciare noi, semplici cittadini, non sono solo le e-mail contenenti dei virus o i ransomware che criptano i dati fino a pagamento di un riscatto: in un mondo sempre più interconnesso, in cui si afferma l’«internet delle cose», con televisori e altri elettrodomestici collegati alla rete, la vulnerabilità si accresce, e a rischio ci sono tutte le infrastrutture critiche: l’erogazione di energia elettrica e di acqua, i sistemi di trasporto, per esempio, sono computerizzati, bloccarli non è impossibile – ci rendiamo conto di che cosa significa? Silvano Petrini mi aveva citato una valutazione fatta in Germania partendo dalla domanda «quanto tempo deve durare un black out generale fino a che scoppi una guerra civile?», la risposta era stata: cinque giorni. Non siamo ancora a questo punto di capacità tecnologica, aveva tranquillizzato Petrini, però non è il caso di farsi cogliere impreparati. La Confederazione sta migliorando la sua cyberdefence, ma serve anche la consapevolezza di noi cittadini.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Società e Territorio L’orto come strumento didattico L’attività dell’associazione Orto a Scuola favorisce la creazione degli orti scolastici nelle scuole dell’infanzia ed elementari, promuovendo l’educazione ambientale e alimentare

Videogiochi Farpoint: un pianeta alieno da scoprire difendendosi da strane creature. Ecco il gioco che segna la maturità della realtà virtuale su PlayStation pagina 5

Giovani tra presente e futuro

Sondaggio «Generazioni & Sinergie» ha interpellato i movimenti politici giovanili ticinesi per capire come valutano

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il mondo del lavoro futuro e le prospettive del sistema pensionistico

Fabio Dozio No al precariato e no agli interminabili stage sottopagati. Il peggioramento delle condizioni di lavoro non piace ai giovani ticinesi impegnati politicamente. Le novità tecnologiche sono necessarie e accettabili, ma non devono trasformarsi in precariato stabile. È un dato significativo che esce dall’indagine promossa da «Generazioni & Sinergie», associazione che promuove le relazioni intergenerazionali, sui temi presenti e futuri che riguardano lo sviluppo dell’economia, la ripartizione del reddito, il destino del sistema pensionistico. Per conoscere le visioni dei giovani, «G&S» ha interpellato sei rappresentanti dei movimenti giovanili di UDC, PLR, PPD, PS e Partito comunista, sottoponendo loro 28 tesi divise in tre settori: 1) Gig economy, quarta rivoluzione industriale e ripartizione del reddito; 2) formazione e primo inserimento lavorativo; 3) età del pensionamento e finanziamento delle rendite. Diciamo subito che non ci sono risultati strabilianti. Non sembra di intravvedere spaccature nette tra destra e sinistra. I giovani comunisti, come immaginabile, sono più radicali nelle risposte, altrimenti le posizioni sono attenuate. Le maggiori convergenze si rilevano tra giovani PLR e PPD, poi tra i giovani leghisti, pipidini e liberali radicali. Il dato meno scontato è che i giovani UDC condividono le stesse risposte dei giovani socialisti in 18 casi su 28. I temi sono piuttosto impegnativi: della Gig economy si parla da poco tempo, basti pensare che non è ancora menzionata in Wikipedia. Si tratta in sostanza di un modello economico sempre più diffuso, dove non esistono più le prestazioni classiche (posto fisso con contratto), ma si lavora su richiesta, offrendo servizi, competenze e prodotti gestiti via internet. Gli esempi ormai non mancano: la rete di taxi Uber, Airbnb per l’affitto di camere, ecc. La domanda di fondo posta ai giovani è in sostanza questa: la Gig economy è una nuova opportunità o una generalizzazione della precarietà? Le risposte sono piuttosto convergenti: tutti e sei gli interlocutori ritengono che si tratti di una forma di precariato che

L’arte con tutti gli altri sensi Disabilità Un progetto della Supsi sta

permettendo l’elaborazione di linee guida per enti museali al fine di facilitare la loro accessibilità a persone cieche e ipovedenti

Sara Rossi Guidicelli Perché andiamo alle mostre? Perché molti provano emozioni di fronte a un quadro, una scultura, un’installazione? Perché chiediamo agli artisti di organizzare per noi una spiegazione del senso della vita? Domande senza risposte, o con migliaia di risposte, belle, banali, plausibili, utili o inutili. Fatto sta che chi apprezza e segue le proposte dei musei e delle gallerie d’arte ha piacere a frequentare le mostre. E succede non di rado che alcune di queste persone siano cieche o ipovedenti. La Supsi, in particolare il Laboratorio cultura visiva, ha deciso insieme a Unitas di fare qualcosa per rendere accessibile l’arte anche a persone con disabilità visive. Esistono varie strade che i musei d’arte del mondo hanno intrapreso per questa opportunità da offrire a tutti; il progetto di mediazione culturale inclusiva della Supsi intende fare ricerca con verifica sul campo per mettere in rete un grande numero di proposte, attraverso una piattaforma web (www. mci.supsi.ch) già piena di risorse attualmente consultabili oltre che grazie alla creazione di linee guida finali, che a dicembre saranno a libera disposizione di tutti i musei svizzeri. Questa ricerca-azione è già iniziata un anno e mezzo fa, e a noi la racconta Valeria Donnarumma, responsabile del progetto. «Siamo in partenariato con tutti i principali musei d’arte del cantone e questo è importante. Lavoriamo a stretto contatto con loro, oltre che con gli utenti interessati. Dopo un primo periodo di ricerca e analisi, stiamo ora sperimentando diverse soluzioni facilmente praticabili affinché il mondo della cultura e dell’arte in Ticino sia accessibile anche a persone con diverse disabilità visive». Qualche esempio: visite guidate appositamente concepite per ciechi o ipovedenti, individuali o di gruppo, audioguide con descrizione oggettiva dell’opera e critica, possibilità di toccare quadri e sculture,

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

aggiunta di altri canali sensoriali, come l’udito, il gusto e l’olfatto, abbinandoli alla scoperta dell’opera d’arte. La maggior parte degli utenti interessati sono persone che hanno sempre frequentato le offerte culturali e artistiche e ad un certo punto della loro vita hanno perso la vista, senza però perdere il desiderio di continuare a seguire le mostre. Ci vanno di solito accompagnati da qualcuno o dal proprio cane guida. La ricerca della Supsi rivela che per un buon numero di loro il modo migliore di essere accompagnati alla scoperta di un museo o di una nuova mostra è in piccolissimi gruppi, soffermandosi su alcune opere scelte (meglio poche a cui dedicare il tempo che ci vuole) con una guida che le descrive oggettivamente prima, soggettivamente poi e eventualmente che propone una critica artistica. La descrizione oggettiva spiega la posizione nello spazio dell’opera, le sue dimensioni, poi ne racconta i colori e il contenuto. Quella soggettiva aggiunge ciò che evoca il guardarla, come una particolare atmosfera, un sentimento o un rumore («dà una sensazione di oppressione», «infonde serenità», «sembra di sentire le onde del mare», e così via). La critica è quella che di solito propongono le classiche audioguide: l’opera viene commentata e collocata nel suo contesto storico e artistico. Anche la possibilità di esplorare tattilmente, quando c’è, è molto utile: ci sono musei che hanno costruito la maquette di alcune opere, oppure ci sono quadri di cui si può sentire la materia sfiorandoli con un dito e sculture che si possono toccare. La presenza dell’artista, inoltre, come per tutti, è sempre un piacere. «L’idea è quella di costruire un kit da lasciare a disposizione di tutti i musei svizzeri, con le soluzioni che meglio hanno funzionato, quelle più efficaci, apprezzate e meno costose. Sarà un po’ come un ricettario, in cui ognuno potrà scegliere quello che meglio fa per lui. Ci Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

È possibile rendere accessibile l’arte alle persone con disabilità visive attraverso l’esplorazione tattile.

saranno linee guida su come impostare le informazioni di base sul proprio sito, in modo che i lettori vocali sappiano riconoscerle e trasmetterle a chi fa uso di tali dispositivi; ci saranno anche consigli su come organizzare la mobilità del proprio edificio e sulla possibilità di orientarsi per una persona cieca o ipovedente». A fine novembre o dicembre ci sarà una giornata di presentazione di questo strumento che raccoglie e mette in rete tutte le facilitazioni così che i musei sensibili a questo tema possano trovare spunti e riflessioni e soprattutto idee pratiche per rendersi più accessibili.

«Quello che vorrei – conclude Valeria Donnarumma – è che diventasse normale avere la possibilità di andare al museo, con qualsiasi disabilità, così che tutti davvero possano scegliere di quale offerta culturale usufruire. D’altronde è proprio compito del museo fare in modo che tutti possano accedere al patrimonio artistico che custodisce e promuove. Vorremmo restare a disposizione e profilarci come punto di riferimento per i mediatori culturali e i musei stessi. Forse potremmo continuare la ricerca con altri utenti o su altri enti». Un ultimo aspetto che cura la

Supsi, in quanto scuola, è la sensibilizzazione dei suoi studenti. Il Laboratorio cultura visiva del Dipartimento ambiente costruzioni e design crea ponti tra ricerca e didattica, collaborando con vari altri dipartimenti per workshop rivolti a studenti di grafica, di lavoro sociale, di tecnologie interattive, sui ruoli che ognuno può svolgere nella facilitazione a persone cieche e ipovedenti di godere dell’arte.

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www.mci.supsi.ch

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L’associazione «Generazioni & Sinergie» si impegna a stimolare i giovani a riflettere e confrontarsi su temi di attualità. (Keystone)

non corrisponde al desiderio dei giovani, anche se può essere un’opportunità temporanea come complemento di reddito. «Per i giovani studenti o apprendisti – afferma Diego Baratti, giovane UDC – usufruire di questi lavori part-time può essere interessante per arrotondare il reddito, ma non può essere una soluzione definitiva perché comporta pressioni psicologiche non indifferenti oltre che tante ore di lavoro per una bassa retribuzione». Per il vicepresidente dei giovani PLR, Alessandro Delorenzi, «la Gig economy comporta il rischio del precariato, ed emerge come una zona grigia tra il lavoro indipendente e quello dipendente, con lacune legislative. Preoccupante è la banalizzazione del lavoro che si crea». Da parte sua, il socialista Andrea Ghisletta è chiaro: «Può rappresentare

un’opportunità, ma solo se rimane un mercato esclusivo per redditi complementari e non diventi una chiave per introdurre precariato, insicurezza ed erosione dei diritti dei lavoratori». La quarta rivoluzione industriale, fatta di digitalizzazione e robotizzazione, ma anche di internet degli oggetti, stampanti 3D, intelligenza artificiale, prefigura una drastica riduzione dei posti di lavoro e una contrazione della massa salariale. È un’opportunità o una minaccia, chiede «G&S» ai giovani. I movimenti interpellati ritengono che le nuove tecnologie informatiche siano una grande occasione per accrescere l’efficienza migliorando la qualità, ma la parallela perdita di posti di lavoro preoccupa, così come le conseguenze per la generazione di mezzo (45-65 anni), che rischia di subire le ripercussioni di questi cambiamenti a causa

«C’è spazio per discussioni costruttive» «Generazioni & Sinergie» è un’associazione nata nel 2011 che si occupa del fenomeno della longevità attiva e delle relazioni fra generazioni. Intende profilarsi come attore di riferimento e d’impulso per accelerare un cambiamento di mentalità e d’azione a livello regionale (generazione-sinergie.ch). Abbiamo rivolto alcune domande a Martino Rossi, economista e membro del comitato di «G&S». Martino Rossi, qual è l’obiettivo di questo sondaggio con i movimenti giovanili ticinesi?

L’obiettivo di questa iniziativa è di stimolare i giovani politicamente attivi ad avviare o proseguire riflessioni su temi di attualità (formazione, mercato del lavoro, sistema previdenziale) nel contesto dei mutamenti in corso o in divenire (invecchiamento demografico, precarizzazione del

mercato del lavoro, quarta rivoluzione industriale). Ritenete che nel mondo del lavoro le giovani generazioni siano penalizzate rispetto alle precedenti? Che fare per ovviare?

Prima di quest’ultima iniziativa, «G&S» aveva animato due incontri pubblici attorno al tema dell’eventuale «ingiustizia» fra generazioni indotta dal pensionamento dei baby boomers, che hanno vissuto buona parte dell’età attiva negli anni di crescita e di pieno impiego, e dei conseguenti oneri che ricadono sulle generazioni successive che vivono un mercato del lavoro più difficile. Nel questionario elaborato da «G&S» sono presentate molte tesi contrastanti, per avere il punto di vista dei giovani politicamente impegnati. Anche queste posizioni potranno alimentare la discussione sul «che fare». «G&S»

non propone generalmente soluzioni sue (l’associazione è volutamente eterogenea dal profilo politico) ma vuole animare il confronto in modi razionali e aperti, non partigiani. Come valutate i risultati?

I risultati dimostrano, come prevedibile, che le posizioni espresse dai diversi movimenti sono sfumate: sulle 28 tesi prevalgono le posizioni «prudenti» («piuttosto» d’accordo o non d’accordo: 131 risposte) rispetto a quelle nette («totalmente» d’accordo o non: 37 risposte). L’area di appartenenza politica influisce sulle posizioni espresse, ma non in modo sistematico: movimenti politicamente agli antipodi esprimono sovente posizioni simili. Vi è dunque spazio per discussioni costruttive e convergenze, in linea con la natura del sistema politico svizzero, dove partiti molto diversi devono governare assieme.

della minore flessibilità e della scarsa capacità di adattamento. Un dato, questo, che può rincuorare «G&S», un’associazione che fa della solidarietà intergenerazionale il suo obiettivo principale. I giovanissimi dimostrano, infatti, attenzione e preoccupazione per la generazione dei loro genitori. A proposito delle trasformazioni del lavoro, si ammette che sono necessari modelli innovativi di ripartizione del reddito, per evitare che si approfondisca la frattura sociale. Tutti i sei movimenti affermano che la quarta rivoluzione industriale e la Gig economy esigono adattamenti nei contratti (tempo di lavoro, sistemi retributivi) e negli strumenti esistenti di sicurezza sociale. Può forse stupire che non vi sia adesione alla proposta di reddito di base incondizionato. Anzi, la netta maggioranza dei gruppi è contraria a questa proposta (solo i giovani socialisti sono «piuttosto d’accordo»), su cui si è votato recentemente in Svizzera, dove è stata accolta da quasi un quarto dei votanti, con punte del 40 per cento nelle città di Berna e Ginevra. «Il reddito di base – sostiene Alessandro Delorenzi – rischia di causare delle distorsioni negative per il cittadino: mancanza di competitività, di voglia di emergere e di meritarsi quello che si vuole raggiungere. Come diceva mio nonno: Van a lavurà». «Il reddito di base – incalza Alberto Togni dei giovani comunisti – rischia di favorire un approccio individualista alla società, a scapito delle istanze di solidarietà collettiva (prestazioni del welfare state) che sono il frutto di anni di lotta del movimento operaio». Eppure recentemente si è espresso a favore del reddito garantito anche Mark Zuckerberg, inventore di Facebook. Davanti agli studenti di Harvard ha detto che «dobbiamo esplorare idee come il reddito universale per dare a ciascuno una sicurezza che permetta di affrontare cose nuove». Ed ha anche aggiunto che i giovani di oggi «devono

definire un nuovo contratto sociale per la nostra generazione». Come giudicano i giovani la formazione e il primo lavoro? Non hanno dubbi; tutti criticano la tendenza a utilizzare stage interminabili prima di essere inseriti in modo degno nel mondo del lavoro. La ripetizione di stage in azienda dopo il conseguimento di un diploma è considerato un abuso per sfruttare a basso costo le competenze dei giovani. Anche qui, si conferma l’attenzione nei confronti delle altre generazioni. Infatti, sono tutti d’accordo affinché imprenditori, lavoratori ed enti pubblici promuovano e migliorino le relazioni fra generazioni in azienda. Come vedono il sistema pensionistico i movimenti politici giovanili? Su questi temi c’è minor convergenza. Sul futuro dell’AVS c’è una spaccatura, anche se la maggioranza ritiene legittimo il finanziamento dell’assicurazione tramite prelievi sui salari. Attualmente l’Assicurazione vecchiaia e superstiti è finanziata nella misura del 75% dai redditi di lavoro, quindi dalla popolazione attiva, mentre il 25% circa scaturisce da imposte federali, soprattutto dall’IVA. Lega, socialisti e comunisti ritengono che l’IVA – imposta pagata da tutti i consumatori – non sia uno strumento adeguato a finanziare l’AVS, mentre UDC, PLR e PPD pensano di sì. Sulle prospettive a lungo termine ancora una divergenza: Lega, liberali e PPD ritengono che le future generazioni non saranno in grado di pagare i contributi necessari a finanziare le rendite dei pensionati fra 30, 40 anni. La sinistra e l’UDC si esprimono invece positivamente. Le questioni riguardanti il pensionamento e il finanziamento delle rendite rimangono piuttosto fluide. D’altra parte basti pensare alla fatica che ha fatto il Parlamento nazionale per varare il progetto «Previdenza per la vecchiaia 2020», proposta dal Consigliere federale Alain Berset. Su questa importante riforma i cittadini svizzeri si esprimeranno il prossimo 24 settembre.


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Società e Territorio L’orto come strumento didattico L’attività dell’associazione Orto a Scuola favorisce la creazione degli orti scolastici nelle scuole dell’infanzia ed elementari, promuovendo l’educazione ambientale e alimentare

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Giovani tra presente e futuro

Sondaggio «Generazioni & Sinergie» ha interpellato i movimenti politici giovanili ticinesi per capire come valutano

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il mondo del lavoro futuro e le prospettive del sistema pensionistico

Fabio Dozio No al precariato e no agli interminabili stage sottopagati. Il peggioramento delle condizioni di lavoro non piace ai giovani ticinesi impegnati politicamente. Le novità tecnologiche sono necessarie e accettabili, ma non devono trasformarsi in precariato stabile. È un dato significativo che esce dall’indagine promossa da «Generazioni & Sinergie», associazione che promuove le relazioni intergenerazionali, sui temi presenti e futuri che riguardano lo sviluppo dell’economia, la ripartizione del reddito, il destino del sistema pensionistico. Per conoscere le visioni dei giovani, «G&S» ha interpellato sei rappresentanti dei movimenti giovanili di UDC, PLR, PPD, PS e Partito comunista, sottoponendo loro 28 tesi divise in tre settori: 1) Gig economy, quarta rivoluzione industriale e ripartizione del reddito; 2) formazione e primo inserimento lavorativo; 3) età del pensionamento e finanziamento delle rendite. Diciamo subito che non ci sono risultati strabilianti. Non sembra di intravvedere spaccature nette tra destra e sinistra. I giovani comunisti, come immaginabile, sono più radicali nelle risposte, altrimenti le posizioni sono attenuate. Le maggiori convergenze si rilevano tra giovani PLR e PPD, poi tra i giovani leghisti, pipidini e liberali radicali. Il dato meno scontato è che i giovani UDC condividono le stesse risposte dei giovani socialisti in 18 casi su 28. I temi sono piuttosto impegnativi: della Gig economy si parla da poco tempo, basti pensare che non è ancora menzionata in Wikipedia. Si tratta in sostanza di un modello economico sempre più diffuso, dove non esistono più le prestazioni classiche (posto fisso con contratto), ma si lavora su richiesta, offrendo servizi, competenze e prodotti gestiti via internet. Gli esempi ormai non mancano: la rete di taxi Uber, Airbnb per l’affitto di camere, ecc. La domanda di fondo posta ai giovani è in sostanza questa: la Gig economy è una nuova opportunità o una generalizzazione della precarietà? Le risposte sono piuttosto convergenti: tutti e sei gli interlocutori ritengono che si tratti di una forma di precariato che

L’arte con tutti gli altri sensi Disabilità Un progetto della Supsi sta

permettendo l’elaborazione di linee guida per enti museali al fine di facilitare la loro accessibilità a persone cieche e ipovedenti

Sara Rossi Guidicelli Perché andiamo alle mostre? Perché molti provano emozioni di fronte a un quadro, una scultura, un’installazione? Perché chiediamo agli artisti di organizzare per noi una spiegazione del senso della vita? Domande senza risposte, o con migliaia di risposte, belle, banali, plausibili, utili o inutili. Fatto sta che chi apprezza e segue le proposte dei musei e delle gallerie d’arte ha piacere a frequentare le mostre. E succede non di rado che alcune di queste persone siano cieche o ipovedenti. La Supsi, in particolare il Laboratorio cultura visiva, ha deciso insieme a Unitas di fare qualcosa per rendere accessibile l’arte anche a persone con disabilità visive. Esistono varie strade che i musei d’arte del mondo hanno intrapreso per questa opportunità da offrire a tutti; il progetto di mediazione culturale inclusiva della Supsi intende fare ricerca con verifica sul campo per mettere in rete un grande numero di proposte, attraverso una piattaforma web (www. mci.supsi.ch) già piena di risorse attualmente consultabili oltre che grazie alla creazione di linee guida finali, che a dicembre saranno a libera disposizione di tutti i musei svizzeri. Questa ricerca-azione è già iniziata un anno e mezzo fa, e a noi la racconta Valeria Donnarumma, responsabile del progetto. «Siamo in partenariato con tutti i principali musei d’arte del cantone e questo è importante. Lavoriamo a stretto contatto con loro, oltre che con gli utenti interessati. Dopo un primo periodo di ricerca e analisi, stiamo ora sperimentando diverse soluzioni facilmente praticabili affinché il mondo della cultura e dell’arte in Ticino sia accessibile anche a persone con diverse disabilità visive». Qualche esempio: visite guidate appositamente concepite per ciechi o ipovedenti, individuali o di gruppo, audioguide con descrizione oggettiva dell’opera e critica, possibilità di toccare quadri e sculture,

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

aggiunta di altri canali sensoriali, come l’udito, il gusto e l’olfatto, abbinandoli alla scoperta dell’opera d’arte. La maggior parte degli utenti interessati sono persone che hanno sempre frequentato le offerte culturali e artistiche e ad un certo punto della loro vita hanno perso la vista, senza però perdere il desiderio di continuare a seguire le mostre. Ci vanno di solito accompagnati da qualcuno o dal proprio cane guida. La ricerca della Supsi rivela che per un buon numero di loro il modo migliore di essere accompagnati alla scoperta di un museo o di una nuova mostra è in piccolissimi gruppi, soffermandosi su alcune opere scelte (meglio poche a cui dedicare il tempo che ci vuole) con una guida che le descrive oggettivamente prima, soggettivamente poi e eventualmente che propone una critica artistica. La descrizione oggettiva spiega la posizione nello spazio dell’opera, le sue dimensioni, poi ne racconta i colori e il contenuto. Quella soggettiva aggiunge ciò che evoca il guardarla, come una particolare atmosfera, un sentimento o un rumore («dà una sensazione di oppressione», «infonde serenità», «sembra di sentire le onde del mare», e così via). La critica è quella che di solito propongono le classiche audioguide: l’opera viene commentata e collocata nel suo contesto storico e artistico. Anche la possibilità di esplorare tattilmente, quando c’è, è molto utile: ci sono musei che hanno costruito la maquette di alcune opere, oppure ci sono quadri di cui si può sentire la materia sfiorandoli con un dito e sculture che si possono toccare. La presenza dell’artista, inoltre, come per tutti, è sempre un piacere. «L’idea è quella di costruire un kit da lasciare a disposizione di tutti i musei svizzeri, con le soluzioni che meglio hanno funzionato, quelle più efficaci, apprezzate e meno costose. Sarà un po’ come un ricettario, in cui ognuno potrà scegliere quello che meglio fa per lui. Ci Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

È possibile rendere accessibile l’arte alle persone con disabilità visive attraverso l’esplorazione tattile.

saranno linee guida su come impostare le informazioni di base sul proprio sito, in modo che i lettori vocali sappiano riconoscerle e trasmetterle a chi fa uso di tali dispositivi; ci saranno anche consigli su come organizzare la mobilità del proprio edificio e sulla possibilità di orientarsi per una persona cieca o ipovedente». A fine novembre o dicembre ci sarà una giornata di presentazione di questo strumento che raccoglie e mette in rete tutte le facilitazioni così che i musei sensibili a questo tema possano trovare spunti e riflessioni e soprattutto idee pratiche per rendersi più accessibili.

«Quello che vorrei – conclude Valeria Donnarumma – è che diventasse normale avere la possibilità di andare al museo, con qualsiasi disabilità, così che tutti davvero possano scegliere di quale offerta culturale usufruire. D’altronde è proprio compito del museo fare in modo che tutti possano accedere al patrimonio artistico che custodisce e promuove. Vorremmo restare a disposizione e profilarci come punto di riferimento per i mediatori culturali e i musei stessi. Forse potremmo continuare la ricerca con altri utenti o su altri enti». Un ultimo aspetto che cura la

Supsi, in quanto scuola, è la sensibilizzazione dei suoi studenti. Il Laboratorio cultura visiva del Dipartimento ambiente costruzioni e design crea ponti tra ricerca e didattica, collaborando con vari altri dipartimenti per workshop rivolti a studenti di grafica, di lavoro sociale, di tecnologie interattive, sui ruoli che ognuno può svolgere nella facilitazione a persone cieche e ipovedenti di godere dell’arte.

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L’associazione «Generazioni & Sinergie» si impegna a stimolare i giovani a riflettere e confrontarsi su temi di attualità. (Keystone)

non corrisponde al desiderio dei giovani, anche se può essere un’opportunità temporanea come complemento di reddito. «Per i giovani studenti o apprendisti – afferma Diego Baratti, giovane UDC – usufruire di questi lavori part-time può essere interessante per arrotondare il reddito, ma non può essere una soluzione definitiva perché comporta pressioni psicologiche non indifferenti oltre che tante ore di lavoro per una bassa retribuzione». Per il vicepresidente dei giovani PLR, Alessandro Delorenzi, «la Gig economy comporta il rischio del precariato, ed emerge come una zona grigia tra il lavoro indipendente e quello dipendente, con lacune legislative. Preoccupante è la banalizzazione del lavoro che si crea». Da parte sua, il socialista Andrea Ghisletta è chiaro: «Può rappresentare

un’opportunità, ma solo se rimane un mercato esclusivo per redditi complementari e non diventi una chiave per introdurre precariato, insicurezza ed erosione dei diritti dei lavoratori». La quarta rivoluzione industriale, fatta di digitalizzazione e robotizzazione, ma anche di internet degli oggetti, stampanti 3D, intelligenza artificiale, prefigura una drastica riduzione dei posti di lavoro e una contrazione della massa salariale. È un’opportunità o una minaccia, chiede «G&S» ai giovani. I movimenti interpellati ritengono che le nuove tecnologie informatiche siano una grande occasione per accrescere l’efficienza migliorando la qualità, ma la parallela perdita di posti di lavoro preoccupa, così come le conseguenze per la generazione di mezzo (45-65 anni), che rischia di subire le ripercussioni di questi cambiamenti a causa

«C’è spazio per discussioni costruttive» «Generazioni & Sinergie» è un’associazione nata nel 2011 che si occupa del fenomeno della longevità attiva e delle relazioni fra generazioni. Intende profilarsi come attore di riferimento e d’impulso per accelerare un cambiamento di mentalità e d’azione a livello regionale (generazione-sinergie.ch). Abbiamo rivolto alcune domande a Martino Rossi, economista e membro del comitato di «G&S». Martino Rossi, qual è l’obiettivo di questo sondaggio con i movimenti giovanili ticinesi?

L’obiettivo di questa iniziativa è di stimolare i giovani politicamente attivi ad avviare o proseguire riflessioni su temi di attualità (formazione, mercato del lavoro, sistema previdenziale) nel contesto dei mutamenti in corso o in divenire (invecchiamento demografico, precarizzazione del

mercato del lavoro, quarta rivoluzione industriale). Ritenete che nel mondo del lavoro le giovani generazioni siano penalizzate rispetto alle precedenti? Che fare per ovviare?

Prima di quest’ultima iniziativa, «G&S» aveva animato due incontri pubblici attorno al tema dell’eventuale «ingiustizia» fra generazioni indotta dal pensionamento dei baby boomers, che hanno vissuto buona parte dell’età attiva negli anni di crescita e di pieno impiego, e dei conseguenti oneri che ricadono sulle generazioni successive che vivono un mercato del lavoro più difficile. Nel questionario elaborato da «G&S» sono presentate molte tesi contrastanti, per avere il punto di vista dei giovani politicamente impegnati. Anche queste posizioni potranno alimentare la discussione sul «che fare». «G&S»

non propone generalmente soluzioni sue (l’associazione è volutamente eterogenea dal profilo politico) ma vuole animare il confronto in modi razionali e aperti, non partigiani. Come valutate i risultati?

I risultati dimostrano, come prevedibile, che le posizioni espresse dai diversi movimenti sono sfumate: sulle 28 tesi prevalgono le posizioni «prudenti» («piuttosto» d’accordo o non d’accordo: 131 risposte) rispetto a quelle nette («totalmente» d’accordo o non: 37 risposte). L’area di appartenenza politica influisce sulle posizioni espresse, ma non in modo sistematico: movimenti politicamente agli antipodi esprimono sovente posizioni simili. Vi è dunque spazio per discussioni costruttive e convergenze, in linea con la natura del sistema politico svizzero, dove partiti molto diversi devono governare assieme.

della minore flessibilità e della scarsa capacità di adattamento. Un dato, questo, che può rincuorare «G&S», un’associazione che fa della solidarietà intergenerazionale il suo obiettivo principale. I giovanissimi dimostrano, infatti, attenzione e preoccupazione per la generazione dei loro genitori. A proposito delle trasformazioni del lavoro, si ammette che sono necessari modelli innovativi di ripartizione del reddito, per evitare che si approfondisca la frattura sociale. Tutti i sei movimenti affermano che la quarta rivoluzione industriale e la Gig economy esigono adattamenti nei contratti (tempo di lavoro, sistemi retributivi) e negli strumenti esistenti di sicurezza sociale. Può forse stupire che non vi sia adesione alla proposta di reddito di base incondizionato. Anzi, la netta maggioranza dei gruppi è contraria a questa proposta (solo i giovani socialisti sono «piuttosto d’accordo»), su cui si è votato recentemente in Svizzera, dove è stata accolta da quasi un quarto dei votanti, con punte del 40 per cento nelle città di Berna e Ginevra. «Il reddito di base – sostiene Alessandro Delorenzi – rischia di causare delle distorsioni negative per il cittadino: mancanza di competitività, di voglia di emergere e di meritarsi quello che si vuole raggiungere. Come diceva mio nonno: Van a lavurà». «Il reddito di base – incalza Alberto Togni dei giovani comunisti – rischia di favorire un approccio individualista alla società, a scapito delle istanze di solidarietà collettiva (prestazioni del welfare state) che sono il frutto di anni di lotta del movimento operaio». Eppure recentemente si è espresso a favore del reddito garantito anche Mark Zuckerberg, inventore di Facebook. Davanti agli studenti di Harvard ha detto che «dobbiamo esplorare idee come il reddito universale per dare a ciascuno una sicurezza che permetta di affrontare cose nuove». Ed ha anche aggiunto che i giovani di oggi «devono

definire un nuovo contratto sociale per la nostra generazione». Come giudicano i giovani la formazione e il primo lavoro? Non hanno dubbi; tutti criticano la tendenza a utilizzare stage interminabili prima di essere inseriti in modo degno nel mondo del lavoro. La ripetizione di stage in azienda dopo il conseguimento di un diploma è considerato un abuso per sfruttare a basso costo le competenze dei giovani. Anche qui, si conferma l’attenzione nei confronti delle altre generazioni. Infatti, sono tutti d’accordo affinché imprenditori, lavoratori ed enti pubblici promuovano e migliorino le relazioni fra generazioni in azienda. Come vedono il sistema pensionistico i movimenti politici giovanili? Su questi temi c’è minor convergenza. Sul futuro dell’AVS c’è una spaccatura, anche se la maggioranza ritiene legittimo il finanziamento dell’assicurazione tramite prelievi sui salari. Attualmente l’Assicurazione vecchiaia e superstiti è finanziata nella misura del 75% dai redditi di lavoro, quindi dalla popolazione attiva, mentre il 25% circa scaturisce da imposte federali, soprattutto dall’IVA. Lega, socialisti e comunisti ritengono che l’IVA – imposta pagata da tutti i consumatori – non sia uno strumento adeguato a finanziare l’AVS, mentre UDC, PLR e PPD pensano di sì. Sulle prospettive a lungo termine ancora una divergenza: Lega, liberali e PPD ritengono che le future generazioni non saranno in grado di pagare i contributi necessari a finanziare le rendite dei pensionati fra 30, 40 anni. La sinistra e l’UDC si esprimono invece positivamente. Le questioni riguardanti il pensionamento e il finanziamento delle rendite rimangono piuttosto fluide. D’altra parte basti pensare alla fatica che ha fatto il Parlamento nazionale per varare il progetto «Previdenza per la vecchiaia 2020», proposta dal Consigliere federale Alain Berset. Su questa importante riforma i cittadini svizzeri si esprimeranno il prossimo 24 settembre.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Società e Territorio

Il seme nel cuore

Orticoltura e bambini Promuovere gli orti scolastici nella Svizzera

italiana: un progetto dell’associazione Orto a Scuola

Elia Stampanoni Orto a Scuola è un’associazione nata nel 2013 per favorire la creazione e lo sviluppo di orti scolastici, uno strumento didattico multifunzionale e interdisciplinare. Grazie al progetto degli orti, gli ideatori intendono soprattutto fornire spunti e metodi nell’educazione ambientale e alimentare. In un contesto favorevole e attraverso le attività tipiche di un orto famigliare, gli allievi (ma anche i docenti e di rimbalzo i genitori) entrano infatti in contatto con la terra, imparano a sporcarsi le mani durante la semina, la cura, il raccolto o il compostaggio. Semplici gesti ormai perduti in molte realtà urbane, che però sono e restano una valida alternativa alle lezioni sui banchi e un arricchimento formativo. Nella Svizzera italiana uno studio effettuato nel 2016 ha rilevato che «un quarto di tutte le scuole medie ticinesi (settore pubblico e privato) dispone di un orto didattico con finalità pedagogiche e circa un terzo sta sperimentando la permacultura» (G. Pieracci, L’agricoltura civica nella scuola media ticinese, Giubiasco 2016). Anche nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare il riscontro è positivo e l’interesse crescente, come ci conferma l’associazione, il cui comitato è oggi composto sia da educatori ambientali sia da docenti, a dimostrazione che la scuola è sempre più attenta e vicina a queste tematiche. Ma che cos’è un orto a scuola? «È semplicemente un orto fatto a scuola con docenti e alunni che hanno voglia di rientrare in contatto con la terra. Fare l’orto significa instaurare nuovi rapporti con la terra, ma anche con le persone», leggiamo nelle frasi di

presentazione dell’associazione sul sito ortoascuola.ch. Gli obiettivi di Orto a Scuola sono dunque quelli di promuovere l’orticoltura nelle scuole, favorendo un approccio all’educazione ambientale attivo e affettivo. Sviluppando i temi legati all’ecologia, alla sostenibilità, alla socialità e alla cultura locale, si promuove nel contempo la salute tramite l’attività fisica all’aperto e l’alimentazione sana. In concreto l’associazione Orto a Scuola accompagna i docenti e favorisce lo scambio di informazioni tra le sedi scolastiche. Tra i compiti e le iniziative anche la raccolta di esperienze e testimonianze orticole nelle sedi scolastiche e l’elaborazione di nuove iniziative didattiche, tra cui «Scrigno dell’Orto», una proposta composta da un libro e, per chi lo desidera, da un set di bustine di semi di varietà rare. Il piccolo manuale, ottenibile contattando l’associazione, contiene consigli pratici per la realizzazione di un orto, approfondimenti tematici per il docente, proposte di attività e giochi, schede da utilizzare con gli allievi, bibliografia e indirizzi utili per attività scolastiche legate all’orto. Oltre a promuovere questo tipo d’attività, Orto a Scuola si offre anche per una partecipazione attiva nelle sedi scolastiche, cura i contatti con istituzioni, associazioni, enti o fondazioni che perseguono scopi analoghi. La biologa Silvia Bernasconi è l’attuale presidente di Orto a Scuola e ci spiega come sia nata quest’iniziativa. «Orto a Scuola è un’associazione non profit nata grazie alla condivisione e al recupero di alcune esperienze di Radix e ProSpecieRara, oltre ad altri singoli progetti nell’ambito degli orti didattici. L’idea era ed è tuttora quella di raggruppare

in un unico progetto le conoscenze, i consigli, le idee e le proposte didattiche per promuovere gli orti scolastici nella Svizzera italiana». Silvia Bernasconi, qual è il riscontro che percepite?

Sempre più scuole ci contattano e con molta soddisfazione abbiamo visto nascere vari orti proprio in questi ultimi anni. Spesso i docenti hanno inizialmente un po’ di timore che non cresca nulla o che sia troppo faticoso. Il nostro ruolo è dare coraggio, facendo capire che con i metodi adatti e con la giusta scelta di ortaggi, erbe aromatiche, fiori o cereali, è possibile ottenere dei buoni risultati senza strafare e, soprattutto, durante il periodo scolastico. L’obiettivo non è comunque la produzione...

No, l’obiettivo non è raccogliere quintali di ortaggi, ma è l’esperienza in sé del coltivare a contatto con la natura, per riscoprire le sue stagioni e i suoi equilibri. Come promuovete gli orti nelle scuole?

Orto a Scuola si rivolge alle scuole, agli educatori, agli orti e aziende agricole locali, oltre che agli enti, istituzioni, fondazioni e associazioni con fini analoghi. L’offerta spazia dalla consulenza telefonica o via mail gratuita per docenti, agli incontri più mirati con i docenti per definire il progetto e fornire consigli «su misura» su come avviare l’orto. Non meno importanti sono le animazioni che svolgiamo nelle classi. Lei lavora nel campo dell’educazione ambientale, cosa la affascina?

Da più di dieci anni mi dedico all’accompagnamento dei bambini alla scoperta della natura: dal bosco al prato, dal fiume allo stagno. La natura offre sempre spunti interessanti, è un’attività che mi piace perché invita a leggere e a studiare. Stare con i bambini è sempre molto stimolante. Da qualche anno è diventata apicoltrice. Anche quest’attività rientra nell’ambito dell’educazione?

È proprio dalle api che ha avuto inizio il mio interesse per l’orto. Per ora ho realizzato orti con le scuole dell’infanzia, dove ho scoperto che i bimbi adorano lavorare la terra con le mani e rompere le zolle più piccole per creare un nido accogliente per il seme che germinerà rigoglioso anche nel loro cuore. Informazioni

L’orto è uno straordinario strumento didattico. (Ti-Press)

Associazione Orto a Scuola, Segretariato Cinzia Pradella, Tel. 078 867 45 75, ortoascuola@gmail.com

Farpoint, avventure sul pianeta alieno Videogame La realtà virtuale

sta raggiungendo la maturità su PlayStation Davide Canavesi Non è la prima volta che trattiamo l’argomento della realtà virtuale su queste pagine. Questa volta vogliamo, però, parlare di un gioco vero e proprio. Oramai la realtà virtuale è entrata nelle case dei giocatori svizzeri, non solo tramite complicati accessori per computer ma anche sotto forma del più accessibile PlayStation VR, il caschetto creato da Sony per la propria console PlayStation 4. Uscito sul mercato lo scorso autunno, PlayStation VR è la soluzione attualmente meno costosa e più immediata per usufruire della realtà virtuale in un contesto casalingo. A differenza dei suoi diretti concorrenti, HTC Vive e Oculus Rift, PlayStation VR è meno costoso e indubbiamente molto più comodo da indossare, specialmente per coloro che portano gli occhiali. Farpoint è un’avventura ambientata su uno sconosciuto pianeta alieno. Questo gioco ci mette nei panni di uno scienziato diretto verso la stazione orbitale Pilgrim, un centro dedicato allo studio di una misteriosa anomalia spaziale. Appena iniziamo le procedure d’attracco alla stazione, aiutati da due scienziati fluttuanti attorno al portellone di carico, qualcosa va irrimediabilmente per il verso sbagliato. L’anomalia spaziale emette una potente onda energetica, facendo a pezzi la Pilgrim e risucchiando la nostra navetta in un tunnel spaziotemporale. Perdiamo conoscenza, circondati da scariche elettriche ed effetti di distorsione gravitazionale. Dopo un’imprecisata quantità di tempo, il nostro alter ego riprende conoscenza, risvegliato dalla voce del computer di una capsula di salvataggio che conta ossessivamente la distanza tra noi e il terreno sottostante. Sopravvissuti allo schianto per miracolo scopriamo di essere finiti in una landa desolata. Solo rocce e sabbia a perdita d’occhio. Recuperata un’arma d’ordinanza, non possiamo fare altro che esplorare la superficie del corpo celeste. In breve tempo scopriamo di non essere soli sul pianeta: i due scienziati risucchiati assieme a noi nello spazio sembrano essere ancora vivi e dispersi da qualche parte. La nostra missione è chiara: trovare i superstiti, cercare la stazione spaziale e tornare a casa. Farpoint si gioca in prima persona, indossando PlayStation VR. Nella scatola del gioco troviamo un particolare controller di plastica dalla forma che ricorda vagamente un fucile. Il suo aspetto cambia radicalmente quando lo guardiamo attraverso lo schermo del

Un ambiente sconosciuto da esplorare. (2017 Sony Interactive Entertainment Inc.)

caschetto per la realtà virtuale. Esso assumerà infatti la forma di diversi tipi di fucile d’assalto, a pompa e altri ancora. Grazie a dei tasti speciali inseriti nel corpo dell’accessorio, potremo muoverci e sparare ai nemici. Perché ovviamente il misterioso pianeta non è del tutto disabitato. Strane creature dalla forma d’insetto e misteriose macchine non attendono altro che impedirci di compiere la nostra missione. Mentre avanzeremo per pianure sconfinate, stretti canyon e gallerie scopriremo che cos’è successo agli altri superstiti, sino alla conclusione del gioco che, va detto, lascia gli eventi un po’ troppo in sospeso per i nostri gusti. Farpoint è il primo gioco in realtà virtuale che ci è parso in grado di offrire un’esperienza degna di questo nome. Spesso, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, i giochi creati per la VR hanno lasciato l’amaro in bocca: faticosi da sopportare a lungo, spesso causa di nausea oppure semplicemente poco divertenti e raffinati. Farpoint, pur essendo un gioco sparatutto che sarebbe mediocre se pubblicato come titolo tradizionale, sa coinvolgere e divertire il giocatore grazie alla realtà virtuale. Gli scontri con aracnidi alti 30 metri, la tensione che proviamo nell’esplorare i canyon e un sistema di movimento che non ci ha fatto stare male sono tutti punti di forza. La trama non è delle più brillanti e originali eppure questo gioco sa offrire divertimento senza complicazioni. La scelta di obbligare l’acquisto del controller speciale potrebbe sembrare inizialmente fastidiosa ma in realtà è risultata vincente. Si tratta di un sistema di controllo immediato e che potrà essere utilizzato da altri giochi in futuro. Farpoint è il primo gioco VR che ci sentiamo di raccomandare perché è semplicemente divertente da giocare, da soli o in compagnia.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Rumer Godden, La bambina selvaggia, Bompiani. Da 10 anni Preziosa operazione editoriale, questa di Bompiani, che propone due classici della letteratura per l’infanzia del Novecento, celebri in ambito anglosassone. Si tratta di due romanzi della scrittrice angloindiana Rumer Godden (1907-1998): La bambina selvaggia e Bambole giapponesi, usciti quest’anno nell’accurata traduzione di Marta Barone. Cominciamo con il segnalare La bambina selvaggia, pubblicato in inglese nel 1972, vincitore del Whitbread Award e diventato in patria anche una pièce radiofonica e una serie televisiva. L’energia visiva delle storie della Godden le rende con naturalezza trasformabili in immagini filmiche (da due suoi romanzi per adulti, Narciso nero e Il fiume, vennero tratti dei celebri film), ma va sottolineata prima di tutto la forza della scrittura: apparentemente semplice ma scorrevole e

densa; dotata di un ritmo tranquillo, che narra le piccole cose della vita di adulti e bambini in un villaggio inglese degli anni Sessanta, eppure trascinante nel suo scandire la trama. Una trama incentrata sulla piccola protagonista, Kizzy Lovell, che è una diddakoi (The Diddakoi è il titolo originale), ossia «una zingara per metà» (per l’altra metà è di sangue irlandese) e come tale trattata con sospetto e paternalismo da molti abitanti del villaggio, in particolare da un gruppo di compagne. La Godden parla di bullismo in anni in cui non lo si faceva come ora, e lo fa con un’acutezza di cui ora si avrebbe bisogno, ad esempio nel tratteggiare le figure di adulti apparentemente «illuminati» come la giovane maestra Mrs Blount e suo marito, assistente sociale. Mrs Blount è convinta di avere il controllo della situazione, eppure tutto le sfugge comunque di mano e non riesce ad arginare le angherie. Con zelo

politicamente corretto mette a tacere Miss Brooke, che dice «zingari»: «– I nomadi – la corresse Mrs Blount». Ma Miss Brooke ribadisce: «A me piace il nome antico». Kizzy vive con la nonna in un carrozzone, dentro il frutteto dell’Ammiraglio Twiss, un gentiluomo burbero e rustico, ma in grado più di altri di accogliere la differenza. E quando la nonna morirà e alla bambina si dovrà trovare una sistemazione, saranno proprio l’Ammiraglio e Miss Brooke a rivestire un ruolo essenziale. Non sarà facile, perché Kizzy non ha un carattere facile: c’è qualcosa in lei di «selvaggio» appunto, di irriducibile. Occorrerà accettare quella diversità e venire incontro alla sua esigenza di trovarsi un posto eccentrico rispetto alle abitudini della maggioranza. E allora tutto potrà trovare un suo equilibrio, un «lieto fine» all’insegna dell’amicizia e dell’amore ma senza sdolcinature.

Rumer Godden, Bambole giapponesi, Bompiani. Da 10 anni Nei limiti dello spazio che ci rimane, non possiamo non segnalare anche l’altro toccante romanzo della Godden, Bambole giapponesi, che con La bambina selvaggia condivide la forza della scrittura (qui meno aspra, forse più rassicurante negli interventi della voce narrante che si rivolge direttamente ai piccoli lettori) e molti temi, a cominciare da quel sentirsi fuori posto, «strani e infelici», privi di una casa da abitare davvero come propria. È quanto accade alla piccola Nona che, come la Mary Lennox del Giardino Segreto, arriva, spaesata, in Inghilterra dall’India. Nona però, a differenza di Mary e anche della Kizzy «bambina selvaggia», è una bambina mite, «gentile e intelligente», con la sensibilità di capire (distinguendosi dalla prepotente cuginetta Belinda) che quelle due bambole giapponesi arrivate

per posta come dono da una prozia, «non sono strambe. Sono giapponesi». E hanno bisogno di «una casa delle bambole giapponese». C’è un’ evidente simmetria tra lo straniamento delle bambole e quello di Nona, anche lei spedita in Inghilterra come un pacco: una simmetria accentuata dal bellissimo incipit, che mette in scena quasi in parallelo l’arrivo delle bambole e quello della bambina. La stessa Godden, che visse tra Inghilterra e India, dove aprì (a Calcutta) una scuola di danza per bambini inglesi e indiani, e dove alloggiò (in Kashmir) sola con le figlie, in una house boat, sapeva bene cosa significasse lo spaesamento. Anche qui brilla la luce rude di «un vecchio e onorevole gentiluomo», il libraio Mr Twilift, che sa comprendere «cosa vuol dire essere molto lontano da casa». E anche qui il finale rimette in equilibrio la situazione dando una nuova possibilità a tutti i personaggi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Roghi a Bruxelles Uno dei temi più complessi e controversi della riflessione antropologica riguarda il rapporto fra la religione e le forme del potere – quello politico in primis. Lo storico conflitto fra Israeliani e Palestinesi, quello apparentemente insolvibile fra Sunniti e Sciiti che vede protagoniste branche, sette e confraternite di ogni confessione, assieme al ricorrente fondamentalismo della jihad testimoniano dell’irriducibilità del problema ad una pura e semplice separazione dei poteri. Se la formula «libera Chiesa in Libero Stato» descrive la configurazione ideale di una noninterferenza entro la quale possono stare le libertà e le convinzioni di tutti, l’atto pratico vede spesso interfacciarsi politica e religione secondo una fenomenologia non sempre corrispondente al dettato delle Costituzioni degli stessi Stati del cosiddetto Occidente Democratico. Ed è quasi un’ironia storica che una certa misura di pax religiosa sia stata raggiunta nell’epoca moderna anche e proprio con l’affermarsi dello

spirito cosiddetto secolare dell’Illuminismo «laico» quando non addirittura antireligioso e certo anticlericale. Ma non è sempre stato così – anzi. L’esordio dell’epoca moderna stessa comincia in Occidente con quella Riforma protestante che vedrà, a partire dal 1517 con l’affissione delle 95 tesi di Lutero contro la vendita delle indulgenze da parte dei principi locali intenti a comprare lucrosi titoli ecclesiastici e fino alla fine della Guerra dei Trent’Anni (1648), Cattolici e Protestanti impegnati a darsele di santa ragione – e quando non in guerra aperta indaffarati a ripulire i rispettivi territori da ogni traccia del nemico. Fu così che il primo di luglio del 1523 Johann Esch e Heinrich Voes furono bruciati al rogo nella piazza del mercato di Bruxelles, primi martiri della Riforma protestante. Erano entrambi monaci agostiniani, dello stesso ordine di Lutero, nel monastero di Anversa. Un anno prima l’intero monastero si era dichiarato aderente alle tesi di Lutero, scomunicato in quanto eretico

da Papa Leone X il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Ponteficem. La bolla metteva fine a quattro lunghi anni nei quali molto si era tentato per far rientrare l’incidente di Wittenberg che, nello stesso Vaticano, era sembrato ad un certo punto essere nient’altro che una delle tante dispute fra gli ordini monacali intenti a farsi lo sgambetto gli uni con gli altri. Lo stesso Leone X aveva tentato di minimizzare la questione sospettando che dietro alle Tesi altro non vi fosse che una sorta di gelosia degli Agostiniani nei confronti dei Dominicani accusati di godere delle entrate dalla vendita delle indulgenze in regime monopolistico. Ma vi era, ormai – mi permetterete un’amara metafora – molta più carne al fuoco. Nel dichiararsi aderenti alla Riforma, gli agostiniani di Anversa sostenevano che gli stessi Vescovi – e dunque anche il Papa come vescovo di Roma – fossero soggetti all’autorità delle Scritture, sovrana anche riguardo alle tradizioni della Chiesa. Papa e Vescovi, inoltre,

dovevano limitarsi ad esercitare il poter temporale rinunciando pertanto al potere politico che molti vescovi esercitavano in Germania in qualità di Principi-Vescovi e grandi elettori dell’Imperatore. Capirete come, in questo contesto, la vendita delle indulgenze cominciasse a passare in seconda fila in ordine d’importanza. Colpito sul vivo, il vescovo di Cambrai fece arrestare tutti i monaci del convento di Anversa. Interrogati – guarda caso – dal teologo domenicano Jacob van Hoogstrasten (e quale altra tonaca avrebbe potuto vestire se non quella degli arcinemici degli Agostiniani?) e da un comitato di teologi dell’Università di Lovanio, gli inquisiti furono informati che l’adesione alle tesi luterane comportava molto probabilmente la pena di morte. A questo punto tutti i monaci inquisiti ritrattarono le loro tesi, anche se obtorto collo. Tutti eccetto tre. Voes, Esch ed un certo Lampertus Thorn reiterarono le loro convinzioni e furono pertanto trasferiti dalla prigione di Vilvorde per

essere consegnati alla Corte di Giustizia Secolare di Bruxelles. Qui giunti, furono di nuovo interrogati sulla base dei risultati dei dotti interrogatori dei teologi. Come la recente storiografia sembra aver accertato, il «braccio secolare» al quale l’Inquisizione ecclesiastica (se vogliamo un po’ pilatescamente) passava le sue conclusioni istruttorie affinché quest’ultimo traesse le sue spesso ovvie conclusioni, non andava troppo per il sottile preferendo efficienza e velocità ai voli pindarici dei teologi. A Lampertus Thorn furono concessi altri quattro giorni per riesaminare le sue posizioni alla luce delle Scritture: morirà in carcere molti anni dopo. Johann Esch e Heinrich Voes all’ultima profferta di abiura risposero: «Moriremo come cristiani per la Verità del Vangelo». Narra il cronista che mentre le fiamme li avvolgevano continuarono a recitare il Credo. Alla fine intonarono il Te Deum «fino a quando il fuoco soffocò il loro canto e di loro rimase solo cenere»: Kyrie eleison.

vostri confronti e, suppongo anche con gli altri parenti, in particolare con la nonna. Ora vi chiedete che cosa deve essere avvenuto perché l’idillio si spezzasse trasformando i buoni sentimenti in atteggiamenti di ostilità e di rancore. Di solito questo non avviene quando i legami sono intermittenti, deboli, approssimativi e contraddittori, in questi casi si sfilacciano quasi inavvertitamente. Accade invece che si trancino in modo improvviso e irreparabile (almeno a breve termine) quando sono intensi, caldi, vitali e molto ravvicinati. La contiguità può creare attriti, corrosioni, lacerazioni di cui, in un primo momento, non si scorge la causa. Impossibile non interrogarsi, rievocare il passato, fare confronti, giustificarsi tra sé e sé ma anche cercare pretesti per chiarire quello che non si comprende ma fa soffrire. Meglio essere accusati di qualche cosa piuttosto che di tutto e di niente. Nel primo caso è possibile esprimere le proprie ragioni, ammettere eventuali mancanze (nessuno è perfetto), chiedere scusa e, se ancora

possibile, rimediare gli errori compiuti. Ma una condanna senza imputazione e senza appello è un incubo che la ragione rifiuta. Di fatto esistono emozioni senza pensiero, traumi senza parole, tensioni senza motivazioni che possono suscitare un’angoscia intollerabile. Freud sostiene che l’angoscia è un sentimento che non mente, ma dove si trova la sua verità? Poiché i fatti li avrete indagati più e più volte, cercate di evocare le emozioni, non quelle altrui, che non conoscete, ma le vostre. Che cosa sentite pensando a vostra figlia, al genero, ai nipoti? In quali occasioni siete stati turbati da sensi di disagio, di incomprensione, di abbandono o di collera? È probabile che la causa del malessere si nasconda nella memoria implicita, che registra gli accadimenti ma non li ricorda. In ogni caso, poiché siete voi a patire più degli altri questa ingiusta frattura, spetta a voi cercare di ricomporla. Il modo di procedere richiede coraggio, immaginazione, creatività. Alcuni chiedono l’intermediazione di una figura autorevole, di un amico fidato,

di una persona accetta a entrambi i fronti. Ma dopo due anni è un po’ tardi per coinvolgere una terza persona. In un caso, che si è svolto proprio nella «Stanza del dialogo», la rappacificazione tra padre e figlio è avvenuta grazie alla lettera, accorata e sincera, che il ragazzo, allora adolescente, ha scritto al genitore. Si concludeva con queste parole: «...qualsiasi cosa tu pensi o faccia, sarai sempre mio padre». Anche vostra figlia sarà sempre vostra figlia ed è sulla intelligenza emotiva che dovete puntare più che su quella razionale, fredda e calcolante. Purtroppo la nostra società e la nostra cultura ci preparano più a ragionare che a sentire. Ma, per quanto trascurata, quella competenza è iscritta nel nostro DNA e si tratta solo di attivarla e alimentarla.

figura dell’eroe doveva, poi, coincidere con quella del guerriero, del conquistatore, del rivoluzionario, al servizio di cause patriottiche o religiose, non tutte nobili. Anzi, sfruttate dai dittatori di turno. Meglio un giorno da leone che cento da pecora, proclamava uno slogan di Mussolini, per risvegliare le virtù militari, che portano all’eroismo, contrapposte al quieto vivere che, invece, porta all’indifferenza e alla viltà. E, adesso, le nostre democrazie quali eroi hanno prodotto? Negli ultimi decenni si è formata una nuova tipologia di possibili eroi, diversi fra loro, accomunati però dall’appartenenza alla cosiddetta società civile. Non provengono più dalle alte sfere militari e politiche, ma dalle file dei cittadini comuni. Gente come noi, si fa per dire. Grazie a un talento innato, a una volontà di ferro,

a circostanze favorevoli, a un colpo di fortuna, riescono a uscire dall’anonimato, per farsi conoscere e ottenere il seguito popolare che spetta al divo, versione attuale dell’eroe. Si tratta, innanzi tutto, di campioni sportivi, cantanti, musicisti, attori, artisti, scrittori, come pure di scienziati e tecnologi che, in tanti modi, contribuiscono ad agevolarci la vita, creando svago, informazione, magari cultura. Da Roger Federer a Bill Gates, tanto per citare i vertici, la categoria offre una scelta variegata di personaggi in grado di suscitare entusiasmi dagli effetti persino consolatori. Fatto sta che, nei loro confronti, il pubblico ha sviluppato una sorta d’indulgenza per quel che concerne i guadagni, spesso assurdi. Si accetta il criterio della visibilità: più si è visibili più si viene pagati. Invece, c’è anche un bisogno di eroi

invisibili. È emerso, inaspettatamente, nel dibattito sul caso Ueli Steck. Se, ovviamente, lo scalatore solitario più veloce del mondo rimane una figura straordinaria, in grado di superare se stesso, non merita però la qualifica di eroe. Secondo i giudizi, emanati da questo tribunale virtuale, il bravo Ueli si è distinto in prove individuali, per misurare ed esaltare le proprie capacità e facendo parlare di sé, una manifestazione di egoismo. Altra cosa, l’eroismo che sottintende la disponibilità verso il prossimo, in tanti modi e attraverso canali pubblici o privati. E tutto ciò, con discrezione, senza chiedere compensi di nessun genere, utili e invisibili. Di questi eroi il Paese ha urgente bisogno. Rimane aperto l’interrogativo di Brecht: è infelice il Paese che non ha eroi o quello che ne ha bisogno?

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Legami interrotti Gentile Signora Vegetti Finzi, sono un padre di tre figli, sposati con ciascuno due figli, con i quali non abbiamo mai avuto problemi neanche durante la loro adolescenza. Nostra figlia è sempre stata la più attaccata alla famiglia e, da quando si è sposata, abbiamo sempre avuto frequenti contatti (telefonate giornaliere, vacanze assieme e visite reciproche) anche con suo marito ed i nostri due nipotini. Due anni or sono, senza alcun motivo apparente, i rapporti si sono interrotti e non ci sentiamo e vediamo più, tutto si riduce a un SMS in occasione dei nostri compleanni o altre ricorrenze. Più nessun incontro neanche per le feste di famiglia, i nipotini non ce li portano più qui (prima venivano regolarmente) e ai nostri inviti, fissati con notevole anticipo, ci risponde all’ultimo momento che non possono partecipare in quanto sono impegnati. I ponti si sono rotti anche con i suoi due fratelli con i quali aveva sempre avuto ottimi rapporti e pure con la nonna che ha quasi 101 anni e che, essendo mia figlia l’unica nipote femmina, l’ha sempre prediletta.

All’inizio abbiamo chiesto spiegazioni ma entrambi, lei e suo marito, ci hanno risposto con una semplice risata. Intanto i nostri nipotini li vediamo diventar grandi sulle foto che pubblicano su Facebook! In attesa di una sua gentile risposta la saluto cordialmente. / Un lettore Gentile corrispondente, le confesserò che, dopo tanti anni di ascolti e di consigli, non mi sono mai sentita così imbarazzata. Non perché la sua lettera non sia interessante, anzi lo è sin troppo, ma perché sollecita un tema particolarmente arduo e impegnativo che io stessa, nella mia vita, ho dovuto affrontare. Si tratta della rottura, apparentemente immotivata, di rapporti di affetto e di amicizia che si ritenevano saldi e sicuri. In realtà nella vita non c’è mai nulla di garantito anche se, per quieto vivere, preferiamo dimenticarlo. Non a caso il vostro problema è sorto con la figlia più amata, sia perché unica femmina, sia perché particolarmente attaccata alla famiglia, attenta e premurosa nei

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Eroi visibili, eroi invisibili Il 30 aprile scorso, quando si diffuse la notizia della morte di Ueli Steck, l’immediata reazione, popolare e mediatica, fu un cordoglio unanime. Soprattutto in Svizzera, di cui lo scalatore era un simbolo dei più rappresentativi, non a caso soprannominato «Swiss Machine». Sia per l’origine, l’Emmental, sia per l’aspetto, solido e asciutto, sia per la scelta professionale e di vita, la montagna, il nostro Ueli sembrava concentrare le prerogative fisiche e morali del cittadino elvetico idealizzato. Uno, insomma, che s’impegna a fondo, determinato sino all’ostinazione, pur di arrivare all’obiettivo. Spingendo la dedizione all’estremo, tanto da diventare eroismo. Questa definizione di eroe, attribuita a un grande sportivo, che sfidava itinerari impossibili, doveva, però, dar adito anche a perplessità e ripensamenti,

affidati alle pagine virtuali dei social, ormai termometri della sensibilità di massa. Come sempre succede in ogni lutto, dopo il tempo dell’ammirazione e della commozione, dovute a un personaggio noto che scompare, è la volta dei ripensamenti e dei dubbi: cioè un secondo tempo in cui si scopre l’altra faccia della medaglia. In realtà, chi era Ueli Steck, un eroe autentico o presunto, e poi, cosa si deve intendere, oggi, per eroe, quali ne sono i connotati, i compiti, le motivazioni? E qui il baricentro del discorso si sposta. Da un fatto di cronaca, la caduta dell’alpinista in un crepaccio, commentato alla buona su Facebook o al bar, si passa a un tema, più alto e di sempre: l’eroismo, appunto, che appartiene alla storia, assumendo, attraverso i secoli, significati e valori diversi. Semidio, secondo la mitologia antica, la


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Ambiente e Benessere La Smart fortwo? Un’autentica pioniera della mobilità EV giunta alla quarta generazione

Un’avventura amazzonica Reportage di un incontro con gli Yanomami del Venezuela, comunità indigena tra le più conservative pagina 11

Il viaggio dell’americana Per la serie «Vino nella storia», ecco quel che accadde dopo la scoperta dell’America pagina 12

pagina 10

Superare la cinofobia Quale regola base, vale l’antico detto secondo cui è meglio non svegliar il can che dorme

pagina 15

VITA nello Spazio, ma che vita è? Ricerca medica La nuova missione sulla

Il lancio programmato per la fine di maggio è stato rinviato di un paio di mesi per problemi tecnici legati al funzionamento delle navette russe che assicurano i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ma la sostanza della missione non cambia per nulla. VITA è il nome scelto dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) per l’Expedition 52/53 sulla ISS nella quale si svolgeranno molti esperimenti, di cui tredici interamente italiani, riguardanti indagini biologiche e fisiologiche sul corpo stesso degli astronauti. Ricordo che l’Italia, terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea (ESA) ha ottenuto dalla NASA con un accordo bilaterale l’opportunità di effettuare con i propri astronauti voli di lunga durata sulla ISS, in contropartita ai moduli cargo italiani MPLM usati per il rifornimento delle missioni sia Space Shuttle sia ISS. L’ultimo modulo, battezzato Leonardo, debitamente modificato rispetto agli altri, è rimasto dal 2011 attaccato alla ISS diventandone parte integrante. L’Asi ha sfruttato l’accordo per portare per sei mesi nello spazio Paolo Nespoli (nel 2010 con la Missione MagISStra), Luca Parmitano (nel 2013 Missione Volare) e Samantha Cristoforetti (nel 2014-15 Missione Futura). Quest’anno Paolo Nespoli (nella foto) a 60 anni ritorna a vivere per cinque o sei mesi in assenza di peso ma, permettete il gioco di parole, ben attaccato alla vita. VITA si chiama la missione e l’emblema, il logo se volete, disegnato dagli italiani è un’interpretazione deformata del simbolo dell’infinito (un 8 orizzontale); nell’estensione ideata dall’artista Michelangelo Pistoletto il segno diventa triplo, con un cerchio più grande al centro, affiancato dagli altri due, più piccoli e a

forma d’uovo. Nel centro la figura della Terra: per l’esattezza si vede l’Europa e un poco del Nord Africa, inserite in una forma rotonda che vuole ricordare la pupilla dell’astronauta che la guarda. Nel cerchio di sinistra il simbolo della doppia elica del DNA, il codice genetico, per sottolineare proprio l’aspetto della vita biologica. A destra invece un libro, che vuol ricordare la conoscenza, lo studio, l’aspetto educativo. Un logo bello ed evocativo, come la parola VITA, scelta per descrivere la missione, che in realtà è l’acronimo dell’inglese Vitality, Innovation, Technology, Ability, quattro aspetti indispensabili per la buona riuscita delle missioni umane e per la sopravvivenza degli equipaggi. Su questa sigla si concentrano i nuovi esperimenti. Si sa che in questi lunghi soggiorni il fisico umano è sottoposto a continue verifiche intese a prepararlo a vivere nello spazio. Non siamo fatti per stare a lungo in assenza di peso, non siamo fatti per essere bombardati continuamente da raggi cosmici. Il nostro fisico patisce il nuovo ambiente, reagisce a suo modo, deve abituarsi, evolversi magari, per poter sopravvivere. Fare l’extraterrestre è un compito arduo: affascinante, certo, ma può essere mortale. L’esposizione continua ai raggi cosmici, ricchi di particelle cariche molto penetranti e dannose per il corpo (per fortuna sulla terra sono parzialmente schermati dall’atmosfera) è il principale ostacolo alla colonizzazione dello spazio da parte dell’essere umano. Fin dai primi voli spaziali se ne misurano quantità e conseguenze e anche nella Missione VITA un esperimento dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Università di Roma misurerà il flusso di radiazioni che investiranno la ISS durante tutta la missione.

Paolo Nespoli ESA

Loris Fedele

NASA

Stazione Spaziale si occuperà soprattutto della salute degli astronauti

Quando venne in Ticino, Paolo Nespoli ci illustrò con lucidità la sua condizione di cavia umana durante tutte le missioni che – sono le sue parole – lo facevano invecchiare più in fretta di chi sta a terra. Diceva anche che stare lassù è come farsi fare cento radiografie al mese. Il nostro corpo ha grandi capacità di adattamento e di reazione agli attacchi esterni e le nostre cellule sanno rigenerarsi, ma fino a che punto? Dov’è il limite? Quando il danno diventa permanente? Tanto sappiamo, ma tanto dobbiamo ancora conoscere, in particolare sulla vita in un ambiente alieno. Arriveremo davvero a superare tutti questi ostacoli? Il nostro corpo si modificherà ed evolverà al punto di poter sopravvivere in un ambiente spaziale? Ci sono tante e tali domande che non sono pochi sulla terra quelli che si chiedono: ma chi ce lo fa fare? Vale ancora la pena di andare fisicamente nello spazio? Per gli astronauti non vi sono dubbi, diranno sempre di sì. L’esperienza

unica di poter guardare la Terra da centinaia di chilometri, di veder il cielo nero, di vivere situazioni irripetibili e di poter fare avanzare la conoscenza umana con i loro esperimenti, basta e avanza per motivarli e farne i primi sostenitori della ricerca spaziale. Senza parlare dei benefici e delle ricadute tecnologiche positive legate allo sviluppo dei programmi spaziali. Ma torniamo all’aspetto medicofisiologico di una vita umana lontano dal nostro pianeta. Tra gli esperimenti della Missione VITA alcuni analizzeranno l’occhio e i danni subiti dalla retina in condizioni di microgravità. Si cercano conoscenze utili in prospettiva per scongiurare il glaucoma e la degenerazione maculare senile. Si studieranno in orbita le cellule muscolari dello stesso Paolo Nespoli paragonate con altre a terra in microgravità simulata, perché la degenerazione cellulare degli astronauti è cosa accertata e se ne vogliono capire bene le cause, anche per aiutare chi soffre di atrofia muscolare.

Ci si occuperà poi di cellule cardiache. Inoltre col tessuto osseo delle cellule staminali presenti nel sangue, studiato in orbita, si analizzerà la capacità di rigenerarlo. La decalcificazione delle ossa in assenza di peso, che porta all’osteoporosi, è un fenomeno accertato su tutti gli astronauti e che va assolutamente ostacolato e, se possibile, risolto. Un lettore di nove parametri fisiologici diversi estratti dalla saliva di Nespoli misurerà tra gli altri i livelli di cortisolo, un ormone prodotto dalle glandole surrenali associato allo stress e legato all’iperglicemia. L’elenco degli esperimenti potrebbe diventare lungo e noioso. Ricordo semplicemente che per coinvolgere il pubblico e indirizzarlo a seguire l’attività sulla ISS, sarà disponibile una App gratuita (per Android e iOS) chiamata #Spac3 che permetterà agli utenti di scattare foto della vita sulla Terra o della salute e di sovrapporle alle immagini spaziali che Nespoli pubblicherà sui social.


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Ambiente e Benessere

Il fascino del cabriolet

Motori Smart presenta la sua nuova fortwo cabrio electric drive: una delle poche vetture decapottabili

a zero emissioni

Mario Alberto Cucchi Le automobili cabriolet hanno da sempre un fascino particolare. Grandi o piccole che siano, quando arriva l’estate e si aprono le capotte, diventano per molti auto da sogno. Basta percorrere pochi chilometri con il vento tra i capelli per sentirsi già in vacanza. Smart lo sa bene e per questo ha scelto il mese di giugno e la zona del lago di Ginevra per la prima prova su strada della sua nuova Cabrio a emissioni zero che arriva a completare la gamma elettrica dopo la coupé e la forfour a batteria.

Nel 2018 si potrà ottenere un rapido caricabatterie che richiederà solo 45 minuti per l’80% di carica La smart fortwo cabrio electric drive (nella foto) è una delle poche vetture decapottabili a zero emissioni sul mercato ed è un’autentica pioniera della mobilità EV essendo ormai giunta alla quarta generazione. La prima flotta sperimentale si è infatti vista su strada a Londra nel 2007. In questi dieci anni gli ingegneri non si sono seduti sugli allori e hanno lavorato a una costante evoluzione che ha portato oggi ad avere un’auto a emissioni zero decisamente comoda e affidabile.

Il motore elettrico, che come da tradizione Smart si trova alle spalle dei passeggeri, è in grado di erogare una potenza massima di 82 cavalli. La velocità massima è limitata elettronicamente a 130 chilometri orari e la coppia di 160 NewtonMetro garantisce accelerazioni brillanti. L’autonomia è, su quest’ultima versione, di circa 155 chilometri. Abbastanza per la guida urbana, ma ancora troppo pochi per viaggi lunghi, a meno di non fare delle tappe intermedie. Va detto che gli ingegneri hanno migliorato i tempi di ricarica arrivando in alcuni casi anche a dimezzarli. Grazie a un nuovo e potente caricabatterie di bordo, in alcuni Paesi si può fare una carica pari all’ottanta per cento in circa due ore e mezza. Dalla primavera del 2018 sarà disponibile a richiesta un caricabatterie rapido particolarmente potente da 22 kW che consentirà di ricaricare le smart electric drive in appena 45 minuti fino all’80%. Sarà disponibile anche l’app smart control, che consente di sorvegliare la ricarica da remoto e di azionare altre funzioni come la ricarica intelligente. La batteria da 17,6 kWh è realizzata e prodotta a Kamenz da Deutsche Accumotive, sussidiaria del Gruppo Daimler, mentre il gruppo propulsore è assemblato nell’impianto francese Renault di Cléon. Anche la Cabrio ED, come tutte le Smart, è prodotta nella fabbrica francese di Hambach. La Smart Cabrio ED

su strada offre un confort di guida elevato che si sposa con un divertimento di guida tipico delle auto a propulsione elettrica. Buona anche la tenuta di strada e puntuale la frenata. «Tra i nostri tre modelli smart completamente elettrici, la smart cabrio electric drive è quella che consente ai nostri clienti di provare con la massima intensità le emozioni offerte dalla mobilità elettrica», afferma la responsabile smart Annette Win-

kler. «Basta aprire il tetto e in pochi secondi è possibile provare il piacere di una marcia quasi del tutto silenziosa, sentendo in profondità la fantastica accelerazione». Tra le chicche di questa piccola e simpatica decappottabile anche il programma di personalizzazione smart Brabus tailor made che consente di scegliere le tonalità e gli equipaggiamenti a richiesta che più rispecchiano le prefe-

renze della clientela. Smart Cabrio ED è già ordinabile in alcuni Paesi europei a un prezzo di circa 26mila franchi e sta avendo un buon successo a tal punto che a livello europeo la produzione 2017 risulta essere già tutta venduta. D’altronde le auto Cabrio più belle secondo gli appassionati devono avere un bel sound oppure essere estremamente silenziose, e con la Smart Cabrio ED si viaggia nel silenzio più assoluto. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Voci dalla selva

Viaggiatori d’Occidente Un’esplorazione avventurosa per incontrare gli Yanomami del Venezuela Paolo Brovelli, testo e foto «Eccoli, arrivano!» gridano con le mani al cielo e i piedi nel fango di stanotte i ragazzini scalzi. A San Carlos del Rio Negro, provincia profonda del Venezuela, quasi Colombia, l’atterraggio d’un aeroplano da turismo non si perde per nulla al mondo. Ora lo sento anch’io, il ronzio del mio filo d’Arianna. È lui che mi ripescherà da questo mondo anfibio, impastato con gl’ingredienti della vita vera. Ripercorro nella memoria il grande viaggio compiuto sin qui. Da Caracas, sul Mar Caraibico, un balzo aereo di un’ora e mezza mi aveva condotto a Puerto Ayacucho, capoluogo della regione amazzonica. Selva, selva dappertutto, fino all’orizzonte. Nicolàs, uno dei due piloti che sbrigano i piccoli traffici aerei di questa enorme regione, sbraita come un matto sopra lo strepitio del monomotore per spiegarmi il suo paese, preda d’una crisi che ruba persino il pane di bocca; roba da non credere, qui, con le riserve petrolifere maggiori del pianeta. Lo stesso Cessna m’aveva poi scodellato a La Esmeralda, un avamposto di civiltà macilenta in mezzo alla selva. Qui l’Orinoco si biforca in un canale naturale, il Brazo Casiquiare. La sua importanza geografica è enorme. Sfociando nel Rio Negro, il Casiquiare unisce i due bacini fluviali del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco, schiudendo un accesso navigabile dal Mar dei Caraibi a tutta l’Amazzonia. Per questo gli esploratori l’hanno cercato per secoli, fino a quando il geografo tedesco Alexander von Humboldt l’ha trovato e ne ha tracciato la mappa, pubblicata nel 1812. Dopo l’aeroplanino è venuto il

bongo. Atterrati sul pratone della pista di La Esmeralda, con Mario, mio mentore venezuelano, ci sottoponiamo alla perquisizione militare di prassi, che non si importino armi, alcolici… cose così. Ma noi portiamo soltanto cibo e generi di prima necessità per la navigazione sul bongo, appunto, un guscio di latta coperto, largo un paio di metri e lungo una quindicina, la nostra casa per i prossimi dieci giorni. In navigazione si fa vita selvatica: si appende un’amaca per dormire, si cucina su un fornellino, ci si lava al tramonto nel fiume, si va in bagno fra le frasche, s’impreca contro i puri-puri, moscerini insaziabili. Infine attracchiamo in fondo a un caño, un fiumiciattolo, profondo, stretto e frondoso, dove il bongo manovra a fatica. Siamo giunti dagli Yanomami. È un’etnia dispersa in riserve naturali da qui al Brasile, su un’area grande un terzo dell’Italia, in piccoli villaggi, detti shabono, lungo i fiumi o sulle montagne della Sierra de Parima. Mai ho visitato comunità indigene amazzoniche così conservative. Lo shabono è di forma ellittica, chiuso da alte pareti di palma inclinate sul piazzale interno, aperto sullo spettacolo della vita ancestrale che gli gira intorno, dove penzolano amache e fumano fuochi di legna, e giocano bambini, e mamme allattano, e donne grattugiano manioca, e sonnecchiano gli uomini tornati dalla caccia coperti di fango. Quella è la loro casa, antica come il mondo; sembra d’esser piombati nel set di un film di conquistador secenteschi, che mancano solo gli spagnoli con gli elmi e gli archibugi a sparare all’impazzata sugli indigeni nudi. Nudi, come nella tradizione dei

popoli della selva tropicale, alcuni sono ancora. Vestiti solo di bracciali e collanine e orecchini di semi e di piume, roba di foresta, e disegni di fantasie ancestrali tracciati sulla pelle col pigmento rosso del frutto dell’annatto, insieme agli stecchi che s’infilano nel naso e nelle labbra per vanità.

Da qualche tempo, qui, qualcuno indossa perizomi, magliette o pantaloncini logori e fuori taglia, frutto di baratti con i rari visitatori. Scambiano oggetti locali d’uso quotidiano, fabbricati nelle lunghe giornate oziose da cui si lasciano cullare gli uomini. L’articolo che va per la maggiore è la faretra: un

lavoretto piccolo e ben fatto, perfetto per lo scaffale del salotto. Gli Yanomami, oltre che cacciatori, sono anche coltivatori, di yucca, mais e canna da zucchero. E pescatori. Per questo, tra i doni che gli abbiamo recato, c’era materiale per la pesca: ami, lenze… I doni sono richiesti per poter far loro visita. E se li guadagnano. Si preparano a ricevere gli ospiti e sono giorni in cui c’è fermento, perché i turisti, pochi, vengono solo un paio di volte l’anno. Se no arrivano solo guerrieri di altre tribù, ma per rapire qualche donna del villaggio, che a volte ci scappa pure il morto. Beghe da indigeni, che non approdano mai nei tribunali venezuelani. Gli abbiamo portato anche tabacco da masticare e sale. Loro ci hanno accolto in casa, alcuni sopportando, altri approfittando. Tutti sempre sotto gli occhi di tutti. Nel pomeriggio gli sciamani si riuniscono per ore a sniffare polvere di speciali semi e cenere e a farneticare, per l’effetto inebriante. Un giorno un bebè ha avuto una crisi respiratoria ed è stato il caos. Gli uomini magici hanno cominciato a pronunciare formule arcane e a soffiargli in faccia, con tutto il villaggio che assisteva. Il bimbo s’è ripreso, ma tutta notte uno dei vecchi stregoni è rimasto con lui, cullandolo con le sue ninne nanne incantate. La mia amaca penzolava proprio accanto a loro. Con la notte, il villaggio chiude i bassi accessi con foglie di palma e dentro, tutt’intorno, ardono fuochi e braci, e piangono bimbi, e poi il silenzio. Solo lo sciamano coi suoi canti flebili, quella sera. «Siamo fuori dal mondo» penso tra quelle nenie ipnotiche. Ma poi, in mezzo alla vita allo stato puro, al pianeta in fasce, a gente partorita nel Neolitico, ancora memore della creazione…sarebbe questo, l’essere fuori dal mondo?


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Ambiente e Benessere

I vini dei conquistadores

Vino nella storia La vite americana e quel che avvenne dopo la scoperta del nuovo continente Nell’Historia de los indios de nueva España (1536) uno dei primi missionari spagnoli, frate Toribio de Benavente (Benevento), più noto come Motolinia, scrisse a proposito della vite indigena che cresceva in loco: «In molte zone sulle montagne, ci sono grandi viti selvatiche e nessuno sa chi le abbia piantate. Vi crescono tralci molto lunghi, pieni di grappoli. Alcuni spagnoli li hanno usati per fare aceto, altri per fare vino, ma in piccolissime quantità». I nativi bevevano il pulque, ottenuto dall’agave, il tesgüino, una specie di birra ottenuta dal mais e il balché una specie di idromele. Motolinia accennò anche a un vino locale chiamato manguey e a un dio del vino molto temuto perché portava all’abitudine di ubriacarsi, Ometochtli. Il non voler celebrare la Santa Messa con un vino prodotto da uve usate dai pagani per i loro riti, indusse i frati a far arrivare dalla Spagna, per essere coltivato, il vitigno Criolla, meglio conosciuto come: uva della missione. Sempre Motolinia osservò che quelle viti provenienti dall’Europa seccavano in fretta, a causa di minuscoli insetti che attaccavano le piante, ma quello che fu più strano era che anche le viti indigene venivano prese d’assalto da questi piccolissimi afidi senza però subire danni. Era forse la filossera? Quell’afide che tre secoli dopo devasterà le vigne di tutta Europa? Motolinia non lo dice, sottolinea solo come i frati abbiano insegnato agli indigeni la tecnica dell’innesto sugli alberi da frutta. È forse possibile che abbiano sperimentato questa tecnica anche sulle piante di vite europea per innestarle

Davide Comoli La storia del vino e della viticoltura, così come la storia del mondo, ha vissuto un importante giro di boa in coincidenza con la scoperta dell’America. Le esplorazioni spagnole e portoghesi del XV e XVI secolo rivelarono l’esistenza di nuove terre al di là dell’oceano Atlantico. Il periodo storico che va dal 1500 al 1700 non fu solo una fase di grandi scoperte geografiche, ma anche un periodo di innovazioni sia tecniche sia sociali atte a trasformare la struttura economica di vari paesi. Vi fu una notevole espansione dell’economia produttiva e grossi innovazioni nelle pratiche d’agricoltura che permisero il sostentamento di popolazioni sempre più numerose. Anche la vite e la viticoltura subirono dei cambiamenti, furono infatti piantati vigneti in regioni lontane da quelle originali; si crearono nuovi vitigni con innesti vari e cambiarono anche i metodi di vinificazione, creando così una nuova tipologia di vini molto più vicina a quella dei nostri giorni. Furono certamente le spedizioni navali che salpavano dai porti spagnoli e portoghesi a fornire il mezzo di trasporto della vitis vinifera europea, che fu impiantata per la prima volta nell’emisfero sud. Tutto ciò, portò a una lotta d’interessi fra Portogallo e Castiglia, che poté essere risolto solo con il Trattato di Tordesillas, concluso tra i sovrani cattolici di Spagna, Ferdinando e Isabella, e il re del Portogallo Giovanni II, il 7 giugno del 1494. Arbitro della questione fu

Lo sbarco di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo. (L. Prang & Co., Boston)

papa Alessandro VI (1431-1503), il famoso papa Borgia, padre dell’ancor più famosa Lucrezia. Il confine fu stabilito lungo il meridiano che corre 370 leghe a ovest di Capo Verde: le terre a est sarebbero appartenute al Portogallo, quelle a ovest alla Spagna. Non si è proprio certi, ma sembra che fu Cristoforo Colombo in persona a portare in dono alla regina Isabella uve e barbatelle di viti indigene americane, trovate nell’area caraibica, in modo particolare a Cuba. L’uva americana sarebbe quindi sbarcata per la prima volta in Europa nel 1498, in occasione del terzo viaggio del famoso navigatore. Tuttavia sembra che la vite proveniente dal nuovo mondo non sia stata

presa molto in considerazione, visto che se ne è perduta la memoria. Sappiamo invece di certo che nel 1524, non esisteva più l’impero azteco; Cortés con le sue campagne (1519-1521) aveva diviso la popolazione del Messico centrale in encomenda. Gli encomenderos, tutti i suoi compagni di conquista, avevano l’obbligo di convertire (con ogni mezzo) al cristianesimo e al vassallaggio del re di Spagna tutti gli indios. Tra le ordinanze municipali della nuova Città del Messico, promulgate nel 1524, è curioso scoprire un documento inerente la viticoltura che dice: «Per ogni concessione di terra equivalente a cento indiani, dai proprietari di quelle tenute devono essere piantate mille viti delle migliori qualità».

su piede indigeno, ma di questo Motolinia non fa cenno alcuno. Non è facile venire a capo di questo piccolo enigma storico-enologico, ma resta comunque il fatto che il concorso indetto dall’imperatore Carlo V (1519-1596), il monarca sul cui dominio (come lui stesso afferma) il sole non tramontava mai, fece molto scalpore all’epoca e venne vinto da Francisco Cervantes de Toledo che trapiantò la vite europea nella regione del Rio de la Plata con ottimi risultati. Per capire l’iniziativa di Carlo V è necessario considerare che il viaggio dalla Spagna alle Americhe richiedeva dai due ai tre mesi di viaggio, con tra l’altro deleterie conseguenze sul vino europeo che arrivava regolarmente avariato e acidificato. Per cui non poteva essere utilizzato per celebrare la Santa Messa. Per questa ragione, sollecitato dai religiosi, l’imperatore aveva incoraggiato il famoso concorso. Con il successo di Cervantes, cominciò la diffusione della viticoltura nell’America Latina. Pizarro (1531-1534) conquistò il Perù, Quesada (1535-1538) la Colombia, il Cile fu conquistato da Valdivia tra il 1540-1545, e da lì un sacerdote gesuita, di cui purtroppo non si conosce il nome, attraversò le Ande con alcune barbatelle e giunse in quella terra che sarebbe diventata un giorno l’Argentina. Circa tre secoli più tardi, la vite emigrata dall’Europa sarebbe ritornata nel continente d’origine, contribuendo a salvare le nostre vigne e superare una drammatica crisi, ma di ciò parleremo più in là. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Ambiente e Benessere

Brasare in tre tappe Ma come? (Qualcuno se lo chiederà di certo). Parli di brasati d’estate? Certo che sì. È una preparazione meravigliosa: basta aspettare pochi minuti che si intiepidisca – senza però lasciarla raffreddare, sia chiaro – per fare felici tutti. Brasare vuol dire fare tre cose consecutive a un alimento: anche se in genere si parla di carne, si possono brasare anche altri ingredienti ma non è proprio la stessa cosa.

Gli aromi obbligatori per cucinare un buon brasato che si rispetti sono cipolla (o porri), carota e sedano Vediamo dunque quali sono queste tre tappe. La prima: rosolare uniformemente un pezzo di carne in una casseruola con un grasso già molto caldo. Questo provoca la cosiddetta reazione di Maillard. Ovvero genera la formazione di quella crosticina che le nonne (ma qualcuno anche oggi…) dicevano servisse per «sigillare» la carne e trattenere così i succhi al proprio interno. Non è vero per nulla! I succhi escono a piacer loro, in compenso è vero che nel nostro DNA dev’esserci scritto che questa crosticina è proprio buona. Comunque sia, le sostanze fuoriuscite saranno in ogni caso riassorbite insieme ai liquidi aggiunti durante il prosieguo della cottura. La seconda: cuocere il pezzo di carne a lungo e a bassa temperatura, cioè col fuoco al minimo oppure in forno, in una casseruola chiusa con un pesante coperchio che minimizzi l’evaporazione del vapore e unendo pochi liquidi e altri aromi, in modo da mantenere succhi e sapore. I liquidi utilizzabili sono tanti, di base è ottimale un ricco brodo fatto con gli scarti della carne che stiamo brasando, ma vanno bene anche il

vino bianco, rosato o rosso, secco o liquoroso, il vermut, l’aceto, la panna o anche… acqua. Gli aromi sono anche loro infiniti, sebbene siano «obbligatori»: la cipolla (o i porri, o gli scalogni), le carote e il sedano. Ogni tanto si controlla, si gira il pezzo di carne e si aggiungono, se necessario, altri liquidi, che devono essere bollenti per non fermare la cottura. La terza: nonostante sia fondamentale, pare non essere chiara a tutti. Quando la carne è cotta, si leva e si tiene in caldo: ottimale è arrotolarla in un foglio di alluminio e metterla in forno a 90° o poco più. Poi si deglassa il fondo. Deglassare vuol dire staccare le crosticine caramellizzate (molto saporite) che si formano sul fondo di una casseruola durante la cottura. Si fa così: scolate gli altri ingredienti eventualmente presenti nella casseruola e metteteli in una ciotola. Alzate al massimo il fuoco sotto la casseruola e versate circa un bicchiere del liquido utilizzato per cuocere il brasato (nel caso della panna unite vino). Mentre il liquido incomincia a bollire, grattate col cucchiaio di legno il fondo della casseruola. Man mano che l’acqua bolle e si riduce tutte le crosticine si staccheranno. Quando l’acqua sarà evaporata quasi del tutto, versate gli ingredienti che avete levato prima e frullate il tutto col frullatore a immersione. Si regola poi di densità, facendo evaporare se troppo liquido o unendo liquidi se troppo asciutto. Se si vuole, si può ispessire unendo farina, roux, fecola e altri. Solo alla fine si regola di sale e di spezie. La carne si taglia a fette e si serve nappata con la salsa ottenuta dalla deglassata. Questo è il brasato «perfetto» ed è l’unico degno dell’alto nome che porta. Per quanto tutti i tagli di carne possano essere brasati, l’ingrediente più utilizzato, e particolarmente adatto a questo tipo di cottura, è il muscolo di un grande animale – bue o manzo – ricco di tessuti connettivali e di grassi. Una carne magra è meno adatta, in questo caso è bene lardellarla, quindi ingrassarla, prima di cuocerla.

CSF (come si fa)

JPS68

Allan Bay

Marka

Gastronomia Rosolare, cuocere a lungo e a bassa temperatura, lasciar riposare mentre si deglassa il fondo

Di fricassee ho parlato più volte. Si chiama fricassea un modo di cucinare la carne in umido, legandola alla fine con uovo e limone. È una preparazione di gusto delicato e di semplice realizzazione. I maghi della fricassea sono francesi da sempre, noi italiani ci difendiamo ma i super maghi sono i tedeschi e infatti uno dei loro più celebri piatti si chiama fricassea alla berlinese, anche se non ho mai capito

bene perché si chiama così. Vediamo come si fa. Ingredienti per 6 persone: 1 pollo da 1,5 kg, 200 g di animelle mondate, 200 g di lingua di vitello già cotta, 100 g di prosciutto crudo, 200 g di straccetti di vitello, 12 code di gamberi, 6 filetti di acciuga sott’olio, 200 g di funghi champignon, 12 cipolline, capperi sotto sale, prezzemolo, brodo di pollo, farina, 3 uova, panna acida, burro, olio di oliva non extravergine, sale e pepe. Eviscerate e fate a pezzi il pollo, lasciando la pelle. Infarinate i pezzi e scrollateli per eliminare l’eccesso di farina. Sciogliete in una casseruola metà burro e metà olio, rosolate i pezzi di pollo a fuoco vivo per 3’, unite 1 bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’ e cuocete coperto a fuoco

dolcissimo per circa 45’, aggiungendo poco brodo di pollo se asciugasse troppo. Mentre il pollo cuoce, glassate le cipolline con burro e poco zucchero, dividete a metà e saltate in padella i funghi e sbollentate per 30’, scolate e tagliate a fette le animelle. Scolate i pezzi di pollo e teneteli in caldo. Unite gli straccetti di vitello e le animelle e rosolateli per 8’. Aggiungete il pollo, le code di gamberi private del budellino nero, il prosciutto e la lingua tagliati a julienne, i funghi, le cipolline, una manciata di capperi dissalati, i filetti di acciuga scolati e spezzettati e il succo di 1 limone, quindi cuocete per 2’ mescolando. Regolate di sale e pepe. Spegnete, legate con i 3 tuorli e con prezzemolo tritato e servite. Accompagnate con riso pilaf o altro amido a piacere.

Ballando coi gusti Oggi frittelle, classiche, semplici, ghiotte. Vanno bene per antipasto, vanno meglio da sole per una merenda salata. Vanno bene sempre.

Frittelle di ceci e porro

Frittelle di patate allo sbrinz

Ingredienti per 4 persone: 200 g di farina di ceci · 1 grosso porro · 1 spicchio di aglio · 1 peperoncino verde · 1 uovo · 1 manciatina di curcuma, yogurt · olio per friggere · sale.

Ingredienti per 4 persone: 500 g di patate · 100 g di sbrinz grattugiato · 1 cucchiaio di farina · 2 uova · olio per friggere · sale e pepe.

Mondate il porro, l’aglio e il peperoncino verde e tritateli molto finemente. Metteteli in una ciotola e aggiungete la farina di ceci, l’uovo, la curcuma, un pizzico di sale e lo yogurt necessario a ottenere un impasto fluido. Scaldate abbondante olio in una padella e tuffatevi l’impasto a cucchiaiate; rigirate le frittelle da entrambi i lati, in modo che assumano un colore dorato uniforme. Scolatele, lasciatele asciugare su carta assorbente da cucina e servitele calde.

Sbucciate le patate, grattugiatele, mettete il ricavato in una ciotola. Unite il formaggio, la farina, le uova, un pizzico di sale e abbondante pepe. Mescolate bene il composto e versatelo a cucchiaiate in una padella con abbondante olio ben caldo. Cuocete le frittelle, poche per volta, sgocciolatele con il mestolo forato non appena saranno dorate, passatele su carta assorbente da cucina perché perdano l’olio in eccesso e servitele calde.


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Un unico fornitore – tanti servizi. Per CHF 8980.– (abbonamento generale di 1ª classe) o CHF 6750.– (abbonamento generale di 2ª classe), i clienti usufruiscono di un pacchetto a 360 gradi per la loro mobilità quotidiana. Green Class FFS e-bike comprende:

«Quando sfreccio davanti agli automobilisti in coda, non vorrei essere al loro posto.» Viaggiare sempre in tutta semplicità, flessibilità, nel rispetto dell’ambiente e secondo le proprie specifiche esigenze di mobilità. È questo ciò a cui puntavano Bettina e Christian Hirsig quando hanno deciso di partecipare al test di mercato Green Class FFS e-bike. I due sono entusiasti di questo pacchetto a 360 gradi per la loro mobilità quotidiana, che offre tutti i servizi da un unico fornitore. In stazione di volata con l’e-bike Stromer ST2, all’appuntamento di lavoro in treno, per gli altri trasporti con l’auto Mobility – e se qualcosa dovesse andare storto, gli Hirsig possono contare sull’assicurazione integrata casco totale, la Stromer Assistance, e sul libretto protezione tp per essere sempre mobili (si veda riquadro). «I clienti pilota ricevono tutti i servizi per la loro mobilità quotidiana da un unico fornitore», spiega Fabian Scherer, capoprogetto Green Class FFS. È quanto possono confermare anche Bettina e Christian Hirsig di Berna. Genitori di due bambini e imprenditori autonomi con diploma in economia aziendale, viaggiano parecchio per scopi privati e profes-

sionali. Inoltre, sono ambasciatori ufficiali di Green Class FFS e-bike. «La nostra esigenza è quella di spostarci nel modo più fl essibile possibile, ma rinunciando al possesso di un’auto», afferma Christian Hirsig. Per l’ambiente, ma non solo: «Per noi ogni giorno è diverso e così anche le nostre esigenze di mobilità.» Che sia per andare in gita coi bambini, per arrivare alla riunione senza stress o per recarsi dai clienti in zona industriale, apprezziamo il privilegio di avere sempre a disposizione il mezzo di trasporto giusto. Inoltre: «Quando nelle giornate di afa estiva sfreccio con il treno ad alta velocità o la mia Stromer davanti agli automobilisti in coda, mi rendo conto che non vorrei essere al loro posto.»

Un’offerta delle FFS in collaborazione con:

Green Class FFS e-bike è pensata come test di mercato di un anno. «Speriamo di acquisire preziose conoscenze sul modo in cui i clienti utilizzano queste offerte. Queste ci aiuteranno a sviluppare pacchetti di mobilità combinata lungo l’intera catena di viaggio», afferma Fabian Scherer. Il test di mercato viene seguito sotto il profi lo scientifi co dall’ETH di Zurigo. Green Class FFS e-bike è già il secondo test di mercato per la mobilità combinata. Nell’autunno 2016 le FFS hanno lanciato con successo un’offerta combinata con l’auto elettrica BMW i3. In entrambi i test di mercato i clienti registrano i loro dati di mobilità quotidiani tramite un’app. Questi vengono analizzati dall’ETH di Zurigo e fungono da base

– un AG a scelta tra 1ª e 2ª classe (gli abbonamenti TP in possesso dei clienti vengono rimborsati pro rata) – una Stromer ST2, l’e-bike più digitale: un noleggio annuale inclusa un’assicurazione casco totale e servizi di manutenzione – un abbonamento annuale per un posto in un parcheggio per bici in stazione – un abbonamento Mobility-Carsharing incluso un credito di viaggio del valore di CHF 100.– – sei carte giornaliere bici per il carico in proprio dell’e-bike sul treno – libretto protezione dei trasporti pubblici – abbonamento Battere: possibilità di prendere in prestito un caricatore per cellulare in 1000 punti vendita

per il possibile lancio di offerte successive. Da settembre 2017 le FFS off rono una nuova soluzione di mobilità innovativa e unica nel suo genere: i clienti interessati hanno tempo fi no al 13 luglio per candidarsi e sperare di rientrare nella rosa dei fortunati che per un anno sperimenteranno questa novità. Inoltre, come sottolinea Fabian Scherer: «I clienti pilota di Green Class FFS e-bike sono pionieri della mobilità che desiderano provare qualcosa di nuovo e contribuire a plasmare la mobilità del futuro insieme a noi.» Le persone interessate possono candidarsi al sito www.ff s.ch/ greenclass.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Ambiente e Benessere

Quando il cane fa paura

Giochi per “Azione” - Luglio 2017 Stefania Sargentini

Mondoanimale Poche ed efficaci regole nell’approccio con un cane sono la chiave per provare a superare la cinofobia

(N. 25 - ... nuovo gas che chiamarono Montgol er)

«Non c’è un motivo particolare: quando vedo un cane, sia esso grande o piccolino, mi fa una gran paura e cerco di evitare di avvicinarmi, se è sulla mia strada cambio direzione o attraverso; è più forte di me»; «Quando ero piccolina, avrò avuto quattro o cinque anni, il cane del mio vicino di casa mi ha morsicato una mano. Oggi capisco che forse lo volevo accarezzare e lui ha interpretato male il mio gesto, difendendosi come ha potuto, ma ciò non toglie che da allora io ho un vero e proprio timore di avvicinarmi a un cane». Sono due testimonianze emblematiche di persone (nomi noti a chi scrive) che hanno paura dei cani, una delle quali non ha neppure avuto brutte esperienze, per cui non si sa nemmeno spiegare il motivo di questo suo timore. «La maggior parte delle persone adora i cani, ma ci sono alcuni individui che hanno una gran paura ad avvicinarsi a loro o di accarezzarli, tanto da cambiare strada ogni volta che incrociano un Rottweiler, ma anche un Chihuahua», spiega lo psicologo fiorentino Giuseppe Satoncito (specializzato in psicoterapia breve strategica), che racconta come la cinofobia possa insorgere per le cause più disparate: «È una fobia che può derivare da una predisposizione ansiosa di base della persona, oppure perché si è vissuto un episodio spaventoso contenente l’oggetto della fobia (in questo caso il cane)». Parliamo di «paura intensa e persistente» quando la presenza di un cane, o in casi estremi addirittura la sua raffigurazione fotografica, provoca così tanta ansia da sfociare in un attacco di

1 2tipici sono forte 3 pau4 panico: «I sintomi ra, tachicardia, sudorazione e tremori. 10 l’individuo 11fobico mette 12 A quel punto, in atto un comportamento tipico, noto come evitamento: si preoccupa 15 di allon14 tanarsi da tutte le situazioni in cui sono presenti cani. Non potendone17fare a 16 meno, egli svilupperà un’ansia anticipatoria: uno stato ansioso relativo all’in20 contro che sta per avvenire con il cane». Proprio come testimoniano le due per22riportato sopra. 23 sone di cui abbiamo Secondo Santonocito, «gli approc25 26 ed efci psicoterapeutici più moderni ficienti non si occupano di cercare le cause delle 28 fobie, solo di guarirle». Egli 29 afferma che, in teoria, è possibile provare a superare anche da soli questa 30 31 paura del cane sebbene «con l’aiuto di uno psicoterapeuta il processo sia tuttavia accelerato e con eccellenti probabilità di riuscita, perché, di fatto, le fobie sono un disturbo relativamente facile da guarire». Don Abbondio, nei Promessi Sposi, 1 2 3 lo ha, 4 diceva: «Il coraggio, se uno non non se lo può dare». Per provare a supe10 tuttavia in rare la paura del cane viene aiuto l’Ufficio federale della sicurezza alimentare 13 e veterinaria (Usav) 14 15con la sua interessantissima e utile pubblicazione: Cani?18Niente paura!, nella quale 19 20 illustra eventi concreti cui fare fronte nel modo più adeguato, insieme a situazioni nelle 23 quali bisogna sapere che il cane va compreso attraverso messaggi 26 inviati dai suoi atteggiamenti e lasciato tranquillo se del caso. La premessa è incoraggiante e uti30 le: «La maggior parte dei cani, fortunatamente, non è pericolosa, ma un cane 33 in libertà può comunque spaventare se corre verso di voi». In quel caso solo un 35

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N E S S O

U C O S C F C H I A I O N A R T P N O G E S U E P I F I L E A R

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e aspettate che il proprietario lo abbia

R sotto V controllo». O G A Una speciale osservazione riguare cani I da A bambini C C Hche Enon devono mai essere lasciati soli, ma essere atsorvegliati dagli V tentamente E I R adulti: «I bambini non sono ancora in grado di segnali E riconoscere M iA Rdi disagio E e di avvertimento dei cani, come ad esempio leccarsi le labbra, ringhiare o rizzaG N O M O re il pelo, e non sono dunque in grado di reagire correttamente». Anche per T O accarezzare un cane bisogna sempre chiedere prima l’autorizzazione al proO prietario: L «Se è d’accordo, chiamate prima l’animale per nome, se non si avS vicina I non insistete. E non avvicinatevi se esso è solo, se sta mangiando o dorI mendo, A se gioca oppure se si tratta di

(N. 26 - ... sono più alti di circa centimetri) comportamento adeguato sei può aiutare sente minacciato e non può scappare

Giochi Cruciverba Per evitare che la bigiotteria si ossidi, aggiungete nella scatola che la contiene … Completa la frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate (Frase: 2, 8, 2, 5)

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Pexels

Maria Grazia Buletti

a evitare che la situazione degeneri: «Se non volete in alcun modo interagire 6 vi si 7 avvicina, 8 9 con un 5cane che ignoratelo e lui farà altrettanto». Certo è che si 11 di un piccolo 12 tratta atto di fede che una persona spaventata deve riuscire ad attuare: «Bisogna muoversi lentamente, 16 17 restare in silenzio (non gridare), distogliere lo sguardo e proseguire lenta21 22 mente sulla propria strada». Le situazioni critiche possono comunque24presentarsi 25 e mettere a rischio le persone, ad esempio: «Quando un 27 fa la guardia 28 a un terreno 29 e i pascane santi ignorano i suoi segnali di avvertimento come abbaiare, ringhiare o riz31 32 zare il pelo, e continuano ad avvicinarsi a lui». Non c’è atteggiamento più sba34 gliato! Una persona può provocare altre situazioni critiche: «Quando il cane si 36

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perché è tenuto legato; quando un bambino scappa da un cane o cade e, così facendo, fa scattare nell’animale l’istinto predatorio; quando cani che stanno giocando corrono verso di voi e vi fanno cadere e quando cercate di separare cani che si stanno azzuffando». 4 Si tratta dunque di comprendere le situazioni e gli atteggiamenti natura2 li del cane per evitare di essere5 da esso fraintesi, e così è anche per ciclisti e corridori: «Muoversi velocemente può 8 spingere i cani a inseguirvi e tenerli sotto controllo in una tale situazione 6 non è semplice». A ciclisti e corridori l’Usav consiglia di farsi notare dal proprie3 egli tario con largo anticipo,2affinché possa richiamare il cane quando si è ancora a distanza. Inoltre: 8 «Se un 9 cane5 vi rincorre, fermatevi immediatamente

S L A N G

O N T C A S R E

una cagna con i suoi cuccioli». Tutte situazioni a rischio di malinteso, perché l’uomo non interpreta sempre correttamente i messaggi del cane. «Per un cane ringhiare, fissare negli occhi, mostrare i denti, rizzare il pelo o irrigidirsi sono segnali di minaccia che possono precedere l’attacco». Si consiglia perciò di «stare fermi, distogliere lo sguardo e voltare le spalle al cane, tenere le braccia aderenti al 8 6 1 corpo, allontanarsi lentamente e, se si cade, bisogna rannicchiarsi e proteg9 gere la nuca con6le mani senza gridare». Il cane perde interesse per una persona silenziosa e immobile 9 3 4e si 7allontana: «Per contro, qualunque movimento attira la sua attenzione». 5 2 Non disturbare il can che dorme è il modo migliore per evitare brutte 6 e prendere9paura, unito al esperienze saper interpretare i suoi segnali riguardo al disturbo 2 che possiamo 3 arrecargli, anche senza rendercene conto.

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S U V N. I 22 N MEDIO O Scoprire 3 A iG I 2 P E R numeri corretti 12 da inserire nelle Z O N A O5 Z 6 caselle colorate. Giochi “Azione” 3 I I Lper A R- Luglio E 2017 Stefania Sargentini 17 18 19 20 A U P L4 E9 T (N. 25 ... nuovo gas che chiamarono Montgol er) 24 25 C D I3 O R E N U C O R V O G A 29 30 EUS M C IF I DA CEC H E A4 L7 S C H I A V E I R 32 33 34 4 6 P O T E R E A S I O N E M A R E 36 O A R T G N O M O AP N O M1 A8 L O N O T O

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ORIZZONTALI 1. Si ripete rincuorando 3. Bianco, rosso o rosato 7. Circondano i facoltosi 9. Produce prodotti vari... 10. Tratto circoscritto di territorio 12. Patria di un noto mago 13. Allegro, felice 15. Simbolo chimico dell’oro 16. Si usa per suonare la chitarra 22. L’odio nel cuore 24. Le figlie di Zeus 25. Il presentatore di «Caduta Libera» (iniz.) 26. Non del tutto asciutte 29. La si fa ad un corteo 31. Autorità, facoltà 33. Bruciati

35. Inusuale, insolito 36. L’avanzata... dei vecchietti

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros (N.Partecipazione online: inserire la 27 - ... un pezzetto di gesso) 29 di 50 franchi, saranno 30 del valore sor- soluzione del cruciverba o del31 sudoku 1 2 3 4 5 6 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato 8 pagina 9 del sito. fatto pervenire la soluzione sulla 32 33 corretta7 34 35 entro il venerdì seguente la pubblica-10 Partecipazione postale: la lettera o 11 12 zione del gioco.36 la cartolina37postale che riporti la so-

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(N. 28 - “Non preoccuparti, morirà di solitudine”) 1

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I vincitori 10

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Vincitori del concorso Cruciverba 18 2419.6.2017 25 su «Azione 25», del 19

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V. Banfi, A.26Lombardi, F. Flückiger 27 28 29 20

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VERTICALI 1 2 3 4 1. Non hanno fame 2. Prolungamento del velo palatino 4. Le iniziali 9 di una nota Pivetti 5. Un anagramma di Noé 6. Una parente della caffettiera 13 14 8. Mai sentito prima! 11. Diede i natali al Vasari (sigla) 17 tv 14. Le iniziali del Papi della 17. Quello in fondo 18. Un tessuto 19 19. Le iniziali del pittore Guttuso 20. Introduce 22 un chiarimento 21. Oscura, tenebrosa 23. Usato per evitare ripetizioni

1

G E S U O 5 L 9 1 8 27. Mio in Francia E P I F I S I 30 28. La Giunone 31 dei greci L E Adella settimana R I A precedente 30. Desinenza verbale Soluzione SUDOKU PER AZIONE - LUGLIO 2017 32. Articolo spagnolo CURIOSITÀ – Gli astronauti in orbita: N. 21 FACILE (N.34. 26Due sono 5- ...di 6 più 7 alti di circa 8 sei centimetri) bastoni …SONO PIÙ ALTI DI CIRCA SEI CENTIMETRI. Schema Soluzione

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Vincitori del concorso Sudoku 33 34 su «Azione 2425», del 19.6.2017

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N. 23 DIFFICILE

N O N N O P R E G 3O ` M A 3 4 9 8 7 2 6 5 1 6P I 1U S 4O N 8N O 2 7 19 O R C O C U 7 O 5 2 R 4 1 6 8P 3 A L 5 2T E L 6 I D 9R I N A C 8 9 L I 3 R 4 A 7 7I C6 I 1 6 31 8 9 5 3 4 7 2 T O V 5O S V E I TM R1 6I 4 3 9A5 7P 2 E8 2S N 6A S 2G 3 ROE T 6 A T 9 I EC 9ET O R I 2 3 7 A1 6M8 9U 4 R5 8 9 5 7 2 4 3 1 6 8 9 5 2S N 3 I R I S 5LO 2T E8 I M4 O R 87E7 2 6 R 5 1 3 I9 1 2 5C T O I 1M 9 7 3 2 8 1 5 6 4 3 2 4A R T N A ´ RG 6M A D E 9 V A L I O 5 8 1 6 4 7 2 9 3 5 1 6 A 7O A R I A N. 22 2L AMEDIO N N I 6 3S P A G O luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 2 4 6 2 7 1 3 9 4 5 8 6 indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti G A 1 IN 1O Azione, T A perUiscritto. O7 86dei 1vincitori D 2 sarà I 5 8 R 9 Il54 4 3 essere nome S U spedita V 6a I«Redazione Concorsi, 6901 Lugano». pubblicato 3 C.P. 6315, 4 6su 3«Azione». 8 2 Partecipazione 7 9 1 A G I P P5corrispondenza E7 RM A suiR riservata 3 8 9 I 5a lettori S N E che T Non siA intratterrà esclusivamente 4 9 6 1 4 9 5 3 2 7 8 Z O NLe vie A legaliO Zescluse. Non risiedono in Svizzera. concorsi. sono 3 5 7 A 1 8S2 6S 4 E 9 A N IN.24 C GENI E 3 T


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Politica e Economia Un abbraccio politico L’incontro tra Narendra Modi e Donald Trump mette in luce la convergenza dei loro interessi

Economie a confronto Italia e Svizzera si misurano spesso con problemi simili, ma le condizioni strutturali e le soluzioni scelte divergono notevolmente

Bufera istituzionale Con l’incriminazione per corruzione di Michel Temer, il Brasile rischia di perdere il secondo presidente in un anno

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Keystone

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Cinesi indesiderati Intervista al leader indipendentista del Balochistan che si scaglia contro il Corridoio Economico Cina-Pakistan

Gestire le crisi, la sfida degli Stati

Politica economica Gli anni seguiti alla crisi finanziaria del 2008 hanno evidenziato la vulnerabilità degli apparati

pubblici di fronte a turbolenze finanziarie, ma non hanno ancora sortito un crisis management efficace e coordinato

Edoardo Beretta Se le imprese da sempre fanno ricorso al crisis management nel contrasto di episodi inattesi più disparati fra cui incidenti, sabotaggi, scandali o altro, si potrebbe di primo acchito affermare altrettanto nel caso degli Stati stessi. Il concetto di diplomazia con le sue molteplici figure di riferimento rappresenta, sicuramente, una modalità di gestione delle crisi volta ad una risoluzione non conflittuale di esse. Tuttavia, sono stati i grandi episodi di panico finanziario ad avere aperto gli occhi ai gestori statali sull’importanza di un management delle crisi economiche altrettanto coordinato: il primo grande esempio risale, presumibilmente, alla Grande Depressione (dal 1929 fino ai primi Anni Trenta). Ma, più recentemente, è stata la crisi economicofinanziaria globale (scatenatasi nel 2008 dopo il fallimento della Lehman Brothers), con la sua inaspettata virulenza e pandemicità ad avere catapultato la tematica del crisis management

anche a livello statale. Perché mai non citare, ad esempio, gli shock petroliferi del 1973, 1979 e 1980? La risposta più naturale è che essi poggiavano su avvenimenti politici prima ancora che economici e, quindi, in parte risolvibili mediante il ricorso al più noto strumentario diplomatico. Il fatto che i grandi sconvolgimenti economici della storia recente in qualità di causa (e non di effetto) siano avvenimenti non troppo frequenti, se da un lato costituisce sì una fortuna, dall’altro è all’origine di un mancato apprendimento da parte dei policymaker. Per la serie: una volta superata alla bell’e meglio la tempesta, si preferisce tornare − come se nulla fosse avvenuto − al motto di sempre, cioè business as usual. È avvenuto così anche per la crisi economico-finanziaria globale con le sue tante ripercussioni sul mercato immobiliare, bancario, dei titoli di debito pubblico ecc., di cui non si può certo dire di avere lasciato un’impronta decisiva per cambiamenti strutturali in termini di policy. Infatti, sono sta-

te soprattutto le banche centrali delle principali Nazioni mondiali − dalla FED alla BCE, dalla BNS alla Banca del Giappone oltre che la Banca d’Inghilterra − ad avere assunto il ruolo di vero e proprio pronto soccorso nel somministrare cure da cavallo, tanto efficaci nell’abbassare la febbre ma molto meno nel curarne la causa. Quindi, dapprima con vigorosi tagli dei tassi di interesse per facilitare la ripresa tramite la leva del credito − la rapidità delle decisioni della banca centrale americana ricorda un vero e proprio atterraggio di emergenza − ed, in seguito, con massicci programmi di acquisto di titoli di debito pubblico (successivamente, anche privato) per arginare la spirale recessiva, che più volte è stata accostata alla sopra citata Grande Depressione. Certamente, l’intervento degli Stati nazionali si è potuto caratterizzare per minore celerità decisionale in quanto le loro politiche fiscali e di bilancio (condizionate dalla presenza o meno di margini di azione fra tassazione o debito pubblico già troppo elevati)

hanno necessitato di tempo e consenso politico, che spesso riescono a trovare nei confronti di Paesi esteri, ma molto meno su questioni interne di approccio economico. In altre parole, se di fronte a quello che si considera essere il «nemico comune» politico fuori dei propri confini si coagula un vasto supporto interno, più dialettica risulta essere invece la ricerca di una ricetta condivisa per la soluzione di problemi economici. La situazione all’interno di Eurozona e, più in generale, Unione Europea è stata inficiata dal fatto che gli accordi continentali soffrono fra l’altro di un problema strutturale di verbal discipline (come denominato dall’ex Presidente BCE Jean-Claude Trichet): infatti, la presenza di molteplici attori politicoistituzionali fa sì che i contrasti interni (manifestati anche pubblicamente a mo’ di «fuoco amico») invalidino molti tentativi di azioni coordinate, credibili e tempestive in situazioni di estrema necessità economica. Ecco che la crisi del debito europeo con le sue tante sfaccettature è stata soprattutto affron-

tata in molteplici e spesso inconcludenti summit di emergenza perdurante, questi ultimi già dopo poco tempo spesso superati dall’involuzione stessa dello stato di salute comunitario. La lezione, che ci si augura che gli apparati statali abbiano tratto da quanto avvenuto − il beneficio d’inventario è d’obbligo a fronte delle considerazioni di cui sopra −, è che si dovrà sviluppare sempre più un crisis management adeguato ed attualizzato anche in ambito extra-privato. È l’interconnessione economico-finanziaria globale a porre il problema, poiché, se con essa aumentano le reciproche opportunità commerciali, il rischio di effetti domino è ancor più endemico. Beninteso: di questa interconnessione globale si potrebbe utopisticamente fare anche a meno, sempre che le politiche economiche messe in campo siano durevoli ed efficaci. Qualora non lo fossero (e così pare), il resto sarebbe storia − da non dimenticare da un lato, da riscriverne il copione in vista di episodi futuri dall’altro.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Politica e Economia

Verso una nuova alleanza

Il mondo che verrà – 2. parte Dov’è finita la Speranza Indiana? Quando e perché l’India ha smesso

di essere un modello positivo? Cosa c’è dietro il fondamentalismo induista di Narendra Modi?

Federico Rampini «L’abbraccio dell’orso», con cui Narendra Modi ha stretto Donald Trump alla Casa Bianca, è stato oggetto d’ironia e dileggio sui social media. Ma dietro quella manifestazione un po’ goffa, che ha creato evidente imbarazzo nel presidente americano, c’era un fatto sostanziale. India e America, le due più grandi democrazie del mondo, sono gemellate per diverse ragioni. Modi ha preceduto e anticipato Trump come campione di un nazionalpopulismo che rimane una forza politica in ascesa in tante parti del mondo, malgrado le battute d’arresto delle recenti consultazioni elettorali in Inghilterra e in Francia. Il fatto è che questa India rappresenta un «mito» ben diverso da quello che noi abbiamo inseguito per generazioni. Non è davvero l’India mite e spiritualista. Modi è un vegetariano e pratica lo yoga, ciò non gli impedisce tuttavia di essere un nazionalista duro. Con Trump è in sintonia per tante ragioni, come ha dimostrato la sua visita a Washington. C’è l’ovvia convergenza strategica per contenere l’espansionismo cinese, ma questa era vera anche ai tempi di Barack Obama, e prima ancora era fiorita con George W. Bush, quando a New Delhi governava ancora il partito del Congresso della famiglia Gandhi, laico e vagamente socialista. La nuova geometria delle alleanze segue delle regole obbligatorie e antiche. L’Imperativo Geografico per l’India moderna dall’Independence Day del 1947 ha sempre imposto due priorità inevitabili. La prima è fronteggiare la teocrazia islamica del Pakistan (che precedette di molto l’Iran nell’adottare la religione come fondamento identitario dello Stato). La seconda è di proteggersi dalla superpotenza più vicina, la Repubblica Popolare cinese, l’unico paese oltre al Pakistan con cui l’India moderna abbia combattuto una vera guerra (1962). Ma per una parte della sua storia è a Mosca che l’India andò a cercare il contrappeso della Cina, quando le due chiese del comunismo mondiale erano diventate acerrime rivali. Ai tempi di Indira Gandhi l’India era parte del movimento dei «non allineati», detto anche Terzo mondo perché si rifiutava di entrare nei sistemi di alleanze contrapposte della Nato o del Patto di Varsavia, però c’era una vera amicizia con l’Unione sovietica ed un’evidente attrazione verso il suo modello di pianificazione economica. Il fatto che oggi sia l’America l’alleata obbligatoria, non sarebbe apparso scontato neppure vent’anni fa. È un frutto anche della conversione indiana al capitalismo, sia pure in versione molto meno liberista dell’America e perfino più statalista della Cina.

Modi e Trump hanno più di un motivo per una convergenza delle loro strategie politiche future Con il duo Modi-Trump assistiamo ad una sorta di allineamento valoriale. Non c’è solo una convenienza politico-militare a fare fronte comune per contenere l’espansionismo cinese in Asia. C’è anche una sintonia culturale più profonda. È questa che allontana l’India di Modi da tutte le «caricature gentili» in cui l’Occidente si è cullato da due secoli a questa parte. I romantici tedeschi e Schopenhauer. Il Siddharta di Hermann Hesse. I poeti americani della Beat Generation. Il viaggio dei Beat-

A sorpresa, il Primo ministro indiano abbraccia Donald Trump in occasione del loro incontro a Washington. (Keystone)

les alle pendici dell’Himalaya, tra sitar e meditazione trascendentale, nell’anno di grazia 1968. Questa è l’India eterna reinventata ad uso e consumo di élites occidentali che hanno voluto venerare in quella civiltà la madre di tutte le religioni, un giacimento inesauribile di miti, la sorgente primaria della «vera saggezza», giù giù fino al formidabile esempio di pacifismo e non violenza del Mahatma Gandhi, ispiratore di Martin Luther King e di Nelson Mandela. Dopo esserci fatti sedurre a lungo da questa India largamente immaginaria (magari «costruita» usando materiale vero, ma su misura dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni, delle nostre illusioni e dei nostri sogni), abbiamo avuto uno shock circa vent’anni fa nello scoprire un altro mito indiano, meno scontato: Bangalore, la capitale mondiale del software. È una vicenda che ricordo bene perché s’incrocia con la mia vita personale. Stavo preparandomi a traslocare nella Silicon Valley californiana, quando l’America e poi il mondo intero furono contagiati dalla febbre del Millennium Bug. Si trattava della psicosi di un blackout informatico mondiale, che sarebbe scattato nella notte fra il 31 dicembre 1999 e il primo gennaio 2000, perché la maggioranza dei software non erano stati programmati per le date del terzo millennio. Allarme infondato, scoprimmo in seguito, ma intanto scattò una corsa ad aggiornare i software che fece esplodere la domanda di lavoro per esperti informatici. Non ce n’erano abbastanza in Occidente e le multinazionali americane scoprirono il giacimento di talenti addestrati nel-

la gemella indiana della Silicon Valley, cioè a Bangalore. Fu uno shock culturale, scoprire questa versione futurista dell’India. Improvvisamente s’impose un’altra narrazione, quella del miracolo indiano: tecnologico ed economico. Ci fu un altro fenomeno, Bollywood, a portare dentro le nostre sale cinematografiche e nell’immaginario occidentale un Indian Dream fatto di un «masala» (impasto) di ingredienti abilmente selezionati: i colori e i profumi, le musiche e le tradizioni, i balli e i costumi dell’India Eterna, dell’India turistica del Taj Mahal e del Rajasthan, insieme con una modernità astuta e un talento narrativo straripante. Grazie a una intellighenzia anglofona, da Naipaul a Salman Rushdie, da Amitav Gosh a Suketu Mehta, anche le élite colte dell’Occidente si re-innamorarono di un’India ancestrale e modernissima al tempo stesso, condensato delle massime contraddizioni del nostro tempo, deposito di miti e di sofferenze arcaiche ma aggiornatissima e cosmopolita. Al confine tra letteratura e politica, o tra scienza e militanza, due donne come Arundhati Roy e Vandana Shiva sono state adottate come due profetesse della sinistra radicale in Occidente: in un certo senso ci restituivano intatto e prezioso il «nostro» mito di un’India primitiva e innocente, sacra e pura, aggredita e saccheggiata dalle nostre multinazionali, da un capitalismo feroce e spietato. È qui che irrompe alla fine Narendra Modi, e scompagina un po’ tutto, mettendoci di nuovo a disagio. Che cosa rimane della Speranza Indiana, nelle mani di un governo reazionario e

bigotto, con una maggioranza induista intollerante, pronta a usare la censura per zittire le voci del dissenso interno? Tra le varie versioni dell’India come laboratorio c’è anche questa. Fu in India che il terrorismo islamico fece le prove generali per l’11 settembre 2001, molto prima di colpire l’America. È in India che il partito laico del Congresso è stato travolto da un revival di fondamentalismo induista, anche in chiave antimusulmana ma non solo (il Congresso è stato vittima anzitutto di se stesso, della propria inefficienza e corruzione). È in India che alcuni ingredienti del populismo moderno si sono manifestati in anticipo su tante liberaldemocrazie occidentali. La geografia che definisce l’India è prima di tutto una mappa socioeconomica interna. La questione delle caste non è mai stata risolta né superata. Anzi sotto Modi riesplode in modo acuto. Eppure il suo partito induista, il Bharatiya Janata Party (Bjp), per essere coerente con la propria ideologia ha bisogno di coalizzare tutti gli induisti, non solo le caste superiori. Ci riesce solo in parte. Un episodio emblematico ha visto come protagonista Yogi Adityanath, l’estremista indù che lo stesso Modi ha voluto come governatore dello Stato dell’Uttar Pradesh. Alla vigilia della visita di Adityanath in un villaggio del suo Stato, dei solerti funzionari hanno ordinato ai paesani delle caste inferiori di lavarsi con sapone e shampoo per non sporcare il governatore. Un comportamento che evoca il concetto delle caste «impure», dette per l’appunto «intoccabili». La tensione tra caste dominanti e caste inferiori conti-

nua a scatenare episodi di intolleranza e perfino di violenza omicida. Tra i protagonisti nello Stato dell’Uttar Pradesh ci sono membri della casta superiore dei Rajput, a cui appartiene lo stesso governatore. Un episodio è stato raccontato dal giornalista indiano Nilanjan Mukhopadhyay, autore di una biografia di Modi. È avvenuto nell’aprile 2017 nel villaggio di Shabirpur, a 180 km da New Delhi, ed ha avuto come protagonisti due poli estremi del sistema delle caste, Dalit e Rajput. Il termine Dalit, che nell’antico sanscrito significa «oppressi» e in hindi si traduce in «spezzati», designa una vasta categoria di caste inferiori. L’uso di quel termine è stato vietato per legge ma il suo equivalente («caste arretrate») nel censimento del 2011 corrisponde al 17% della popolazione indiane. I Dalit di Shabirpur stavano celebrando l’inaugurazione di una statua per l’anniversario della nascita di Bhim Rao Ambedkar: uno dei padri dell’India moderna, architetto della Costituzione, lui stesso un Dalit, fautore della messa al bando del sistema delle caste. Ma i Rajput del villaggio si sono sentiti offesi dal fatto che la statua di Ambedkar col suo dito puntato poteva «indicare le donne delle caste superiori». Sono scoppiati scontri tra le fazioni, con un morto e venti feriti, e diverse case dei Dalit incendiate. È questa geografia interna, tortuosa e conflittuale, la contraddizione del nazionalpopulismo di Modi. Per affermarsi il Bjp deve essere il partito di tutti gli induisti; ma non è riuscito a fare accettare alle caste superiori il superamento di queste discriminazioni ancestrali.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Politica e Economia

Economie diverse ma integrate

Confronti Svizzera e Italia hanno problemi a volte simili ma elaborano soluzioni molto diverse – Le ha illustrate

il delegato permanente di economiesuisse a Bruxelles al Congresso degli Svizzeri d’Italia a Parma Ignazio Bonoli Un interessante confronto fra l’economia svizzera e quella italiana è stato presentato al recente congresso delle associazioni degli Svizzeri in Italia. Relatore sul tema era il delegato permanente di economiesuisse a Bruxelles François Baur che ha iniziato il suo intervento con un confronto fra due economie molto diverse fra loro, ma con punti in comune, soprattutto per quanto attiene alle rispettive strutture economiche. L’Italia, con 62 milioni di abitanti, è la nona potenza economica mondiale, ma superata negli ultimi anni da Cina e Brasile, a causa della debole crescita economica. La sua economia si basa in misura del 75% sul settore terziario. Nel settore industriale, che contribuisce in misura del 23,6% al PIL nazionale, la produttività è inferiore alla media dei paesi dell’OCSE. Mentre in passato il benessere dell’Italia era fortemente dipendente dall’esportazione di prodotti industriali, oggi i risultati della bilancia commerciale sono contenuti. Molte aziende si trovano in condizioni finanziarie problematiche e faticano a onorare i loro impegni con le banche. Di conseguenza, vari istituti bancari italiani si trovano con montagne di crediti in sofferenza. È quindi difficile per le aziende ottenere crediti da investire in ricerca e innovazione. Dal canto suo anche lo Stato italiano scarseggia di risorse e si indebita eccessivamente. La Svizzera, pur essendo un paese piccolo, è al 19° posto fra le potenze economiche mondiali e potrebbe far parte del G20. Qual è il segreto del successo svizzero, soprattutto se si pensa che il livello salariale medio, al netto del potere d’acquisto, è del 40% superiore a quello di paesi vicini come l’Italia? La risposta dipende dalle strutture economiche. Come l’Italia, anche la Svizzera ha un’economia altamente sviluppata, con il settore dei servizi che contribuisce in misura del 72% al PIL nazionale. Sempre come l’Italia (ma anche la Germania), l’industria fornisce una quota importante del PIL (26%). E questo nonostante che il settore industriale lavori con margini molto ridotti e subisca una forte concorrenza internazionale. L’80% della produzione industriale è destinato all’esportazione, nonostante costi di produzione elevati e la forza del franco svizzero sui mercati valutari. Ma, proprio per compensare gli elevati costi unitari di produzione, le aziende svizzere si sono specializzate in prodotti con notevole valore aggiunto. La produzione di alta qualità, con continui investimenti nello sviluppo dei prodotti, nonostante i prezzi elevati, trova acquirenti in tutto il mondo. Per questo molte imprese svizzere occupano i primi posti nelle loro nicchie di mercato, con quote tra il 30 e il 50% del mercato mondiale. Sul fronte opposto, la Svizzera importa diversi fattori

di produzione a prezzi vantaggiosi. La creazione di valore aggiunto è dovuta all’innovazione e alla lavorazione sul territorio elvetico e i prodotti sono venduti nel mondo intero. Così la Svizzera funge anche da motore dell’export per tutta l’area economica europea. Trovandosi a parlare in Italia, François Baur ha presentato un caso emblematico come quello del caffè, per il quale l’Italia gode di una fama internazionale. Pochi sanno però che oggi il commercio del caffè greggio passa per il 70-80% attraverso la Svizzera. Paese che però ne importa solo 1,8 milioni di sacchi, cioè l’1,4%, di cui un terzo viene raffinato e poi nuovamente esportato. La tostatura e il confezionamento costituiscono un valore aggiunto notevole e il caffè è diventato, nel settore alimentare, il prodotto di esportazione più importante per la Svizzera, più del cioccolato e del formaggio. Non solo, ma i produttori svizzeri di macchine da caffè hanno acquistato una posizione di «leader» nel settore delle macchine automatiche. Il notevole know-how nella meccanica di precisione ha favorito la conquista del primato in questo campo. In Italia – invece – le piccole e medie aziende non hanno investito per l’innovazione dei loro prodotti e continuano a offrire prodotti industriali a prezzi più convenienti, ma non in grado di reggere la concorrenza di paesi emergenti come la Cina o il Vietnam. Non bastano però innovazione ed efficienza per creare condizioni vantaggiose per le imprese. A questi si aggiungono i vantaggi tradizionali elvetici che sono: un’economia stabile, un mercato funzionante, la libertà d’impresa, il libero accesso ai mercati mondiali, formazione e ricerca d’avanguardia, politica fiscale e finanziaria competitiva, infrastrutture efficienti, libertà e apertura del mercato del lavoro, approvvigionamento energetico sicuro e tutela dell’ambiente. Questo panorama presenta evidenti discrepanze fra la Svizzera e l’Italia, in particolare in qualche settore molto importante. Per esempio,la Svizzera dispone di un mercato del lavoro tra i più liberali d’Europa. È abbastanza semplice assumere personale, ma anche, se del caso, licenziare. Ciononostante il tasso di disoccupazione in Svizzera è molto basso (attualmente sotto il 4%). Su una popolazione di 8,3 milioni di abitanti sono stati creati oltre 5 milioni di posti di lavoro, corrispondenti a 4,2 milioni di impieghi a tempo pieno. In pratica, la metà della popolazione è occupata al 100%. L’Italia deve invece affrontare una disoccupazione strutturale dell’11%, più acuta al Sud, dove tocca il 17%. Il mercato del lavoro è finora stato molto rigido, creando due classi di lavoratori: quelli con lavoro a tempo indeterminato, licenziamento quasi impossibile e prestazioni sociali molto alte e gravose per le imprese, e quelli a tempo deter-

Palazzo Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena, oggi emblema della fragilità del sistema bancario italiano. (Keystone)

minato senza tutele contro il licenziamento e prestazioni sociali ridotte. Ne fanno le spese soprattutto i giovani, poiché le imprese cercano di evitare contratti a tempo indeterminato. La disoccupazione giovanile supera il 38%. Le riforme sono state avviate, ma bisognerà vedere se saranno sufficienti. Un problema cruciale in Italia è quello della fiscalità. La pressione fiscale per le imprese è una delle più alte tra i paesi dell’OCSE; con il 43,3% è di lunga superiore a quella svizzera, che è del 27,7%. Il governo italiano sta procedendo a una riduzione. Al problema fiscale si aggiungono però anche la scarsa efficienza dell’amministrazione pubblica, con oneri eccessivi per le imprese e la corruzione, con ripercussioni economiche anche sulle imprese. L’immigrazione in Svizzera è un tema politico molto controverso. In ogni caso non può essere causa di disoccupazione, visto il livello molto basso. Oggi vivono e lavorano in Svizzera circa 2 milioni di stranieri (1,3 milioni dall’UE, di cui 320’000 italiani). Negli ultimi dieci anni il saldo migratorio in Svizzera è di circa 800’000 a favore degli immigrati. In Italia gli stranieri sono oltre 5 milioni, ma rappresentano soltanto l’8,25% della popolazione totale. La lieve crescita demografica (+0,3%) è dovuta agli immigrati. Ma questa immigrazione è fatta di molti profughi con qualifiche professionali scarse o nulle e grava sul bilancio dello Stato. In Svizzera, invece, il 60% degli immigrati possiede un titolo di studio accademico e proviene in maggioranza da paesi industrializzati. Ciononostante, è nata una paura, statisticamente infondata, di un effetto sostitutivo della mano d’opera indigena con quella

straniera. Sono comunque in vigore misure per combattere il fenomeno del «dumping salariale». Particolarmente toccato il canton Ticino che vede giornalmente l’arrivo di oltre 60’000 lavoratori frontalieri dall’Italia. Hanno un ruolo importante per l’economia, ma suscitano reazioni di difesa. I rapporti economici tra Svizzera e Italia sono intensi. Per la Svizzera, l’Italia è il quinto partner commerciale, dopo Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina. È al terzo posto quale fornitore di beni e servizi, mentre è il sesto mercato d’esportazione per la Svizzera, che importa anche dall’Italia il 4,6% delle esportazioni di beni italiani. Intenso è anche lo scambio di servizi: le imprese svizzere forniscono servizi in Italia per un valore di 5,4 miliardi di euro, mentre ne importano dall’Italia per 9,2 miliardi. Anche gli investimenti diretti svizzeri in Italia sono importanti e con 15,6 miliardi di franchi la Svizzera è il settimo investitore straniero, generando 50’000 posti di lavoro. Negli ultimi tempi questi rapporti sono stati caratterizzati da conflitti. La questione fiscale e l’esportazione di capitali hanno indotto l’Italia a inserire la Svizzera in diverse «liste nere». All’inizio del 2015 i due paesi hanno concordato un adeguamento della convenzione in materia di doppia imposizione, aderendo allo schema OCSE per lo scambio di informazioni fiscali. Proprio in questi giorni si stanno facendo gli ultimi adeguamenti per permettere la firma del trattato da parte italiana (tassazione dei frontalieri e misure del canton Ticino – la richiesta del casellario giudiziale è stata lasciata cadere – per frenare l’afflusso di frontalieri). Qualcosa si muove anche nel settore dei trasporti: dopo aver ultimato la galleria

di base del San Gottardo è ora necessario completare anche le coincidenze in Italia, in particolare il corridoio di 4 metri per il trasporto merci sulla linea Bellinzona – Luino – Novara, nonché per il traffico futuro la realizzazione di un corridoio per il trasporto di merci via Chiasso – Seregno – Bergamo. Inoltre, dopo un’interruzione di tre anni, entro la fine del 2017 verrà portata a termine anche la linea ferroviaria tra Arcisate (Varese) e Stabio (Svizzera), che collegherà Lugano all’aeroporto di Malpensa. Non si vedono invece progressi nella soppressione degli ostacoli burocratici per le imprese svizzere che vogliono operare nel mercato italiano, mentre per le imprese italiane è molto più semplice accedere al mercato svizzero. Anche le rispettive organizzazioni economiche si stanno muovendo per risolvere problemi concreti del mondo imprenditoriale. François Baur ha fatto in questa occasione un’analisi molto lucida e completa della situazione, basandosi soprattutto sugli aspetti che concernono l’economia e le sue imprese. Non ha mancato di segnalare le difficoltà dovute a due sistemi politici diversi e alla lentezza della burocrazia, cui bisognerebbe però aggiungere anche la diversa interpretazione dei trattati con l’Europa, che crea parecchie difficoltà e incertezze. L’Italia ne approfitta per ricavare determinati vantaggi, mentre la Svizzera deve fare i conti con la volontà popolare, che non sempre coincide con quella del Governo e del Parlamento. È però evidente che due economie così integrate come quella svizzera e quella italiana hanno tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti dentro e anche fuori dai trattati europei. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Sull’orlo del precipizio

Brasile La crisi istituzionale si aggrava: dopo la destituzione di Dilma Rousseff, adesso è l’attuale presidente

Michel Temer a rischiare la poltrona dopo l’incriminazione per corruzione – E ora c’è chi vede nell’ex presidente Lula da Silva l’unico garante della stabilità politica, benché anch’egli sia a rischio di arresto per corruzione Angela Nocioni Il presidente del Brasile, Michel Temer, è sotto accusa per corruzione. La procura generale della Repubblica ha chiesto la sua incriminazione. Sarà la Camera dei deputati a decidere se sottoporre il presidente al giudizio della Corte Suprema. Per il via libera c’è bisogno dei due terzi dei voti. Il presidente, ultraconservatore, del partito in origine centrista Pmdb, è sospettato di aver ricevuto una tangente del valore 140 mila euro dal re della carne brasiliana, l’imprenditore Joesley Batista, in cambio dell’evasione delle tasse sull’export. Joesley è il proprietario della principale azienda mondiale per l’esportazione di carne, la Jbs. Temer rifiuta di dimettersi e si dice vittima di una macchinazione. «Niente mi distruggerà» è stato il suo commento alla notizia. Abilissimo nel tessere alleanze, ha ormai perso appoggi tra i parlamentari. Alcune delle otto richieste d’impeachment contro di lui sono firmate anche da suoi ex alleati. La sua maggioranza già risicata – raccolta con vari patti tra destra, destra estrema e centro dopo l’impeachment di fine agosto della ex presidente Dilma Rousseff del Partido dos Trabalhadores di cui Temer era il temuto vice – si è sgretolata negli ultimi mesi.

Per la prima volta, anche chi ha combattuto Lula si chiede se per una condanna basti un processo indiziario In attesa del verdetto della Camera su Temer, il Brasile aspetta di capire quale sarà la sorte dell’ex presidente Lula da Silva, su cui a giorni dovrà pronunciarsi il giudice di primo grado Sergio Moro, il suo grande accusatore, che potrebbe anche decidere il suo arresto. Scrive la «Folha de Sao Paulo» a proposito del processo in corso a Curitiba contro l’ex presidente Lula, accusato di corruzione e riciclaggio per l’acquisto a prezzo di favore di un appartamento di cui lui nega d’essere proprietario: «I soli indizi sono forse sufficienti per condannare?». Clamoroso che con l’aria che tira in Brasile qualcuno osi mettere in discussione la bontà del processo indiziario. È interessante che nel bel mezzo della rivoluzione politica per via giudi-

Michel Temer respinge le accuse di corruzione, ma sta ormai perdendo gli appoggi che contano. (Keystone)

ziaria in corso in Brasile, a porre la domanda sia il quotidiano della borghesia paulista e della finanza. Interessante perché la «Folha», il giornale più autorevole del Brasile, sostiene la voce dell’accusa nelle inchieste in corso su corruzione e finanziamento occulto ai partiti con una linea editoriale univoca e agguerrita. Lo fa da dodici anni. Da quando, nel 2005, due anni dopo l’inizio del primo governo Lula (il primo governo di sinistra nella storia del Brasile) iniziò la prima indagine sul mensalão, il sistema illegale di pagamento di un mensile a deputati con cui il Partido dos Trabalhadores (Pt) fu accusato di comprarsi la maggioranza parlamentare. Quel processo decapitò l’intero Pt, sfiorò molte volte Lula senza mai riuscire a incriminarlo. Il maxi processo del mensalão fu in molti suoi rivoli un processo indiziario, si fondò su una mole di dichiarazioni d’indagati che accusavano terze persone. Eppure la «Folha» ha finora sostenuto con grande forza i giudici del Tribunale supremo nella loro frase-bandiera: «Le prove indiziarie sono adatte a giustificare un giudizio di condanna». La povera giudice Carmen Lucia, l’unica voce dissonante nel Tribunale supremo, invano è andata ripetendo: «La condanna esige un giudizio certo, le prove indiziarie non sono sufficienti a formare una convinzione di colpa». Nessuno le ha mai offerto una tribuna illustre per spiegare i suoi argomenti. Oggi invece, con l’era lulista ormai

sepolta e buona parte della dirigenza del Pt in galera, con l’economia esangue, con i contratti dell’impresa statale del petrolio Petrobras congelati dalle inchieste in corso e con un governo paralizzato, la «Folha de Sao Paulo» sforna reportage zeppi di dubbi riguardo ai processi indiziari e riporta posizioni come questa dell’avvocato Carlos Eduardo Scheid: «Le parole dei collaboratori di giustizia sommate ad alcuni indizi generano il rischio abbastanza grande di condanne ingiuste». Cosa è successo? È successo che sta per uscire la sentenza del processo più seguito da stampa e tv dell’intera storia brasiliana, quello in cui il giudice Sergio Moro (che pur essendo giudice di prima istanza ha mediaticamente rivestito il ruolo di voce grossa dell’accusa) giudicherà Lula per il sospetto di essere proprietario di un appartamento ricevuto come tangente. I pm hanno detto in Aula: «O si concede elasticità all’ammissione di prove d’accusa e il debito valore alla prova indiziaria, o questi crimini di alta lesività sociale non saranno mai puniti e la società ne soffrirà le conseguenze». La difesa dell’ex presidente ha replicato: «Questo discorso è tanto moderno quanto lo sono la Santa Inquisizione, le monarchie assolute e le teorie fasciste». L’accusa ha chiesto che, se condannato, Lula vada in galera già dopo la sentenza di primo grado. In caso di condanna naufragherebbe la sua candidatura alle presidenziali del 2018. E questo preoccupa paradossal-

mente la «Folha» che di Lula è stata per lungo tempo acerrima nemica. Se si votasse domani l’ex presidente sarebbe il favorito al primo turno con il 30%. Non si voterà domani perché la grande crisi che sta scuotendo il Brasile potrebbe risolversi con elezioni anticipate soltanto dopo una modifica alla Costituzione che richiede una maggioranza qualificata di cui il Pt, in minoranza al Congresso, non dispone. Ma con il presidente in carica a rischio di destituzione, il Psdb (il partito storico della destra liberale, il partito fondato dall’eterno rivale di Lula, l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso) polverizzato a sua volta da inchieste di corruzione come il resto dell’arco parlamentare brasiliano, Lula appare a molti come l’unico scoglio al quale far aggrappare il paese prima che affondi. Temer è stato ormai scaricato dalla borghesia paulista. Gli industriali e la finanza paulista l’avevano abbandonato alla sua sorte già prima che il Tribunale elettorale votasse su di lui a inizio giugno, salvandolo per 4 voti a 3 dalla condanna per uso di fondi illegali nella campagna per le ultime presidenziali, alle quali correva in coppia con la candidata presidente Dilma Rosseff. In caso di condanna il presidente sarebbe stato costretto a dimissioni immediate senza passare per l’impeachment perché i reati contestati risalivano alla campagna elettorale, quindi non sarebbe entrato in gioco il fattore immunità. Da quando la finanza paulista l’ha mollato, la sorte di Temer pare se-

gnata, la sua agonia politica solo prolungata. L’idea dei circoli finanziari paulisti è lasciar cacciare lui e mantenere intatta la linea del suo gabinetto economico. Scriveva giorni fa, sempre sulla «Folha», Vinicius Torres Freire: «Quasi nessuno menziona il nome di Temer, come se fosse la peste. Ma è in corso un tentativo di organizzare un fronte business as usual. Non lo si lascia cadere solo perché ancora non si trova una soluzione politico-giudiziaria per: cacciarlo, problema sempre più complicato; eliminare i recalcitranti dal Congresso, convincerli a votare un programma di restaurazione liberale, missione quasi impossibile; garantire che l’équipe economica rimanga la stessa». L’anno scorso l’alta borghesia paulista l’ha sostenuto come regista dell’impeachment di Dilma Rousseff, di cui era vice. Poi l’ha considerato utile per far varare un pacchetto di impopolarissime leggi per la ristrutturazione del mercato del lavoro e del sistema previdenziale. Adesso però, anche se quelle leggi sono ancora in attesa di essere approvate dal Senato, Temer è diventato un fattore d’instabilità eccessiva. Non è più in grado di assicurare una maggioranza parlamentare. Tutto il Paese ha ascoltato la voce di Temer in un file audio, registrato segretamente da Joesley Batista ricevuto di nascosto nella residenza presidenziale, raccomandare «quello lì me lo devi continuare a mantenere», frase riferita apparentemente all’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, compare politico di Temer, pedina fondamentale nell’impeachment di Dilma, attualmente detenuto perché condannato in via definitiva per una lunga serie di reati penali. Se Lula venisse condannato nel processo indiziario di Curitiba, non ci sarebbe più nessuno in grado di trattare autorevolmente insieme all’ex presidente Fernando Henrique Cardoso un’uscita politica alla crisi. Per esempio un accordo trasversale su una persona da far eleggere dai parlamentari tramite elezioni indirette, previste dalla Costituzione. Con la dirigenza del Pt finita in galera al grido di «giustizia giustizia», il Psdb terremotato dalle inchieste e il paese in subbuglio, Lula è l’unico in grado di garantire l’accordo parlamentare su un presidente con l’incarico di traghettare il Brasile fino alle elezioni del 2018. L’unico a dare garanzie di poter gestire la transizione per prepararsi poi a riconquistare il governo nel 2018. Sempre che non l’arrestino prima. Annuncio pubblicitario


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Politica e Economia

«Bloccheremo i cinesi!»

Intervista Il leader indipendentista del Balochistan Suleman Khan si scaglia contro il Corridoio Economico

Cina-Pakistan in costruzione, per evitare un ulteriore sfruttamento e occupazione della terra delle sue genti Francesca Marino «Se fai esplodere una mina su una montagna, e la fai esplodere al punto giusto, viene giù l’intera montagna. Basta solo trovare il momento e il posto giusto. Per il momento, lasciamo pure che i cinesi costruiscano autostrade, ferrovie e infrastrutture. Poi, penseremo noi a fermare tutto». A parlare è Agha Mir Suleman Dawood Jan Ahmedazai, trentacinquesimo Khan of Kalat: per tradurre in parole povere, e semplificando di molto, il legittimo erede della monarchia che per secoli ha regnato su quella che, dal 1948, è una provincia del Pakistan. «Tutto nasce da lì» continua Suleman Khan «e se non si comincia dalla storia, dalla radice del problema, è difficile capire la nostra posizione. Mio nonno, Mir Ahmad Yar Khan, è stato costretto letteralmente con una pistola alla tempia a firmare il trattato che annetteva Kalat al Pakistan. Dopo uno scambio di lettere tra Jinnah e mio nonno, dopo che Jinnah aveva firmato a Delhi un documento che garantiva l’indipendenza di Kalat, le truppe pakistane avevano occupato gli altri distretti che costituiscono il Baluchistan e forzarono mio nonno a firmare il trattato di annessione. Da allora, con alterne vicende e con diversi gradi di ostilità, i balochi lottano contro il governo centrale di Islamabad perché sia garantita al nostro popolo una vita dignitosa e i nostri diritti di cittadini. Da anni, ormai, visto che ogni tentativo di mediazione è fallito, lottiamo per l’indipendenza». Ma il Balochistan è di vitale importanza per il Pakistan, sia di importanza economica che geostrategica. E il CPEC, il Corridoio Economico Cina-Pakistan sembra essere diventato l’esempio lampante e il simbolo attorno a cui si stanno cristallizzando polemiche, istanze e aspettative. Per Islamabad si tratta dell’alba di un miracolo economico, per voi balochi dell’ennesimo tentativo di sfruttare la regione e la popolazione.

Non soltanto per noi. Il CPEC attraversa molti territori disputati o in fermento. Comincia nello Xinjang, dove gli Uighuri vengono regolarmente schiacciati e privati dei loro diritti, passa per i territori disputati del Gilgit-Baltisan e del Kashmir, attraverso alcune aree che gli afghani reclamano come proprie. Il Balochistan è soltanto l’ultima tappa.

Si tratta anche, in diversa misura, di aree che potrebbero beneficiare di nuovi posti di lavoro e dell’indotto creato dalle infrastrutture del CPEC.

Le popolazioni locali non hanno beneficiato e non beneficiano di nulla. A costruire tutto, a prendere i posti di lavoro, sono stati portati lavoratori cinesi e società cinesi. In Balochistan le terre sono state espropriate senza compensazione: a lavorare, oltre i cinesi, sono stati i punjabi importati dalla regione dominante del Pakistan. E la situazione dei diritti umani, le persone scomparse o uccise e buttate per strada, sono aumentate in modo esponenziale. Cercano di spaventarci, ma i balochi non si spaventano. Teniamo duro: lasciamoli pure terminare il lavoro, poi vedremo. La prima nave cinese è arrivata da tempo a Gwadar, il progetto è ormai una realtà. In Balochistan sventolano assieme, in molti luoghi, la bandiera pakistana e la bandiera cinese.

I cinesi sono nel bel mezzo di una pesante disputa internazionale per le loro politiche nel South China Sea, e quindi cercano di rifarsi qui prendendo energia e risorse dal nostro territorio. Noi non abbiamo nulla contro i cinesi in particolare, ci opponiamo soltanto al fatto che siano stati portati qui da coloro che hanno occupato la nostra terra, da Islamabad. Non ci interessa se si tratta di cinesi o di altro, noi ci opponiamo all’occupazione del nostro territorio. Ma come pensate di poter fermare il CPEC? E volete davvero fermarlo? La Cina praticamente ha il controllo di quasi tutte le risorse del Balochistan, non soltanto di ciò che riguarda il CPEC ma anche delle miniere d’oro e di rame di Sandak, per il cui sfruttamento ha firmato accordi con Islamabad.

Accordi che, per quanto ci riguarda, sono carta straccia visto che sono stati firmati con un governo non legittimo. Come dicevo, non siamo i soli ad avere conti in sospeso con Islamabad o con Pechino. Uighuri, Pashtun per citarne soltanto alcuni. Lungo tutto il percorso c’è e ci sarà gente che si ribella all’ennesima occupazione forzata. Alla fine, quando avremo ottenuto ciò che vogliamo, quando avremo ripreso il nostro territorio, i cinesi dovranno trattare con noi. Ma non voglio parlare di cose troppo lontane nel futuro.

Sta parlando di un referendum internazionale, come chiedete da molti

Tecnici cinesi posano con soldati pakistani nel novembre 2016 all’inaugurazione dei lavori per la costruzione del CPEC. (AFP) anni, di un intervento delle Nazioni Unite o di ribellione armata?

Io dico soltanto che voglio fermare lo sfruttamento e l’occupazione della mia terra da parte di Islamabad. E che lavoro da anni per questo, cercando sostegno e supporto internazionale.

Senza troppi risultati, a quanto pare.

Ci sono cose che non posso e non voglio pubblicizzare troppo o troppo presto perché andrei contro l’interesse della mia nazione. Ma io lavoro da anni, da più di dieci anni, per cercare sostegno alla causa del mio paese (Suleman Khan ha lasciato il Pakistan, per vivere come rifugiato politico in Gran Bretagna, poco tempo dopo l’uccisione di Nawab Bugti da parte del governo Musharraf). Ho contatti con membri del Parlamento in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Norvegia, in Polonia e in Italia. Perfino con qualche paese africano. Nessuno di questi governi si è però schierato ufficialmente a sostegno dei balochi e della loro causa. A parte, lo scorso anno, Narendra Modi: che cerca di rintuzzare le pretese e la narrativa pakistana sul Kashmir facendo paralleli con la causa balochi.

Il mondo sta cambiando, i tempi cam-

biano e cambiano anche le alleanze. Il Pakistan è ormai legato mani e piedi alla Cina, si sta avvicinando sempre più alla Russia. Noi pensiamo che la Cina sia la nuova East India Company e non siamo i soli a pensarlo. Facendo due conti terra terra, lei pensa che l’America non si opporrà al tentativo cinese di supremazia nella regione?

Sta dicendo che gli Stati Uniti, per contrastare i cinesi, sarebbero disposti a voltare le spalle a Islamabad e a sostenere le rivendicazioni dei balochi?

Sto dicendo soltanto che in geopolitica non esistono amici, ma soltanto interessi convergenti. E gli interessi dell’amministrazione Trump convergono con i suoi?

I repubblicani non favoriranno certo il Pakistan. I loro soldati sono stati e continuano a essere uccisi in Afghanistan dai Taliban, che sono controllati e finanziati dal Pakistan. Se guardi bene all’internazionale del terrore, ti accorgi che il Pakistan è governato dall’esercito, ed è un esercito di terroristi in uniforme. Il terrorismo, in ogni parte del mondo, se cerchi bene è sempre legato in qualche modo al Pakistan.

Nulla di nuovo, in realtà.

Sì ma, come ho detto, i tempi cambiano e a cambiano alleanze e strategie. Gli Usa non hanno alcun intenzione di permettere ai cinesi di installarsi comodamente nella regione.

Gwadar, lo sbocco ultimo del CPEC, ha un’apertura diretta sul Golfo: il che lo rende di importanza geostrategica fondamentale per molti paesi. Ma lei pensa che i sauditi si vogliano ritrovare gli Usa come dirimpettai?

Al momento, i sauditi hanno interesse a contrastare l’Iran e stanno giocando le loro carte in quel senso. Stanno cercando di mobilitare contro l’Iran non solo l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, ma anche balochi, azeri e arabi. I rapporti con il Pakistan non sono certo ai massimi storici: dopo l’episodio dello Yemen (Islamabad ha negato all’Arabia Saudita l’invio di truppe a supporto della guerra con lo Yemen), i sauditi stanno rivedendo sia politicamente che economicamente le relazioni con il Pakistan. Ribadisco: basta aspettare il momento e il luogo giusto, e la montagna viene giù senza fatica. Noi sappiamo aspettare.

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Dalla maturità alla scelta della facoltà Nelle scorse settimane si sono tenuti gli esami di maturità e ora diverse centinaia di giovani ticinesi sono in possesso dell’attestato che consente loro di accedere agli studi universitari. Verso quale studio si orienteranno per soddisfare i loro ideali e le loro ambizioni di carriera? Quando si discute delle scelte accademiche dei nostri giovani si pensa di solito che le stesse siano frutto di più o meno lunghi periodi di riflessione durante i quali ognuno di loro valuta verso quale facoltà orientarsi. Anche se tutte le università oggi dispongono di un sito in internet è probabile che la scelta della disciplina accademica dipenda ancora dalle informazioni che ottiene da compagni di scuola, più vecchi di qualche anno, che già frequentano l’università, o da parenti la cui esperienza accademica, però, è vecchia di qualche decennio. In una situazione di questo genere è piuttosto verosimile

che le scelte espresse dai maturandi si riproducano nel tempo e che, con il passare delle generazioni, si costituiscano vere e proprie dinastie di avvocati, medici, ingegneri o insegnanti. Il pericolo di una situazione di questo genere è che i maturandi continuino a scegliere certe formazioni anche quando queste non sono più richieste dal mercato del lavoro. Le statistiche sull’evoluzione della struttura degli studenti universitari ticinesi ci offrono però un’immagine diversa. In effetti la distribuzione degli studenti ticinesi tra le facoltà accademiche continua a cambiare. Disponiamo di dati dal 1860. In quell’anno, gli studenti universitari ticinesi erano appena 79; nel semestre invernale del 2015 il loro numero si avvicinava invece, senza contare quello degli studenti delle Scuole universitarie professionali, ai 5000. Se occorresse mostrare con un solo indicatore l’ampiezza del cambia-

mento economico e sociale conosciuto dal Ticino nel corso degli ultimi 150 anni, basterebbe citare l’aumento degli studenti universitari . Siccome le formazioni universitarie, nel corso di un secolo e mezzo, si sono evolute perché sono nate nuove discipline, mentre discipline tradizionali hanno conosciuto processi di scissione dai quali sono pure uscite nuove possibilità di formazione, l’esame dell’evoluzione della struttura delle formazioni accademiche si può fare solo aggregando le molte discipline di oggi in pochi gruppi dagli orientamenti scientifici abbastanza vicini. Come indicatore dell’evoluzione ho ritenuto la quota degli studenti di ciascuna disciplina o gruppo disciplinare nell’effettivo totale. Con i valori di queste quote si possono disegnare curve di evoluzione che indicano di fatto come le scelte accademiche dei giovani maturandi ticinesi siano cambiate nel

tempo. Vi sono quote che continuano a crescere, in modo consistente, dal 1860 al 2015. Si tratta di quelle facoltà che nell’ordinamento universitario svizzero-tedesco vengono definite come Fil 1 e Fil 2. Fil 1 comprende la Filosofia, le Lettere, la Storia, la Psicologia, le Scienze sociali e le Scienze politiche. Nel 2015 il 35,8% degli studenti ticinesi era iscritto a una di queste facoltà. Fil 2 comprende invece le scienze naturali e le scienze esatte e la sua quota è passata da 0, nel 1860, a 17,2% nel 2015. La teologia è invece la disciplina la cui quota nel totale degli studenti è sempre andata diminuendo, dal 1860 a oggi. Mentre nell’Ottocento era la facoltà con la quota più elevata di studenti (30,4%) oggi i suoi studenti non rappresentano nemmeno più 1% del totale. Gli altri tre gruppi di discipline scientifiche hanno invece conosciuto una curva di evoluzione ad arco. La stessa ha raggiunto il suo

valore massimo nel 1950 per poi, in seguito, cominciare a discendere. Si tratta di tre gruppi di discipline: il gruppo diritto e economia, il gruppo medicina, farmacia e veterinaria e il gruppo delle scienze tecniche che include anche gli architetti. Mentre la quota degli studenti di diritto e economia, nel 2015, era uguale alla quota del 1860 (25%), quella degli studenti di scienze mediche e degli studenti di scienze tecniche era scesa, nel 2015, a un valore prossimo al 10%, dopo aver toccato, nel 1950, un valore massimo del 27,5% per le scienze mediche e del 20% per quelle tecniche. I giovani accademici ticinesi, dunque, oggi scelgono le discipline che studiano la società. Al di là delle opportunità di carriera che, a dire il vero, non sono brillanti, su questa scelta influisce certamente il fatto che le discipline di Fil 1 sono quelle in cui si iscrivono quasi la metà delle studentesse (47,8%).

fine, deve aver detto (trumpianamente) la May, cacciando Osborne dal governo senza nemmeno telefonargli, nominando direttamente un sostituto. Ora che il destino s’è invertito nuovamente – quante sceglie sbagliate commettono questi leader conservatori inglesi – l’ex cancelliere ha uno strumento potentissimo di vendetta: un giornale sotto la propria direzione, da posizionare come più preferisce, l’editore ha dato mandato pieno. L’«Evening Standard» è così diventato una lettura imprescindibile, non soltanto perché Osborne ha naturalmente buonissime fonti quando si tratta di raccontare i dolori dei Tory, ma perché è come un bollettino di una vendetta personale e nazionale assieme, con tanto di immagini photoshoppate in perfetto stile tabloid. Il 9 giugno, all’indomani del voto inglese con cui la May ha perso la maggioranza ai Comuni che aveva ereditato da Cameron, lo «Standard» ha pubblicato quattro edizioni diverse in un pomeriggio, quattro sfumature di una vendetta implacabile. Nella notte elettorale, il ghigno di Osborne di fronte al risultato umiliante della

May ha fatto il giro dei social: pare che qualcuno gli abbia suggerito di contenersi, ché tanto giubilo potrebbe alla fine non portare benissimo. Ma il direttore dello «Standard» non riesce a trattenersi, e anzi qualche giorno fa, quando la May ha siglato un accordo con il partito nordirlandese Dup che garantisce la maggioranza ai Comuni (si tratta di un appoggio esterno, non di una coalizione), Osborne è andato in senso inverso persino rispetto al suo ex capo-amico Cameron. La copertina del quotidiano del pomeriggio immortalava la May e la leader del Dup nei panni del Dr Evil dei film Austin Powers, mentre Cameron twittava: l’accordo con i nordirlandesi è una buona cosa, abbiamo bisogno di stabilità e di far lavorare il governo. Il governo fatica ad andare avanti però: il conto alla rovescia del negoziato con l’Europa è cominciato, e nulla lo può fermare. La May incappa in un ostacolo via l’altro, cerca di essere conciliante e l’Europa risponde a ogni proposta britannica: «non è sufficiente». I sostenitori della versione più dura della Brexit iniziano a chinare la testa: bisogna trovare un’altra

strada, ma l’approccio più morbido è pieno di contraddizioni che rischiano di far arrabbiare tutti, falchi e colombe. Così tutti s’azzannano con tutti: litigano i ministri, litigano i parlamentari, litigano i commentatori. L’«Economist» sancisce: c’è soltanto un adulto in questo asilo che è diventato il Partito conservatore: è Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere pragmatico, spesso in rotta con la May ma abbastanza concreto da non farne un dramma, molto stimato nel mondo del business, molto desideroso di non tradire le attese della City sulla Brexit. Hammond è il candidato numero uno per prendere il posto della May, se mai un golpe interno ai Tory dovesse andare a buon fine, e mentre aspetta il suo momento lancia veleno ai suoi rivali, si vendica sì ma in modo ponderato, non come il direttore dello «Standard», ché la fama da adulto serve a Hammond per raggiungere il suo scopo. E poiché in questa storia l’unica che ogni giorno ha una smorfia di dolore diversa è lei, Theresa, basta appena ricordare che Hammond è, per l’appunto, il sostituto di Osborne.

Quindi, anche se lo spot non lo dice, qualche vettura, privata o pubblica, dovrà sempre entrare in azione nel «futuro che inizia oggi» delle FFS. Ma c’è un tasto ancor più dolente sui probabili effetti collaterali di quel filmato (anche se, l’ho già scritto, subito mi è apparso bello ed efficace). Riguarda, e non è elemento trascurabile, tempi e costi che questo «futuro che inizia già oggi» comporterà per il singolo utente. Un esempio: quanto tempo impiegherò e quanto mi costerà tra andata e ritorno, tra bus e treno, andare a fare vela sul lago di Locarno, partendo, diciamo, da Arosio? Già sento l’obiezione: ma ci sono abbonamenti a metà prezzo, arcobaleni, carte giornaliere ecc. Tutto vero. Ma fare vela sul lago, come tante altre occasioni di viaggio dei più anziani, è un rito difficile da programmare e da far coincidere con gli orari dei mezzi pubblici. Altro esempio: l’amico chiama la sera, dice che domani mat-

tina farà bello e che alle 9 si mollano i pappafichi... Addio giornaliere tramite il comune! E l’abbonamento a metà prezzo – che per gli anziani costa come ai pivelli di 30 anni che lo usano tutti i giorni – se poi servirà solo due o tre volte diventa un’ipoteca che affloscia ogni buona intenzione. Restano allora le tariffe piene. Così, se per i mezzi pubblici i conti del futuro quadrano, per tanti anziani sono i conti del presente a dettare legge. Ecco dove volevo arrivare: a ricordare che un tempo ogni anziano otteneva quasi automaticamente agli sportelli pubblici e spesso anche a quelli privati una tariffa tutta sua. Poi, se gli abbonamenti risultavano più favorevoli (per chi viaggia tanto o tutti i mesi), ecco che scattavano ulteriori benefici. Oggi invece quel che resta della nostra vecchiaia è irrimediabilmente inserita nel calderone degli abbonamenti, dei canoni, dei premi mensili ecc. Insomma: l’anziano è uno dei tanti e basta.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Tory contro tory C’era una volta il cancelliere dello Scacchiere George Osborne, soprannominato «Boy George» spesso con disprezzo, perché era l’incarnazione del ragazzo fortunato, molto bullo e molto ricco, che non aveva dovuto faticare poi così tanto per diventare uno dei politici più importanti del Regno Unito. La sinistra lo detestava per quel suo sorriso sadico e l’approccio thatcheriano da austerità permanente; anche molti conservatori lo amavano poco, era pur sempre un rampollo belloccio che non conosceva il costo di uno scone: il partito con lui e con il suo capo-amico, David Cameron, stava diventando un estraneo per l’elettorato tradizionale. Soprattutto, Theresa May lo detestava: i due non si erano mai trovati, l’attuale premier figlia di un pastore tutto sacrificio e riservatezza non ha mai avuto grande feeling con il cameronismo, per quanto ne sia stata esponente come membro del governo. Si narra che alla convention dei Tory del 2015, quando il partito arrivava da una vittoria a sorpresa delle elezioni e Cameron si sentiva in grado di osare tutto, persino di domare la bestia europea, ci

furono scambi non proprio lusinghieri tra Osborne e la May, con risate da spogliatoio dei cameroniani nei confronti di quel ministro dell’Interno così poco posh. È chiaro che, quando le sorti si sono invertite e il sorriso irriverente è sparito dal volto di Osborne, May sia diventata impietosa: vediamo chi ride alla

George Osborne assapora la vendetta. (Keystone)

Zig-Zag di Ovidio Biffi Quel che resta della nostra vecchiaia Forse avete già visto gli ultimi spot realizzati dalle FFS. Vengono trasmessi sui canali televisivi, ma possono essere visti soprattutto online, sia nel sito web della nostra beneamata ferrovia federale, sia negli ormai invasivi e invadenti cookies proposti sui siti più disparati, comunque quelli che voi utilizzate maggiormente. La serie di spot pubblicitari merita un plauso per regia e sceneggiature, come pure per i testi che accompagnano i brevi filmati, sempre pertinenti, tecnicamente efficaci secondo la finalità per cui sono stati realizzati: brevi storie, soggetti e immagini suggestive, colori e trame pregnanti fanno chiaramente leva sui sentimenti, toccano i tasti giusti e garantiscono alle Ffs un ritorno di immagine molto positivo, quasi surreale. Uso questo aggettivo perché è non è facile entrare nell’immaginario collettivo ignorando treni con il «numerus clausus» (eufemismo per definire chi non può

salire o viene fatto scendere prima che il locomotore si avvii perché il treno è già pieno), o è costretto a fare il viaggio in piedi, o viene tradito da coincidenze sempre più virtuali. Gli spot parlano però di futuro, quindi c’è un invito indiretto, ma fortemente presente, a considerare l’offerta proiettata in un domani imminente, visto che, come spiegano i vari filmati, certi progetti sono già avviati. Oltre alla trama di un disabile che con la ferrovia potrà ampliare la sua mobilità, e quella (sceneggiata in Ticino, mi è parso di intuire) di una giovane incinta che pensa a quando dovrà viaggiare con la famiglia, uno dei nuovi spot cavalca la storia di un anziano svizzero francese. Mi soffermo su questo filmato perché ho subito capito che è quello che più mi riguarda, anche se la speranza che lo spot veicola, a mio parere, difficilmente potrà diventare realtà. La trama si sviluppa attorno al tema dell’amicizia

seguendo un vegliardo che riesce ancora a usare la sua auto per ritrovarsi con dei coetanei e uscire con loro in barca a vela sul Lemano. Ma il testo interrompe l’incanto: come farà il vegliardo quando non avrà più la patente? Non c’è risposta, però una signora architetto o ingegnere spiega come le FFS stiano progettando per consentire anche al simpatico componente degli amanti velisti di continuare i suoi appuntamenti e il suo rito. Siamo al succo: la ferrovia sostituirà l’auto dando un futuro all’amicizia. Nello spot non si parla di altre soluzioni per il suo «quando non avrò più la patente», nessun accenno all’eventualità che uno degli amici possa andare a prendere il nostro velista, oppure che un figlio o una figlia arrivino a scarrozzarlo sino al lago. Se pensate che io stia esagerando con la critica, provate un po’ a pensare dove, in Svizzera, esiste un treno con una fermata davanti a un porto di barche...


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Cultura e Spettacoli Una vita per il violino A colloquio con Shlomo Mintz, considerato fra i più grandi virtuosi del violino del mondo pagina 28

L’OSI e Schaerer a Estival Una composizione per orchestra e jazz band sarà presentata in Piazza Riforma il 7 luglio

Misteri d’epoca Con Il buio tra le montagne al grigionese Huonder è riuscito un affascinante giallo storico

Splendida Rinascente A Chiasso si celebra la storia di quello che è molto più di un grande magazzino: la Rinascente ha infatti segnato mode e epoche pagina 31

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Damien Hirst, Hydra and Kali Discovered by Four Divers. (Photographed by Christoph Gerigk © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017)

La sottile linea tra vero e falso

Mostre L’eclettico e controverso artista inglese Damien Hirst a Venezia propone una mostra maestosa

e a tratti molto kitsch – da vedere assolutamente Ada Cattaneo Damien Hirst è un artista a cui piace fare parlare di sé. Spesso ciò avviene più per lo scalpore mediatico generato dalle sue iniziative che per il risultato della sua ricerca. Fin dai suoi esordi si è distinto per la capacità di affrontare in maniera non convenzionale il sistema dell’arte, organizzando la mostra che avrebbe definito i cosiddetti YBAs – Young British Artists – di cui egli è oggi il rappresentante più noto. Il gruppo si sarebbe poi affermato nel corso degli anni Novanta, anche grazie all’intervento del pubblicitario, collezionista e gallerista Charles Saatchi, capace di determinarne un successo di mercato senza precedenti. Hirst, nel frattempo, si fece notare per l’uso di animali veri nelle sue opere, come nel caso de L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo, poi venduto per 8 milioni di dollari, che impiegava uno squalo tigre conservato in formaldeide. Ancora, nel 2008 Hirst eluse il consueto sistema del commercio d’arte, basato sulle gallerie, rivolgendosi direttamente alla casa d’aste Sotheby’s, presso la quale organizzò un’intera mostra di proprie opere e la successiva vendita all’incanto, nell’operazione «Beautiful Inside My Head Forever».

Anche la sua nuova esposizione visitabile fino al 3 dicembre a Venezia sembra in qualche modo costruita per essere sensazionale: in primo luogo, per il dispendio di mezzi che ha comportato e, come si vedrà più avanti, anche per la sorprendente struttura narrativa che ad essa sottende. L’impresa è stata resa possibile grazie ai legami che l’artista ha con François Pinault, fondatore di una delle più importanti catene internazionali del lusso, proprietario della casa d’aste Christie’s, oltre che collezionista d’arte contemporanea e, appunto, delle opere di Hirst. Dal 2007 la Fondazione Pinault ha in concessione gli spazi di Punta della Dogana, che costituiscono oggi un unico polo espositivo insieme a quelli di Palazzo Grassi, acquisito nel 2005: per la prima volta in quest’occasione i due luoghi sono stati affidati a uno stesso artista, anche perché il progetto si è esteso oltre ogni previsione nel corso di dieci anni, dalla sua ideazione ad oggi. Come accennato, la visita alla mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable («Tesori dal Relitto dell’Incredibile») si basa su di un racconto, su una cornice narrativa immaginata (o meglio, adattata) da Hirst. La «storia» racconta che fra il I e II secolo

d.C., nella regione di Antiochia visse un uomo di nome Cif Amotan: egli era un liberto, uno schiavo affrancato, che collezionò opere d’arte da tutte le terre note, suscitando l’invidia di nobiluomini e principi. Ma la sua nave, l’Apistos («L’incredibile»), sulla quale erano raccolti tutti i suoi tesori, fece naufragio nel Mar Egeo e tutto il suo carico andò smarrito. Fino a qui, tutto corrisponde a una leggenda riportata da Pausania e che grande fascinazione suscitò già nel Rinascimento, tanto da fare favoleggiare che alcune delle opere più note di quella stagione artistica furono ispirate proprio dal ritrovamento di oggetti rimasti per secoli sul fondo dei mari. Ma qui parte il seguito della vicenda, immaginato dall’artista inglese: nel 2008 il relitto sarebbe stato ritrovato e recuperato a opera di un gruppo di archeologi subacquei. L’esito della campagna sottomarina sarebbe ciò che oggi possiamo vedere esposto a Venezia. Questa ambiguità fra leggenda storicizzata e invenzione contemporanea è di certo l’aspetto più affascinante di tutta l’operazione e ha piena riuscita in quei momenti della mostra in cui anche l’allestimento concorre a «ingannare» lo spettatore, con vetrine e supporti da museo archeologico, dove un’opera di ispirazione fantascientifica si confonde

fra vasi e anfore incrostati di coralli e conchiglie. Aggiunge verosimiglianza il contesto, considerato che Palazzo Grassi ha ospitato fra gli anni Ottanta e i primi Duemila numerose mostre archeologiche di successo. Inoltre, i saggi in catalogo, fra cui quelli di storici dell’arte antica, di esperti di archeologia subacquea, concorrono ad amplificare l’idea che questo recupero sia in definitiva un’ipotesi plausibile. La curatrice, Elena Geuna, spiega: «L’effetto sperato sarà stato raggiunto se qualcuno sospetta che, fra le opere esposte (tutte di nuova realizzazione) sia nascosto anche qualche originale antico. Lo scopo è questo: lasciarsi affascinare. Dimenticare la linea fra finzione e realtà». Si fa appello, come ricorda il direttore dei due spazi, Martin Bethenod, al principio della sospensione dell’incredulità, alla scelta cioè di credere a ciò che l’autore propone, a prescindere dalla sua rispondenza al vero, dimenticando per un attimo che ciò che ci viene narrato è del tutto inverosimile. Nelle opere di finzione, l’abilità dell’autore risiede proprio nel saper tenere il proprio lettore/spettatore/visitatore in bilico su questa linea, senza chiedere sforzi di immaginazione troppo estremi, ma al contempo sapendo proporre scenari sorprendenti. Nel caso di Venezia, l’operazione di Hirst riesce

nella misura in cui esiste questo equilibrio fra archeologia e contemporaneità, fra scoperta e creazione. Ma in molte delle opere questa tensione non è sempre così presente. Ciò avviene soprattutto per le grandi sculture, come nel caso del colosso che occupa interamente l’atrio di Palazzo Grassi per tutti i quattro piani di altezza dell’edificio. Quando l’artificio che fa coincidere l’opera d’arte dissacrante con il reperto storico si interrompe, la mostra perde gran parte della sua capacità di affascinare, tanto che si finisce per girare di sala in sala per vedere fino a che punto Hirst è riuscito ad oltrepassare il limite del kitsch. Ciò nonostante, l’esposizione merita di essere visitata, anche solo per sfidare la nostra incredulità, mentre scorrono sugli schermi le immagini del video che testimonia il recupero subacqueo delle opere (effettivamente avvenuto, a seguito del diligente seppellimento), fra cui non mancano gli omaggi alla cultura pop, con bronzi di Topolino e Barbie compresi. Dove e quando

Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst. Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana. 9 aprile – 3 dicembre 2017.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Cultura e Spettacoli

Due violini speciali

Incontri A colloquio con il grande violinista Shlomo Mintz,

che il prossimo ottobre compirà sessant’anni

Enrico Parola È uno dei massimi violinisti viventi e lo è da quarant’anni; considerando che ne compirà 60 il 30 ottobre è facile capire la precocità del genio di Shlomo Mintz, che a 11 anni già suonava con la Israel Philharmonic e subito dopo con Zubin Mehta. Ma la grandezza di un interprete non è data solo dalla rapidità delle sue dita: a foggiare lo spirito e l’arte di Mintz ha contribuito, e in modo determinante, la storia personale. Fin dal suo debutto non sul palco ma nel mondo: «Sono nato in Russia, ma la mia famiglia è ebrea. Non conservo nessun ricordo di quel tempo: i miei genitori lasciarono il Paese quando avevo sette mesi; passarono per l’Austria e arrivarono in Italia; da lì, dopo un po’ di tempo, raggiungemmo Israele via mare; ecco, l’immagine più antica che rimane impressa nella mia memoria è quella grande nave che solca le onde e ci porta dall’altra parte di quella infinita distesa d’acqua». Non ha ricordi del periodo russo «ma ho notizie, col tempo i miei iniziarono a raccontare; mio padre, ad esempio, aveva scontato 18 mesi di lavori forzati in Siberia: erano stati tempi difficili». In confronto Israele gli sembrò un paradiso: «Non tanto perché fosse il paese del bengodi, negli anni Sessanta là la povertà era abbastanza diffusa e anche noi eravamo poveri; ma è incredibile quanta cultura scorra su quella terra! Limitando il discorso alla musica, quasi tutti i bambini suonavano uno stru-

mento, la mia inclinazione verso il violino era vista come la cosa più naturale del mondo. Infatti iniziai subito seriamente, già a sei-sette anni; e appena più grandicello mi svegliavo alle quattro per studiare anche due o tre ore prima di andare a scuola; ma non ero una mosca bianca». Non era l’unico, ma nessuno suonava bene come lui: il primo concerto pubblico a sei anni «ma era solo un concerto di studenti»; a nove l’incontro con Isaac Stern, mito assoluto dell’archetto, «indossavo i pantaloncini corti; mi ascoltò e mi suggerì di andare in America per perfezionarmi; ero piccolo e quell’idea mi suonava strana se non assurda, ma dopo il liceo seguii il suo consiglio». Il debutto con l’orchestra, ed era la più importante del Paese, la Israel Philharmonic, a undici «per suonare il Concerto di Mendelssohn; ho ancora la foto di quella serata: un bambino rotondetto con gli occhiali e l’espressione più divertita che intimidita, perché il suonare davanti alla gente e con tanti strumenti che ti accompagnano fu una sensazione inebriante, come provare una droga: avevo pensato e provato, poi sul palco tutto era andato come programmato, un risultato bellissimo, l’applauso che per un bambino suonava bellissimo; capii subito che non ne avrei più potuto fare a meno». Il grande salto a 14 anni, sempre con la Israel, sul podio Zubin Mehta: «Itzhak Perlman aveva dato forfait all’ultimo per un’indisposizione e mi chiamarono all’improvviso; dovevo

suonare il Primo Concerto di Paganini. Studiai come un matto, curai i dettagli in modo maniacale; poi, sul palco, fu tale l’emozione di suonare con Mehta che la prima frase mi venne malissimo; mi girai verso il podio disperato, ma lui mi sorrise incoraggiandomi, mi sciolsi e da lì andò tutto a meraviglia». Da lì è stato un crescendo rossiniano dove le prospettive si sono moltiplicate: Mintz ha iniziato a suonare anche la viola e da vari anni si cimenta come direttore. Ma il capitolo della sua straordinaria carriera che gli è più caro è uno dei più recenti: «Ho avuto il privilegio di imbracciare dei violini preziosissimi; vent’anni fa, ad esempio, usai il Guarnieri del Gesù “Cannone” appartenuto a Paganini, poi uno Stradivari e vari altri; lo strumento è fondamentale perché ti permette di esprimere tutto ciò che hai dentro, è la tua voce davanti al pubblico. Una volta mi capitò di romperlo: stavo registrando con Claudio Abbado e la Chicago Symphony Orchestra i Concerti di Mendelssohn e Bruch, il mio violino andò letteralmente in pezzi e dovetti completare la registrazione con quello del konzertmeister dell’orchestra» sorride divertito; ma dopo questa premessa lo sguardo si fa serio e arriva al punto fondamentale: «Beh, tra tutti i violini che ho potuto provare, ce ne sono due che mi hanno emozionato in modo incomparabile; due strumenti anonimi costruiti negli anni Venti dello scorso secolo, senza particolari qualità timbriche, ma è la loro storia ad essere speciale».

Shlomo Mintz, virtuoso del violino. (Keystone)

Sono infatti due dei 28 violini che Amon Weinstein, un liutaio di Tel Aviv, ha recuperato tra quelli che si suonavano ad Auschwitz: «Tra le varie forme di angherie che gli aguzzini nazisti perpetravano contro le loro vittime vi era quello di far suonare un’orchestra davanti al cancello principale, al mattino e alla sera, quando andavano a lavorare e poi ritornavano. Erano gli stessi internati a suonare». In realtà l’idea di recuperare questi strumenti non era venuta a Weinstein, ma a uno dei suoi studenti, che non era ebreo ma era appassionato di sionismo e dell’olocausto. Weinstein ne raccolse e sviluppò l’intuizione e si mise sulle tracce degli strumenti di Auschwitz, sparsi in Germania e altri Paesi e recuperati da liutai o in solai di persone che non avevano la minima idea delle storie che si celavano dentro quei violini, per la

maggior parte seriamente danneggiati. «Ne ho suonati due, ad Auschwitz, dove ho trascorso un’intera giornata con Amon, davanti al Muro del Pianto e davanti ai militari israeliani. Uno era stato fabbricato nel 1924 da un certo Yaakov Zimmerman, che aveva insegnato a costruire violini al papà di Weinstein. L’altro apparteneva a un ragazzo di 14 anni cui avevano assassinato i genitori, davanti a lui; provò a reagire, uccisero anche lui, a sangue freddo. Quando lo imbraccio non posso non pensare a questa storia, mi fa vibrare fin nel profondo». È facile capire come per Mintz la musica non sia entertainment: «Cerco di comunicare la verità del brano che sto suonando; se comunico un messaggio vero, che sappia toccare il cuore, la musica unisce le persone, crea tra loro un legame forte». Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Hildegard vola sull’orchestra

Estival 2017 Il cantante e compositore Andreas Schaerer è uno dei musicisti svizzeri più quotati e preparati

mentale della mia esperienza musicale, così come lo è la mia attività di compositore. Il jazz insegna come creare un ambiente con il pubblico, come mettersi in dialogo con lui. Sono questi gli elementi del jazz che mi trovo a usare. Ascolto sempre jazz, naturalmente, quello degli anni 50, o il be bop. La musica jazz intesa come lo stile di Ellington, o di Miles o di Coltrane, non è ciò con cui mi interessa misurarmi.

Alessandro Zanoli Anche quest’anno l’Orchestra della Svizzera Italiana sarà sul grande palco, in Piazza Riforma, per la 39ma edizione di Estival. E di nuovo l’ensemble ticinese uscirà dalla sua routine fatta di mise da concerto, camicie bianche, cravattine e abiti eleganti, per indossare le T-shirt estivaliere e darsi un tono più allegro, quasi giocoso. Non che il programma musicale giustifichi particolari leggerezze: come ogni anno l’impegno è grande e la sfida decisamente complessa. Il «Premio alla carriera» che le sarà attribuito il 7 luglio a Lugano, in questo senso, è più che giustificato. Nonostante i tempi difficili che sta attraversando, l’OSI, grazie al lavoro coraggioso e tenace dei suoi dirigenti e dei suoi musicisti, mantiene un altissimo profilo qualitativo e uno spirito d’iniziativa assolutamente meritevoli. Per la sua esibizione del 2017, sotto la direzione di Markus Poshner, l’Orchestra ha scelto di «gemellarsi» con una delle migliori band emergenti del nuovo jazz svizzero. Hildegard lernt fliegen è un gruppo di preparatissimi solisti, con un progetto originale e iconoclasta. Il suo leader è, del resto, altrettanto pirotecnico. Andreas Schaerer, vallesano di Visp, nato nel 1967, è un grande sperimentatore e «vocalist». Un creativo a 360 gradi, in grado di stupire per la poliedricità della sua cultura musicale e per la ricchezza delle sue doti artistiche. Insomma un vero gioiello nel panorama musicale elvetico, in cui segna un punto di riferimento assoluto. Schaerer ha composto un brano speciale, che unisce i timbri dell’orchestra sinfonica con quelli del sestetto jazz. Un progetto ambizioso e complesso che gli abbiamo chiesto di presentarci. Andreas Schaerer, in cosa consiste la composizione The Big Wig?

Era da tempo che pensavo di scrivere musica per un grande ensemble, nell’idea di un gruppo jazz che viene accompagnato da una grande orchestra. Volevo creare un progetto dal grande impatto sonoro. Oltre a questo, mi

Parlando di questo non si può evitare di menzionare ad esempio di un cantante come Bobby McFerrin, che è un «vocalist», non un «cantante jazz» tradizionale.

Sarà sul palco con l’OSI il 7 luglio in Piazza Riforma. (Reto Andreoli)

interessava collegare in modo stretto tra loro le funzioni dei vari musicisti. Il progetto era nato tempo fa, in occasione del Festival di Lucerna. In quel contesto suona una Academy Festival Orchestra, costituita da giovani professionisti: mi hanno chiesto di preparare qualcosa per loro.

Tra i due gruppi orchestrali si crea un dialogo o un contrasto?

Si tratta di un lavoro che io chiamo «Sinfonia» e dura una buona ora. La band di Hildegard è in dialogo con l’orchestra, direi completamente legata, al punto che non di può nemmeno dire che si tratti di due realtà separate. Tutti insieme facciamo parte di un’orchestra. Certo, poi nel concerto ho previsto un momento in cui i due gruppi sembrano entrare in conflitto uno con l’altro, opporre diversi suoni e timbri, ma queste sonorità contrastanti finiscono poi per collegarsi. È stato difficile per un jazzista scrivere per le varie sezioni dell’orchestra?

Io ho studiato composizione, ciò signi-

fica che da un punto di vista tecnico conosco gli strumenti e le loro caratteristiche. Ad esempio, anche soltanto scrivere la pagina per i timpani richiede il rispetto di regole molto chiare che devono essere imparate. Certo gli aspetti più complessi sono proprio l’armonizzazione di tutte le parti e questa per me è stata una sfida veramente grande. Come è nato in contatto con l’OSI? Avete già fatto delle prove?

Sono stato contattato dal suo direttore, Poschner. Aveva sentito del progetto, gli era molto piaciuto, e aveva da subito pensato di poterlo dirigere. Non sono in contatto con i musicisti: ho scritto una lettera di indicazioni al direttore. Quali sono le reazioni dei musicisti, sia quelli dell’orchestra, sia dei membri di Hildergard?

È curioso, perché in un primo momento gli orchestrali sembrano perplessi, trovano strane le mie pagine. Dopo averle provate scoprono che funzionano, quindi passano dalla perplessità alla sorpresa... sono divertiti. Anche per i musicisti di Hildegard trovarsi da-

vanti all’orchestra è qualcosa di strano, soprattutto per l’impatto sonoro che è generato dall’insieme. Quando ho presentato il lavoro anche loro avevano qualche perplessità. Si chiedevano come avrebbero potuto inserirsi in alcuni passaggi che sembravano molto classici, si chiedevano se gli stili potevano essere compatibili. Per fortuna poi invece hanno accettato molto in fretta che il progetto potesse funzionare.

Nel suo modo di cantare trova molto spazio la spontaneità, l’improvvisazione. L’ha prevista anche nelle sue composizioni orchestrali?

Certo, nelle mie partiture ho previsto uno spazio per la spontaneità, chiaramente all’interno di un disegno compositivo. Spesso per i musicisti classici il concetto di improvvisazione è qualcosa di sconosciuto, quindi difficile da utilizzare. Possiamo dire che la composizione in sé contiene una miscela di parti scritte e di improvvisazione. Lei ha una formazione da cantante jazz: in che modo la pratica?

Certo il jazz è un elemento fonda-

Esatto. È proprio il musicista che è riuscito ad avvicinare mondi musicali come la classica e il jazz. Ha una personalità molto aperta. Io seguo questa sua impostazione: ho contatti con musicisti europei di varie tendenze, con musicisti classici... È un artista che mi ha ispirato molto. I nostri incontri sono sempre stati per me una grande sfida, molto interessanti dal punto di vista musicale. Il suo modo di fare musica è legato all’improvvisazione ma contiene una qualità compositiva importante. Anche lui ha lavorato con le orchestre classiche.

Certo, ha fatto Mozart e molte altre cose. In lui oltre alla musica ho trovato idee umane e spirituali molto interessanti, abbiamo parlato a lungo. Fare musica con lui coinvolge componenti sociali e relazionali importanti. Ultima domanda: chi è Hildergard e perché voleva volare?

Molti musicisti e artisti cercano spesso di descrivere l’attività del volo. È qualcosa che permette di stare sopra al mondo ed è un’esperienza che gli stessi musicisti sperimentano, in un certo senso. Hildegard quindi è una metafora, che ci riguarda quando come musicisti ci ritroviamo insieme, uniti, e ci investiamo del rischio di lanciarci nella creatività. È qualcosa che ci porta a diventare anche indipendenti. Hildegard, possiamo dire, è il nome di un personaggio fittizio legato al mondo della creazione musicale.

Immagini per dare la voce a chi non l’ha Fotografia Al Canvetto Luganese, fino al 19 agosto, le opere del giornalista svizzero Patrick Rohr,

che ha girato il mondo alla ricerca di persone che si battono contro le difficoltà della vita Giovanni Medolago Era un giornalista importante della televisione svizzero tedesca SF: qualcuno tra i nostri lettori probabilmente se lo ricorderà quale conduttore di trasmissioni come Arena, Quer o Schweiz Aktuell. Poi, nel 2007, sulla soglia dei quarant’anni, la svolta: Patrick Rohr decide di lasciare tutto (la TV, Zurigo e la Svizzera) e parte in bicicletta, destinazione Amsterdam. Da un lato voleva mettersi alla prova («Se riesco a compiere questo viaggio, sono certo che riuscirò a realizzare altre imprese nella mia vita!»); dall’altro c’è il desiderio di realizzare il suo sogno d’adolescente: diventare fotografo. In Olandese Rohr segue una formazione di documentarista-ritrattista, subito dopo dà sfogo a un’altra sua passione, quella per i viaggi. Sceglie tuttavia mete che nessun turista si sognerebbe mai di considerare, dai nomi tristemente noti: l’Ucraina devastata dalla guerra e Cernobyl’; la Bosnia e Srebrenica, lo Zimbabwe distrutto dall’AIDS o, ancora, l’Uganda dove gli omosessuali rischiano fino a 15 anni di galera. È evidente il suo intento di dar

voce a chi voce non ce l’ha affinché non ci si dimentichi di loro, di tornare a occuparsi di persone ormai sparite dalle cronache, ma che continuano a subire le conseguenze degli accadimenti «grazie» ai quali finirono a suo tempo sotto i riflettori dei mass media. Rohr non ha però dimenticato la sua vecchia

professione di giornalista: prima di realizzare un ritratto di quelli che chiama «Fighters» (in contesti difficili combattono una sorte avversa), egli si documenta e soprattutto stabilisce un contatto umano con i suoi futuri soggetti. Dietro ogni foto, insomma, c’è una storia, un vissuto tragico: «Nelle mie tra-

Uno degli scatti realizzati a Cernobyl’. (Patrick Rohr)

smissioni televisive ho sempre cercato di avvicinarmi alle persone, di scoprire qualcosa della loro personalità prima di portarle davanti alle telecamere. È un atteggiamento che mantengo anche nella mia attività di fotografo: con le persone che finiscono nel mio obiettivo sviluppo spesso un rapporto di intimità personale». Rohr ascolta il dramma di chi, sfidando i divieti, è tornato a vivere nell’area contaminata di Cernobyl’; sono soprattutto donne troppo anziane e sole per pensare di ricostruirsi altrove una nuova vita, e che preferiscono affrontare la radioattività piuttosto che vedersi sradicate dall’ambiente in cui hanno trascorso un’intera esistenza. Collaboratore di diverse associazioni caritatevoli, nello Zimbabwe Rohr ha svolto il suo reportage assistendo al lavoro e all’opera della «Ruedi Lüthy Foundation», dal nome del medico svizzero specialista in malattie infettive, attivo nel Paese africano dal 2003 e che da allora si è preso cura di oltre seimila pazienti. Rohr ne ha conosciuti alcuni, è entrato nelle loro case per rendersi conto delle condizioni in cui vi-

vono e solo dopo questa ricerca d’empatia ha realizzato dei ritratti in cui i malati di AIDS mantengono integra la loro dignità. Pur operando in contesti non certo facili, Patrick Rohr usa talvolta l’ironia: è il caso del giovane ucraino che ha deciso di lottare per la libertà del suo Paese: esile e minuto, lo sguardo non certo feroce, Rohr lo ritrae a casa sua, seduto davanti al poster di Mike Tyson. Il fotografo racconta poi un episodio divertente: in Giappone, dalle parti di Fukushima dove le radiazioni si mantengono tutt’oggi altissime, ha incontrato un signore con l’hobby della chitarra che gli ha suonato un brano dei Gotthard… Quella attualmente in corso al Canvetto Luganese è la prima mostra svizzera di Patrick Rohr, coraggioso testimone della nostra epoca e delle sue miserie. Dove e quando

Fighters. Patrick Rohr. Canvetto Luganese, Lugano (Via Simen). Ma-sa 8.30-24.00. Fino al 19 agosto 2017.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 luglio 2017 • N. 27

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Cultura e Spettacoli

Meglio così? Così!

Talenti della danza

Pubblicazioni Il nostro rapporto con la punteggiatura è a tratti piuttosto difficile,

come racconta Massimo Arcangeli nel suo libro dedicato al punto esclamativo

Percento Culturale

Assegnati a Zurigo i premi 2017

Mariarosa Mancuso Vladimir Nabokov pensava che sarebbe stato utile un segno tipografico per indicare un sorriso: «Una parentesi tonda rivolta all’insù che mi piacerebbe ora tracciare per rispondere alla sua domanda». Mezzo smile, diciamo con il senno di poi. Resta il dubbio se il sorriso fosse sincero, oppure sfottente (com’è probabile conoscendo lo scrittore russo che volle farsi americano).

A suo tempo già Leopardi si lamentava «dell’ingombro di lineette, di puntini, di spazietti (...)» Nel 1887 il giornalista e scrittore satirico Ambroise Bierce (suo il Dizionario del diavolo, che ben si accoppia con la sua misteriosa scomparsa durante la rivoluzione messicana, era il 1914, si trovava lì come giornalista) suggeriva un segno per la risata sguaiata. Sempre il mezzo smile, la bocca sorridente senza gli occhi, da aggiungere dopo il punto come segno di ironia. La zia di Ralph Reppert, oscuro cronista di un quotidiano del Maryland, negli anni 60 finì sul «Reader’s Digest» per le «espressioni facciali» che usava nelle lettere. Si chiamava Evelyn, scriveva così: «Tua cugina Vernie è di nuovo una bionda naturale –)». Secondo lei, rappresentava una lingua conficcata nella guancia, e se ne capisce benissimo il significato anche senza sapere che tongue-in-cheek significa «ironia garbata». Per restare in Italia, Andrea Zanzotto sognava punti di sospensione curvi – pensate alla forma di un dosso. Carlo Dossi lamentava l’inesistenza di un segno di interpunzione intermedio tra la virgola e il punto e virgola, suggerendo due virgole messe una sopra l’altra (pensate a un punto e virgola fatto con due virgole). Michele Mari oltre al punto esclamativo e all’interrogativo vorrebbe il «punto lacrimale», per indicare «un dolore contenuto nella

Destinazione finale, punteggiatura. (Keystone)

forma ma di devastante portata cosmica». (Non ne troviamo nessuno nel suo ultimo e bellissimo romanzo Leggenda privata, ci starebbero bene). Giuseppe Pontiggia apre e chiude le parentesi senza parole dentro, Alessandro Baricco usa lo slash per i bruschi cambi di scena. Abbiamo fin qui saccheggiato La solitudine del punto esclamativo di Massimo Arcangeli, uscito dal Saggiatore. Non sono le uniche stranezze – c’è un’intera pagina su invenzioni più bizzarre come il punto d’irritazione, il punto di simpatia, il punto di ironia. E un’altra bella citazione di Giacomo Leopardi che nel 1821 lamentava «l’ingombro di lineette, di puntini, di spazietti, di punti ammirativi doppi o tripli», e immaginava che si sarebbe di lì a poco tornati alla «scrittura geroglifica»: segni per rappresentare idee. Un invito a nozze per noi convinti che tutto sia già successo almeno una volta, quindi non conviene agitarsi (in contrasto con chi invece vede l’apoca-

lisse a ogni angolo e a ogni svolta di calendario, quindi si preoccupa per ogni cosa nuova). Lasciando per un attimo la punteggiatura, ricordiamo che Karl Kraus nella Vienna di inizio Novecento litigava con gli antivaccinisti. Tornando alla punteggiatura, va detto che il volume di Massimo Arcangeli spazia dalle numerologie della Divina Commedia al gioco del Monopoli, dai linguaggi cifrati alla cabala, dagli acrostici all’origine dell’hashtag – #, ricordate quando ancora si chiamava «cancelletto»? – alla chiocciola degli indirizzi email. Ricco, ma più adatto a un corso universitario che alla lettura sotto l’ombrellone. Avevamo subito comprato, quando uscì, Moby Dick di Melville tradotto in emoji – le onnipresenti faccine, ormai entrate nell’uso anche di chi ha superato i tredici anni. Non era per niente chiaro, alla faccia della lingua universale invocata dai cultori (ma che lingua universale è una che man mano sta introducendo, oltre alle faccine gial-

le, faccine in ogni sfumatura di pelle?). «Chiamatemi Ismaele» era tradotto con un telefono. Un vecchio telefono da tavolo, con cornetta e tastiera. Anche questo dettaglio si presta all’ironia, che in assenza del segno di interpunzione corrispondente è sostituita dall’apposita faccina (risultato: nessuno più fa battute, crescerà una generazione permalosa e sprovvista di senso del comico). Conosciamo una persona che mette i punti e virgola anche negli sms (noi ci fidiamo poco anche a usarli negli articoli, nascondendoci dietro Cormac McCarthy: «credo nei punti fermi e in qualche virgola occasionale». Riceviamo email da aspiranti giornalisti che non riescono a piazzare – neppure una volta, neppure per sbaglio – uno spazio dopo il punto fermo. Grande è il disordine sotto il cielo. Conviene portarsi in spiaggia lo splendido racconto di Anton Cechov intitolato Il punto esclamativo. Ovvero: quando la punteggiatura ancora metteva ansia.

Dal 1969 il Percento culturale Migros sostiene i giovani artisti svizzeri. Nell’ambito di concorsi nazionali riservati agli artisti di talento, assegna premi di studio e premi d’incoraggiamento di 14’400 franchi. I concorsi si svolgono ogni anno nei seguenti settori: teatro del movimento, canto, musica strumentale, musica da camera (triennale), teatro e danza (iscrizioni: www. percento-culturale-migros.ch/concorsigiovanitalenti). Il 18 giugno scorso si è tenuto a Zurigo il concorso di danza 2017. Sei ballerine e ballerini di talento hanno saputo convincere la giuria internazionale. I vincitori sono stati: Samory Flury, Zurigo (ZH); Tifène Haag, Préverenges (VD); Tilouna Morel, Burtigny (VD); Basil Schwerzmann, Winterthur (ZH); Vasco Ventura, Herrliberg (ZH); Marina Wasserfallen, Oberdorf (BL). Circa 3000 promettenti artisti di talento sono stati finora sostenuti con un totale di 40 milioni di franchi e sono stati accompagnati con misure globali di promozione lungo il loro percorso dalla formazione al mondo del lavoro. Sulla sua piattaforma online per talenti (www.percento-culturale-migros.ch/ scoprire-talenti) il Percento culturale Migros presenta inoltre eccezionali artisti di talento con la loro biografia e materiale audio e video.

Uno dei premiati, Samory Flury di Zurigo. (percento-culturale.ch)

Tra le pieghe della storia la complessità del mondo Recensioni Ne Il buio tra le montagne il grigionese Silvio Huonder riesce a creare un delicato equilibrio

tra l’ambientazione storica e l’evoluzione della trama Pietro Montorfani «Io leggo soltanto cose vere!». Non senza una malcelata fierezza, mio nonno mi ha ripetuto per anni questa frase. Un modo come un altro per contrastare il dilagare incontrollato di romanzi sugli scaffali di casa, di nipoti con velleità poetiche, di scritti che nulla avessero a che spartire con le scienze dure. Leggeva manuali di elettrotecnica, resoconti del «caso Oppenheimer» (il celebre fisico americano con scrupoli di coscienza attorno all’atomica) e si concedeva ogni tanto un’unica eccezione, sempre quella, per rileggersi La grande crevasse della guida alpina Roger Frison-Roche, storia di amori e montagne nella Francia del primo dopoguerra, rigorosamente in lingua originale. Ripenso alla boutade del nonno sulle «cose vere» ogni volta che mi capita tra le mani un cosiddetto romanzo storico. Che cosa sia vero, che cosa sia reale (cioè «storico» nell’accezione più estesa del termine) è una di quelle domande da far tremare le vene e i polsi a qualunque scrittore e, di rimbalzo, a qualunque lettore non distratto. La risposta è sfuggente e sfaccettata, come a voler defi-

nire l’essenza della vita stessa e del suo depositarsi misterioso sulla carta: non per nulla ci hanno provato giganti della penna e del pensiero, da Aristotele a Mi-

Un giallo nell’epoca postnapoleonica.

chail Bachtin, passando per Dante, Tasso, Manzoni, quest’ultimo giustamente ricordato da Fabio Pusterla in apertura della sua lucida prefazione al romanzo di Huonder. Il buio tra le montagne è, me lo si conceda, un signor libro. Innanzitutto perché evita due pericoli che sempre stanno in agguato quando si tratti di romanzi storici costruiti ‒ da Il nome della rosa in giù (1980) ‒ attorno a indagini di natura poliziesca: l’eccesso di pessimismo (dato che al mondo tutto è male, non possiamo che discorrere del male, gioendo magari dei dettagli) e l’eccesso di ottimismo (l’intelligenza del detective e quella del suo autore spiegano placidamente tutti gli arcani, in un’unica grande visione «poliziesca» dell’esistenza umana). Non so se, come si ripete spesso, dopo La promessa di Dürrenmatt non sia più possibile scrivere romanzi gialli, soprattutto in Svizzera; probabilmente è soltanto una vuota frase ad effetto come quella di Adorno sulla poesia dopo Auschwitz (giusto lo scrupolo, ma, a conti fatti, verrebbe piuttosto da replicare il commento di Fantozzi sulla Corrazzata Potëmkin...).

Fatto sta, Silvio Hounder ha scritto un romanzo storico e un romanzo giallo, dosando con grande sensibilità entrambi questi elementi, senza eccedere nel dato storico – i Grigioni del 1821, l’Europa postnapoleonica, uno Stato e una società ancora in gran parte da costruire – e senza affidare la narrazione ai soliti quattro trucchi del «chissà come andrà a finire». Sullo sfondo si stagliano le montagne e il buio del titolo, reali e al contempo metaforici, immagini del paesaggio e dell’anima, resi assai bene in italiano dalla professionalità della traduttrice Gabriella de’ Grandi, anche laddove la scrittura si fa più colorita e barocca: «Luzius Locher unì i forti polpastrelli, pollice con pollice, indice con indice, e le sue manone formarono una grossa gabbia tonda in cui guardò dentro come l’indovina nella sfera di cristallo, poi disse con parole misurate: “È come ha riferito il garzone. Il tirolese Franziskus Rimmel ha ucciso le serve e il mugnaio. Abbiamo trovato la sua scure imbrattata del sangue delle vittime”. Il landamano aprì la gabbia e ne lasciò uscire la tetra profezia come una falena, mostrò le mani vuote

e non aggiunse altro» (p. 97). Un’immagine stupenda, quasi teatrale, che ricorda la principale attività di Huonder, autore per il palcoscenico attivo in Germania già da molti anni. I lettori (e gli storici) più pignoli potrebbero forse trovare, tra le righe di questo libro, il giudizio implicito e sostanzialmente impietoso di chi guardi al passato, e ai suoi tempi più bui, dalla specola privilegiata della modernità: il rischio è forse inevitabile, ma Hounder lo accetta e lo contiene, così che il suo giudice istruttore, il barone Johann Heinrich von Mott, non diviene mai antipatico né anacronistico come il Guglielmo da Baskerville di Umberto Eco. Resta da dire della collana, la benemerita «Cristalli» dell’editore Dadò, che giunta al sessantesimo titolo continua nella lodevole impresa di presentare al pubblico italofono la migliore produzione della Svizzera transalpina. Bibliografia

Silvio Huonder, Il buio tra le montagne. Armando Dadò 2017, 209 pagine.


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Cultura e Spettacoli

Alla Rinascente di Milano

Grafica/1 Cento anni di creatività d’impresa attraverso la grafica, al m.a.x. Museo di Chiasso

Eliana Bernasconi Occorre retrocedere di un secolo, nel 1917, quando il ricco imprenditore e industriale milanese senatore Borletti acquista dei magazzini di tessili vicinissimi al Duomo, messi in vendita dai fratelli Bocconi, intraprendenti imprenditori che legheranno il loro nome all’omonima Università. Un incendio che li distruggerà poco dopo non scoraggia il senatore deciso a riedificarli in tempi brevi. Per trovare una denominazione degna interpella un certo Gabriele D’Annunzio, allora combattente per la liberazione di Trieste, il grande Vate del momento gli consegna un nome che si rivela profetico: «La Rinascente»: il grande magazzino dimostrerà di saper rinascere e proiettarsi ogni volta nella modernità non solo dopo l’incendio del 1918 ma anche dopo i bombardamenti che nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale lo distruggeranno totalmente.

Nato nel 1917 il grande magazzino ha attraversato la storia del costume italiano fino agli anni del boom economico, diventando un punto di riferimento Nel cuore di Milano nel 2017 la Rinascente è ancora un punto familiare di riferimento. Ha avuto inizio nei primi decenni dello scorso secolo, da allora è stata un centro di risonanza internazionale, ha proposto mode e stili di vita, suggerito una nuova immagine della donna e della casa. La mostra che chiude la stagione espositiva del m.a.x. Museo chiassese (accompagnata da un magnifico catalogo Skira) sottolinea questo anniversario con una documentazione origi-

nale di materiale grafico, informativo e pubblicitario che lungo un secolo ha contribuito all’espansione dell’azienda. Raccoglie grandi cromolitografie, manifesti pubblicitari dei primi decenni del 900, schizzi e logotipi, dépliant e locandine, insegne e oggetti. Segue l’evolversi di un sistema comunicativo che dagli enormi cartelloni pubblicitari che per primi apparvero lungo le strade giunge alla maturazione di una cultura aziendale che parla il linguaggio della modernità. Oltre a essere una documentazione sulla storia della grafica condotta con i metodi che caratterizzano oggi ogni ricerca museale, per i molti non giovanissimi è un’occasione per rivedere immagini di un recente passato. Come progetto integrato il Comune di Milano/Cultura e Palazzo Reale, in un’esposizione parallela illustra la storia della Rinascente nella moda, nel marketing d’impresa, nel processo collettivo di modernizzazione e democratizzazione nel linguaggio sociale. Ma il museo chiassese racchiude nel suo stesso nome un altro motivo per sottolineare con orgoglio la ricorrenza, lo chiariscono le parole di Davide Dosi, del Dicastero cultura e educazione: «attraverso il m.a.x. museo di Chiasso che fa da ponte la metropoli lombarda si collega idealmente alla città sulla Limmat, quando due forze economiche e finanziarie viaggiano anche sui binari della cultura i loro rapporti sono stretti e fruttuosi». Rapporti che originano nel 1950, quando un giovane grafico zurighese di nome Max Huber si trasferisce a Milano e disegna il celebre logo universalmente diffuso come nuovo marchio della Rinascente: un monogramma di due lettere dai caratteri tipografici che rompono con i canoni allora in uso. Si tratta di un’immagine aziendale inconfondibile, infatti la lettera «R» verrà utilizzata ovunque in molteplici possibilità combinatorie, nelle insegne, nel cartellino del prezzo, nella carta da imballo. Im-

Uno dei manifesti realizzati da Max Huber. (chiassocultura.ch)

perdibili nella mostra chiassese sono i scenografici e suggestivi cartelloni pubblicitari degli anni 20 di Marcello Dudovich e di altri disegnatori dell’epoca, che apparvero lungo le strade per la prima volta, vere e proprie avanguardie dell’era della comunicazione globale . In queste enormi «réclames» si respira un’atmosfera Liberty e Art déco, figure di donne incedono sicure con grandi cappelli, hanno stole di pelliccia e sciarpe al vento, usano bellezza e fascino non per sedurre ma per affermare un’immagine femminile vincente che invita al consumo. Mentre gli anni passano e la Rinascente ha filiali in tutta Italia, l’era romantica del primo cartellonismo e la concezione ottocentesca dello spazio

tramontano. Nel 1950 si inaugura la nuova Rinascente, che ha un’avanzata concezione urbanistica, un Ufficio pubblicità, sette piani di scale mobili e tecniche di vendita innovative in uno spazio quasi teatrale. Le vetrine dell’art director Albe Steiner fanno sognare, è l’epoca dell’abito «prêt-à-porter», Milano rinasce e tutto sembra possibile, tra pochi anni arriverà il boom economico. Max Huber ha con sé la cultura dell’Europa del Nord, dove è in atto un fertile scambio tra arti grafiche, pittura, fotografia, design industriale. Tra gli anni 30 e 40 avevano operato artisti come Kandinskij, Klee, Max Bill e Jean Arp, e lo spirito del Bauhaus permea la zurighese Kunstgewerbeschule, vera scuola di arte applicata. La razionalità

di matrice svizzera di Max Huber sposerà pragmatismo e imprenditorialità milanesi, la Rinascente diventerà così un crogiolo di sperimentazioni. Nascono nuove professionalità ed entrano in scena fotografi come Oliviero Toscani, creativi come Bruno Munari, Enzo Mari e molti altri. Nel 1953 la svizzera Lora Lamm riuscirà a sorprendere con la freschezza dei suoi manifesti. Dove e quando

La Rinascente. 100 anni di creatività d’impresa attraverso la grafica. m.a.x. Museo, Chiasso. Fino al 24 settembre 2017. Orari: ma-do 10.00-12.00; 14.00-18.00; lu chiuso. Chiusura estiva dal 31/7 al 21/8.

Nel segno della sperimentazione Grafica/2 Chiasso ospita la produzione grafica di Enzo Cucchi

Alessia Brughera Nel 1979 il critico Achille Bonito Oliva teorizza insieme agli artisti Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino un nuovo modo di fare arte al quale dà il nome di Transavanguardia. Scopo di questi autori è quello di generare un linguaggio che «sappia tornare ai suoi motivi interni», dove far confluire immagini appartenenti alla storia dell’arte alle quali dare una nuova vita attraverso gli strumenti classici della pratica creativa. È difatti un vero e proprio ritorno al piacere della pittura, il loro, in netta contrapposizione con le ricerche di matrice concettuale che in quegli stessi anni

stavano mortificandolo con «arrovellamenti intellettuali». La tendenza all’opulenza formale e cromatica e la propensione ad attingere allo sterminato repertorio figurativo della tradizione sono i mezzi con cui questo movimento afferma il diritto alla discontinuità linguistica: l’interesse si sposta adesso dallo stile all’immaginario dell’artista, che procede per analogie rischiose lasciando fluire nell’opera le sedimentazioni del passato. Con la sua personalità poliedrica e con la sua potente inventiva, Enzo Cucchi è la figura più visionaria di questo gruppo, mossa da un irrefrenabile impulso a ribaltare le convenzioni, a capovolgere punti di vista e

Enzo Cucchi, Mosaici, 1991. Cleto Polcina Edizioni, Roma – Philippe Daverio, Milano – Bernd Kluser, München. (Collezione Arnaldo Sanna, Lentate sul Seveso)

prospettive per approdare a risultati originali che sanno però mantenere la freschezza dell’essenzialità. Elemento caratteristico del suo fare arte è proprio l’affidarsi all’istinto, a una sorta di sensibilità primitiva che carica i suoi lavori di simboli e di memorie romantiche, di deliri e di fantasticherie. Per uno sperimentatore disinvolto come Cucchi la pittura è solo una delle modalità espressive da utilizzare. Il suo è difatti un muoversi senza limitazioni tra le discipline tradizionali sin dagli anni giovanili, quando si dedica alla conoscenza delle più svariate tecniche artistiche con la consapevolezza dell’importanza di ciò che può nascere dalla loro commistione. Una mostra allestita allo Spazio Officina di Chiasso si sofferma sul lavoro grafico del maestro marchigiano, produzione centrale nel suo variegato percorso e ambito dove Cucchi ha saputo immettere senza restrizioni di sorta tutta il suo vigore narrativo e i caratteri distintivi del suo operato. La ricca selezione di pezzi raccolti nella rassegna chiassese comprende quasi duecento libri d’artista a cui si affiancano numerose incisioni di piccolo e di grande formato, nonché alcuni bozzetti relativi alla decora-

zione della Chiesa di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro e una serie di sculture mai esposta prima. A essere documentato è mezzo secolo di attività di Cucchi, dagli esordi degli anni Settanta agli esiti più recenti, un lungo cammino in cui egli ha fatto del piacere della scoperta il suo punto di forza. Emerge da questi lavori come anche nella grafica l’artista sia riuscito a creare universi dalla notevole, talvolta imprevista, qualità provocatoria e ironica, recuperando da una parte le proprie radici europee, con una predilezione per l’Espressionismo nordico, dall’altra le più familiari radici marchigiane, che riconosce negli spazi fluttuanti di Licini, e mescolando tutto nell’esplosione del segno. Cucchi guarda al passato, soprattutto ai grandi maestri dell’arte occidentale quali Giotto e Masaccio; guarda alla metafisica dechirichiana, da cui mutua la capacità di conferire alle sue grafiche un’atmosfera sospesa nel tempo; guarda al patrimonio figurativo e al genius loci della propria terra d’origine, fatto di animali devoti, case contadine e alberi rassicuranti. I riferimenti a una cultura «alta» si mischiano così alle immagini popolari, i richiami a una dimensione onirica si legano alle iconografie della memoria.

La sezione più copiosa della mostra è costituita da cataloghi e librioggetto che testimoniano l’estro di Cucchi e il suo voler essere innovativo a ogni costo, sfidando regole e limiti. Questi materiali, di cui l’artista ha seguito con scrupolo tutti i dettagli e le fasi di esecuzione, ci portano in un mondo dove le pagine, le copertine, i dorsi e i caratteri diventano elementi sorprendenti, particolari inattesi che rivelano la vivace creatività dell’autore. Di particolare interesse, poi, sono le ventuno piccole incisioni dal titolo Documenti realizzate appositamente per l’esposizione di Chiasso. Qui Cucchi sposa tecnica grafica e collage dando vita, ancora una volta, a opere in cui la sperimentazione diviene lo strumento per far emergere le sue esuberanti suggestioni in una primordiale semplicità. Dove e quando

Enzo Cucchi. Cinquant’anni di grafica d’artista. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 23 luglio 2017. A cura di Claudio Cerritelli e Nicoletta Ossanna Cavadini. Orari: ma-ve 14.00-18.00; sa-do-aperture speciali 10.00-12.00/14.00-18.00; lu chiuso. www.centroculturalechiasso.ch


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Estate Nostrana al fresco del grottino! Attualità Da Migros solo il meglio per un pranzo totalmente «local»

L’estate è arrivata e i primi caldi richiamano pranzi domenicali rilassanti, magari seduti attorno ad un tavolo in pietra all’ombra dalle fronde come nei più tipici grottini nostrani. L’assortimento dei Nostrani del Ticino Migros offre prodotti tipici della nostra regione segno della genuinità e della tradizione. La scelta di formaggi e di affettati è ampia. I tradizionali formaggini ticinesi prodotti da LATI, immancabili sulla tavola del grottino, sono pensati anche per chi non può mangiare i formaggini di latte vaccino, infatti nell’assortimento AHA! della Migros e si trovano prodotti pensati specialmente per coloro che soffrono di allergie alimentari. I formaggini e i buscion di capra, della Fattoria del Faggio di Sonvico, ingolosiranno chi ama sapori più sapidi e decisi e anche a chi non tollera il latte di mucca. Spalmati su una fetta di buon pane passione accompagnati da salame al merlot, pancetta arrotolata affettata finemente e prosciutto crudo dei Salumi del Pin di Mendrisio sono il perfetto antipasto per un pranzo gustoso per aprire in bellezza senza chissà quale sforzo. Per completare il pasto con freschezza e leggerezza, l’insalata mista nostrana con qualche pomodorino cherry, tutti provenienti dai migliori raccolti presenti sul territorio ticinese è quello che ci vuole. Servite la vostra insalata con un formaggino ticinese fresco e cremoso prodotto solo con latte nostrano, un filo d’olio e una spruzzata di sale e pepe e il piatto è servito. Ma non dimenticatevi di innaffiare il tutto con una classica gazzosa al limone, prodotta per Migros dall’azienda Sicas di Chiasso, non deve proprio mancare! / Luisa Jane Rusconi

Alcuni esempi: Formagín ticinés confezione da 2 x 100g ca. al kg Fr.19.30 Formagín ticinés aha! senza lattosio, confezione da 2 x 100g ca. al kg Fr. 19.50 Busción de cáura confezione da 3 x 50g Fr. 5.80 Formaggini di capra al pezzo Fr. 3.30 (servizio al banco)

Nostrani del Ticino in degustazione

Salám al Merlot 100 g Fr. 4.05 invece di 5.10 Pancetta arrotolata 100 g Fr. 4.30 Flavia Leuenberger

Fino al 17 settembre 2017 ogni giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di prodotti Nostrani del Ticino per tutti i gusti, nelle filiali di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà!

Gazusa Nustrana Limún 28 cl Fr. –.85

Prosciutto crudo affettato in vaschetta 100 g Fr. 6.70 Pomodorini Cherry al prezzo del giorno


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Idee e acquisti per la settimana

È tempo di insalate e di cetrioli

Giovanno Barberis

Attualità Insalate a foglia e cetrioli rigorosamente nostrani

In estate le insalate a foglia lasciano gradualmente le serre per trovare spazio in campo aperto, dove vengono coltivate nei mesi caldi, direttamente sotto i raggi del sole. Lattuga, Batavia, Foglia di quercia e Lollo sono le lattughe protagoniste in tavola, e in Ticino beneficiano di condizioni ideali per completare il proprio sviluppo nel giro di 4-5 settimane. Di colore verde o rosso queste insalate sono dei classici che non mancano mai sugli scaffali di Migros Ticino, garantendo freschezza e prodotti regionali. La lattuga Cappuccio è per esempio una delle insalate più amate. È una tipica verdura primaverile che però si coltiva bene anche in estate e, grazie alla presenza di acido citrico e malico nelle sue foglie, dà un sapore rinfrescante alle pietanze. Anche la Lollo è un ottimo rinfrescante e, come tutte le insalate, è un’ottima fonte di vitamine, minerali e oligoelementi poverissima di calorie. Una terza insalata dell’assortimento dei Nostrani di Migros è la Foglia di quercia, che deve il suo nome alla somiglianza con le foglie della quercia: verdi con i bordi ondulati rossi tendenti al marrone (anche se esistono varietà interamente verdi). Il sapore è delicato e può anche rimandare vagamente a quello della frutta secca. La Batavia è un altro tipo di lattuga che presenta però foglie più increspate e il bordo più arricciato. Si tratta di una varietà di lattuga molto antica, antenata della lattuga Iceberg,

più dura e lievemente croccante. Le foglie,di un acceso verde giallo o ramate, sono attorcigliate e dal gusto delicatamente dolce e nocciolato. Ma l’estate è anche sinonimo di cetrioli che in Ticino si coltivano prevalentemente in serra o tunnel, così da facilitarne la gestione, per esempio nei supporti dove le piante s’arrampicano. Il cetriolo nostrano è più corto e con la buccia più rugosa rispetto a quello «Olandese» tipicamente da insalata. È un ortaggio particolarmente

leggero che, con un tenore d’acqua superiore al 95 percento, fornisce solo 10 calorie ogni 100 grammi, rilevandosi pertanto un alimento rinfrescante adatto anche per aperitivi, zuppe fredde, bibite e salse. Ne esistono moltissime varietà, che si coltivano da metà marzo fino all’inizio dell’autunno. Tra di esse la varietà Modan è un classico dei Nostrani del Ticino una produzione regolare e di facile gestione anche a livello famigliare. / Elia Stampanoni


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Idee e acquisti per la settimana

Le settimane del gusto

Attualità Fino al 9 luglio si tiene la seconda rassegna gastronomica di quest’anno

dedicata alla carne svizzera della Migros rivisitata da alcuni noti chef ticinesi. Ritratto del Ristorante San Grato di Carona, uno dei partecipanti La posizione del San Grato, dalla terrazza con vista panoramica sul Lago di Lugano e sulle Alpi è di quelle mozzafiato. La cucina del locale è strettamente legata al territorio e propone i piatti più apprezzati della tradizione ticinese, ma anche ghiottonerie prettamente di stagione. Rinomato anche per il pesce, e per l’ospitalità d’altri tempi, il Ristorante San Grato di Carona si trova all’interno dell’omonimo Parco dove incorniciato da rododendri, azalee e conifere che creano un’atmosfera incantevole e unica. La gerenza è affidata da ben 25 anni a Flavio Riva il quale, insieme al suo affiatato team di collaboratori, accoglie sempre con il sorriso i molti turisti e tutti amanti della buona tavola ticinese che qui trovano il luogo ideale per concedersi un momento di relax nel verde, oltre che corroboranti passeggiate. Durante la rassegna dedicata alla carne svizzera Migros, Flavio Riva propone a tutti i buongustai un piatto speciale: Steak di manzo «Diana» alla griglia con funghi porcini. Da leccarsi i baffi! Scoprite gli altri ristoranti partecipanti alla rassegna su: www.carnemigros.ch

Flavio Riva vi aspetta al Ristorante San Grato di Carona. (Flavia Leuenberger)

Ciò che stupisce dell’ottima salsa vegana della Tigusto SA di Gerra Piano è la sua incredibile versatilità. Può infatti essere utilizzata per marinare, condire e conferire quel tocco di raffinatezza in più a moltissime pietanze, sia vegane, sia vegetariane come pure piatti a base di carne e pesce. In questo momento è per esempio perfetta nella preparazione di marinate per succose carni alla griglia o alla pioda: basta aggiungere un filo d’olio alla salsa e lasciare marinare la carne con la salsa per qualche ora prima di metterla sulla brace. La salsa è prodotta artigianalmente mescolando ingredienti di provenienza biologica certificata, nella fattispecie spezie, lievito di melassa, farina di castagne, salsa di soia fermentata e erbe aromatiche. Essendo priva di conservanti e additivi, una volta aperta va conservata in frigorifero e consumata il prima possibile.

Flavia Leuenberger

Ottima anche per le grigliate «Very Trendy!»

Salsa scura vegana bio 250 g Fr. 9.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros

È la grandissima tendenza dell’estate, condivisa da star della musica internazionale, supermodelle, attrici e non solo. Il «megagonfiabile» a forma di animale è un oggetto bizzarro e divertente, che promette di trascorrere dei momenti indimenticabili in bella compagnia: in piscina, al lago e al mare, è l’imbattibile e divertimento dell’estate. Tutti i megagonfiabili sono particolarmente resistenti alle alte temperature e agli urti, possono sorreggere due persone e sono realizzati in PVC. Sono disponibili diversi simpatici soggetti, dal

fenicottero all’unicorno, dall’anatra al cigno, e sono in vendita con un pratico set di riparazione incluso. Questi animali possono essere gonfiati sia manualmente sia con una comoda pompa. Gonfiabile diversi soggetti (fenicottero, unicorno, anatra e cigno) p.es Fenicottero piccolo (misure 142 x 137 x 97 cm) Fr. 24.80 grande (misure 202 x 191 x 118 cm) Fr. 59.– In vendita nelle maggiori filiali Migros


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Sottilissima e croccante

Tarte flambée all’alsaziana: salata con pancetta e cipolle o dolce con mele e mandorle.

Ora l’assortimento M-Classic viene completato con una pasta per le tarte flambée. Ogni confezione contiene due basi di impasto rettangolari già spianate, adatte anche ad essere congelate. Come per la pizza si può guarnire la sottile pasta con tutto quel che si trova in frigorifero, dolce o salato che sia. Alla base c’è sempre uno strato di crème fraîche. Suggerimenti per ricette sull’imballaggio e su www.migusto.ch.

M-Classic Pasta per tarte flambée 2 pezzi, 440 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui la pasta la tarte flambée di M-Classic.


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Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Sapore mediterraneo Una croccante crosta di formaggio ricoperta di pomodorini freschi rendono la focaccia d’estate estremamente saporita. È disponibile come Pane del mese nelle panetterie delle filiali Migros

Serie Il sapore del Pane del mese A luglio: la focaccia d’estate

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Testo Jacqueline Vinzelberg Peter Wildhaber fa il panettiere alla filiale Migros di Münsingen (BE). È uno dei circa 900 professionisti che ogni giorno sfornano pane a ripetizione nelle 130 panetterie di filiale. In questo modo c’è sempre pane fresco fino all’ora di chiusura.

La focaccia è una delle grandi specialità liguri. Questo pane piatto lievitato, imparentato con la pizza, è in gran voga tra gli appassionati della cucina mediterranea e non solo. Il sapore della soffice variante estiva delle panetterie di filiale della Migros viene esaltato dai pomodori secchi mischiati all’impasto. Il grana padano fuso crea una crosta dal gusto lievemente salato, mentre i pomodori ciliegino apportano una nota di freschezza. La focaccia d’estate si abbina a vari contesti, sia come contorno per grigliate sia come spuntino tra i pasti. Una farcitura di rucola fresca ne arricchisce ulteriormente il sapore, sottolineandone l’intensità con una punta piccante. Suggerimento: riscaldate brevemente la focaccia nel forno e servitela ancora calda. In questo modo l’aroma di formaggio e pomodori risalta ancora di più.

Peter Wildhaber (48 anni)

«Più è grossa la treccia, più il gusto è intenso» Cosa le piace del suo mestiere? È un lavoro molto vivace. Mi piace perché mi fa vivere la mia passione. Che tipo di pane preferisce realizzare? Non ho nessuna preferenza particolare. Comunque, tutte le forme vanno impastate nel modo giusto e devono avere un bell’aspetto. È così che viene fuori il loro carattere distintivo.

Un consiglio per servirla I nostri esperti di Migusto hanno degustato la focaccia d’estate con formaggio e pomodorini. E consigliano l’abbinamento con la rucola.

Qual è il suo pane della domenica? Dev’essere una grossa treccia al burro bernese, perché più la treccia è grande più il suo gusto è intenso. E si mantiene anche fresca più a lungo.

Incidete la focaccia orizzontalmente, farcitela generosamente con la rucola, spargeteci sopra un po’ d’olio, insaporite con un po’ di pepe, richiudete e premete le due fette. Tagliate a spicchi e servite in tavola.

Foto Veronika Studer (food)/ Gäetan Bally (ritratto); Consiglio di portata Regula Brodbeck

Qual è il suo più bel ricordo legato al pane? Un giorno, il cantante del gruppo Züri West, Kuno Lauener, mi vide mentre stavo facendo la treccia al banco del pane. Mi pregò di rallentare l’intreccio per riuscire a seguire i miei movimenti. Alla terza treccia, però, scosse la testa e mi disse: «Non ce la farò mai». Gli ribattei che è come suonare uno strumento. Allora mi rispose con un sorriso: «No, far musica è molto più facile».

Focaccia d’estate 280 g Fr. 3.10 Disponibile in tutte le filiali Migros con annessa panetteria


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Il piacere del gusto

Sapore mediterraneo Una croccante crosta di formaggio ricoperta di pomodorini freschi rendono la focaccia d’estate estremamente saporita. È disponibile come Pane del mese nelle panetterie delle filiali Migros

Serie Il sapore del Pane del mese A luglio: la focaccia d’estate

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Testo Jacqueline Vinzelberg Peter Wildhaber fa il panettiere alla filiale Migros di Münsingen (BE). È uno dei circa 900 professionisti che ogni giorno sfornano pane a ripetizione nelle 130 panetterie di filiale. In questo modo c’è sempre pane fresco fino all’ora di chiusura.

La focaccia è una delle grandi specialità liguri. Questo pane piatto lievitato, imparentato con la pizza, è in gran voga tra gli appassionati della cucina mediterranea e non solo. Il sapore della soffice variante estiva delle panetterie di filiale della Migros viene esaltato dai pomodori secchi mischiati all’impasto. Il grana padano fuso crea una crosta dal gusto lievemente salato, mentre i pomodori ciliegino apportano una nota di freschezza. La focaccia d’estate si abbina a vari contesti, sia come contorno per grigliate sia come spuntino tra i pasti. Una farcitura di rucola fresca ne arricchisce ulteriormente il sapore, sottolineandone l’intensità con una punta piccante. Suggerimento: riscaldate brevemente la focaccia nel forno e servitela ancora calda. In questo modo l’aroma di formaggio e pomodori risalta ancora di più.

Peter Wildhaber (48 anni)

«Più è grossa la treccia, più il gusto è intenso» Cosa le piace del suo mestiere? È un lavoro molto vivace. Mi piace perché mi fa vivere la mia passione. Che tipo di pane preferisce realizzare? Non ho nessuna preferenza particolare. Comunque, tutte le forme vanno impastate nel modo giusto e devono avere un bell’aspetto. È così che viene fuori il loro carattere distintivo.

Un consiglio per servirla I nostri esperti di Migusto hanno degustato la focaccia d’estate con formaggio e pomodorini. E consigliano l’abbinamento con la rucola.

Qual è il suo pane della domenica? Dev’essere una grossa treccia al burro bernese, perché più la treccia è grande più il suo gusto è intenso. E si mantiene anche fresca più a lungo.

Incidete la focaccia orizzontalmente, farcitela generosamente con la rucola, spargeteci sopra un po’ d’olio, insaporite con un po’ di pepe, richiudete e premete le due fette. Tagliate a spicchi e servite in tavola.

Foto Veronika Studer (food)/ Gäetan Bally (ritratto); Consiglio di portata Regula Brodbeck

Qual è il suo più bel ricordo legato al pane? Un giorno, il cantante del gruppo Züri West, Kuno Lauener, mi vide mentre stavo facendo la treccia al banco del pane. Mi pregò di rallentare l’intreccio per riuscire a seguire i miei movimenti. Alla terza treccia, però, scosse la testa e mi disse: «Non ce la farò mai». Gli ribattei che è come suonare uno strumento. Allora mi rispose con un sorriso: «No, far musica è molto più facile».

Focaccia d’estate 280 g Fr. 3.10 Disponibile in tutte le filiali Migros con annessa panetteria


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Idee e acquisti per la settimana

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

Finestre pulite grazie alle piante Chi sviluppa un prodotto per la pulizia come il detergente per i vetri di Migros Plus pensa continuamente al futuro. Funziona così anche per Kerstin den Brave, il cui lavoro all’industria Migros Mibelle Group è impregnato quotidianamente di sostanze naturali Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Signora Den Brave, ogni giorno è alle prese con elementi che compongono i prodotti di pulizia. Quali sono le sostanze contenute nel detergente Migros Plus che consentono di pulire così a fondo le finestre?

Si tratta di una combinazione di varie sostanze. I principali agenti pulenti contenuti nel detergente per vetri di Migros Plus sono l’alcool, i tensioattivi derivati all’olio di girasole e altre sostanze attive vegetali. E come agiscono queste sostanze?

I tensioattivi agiscono aumentando la solubilità nell’acqua del grasso e di altri residui di sporco. Ad esempio, eliminano le impronte digitali dalle finestre. Altri principi attivi migliorano la capacità di asciugatura del vetro in modo che la superficie risulti uniforme e senza aloni. Inoltre, impediscono allo sporco di depositarsi, facilitando così la prossima pulizia dei vetri. Lei parla di materie prime naturali, ma cosa significa «naturale» nel caso specifico?

Le sostanze contenute nel detergente per vetri Migros Plus sono prodotte con materie prime vegetali coltivate in Europa. Ciò le distingue chiaramente dai tensioattivi basati sul petrolio e da altri principi attivi. Quali sono le piante da cui sono estratte queste sostanze attive naturali?

L’alcool, i tensioattivi ed altri agenti provengono da piante come i girasoli, il mais, il frumento, la colza oppure dai loro derivati. Da quando si impiegano materie prime naturali e rinnovabili nella produzione di detergenti?

Alcune materie sono disponibili sin dagli anni 80. A causa della crescente domanda in questo campo, ovviamente nel corso degli anni è diventata maggiore anche l’offerta. Da un lato i clienti vogliono un prodotto il più ecologico possibile, dall’altro però anche la stessa efficacia delle sostanze chimiche. A volte, conciliare queste esigenze diventa difficile. Inoltre, fattori come la disponibilità e la qualità delle materie d’origine naturale rappresentano una sfida continua. Ciò significa che i prodotti puramente chimici sono più efficaci?

Negli ultimi anni i cosiddetti «prodotti verdi» hanno registrato fortissimi progressi. Nel rapporto tra sostenibilità,

Star della settimana

efficacia e prezzo, prodotti come il detergente per i vetri Migros Plus offrono una buona soluzione per l’uso quotidiano e non temono il confronto con i prodotti convenzionali.

Mister vetri puliti L’industria Migros Mibelle Group produce ogni anno circa tre milioni di articoli di pulizia Migros Plus. La linea ecologica di detersivi per la casa e il bucato fu lanciata nei primi anni 80. Il detergente per i vetri Migros Plus c’è sin dall’inizio.

Come si migliorano le prestazioni di un detergente per vetri?

È impossibile dirlo così a grandi linee. Ad esempio, aumentando la quantità di tensioattivi si ottiene una migliore efficacia contro il grasso, ma al contempo si potenzia la formazione di aloni. Nel caso del detergente per vetri Migros Plus abbiamo inserito nella formula un nuovo tensioattivo naturale e modificato le reazioni tra le varie sostanze attive, riuscendo così a migliorare ulteriormente le prestazioni.

Come tutti i prodotti di pulizia, anche questo prodotto è stato costantemente sviluppato nel corso degli anni ed ora viene realizzato con principi attivi provenienti da piante europee. Maggiori informazioni sulla Star della settimana al sito www. noifirmiamo-noigarantiamo.ch/stardella-settimana

Come si scoprono «nuove» sostanze come i tensioattivi?

Innanzitutto leggiamo molta letteratura specialistica, ci informiamo sulle ricerche e osserviamo il mercato. In secondo luogo restiamo in costante contatto con i nostri fornitori di materie prime e facciamo confluire nelle nostre formule gli ultimi sviluppi.

L’indovinello Il detergente per vetri di Migros Plus è completamente biodegradabile, anche perché i suoi principi attivi sono estratti vegetali. Ma da quali piante? Rispondete a questa domanda su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana e vincete una delle carte regalo Migros messe in palio per un valore totale di Fr. 150.–.

Cosa viene testato?

L’efficacia del detergente per i vetri viene testata secondo metodi standard. Su una lastra di vetro si applica una quantità determinata di depositi di sporcizia. Dopodiché la lastra viene pulita con il detergente secondo un metodo prestabilito. Alla fine si confrontano i residui lasciati dai diversi prodotti. Sulla confezione del detergente per vetri c’è scritto «Biodegradabile al 100%». Cosa significa?

La scritta si riferisce alla formula. Secondo la legislazione, i tensioattivi devono provenire da agricoltura biologica. Tuttavia, noi testiamo anche la formula completa del prodotto messo in vendita. Biodegradabile al 100 percento significa, dunque, che la soluzione viene dissolta completamente dai batteri presenti nel depuratore entro il termine prestabilito di 28 giorni. Oltre all’aspetto della sostenibilità, in quale direzione procede lo sviluppo dei prodotti per la pulizia come i detergenti per vetri?

Diventa sempre più importante allargare le loro possibilità d’impiego. Ciò significa che un prodotto dovrebbe essere usato per più scopi. Ad esempio, un detergente per i vetri dovrebbe pulire anche i computer portatili e altre superfici.

Attento esame dei test del detergente per vetri: la sviluppatrice Kerstin den Brave nel laboratorio dell’azienda Migros Mifa.

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il detergente per vetri Migros Plus.


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Idee e acquisti per la settimana

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Finestre pulite grazie alle piante Chi sviluppa un prodotto per la pulizia come il detergente per i vetri di Migros Plus pensa continuamente al futuro. Funziona così anche per Kerstin den Brave, il cui lavoro all’industria Migros Mibelle Group è impregnato quotidianamente di sostanze naturali Testo Thomas Tobler; Foto Paolo Dutto

Signora Den Brave, ogni giorno è alle prese con elementi che compongono i prodotti di pulizia. Quali sono le sostanze contenute nel detergente Migros Plus che consentono di pulire così a fondo le finestre?

Si tratta di una combinazione di varie sostanze. I principali agenti pulenti contenuti nel detergente per vetri di Migros Plus sono l’alcool, i tensioattivi derivati all’olio di girasole e altre sostanze attive vegetali. E come agiscono queste sostanze?

I tensioattivi agiscono aumentando la solubilità nell’acqua del grasso e di altri residui di sporco. Ad esempio, eliminano le impronte digitali dalle finestre. Altri principi attivi migliorano la capacità di asciugatura del vetro in modo che la superficie risulti uniforme e senza aloni. Inoltre, impediscono allo sporco di depositarsi, facilitando così la prossima pulizia dei vetri. Lei parla di materie prime naturali, ma cosa significa «naturale» nel caso specifico?

Le sostanze contenute nel detergente per vetri Migros Plus sono prodotte con materie prime vegetali coltivate in Europa. Ciò le distingue chiaramente dai tensioattivi basati sul petrolio e da altri principi attivi. Quali sono le piante da cui sono estratte queste sostanze attive naturali?

L’alcool, i tensioattivi ed altri agenti provengono da piante come i girasoli, il mais, il frumento, la colza oppure dai loro derivati. Da quando si impiegano materie prime naturali e rinnovabili nella produzione di detergenti?

Alcune materie sono disponibili sin dagli anni 80. A causa della crescente domanda in questo campo, ovviamente nel corso degli anni è diventata maggiore anche l’offerta. Da un lato i clienti vogliono un prodotto il più ecologico possibile, dall’altro però anche la stessa efficacia delle sostanze chimiche. A volte, conciliare queste esigenze diventa difficile. Inoltre, fattori come la disponibilità e la qualità delle materie d’origine naturale rappresentano una sfida continua. Ciò significa che i prodotti puramente chimici sono più efficaci?

Negli ultimi anni i cosiddetti «prodotti verdi» hanno registrato fortissimi progressi. Nel rapporto tra sostenibilità,

Star della settimana

efficacia e prezzo, prodotti come il detergente per i vetri Migros Plus offrono una buona soluzione per l’uso quotidiano e non temono il confronto con i prodotti convenzionali.

Mister vetri puliti L’industria Migros Mibelle Group produce ogni anno circa tre milioni di articoli di pulizia Migros Plus. La linea ecologica di detersivi per la casa e il bucato fu lanciata nei primi anni 80. Il detergente per i vetri Migros Plus c’è sin dall’inizio.

Come si migliorano le prestazioni di un detergente per vetri?

È impossibile dirlo così a grandi linee. Ad esempio, aumentando la quantità di tensioattivi si ottiene una migliore efficacia contro il grasso, ma al contempo si potenzia la formazione di aloni. Nel caso del detergente per vetri Migros Plus abbiamo inserito nella formula un nuovo tensioattivo naturale e modificato le reazioni tra le varie sostanze attive, riuscendo così a migliorare ulteriormente le prestazioni.

Come tutti i prodotti di pulizia, anche questo prodotto è stato costantemente sviluppato nel corso degli anni ed ora viene realizzato con principi attivi provenienti da piante europee. Maggiori informazioni sulla Star della settimana al sito www. noifirmiamo-noigarantiamo.ch/stardella-settimana

Come si scoprono «nuove» sostanze come i tensioattivi?

Innanzitutto leggiamo molta letteratura specialistica, ci informiamo sulle ricerche e osserviamo il mercato. In secondo luogo restiamo in costante contatto con i nostri fornitori di materie prime e facciamo confluire nelle nostre formule gli ultimi sviluppi.

L’indovinello Il detergente per vetri di Migros Plus è completamente biodegradabile, anche perché i suoi principi attivi sono estratti vegetali. Ma da quali piante? Rispondete a questa domanda su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana e vincete una delle carte regalo Migros messe in palio per un valore totale di Fr. 150.–.

Cosa viene testato?

L’efficacia del detergente per i vetri viene testata secondo metodi standard. Su una lastra di vetro si applica una quantità determinata di depositi di sporcizia. Dopodiché la lastra viene pulita con il detergente secondo un metodo prestabilito. Alla fine si confrontano i residui lasciati dai diversi prodotti. Sulla confezione del detergente per vetri c’è scritto «Biodegradabile al 100%». Cosa significa?

La scritta si riferisce alla formula. Secondo la legislazione, i tensioattivi devono provenire da agricoltura biologica. Tuttavia, noi testiamo anche la formula completa del prodotto messo in vendita. Biodegradabile al 100 percento significa, dunque, che la soluzione viene dissolta completamente dai batteri presenti nel depuratore entro il termine prestabilito di 28 giorni. Oltre all’aspetto della sostenibilità, in quale direzione procede lo sviluppo dei prodotti per la pulizia come i detergenti per vetri?

Diventa sempre più importante allargare le loro possibilità d’impiego. Ciò significa che un prodotto dovrebbe essere usato per più scopi. Ad esempio, un detergente per i vetri dovrebbe pulire anche i computer portatili e altre superfici.

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Idee e acquisti per la settimana

Un prodotto per ogni tipo di pelle

L’Oréal Paris

Il genio che cura e rinfresca Hydra Genius Aloe Water è un fluido indicato per l’idratazione della pelle. La cura del viso con la nuova tecnologia Liquid-Care, diversamente dalle creme, consiste in gran parte in una miscela d’acqua e oli curativi. Lo strato sottile non incolla, viene assorbito subito dopo essere stato diffuso e offre una sensazione di freschezza sulla pelle. I diversi tipi di pelle richiedono diversi tipi di intervento. Esistono quindi tre tipi diversi di preparati: per pelle secca e sensibile, per pelle normale e per pelle mista. Il fluido per l’idratazione è pensato per un uso quotidiano.

Pelle mista La pelle nella zona a T (fronte, naso, mento) brilla ed mostra pori dilatati.

L’Oréal Paris Hydra Genius fluido idratante pelle mista 70 ml* Fr. 11.80

Pelle normale La pelle non è unta né secca ed è priva di impurità.

L’Oréal Paris Hydra Genius fluido idratante pelle normale 70 ml* Fr. 11.80

Pelle secca e sensibile La pelle è tesa, con leggeri arrossamenti e piccole rughe in rilievo.

Il principio attivo dell’aloe vera trattiene l’umidità nella pelle.

L’Oréal Paris Hydra Genius fluido idratante per pelle secca e sensibile 70 ml* Fr. 11.80 *Nelle maggiori filiali


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2.70 invece di 4.20

3.50 invece di 5.–

Mini angurie Italia, il pezzo

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2.80 invece di 4.20 Meloni Charentais bio Francia/Spagna, il pezzo

a partire da 2 pezzi

50%

Detersivi Total a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

Salame Strolghino di culatello Italia, pezzo da ca. 250 g, per 100 g

40%

2.50 invece di 4.20 Pesche tabacchiera Spagna/Italia, al kg

20% Tutto l’assortimento di barrette ai cereali Farmer per es. Soft alla mela e alle more, 234 g, 3.50 invece di 4.40

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.7 AL 10.7.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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4.15 invece di 6.95

Consiglio

Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g

50%

7.80 invece di 15.60 Hamburger di vitello Svizzera, in conf. da 4 x 100 g / 400 g

40%

3.80 invece di 6.40 Costata di manzo TerraSuisse imballata, per 100 g

UN TOCCO CROCCANTE Gli spiedini di pollo alla griglia, succosi e ben insaporiti, sono la gioia di grandi e bambini. Soprattutto se accompagnati da una croccante insalata mediterranea con crostini e limone. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

20% Spiedini di pollo Optigal* kebab e con speck, per es. kebab, Svizzera, per 100 g, 2.35 invece di 2.95

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1.75 invece di 2.50 Fettine coscia di maiale TerraSuisse imballate, per 100 g

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5.10 invece di 6.40 Bratwurst bio Svizzera, 2 pezzi, 280 g

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5.95 invece di 8.55 Prosciutto cotto paesano Malbuner in conf. da 2 Svizzera, 2 x 138 g

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1.60 invece di 2.30

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Orata 300–600 g Grecia, per 100 g, fino all’8.7

Fettine di pollo Optigal alla minute Svizzera, in vaschetta, per 100 g

conf. da 3

30%

6.90 invece di 9.90 Minipic in conf. da 3 Svizzera, 3 x 90 g

30%

15.80 invece di 23.10 Salmone affumicato bio in conf. speciale d’allevamento, Irlanda/Scozia/Norvegia, 260 g

30% Filetto di salmone bio, fresco per es. con pelle, d’allevamento, Norvegia/Irlanda, per 100 g, 3.20 invece di 4.60, fino all’8.7


. to a rc e m l a e m o c a z La freschez 40%

4.15 invece di 6.95

Consiglio

Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g

50%

7.80 invece di 15.60 Hamburger di vitello Svizzera, in conf. da 4 x 100 g / 400 g

40%

3.80 invece di 6.40 Costata di manzo TerraSuisse imballata, per 100 g

UN TOCCO CROCCANTE Gli spiedini di pollo alla griglia, succosi e ben insaporiti, sono la gioia di grandi e bambini. Soprattutto se accompagnati da una croccante insalata mediterranea con crostini e limone. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

20% Spiedini di pollo Optigal* kebab e con speck, per es. kebab, Svizzera, per 100 g, 2.35 invece di 2.95

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Orata 300–600 g Grecia, per 100 g, fino all’8.7

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2.50 invece di 4.30 Tomino del boscaiolo con speck conf. da 195 g

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2.35 invece di 2.95 Burro mezzo grasso Léger 200 g

30% Tutto l’assortimento di formaggi Auricchio per es. dolce a fette, conf. da 100 g, 1.55 invece di 2.25

20%

20%

4.30 invece di 5.40 Mozzarella Galbani in conf. da 3 3 x 150 g

20% Tutti i formaggi da grigliare e rosolare per es. Cheese Steak Grill Mi, 2 pezzi, 2 x 110 g, 4.60 invece di 5.80

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.7 AL 10.7.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Cetrioli bio Svizzera, il pezzo

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Formagín ticinés e grottini (Formaggini ticinesi e grottini) conf. da 2, al kg

2.80 invece di 4.70

Insalata Alice Anna’s Best conf. da 250 g

1.70 invece di 2.60

Formaggio di montagna dei Grigioni piccante bio per 100 g

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4.60 invece di 6.90 Lamponi extra Svizzera/Portogallo, conf. da 250 g

Pomodori ramati Ticino, al kg

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2.50 invece di 3.90 Patate novelle bio Svizzera, in busta da 1 kg

25%

4.40 invece di 5.90 Ciliegie Svizzera, imballate, 500 g

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1.25 invece di 1.60 Foglia di quercia rossa o verde Ticino, al pezzo

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Tutte le millefoglie per es. M-Classic, 2 pezzi, 2 x 110 g, 2.30 invece di 2.90

CLASSICHE BONTÀ PER NUOVI ABBINAMENTI Il palato ha voglia di novità? Allora provate a servire i nidi alle nocciole, i discoletti o gli amaretti con un latte alla curcuma. Questa deliziosa bevanda, detta anche latte d’oro, esalta la dolcezza dei biscotti tanto quanto il tè o il caffè. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

20% Mezza panna acidula, mezza panna per salse e latte acidulo M-Dessert Valflora per es. mezza panna acidula, 180 ml, –.90 invece di 1.15

33% Nidi alle nocciole, discoletti e amaretti al cocco, in conf. da 2 per es. nidi alle nocciole, 2 x 216 g, 4.15 invece di 6.20

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Philadelphia in conf. da 2 2 x 200 g

Tutte le confetture e le gelatine in vasetti e bustine da 185–500 g (Alnatura escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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40% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. zampe d’orso, 760 g, 3.50 invece di 5.90

33% Cialde finissime e biscotti Taragona M-Classic in conf. da 3 per es. cialde finissime, 3 x 150 g, 3.30 invece di 4.95

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a partire da 2 pezzi

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20% Pasta bio in conf. da 3 per es. agnolotti all’arrabbiata, 3 x 250 g, 11.70 invece di 14.70

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40% Pizza M-Classic in conf. da 4 per es. del padrone, 4 x 370 g, 11.50 invece di 19.20

20% Tutti i biscotti bio (Alnatura esclusi), per es. bastoncini integrali alle nocciole, 270 g, 2.80 invece di 3.55

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Branches Classic Noir Frey in conf. da 30, UTZ 30 x 27 g

50% Chips M-Classic in conf. speciale al naturale e alla paprica, per es. alla paprica, 400 g, 3.– invece di 6.–


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a partire da 2 confezioni

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– .5 0

di riduzione l’una Tutta la pasta Garofalo a partire da 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. fusillone, 500 g, 2.20 invece di 2.70

20% Ketchup Heinz in conf. da 2 Hot e Tomato, per es. Tomato, 2 x 700 g, 4.40 invece di 5.50

conf. da 3

33% Ripieno per vol-au-vent M-Classic in conf. da 3 Forestière o con funghi prataioli e carne, per es. con funghi prataioli e carne, 3 x 500 g, 8.10 invece di 12.15

conf. da 2

20%

20% Noci e noci miste Party in conf. da 2 per es. pistacchi, 2 x 250 g, 6.70 invece di 8.40

Tutta la frutta secca bio e tutte le noci bio (Alnatura esclusi), per es. pinoli, 100 g, 5.20 invece di 6.50

20% Tutti i sofficini ripieni M-Classic surgelati, per es. sofficini al formaggio, 6 x 60 g, 3.10 invece di 3.90

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6.05 invece di 12.10 Cornetti al prosciutto Happy Hour in conf. speciale surgelati, 24 x 42 g

conf. da 16

50% Tutti i tipi di Aquella e Aquella Taste in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Aquella verde, 1.65 invece di 3.30

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7.35 invece di 12.30 Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l regular e zero, per es. regular

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8.70 invece di 17.40 Cornetti Fun alla vaniglia e alla fragola in conf. da 16 surgelati, 16 x 145 ml

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Tutto l’assortimento di stoviglie Cucina & Tavola di porcellana e di vetro (prodotti Hit esclusi), a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 17.7.2017

conf. da 2

40% Carta per uso domestico Twist in conf. speciale per es. Deluxe, FSC, 12 rotoli, 8.80 invece di 14.70, offerta valida fino al 17.7.2017

20% Detergenti Migros Plus in confezioni multiple per es. crema detergente in conf. da 2, 2 x 500 ml, 5.60 invece di 7.–, offerta valida fino al 17.7.2017

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Altre offerte. Pesce, carne e pollame

Focaccia d’estate alle erbe, 360 g, 2.85 invece di 3.60 20%

Slip da donna Tai Sloggi 100 in conf. da 3, disponibili in nero o bianco e in diverse taglie, per es. bianchi, tg. 38, 29.80 Hit **

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Tutto l’assortimento Maybelline a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

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Phalaenopsis, 2 steli, in vaso da 12 cm, disponibile in diversi colori, la pianta, per es. fucsia, 5.– Hit Pane delle Alpi TerraSuisse, 380 g, –.40 di riduzione, 2.20 invece di 2.60

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Tutti i cereali in chicchi, i legumi, la quinoa e il couscous bio (Alnatura esclusi), per es. quinoa bianca Fairtrade, aha!, 400 g, 3.95 invece di 4.95 20%

Pane e latticini

a partire da 2 pezzi

Novità

Mitico Ice Tea al limone Bag-in-Box, UTZ, 5 l, 3.75 Novità *,**

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Teneri bocconcini Exelcat, pollo/volatili, manzo/agnello o salmone/tonno da 4 x 85 g oppure mix da 12 x 85 g Novità **

Rose dell’altopiano Fairtrade, mazzo da 9, lunghezza dello stelo 50 cm, in diversi colori, per es. rosse, 13.50 invece di 16.90 20%

Cake Minions, 850 g, 19.80 Hit

Bontà in gelatina al pollame Senior Exelcat, 4 x 100 g, 2.95 Novità ** Pigiama da donna Ellen Amber, Bio Cotton, disponibile in viola o pink, taglie S–XL, per es. pink, tg. S, il pezzo, 19.90 Hit **

Panini del mercato M-Classic, 4/280 g, 2.85 invece di 3.60 20%

Aproz Thé al rooibos e all’arancia, 50 cl e 6 x 50 cl, per es. 50 cl, 1.30 Novità *,**

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Idee e acquisti per la settimana

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Per capi bianchi Con Power Classic la biancheria conserva il suo colore grazie a un sistema di candeggio che protegge le fibre.

Per la biancheria colorata Power Color non contiene sbiancanti ottici. Il detersivo si comporta ottimamente con ogni tipo di temperatura.

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Nella confezione blu: Total Excellent Power Classic 1,69 kg Fr. 7.95* invece di 15.90

M-Industria crea molti prodotti Migros, tra i quali anche i detersivi Total.


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Idee e acquisti per la settimana

Lilibiggs

Ben & la Migros

Via libera a Ben

Ben spiega la Migros ai bambini

Perché è così? Come funziona? I bambini scoprono il mondo attraverso le domande. Anche la Migros è piena di misteri e segreti. Ben, il nuovo intelligente apprendista della Migros, amico dei Lilibiggs, risponde a tutte le domande dei bambini Testo Dora Horvath

Nei filmati della serie «Ben & la Migros» il diligente apprendista spiega il mondo Migros ai bambini. Per farlo, usa un linguaggio adatto ai più piccoli. I video non trasmettono solo nozioni, ma hanno anche un alto valore ludico. Oltre

ai film «aziendali» ci sono anche divertenti scenette (fun clip), dove Ben mostra il suo lato spiritoso e creativo. Inoltre, in un video Ben presenta ai bambini il suo primo giorno di lavoro. I filmati con Ben sono in tedesco con sottotitoli in italiano.

Tutti i video di Ben e i Lilibiggs su: www.lilibiggs.ch Jette Larsen Bozinov è responsabile di progetto del programma per bambini Lilibiggs.

1

Nina è una ricercatrice piena di spirito, nonché un’accanita lettrice di libri. Infatti, legge qualsiasi cosa, dai romanzi d’avventura alle storie su animali, persone e scoperte.

Perché la cassa fa bip? In questo filmato Ben spiega che su ogni imballaggio c’è stampato un codice a barre. Il codice viene letto dal laser dello scanner. Il suono serve a segnalare alla cassiera che l’apparecchio ha rilevato e riconosciuto il prodotto.

2 Tobi quasi impazzisce di gioia quando annusa frutta o verdura. Quando ha bisogno di fare una pausa, si addormenta di colpo russando rumorosamente.

Hugo è sempre in prima fila quando si tratta di giocare. Ed è un vero re del bricolage. Inventa un sacco di cose divertenti e adora quando qualcosa sibila e si schianta. Nina è la sua fedele spalla.

3

Ben è l’intelligente apprendista della Migros. Per i Lilibiggs è quasi un fratello maggiore, perché ha una risposta a ogni loro domanda. Immortala le sue avventure in filmati che si possono vedere su www.lilibiggs.ch o su youtube.com.

Il variegato programma Lilibiggs della Migros

Sul sito Internet dei Lilibiggs i bambini possono giocare e divertirsi, esprimere la loro creatività e imparare molte cose interessanti. Attività e contenuti dovrebbero promuovere lo sviluppo dei bambini.

La rivista per bambini della

Ecco il nuovo giornalino dei Lilibiggs: più colorato, divertente e avvincente!

Edizione 1/2017

Estate, sole, giochi e divertimento

Concorso!

3, 2, 1:

«Benarrivato, Ben!»

Importante: riciclaggio Idee per un mondo più verde

I migliori compagni per la piscina

www.lilibiggs.ch

Il giornalino dei Lilibiggs è ideato per bambini tra i sei e i nove anni e non contiene pubblicità. Tratta temi della Migros come il riciclaggio o i registratori di cassa. I membri di Famigros ricevono la rivista tre volte l’anno come allegato del giornale della Migros Azione. Il giornalino è disponibile anche online sul sito dei Lilibiggs.

Il menù dei Lilibiggs è disponibile nei ristoranti Migros per Fr. 6.50. i bambini possono comporre il loro menù personale scegliendo tra tutta l’offerta. Il prezzo include una bevanda, un regalo Lilibiggs o un gelato, oltre al giornalino dei Lilibiggs. In alcuni ristoranti c’è anche un angolo giochi.

Test dei giocattoli Ben fa visita ai suoi due amici che testano i giocattoli, Lars e Sophia. E provano assieme i giochi per l’estate della Migros.

Cosa significano le cifre sotto il codice a barre? In una divertente clip Ben suddivide il codice a barre di un imballaggio. Questi filmati denominati «fun clip» sono più brevi degli altri e mostrano il lato spiritoso e creativo di Ben.

I prodotti Lilibiggs sensibilizzano i bambini a nutrirsi in modo equilibrato, basandosi sulla piramide alimentare. L’assortimento Lilibiggs della Migros offre un’ampia gamma di diversi prodotti, suddivisi in porzioni adatte ai bambini e confezionati con originalità.

Jette Larsen Bozinov

«I Lilibiggs devono far divertire i bambini» Chi sono i Lilibiggs? Con i personaggi di Tobi, Hugo e Nina i Lilibiggs sono il programma per bambini della Migros. I contenuti dovrebbero farli divertire, informarli e stimolarne la creatività. A chi si rivolgono i personaggi Lilibiggs? Ai bambini tra i tre e i nove anni. Nina, Hugo e Tobi sono i loro amici e comunicano con loro da pari a pari. Cosa offre questo programma? Sulla pagina iniziale del sito web dei Lilibiggs i bambini trovano i filmati di «Ben & la Migros», idee per il bricolage, giochi a premi e molto altro ancora. Inoltre, il programma comprende il giornalino dei bambini, il menù Lilibiggs nei ristoranti Migros e le casse Lilibiggs in alcune filiali. In occasione di determinati eventi stagionali come San Nicolao, alcune panetterie di filiale realizzano dei dolcetti per i bimbi. Infine, c’è anche un mondo di prodotti Lilibiggs nel settore alimentare e dell’igiene dentale.


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Idee e acquisti per la settimana

Lilibiggs

Ben & la Migros

Via libera a Ben

Ben spiega la Migros ai bambini

Perché è così? Come funziona? I bambini scoprono il mondo attraverso le domande. Anche la Migros è piena di misteri e segreti. Ben, il nuovo intelligente apprendista della Migros, amico dei Lilibiggs, risponde a tutte le domande dei bambini Testo Dora Horvath

Nei filmati della serie «Ben & la Migros» il diligente apprendista spiega il mondo Migros ai bambini. Per farlo, usa un linguaggio adatto ai più piccoli. I video non trasmettono solo nozioni, ma hanno anche un alto valore ludico. Oltre

ai film «aziendali» ci sono anche divertenti scenette (fun clip), dove Ben mostra il suo lato spiritoso e creativo. Inoltre, in un video Ben presenta ai bambini il suo primo giorno di lavoro. I filmati con Ben sono in tedesco con sottotitoli in italiano.

Tutti i video di Ben e i Lilibiggs su: www.lilibiggs.ch Jette Larsen Bozinov è responsabile di progetto del programma per bambini Lilibiggs.

1

Nina è una ricercatrice piena di spirito, nonché un’accanita lettrice di libri. Infatti, legge qualsiasi cosa, dai romanzi d’avventura alle storie su animali, persone e scoperte.

Perché la cassa fa bip? In questo filmato Ben spiega che su ogni imballaggio c’è stampato un codice a barre. Il codice viene letto dal laser dello scanner. Il suono serve a segnalare alla cassiera che l’apparecchio ha rilevato e riconosciuto il prodotto.

2 Tobi quasi impazzisce di gioia quando annusa frutta o verdura. Quando ha bisogno di fare una pausa, si addormenta di colpo russando rumorosamente.

Hugo è sempre in prima fila quando si tratta di giocare. Ed è un vero re del bricolage. Inventa un sacco di cose divertenti e adora quando qualcosa sibila e si schianta. Nina è la sua fedele spalla.

3

Ben è l’intelligente apprendista della Migros. Per i Lilibiggs è quasi un fratello maggiore, perché ha una risposta a ogni loro domanda. Immortala le sue avventure in filmati che si possono vedere su www.lilibiggs.ch o su youtube.com.

Il variegato programma Lilibiggs della Migros

Sul sito Internet dei Lilibiggs i bambini possono giocare e divertirsi, esprimere la loro creatività e imparare molte cose interessanti. Attività e contenuti dovrebbero promuovere lo sviluppo dei bambini.

La rivista per bambini della

Ecco il nuovo giornalino dei Lilibiggs: più colorato, divertente e avvincente!

Edizione 1/2017

Estate, sole, giochi e divertimento

Concorso!

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«Benarrivato, Ben!»

Importante: riciclaggio Idee per un mondo più verde

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Il giornalino dei Lilibiggs è ideato per bambini tra i sei e i nove anni e non contiene pubblicità. Tratta temi della Migros come il riciclaggio o i registratori di cassa. I membri di Famigros ricevono la rivista tre volte l’anno come allegato del giornale della Migros Azione. Il giornalino è disponibile anche online sul sito dei Lilibiggs.

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I prodotti Lilibiggs sensibilizzano i bambini a nutrirsi in modo equilibrato, basandosi sulla piramide alimentare. L’assortimento Lilibiggs della Migros offre un’ampia gamma di diversi prodotti, suddivisi in porzioni adatte ai bambini e confezionati con originalità.

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«I Lilibiggs devono far divertire i bambini» Chi sono i Lilibiggs? Con i personaggi di Tobi, Hugo e Nina i Lilibiggs sono il programma per bambini della Migros. I contenuti dovrebbero farli divertire, informarli e stimolarne la creatività. A chi si rivolgono i personaggi Lilibiggs? Ai bambini tra i tre e i nove anni. Nina, Hugo e Tobi sono i loro amici e comunicano con loro da pari a pari. Cosa offre questo programma? Sulla pagina iniziale del sito web dei Lilibiggs i bambini trovano i filmati di «Ben & la Migros», idee per il bricolage, giochi a premi e molto altro ancora. Inoltre, il programma comprende il giornalino dei bambini, il menù Lilibiggs nei ristoranti Migros e le casse Lilibiggs in alcune filiali. In occasione di determinati eventi stagionali come San Nicolao, alcune panetterie di filiale realizzano dei dolcetti per i bimbi. Infine, c’è anche un mondo di prodotti Lilibiggs nel settore alimentare e dell’igiene dentale.


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Idee e acquisti per la settimana

Fanjo

La cura miracolosa Con le loro fragranze variegate, i gel da doccia della linea Fanjo curano la pelle e garantiscono momenti rilassanti in sala da bagno. L’edizione limitata «RainWow Shower Peeling» introduce nella gamma una nota di tendenza: il suo profumo di frutta infonde freschezza, mentre i soffici granelli di cellulosa rendono la pelle morbida e vellutata.

Fanjo Shower Gel Coconut 300 ml Fr. 2.60

Edizione limitata RainWow Shower Peeling di Fanjo Fanjo RainWow shower peeling 200 ml Fr. 2.80

Fanjo Shower Gel Vanilla & Lemon 300 ml Fr. 2.60

Suggerimento

Rimuovere le cellule cutanee morte, stimolare la microcircolazione e ottenere una superficie della pelle uniforme. Ecco come si fa: una volta alla settimana eseguite il peeling massaggiando la pelle inumidita con delicati movimenti circolari, poi risciacquate a fondo. Il rito viene completato cospargendosi con una lozione idratante per il corpo.

Fanjo Shower Gel Exotic Mango 300 ml Fr. 2.60

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i gel da doccia di Fanjo.


La natura sa cosa fa bene.

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20% Tutti i tipi di senape, maionese e ketchup bio (Alnatura esclusi), per es. maionese, 265 g, 1.75 invece di 2.20


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Plus

Pulito sostenibile

Potenti contro lo sporco, delicati con la natura: i detersivi per il bucato e le stoviglie di Migros Plus sono composti da materie prime naturali e rinnovabili. E sono biodegradabili almeno al 97 percento Denise Stirnimann è manager del settore Prodotti di lavaggio, pulizia e carta di Migros.

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Denise Stirnimann

«Pulire correttamente preserva l’ambiente»

su tutti i prodotti di Migros Plus* fino al 10 luglio

Cosa consiglia contro le macchie sui tessuti? Per le macchie di sudore, d’inchiostro o di ruggine consiglio il pretrattamento con l’aceto detergente di mele di Migros Plus. Successivamente, l’indumento va messo in una soluzione di acqua e detersivo Migros Plus per capi colorati e lavato normalmente. Questo accorgimento funziona con tutti gli articoli tessili senza viscosa. Come si conserva la brillantezza dei colori? Anche qui, prima di lavare i tessuti con il detersivo per capi colorati bisogna immergerli nell’aceto detergente di mele di Migros Plus, che stabilizza i colori e ne conserva a lungo la brillantezza. Come si evitano le striature sulle finestre appena pulite? In linea di massima, le finestre dovrebbero essere lavate velocemente e quando non splende il sole. Consiglio di lavarle dapprima con raschietto e acqua calda, poi di lucidarle e asciugarle con carta casa e detergente per vetri. E come si fa a tirare a lucido la griglia? La miglior cosa è di pulirla appena si raffredda. Altrimenti, consiglio di sciogliere in acqua una pastiglia di Migros Plus Mini Tab per lavastoviglie (indossando i guanti!) e di lasciarvi a mollo la griglia per un paio d’ore.

Il detersivo per capi colorati di Migros Plus contiene l’estratto di noce saponaria e altri agenti naturali. Lava in profondità le fibre, preservando i colori e l’ambiente. Migros Plus Detersivo per capi colorati 1,5 l Fr. 11.50

Grazie alla sua formula speciale, il detergente per lavare le stoviglie a mano agisce con forza contro il grasso anche in acqua fredda, risparmiando così energia rispetto al lavaggio in acqua calda. I principi attivi dell’Hamamelis (amamelide) e di altri componenti proteggono la pelle. Migros Plus Detergente per stoviglie con Hamamelis 750 ml Fr. 3.05

*ad eccezione degli articoli già scontati


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Idee e acquisti per la settimana

Yvette

Protegge le fibre e la pelle

Yvette Sensitive è extra dolce e si prende cura della pelle. Il suo uso è specialmente consigliato alle persone con l’epidermide irritabile per il bucato dei capi delicati. Pulisce efficacemente ma senza additivi né sbiancanti ottici. Come tutti i detersivi delicati Yvette, anche Sensitive protegge le fibre dei tessuti ed è adatto anche per il bucato a mano.

Yvette Sensitive Busta di ricarica 1,5 l Fr. 8.50 Nelle maggiori filiali

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Novità Con estratto di rooibos e arancia rinfrescante. Aproz Thé al rooibos e all’arancia, 50 cl e 6 x 50 cl* per es. 50 cl, 1.30

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Idee e acquisti per la settimana

Gomme da masticare

Un mito da masticare

Gli amanti dei mitici gelati da passeggio nella confezione con la foca possono da subito gustare anche fuori stagione il dolce gusto della vaniglia. È infatti disponibile una nuova gomma da masticare con l’inconfondibile gusto di vaniglia del gelato della foca. La cicca può essere portata dappertutto senza che si sciolga e senza la necessità di mantenerla al freddo. In ufficio, in treno o mentre ci si reca a un appuntamento, la gomma da masticare è sempre pronta all’uso, senza mani appiccicose o macchie sui vestiti. La gomma da masticare è senza zucchero e si prende cura dei denti.

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Una famiglia di pile ricca di energia – ora anche numero uno al test

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