L’esperienza in Sri Lanka di due studentesse in Cure infermieristiche della SUPSI
Gli eredi di Charlie Kirk rilanciano il progetto in sette punti per conquistare gli Stati Uniti
ATTUALITÀ Pagina 19
Il maestro svizzero Richard Paul Lohse celebrato con una restrospettiva al MASI di Lugano
CULTURA Pagina 23
Lunga vita al maschio beta
Le strane conversioni dei potenti
Carlo Silini
Fino all’altro ieri, Putin era un affilato comunista del KGB, obbligatoriamente ateo e, come tale, mangiapreti (forse mangia-pope, visto il contesto). Oggi, dopo un’invisibile conversione – lui sostiene di essere stato battezzato in segreto da bambino – promuove un legame osmotico tra Stato e Chiesa ortodossa russa, parlando di «sinfonia» tra potere politico e religioso. Un pio guerrafondaio, insomma. Netanyahu era un ebreo religiosamente tiepido (secondo diverse fonti, non ha nemmeno celebrato il Bar Mitzvah, la cerimonia di iniziazione religiosa ebraica) e oggi, seguendo i suoi alleati ultraortodossi, sposa versetti della Tanàkh (la Bibbia ebraica, Primo libro di Samuele 15:3) per giustificare l’escalation militare su Gaza: «Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini». Bisogna ammettere che Israele quel versetto lo applica con devota fermezza.
Trump era un presbiteriano più incline al peccato che alla redenzione. E durante le esequie di Charlie Kirk, l’influencer MAGA ucciso con un colpo d’arma da fuoco il 10 settembre, ha pronunciato un discorso che, pezzo dopo pezzo, si rimangia la laicità su cui si fonda l’America moderna: «Rivogliamo Dio indietro», ha detto, invocando un ritorno della religione nella vita pubblica americana. Ma dovrà cimentarsi con qualche ripasso del catechismo, visto che ha aggiunto, assai poco evangelicamente: «Io odio i miei avversari e non auguro loro il meglio». L’avevamo intuito. La libertà religiosa è il cuore della tradizione liberale democratica: le nostre Costituzioni nascono proprio per evitare che una religione domini sulle altre o che lo Stato imponga una sua fede. Sono passati quasi 500 anni dal principio «cuius regio, eius religio» («di chi è il regno, di quello sia la religione») e ci sono voluti secoli, e molte sanguinose guerre di religione, perfino in Svizzera, per sancire il diritto alla libertà di coscienza e di religione.
Nell’esercizio del proprio mandato popolare, i politici devono saper inserire le proprie credenze nel contesto della laicità. Per un rappresentante del popolo, le leggi del suo dio sono sacre, ma non possono scavalcare quelle degli uomini. Non perché siano meno vere o meno importanti, ma perché in uno Stato di diritto la società è composta da credenti e non credenti, da atei, agnostici, fedeli a una religione e credenti di altre religioni, e sarebbe iniquo imporre a un intero corpo sociale il pensiero e i dogmi dei suoi capi politici. Succede solo nei Paesi fondamentalisti, di cui nessuno approva l’arbitrio mistico (si fa per dire). Non ci sembra il caso, dopo tanti anni di denunce più che giustificate contro alcuni regimi liberticidi islamici, di passare a una Sharia anti-laica in salsa giudeo-cristiana. Da una parte, chi governa non può cancellare le religioni, dall’altra non deve utilizzarne una a sua immagine e somiglianza, per ridurre al silenzio i nemici (o la ragione).
Spericolati e scenografici: a Bulle si sono svolti i Mondiali di Wheelchair Motocross
TEMPO LIBERO Pagina 35
Un nuovo sito per «Azione», più vivace e più aggiornato
Care lettrici e care lettori, probabilmente siete ancora fra coloro che di un giornale amano la carta, le foto e il semplice fatto di poterlo sfogliare. Se però vi dovesse capitare di trovarvi fuori casa, di andare di fretta o di volere consultare velocemente una notizia, potete collegarvi anche al nostro sito internet. Su www.azione.ch non troverete solo notizie di vostro interesse che spaziano dall’attualità alla società, passando per tempo libero, cultura e Mondo Migros, ma anche un sito aggiornato e fresco: buona navigazione!
Romina Borla Pagina 17
Freepik
Dare forma al futuro
Fondo pionieristico ◆ Raffael Wüthrich sogna un avvenire positivo per tutti. Per sapere quali idee si celino nella mente degli altri, ha fondato Monda Futura, sostenuto dal Fondo pionieristico Migros
Nina
Huber
Raffael Wüthrich è un benefattore. Tuttavia, sarebbe sbagliato liquidarlo come un utopista. Dedica tutto il suo tempo e il suo denaro a realizzare i suoi sogni di un mondo migliore. Un esempio è la grande casa contadina in cui vive nel Canton Berna. Seduto al lungo tavolo, spiega come ha acquistato la proprietà insieme a degli amici e a 60 soci di una cooperativa abitativa. Wüthrich vive qui con la moglie e le due figlie (otto anni e sei mesi), per un totale di 21 adulti e dieci bambini. Il più giovane residente ha poche settimane di vita, quella più anziana quasi 70 anni.
L’ex stalla è stata trasformata in piccole unità abitative. Il fulcro della casa contadina è la sala comune con la grande cucina e il tavolone. «Per gli appartamenti abbiamo scelto delle cucine semplici, in modo da invogliare le persone a mangiare nella sala comune», spiega Wüthrich. Della cucina e del bucato ci si occupa a rotazione, grazie a un’app.
Far sognare gli altri
A livello professionale, il 39enne di Berna si dedica interamente alla visione secondo cui il futuro debba essere più degno di essere vissuto rispetto al presente. Per quasi dieci anni ha lavorato nella tutela dei consumatori e si è impegnato a favore di diverse iniziative popolari. È stato cofondatore di un Repair Café a Berna, dove gli apparecchi difettosi vengono riparati gratuitamente: oggi ce ne sono oltre 200 in Svizzera. Anche il Leihbar di Berna, dove si possono prendere in prestito oggetti come trapani o tende, è stata una sua iniziativa. Due anni fa, quando gli è stato of-
ferto un posto di lavoro in una grande media company svizzera, ha illustrato a un imprenditore la sua idea: Monda Futura. «Quanto ti serve?», gli ha chiesto l’imprenditore, dando così il via al progetto. Venuto a conoscenza del progetto, il Fondo pionieristico Migros ha deciso di sostenerlo finanziariamente. «Vogliamo scoprire il denominatore comune per un futuro degno
Raffael Wüthrich davanti alla casa contadina che è anche cooperativa abitativa. (Florian Spring)
di essere vissuto in Svizzera», afferma Wüthrich. A tal fine, Monda Futura conduce sondaggi in ogni parte del Paese. Questi si svolgono nell’ambito di workshop, poiché solo poche persone sono in grado di dire spontaneamente come immaginano un futuro di questo tipo. «Nel corso di tali eventi ci prendiamo un po’ di tempo affinché i partecipanti inizino a sognare», spiega. La situazione attuale
Fondo pionieristico Migros – migliorare il futuro
Se volete portare avanti la vostra azienda o il vostro progetto, avete bisogno di coraggio e denaro. Il Fondo Pionieri Migros si occupa di questo dal 2012. Il team che sta dietro al fondo è alla ricerca di giovani aziende promettenti che vogliono risolvere una sfida sociale e creare un cambiamento positivo con idee imprenditoriali innovative. Il fondo dispone di un budget annuale di circa 15 milioni di franchi svizzeri ed è sostenuto da aziende del Gruppo Migros come Denner, Banca Migros, Migrol, migrolino ed Ex libris. engagement.migros.ch/it
Una storia di famiglia
Amarcord ◆ Chi riconosce questa località?
Sono molte le nostre lettrici e molti i nostri lettori che in occasione dei 100 anni dalla fondazione di Migros ci hanno contattato per condividere un ricordo o un’esperienza che li lega particolarmente all’azienda. Grazie a una serie di iniziative private, siamo dunque giunti in possesso di diverse storie, che vi abbiamo a mano a mano raccontato su queste pagine.
Fra queste vi è anche quella della signora Sonia, nativa di Cagiallo (i suoi genitori sono di origini svizzero tedesche), già infermiera psichiatrica presso l’OSC di Mendrisio e oggi attiva come eutonista. Nella famiglia di Sonia si coltiva una vera e propria passione per le cose antiche e vintage,
come raccontano le insegne di metallo di vecchie cioccolaterie elvetiche come Sprüngli, ma anche come testimoniano le fotografie che ha deciso, con grande generosità, di donare alla redazione di «Azione».
Nella prima si vede Erika Mohni (classe 1924), madre di Sonia che, insieme al Signor Panzer, serviva parte del Luganese a bordo del camion vendita Migros. Nella seconda si vede il camion Ford TT mentre viene
accolto con gioia dalle e dai clienti al proprio arrivo. Ed è qui che abbiamo bisogno del vostro aiuto: qualcuno riconosce la località raffigurata nell’immagine? Si tratta di un luogo familiare? Sonia vorrebbe tanto saperlo, per dare una collocazione alle immagini ereditate dalla madre. Se foste in possesso di questa informazione, non esitate a comunicarcela, mandando una mail a giochi@azione.ch
Grazie per la vostra collaborazione!
Qualcuno riconosce questa località? Siamo alla ricerca di informazioni. (Morell)
La motivazione di Wüthrich nasce da una crisi personale. Dopo aver studiato comunicazione e giornalismo, aveva un impiego ben retribuito, con tanto di auto aziendale e seconda casa a Zurigo. «Lavoravo troppo. E per sentirmi vivo, nei fine settimana non facevo che festeggiare», racconta. Più andava avanti, però, più diventava infelice. Finché non ha lasciato il lavoro. Per otto mesi ha riflettuto sulle grandi domande esistenziali: perché lavoriamo così tanto nonostante i progressi tecnologici?
Perché i tassi di burnout e di suicidio sono più alti proprio nei Paesi industrializzati e ricchi? «Sono diventato un cittadino del mondo molto critico», afferma. Questo ha portato alla convinzione che un avvenire degno di essere vissuto sia possibile per tutti, ma solo se lo affrontiamo insieme. I sondaggi di Monda Futura dureranno fino a novembre. Il passo successivo avrà luogo nella primavera del 2026: gli scenari sviluppati dalle analisi saranno messi ai voti per determinare le visioni che suscitano più entusiasmo. Con questo «consenso della Svizzera per il futuro», Wüthrich e il suo team di quattro persone vogliono realizzare progetti concreti con aziende, Comuni e organizzazioni. Monda Futura collabora già con organizzazioni come la commissione di quartiere Länggasse-Engehalbinsel di Berna e il progetto zukunft.bahnhof di Lichtensteig.
Percorrere nuove strade Wüthrich si alza ed entra nel grande giardino con parco giochi, un’accogliente area barbecue, alberi da frutto, aiuole di fiori e ortaggi e una serra con 30 varietà di pomodori. Mentre raccoglie alcune more, osserva: «Bisogna uscire dal seminato per scoprire cose nuove». Detto da lui non sembra una banalità, ha proprio il dono di convincere il prossimo della bontà delle proprie idee. Prende un vaso di ribes bianco e lo regala al fotografo per il suo giardino. «Gli esseri umani sono capaci di fare cose orribili o meravigliose. La questione è cosa vogliamo come società e quali condizioni quadro creiamo per ottenerlo», afferma. Personalmente, ha trovato il suo piccolo angolo di paradiso, che ama coltivare e condividere con gli altri. Per lui è chiaro: «Se conosciamo la visione condivisa della società e ne traiamo progetti concreti, possiamo realizzare un futuro degno di essere vissuto da tutti».
Gite d’autunno
La sezione ticinese di Forum elle (piattaforma di scambio femminile apartitica, aconfessionale e indipendente), con le sue oltre 270 socie è particolarmente attiva e, sotto la direzione di Gaby Malacrida, presidente della sezione ticinese, offre numerosi incontri di natura varia. In calendario per i mesi autunnali vi sono tre imperdibili appuntamenti che vi permetteranno di scoprire luoghi ameni a pochi passi da casa, ma anche perle della vicina Lombardia.
Giovedì 9 ottobre 2025
Gita in torpedone di una giornata intera con visita all’Abbazia di Morimondo. L’abbazia, che si affaccia sul Naviglio, fu fondata dai monaci cistercensi provenienti dalla Francia nel XII secolo. Tappa pomeridiana a Vigevano alla scoperta della magnifica piazza.
Mercoledì 22 ottobre 2025
Passeggiata nel Mendrisiotto, dove si visiteranno il Mulino del Daniello e il Parco della Breggia. La visita avrà luogo il mattino e il gruppo sarà accompagnato da una guida.
Mercoledì 12 novembre 2025
Visita guidata alla mostra Armani Privé negli Armani Silos di Milano. Gita di una giornata intera con possibilità di giro in città al termine della mostra.
Diventare socie e info varie Per diventare socie di Forum elle visitate il sito www.forum-elle.ch, sezione Ticino: oltre al formulario di iscrizione troverete l’elenco completo degli appuntamenti passati e futuri. simona.guenzani@forum-elle.ch Tel. 091 923.82.02
Facciata dell’abbazia di Morimondo. (Wikipedia)
SOCIETÀ
Un’IA al servizio della società
Il Premio Möbius si interroga sul rapporto tra giovani e democrazia e premia Maria Grazia Giuffreda, direttrice associata del CSCS
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Mondoanimale
Gli studiosi hanno dimostrato che la nostra paura nei confronti dei serpenti è una vera e propria predisposizione evolutiva
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Curare attraverso sguardi e gesti
IBSA compie 80 anni
L’azienda farmaceutica ticinese festeggia tre compleanni: nata 80 anni fa, da 40 è guidata da Arturo Licenziati che spegne 90 candeline
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Incontri ◆ La testimonianza di Anna Pucci e Arianna Curiale, 24enni oggi in possesso di un Bachelor SUP in Cure infermieristiche, partite per tre mesi di esperienza in Sri Lanka
Stefania Hubmann
Sono i rapporti umani a emergere quale aspetto centrale di una crescita personale e professionale derivante da uno stage all’estero durante la formazione in ambito sanitario. L’esperienza in un Paese lontano dalla Svizzera per posizione geografica, cultura e sviluppo aiuta a lavorare in condizioni diverse e appunto a concentrarsi sulla relazione con le persone, siano esse colleghe e colleghi o destinatari delle prestazioni offerte. La testimonianza di Anna Pucci e Arianna Curiale, 24enni oggi in possesso di un Bachelor SUP in Cure infermieristiche rilasciato dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), mostra la ricchezza di questo tipo di esperienza nonché l’impatto di quest’ultima sulle attività associative del nostro cantone. Le due giovani infermiere sono infatti partite per tre mesi lo scorso anno nell’ambito di un progetto organizzato dalla SUPSI con l’associazione Helianto (con sede a Giubiasco) che proprio quest’anno festeggia i vent’anni di attività umanitaria concentrata in prevalenza nello Sri Lanka.
«Abbiamo lavorato in cliniche neonatali, reparti pediatrici e ambulatori per pazienti con malattie croniche, visite a domicilio e programmi di educazione sanitaria nelle scuole»
Anna Pucci e Arianna Curiale durante il soggiorno ad Aluthgama –base operativa di Helianto a sud della capitale Colombo – hanno ampliato le loro competenze infermieristiche attraverso attività pratiche e di osservazione in diversi contesti sanitari. «Abbiamo lavorato in cliniche neonatali, reparti pediatrici e ambulatori per pazienti con malattie croniche, come pure nell’ambito di visite a domicilio e di programmi di educazione sanitaria nelle scuole», raccontano le due giovani infermiere attualmente alla ricerca di un posto di lavoro in Ticino. Ciò che le ha colpite maggiormente è però la calorosa accoglienza ricevuta dal personale e dalla popolazione locali. Proseguono all’unisono: «Medici e infermieri si sono sempre dimostrati disponibili a condividere le loro conoscenze e a rispondere alle nostre domande. In particolare siamo state seguite da un’infermiera che ha funto da mentore, accompagnandoci, oltre che nell’ambito professionale, nell’organizzazione delle gite e invitandoci anche a casa sua. La comunicazione verbale con i pazienti è invece stata più difficile, perché pochi erano in grado di parlare inglese. Per questo abbiamo cercato di imparare un po’ di
singalese, annotando su un taccuino le parole più importanti e cercando di comporre alcune frasi basilari». «Dove non arrivavano le parole, compensava però il linguaggio non verbale –aggiunge Anna Pucci – che permette attraverso gli sguardi e la delicatezza dei gesti di far capire ciò che si vuole trasmettere, l’aiuto che si vuole portare». Per Anna questo è stato uno degli aspetti più arricchenti dell’esperienza nello Sri Lanka, dove le due giovani sono entrate in contatto con la fragilità e l’intimità domestica di persone ammalate nel contesto di vita di un Paese in via di sviluppo. A questa realtà erano però state preparate durante gli studi. Spiega al riguardo Arianna Curiale: «La formazione in Cure infermieristiche prevede tre anni di studio a tempo pieno comprensivi di quattro stage. Alle esperienze all’estero ci si avvicina attraverso un corso prima della partenza previsto durante il secondo anno che affronta i temi generali della cooperazione internazionale e permette di essere pronti sia dal punto di vista professionale che da quello personale». Dopo l’esperienza nello Sri Lanka Arianna, da sempre interessata ai viaggi e alla scoperta di nuove realtà, ha sfruttato ancora questa possibilità con un periodo di lavoro in Italia.
Agli stage formativi all’estero è legata la storia stessa di Helianto. Fondata nel 2005 a seguito della distruzione causata dallo tsunami che colpì lo Sri Lanka l’anno prima, l’associazione ha conosciuto alcuni anni fa un completo rinnovo del comitato. Quest’ultimo è ora composto da otto giovani sui 25-30 anni e da Saman Wjiendra Da Silva, persona di riferimento sul posto sin dalla fondazione dell’ente. Diversi i membri del comitato che hanno avuto esperienze di volontariato o di stage sull’isola dell’Oceano indiano attraverso Helianto, come la presidente Sharon Musatti, alla guida di Helianto dal 2019. «Sono partita nel 2014 per uno stage nell’ambito della mia formazione alla Scuola Specializzata per le Professioni Sanitarie e Sociali (SSPSS). Sono stata fra i primi ospiti della Guest House costruita dall’associazione ad Aluthgama. Concepita come casa d’accoglienza per madri e bambini, è stata riconvertita in casa per ospiti, siano essi stagisti, volontari o turisti. L’esperienza nello Sri Lanka mi ha portato ad interessarmi maggiormente all’attività dell’associazione diventando parte del comitato nel 2016. Fondato da Sergio “Seo” Arigoni, l’ente concentra il suo impegno nel combattere povertà, malattie e analfabetismo nell’infanzia. Cooperiamo con le autorità locali affinché diventino autonome nella
gestione dei progetti che promuoviamo. In vent’anni sono stati costruiti e mantenuti in buono stato otto scuole dell’infanzia e due ambulatori materno infantili». La presidente evidenzia al proposito il ruolo essenziale svolto sul posto dalla persona di riferimento. «Saman conosce bene il territorio, la popolazione e i bisogni, oltre a essere in contatto con le autorità. In comitato analizziamo attentamente le richieste e le proposte anche dal punto di vista dei rischi e della qualità. A questo scopo abbiamo ampliato le nostre conoscenze formandoci nella gestione di progetti di cooperazione e sviluppo».
Il sistema sanitario dello Sri Lanka è molto complesso, per cui non è semplice avviare progetti in questo ambito e nemmeno organizzare gli stage. Ancora Sharon Musatti: «Unitamente a Saman ho avviato molti incontri con le autorità locali, tra cui anche il segretario del Ministro della salute direttamente a Colombo, per garantire la possibilità agli studenti di praticare nelle strutture sanitarie, perché loro propendono per soggiorni di carattere osservativo. Questo ha reso possibile l’arrivo di Anna e Arianna.
Cercheremo di garantire nuovi posti di stage anche nei prossimi anni, intensificando la ricerca di nuove collaborazioni. L’attenzione per gli stage formativi è sempre stata una caratteristica dell’associazione, anche per volontà del precedente e iniziale comitato. Grazie all’impegno di un’arteterapista formatasi in Germania che fa parte del comitato, nel 2019 abbiamo collaborato con la Hochschule für Kunste im Sozialen di Ottesberg la quale ha inviato cinque studenti ad Aluthgama per proporre diverse attività artistiche a bambini fra i 6 e i 15 anni con lo scopo di stimolare la creatività e fornire loro nuovi mezzi di espressione».
L’associazione opera nelle zone rurali dove gli abitanti vivono di un’agricoltura di sussistenza e in genere la presenza di risorse governative è limitata rispetto ai centri urbani. È impegnata anche in ambito educativo e ha esteso l’attività di scambio culturale alle scuole dell’infanzia con il contatto fra bambini del Ticino e i piccoli allievi della scuola di Kanuwa fondata da Helianto. Partito dalla scuola di Ponte Capriasca, il progetto Ponte Arcobaleno è stato finora esteso a Lu-
mino. Uno scambio di disegni, favorito dai volontari che periodicamente si recano ad Aluthgama per conto di Helianto, permette ai più piccoli di scoprire vicendevolmente come si vive la quotidianità nei rispettivi Paesi. I volontari – oltre cento in vent’anni con un’età media che tende ad alzarsi verso i 25-30 anni – creano un legame solido fra le due comunità e come per gli stage formativi permettono di avvicinare i giovani all’attività dell’associazione.
Promuovere l’incontro e la comprensione fra culture diverse fin dalla prima infanzia, favorire l’approfondimento di questo spirito durante la formazione professionale, costituire a livello di comitato un gruppo forte e solidale che collabora con altri enti e cresce nelle competenze necessarie per lavorare in ambito internazionale, è la realtà di Helianto costruita dapprima per aiutare una popolazione colpita da una calamità, ma con il tempo trasformatasi anche in uno scambio arricchente per entrambe le parti.
Informazioni www.helianto.net
Anna Pucci e Arianna Curiale in Sri Lanka hanno lavorato anche a programmi di educazione sanitaria nelle scuole.
Scorte per l’inverno?
Attualità ◆ Con le nostre mele e patate svizzere da conservare in confezioni grandi è facile fare provviste. Tanto più che sono proposte a prezzi particolarmente vantaggiosi. Alcuni consigli e idee utili sui prodotti proposti
Le patate rosse Laura hanno una polpa farinosa e granulosa e si prestano ad essere conservate a lungo. Sono ottime per preparare gratin, patate arrosto, patate fritte e gnocchi.
Questa varietà di patate ad alto contenuto di amido è ideale per la preparazione di gratin, gnocchi, rösti e purè, in quanto, durante la cottura, si sfalda facilmente.
Patate dalla polpa soda con un contenuto limitato di amido resistenti alle lunghe cotture. Sono indicate per patate bollite con la buccia, insalate, patate al forno e baked potatoes.
Dolci e profumate, sono le mele preferite dai bambini per una pausa snack salutare. Oltre a essere buone, con la loro buccia splendente dal colore giallo-rosso sono anche belle da vedere. Ottime da sole e per dessert vari.
Le Golden sono tra le mele più amate da consumatori, che le apprezzano per la loro polpa croccante dal sapore aromatico e dolce. Sono ideali per il consumo crudo, ma si prestano bene anche per la preparazione di dolci, come strudel e torte.
Consigli di conservazione
Le mele e le patate a lunga conservazione sono disponibili in confezioni o sacchi da 2.5 kg, 10 kg o 15 kg. Una volta acquistati, i prodotti andrebbero stoccati in un luogo fresco e al riparo dalla luce, idealmente una cantina ben aerata e umida con una temperatura massima di 10 gradi. Con queste condizioni le mele si possono mantenere bene fino a tre mesi, mentre le patate anche sei mesi. Controllare regolarmente i prodotti eliminando quelli avariati o germogliati, per evitare di danneggiare gli altri. L’ideale sarebbe tenere in prodotti in cassette di legno forate, che permettono la circolazione dell’aria.
Un grande classico
Ottime cotte sotto forma di torte, strudel, composte o marmellate, le mele Boskoop si distinguono per la loro buccia rugosa di colore marrone-rossastro-giallo. La polpa possiede un sapore acidulo e zuccherino.
Attualità ◆ Il pollo grigliato della Migros è una specialità a cui è difficile resistere
Grazie alla sua consistenza succosa e al suo sapore speziato al punto giusto, il pollo al grill pronto da asporto della Migros è un classico intramontabile che fa venire l’acquolina in bocca solo al pensiero. Questa specialità viene preparata quotidianamente con cura nei reparti gastronomia, utilizzando polli svizzeri provenienti da allevamenti particolarmente rispettosi degli animali. È un piatto che assicura successo presso i commensali e che, oltretutto, si prepara in un baleno, semplicemente riscaldandolo per qualche minuto nel forno tradizionale o nel microonde. Accompagnandolo con una croccante insalata di stagione e delle patatine fritte, il pasto completo è subito pronto in tavola.
Il colore rosso vivo di questa varietà di mele nasconde una polpa succosa e dolce, molto croccante. È una mela che dà il meglio di sé consumata fresca, in quanto non si presta particolarmente bene alla cottura.
Voglia di pollo al cestello? Con il nostro pollo al grill e la salsa per pollo al cestello fai la scelta giusta e puoi portare in tavola velocemente questo piatto tanto amato. La tipica salsa a base di burro, panna e vino bianco è prodotta in Ticino dal pastificio L’Oste di Quartino. È sufficiente scaldarla brevemente nel forno a microonde e versarla direttamente sul pollo cotto. Buon appetito!
Ultime novità a firma Deborah Milano
Attualità ◆ Il noto marchio italiano presenta le ultime tendenze in fatto di make-up. In vendita nelle maggiori filiali Migros
Con l’arrivo dell’autunno, Deborah Milano lancia alcuni prodotti di alta qualità per un look perfetto in tutta semplicità. La celebre linea di Ombretti in stick 24Ore Color Power si arricchisce con quattro nuove nuance che assicurano un make-up occhi professionale e impeccabile per tutto il giorno, senza sbavature. La formula waterproof a lunga tenuta regala un colore intenso fin dalla prima passata. Grazie alla loro versatilità, posso-
no essere utilizzati come eyeliner, come ombretto per tutta la palpebra o come base per altri ombretti. Il pratico temperino integrato nel pack consente di affilare la mina mantenendo un’applicazione extra precisa in ogni momento. I colori disponibili sono intense taupe, brown, military green e burnt sienna. Anche la gamma di Mascara 24Ore Instant Maxi Volume si amplia con tre nuove referenze di grande impatto, extra black, blu elettrico e marrone cioccolato. Con la formula arricchita con ceramidi, fibre volumizzanti e microsfere di silice lo sguardo intenso e
magnetico è garantito fin dalle prime passate. Lo speciale applicatore permette un’applicazione precisa, confortevole e uniforme. Infine, ecco il Mascara Volume & Care Bio della linea Deborah Milano Formula Pura, che rappresenta una vera rivoluzione nel make-up biologico e vegano. A base di ingredienti naturali di alta qualità, offre un triplice effetto sulle ciglia: volume, lunghezza e curvatura perfetta. La sua formula è arricchita con olio di ricino, olio di jojoba e burro di Cupuaçu. È adatto agli occhi sensibili e ai portatori di lenti a contatto. L’applicatore in fibra è adatto a tutti i tipi di ciglia.
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L’ideale di un’IA orientata al bene comune
Società digitale ◆ La ventinovesima edizione del Premio Möbius si interroga sul rapporto tra le nuove generazioni e la democrazia
Barbara Manzoni
Nella società digitale il rapporto tra le nuove generazioni e la democrazia è un argomento cruciale. I giovani si sentono distanti dalle forme tradizionali di partecipazione politica? Quale rapporto hanno con l’informazione? L’intelligenza artificiale è un rischio o un’opportunità per la qualità del dibattito pubblico? Sono questi alcuni degli interrogativi sui quali rifletterà la ventinovesima edizione del Premio Möbius che si svolgerà a Lugano dal 2 al 4 ottobre presso l’Aula Magna dell’USI. Il ricco programma prenderà il via giovedì 2 ottobre con il MöbiusLAb Giovani realizzato in collaborazione con gli studenti del Liceo Lugano 1. La giornata di venerdì sarà invece interamente dedicata a Möbius Incontri mentre sabato saranno consegnati i diversi riconoscimenti. Tra questi il Grand Prix Möbius per l’IA al servizio della società sarà assegnato a Maria Grazia Giuffreda direttrice associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico che presenterà il ruolo strategico del supercomputer «Alps» e della Swiss AI Initiative nello sviluppo di un’Intelligenza artificiale affidabile, inclusiva e orientata al bene comune. L’abbiamo intervistata.
Maria Grazia Giuffreda, lei ha partecipato allo sviluppo del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS), una sfida iniziata anni fa a Manno e che ora vede all’opera «Alps», il vostro attuale supercomputer, ce la racconta?
Il CSCS è sempre stato, fin dal 2009, un centro che ha lavorato per essere innovativo e per cambiare il paradigma di chi faceva calcolo ad alta potenza. È stato il primo in Svizzera a installare una macchina di classe petaflop accelerata con le schede grafiche (GPU) per fare calcolo scientifico. Questa tecnologia nel 2013 era ancora abbastanza nuova e la nostra macchina si è rivelata la più potente in Europa per più di sei anni. I ricercatori scientifici in Svizzera hanno dovuto lavorare con noi per poter sfruttare questa tecnologia. Il CSCS all’epoca aveva scelto questa via perché voleva aumentare la potenza di calcolo senza aumentare il consumo energetico. Nessuno poteva immaginarsi, però, che 10 anni dopo, le schede grafiche sarebbero state assolutamente fondamentali per l’Intelligenza artificiale. Abbiamo poi firmato il contratto per comprare «Alps», una delle macchine più potenti al mondo per capacità di Intelligenza artificiale, alla fine del 2020. Nel 2022 c’è stato l’exploit della versione di ChatGPT che ha conquistato il mondo, così nel 2023 gli istituti di ricerca svizzeri si sono resi conto della grande opportunità che Alps avrebbe presentato e hanno creato quella che è stata chiamata la Swiss AI Initiative. Nel 2024 finalmente è arrivato «Alps».
In questo primo anno «Alps» su quali progetti ha lavorato? Qual è il primo bilancio?
In realtà non è ancora trascorso un anno, perché «Alps» è «entrato in produzione», come diciamo noi, a gennaio 2025, dopo una fase di controlli standard. Uno dei risultati più eclatanti è senz’altro stata la pubblicazione di Apertus, un Large Language Model svizzero. Questo se parliamo della parte di ricerca puramente legata all’IA. Per la parte scientifica bisogna dire, invece, che
sei mesi sono pochi per avere già risultati notevoli, però, per esempio, la climatologia e la meteorologia grazie ad «Alps» stanno cominciando a utilizzare un modello più completo che permette di simulare insieme atmosfera e oceani.
E per il futuro?
Il futuro di «Alps» è piuttosto chiaro. Nel senso che la rivoluzione dell’Intelligenza artificiale sta facendo spostare anche la ricerca più tradizionale verso i metodi di machine learning per cercare di ottimizzare i calcoli. Quando parlo di ricerca tradiziona-
L’appuntamento
le, intendo ambiti come la scienza dei materiali, la geofisica, la climatologia, la meteorologia e le scienze biologiche, per citarne alcuni. I ricercatori, infatti, si stanno muovendo per applicare i metodi di machine learning con l’obiettivo di ridurre quelle parti di simulazioni di routine che richiedono molto tempo computazionale, così da potersi dedicare maggiormente alle grandi simulazioni che permettono di rispondere alle domande scientifiche Questo permetterà di far avanzare la ricerca più velocemente. Per esempio, per essere più specifici, direi che per la Svizzera resta inva-
Möbius 2025 – Giovani e democrazia nella società digitale
Giovedì 2 ottobre – Palazzetto delle
Scienze, Liceo Lugano 1, Aula 315, 15.30 -17.00
MöbiusLab Giovani
Giovani adulti allo specchio
Luca Bertossa, sociologo e direttore scientifico delle inchieste ch-x dialoga con due quarte del Liceo di Lugano 1.
Iscrizione: info@moebiuslugano.ch
Venerdì 3 ottobre – Aula
Magna USI (Campus Ovest), Lugano
9.10-10.00
I principali risultati degli studi svizzeri su giovani e media
Eleonora Benecchi (USI, Lugano)
10.00-10.50
Intelligenza artificiale, disinformazione e giovani: ponte o minaccia per la democrazia?
Federico Germani, ricercatore presso l’Istituto di etica biomedica e storia della medicina (Università di Zurigo)
11.20-12.10
Quale impegno politico dei giovani in una società sempre più anziana
Oscar Mazzoleni, professore e politologo (Università di Losanna)
14.10-15.00
Spedizione Futuro: La collaborazione come chiave per avvicinare le nuove generazioni alla politica
Paolo Marioni, co-fondatore e co-direttore di Spedizione futuro
15.00-15.50
Notizie in fuga: il rapporto complesso tra giovani e informazione e il futuro della partecipazione democratica
Colin Porlezza, professore di Giornalismo Digitale e Direttore dell’Istituto di Media e Giornalismo (USI, Lugano)
16.20-17.10
Intelligenza artificiale, democrazia e giovani
Fabrizio Gilardi, politologo, professore di analisi politica (Università di Zurigo)
Sabato 4 ottobre – Aula Magna USI (Campus Ovest), Lugano
9.30-10.30
Grand Prix Möbius Suisse
L’innovazione svizzera di qualità per il digitale e il clima
10.30-11.00
Grand Prix Möbius Editoria Mutante
Il percorso verso il Grand Prix Möbius per editoria e intelligenza estesa
vati quasi alla fine dell’era del silicio, al quale bisogna trovare un’alternativa. Per tornare invece ai Large Language Models, posso fare l’esempio delle ricerche della professoressa Mary-Anne Hartley che all’EPFL ha sviluppato insieme al suo team un’applicazione che si chiama Meditron, che è un modello linguistico open source destinato al settore medico per accelerare la diagnosi. L’idea ora è quella di sviluppare Meditron utilizzando Apertus, condividendone i valori di trasparenza, affidabilità e legalità.
riato l’interesse nella climatologia e nella meteorologia, perché purtroppo gli effetti dei cambiamenti climatici sono già sotto i nostri occhi e bisogna capirne l’evoluzione. Per questo è necessario creare quello che viene chiamato un «gemello digitale della Terra», il che richiede molte risorse a livello computazionale. La Svizzera è inoltre molto forte nel settore della scienza dei materiali, con il contributo dell’ETH di Zurigo, dell’EPFL e dell’EMPA. Un settore di ricerca veramente essenziale per l’innovazione, basti pensare al campo dei computer dove tutti ci dicono che siamo arri-
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Gualtiero e Roberto Carraro, fondatori Carraro Lab
11.30-11.45
Möbius Giovani
Vito Robbiani, Monica Santoro
Presentazione del video premiato
11.45-12.00
PREMIAZIONE
Grand Prix Möbius Suisse
Möbius Giovani
12.00-12.30
Premio Speciale «Giovani e democrazia»
Consegna del Premio a Chino Sonzogni, promotore e responsabile de La gioventù dibatte
Laudatio di Raffaele De Rosa, consigliere di Stato e direttore DSS
Intervento del premiato: «Il dibattito argomentato, essenza della democrazia»
12.30-13.00
Grand Prix Möbius per l’IA al servizio della società
Consegna del Premio a Maria Grazia Giuffreda, direttrice associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico
Laudatio di Andrea Emilio Rizzoli, direttore IDSIA USI-SUPSI
Intervento della premiata: «La Svizzera all’avanguardia nell’intelligenza artificiale»
Informazioni
www.moebiuslugano.ch Entrata libera
Tra le motivazioni del premio Möbius che le hanno conferito vi è il suo sostegno nel promuovere un’IA democratica e al servizio della società. Ma quali caratteristiche deve avere un’IA per essere democratica? Un’IA per essere veramente democratica e al servizio di tutti deve essere assolutamente trasparente. Il che significa che si deve poter accedere ai dati sui quali è stata addestrata (una possibilità che finora nessuna delle Big Tech, che hanno lanciato tutti i vari chatbot che conosciamo, come Copilot, ChatGPT, Gemini o Deepseek, ha dato). Questo però non basta, i set di dati devono anche essere trasparenti, cioè è necessario che siano stati verificati e non infrangano nessun diritto d’autore, nessuna legge per la tutela svizzera o dell’Europa come l’European AI Act. Insomma tutto deve essere documentato e accessibile, trasparente e verificabile. Apertus per ora è l’unico LLM che rispetta tutti questi criteri. E questo è molto importante per creare fiducia tra ricercatori che condividono questi valori e tra i cittadini che eventualmente la utilizzeranno. Per andare verso un’IA al servizio di tutti penso inoltre che sia molto importante sostenere la sovranità digitale dei vari Paesi, perciò è essenziale che si mantengano e si sviluppino le competenze e le conoscenze interne. In questo senso Apertus per la Svizzera è stato un passo fondamentale dimostrando al mondo intero che un Paese piccolo come il nostro è stato in grado di creare il primo LLM completamente aperto. La speranza ora è che diventi uno sforzo europeo se non internazionale.
Molti ricercatori e scienziati mettono in guardia sui pericoli dell’IA. Lo stesso Premio Möbius si interroga sul fatto se l’IA possa essere una minaccia per la democrazia. Lei cosa ne pensa?
Personalmente non sono tra quelli che vedono l’apocalisse arrivare. In base a quello che conosco e in base alle ricerche scientifiche che vengono man mano pubblicate, non credo che l’IA diventerà una intelligenza indipendente. È uno strumento, sono metodi statistici, sono algoritmi, che ci aiutano là dove la mente umana è più lenta. È ovvio che come tutti gli strumenti può avere applicazioni positive e applicazioni negative. Non c’è dubbio che l’IA possa essere usata anche con scopi nefasti. Quello che mi preoccupa di più in realtà è la pigrizia mentale che potrebbe generare nelle nuove generazioni. La facilità di scrivere e raccogliere le informazioni e la mancanza di senso critico nel volerle verificare e validare potrebbero avere un effetto a lungo termine, non perché l’IA sia più intelligente di noi ma perché noi potremmo diventare troppo pigri.
Maria Grazia Giuffreda è direttrice associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico. (Alessandro Della Bella)
Una risposta innata a un pericolo strisciante
Mondoanimale ◆ Uno studio ha documentato la nostra predisposizione evolutiva alla paura dei serpenti
Maria Grazia Buletti
Tra i primati, esseri umani inclusi, la paura dei serpenti è una reazione quasi universale che deriva da una capacità innata di riconoscerli rapidamente, spesso senza aver avuto alcuna esperienza diretta. Questo potrebbe essere empiricamente spiegato per il fatto che, da milioni di anni, i serpenti rappresentano un pericolo concreto per i mammiferi, scimmie ed uomo compresi. Una pressione evolutiva che, secondo la scienza, ha portato ad affinare sempre più il nostro sistema visivo, rendendoci particolarmente sensibili e reattivi a determinati segnali visivi associati ai rettili velenosi e, quindi, pericolosi.
Anche scimmie e neonati umani che non hanno mai visto un serpente, reagiscono infatti in modo istintivo alle immagini di questi animali; ciò suggerisce che la paura dei serpenti non origini solo dall’esperienza diretta o dal contesto culturale (che pur gioca un ruolo), ma è qualcosa di ben codificato nel nostro cervello come un vero e proprio meccanismo di sopravvivenza. Una realtà con la quale concorda l’esperto di serpenti Grégoire Meier da noi interpellato, che per prima cosa condivide il concetto secondo cui: «Nel nostro cervello si è sviluppata una reazione istintiva verso certi animali potenzialmente pericolosi: il loro movimento silenzioso e imprevedibile potrebbe averli fatti percepire come un campanello d’allarme per la nostra sopravvivenza». Riconoscendo la predisposizione genetica alla paura dei serpenti, afferma: «La paura dei serpenti ha origini sia culturali che biologiche. Culturalmente, nelle tradizioni occidentali (soprattutto in quella cristiana) esso è simbolo del male, mentre in epoche più antiche era considerato sacro, legato a rinascita e fertilità. Ma con l’avvento delle religioni monoteiste, questa visione positiva è stata in parte cancellata».
Oggi, un nuovo studio condot-
to da Nobuyuki Kawai dell’Università di Nagoya, in Giappone (pubblicato su Scientific Reports), ha individuato una risposta inaspettata a questo quesito: il segreto sta non tanto nella forma allungata o nell’assenza di zampe che obbligano i serpenti a muoversi strisciando, bensì nelle loro squame, un tratto visivo che pare essere profondamente radicato nella storia evolutiva di noi primati. Per studiare il ruolo delle squame nel riconoscimento dei serpenti, Kawai ha mostrato a dei macachi immagini di serpenti e salamandre, addestrandoli a individuare tra nove immagini quella «diversa». I serpenti venivano riconosciuti molto più velocemente rispetto alle salamandre, indicando una reazione specifica. Poi, lo studioso ha modificato le immagini delle salamandre aggiungendo un dettaglio decisivo: un rivestimento di squame simili a quelle dei serpenti. Quando le scimmie hanno visto le immagini di salamandre ricoperte da squame, hanno reagito con la stessa rapidità (o persino più velocemente) rispetto alle immagini dei veri serpenti. Kawai ha spiegato questa reazione premettendo che le scimmie non reagivano più velocemente alle salamandre: «Nonostante la loro forma simile a quella dei serpenti, le salamandre non incutono la reazione di paura finché non vengono aggiunte le squame». Secondo il ricercatore: «Ciò indica che il nostro sistema visivo si è evoluto per identificare con precisione i tratti distintivi dei serpenti, come le squame, per proteggersi da una possibile minaccia». Un adattamento che potrebbe aver giocato un ruolo cruciale nella nostra sopravvivenza e nella successiva evoluzione del nostro cervello. E gli studi di Kawai non si fermano qui: «Ora vogliamo comprendere come i primati elaborano queste informazioni perché ciò potrebbe offrire nuovi indizi sull’evoluzione del sistema visivo e di alcune funzioni cerebrali». Al no-
stro esperto Grégoire Meier abbiamo chiesto come gestire questa reazione di paura e, per prima cosa, egli evidenzia la differenza tra fobia e paura: «Molte persone parlano di “fobia” quando in realtà provano solo un timore, magari irrazionale, ma non clinico». Quindi: «Oltre alla desensibilizzazione, fondamentale per chi soffre di vere fobie, un passo cruciale per superare la paura dei serpenti è conoscerli meglio». Paura, per affrontare la quale «bisogna innanzitutto fare uno sforzo consapevole: smettere di vedere il serpente come simbolo del male o creatura pericolosa, e iniziare a considerarlo per quello che è, un animale diverso da quelli a cui siamo abituati, ma non sempre per forza minaccioso». Egli chiede di considerare il fatto che il serpente non comunica come i mammiferi: «Non ha espressioni facciali, non vive in gruppo, non interagisce con l’uomo nello stesso modo. Ciò lo rende difficile da “leggere” e quindi più inquietante». Ma proprio questa diversità può renderlo affascinante: «Conoscendolo meglio e osservandolo senza pregiudizi, ci si accorge che non è il mostro che si immaginava. La paura può rimanere, ma cambia forma: diventa rispetto, curiosità, comprensione. E da lì può iniziare a sciogliersi davvero». Considerazioni e suggestioni per affrontare la nostra atavica paura dei serpenti, da tenere presenti insieme allo studio di Nobuyuki Kawai che non solo ci racconta un passato in cui essi rappresentavano un pericolo costante per noi primati, ma ci permette anche di esplorare come il nostro cervello si è evoluto e adattato per affrontare le sfide della vita in natura: che si tratti di una piccola scimmia in una foresta tropicale o di un essere umano moderno che va ogni giorno in ufficio, il riconoscimento dei serpenti rimane un esempio straordinario di come l’evoluzione abbia plasmato il modo in cui percepiamo il mondo in cui viviamo.
bene da vivere
Territorio ◆ Il 4 e 5 ottobre si svolge la prima edizione di Open House Ticino
Palazzi storici, moderni e contemporanei. Ma anche appartamenti privati, uffici, spazi verdi, luoghi pubblici e studi di progettazione. È di questi elementi che si compone la prima edizione ticinese di Open House, curata da Ludovica Molo e Nicola Regusci e prevista il 4 e 5 ottobre 2025. In tutto una sessantina di edifici e spazi che per due giorni apriranno le loro porte gratuitamente al pubblico con visite guidate condotte dai progettisti stessi o da esperti in materia che ne racconteranno le storie e i dettagli architettonici, fornendo ai visitatori informazioni di prima mano. L’evento è dunque un’occasione unica per scoprire e vivere questi luoghi. Tra gli appuntamenti più attesi spiccano l’apertura straordinaria della Casa delle Suore della Carità della Santa Croce di Ingenbohl a Muralto, raccontata dalla progettista Cristina Croci insieme a Lorenzo Bianchi; l’eccezionale possibilità di visitare dall’interno il celebre edificio residenziale nero di Aurelio Galfetti a Bellinzona, guidati da Nicola Navone, direttore dell’Archivio del Moderno; l’accesso al cantiere del nuovo sottopasso della stazione di Lugano con uno dei progettisti, l’architetto Lorenzo Felder; e, sempre a Lugano, l’apertura al pubblico del prestigioso Palazzo Riva di Cioccaro, sia il 4 che il 5 ottobre.
Secondo i curatori, Ludovica Molo e Nicola Regusci, che sottolineano l’importanza per il nostro Cantone di aderire a una rete internazionale e rinomata come quella di Open House Worldwide, «la selezione di quest’anno racconta la ricchezza e la varietà del patrimonio architettonico del Ticino, dalle grandi icone firmate da maestri come Mario Botta, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi o Livio Vacchini, fino a interventi più recenti. È un percorso che attraversa epoche, linguaggi e scale diverse, permet-
tendo al pubblico di scoprire non solo edifici simbolo ma anche luoghi quotidiani dando la possibilità di conoscerne la storia e l’evoluzione nel tempo. Con Open House Ticino vogliamo aprire le porte delle città, mostrando come l’architettura e l’architettura del paesaggio contribuiscono in modo concreto alla qualità della vita della comunità intera».
Questa prima edizione si concentrerà su edifici e spazi nelle cinque principali città del Cantone – Bellinzona, Chiasso, Locarno, Lugano e Mendrisio – con una selezione di siti tutti facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici e con il treno che collega tra loro i centri urbani. L’obiettivo per le prossime edizioni è poi quello di estendere, non solo il numero di edifici e siti che aderiscono all’iniziativa, ma anche di ampliare il focus esplorando anche il resto del Cantone.
Open House è un evento completamente gratuito e accessibile a un pubblico di ogni età. Le visite agli spazi e agli edifici che aderiscono a Open House Ticino si svolgono sabato 4 e domenica 5 ottobre secondo tre modalità diverse: visite su iscrizione, visite senza iscrizione ma con un numero limitato di partecipanti per ogni sessione e visite libere. Le iscrizioni sono aperte e possono essere effettuate esclusivamente sul sito ufficiale di Open House Ticino.
L’evento, che gode anche del sostegno del Percento culturale Migros, è organizzato dall’Associazione Open House Ticino, in collaborazione con L’Istituto Internazionale di Architettura, Cities Connection Project e FAI Swiss.
I tre compleanni di IBSA e i sogni del suo presidente
Territorio ◆ L’azienda farmaceutica ticinese è nata 80 anni fa, da 40 anni è guidata da Arturo Licenziati che spegne 90 candeline
Prendi lo sciroppo per la tosse, oppure applichi un cerotto che rilascia gradualmente il principio attivo che calma il dolore e nemmeno lo immagini che dietro quel farmaco che ti attenua il malanno di turno c’è una storia di fatica, di visione e di coraggio che è iniziata molto tempo fa in Ticino, a un certo punto ha rischiato di naufragare, ma ha trovato un nuovo inatteso slancio e oggi costituisce una delle realtà aziendali più floride e interessanti del nostro Paese. Stiamo parlando di IBSA (Institut Biochimique SA), una realtà farmaceutica internazionale fondata a Lugano nel 1945 che oggi festeggia ben tre anniversari importanti: gli 80 anni dalla fondazione, i 40 anni dalla guida di Arturo Licenziati, che nel 1985 ha acquisito l’azienda e ne ha trasformato radicalmente la visione e la strategia, e i 90 anni di Licenziati stesso.
Il presidente è un imprenditore anomalo, socialmente schivo («Sono un animale preistorico», dice di sé), molto attento a un ambiente di lavoro sano improntato a uno stile imprenditoriale umanistico («In questa azienda si pretende il rispetto a tutti i livelli, ma per quanto riguarda me, l’unico “vezzo” che mi permetto è quello di leggere il giornale in ufficio, agli altri non è consentito...)».
Si definisce un uomo semplice, ma
con IBSA ha messo in piedi un piccolo impero. Quando ne assunse la guida nel 1985, l’azienda contava appena 40 dipendenti e un fatturato di 5 milioni di franchi. Nell’85, era vicina al fallimento, con poche decine di dipendenti e un fatturato modesto. Oggi, a distanza di quarant’anni, IBSA è una multinazionale presente in oltre 90 Paesi, con 20 filiali e più di 2500 collaboratori. Fin dall’inizio ci ha messo molto del suo, Licenziati, per raggiungere questo obiettivo. «Ho avuto fortuna», si schernisce. Ma anche fegato: «Sono entrato in una situazione abbastanza pericolosa. Ognuno è matto come gli pare!»,
sostiene ricordando quei tempi, «ho fatto delle scelte economiche piuttosto audaci per rilanciare IBSA, che in quel momento produceva pochissimo: un farmaco chiamato Urogastrone e antibiotici generici. L’Urogastrone era un estratto di urina di donne gravide, che aveva un’attività anti-ulcerosa, perché faceva diminuire la motilità gastrica. Questo passava il convento…».
A distanza di quarant’anni IBSA produce farmaci di tutti i tipi: mucolitici come fra gli altri il Solmucol e soluzioni saline per tosse, raffreddore e igiene nasale; cerotti come Flector, granulati e capsule antinfiammatori,
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Le tappe di una visione imprenditoriale
1945 Nasce IBSA a Lugano: un piccolo laboratorio biochimico.
1985 Arturo Licenziati acquisisce l’azienda, allora in crisi, e ne ridefinisce la strategia: innovazione, qualità e internazionalizzazione.
Anni ’90 Inizia l’espansione internazionale: IBSA apre le prime filiali in Europa e sviluppa nuovi farmaci.
2010 Nasce ufficialmente IBSA Farmaceutici Italia, oggi uno dei poli produttivi e di ricerca più avanzati del gruppo.
2012 Viene fondata IBSA Foundation per la ricerca scientifica, per promuovere una «scienza per tutti».
2015 IBSA pubblica il primo Rapporto di Sostenibilità, rafforzando il proprio impegno etico e ambientale.
2025 L’azienda celebra 80 anni dalla fondazione, 40 anni di leadership di Licenziati e i suoi 90 anni.
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ritrovati per la stimolazione ovarica e i trattamenti di fertilità assistita, come il Fostimon… e molti altri. Sotto la guida di Licenziati il gruppo ha conosciuto una crescita esponenziale, espandendosi in tutto il mondo, con filiali tra Europa, Asia e America e sviluppando soluzioni terapeutiche avanzate. La filosofia che ha guidato questa trasformazione si riassume nel motto «Farmaci nella forma migliore»: un approccio che coniuga innovazione scientifica e attenzione ai bisogni concreti di medici e pazienti. Dando seguito a una chiara strategia incentrata su innovazione, qualità e internazionalizzazione, Licenziati ha giocato la propria scommessa puntando su settori spesso trascurati dalle grandi realtà farmaceutiche, dimostrando che anche una piccola azienda locale può crescere se riesce ad adattarsi con agilità. Senza, tuttavia, perdere di vista la sostenibilità. Il suo approccio etico prevede attenzione all’ambiente, all’inclusione sociale, alla cultura e allo sport. All’alba dei novant’anni, dopo aver trasformato una piccola realtà locale in un’impresa globale, Licenziati non smette di sognare e di immaginare un futuro diverso, senza perdere mai di vista i valori fondanti. «Un’azienda deve avere un’anima. Senza valori, non c’è futuro», sostiene. / Red.
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L’altropologo
L’astice? È indigeribile
Nel settembre del 1978 il vostro altropologo di riferimento si trovò seduto nella grandiosa sala da banchetti del Girton College, Cambridge per la Formal Hall (Cena Formale) inaugurale dell’anno accademico. Era la prima volta in giacca, cravatta, toga accademica, candelieri, argenteria in argento et coetera. Intimidito anche per il mio pessimo inglese, mi feci coraggio e chiesi alla mia commensale più vicina come si dicesse «buon appetito» in inglese. «Da noi non si dice», mi rispose bruscamente. «Perché?» azzardai. «Aspetta e vedrai». Di lì a poco una cameriera in livrea mi scodellò un mestolo di zuppa da una magnifica zuppiera d’argento. Si trattava di Heinz Spaghetti Soup – proprio quella sbobbaccia al pomodoro consacrata in versione Campbell’s da Andy Warhol e divenuta icona della Pop Art globale.
Allora, nella cosmopolita Cambridge, gli spaghetti – unica pasta sul mercato – venivano venduti in confezio-
ni in pesante carta blu e l’olio d’oliva si comprava in farmacia in bottigliette da un decilitro: costosissime. Insomma: erano gli anni nei quali fra gli studenti che viaggiavano seppure in autostop e dunque erano andati oltre il nazionale fish and chips (peraltro importato oltremanica nell’800 dai marinai genovesi che si portavano appresso pure l’olio), circolava il detto che il libro più corto mai scritto fosse un libro di cucina inglese. Eppure. Eppure il primo volume di cucina, più longevo e più venduto al mondo è stato un libro scritto da una casalinga inglese. Il primo ottobre 1861 vedeva la luce Mrs Beeton’s Book of Household Management – Il libro di economia domestica della signora Beeton. Sottotitolo completo: «include informazioni per la padrona di casa, la domestica, il cuoco e l’aiutante cuoco, il maggiordomo, il palafreniere, il cocchiere, la prima e la seconda cameriera, la cameriera della padrona, la factotum, la lavandaia, l’infer-
La stanza del dialogo
miera e l’aiuto-infermiera, la balia, l’infermiera per malati etc… etc… E anche promemoria di carattere igienico, medico e legale: con una storia delle origini, proprietà e uso di tutto ciò che è connesso alla vita di casa (Home Life) e le sue comodità». La cosa più strampalata è che, dopo tutta questa pompa, solo 23 pagine della prima edizione erano dedicate all’economia domestica in quanto tale – e ben 900 alle ricette. Molte bizzarre, certe improbabili – altre da dimenticare. Piuttosto il digiuno. Sì, perché pare che Isabella Beeton avesse cominciato a lavorare al suo capolavoro quando aveva solo 21 anni. Fu dapprima pubblicato a dispense sulla rivista del marito «La Rivista Domestica della Donna Inglese», a partire dal 1859, prima di uscire in un unico volume nel detto 1861. Nel 1865 l’autrice era già morta. La cronologia è nel nostro caso molto importante. Si è detto da varie parti che Isabella Beeton non sapesse cuci-
nare, ma solo scrivere ricette. Troppo giovane per avere esperienza quando a cucinare nelle case borghesi erano schiere di servitori, deceduta troppo giovane per aver imparato a cucinare tutte le novecento combinazioni del suo trattato. Alcuni esempi: il mango saprebbe di acqua ragia; l’astice è indigeribile, le patate sono «sospette: molte sono narcotiche, altre deleterie». Il formaggio deve essere mangiato solo da gente sedentaria e i pomodori hanno un odore sgradevole. «Il succo di pomodoro in cottura emette un vapore così sgradevole da causare vertigini e vomito». Cautele, capiranno lettrici e lettori, del tutto necessarie in un contesto dove si suggerisce di cuocere la pasta per un’ora e quarantacinque minuti (sic!). Il libro conobbe un successo immediato. Nel solo primo anno vendette 60’000 copie. Nel 1868 le copie vendute erano già due milioni. L’edizione riveduta del 1907 aveva 74 capitoli per più di duemila pagine. Nel 2010
di Silvia Vegetti Finzi
Affrontare un tradimento nel tempo dell’ascolto
Cara dottoressa, le scrivo perché mi aiuti a risolvere un dilemma. Da ragazza sono stata una femminista impegnata e intransigente sulla necessità di stipulare un rapporto uomo-donna libero e reciproco. Ora la vita mi ha messo alla prova. Sposata da trent’anni con l’uomo che amo credendomi ricambiata, abbiamo superato insieme molte difficoltà, tra cui l’adozione di un bambino gravemente handicappato. Ma ultimamente sono venuta a sapere che intrattiene da tempo, con riservatezza, una relazione con la sua più stretta collaboratrice. Che fare? L’amica femminista, richiamandomi alla morale che abbiamo condiviso, vuole che gli chieda subito un confronto minacciando d’immediata separazione. Ma che senso ha? Come posso pretendere amore se lo prova per un’altra? Mio marito occupa una importante carica pubblica e un divor-
zio potrebbe danneggiarlo. Far finta di niente, come le nostre nonne, mi sembra a tratti la soluzione migliore ma come conciliarla con gli ideali giovanili? Che cosa posso fare per sentirmi in pace con me stessa e conservare l’equilibrio e la coerenza? La saluto e ringrazio. / Valeria
Cara Valeria, avendo partecipato a quella stagione del femminismo, la capisco bene e so che, negli anni, si presentano nuovi problemi. Nella sua lettera si intrecciano due fili: la donna che è stata – giovane, appassionata, convinta che la giustizia nei rapporti tra i sessi fosse non solo un diritto, ma un fondamento di vita – e la donna che oggi si trova davanti a un dolore che scuote il cuore e l’ordine della propria esistenza. Il primo impulso è quello di cercare coerenza, di non «tradire»
La nutrizionista
Acne e alimentazione
Buongiorno Laura, mio figlio di 15 anni inizia ad avere l‘acne e questo gli pesa molto. Ai miei tempi si diceva che lo zucchero crea i brufoli, è ancora così? Ci sono novità? Quali alimenti dovrebbe evitare per diminuire il problema o cosa dovrebbe invece mangiare per migliorare? / Giovanna
Gentile Giovanna, se può consolare lei, o suo figlio, l’acne è una comune condizione della pelle che colpisce quasi il 10% della popolazione mondiale. Le cause e l’intensità sono da attribuire a diversi fattori quali la genetica, i fattori ormonali, la produzione di sebo e cheratina, i batteri, i pori ostruiti e l’infiammazione e, non da ultimo, i fattori ambientali. L’alimentazione? Questo argomento è a tutt’oggi fonte di dibattito: sebbene non ci siano prove scientifiche che dimostrino
una copia della Prima Edizione costava 1000 sterline e nel 2016 era ancora in stampa. Da allora – intendo dal 1978 – le cose sono molto cambiate. In un supermercato frequentato dalle classi medie il reparto «cibi esotici» è sempre ben fornito e ben frequentato. La Cucina italiana ha spesso un reparto a sé con ingredienti di ottima qualità da tutta la penisola (laddove da questa parte delle Alpi dominano ancora le cucine regionali con qualche timida e costosa apertura – tanto che i pelati di una nota azienda italiana costano meno in UK che in Italia – per dirne una…). E, mi chiederete, a casa della signora Beeton cosa succede, oggi? Beh, devo dire: con la dovizia di programmi gastronomici che passano in TV (li hanno inventati loro, piaccia o meno ai sovranisti gastronomici!) le cose sono di gran lunga migliorate. Sempre che la signora Beeton non si dimentichi la pasta sul fuoco mentre impara dalla televisione…
gli ideali giovanili. Ma la vita, con le sue lunghe stagioni, ci insegna che la coerenza non è rigidità: è fedeltà a se stesse dentro il mutare delle circostanze, riconoscendo che ciò che un tempo appariva netto, oggi può mostrarsi sfumato.
La fedeltà coniugale non è solo questione di esclusività sessuale, ma di alleanza profonda, di un «noi» costruito insieme. Questo patrimonio non si cancella per un tradimento, pur doloroso. Ma nemmeno si può negare il dolore che esso provoca: far finta di niente, come le nostre nonne, può sembrare una scorciatoia, ma rischia di trasformarsi in un silenzio che corrode.
L’amica femminista le ricorda la voce dell’assoluto: o tutto o niente. Ma l’amore maturo conosce anche il linguaggio della complessità: a volte la
verità non sta solo nella rottura o nel perdono immediato, bensì in un tempo di ascolto, di chiarimento, di scavo interiore. Non si tratta di subire, ma di decidere quale posto vuole dare a questa ferita. Le suggerirei di parlare con suo marito, non come giudice che decreta una condanna, ma come compagna che chiede di capire: che cosa rappresenta per lui questa relazione?
Le risposte, qualunque esse siano, le offriranno un terreno su cui scegliere consapevolmente. Tacere oggi potrebbe sembrare proteggere la pace, ma rischia di lasciarla sola nella tempesta. Essere fedele a se stessa, oggi, non significa ripetere alla lettera ciò che pensava a vent’anni, ma rimanere in contatto con la propria dignità, con la propria verità. Forse non sarà necessario un gesto drastico, forse la vita di coppia potrà rinnovarsi, ma que-
sto accadrà solo se anche il suo dolore e il suo bisogno di rispetto troveranno parola e ascolto. La pace interiore non nasce dall’evitare il conflitto a tutti i costi, ma dall’aver affrontato ciò che accade con lucidità e senza autoinganni. In questo modo, qualunque decisione prenderà – restare, cambiare, ridisegnare i confini del vostro patto – sarà frutto di libertà, non di paura. E questa libertà è, in fondo, l’eredità più preziosa del suo femminismo.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a info@azione.ch (oggetto «La stanza del dialogo»)
che semplici alimenti causino direttamente l’acne, si iniziano a intravedere dei modelli di alimentazione che possono peggiorare la situazione in persone predisposte.
Lo zucchero è ancora senza dubbio uno dei peggiori alimenti per l’acne perché causa un aumento dei livelli di zucchero nel sangue che porta all’iperinsulinemia. L’insulina innesca la secrezione di altre sostanze che possono provocare l’acne. Quando il sebo in eccesso secreto a causa di queste fluttuazioni si combina con i microorganismi, l’acne esplode rapidamente. La sudorazione e la scarsa pulizia del viso aggravano il problema. Anche una quantità moderata di zucchero può avere un’enorme influenza sulla nostra salute, inclusi gli sfoghi acneici. È importante quindi leggere le etichette nutrizionali per ridurre l’assunzione di zucchero. Questi picchi insulinici sono
causati anche dal consumo di grandi quantità di cereali raffinati (pasta e pane di farina bianca e prodotti simili). Quando un carboidrato raffinato è presente nella dieta e viene digerito, il glucosio viene rilasciato in circolazione. Questa azione provoca il rilascio di insulina, che aumenta il fattore di crescita simile all’insulina 1 (IGF-1). Di conseguenza, le cellule della pelle si sviluppano più rapidamente e la produzione di sebo aumenta e i pori possono ostruirsi. Particolare attenzione la si deve prestare anche ai cibi ultra-processati, ricchi oltre che di zuccheri anche di grassi trans (di cui vi parlerò in un prossimo articolo) o saturi, come per esempio le merendine, il fast food, i cibi fritti già pronti, frappè ecc. Uno studio del 2010 condotto su oltre 5000 adolescenti e giovani adulti cinesi ha trovato che le diete ad alto contenuto di grassi erano associa-
te a un aumento del 43% del rischio di sviluppare acne. Mangiare regolarmente cibi fritti ha aumentato il rischio del 17%.
La correlazione con l’acne è forse il fatto che questi alimenti favoriscono uno stato di infiammazione cronica nell’organismo e alterano la composizione del sebo rendendolo più denso con rischio di ostruire i pori. Un’altra causa può essere l’eccesso di sodio che hanno questi alimenti, che può esaurire la forza vitale della pelle. Troppo sale in generale disidrata, privando la pelle dell’umidità cruciale. Cosa mangiare per migliorare la pelle? La dieta mediterranea è un’ottima alleata perché è ricca di frutta, frutta oleaginosa, verdura, cereali integrali e legumi, che contengono fibre che evitano i picchi insulinici e sono fonti di vitamine e sali minerali che riducono l’infiammazione. Si
raccomanda il consumo di pesce che contiene omega 3 e ha potere antinfiammatorio e di olio di oliva che ha pure potere antiossidante ed è povero di grassi saturi. Mantenersi ben idratati aiuta molto ed è consigliata l’assunzione di tè verde che contiene polifenoli che sono associati a una riduzione dell’infiammazione e a una produzione di sebo ridotta. Vista l’età di suo figlio può essere difficile stare lontano da tutti gli alimenti collegati all’acne, ma probabilmente non è necessario, meglio piuttosto consumarli in equilibrio con gli altri alimenti ricchi di nutrienti di cui si è parlato sopra.
Informazioni
Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «La nutrizionista»)
di Cesare Poppi
di Laura Botticelli
ATTUALITÀ
L’uomo che vuoi essere
Dal maschio alfa a un tipo di mascolinità positiva, ne parliamo con Andrea Siclari di Männer.ch
Pagina 17
Il mondo «perfetto» di Donald
Esce in francese il pamphlet antiTrump del giornalista ticinese Antonini e dell’illustratore Barbey
Pagina 18
Quell’America in crisi
Gli eredi di Charlie Kirk rilanciano il progetto in sette punti per conquistare il Paese
Pagina 19
Regno Unito in subbuglio Il 38% dei britannici ritiene di non poter dire quello che vuole e reagisce, anche in modo violento
Pagina 21
Come porre fine allo spargimento di sangue?
Medio Oriente ◆ Diversi Paesi hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, un importante passo politico e simbolico che però da solo non basta. Le reazioni interne ad Israele e le strade che restano da tentare per giungere a una pace duratura
«I palestinesi non sono un popolo di troppo», ha affermato la settimana scorsa Emmanuel Macron, nel suo discorso tenuto in occasione del riconoscimento ufficiale di uno Stato di Palestina. Il presidente francese ha cambiato toni verso Israele nel 2024 di fronte all’impermeabilità di Netanyahu a qualunque colloquio diplomatico e ha dato l’impulso, insieme all’Arabia Saudita, al riconoscimento che ha visto in prima linea Gran Bretagna, Australia, Canada e Portogallo seguiti da Francia, Principato di Monaco, Malta e Lussemburgo. L’iniziativa si basa sulla cosiddetta «Dichiarazione di New York», un piano dettagliato in 42 punti in base a cui Hamas dovrebbe abbandonare la striscia e consegnare gli ostaggi. Sale dunque a 145 il numero di Paesi membri delle Nazioni Unite che riconoscono lo Stato palestinese, ma, finché Trump e Rubio appoggiano Netanyahu, gli Stati Uniti apporranno il veto.
Lo Stato ebraico è sempre più isolato e impopolare a causa della violenza e sconsideratezza del Governo Netanyahu
L’arena dello Stato ebraico – sempre più isolato e impopolare a livello internazionale a causa della violenza e sconsideratezza del Governo Netanyahu che persiste nel rifiutare di porre fine alla guerra promuovendo politiche di occupazione e annessione – non ha tardato a reagire a tali iniziative unilaterali rilasciando dichiarazioni che rispecchiano i diversi orientamenti.
Tendenzialmente tanto la coalizione governativa quanto l’opposizione hanno attaccato duramente la decisione di riconoscere uno Stato palestinese. Cominciando dalla destra nazionalista, il Ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha affermato che la dichiarazione di Canada, Gran Bretagna e Australia richiede «contromisure immediate». Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich si è unito all’appello di Ben-Gvir con un post sulla rete X: «I giorni in cui la Gran Bretagna e altri Paesi determineranno il nostro futuro sono finiti. L’unica risposta alla decisione anti-israeliana è la sovranità sulla patria del popolo ebraico in Giudea e Samaria e l’eliminazione definitiva dall’agenda politica dell’idea folle di uno Stato palestinese». Il ministro della Cultura e dello Sport, Miki Zohar, ha liquidato il riconoscimento di uno Stato palestinese da parte di Canada, Australia e Gran Bretagna come «un’affermazione priva di significato, che
puzza di antisemitismo e odio verso Israele».
Neppure i sionisti liberali all’opposizione hanno accolto le dichiarazioni in modo favorevole, attribuendone la responsabilità allo stesso Governo israeliano. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha definito il riconoscimento di uno Stato palestinese «un disastro politico, un passo falso e una ricompensa per il terrorismo» puntando il dito contro il Governo che «dopo aver portato il più terribile disastro di sicurezza della nostra storia ora ci sta portando anche la più grave crisi politica di sempre». Anche secondo il presidente del Partito democratico, Yair Golan, il riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese sarebbe «un grave fallimento politico da parte di Netanyahu e Smotrich, una mossa distruttiva per la sicurezza di Israele». Secondo lui, «lo Stato di Israele ha bisogno di un solido punto d’appoggio politico che ponga fine alla guerra, liberi gli ostaggi e garantisca la sicurezza per le generazioni future», mentre «la questione di uno Stato palestinese smilitarizzato può e deve essere parte di un ampio accordo regionale
guidato da Israele che garantisca interessi di sicurezza». Il leader di Blu e Bianco, Benny Gantz, ha affermato che «riconoscere uno Stato palestinese dopo il 7 ottobre rafforza Hamas e l’intero asse iraniano, prolunga la guerra e riduce le possibilità di restituzione degli ostaggi». A sua volta il Forum delle famiglie degli ostaggi ha condannato il sostegno incondizionato di vari Paesi alla creazione di uno Stato palestinese, definendolo «un’eclissi politica, morale e spirituale» che ignora palesemente i 48 ostaggi tenuti prigionieri da Hamas e i crimini del massacro del 7 ottobre.
Per incontrare una ricezione favorevole bisogna spostarsi più a sinistra dove Zehava Galon, ex leader del partito Meretz, ha incoraggiato gli israeliani a prendere la mano che il mondo porge loro affermando che «uno Stato palestinese è l’unica soluzione realistica esistente in cui possiamo vivere, riprenderci, costruire, guarire e lottare per la libertà e la pace». Anche da Hadash, la lista mista, si levano voci di sostengano all’iniziativa diplomatica internazionale per il riconoscimento della Palestina. Una
è quella dell’avvocata Noa Levy, vicepresidente, che rivolgendosi ai sostenitori dello Stato unico, perplessi dall’iniziativa, ha commentato: «I due popoli vivono insieme in un unico Stato, ma si tratta di uno Stato di apartheid e pulizia etnica, e ora anche di genocidio. I palestinesi meritano la possibilità di fondare il proprio Stato, di commettere errori e guidare i propri piani, e di non essere subordinati ai progressi nella democratizzazione della maggioranza in Israele». In una conferenza stampa a Gerusalemme tenutasi di recente, la coalizione Peace Partnership ha interpretato il riconoscimento internazionale come un passo positivo, sottolineando tuttavia l’urgenza di passare da semplici dichiarazioni a misure concrete quali la fine della guerra di annientamento a Gaza e il progresso verso una soluzione politica. Ricordiamo che la Peace Partnership, Shutfut Hashalom, è una coalizione dal basso che comprende oltre 60 organizzazioni, movimenti e attivisti ebrei e palestinesi che dal dicembre 2023 lavorano insieme per porre fine alla guerra, all’occupazione e alla discriminazione siste-
mica. I rappresentanti hanno quindi chiesto alla comunità internazionale di intervenire per porre fine all’annessione e all’apartheid in Cisgiordania e alla persecuzione politica dei palestinesi in Israele e nei territori occupati. Secondo alcuni opinionisti più scettici, come Alaa Salama e Gideon Levy, il rischio è tuttavia che la spinta a riconoscere uno Stato palestinese crei l’illusione di un’azione concreta che mette a tacere le proteste, ritardando rimedi concreti come le sanzioni. Non è facile stabilire quale sia l’iniziativa giusta per porre fine allo spargimento di sangue e garantire un livello di pace, prosperità e uguaglianza per entrambi i popoli, rispondendo contemporaneamente alle legittime aspirazioni del popolo palestinese all’autodeterminazione. Sembra comunque fondamentale che la comunità internazionale eserciti una pressione determinata e costante, a supporto della partnership israelo-palestinese che da dentro cerca di contrastare il Governo e indebolire la legittimità dell’impresa degli insediamenti e della pulizia etnica chiedendo il ritiro dell’esercito.
Persone che mostrano sostegno alla Global Sumud Flotilla, la missione umanitaria internazionale diretta a Gaza per rompere il blocco navale israeliano, la quale continua a subire attacchi. (Keystone)
Sarah Parenzo
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Che tipo di uomo vuoi essere?
Prospettive ◆ Dal maschio alfa che torna di moda alla nuova mascolinità positiva, ne parliamo con Andrea Siclari di Männer.ch
Romina Borla
Un uomo dominante, che non chiede mai e non si espone. Sicuro di sé, ha pieno controllo sulle emozioni, fisicamente forte e sessualmente desiderabile. Un uomo competitivo. Ricco, o che costruisce ricchezza, e vive con una donna appariscente chiusa in casa a cucinare e accudire marmocchi. Ecco il «maschio alfa» che sta tornando di moda. Più in generale, riprendono vigore a livello globale visioni misogine e modelli patriarcali, osserva un approfondimento diffuso da SRF (Il ritorno dei macho sulla RSI). Vedi seguaci del controverso Andrew Tate, ex campione di kickboxing e influencer che promuove appunto concetti come alpha male (in opposizione al beta male ovvero l’uomo gentile, emotivo quindi debole), red pill (la pillola rossa di Matrix, simbolo del «risveglio» alla presunta verità secondo cui il mondo è pervaso da ideologie femministe che penalizzano gli uomini) e la supremazia maschile nelle relazioni. Queste tesi si diffondono tra adolescenti e giovani adulti soprattutto grazie al web: Tate sfrutta infatti canali quali TikTok, YouTube e Telegram. Ma la rete pericolosa che amplifica misoginia e violenza – la cosiddetta «androsfera» (da manosphere) – adopera anche altri canali e ha un’infinità di protagonisti, di adepti. Due esempi tratti dalla cronaca recente: il gruppo Facebook «Mia moglie», con oltre 30 mila iscritti, che raccoglieva foto intime di donne, spesso pubblicate senza consenso da partner o ex, seguite da commenti sessisti e «Phica.eu», sito hard dove venivano pubblicate immagini di donne, anche famose, senza consenso.
La dinamica da spogliatoio
Come si spiegano questi fenomeni? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Siclari, antenna nella Svizzera italiana di Männer.ch, un’organizzazione svizzera che si occupa di temi legati alla mascolinità consapevole e alla parità di genere in chiave maschile (leggi box in basso). «Molti uomini, da soli, non esprimono visioni misogine e violente. Ma nel gruppo si attiva la cosiddetta “dinamica da spogliatoio”: il linguaggio si fa sessista o volgare, si dicono cose che non si pensano, si ride quando non si dovrebbe...». La mascolinità tossica non nasce sempre dall’odio, osserva l’intervistato. A volte arriva dal bisogno di appartenenza, dalla paura di essere esclusi, dal timore di sembrare deboli. E allora si recita: il ruolo del duro, del conquistatore-predatore, dell’uomo che non prova emozioni, che disprezza il femminile. Ogni battuta, ogni commento costruisce un mondo dove la donna è contorno, oggetto, proprietà.
C’è poi un altro aspetto da considerare: «In questo periodo storico i ragazzi sono confusi – dice Siclari – si sentono frustrati e sotto pressione. È come per le donne: una volta ci si aspettava restassero a casa e basta, oggi sono chiamate a fare tutto. Per l’uomo vale lo stesso: deve continuare a fare carriera e soldi, però essere anche un padre presente, un compagno attento e premuroso, essere attivo socialmente ecc. Questo crea un forte stress: non pochi giovani reagiscono auspicando un ritorno al passato quando, secondo loro, le cose erano più chiare e facili».
Per il nostro interlocutore è importante riconoscere il disagio e aprire subito un dialogo, anche se difficile: «Servono educazione emotiva, spazi dove gli uomini possano parlare senza dover recitare e modelli alternativi di mascolinità: empatica, responsabile, capace di relazione. Ci vuole qualcuno che dica “basta” negli spogliatoi. Qualcuno che interrompa il “gioco”, che non rida, che faccia domande scomode: se qualcuno parlasse così di tua figlia?».
L’uomo ha tutto da guadagnare nel liberarsi del ruolo che gli è stato imposto, ribadisce Siclari. «Il saggio Männliche Sozialisation: Bewältigungsprobleme männlicher Geschlechtsidentität im Lebenslauf (1993) di Böhnisch e Winter analizza come gli uomini sviluppano la propria identità di genere attraverso le fasi della vita, affrontando pressioni sociali e modelli culturali limitanti. Non possono essere loro stessi: devono corrispondere a un’immagine stereotipata. Spesso crescono con padri assenti e madri, nonne, maestre che si prendono cura di loro. Seguono modelli suggeriti dai pari e dai media». Negli anni Novanta, ad
Dalla paternità alla violenza, passando per la salute Männer.ch è un’organizzazione nata nel 2005 che promuove modelli di mascolinità positivi, consapevoli e non violenti. Si impegna per la parità di genere, collaborando con movimenti femministi. Offre consulenza, formazione e sensibilizzazione su temi quali paternità, salute maschile, violenza, educazione emotiva, sessualità e responsabilità.
L’obiettivo è costruire una società più equa, dove anche gli uomini possa -
no vivere relazioni sane, esprimere vulnerabilità e contribuire attivamente al cambiamento culturale. «Perché – citiamo quel che leggiamo sul sito www.maenner.ch – come uomini
sappiamo che i nostri cosiddetti privilegi a volte possono essere fantastici ma in ultima analisi lo spirito competitivo, l’orientamento unilaterale alle prestazioni, la corsa al potere e al denaro ci rendono soprattutto malati e vuoti».
esempio, dominavano i macho d’azione (Schwarzenegger e Stallone), i belli e dannati (Dylan in Beverly Hills) e i padri autoritari. «Così – spiega l’intervistato – passiamo la vita cercando di appartenere al gruppo degli “uomini veri”: forti, muscolosi, performanti, capaci di affrontare ogni sfida, responsabili del sostentamento economico della famiglia e distanti dalla sfera emotiva (associata al mondo femminile). Anche l’affettività tra uomini viene sanzionata, per paura-rifiuto dell’idea di avvicinarsi all’omosessualità. Ne deriva grande sofferenza». Non entriamo nell’ambito di eventi traumatici –come separazione, divorzio e malattia – che scardinano di botto lo schema con conseguenze devastanti. Restiamo nella «normalità» che fa male ed ecco alcuni segnali chiari, misurabili in costi sociali elevati: «Gli uomini vengono incarcerati circa 10 volte più delle donne; sono molto più spesso autori di violenza (in Svizzera il 70% del totale) mentre tra le vittime ci sono soprattutto donne, specie in ambito domestico e sessuale; gli uomini hanno un’aspettativa di vita più bassa rispetto alle donne (anche per la propensione ad assumere comportamenti rischiosi), hanno molti più problemi di alcolismo e altre dipendenze; il tasso di suicidi tra gli uomini è più alto; loro sono meno propensi a chiedere aiuto, a prendersi cura della loro salute mentale, a parlare delle proprie emozioni, a seguire terapie. Ricorrono poco al medico, si sottopongono a meno controlli preventivi (l’idea sottesa è che bisogna risolvere i problemi da soli); sono in molti a consumarsi di lavoro. Nel nostro Paese solo il 21,1% degli uomini adotta il part-time a differenza del 58,4% delle donne, dati UST del 2024».
Chiediamo al nostro interlocutore qualche idea «pratica» per promuovere tipi di mascolinità più sana e libera. Il punto fondamentale – dice – è quello di riconoscere gli stereotipi e cercare di offrire ai più piccoli modelli alternativi. Come? Ad esempio proponendo giochi non sessisti (bambole e costruzioni per tutti), parlando di emozioni, raccontando storie di bambini empatici e bambine coraggiose; educando al linguaggio inclusivo, al rispetto, alla reciprocità.
Per quanto riguarda le iniziative di Männer.ch, in Ticino ne sono finora state portate due. «Un importante lavoro che riguarda i neo-papà», spie-
ganizzazione ha ideato degli spazi di riflessione e di parola per i papà, dove mettere in discussione gli stereotipi, riflettere sulla paternità (o l’attesa della paternità), sulla necessità di negoziare nella coppia e al lavoro, su cosa è davvero importante». Molti studi hanno dimostrato che padri più presenti crescono bambini più sani ed equilibrati da tutti i punti di vista. Il secondo progetto arrivato nel nostro Cantone si chiama Il fattore M, Mascolinità e radicalizzazione, una ricerca che mette in luce i legami tra mascolinità tossica, radicalizzazione ed estremismo violento e suggerisce dei modi per prevenire e contrastare l’odio (https://www.maenner.ch/ wp-content/uploads/2025/02/leitfaden_faktorM_final-italiano-1.pdf). Il progetto è stato presentato alle autorità, vedremo a cosa porterà; intanto la polizia si è detta interessata a formazioni mirate sull’argomento. La parola – per l’esperto – può aiutare a guarire. «La speranza rimane, anche se finora in Ticino ho trovato pochi ragazzi e uomini con la voglia di incontrarsi e mettersi in discussione. Nessuno mi dice apertamente che sbaglio a portare avanti queste idee ma nessuno si fa avanti, nonostante i numerosi vantaggi che un cambia Freepik
ga Siclari. «Abbiamo assunto un’infermiera pediatrica, Emilie Cittadini, con l’incarico di mettere a punto dei percorsi di sensibilizzazione rivolti alle istituzioni al fine di coinvolgere maggiormente i padri nella cura dei figli. Mentre a livello nazionale l’or
di manutenzione
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Riso amaro sull’America di Donald
Pubblicazioni ◆ Esce in francese il pamphlet anti-Trump del giornalista ticinese Roberto Antonini e dell’illustratore Alex Barbey Carlo Silini
Esce in francese per Variante edizioni il pamphlet illustrato anti Trump di Roberto Antonini con le vignette di Alex Barbey dal titolo che non richiede troppi sforzi interpretativi (Fake you! Le monde parfait de Donald ) sotto la caricatura del presidente Usa che punta il dito in copertina contro il lettore.
Il poliziotto buono
Si ride amaro con Antonini, già capo dell’informazione della RSI e attuale direttore del Corso di giornalismo della Svizzera italiana, e con l’illustratore Barbey che, seguendo la tradizione francofona, non teme di giocare la carta del politicamente scorretto. Come quando mostra Trump e Netanyahu che compongono insieme una svastica su un tavolo di lavoro. O quando mette in scena Zelensky fermo davanti al procedere dei carrarmati americani, una citazione visiva dello studente che sta ritto davanti ai cingolati a Tienanmen nella primavera del 1989.
Si direbbe che Antonini lasci la parte del poliziotto cattivo a Barbey, perché i suoi brevi e fulminanti capitoli sono in realtà più descrittivi che non propriamente satirici. Il fatto è che descrivere le scelte dell’Amministrazione Trump, oggi, significa gettare un fascio di luce tagliente su fat-
ti oggettivamente abnormi, con tutti i paradossi «comici» che li accompagnano, le contraddizioni, i non sense e la cultura trash che esprimono ai livelli mai visti nella storia umana contemporanea.
Gli esempi sono infiniti e inarrestabili. Sono tutte storie molto appariscenti, imbarazzanti (almeno secondo il buon senso) e note: per Trump Gaza deve trasformarsi in una ridente «Riviera» per turisti, molti innocui libri per bambini devono essere censurati, e i suoi dazi doganali devono essere rivendicati con toni apocalittici anche se non hanno nessuna giustificazione economica. La critica è quindi indiretta, ma comunque feroce. Capitolo dopo capitolo, emerge un mondo alla rovescia il cui protagonista si autoproclama salvatore del mondo, propugna un culto narcisistico di sé, è ossessionato dal controllo mediatico e culturale (come nel conflitto con Harvard) e promuove un regime che mescola autocrazia, turbo-capitalismo e spettacolo.
Il cappello anti-bacio
Non mancano certo osservazioni divertenti, ma assolutamente descrittive e non caricaturali, come l’uso del cappello a tese larghe da parte della First Lady, che sembra fatto apposta per non farsi baciare dal consorte. O
l’ossessione grottesca e anti-storica di Trump per ribattezzare i luoghi con nuovi nomi a lui più congeniali come Golfo d’America invece che Golfo del Messico.
L’aspetto più interessante del libro sono i dietro le quinte svelati dal documentatissimo giornalista ticinese, che aiutano a capire meglio le scelte apparentemente folli del capo della Casa Bianca, più che a riderne. Come nel capitolo «Inonder la zone de merde» in cui ricorda la strategia mediatica di Steve Bannon, consigliere oscuro di Trump, basata sulla formula «flood the zone with shit»: inondare lo spazio pubblico di… diciamo così: dichiarazioni assurde, fake news e decreti shock per saturare l’attenzione e disorientare l’opinione pubblica. Un caos per nulla casuale. Anzi, una tattica deliberata per dominare il discorso politico e screditare gli avversari. Donald Trump l’ha applicata con frenesia, firmando 139 decreti in 100 giorni, tra cui misure contro Harvard, l’OMS, l’ambiente e i migranti, in un turbine di provocazioni e narcisismo. Insomma, con lui tutto appare finto e esagerato ma è esattamente quello che sembra. Se non ci fosse da piangere, farebbe anche ridere.
Bibliografia
Roberto Antonini e Alex Barbey, Fake You! Le monde parfait de Donald, 95 pagg., Variante edizioni
Sì, desidero ricevere per posta una copia della mia guida ai legati e all’eredità.
Si prega di inviare a: Medici Senza Frontiere Legati ed Eredità Route de Ferney 140
La copertina del saggio satirico di Antonini e Barbery.
L’America e il mandato delle sette montagne
Il punto ◆ Dopo l’uccisione di Kirk cresce la tensione e i suoi eredi rilanciano il progetto in sette punti per conquistare il Paese
Manuela Cavalieri e Donatella
Mulvoni
A Union Square, l’asfalto si è riempito di cerchi tracciati con il gessetto. Sono i «Charlie Kirk spot» di Felix Morelo, artista locale noto per i suoi disegni colorati «appoggiati» sui pavimenti della città. Stavolta, però, la street art è diventata rito politico. C’è chi entra nel perimetro come in un gesto di devozione, chi lo imbratta con la parola «nazista», chi lo calpesta con disprezzo.
Al centro della piazza, nell’anello più grande il nome dell’attivista Maga ucciso il 10 settembre in un campus dello Utah, è ormai quasi cancellato. A osservarlo si ferma Yvonne, afroamericana sulla trentina, che scuote la testa con amarezza. «Sono ancora scossa. Era un coetaneo, è una storia orribile. Non mi piacevano le sue idee, ma di certo non giustifico quello che è successo», dice con voce ferma. E aggiunge: «Mi spiace molto che da destra si stia strumentalizzando questa vicenda, solo per fini politici, addossando tutte le responsabilità ai democratici». La ragazza, però, non condivide il processo di beatificazione in corso: «Non si può dimenticare che, tra le altre cose, definì Martin Luther King orribile e George Floyd un farabutto».
La riflessione di Yvonne si colloca fuori dal coro degli estremi che oggi dominano il dibattito pubblico. Da una parte, i conservatori che hanno elevato Kirk al rango di martire, «ucciso dalla violenza dei democratici». Dall’altra, quella minoranza di sinistra che non nasconde un senso di rivalsa, il prezzo delle sue battaglie contro aborto, immigrati e controllo delle armi.
Resta un paradosso strutturale: la politica americana contemporanea premia chi alza i toni più che chi cerca compromessi
Dal giorno dell’assassinio, gli Stati Uniti sono sprofondati nel loro peggiore e ricorrente incubo, quello della violenza politica. Nulla di nuovo sotto il sole d’America, un Paese che sin dalla fondazione fa i conti con le pallottole che hanno fermato presidenti e leader civili.
Senza andare troppo lontano, solo lo scorso anno, in piena campagna elettorale, il candidato presidente Donald Trump è stato vittima di un tentato omicidio. E anche allora l’America ha dimostrato di non essere capace di compattarsi. Come era successo nel 2011, quando la deputata democratica Gabby Giffords fu ferita in Arizona; nel 2017, quando il repubblicano Steve Scalise venne colpito durante un allenamento di baseball del Congresso; fino a giugno 2025, in Minnesota, con l’uccisione della ex speaker statale democratica Melissa Hortman e del marito.
Alla radice di tutto resta un paradosso strutturale: la politica americana contemporanea premia chi alza i toni più che chi cerca compromessi. E difatti, nonostante la situazione avrebbe imposto un intervento da parte del presidente capace di parlare a tutti, Trump nelle ore successive alla tragedia ha preferito accusare la sinistra di aver «armato» l’assassino con la sua retorica. A lui si sono uniti tutti gli ambienti conservatori, sia nelle tv come «Fox News» sia nelle pagine social degli influencer di destra. Il vicecapo di gabinetto Stephen Miller ha persino promesso di «di-
struggere le reti dell’estrema sinistra in nome di Charlie». I numeri, però, raccontano un’altra storia: la stragrande maggioranza delle violenze politiche negli Stati Uniti negli ultimi decenni è stata compiuta da gruppi della destra radicale. Sui social la parola «guerra civile» è diventata trending topic. E nel frattempo, chi aveva osato criticare Kirk è finito non solo alla gogna digitale, ma anche sotto pressione nei luoghi di lavoro, con licenziamenti, richiami e sospensioni. L’esempio più clamoroso è arrivato dal mondo dello spettacolo: ABC ha fermato –seppur temporaneamente – il Jimmy Kimmel Live!, uno dei late show più seguiti d’America, dopo una battuta del conduttore ritenuta offensiva. Una misura senza precedenti, che ha acceso il dibattito sulla libertà di satira e sull’uso politico della censura: per la destra un atto dovuto alla memoria di Kirk, per molti altri un segnale inquietante del clima intimidatorio che avvolge oggi il Paese.
E tutto questo accade nonostante il file rouge che lega la vicenda Kirk sia l’elemento spirituale. È il boato della destra religiosa ultraconservatrice che trasforma il trentunenne nell’icona di una fede militante, brandita come arma politica. La consacrazione del fondatore di Turning Point USA ai funerali nello State Farm Stadium di Glendale in Arizona, diventato un’immensa cattedrale, ha lanciato l’agiografia definitiva di un profeta e martire. A ricordarlo, sul palco c’era l’intero stato maggiore del Governo; sugli spalti oltre sessantamila persone che alternavano preghiere e slogan del movimento Maga. Il senso profondo di quella folla non era soltanto il lutto. Era la celebrazione dei valori che Charlie Kirk aveva incarnato: Dio, patria e famiglia.
Per lui l’America doveva riconoscersi apertamente come una Nazione cristiana, non limitarsi a un Governo ispirato al cristianesimo. Da quel punto di vista il nucleo familiare diventava la prima trincea: sposarsi, fare figli, educarli alla Bibbia non era più scelta personale, ma missione collettiva, dovere civico. Il perno della sua filosofia di vita era il cosiddetto «Seven Mountain Mandate», il mandato delle sette montagne, ovvero le
roccaforti che i cristiani devono conquistare: famiglia, religione, istruzione, media, arte e intrattenimento, affari e Governo.
L’eredità di Kirk, una delle voci più influenti della destra contemporanea, sarà ora affidata alla vedova
Erika, nuova ceo di Turning Point. La trentaseienne ha in mano un tesoretto politico ed economico di rilievo. In poco più di un decennio, il marito aveva costruito un impero non solo finanziario. Turning Point USA ha fatturato 85 milioni di dollari nel
2024, che diventano 95 se si includono le altre «filiali» parallele. In tredici anni il totale sfiora il mezzo miliardo: non un movimento, ma una macchina da guerra politica e mediatica, alimentata anche dal podcast «The Charlie Kirk Show» seguito da milioni di persone.
Per Charlie Kirk sposarsi, fare figli, educarli alla Bibbia non era più scelta personale, ma missione collettiva, dovere civico
Dopo il delitto, la febbre si è moltiplicata: in una sola settimana sono arrivate oltre 54 mila richieste per aprire nuovi circoli in licei e università. La sua organizzazione è oggi un esercito di giovani che marciano sotto le bandiere del trumpismo.
Ma in fondo, Erika lo aveva profetizzato all’indomani della morte: «Se pensavate che la missione di mio marito fosse potente prima… non avete idea di ciò che avete appena scatenato in questo Paese e nel mondo intero». Aveva ragione. Dal lutto è nata la retorica del martirio, dal funerale il rito di fondazione. La destra evangelica e trumpiana ha trovato il suo profeta caduto, il suo sangue. E da quel giorno l’America si è rimessa in cammino, non verso la riconciliazione ma verso una nuova crociata.
La vedova di Kirk, Erika, porta avanti i suoi ideali: Dio, patria e famiglia. Nella foto con Trump al funerale del marito. (Keystone)
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GUSTO
Cioccolato
Alla scoperta del mondo
Sui voli Swiss, come piccolo segno di ringraziamento, i passeggeri ricevono un cioccolatino Chocolat Frey. Ora alla Migros è possibile trovarne una versione in grande formato, che fa sognare i giramondo sulla terrazza panoramica dell’aeroporto.
Testo: Edita Dizdar Immagini: Nik Hunger
Philipp Borner (71)
«Viaggio da quando ho 17 anni; ho già visitato 58 Paesi. Sono stato in Vietnam due volte, ma ci tornerei subito. Ciò che mi affascina di più sono le persone. Sono così amichevoli. È inoltre possibile viaggiare a basso costo e soggiornare in buoni alberghi. E naturalmente il cibo è molto buono».
Jara Brand (17)
Jahvin Lecompte (16)
«Mio padre è originario dell’isola caraibica di Santa Lucia. Ci sono già stato due volte e vorrei tanto tornarci. Il clima è caldo e l’atmosfera rilassata».
«Oggi la mia amica parte per l’America per un anno e l’ho accompagnata in aeroporto. Se potessi, salirei io stessa su un aereo per il Brasile. La cultura e la natura sono molto diverse dalle nostre e mi piacerebbe potermici immergere».
Matej Brzovic ’ (15)
«Singapore sembra mega moderna e interessante e penso che potrei trovarmi bene per il clima. Se potessi, mi prenderei un mese intero per scoprirlo».
Stefan Sauer (36)
«Ho diverse mete di viaggio. Per cominciare vorrei vedere la superlativa Dubai. Dopodiché proseguirei per il Giappone. Mi affascinano le persone, il Paese e i treni moderni».
Maren Wyss (62)
«Se potessi, volerei a Miami. Ci sono stata molti anni fa e ripenso ancora a quel viaggio. Le spiagge sono meravigliose, il clima è piacevole e trovo la città e la sua architettura molto belle».
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Il famoso cioccolatino svizzero in grande formato
Dal 30 settembre è possibile gustare il popolare cioccolatino svizzero anche senza biglietto aereo. È infatti ora disponibile alla Migros nella tavoletta da 100 grammi in edizione limitata. Scansiona il codice QR all’interno della confezione. In palio ci sono buoni Swiss per un valore complessivo di 120’000 franchi!
Errata corrige
L’articolo sulle vitamine apparso nel nr. 39 di Azione del 22.9.2025, dal titolo «In inverno ci servono queste vitamine», alla voce «Vitamina D», conteneva delle inesattezze. L’assunzione giornaliera raccomandata di Vitamina D è infatti di 800-1000 UI (unità internazionali), che corrispondono a 20-25 microgrammi, e non 800-1000 microgrammi come scritto. Ci scusiamo con i lettori.
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Tenta
fortuna!
Inquietudini nel Regno Unito
La questione ◆ Il diritto di dire la propria, anche in modo violento e razzista, è diventato un tema facile, che non riguarda solo gli elettori di destra
Cristina Marconi
Nigel Farage è bravo ad aizzare insofferenze, a inventare nuovi bisogni per l’elettorato: uscire dall’Unione europea, convincersi di aver bisogno di libertà di parola, far sentire i britannici come se abitassero in Corea del Nord.
Funziona benissimo, tanto più ora che il vento internazionale soffia a favore, per l’artefice della Brexit al 35% nei sondaggi, e che il tema del freedom of speech ha un martire di rilievo come Charlie Kirk, tragicamente ucciso negli Stati Uniti il 10 settembre scorso.
Pochi giorni dopo, il 13, hanno fatto il giro del mondo le immagini di Londra invasa da 150mila persone scese in piazza per una enorme, inquietante manifestazione indetta da Tommy Robinson, agitatore politico di estrema destra, uno che fa risse e trascorre molto tempo in carcere.
Elon Musk in collegamento chiedeva di rovesciare il Governo laburista, «di combattere» oppure «morire», annunciando l’arrivo della violenza
Il motivo più nobile della manifestazione molto britannica – ci sono stati disordini, attacchi alla polizia, una decina di agenti feriti gravemente, sembravano i tempi degli hooligans – era difendere la libertà di parola, messa a repentaglio, agli occhi di molti, dall’attenzione sproporzionata che la polizia sta dando alle opinioni controverse espresse sui social, facendo del Regno Unito un luogo «vicino alle dittature del terzo mondo», secondo un articolo molto ideologico di «Forbes».
Le causes célèbres sono tante, e la più celebre di tutte è quella di Lucy Connolly, madre e babysitter di 41 anni che, dopo l’uccisione di tre bambine a Southport per mano di un diciassettenne figlio di immigrati ruandesi, ha twittato ai suoi pochissimi followers un invito, molto valorizzato dall’algoritmo e cancellato quattro ore dopo, a dar fuoco a tutti gli alberghi dove vivono «questi bastardi». La donna, che si è pentita, si è scusata e ha una bambina ancora piccola, è stata condannata a 31 mesi di carcere, e se non c’è dubbio che il suo sia stato un incitamento all’odio in piena regola, è
altrettanto chiaro quanto una pena così sproporzionata non rappresenti un deterrente ma un precedente pericoloso, di quelli capaci di infiammare gli animi.
L’attore e sceneggiatore irlandese Graham Linehan, autore di Padre Ted e da sempre molto critico verso i movimenti sui diritti dei trans, è stato arrestato a Heathrow per aver detto che se una donna incontra una trans nel bagno deve sferrargli un calcio in mezzo alle gambe. Poi, su scala minore ma ancora più simbolica, c’è il caso della tredicenne che, nella «giornata delle culture» a scuola si è presentata vestita con la bandiera britannica fatta di paillettes – come un tempo le Spice Girls, senza che la cosa fosse un problema – ed è stata messa in isolamento ad aspettare che qualcuno la venisse a riprendere, visto che il suo costume era stato giudicato «inaccettabile» dalle autorità scolastiche, che poi hanno riconosciuto l’errore. Alla marcia «Unite the Kingdom» la ragazzina, che si chiama Courtney Wright, ha parlato, spiegando che «a volte a scuola senti solo parlare di altre culture, e ti sembra che essere britannica non conti come cultura, solo perché siamo una maggioranza», ma che lei è fiera di avere quella, come cultura, e tutti dovrebbero poterlo essere. I 150mila della marcia erano con lei, in modo più o meno sentimentale, mentre Elon Musk in collegamento chiedeva di rovesciare il Governo laburista, «di combattere» o «morire», annunciando che «sta arrivando la violenza». Esortazioni che vanno contestualizzate, secondo Nigel Farage, ma che hanno senso se servono
Riconoscere la Palestina
Intanto il Regno Unito ha ufficialmente riconosciuto lo Stato di Palestina. Il premier Keir Starmer ha dichiarato che questa mossa mira a ravvivare la speranza di una soluzione a due Stati e non rappresenta una ricompensa per Hamas. Netanyahu ha definito il riconoscimento «una minaccia alla sopravvivenza di Israele» e ha promesso contromisure.
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a tutelare «i nostri diritti e la libertà di parola», diventata a sorpresa quello che la lotta contro i perfidi eurocrati era dieci anni fa durante la campagna referendaria.
Uno slittamento tematico che sorprende meno, se si pensa a chi siano i primi beneficiari di una totale assenza di regole sulla libertà di espressione, ossia i Big Tech, la Silicon Valley, tutti i miliardari che si sono inginocchiati alla corte di Donald Trump e che vedono come fumo negli occhi qualunque tentativo di moderare i toni sui social network, controllarne i contenuti, regolarne le attività per evitare abusi. Da una parte le regole britanniche sui crimini di espressione online sono troppo stringenti e lo stesso capo di Scotland Yard, Mark Rowley, ha parlato della necessità di «trovare un equilibrio tra la libertà di parola e il rischio di incitare alla violenza nel mondo reale», per evitare che le risorse della polizia se ne vadano tutte a inseguire minacce online perdendo di vista quello che succede nelle strade.
Non è l’unico a pensarlo, i casi di Connelly&Co sono problematici e non fanno che irritare una working class, che tra postumi del Covid e inflazione non si sente capita, è spaventata dagli immigrati che arrivano dalla Manica e riempiono alberghi che un tempo erano magari luoghi amati, ma è ancora più spaventata da chi trova nel Regno Unito opportunità a lei precluse. E quindi il diritto di dire la propria, anche se in modo violento e razzista, è diventato un tema facile, che non riguarda solo gli elettori di destra: il 38% dei britannici ritiene di non poter dire quello che vuole, anche per l’autocensura seguita a decenni di politicamente corretto. Davanti al Congresso americano, Farage ha detto che lo «Uk Online Safety Act», che Big Tech vede come fumo negli occhi, rischia di danneggiare il commercio e di minacciare «la libertà d’espressione in tutto l’Occidente per un effetto a catena». Non è vero, serve a proteggere contro gli eccessi – pedofilia, istigazioni al suicidio –ma la salvaguardia della democrazia britannica passa anche attraverso la comprensione delle sue inquietudini, o il referendum sulla Brexit non avrà insegnato niente.
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Protesta di estrema destra guidata da Tommy Robinson a Londra, metà settembre. Lo stesso giorno si è tenuta una manifestazione alternativa contro il razzismo. (Keystone)
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CULTURA
Corpo a corpo letterario
A colloquio con Antonio Franchini, che in ottobre sarà ospite del Festival Sconfinare
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Accostamenti inattesi
Poulenc e Mascagni per la regia di Emma Dante inaugurano la stagione del LAC di Lugano
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Ricognizioni territoriali
Al Museo Centovalli e Pedemonte l’indagine fotografica di Roberto Pellegrini intorno ai monoliti
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Un’onda giapponese
Scrivono bene e sono giapponesi: dalla penna di una serie di autrici pagine che fanno riflettere
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Richard Paul Lohse: rigore, colore e democrazia
Mostre ◆ Il MASI di Lugano celebra il maestro svizzero con un’ampia retrospettiva
Tra i pittori che hanno attraversato il Novecento impregnando la loro arte di ideali etici e politici, un posto di tutto rispetto è occupato dallo svizzero Richard Paul Lohse. Poche altre figure, difatti, a suo pari, hanno portato avanti con una tenacia che si può definire a buon diritto inscalfibile il concetto di creazione artistica come strumento di trasformazione sociale. Già attivamente schierato nell’opposizione ai fascismi tra gli anni Trenta e Quaranta, Lohse ha sempre perseguito l’utopia dell’uguaglianza, facendone l’indiscusso fondamento della propria pittura così come di ogni altra attività a cui si è dedicato: una vera e propria missione che ha caratterizzato profondamente ogni aspetto della sua esistenza.
Questa premessa è necessaria per meglio comprendere il modo di dipingere di Lohse, basato sulla serialità e sulla ripetizione come metodi di costruzione formale che si fanno veicoli di significati più ampi, legando principi estetici e valori morali. La rigorosa standardizzazione dei mezzi espressivi attuata dall’artista ha generato sistemi esatti nei quali campi di colore quadrati e rettangolari si relazionano tra loro secondo regole matematiche e strutture ricorrenti. Uno scenario creativo personale, quello di Lohse, che proprio nella pervicace reiterazione modulare e sequenziale ha trovato la più coerente manifestazione della sua visione democratica del mondo. «Negazione essenziale della gerarchia», come ha scritto lo storico dell’arte Rudi Fuchs, questo tipo di pittura ha dato all’artista «la possibilità di realizzare il suo sogno: l’immagine obiettiva e universale».
Quando negli anni Quaranta i dipinti del pittore svizzero prendono forma in precise composizioni aritmetiche risolte in chiave cromatica, vi sono già racchiuse tutte le intuizioni che si svilupperanno poi in innumerevoli varianti: «Dietro a noi si situa la tradizione della tecnica, davanti a noi il campo di una flessibilità illimitata e di nuovi ordinamenti», aveva sottolineato l’artista.
Lohse, nato nel 1902 a Zurigo e scomparso nel 1988, è stato uno dei protagonisti della scena culturale sin dagli anni Trenta del XX secolo, dapprima come apprezzatissimo grafico, tra i pionieri del moderno graphic design elvetico, poi come pittore. Per la precisione egli ha incominciato a dipingere con estrema dedizione solo alla soglia delle sessanta primavere, passando dall’esecuzione di qualche sporadica opera, talvolta non più di due o tre all’anno, alla realizzazione di anche cinquanta quadri nel medesimo arco di tempo, nei quali ha tradotto i progetti da lui teorizzati con ostinata disciplina nel corso dei decenni precedenti.
Il quarantennio della sua attività pittorica si è contraddistinto non solo per questo peculiare andamento produttivo (cosa che ha influenzato la ricezione e l’interpretazione dell’arte di Lohse da parte di pubblico e critica, ritardandole di molti anni) ma anche per uno svolgimento poco lineare, segnato non tanto da un’evoluzione uniforme quanto da continui ritorni, al limite della maniacalità, a pochi temi strutturali, ripresi e riesaminati più volte anche a lunghe distanze temporali.
La metodologia che ha caratterizzato l’opera di Lohse per tutta la sua vita ha tratto ispirazione dagli insegnamenti del movimento olandese
De Stijl fondato da van Doesburg e Mondrian, primi pittori a improntare un’arte razionale e universalmente leggibile. A ciò si sono aggiunte le esperienze mutuate dal Costruttivismo russo, corrente che ha adottato un linguaggio tecnico-scientifico per concorrere all’edificazione di una nuova società attraverso l’arte, e dal-
le dottrine del Bauhaus, scuola i cui principi fondanti erano essenzialità, funzionalità e uguaglianza.
Tutti stimoli, questi, che hanno portato l’artista a fondare nel 1937, insieme a Leo Luppi, il gruppo «Allianz», con l’obiettivo di affermare la modernità nell’arte e opporsi ai fascismi, e qualche anno più tardi, nel 1944, insieme a Max Bill, il movimento «Konkrete Kunst» (di cui hanno fatto parte anche Camille Graeser e Verena Loewensberg), allo scopo di perseguire una pittura basata su forme geometriche e su colori puri ben definiti, considerati gli elementi morfologici più idonei ad allontanarsi da ogni riferimento al dato reale e a concepire un’opera nella sua evidenza oggettiva.
Il Museo d’arte della Svizzera italiana, dopo due decenni dall’ultima mostra a lui dedicata, omaggia il pittore elvetico con una retrospettiva nata in collaborazione, tra gli altri, con la Richard Paul Lohse-Stiftung, fondazione voluta dallo stesso artista
l’anno prima di morire al fine di perpetuare il suo lavoro. Se gli oltre cinquanta dipinti esposti colpiscono prima di tutto per il rigore e la diligenza metodologica con cui sono stati realizzati (sottolineati anche dalla doppia datazione che accompagna ogni opera: la prima, quella più rilevante, a indicare la formulazione dell’idea pittorica, la seconda il momento dell’esecuzione), essi sono capaci, grazie principalmente alle combinazioni cromatiche, di suscitare nello spettatore una risposta emotiva che va oltre la razionalità che li contraddistingue. Non si può non cogliere, inoltre, la loro grande carica innovativa, precursori come sono di pratiche che dalle tendenze concettuali e minimaliste sono giunte ai più recenti esiti dell’arte computazionale.
A testimonianza dell’unicità della prassi di Lohse, la rassegna di Lugano si apre con una rappresentazione ipotetica dello studio dell’artista, dove centinaia di schizzi e disegni raccontano il ruolo centrale occupa-
to dalla progettazione nel suo processo creativo.
Da questo primo focus che chiarisce la genesi dei dipinti di Lohse, le tele presentate nel percorso di mostra compongono poi tanti nuclei, ciascuno dei quali è incentrato su una delle esposizioni più significative della carriera del pittore. Ecco allora la rassegna al Kunsthaus di Zurigo del 1942, a cui Lohse partecipa insieme agli altri membri del «Konkrete Kunst», l’esposizione allo Stedelijk Museum di Amsterdam del 1961, dove presenta opere che denotano una profonda consonanza con le ricerche del movimento De Stijl, e la Biennale di San Paolo del 1965, occasione in cui, accanto alle sculture di Jean Tinguely, espone dipinti dalla luminosità vibrante. Ecco poi la trentaseiesima Biennale di Venezia del 1972, che vede il pittore rappresentare la Svizzera con tele dalle minime variazioni in grado di produrre effetti visivi sempre diversi, e documenta 7 di Kassel del 1982, dove Lohse, l’artista più anziano a prendervi parte, allestisce le tre imponenti variazioni di Serielles Reihenthema in achtzehn Farben, da lui ribattezzate «i dinosauri». Questi lavori, dipinti a ottant’anni, possono essere considerati il manifesto della visione democratica del pittore poiché basati su uno dei suoi principi cardine, l’uguaglianza quantitativa del colore, in virtù della quale il quadro è costituito da un insieme di elementi di pari valore e dignità. La superficie diventa così un modello di struttura non gerarchica e di solidarietà sociale da cui emerge il legame tra la ricerca formale di Lohse, il contesto storico e le sue convinzioni politiche.
Ultima tappa è la mostra americana del 1988, la prima personale dell’artista negli Stati Uniti nell’anno della sua scomparsa. A ospitarla sono due luoghi emblematici, la Chinati Foundation di Marfa, in Texas, fondata da Donald Judd, e la casa-studio newyorchese del pittore minimalista americano, in un’evidente vicinanza d’intenti tra i due maestri. La rassegna sancisce l’importante ruolo di Lohse come trait d’union fra le avanguardie europee degli anni Trenta e il Minimalismo e l’Arte Concettuale degli anni Sessanta. E l’ancor più rilevante ruolo del pittore zurighese nell’aver rappresentato nelle sue opere l’enunciazione stessa dei fondamenti della civilizzazione umana.
Dove e quando Richard Paul Lohse. Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano – sede LAC. Fino all’11 gennaio 2026. Orari: martedì-mercoledì-venerdì 11/18; giovedì 11/20; sabatodomenica-festivi 10/18. www.masilugano.ch
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Per una poetica che affronta la vita di petto
Eventi ◆ Antonio Franchini si racconta in vista di Sconfinare Festival di Bellinzona (9-12 ottobre 2025), che lo avrà come ospite accanto a Lingiardi, De Gregorio, Ferraris, Gheno, Bergonzoni, Falcinelli, De Cataldo e Nazzi sul tema del corpo
Manuela Mazzi
È esercizio, rischio, limite, memoria, resiste e si piega, ricorda e dimentica, si fa linguaggio e ferita: Sconfinare sceglie il corpo quale terreno di indagine e di conflitto, per la sesta edizione del Festival culturale che avrà luogo in Piazza del Sole, a Bellinzona, dal 9 al 12 ottobre 2025. Per quattro giorni filosofi e psicoanalisti, artisti e scrittori interrogheranno i limiti del corpo: Maurizio Ferraris e Vittorio Lingiardi, per dire, lo metteranno a confronto con le identità che cambiano, Alessandro Bergonzoni ne esaspererà le metamorfosi, Riccardo Falcinelli ne seguirà le forme, Giancarlo De Cataldo i segni del crimine. Nel coro delle voci autorevoli si inserisce l’autore ed editor Antonio Franchini (con un incontro intitolato Il corpo della scrittura, la scrittura del corpo), che del corpo ha fatto un banco di prova costante: quello allenato nei gesti ripetuti sul tatami, quello esposto sul ring, quello combattuto sulla pagina sia da editor sia da scrittore. Con lui abbiamo parlato delle tracce che la corporeità lascia nella vita, nelle relazioni, nella scrittura.
Molti suoi testi, così come il suo approccio agli sport da combattimento, sembrano nascere da un confronto diretto, quasi fisico, con la realtà: è una forma di resistenza o di cura?
Sì, sono un po’ entrambe le cose. Da un punto di vista personale sono sempre state, e sono, per me una forma «di resistenza e cura». Non ho mai usato questa formula, ma la trovo molto pertinente, mi ci riconosco. Dal punto di vista, invece, della poetica, se così si può ancora dire, il filtro marziale mi è servito per affrontare la realtà il più direttamente possibile, senza troppi filtri. Intendiamoci, non ho mai pensato di poter abolire il filtro della letterarietà, dello stile, della ricerca formale, ma non l’ho mai voluto assolutizzare. L’arte serve se affronta la vita di petto e ci rivela qualcosa, non se ci gira attorno e ci confonde.
Porta il nome di uno zio artista morto: il corpo assente che segna il corpo presente. Quanto ha pesato, e ancora pesa questa eredità «incarnata» sul suo percorso di scrittore? Ha pesato molto e mi sorprendo ancora a parlarne. Anzi, sono contento perché l’esperienza sua e di altri giovani artisti e letterati napoletani che, durante gli anni della guerra, si sacrificarono per il riscatto morale della nazione combattendo al fianco degli alleati, è oggi molto riscoperta e più conosciuta e viva e attuale di quanto non fosse nei decenni passati.
In Quando vi ucciderete maestro (1996) emerge che la letteratura ridotta a puro stile sarebbe sterile come l’arte marziale che rinuncia al combattimento; ma sembra aver cambiato prospettiva nel racconto Il vecchio lottatore (2020). Vale ancora per lei questa visione? Lo stile resta un ornamento superfluo, oppure è un muscolo indispensabile della pagina?
Diciamo che ne Il vecchio lottatore, come è giusto che accada quando ci si avvicina all’ultima fase della vita, certe posizioni si fanno meno radicali e più sfumate, ma io, come dicevo prima, non ho mai considerato lo stile un ornamento superfluo; ne ho
Antonio Franchini sarà ospite di Sconfinare, in Piazza del Sole a Bellinzona, sabato 11 ottobre alle 11:30.
solo condannato certi eccessi, quando mi sembrava che si svuotassero i contenuti.
Si potrebbe dire che la disciplina dello scrivere funzioni come un allenamento, non di muscoli, ma di resistenza, di concentrazione, di durata?
IL PROGRAMMA
In realtà per me la scrittura è sempre stata più un pensiero continuo che una pratica costante. Le discipline del corpo, invece, l’esatto contrario.
Spesso si racconta il mestiere dell’editor come un confronto serrato con i testi e con gli autori. Se
dovesse pensarlo in termini fisici, quasi muscolari, quali segni o conseguenze direbbe che lascia quel tipo di pratica?
C’è un modo d’intendere l’editing (e, di conseguenza, il ruolo dell’editor) molto prescrittivo, agonistico, drammatico, quasi. Un confronto tra l’editor e lo scrittore volto a fare
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uscire la vera voce dell’autore attraverso uno scontro molto duro. Questo però non è mai stato il mio approccio. Ho quasi sempre pubblicato opere che mi convincevano, magari con piccoli suggerimenti su ritocchi, aggiunte, eliminazioni. Non ho mai ingaggiato scontri all’ultimo sangue con gli autori per imporre revisioni radicali. Le battaglie vere le ho fatte soprattutto con me stesso. È passato dal ring all’arena famigliare: continuità o rottura? Ah, bella domanda! Direi continuità.
In Il fuoco che ti porti dentro, recensito da «Azione» il 4 novembre 2024, rende sua madre un personaggio letterario sottraendole in un certo qual modo il suo corpo reale, pur rendendolo tangibile con le parole: si è trattato solo di una necessità narratologica, o di un bisogno dell’autore per prendere distanza dalla materia narrativa troppo dolorosa?
Sconfinare Festival, 9-12 ottobre 2025, Piazza del Sole, Bellinzona
Giovedì 9 ottobre
• 19.00: Corpo a corpo, con Vittorio Lingiardi e Maurizio Ferraris. L’evento di apertura della sesta edizione di Sconfinare Festival mette in dialogo due fra le voci più significative e originali del pensiero contemporaneo.
Venerdì 10 ottobre
• 13.30: Sconfinare per le scuole. Incontro con lo scrittore Giorgio Scianna, promosso in collaborazione con il Festival di letteratura per ragazzi Storie Controvento, insieme al Liceo cantonale di Bellinzona, alla Scuola cantonale di Commercio e alla Biblioteca cantonale di Bellinzona.
• 20.30: Arrivano i Dunque (Avannotti, sole Blu e la storia della giovane Saracinesca), spettacolo di e con Alessandro Bergonzoni (Teatro Carcano).
Sabato 11 ottobre
• 10.00: Di madre in figlia: corpo, memoria, voce, con Concita De Gregorio
• 11.30: Il corpo della scrittura, la scrittura del corpo, con Antonio Franchini
• 14.00: Corpi normali: a proposito del concetto di normalità, con Vera Gheno
• 15.30: Genere, culture e politica:
dall’esperienza personale a una riflessione collettiva, con Porpora Marcasciano
• 17.00: Corpi che parlano: come stare in relazione con gli adolescenti, con Matteo Lancini
• 20.30: Il segreto del volto, con Riccardo Falcinelli
Domenica 12 ottobre
• 10.00: Sessione di yoga e poesia, Radici e respiri, con Roberta Beffa e Michele Corengia, in collaborazione con Fondazione Sasso Corbaro.
• 14.00: Corpi sensibili, proiezione cinematografica in collaborazione con La Lanterna Magica.
• 16.30: Premio Giorgio Orelli, cerimonia di consegna e letture poetiche.
• 18.00: Corpi e ombre: dal noir alla cronaca nera, con Giancarlo De Cataldo e Stefano Nazzi
• 20.30: Suburra, proiezione cinematografica in collaborazione con il Circolo del Cinema Bellinzona.
Tutti gli incontri avranno luogo nella grande tensostruttura trasparente allestita in Piazza del Sole. Oltre agli eventi in programma, sarà possibile curiosare tra gli scaffali del Bookshop, gustare le proposte del Bistrot o semplicemente rilassarsi con una vista speciale dalla terrazza.
Il Festival vuole essere anche questo: un tempo da abitare insieme, in cui pensieri e corpi trovano spazio per muoversi, ascoltare, dialogare.
Una novità per chi vuole vivere il Festival ancora più da vicino Quest’anno nasce Sconfinare Club pensato per chi desidera un’esperienza più esclusiva. Non si tratta solo di un abbonamento, ma di un modo diverso di partecipare: entrando nel Club, si diventa parte attiva di una comunità appassionata, curiosa e aperta al confronto.
I vantaggi sono concreti: accesso garantito a tutti gli eventi, entrata rapida grazie a una corsia dedicata, posto riservato nelle prime file, un drink di benvenuto prima degli eventi serali, la borsa ufficiale del Festival, sconti al Bookshop, anticipazioni esclusive sul programma e, dove possibile, accesso prioritario ai momenti con gli autori.
Biglietti in prevendita sul sito: www.sconfinarefestival.ch
Scansiona e sfoglia il programma dettagliato
L’idea era quella di rendere Angela un personaggio letterario, sottraendola alla sua dimensione privata e al suo rapporto privato con l’autore per metterne in evidenza la sua universalità o, perlomeno, la sua comune identità napoletana, meridionale e, in senso più lato, italiana. Per fare questo non le ho sottratto il corpo reale, anzi, gli aspetti più marcati della sua carnalità li ho conservati tutti, magari esasperandoli. Al contrario, ho sottratto la sua «identità reale», perché, per l’appunto, l’Angela de Il fuoco che ti porti dentro è un personaggio letterario e non la vera Angela Izzo coniugata Franchini. Per un autore che affronti un personaggio reale con un intento fortemente letterario non esiste nessuna materia che sia troppo dolorosa perché la distanza è sempre imposta, per l’appunto, dalla letteratura.
I suoi libri mostrano il corpo come forza, perdita, ostacolo. C’è oggi una di queste dimensioni che sente più vicina?
Il corpo è sempre, come dice bene la sua domanda, tante cose insieme. E rimarrà sempre tutte quelle cose. La dimensione della perdita c’è sempre, e si rafforza con gli anni. Il corpo come ostacolo appartiene di più alla giovinezza, quando non ci si rassegna al fatto che il corpo possa essere un ostacolo. A una certa età con gli ostacoli rappresentati dal corpo ci fai pace. Anche la forza si attenua, ovviamente, ma io non ci ho ancora rinunciato.
La scrittura nasce come gesto corporeo – la mano, il braccio, il corpo intero coinvolti nel segno – ma oggi, fra tastiera e intelligenza artificiale, stiamo perdendo questa radice fisica. Lei come si colloca davanti a questa trasformazione? Quanto conta per lei scrivere come un atto che impegna il corpo non meno della mente?
Sono uno che ha sempre resistito, come poteva, alla modernità. Se potessi, scriverei sempre a penna. E scrivo a penna, infatti, anche se non posso fare a meno del computer, che comunque uso a malincuore. Anche fisicamente mi alleno con strumenti antichi. Ma anche questa è una moda. Moderna, purtroppo.
Intimità borghese e ritualità popolare
Teatro ◆ Emma Dante firma le regie di Voix humaine e Cavalleria rusticana, inaugurando la stagione del LAC con l’accostamento inatteso di Poulenc e Mascagni
Laura Di Corcia
Un dittico inusitato, ma possente, apre la stagione teatrale del LAC: la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni è infatti accostata non ai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, come da tradizione (ricordiamo il celebre concerto del 22 dicembre del 1893 al Metropolitan Theater di New York), ma alla Voix humaine di Francis Poulenc. Questa è la combinazione scelta da Emma Dante, che firma le regie di entrambi gli allestimenti, accompagnati dall’Orchestra della Svizzera italiana guidata dal Maestro Francesco Cilluffo (mentre il Coro della Radiotelevisione svizzera è diretto da Donato Sivo); un accostamento sicuramente audace, tanto sono lontani i due registri e le due atmosfere, una privata e introspettiva, l’altra corale e rituale, una borghese, l’altra popolare – ma in fondo un punto in comune fra le due opere esiste ed è anche semplice rinvenirlo, e risiede nella sofferenza della donna nelle questioni amorose, così come nelle forme di dipendenza affettiva che caratterizzano spesso il rapporto fra i due sessi e nel dominio simbolico che l’uomo ha sempre esercitato sul genere femminile.
La voix humaine di Cocteau, descritta dallo stesso Poulenc nei termini dell’incubo musicale, è un viaggio nel dolore abbandonico di una donna
che, attaccata alla cornetta, cerca di rimanere ancorata (letteralmente) a un amore giunto all’ultima spiaggia. Ad Anna Caterina Antonacci l’arduo compito di «cantare come si soffre» (sono sempre parole di Poulenc), uffi-
zio cui assolve con grande maestria e talento, da grande artista quale è. La scena è spoglia, fredda, i colori dominanti sono un bianco abbacinante e distante e il rosa, il colore del vestito di lei, il colore dei vestiti delle
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infermiere che entrano ed escono, e infine il colore dei danzatori che si cimentano in balli e pas à deux, il colore in definitiva da sempre abbinato al sogno romantico dell’amore; un rosa che però in questo caso non convince, e anzi alza il livello della tensione, mostrando con spietatezza ancora maggiore la discrepanza fra sogno e realtà, il suo essere immerso e quasi confondersi nel bianco latte. Quella che all’inizio pare la camera della protagonista a poco a poco si rivela essere un’asettica stanza di ospedale, luogo di cura da un male interiore che stringe come un nodo: lì ha luogo la lunga telefonata, in cui la donna ripercorre tutte le tappe della relazione con l’amato, in cui cita spesso Martha, l’amica che la soccorre e la ascolta lungo il complessissimo percorso di agnizione in cui l’innamorata capisce che il rapporto è giunto al capolinea. Accanto a lei, mentre parla, come presenze evanescenti e fatte d’aria si agitano una coppia che danza, una donna che segue, che chiama, che insegue, il fantasma di una nuova relazione, di una nuova donna, lo spettro della vecchiaia che avanza e scava solchi sulla pelle, la solitudine che schiaccia e dispera. A tal punto che viene, lecitamente, da domandarsi: ha mai avuto luogo questa telefonata? O il teatro di questa conversazione è la mente? È stato questo un dialogo con l’altro o con il Grande Altro di Lacan, quello che abita dentro di noi e ci situa come esseri parlanti, in relazione (anche se in absentia)?
In cartellone
La proposta teatrale continua, racchiudendo classici della letteratura e drammaturgia contemporanea: nei prossimi mesi, ricordiamo la nuova produzione di Carmelo Rifici, il Dittico della bufera basato su Tre sorelle e Il gabbiano (30.9 e 1.10 nell’ambito del FIT), il Riccardo III con Antonio Latella e Vinicio Marchioni (21 e 22.10), Re Lear con Gabriele Lavia (12-13.11), Ritorno a casa con Massimo Popolizio (21 e 22.11), Bovary con Stefano Cordella (17 e 18.12).
Dall’intimismo e dall’anti-teatralità della Voix humaine il pubblico luganese, dopo una piccola pausa, è stato condotto nelle atmosfere corali e di grande impatto della Cavalleria rusticana , una storia che pure si basa su una sofferenza amorosa che punge come uno spillo e che scuote alle fondamenta chi la sperimenta. Un grande inno, oltretutto, alla Sicilia, a una Sicilia che non c’è più ma che si pone per Emma Dante come un luminoso ma anche cupo mito originario, ai suoi riti e alle sue tradizioni religiose. Se nel testo precedente a soffrire era un personaggio borghese, in questo caso le pene sono quelle di una donna del popolo, Santuzza, messa in scena dalla mezzosoprano Veronica Simeoni, che non riesce ad accettare che il futuro sposo, compare Turiddu, portato in scena dal tenore Stefano La Colla, sia in verità innamorato della bella Lola, con cui aveva avuto una relazione prima di partire per il servizio militare e che al momento della narrazione dei fatti risulta sposata. Per questo Santuzza, che si dispera e che richiama più volte l’amato, umiliandosi, alla fine reagisce coerentemente con la forza propria delle classi popolari: si accascia, soffre anche fisicamente, ma infine bestemmia e opta per la vendetta, confessando tutto al marito tradito, Alfio, che metterà fine alla vicenda in modo tragico. La croce è il simbolo che attraversa tutto lo spettacolo, sin dal principio, trasportata con fatica e dolore da un attore di colore – un riferimento ai temi della migrazione e dell’emarginazione, anch’essi sollevati dal testo. Dietro alla croce, il dolore di Maria e le due donne che piangono Gesù: anche qui la cromia gioca, come nello spettacolo precedente, un ruolo, perché il velo della Madonna, d’un azzurro struggente, ricorda per chiarore e abbaglio le opere più note di Antonello da Messina e in generale l’iconografia presente nell’arte italiana tardo-medievale e rinascimentale. Quello stesso velo, portato dalla Madonna per tutto lo spettacolo, verrà infine posato sul capo della madre di Turiddu, a tragedia compiuta. Anche qui il centro della narrazione è abitato dal dolore di Santuzza, che si aggrappa all’amato, si umilia, e alla fine trasforma la sofferenza in una maledizione potente, che arriverà persino a togliere la vita all’amato. In questo caso la donna non coincide soltanto con la vittima, ma detiene un ruolo attivo ai fini della costruzione della narrazione. Non si tratta, però, di uno spettacolo dove il dolore occupa tutto lo spazio (come nella Voix Humaine): abbondano in questo allestimento anche la celebrazione delle atmosfere calde e colorate del Meridione tradizionale, con le sue feste, le passeggiate per le vie, le donne vestite di scuro ma sventolanti enormi ventagli colorati. E ancora le processioni, le feste di paese, la voglia di ballare, di bere, di mescolarsi, inserite in una messa in scena possente e al contempo estremamente godibile. Un inno alla passione che può mostrare un volto giocoso ma anche tremendo, a seconda di come viene proposto di volta in volta. Non poteva inaugurarsi in modo migliore la nuova stagione del LAC, che oltretutto quest’anno festeggia i dieci anni e ha un nuovo direttore generale, Andrea Amarante.
Difesa della memoria e sguardi che bucano il reale
Teatro ◆ In attesa del FIT, a colloquio con la direttrice artistica Paola Tripoli
Giorgio Thoeni
Appuntamento prestigioso e atteso, dal 3 al 12 ottobre torna a Lugano il Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea (FIT) organizzato in collaborazione con il LAC. Con 15 spettacoli e 29 repliche, per 10 giorni Lugano accoglierà artisti e performer fra i più interessanti e innovativi provenienti da undici Paesi per un’edizione, la 34esima, dedicata al tema della memoria con un’immersione nel presente.
Anche quest’anno saranno in scena spettacoli, incontri e progetti collaterali rivolti a pubblici differenti, una progettualità che ha convinto l’Ufficio federale della cultura che ha conferito al FIT il Premio svizzero delle arti sceniche 2025 per la sua importanza e per il valore dei suoi progetti di mediazione culturale. È il marcato profilo che Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT dal 2005, ha voluto dare al festival con tematiche legate alla contemporaneità.
La incontriamo alla vigilia della manifestazione.
Perché hanno aspettato così tanto a darvi un riconoscimento a livello nazionale? Più che un ritardo ci sembra la solita distrazione che accompagna quanto accade nella nostra regione…
La dimenticanza non l’attribuisco a livello federale. Anzi, secondo me il riequilibrio accade proprio lì e se non avvenisse, qui da noi saremmo, senza esagerazione, non dico dimenticati, ma trattati come quelli che comunque ce la farebbero lo stesso con quello che hanno. A livello nazionale c’è invece un’attenzione.
In Ticino la situazione non è cambiata molto. Ci stanno provando, ma i tempi sono lunghissimi. Mi rendo conto delle difficoltà di fare politica, di dare risposte a esigenze reali.
Come se questa non fosse un’esigenza reale…
Andare a teatro è un’esigenza di questa città, come si dimostra con il LAC: dieci anni fa chi avrebbe immaginato che sarebbe diventato così? La gente ne ha voglia e così è diventata un’esigenza reale. Per il resto rimaniamo quelli che fanno quello che devono fare con ciò che hanno, siamo ancora percepiti come quelli che fanno un «non lavoro». Se in ambito politico qualcuno cominciasse a rivendicare che fare cultura indipendente è un mestiere, forse la comunità comincerebbe a capirlo.
Che cosa manca affinché questo discorso attecchisca?
Un po’ è colpa nostra e un po’ è colpa di una politica che non interviene come dovrebbe. Ripeto, adesso alcune cose sembra stiano cambiando nei confronti della cultura indipendente. Certe parole vengono pronunciate come non avveniva prima. Il problema è che alle parole devono seguire i fatti e non si può aspettare troppo. Quando a livello nazionale racconto con quale budget lavoriamo strabuzzano gli occhi. È una realtà che trascina tutta una serie di cose, dai salari alla sicurezza sociale…
Sono 10 anni che il FIT collabora con il LAC: un percorso ancora lungo? Io ringrazio il fatto che esista il LAC. Non sono più i tempi di Vania Luraschi in cui il festival ha avuto un peso importantissimo. Il mondo è cambiato anche da noi e senza il LAC sarebbe stato molto difficile. Quindi, con tutte le critiche che si possono fare, penso che per il FIT sia stata una grande opportunità. Convincerlo non è stato difficile. Ovviamente dietro a tutto ciò ci stanno le persone. Il LAC di 10 anni
fa era quello di Carmelo Rifici ed è stato semplicissimo. Dall’altra parte c’ero io e si sono incontrate due persone che avevano voglia di parlarsi nel rispetto e nella reciproca autonomia fin dal primo giorno. E ancora oggi non c’è nessun tipo di ingerenza o pressione. Il LAC – non la Città – mette a disposizione delle risorse in termini di servizi (sale, tecnica, ecc.). A volte capita che ci siano spettacoli previsti nella sua stagione, quindi interamente pagati dal LAC, che altrimenti non ci saremmo mai potuto permettere e che insieme abbiamo pensato di collocare nel FIT (come ad esempio Bérénice di Romeo Castellucci nel 2024, NdR).
Che tipo di sguardo ha il FIT nei confronti del resto della Svizzera? Sono molti gli artisti svizzeri che prendiamo, certamente non tantissimi, ed è una scelta curatoriale, dal momento che vorrei dare un’idea di diversità del panorama europeo.
Monoliti delle nostre città
Che tipo di attenzione c’è invece rispetto alle produzioni del teatro indipendente della nostra regione? Faccio scelte in linea con la mia idea di teatro. Gli spettacoli della Svizzera italiana li vedo tutti in quanto faccio parte dell’antenna locale del «Jury Poker» del Theatertreffen. Devo anche dire che poi entrano in gioco anche altri fattori come le regole legate ai sussidi cantonali. Ma soprattutto le scelte si basano su ciò che ritengo più interessante per il FIT.
L’editoriale di questa edizione parla di una memoria che si vuole cancellare. Una memoria emotiva breve, che non accumuliamo e che è fatta di emozioni residue. È un guardare ciò che sta accadendo nel mondo e non capire più che cosa si può fare davanti allo sfacelo totale. Si riesce ancora a riconoscere dove finisce la propaganda e dove cominci la verità nei confronti della memoria?
Credo di sì. Magari non tutto, qualcosa sfugge. Penso di avere la capacità di leggere queste cose. Siamo diventati talmente bravi a mentire che ogni tanto sfugge ai più attenti cosa sia menzogna e cosa sia invece verità. Poi è ovvio che non sono neutrale, quindi a volte devo fermarmi e capire se non è la mia visione che prevale. I dubbi vengono continuamente. È talmente tutto così fraudolento che non ci si può più fidare di nessuno.
Attraverso le proposte del FIT come emerge il concetto di memoria?
A differenza delle passate edizioni ci sono artisti che portano dati incontrovertibili. Per carità, tutto si può sovvertire, ma se ci sono spettacoli che si basano su documenti credo che un’idea di memoria a cui credere venga comunque fuori. Anche se su un palcoscenico qualcosa di falso ci sarà: fa parte dello spettacolo, dei meccanismi del teatro.
L’editoriale si conclude con questa frase: la realtà è pornografica mentre il teatro è un atto di pudore. E il pudore oggi è un atto di resistenza…
Basta guardare un telegiornale per capire quanto la realtà sia pornografica. Tutto quello che accadeva sul palco negli anni 70 per alcuni era considerato pornografico mentre il pudore stava a casa. Oggi tutto è sovvertito ed è preoccupante. Quello che accade oggi è aberrante e qualsiasi aberrazione per me è pornografica. Non c’è più pudore per il dolore, non c’è più pudore per nulla. Invece gli artisti ce l’hanno ancora e in questo momento è una cosa bella.
Dove e quando FIT, Festival internazionale del Teatro 2025, 3-12 ottobre. fitfestival.ch
Fotografia ◆ Al Museo etnografico di Intragna Roberto Pellegrini si china su edifici urbani che paiono enigmatici simulacri
Gian Franco Ragno
Tra le figure più attive e presenti sul panorama fotografico ticinese, Roberto Pellegrini è altresì impegnato a livello associativo nella difesa di una professione che negli scorsi decenni ha subìto una profonda trasformazione, soprattutto a causa dell’avvento del digitale. Ma è stato anche tra coloro che hanno inaugurato una fase della fotografia ticinese: infatti si è proposto per esposizioni personali nei musei regionali, che fino allora non esponevano regolarmente fotografia. Ricordiamo Pieni e vuoti alla Pinacoteca Züst nel 2009, un progetto che nasceva all’interno della sua professione al Centro di Dialettologia ma che ne trascendeva i risultati, sfociando in una mostra e catalogo preziosissimi, evocativi dello stato di salute del patrimonio culturale nel Cantone. A questo sono succeduti molti progetti, con tecniche e approcci diversi, in altrettante sedi espositive locali: spesso esse hanno avuto come centro il rapporto e la dialettica tra l’uomo e lo spazio, due temi in connessione al tema del lavoro, come identità prima ancora che professione. Tra gli ultimi progetti ricordiamo quello del 2020,
La fidanzata del vero alla Biblioteca Cantonale di Lugano, riguardante appunto ritratti di professionisti in più ruoli e vesti nel corso della loro esistenza, e Ateliers, che esplorava il rapporto tra artista e il suo spazio intimo di creazione, progetto esposto alla Casa Elisarion di Minusio nel 2018, prima del suo recente restauro. In quest’ultimo progetto presentato al Museo etnografico Centovalli e Pedemonte a Intragna l’autore si concentra su quegli edifici di chiara impronta contemporanea – chiamati qui «monoliti» – che da qualche anno si impongono con una certa perentorietà nel nostro paesaggio urbano. Essi si caratterizzano per la scala imponente che crea un sensibile strappo nel tessuto urbano, dando un’impressione di disorientamento – comune a molti osservatori – per la velocità con cui emergono. I soggetti sono stati per la maggior parte ripresi nel Bellinzonese, anche a seguito della grande crescita demografica del distretto, nel Locarnese e in qualche caso, seppur in numero minore, nel Luganese e Mendrisiotto – il tutto negli ultimi cinque anni. Domina, nelle immagini di Roberto Pellegrini, il colore grigio medio, freddo come l’acciaio: non c’è traccia di presenze umane, non c’è vita intorno a questi edifici così geometricamente definiti. Anche nelle immagini, i «monoliti» hanno poco spazio accanto a loro, e manca il respiro dato dagli spazi verdi. Alla base dell’im-
magine, la strada scura d’asfalto. Ma non si tratta solo di monoliti. Siamo in presenza di forme eterogenee: enormi sarcofagi e torri, così perentori da incunearsi letteralmente nel territorio. Si impongono su tutto il contesto, ovvero le preesistenze storiche e i caratteri autoctoni, senza accennare a un dialogo con essi.
Tutta questa tensione è resa ancora più esplicita dal trattamento digitale postproduzione dell’immagine, sempre a opera dell’autore – che possiamo definire il tratto più marcato di tutto il progetto. Come cita il critico Antonio Mariotti nel catalogo che apparirà a fine settembre, l’autore in certo senso a questi edifici «chiude gli occhi trasformandoli in enigmatici simulacri di un nuovo immaginario urbano». Sono state infatti cancellate le aperture, coperte le finestre e le balconate: si nega così allo spettatore la possibilità di guardare all’interno, rendendo l’edificio ancora più solido, enigmatico e inesplorabile, più simile a un bunker di superficie o a un’enorme scultura contemporanea. Facendo nascere spontaneamente la domanda: chi mai abiterà questi edifici?
Dove e quando
Roberto Pellegrini, Monoliti Intragna, Museo etnografico Centovalli e Pedemonte. Orari: ma-me-gio 14:00- 18.00; ve-sa 9.30-12.30; 14.00-18.00; do 14.0018.00. Fino al 26 ottobre 2025. museocentovallipedemonte.ch
Roberto Pellegrini
L’immagine della locandina di FIT 2025.
Ciglia & sopracciglia
L’altra faccia del Sol Levante
Racconti ◆ Grazie all’attualità dei temi trattati e a una scrittura immediata, Natsuo Kirino e Murata Sayaka sono la prova del valore della letteratura nipponica al femminile
Simona Sala
In una fantomatica (ma lo sarà poi davvero?) società in cui l’omicidio non rappresenta più un atto «inammissibile», il sesso è stato definitivamente separato dalla procreazione. Quest’ultima, infatti, è appannaggio di cosiddette e cosiddetti gestanti, ossia donne e uomini impegnati a occupare il proprio tempo portando a termine una gravidanza dopo l’altra – dieci per l’esattezza – per vocazione, desiderio di vendetta o espiazione. Una volta nati, i nuovi esseri umani saranno consegnati a un Center, dove è auspicabile che i bravi (poiché pensano all’assetto demografico del proprio Paese) cittadini vadano ad adottarli. Sono molti i motivi per cui una persona finisce per diventare gestante. Vi è chi ci si ritrova per potere accedere al Gran Premio finale, che consiste nell’omicidio di un/a cittadino/a a scelta, oppure chi deve scontare una condanna, solitamente diretta conseguenza del fatto di averlo già compiuto, un omicidio. Nel mondo distopico di Sayaka Murata (classe 1979), in cui è rappresentata una società certamente postfuturistica, ma non così aliena da alcune realtà cui assistiamo, vicine e lontane (nei racconti di Murata, a un certo punto, scompaiono anche la morte, così come il concetto di coppia come lo conosciamo noi), a dire il vero i personaggi riescono a interagire, seppur non senza una buona dose di rassegnazione, anche con una certa armonia, dimostrandosi vicendevolmente forme d’amore diverse e poco convenzionali. Forse, inconsciamente a volere dimostrare che alla fine, anche nel più «post» dei mondi, gli esseri umani sono destinati a rimanere tali, con le proprie costellazioni di affetti e le piccole preoccupazioni di ogni giorno. Da questo viaggio nel futuro escono – in mezzo all’inesorabilità di talune situazioni, come quando, ad esempio ricevi una la lettera in cui lo Stato ti annuncia che sei diventato il trofeo del Gran Finale di qualche gestante – sprazzi di pa-
radossale speranza, grazie alla scrittura capace di Murata, impavida narratrice che non conosce paura nel dilungarsi in scene splatter e nello scendere nei particolari più sgradevoli. Parti e omicidi (titolo mutuato al primo dei quattro racconti), dunque, al netto del sangue e di altri liquidi corporei, che a tratti sgorgano a fiotti, è una raccolta in grado, con leggerezza ed expertise, di mostrare a chi legge le due facce della complessa medaglia della nostra epoca.
Su tutt’altro sfondo si muovono i personaggi dei sette racconti di Natsuo Kirino (classe 1951) contenuti in Ambos Mundos, titolo spagnolo che in qualche modo crea da subito una dissonanza con la terra d’origine della sua autrice. Niente paura per i cultori di certa letteratura orientale: Ambos Mundos è semplicemente il titolo di un racconto, oltre che il nome del vecchio hotel messicano in cui si rifugiano due amanti nipponici in fuga dalla loro asfissiante realtà. Al loro rientro in patria, dopo giorni di ebbrezza amorosa e ore a indugiare nell’hic et nunc, per i due amanti nulla potranno scuse e giustificazioni: le maglie di acciaio delle norme sociali nipponiche sono più forti di qualsiasi legame affettivo, finendo per stritolare chiunque non sia disposto a rispettarle.
Chi di Kirino aveva amato le Quattro casalinghe di Tokyo, con le sue protagoniste un poco operaie, un poco donne di casa e un poco killer, o le atmosfere ipnotiche e gradevolmente erotiche di Grotesque, con le sue questioni di identità e corporalità, in Am-
La sorella maggiore
Letteratura ◆ Serena Vitale affida alla scrittura la storia di Rossana, restituendo in prosa il dolore e la cura di una famiglia segnata dalla schizofrenia
Stefano Vassere
Ci sono vicende, non di rado legate alla famiglia e all’infanzia, che chiedono tempo per essere raccontate. Anni e decenni durante i quali succedono a volte tante cose diverse e lontane da quegli accadimenti, mentre tante persone accompagnano la nostra esistenza. Poi, a un tratto, si ricorda e si riprende la storia di quelle care ombre antiche; come se la vita fosse stata anche un lungo apprendistato in attesa di quella narrazione così essenziale. Serena Vitale è la slavista che conosciamo bene, autrice di saggi e di traduzioni memorabili dei maestri russi, approdata alla narrativa a cinquanta anni e da qualche mese autrice di questo struggente Cartella clinica, dedicato alla schizofrenia e alla morte della sorella Rossana.
di altezza: così all’epoca veniva curata la pertosse». Ma anche nel descrivere con cura i rapporti famigliari laterali ai destini della giovane malata; quello con il padre, colto nei momenti critici dei passaggi di consegna, dove l’accudito diventa accudente, e viceversa: «Papà lo vedevo nel pomeriggio (invecchiato, certo, ma sempre bello e senza cravatta) al solito bar: mi dava una carezza, mi offriva un gelato, mi chiedeva: “E la scuola?”. “L’anno prossimo vado all’università”. “Brava! L’ho sempre detto che eri portata per gli studi, sempre con un libro in mano…”».
bos mundos ritroverà una certa difficoltà del vivere, che affiora a più riprese, a testimonianza della complessità che si annida anche (o forse soprattutto) nelle vite più strutturate e tecnologiche, là dove l’individualismo che coltiviamo con tanta assiduità finisce per sbattere contro i costrutti sociali. L’infelicità trova un potenziale habitat ovunque, sia nella relazione di una donna con un amante che non si rivela all’altezza della situazione, e per questo dovrà pagare, sia nella necessità di condividere locali angusti con persone invise a causa della ristrettezza degli spazi delle grandi metropoli. Ma anche la felicità, sotto forma di guizzi fugaci, di piccole inattese accelerazioni, ogni tanto riesce a fare capolino, stupendo non solamente i personaggi delle trame, ma in primis la lettrice e il lettore, che vi ritroveranno quegli stessi ingredienti che hanno fatto grandi i romanzi di un Murakami, ma che, e lo stanno dimostrando a più riprese, sono anche il materiale di cui si nutrono sempre più scrittrici femminili, basti pensare all’intenso eppur leggero Seni e uova (Edizioni e/o) di Mieko Kawakami, o alla scrittura precisa, semplice e al contempo toccante di Aki Shimazaki, di cui proprio quest’anno è uscito in italiano il delicato Una campanella silenziosa (Feltrinelli).
È la storia di una vita, si ha l’impressione, di quelle cui si torna quasi per necessaria ostinazione in un’età nella quale i bilanci sembrano finalmente una necessità. Ed è un saggio narrativo, come spesso avviene quando si voglia rendere conto in prosa di malattie mentali (non si finirà mai di richiamare e lodare la prova di Rachel Aviv, nel meraviglioso Stranieri a noi stessi, Milano, Iperborea, 2022). Dati documentari, cartelle cliniche, fotografie, impressioni, cronache e sottrazioni; le figure familiari, i medici, le disattenzioni della sorella minore e dell’ambiente, il procedere delle avvisaglie e dei sintomi. Il registro è sospeso tra saggio e prosa letteraria; così, sembra, si descrivono meglio queste vite tormentate. Come spesso succede nelle opere di qualità, questo libro ha suoi incanti sorprendenti anche negli aspetti più di sfondo e meno probabili. Nel raccontare, per esempio, delle tecniche di cura delle malattie di un tempo: «Non ero ancora al mondo quando il nonno aveva noleggiato il piccolo aereo che portò Rossana a 2000 metri
L’epilogo della storia di Rossana è noto fin dalle prime frasi, dalla citazione estenuante e sgrammaticata dei rapporti medici. Non ne sono evidenti i contorni, per i quali bisognerà attendere le ultime pagine: la sorella minore che implora la madre, una domenica, di non andare a trovarla, «l’avrebbe maltrattata e offesa come sempre». E poi il rientro del fratello Bruno. E l’annuncio all’ambiente familiare così sfinito da quell’esperienza. Gli ambienti del disagio mentale sono quasi sempre riconoscibili nel carattere stremato negli affetti più prossimi. Fino a quando qualcuno dice «andiamo».
Deve essersi a lungo chiesta conto, quell’antica sorellina, di una sua collocazione in tutta questa vicenda, dove fosse il suo posto in quel dolore. Quasi adulta, «ora vai all’università», la si vede in una stanza della casa, accanto alla madre che «al noto ticchettio della vecchia Singer» cerca di adattare dei vestiti di Rossana perché le vadano bene, se appena un po’ accorciati. Un tailleur di lana blu, una gonna. «Mi sembrerà di rivederla».
Due notevoli raccolte di racconti che mettono il luce la maestria delle narratrici giapponesi.
Immagine dalla copertina del nuovo libro di Serena Vitale.
In fin della fiera
Omonimie illustri e destini capricciosi
Settembre. È ricominciata la scuola. Primo Levi ricordava i nomi di tutti i suoi compagni di classe. Raccontava di uno che, al liceo, interrogato, rispondeva «il numero del nonno» al posto del «numero di Avogadro», poiché portava lo stesso cognome ed era un discendente del grande scienziato. Rievoco l’episodio intrattenendo i soci di un circolo. Al termine un signore si presenta: mi chiamo Galileo Ferraris, sono il discendente diretto del geniale inventore del motore elettrico rotante. Gli faccio notare che il suo illustre antenato non era sposato e non aveva figli, ma lui ha la risposta pronta: Adamo, il fratello maggiore di Galileo, medico e garibaldino, aveva seguito l’eroe dei due mondi in Francia ed era morto in combattimento a Bligny nel 1871. Così Galileo, giovane professore, si era fatto carico della famiglia del fratello. E dopo quattro generazioni, nel 1995, era nato lui. «Sono l’ultimo erede di un grande nome». «Deve
Voti d’aria
essere difficile da portare», gli faccio notare. «Non me ne parli», risponde. «A Torino le famiglie che di cognome fanno Ferraris sono 385 e le persone 924, nessuna delle quali ha come nome Galileo». «Perché i suoi genitori hanno scelto un nome così impegnativo?». «Io ero il primo maschio dopo tre sorelle e i miei hanno deciso la mia vocazione». «Lo scienziato? L’inventore?». «No, l’elettricista. Mentre aspettava che io nascessi mio padre ha letto sul giornale che ci sarebbe stata una grande richiesta di elettricisti. Ha voluto garantirmi un avvenire sicuro. Con quel nome la gente si fiderà di te, diceva.» «È stato così?» «Chi lo sa? Per saperlo avrei dovuto fare l’elettricista». «E invece ha preso un’altra strada». «Proprio così. Io ho la vocazione dell’arte». «Che tipo di arte?». «L’arte figurativa. Sono un writer». «Quelli che vanno in giro la notte con le bombolette spray a dipingere i muri di fabbriche e i viadotti senza che nessuno
In un mondo senza limiti
E se tornassimo a parlare di limiti?
La prima cosa che affrontiamo con i bambini sono proprio i limiti e i divieti. Questo si può fare, quello non si può fare. Non si può mangiare con le mani, non si mettono le dita nel naso, non si può insultare il compagno d’asilo, non si sputa nel piatto in cui mangi e neanche in quello del vicino, non si dicono le bugie, non si prendono in giro le persone fragili eccetera eccetera. Ora è ufficiale: questi limiti non esistono più, ci eravamo sbagliati. Si possono sparare panzane impunemente, si può fare lo sgambetto allo zoppo, si può insultare chiunque senza limiti, possiamo farci beffe del povero e del malato. Perché, se gli insegnamenti vengono dall’alto, possiamo finalmente permetterci di tutto. Chi la pensa diversamente è solo un disgustoso, povero, demente politicamente corretto. A
furia di rimproverare ai buoni di essere buonisti, il cinismo, l’opportunismo, la scorrettezza politica, sociale, culturale hanno vinto. Evviva.
E se invece tornassimo a rispettare i limiti? Senza pretendere troppo, limitiamoci ai limiti che segnano il confine della banalissima buona educazione.
Se uno non la pensa come te, è maleducato dargli dell’idiota, del cretino, o del figlio di p… Chi lo dice a Trump (-1) che dare del figlio di p… al suo predecessore, oltretutto malato, con un tumore alla prostata e una metastasi alle ossa, è come si diceva una volta inopportuno, oltre a essere cattiveria allo stato puro come l’acqua distillata?
Chi glielo dice che non si può promettere di risolvere una guerra in 24 ore e dopo dieci mesi far finta di niente (-2)?
Chi glielo dice che non può trattare a pesci in faccia un suo ospite alla Ca-
A video spento
Pippo
Baudo, uno ogni secolo
Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo. Semplicemente, Pippo: il signore della tv italiana. E così, dopo Tortora, Mike, Corrado, Vianello, abbiamo dato l’addio anche a lui. Il maestro dei presentatori televisivi, ideatore di programmi, scopritore di volti, artisti, cantanti, attrici. Uomo di spettacolo, showman, autore, volto Rai, attore, paroliere, Pippo Baudo se ne è andato all’età di 89 anni. Era nato a Militello in Val di Catania, alle pendici dell’Etna, il 7 giugno 1936. È stato attivo in tv per quasi sessant’anni, legando il suo nome a programmi di successo come Canzonissima, Fantastico, Varietà, Luna Park, Novecento. E al Festival di Sanremo: mai nessuno come lui, tredici conduzioni. Un record. Lungo l’elenco, a questo proposito, dei tanti artisti, cantanti, attori e comici scoperti da Baudo: tra questi Al Bano, Barbara D’Urso, Loretta Goggi, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Andrea Bocelli e Gigi D’Alessio. Dalla fuci-
glielo abbia chiesto?». «Sì, quelli». «A casa come l’hanno presa?». «Non bene. Per venire incontro alle loro aspettative ogni tanto dipingo uno schema di impianto elettrico». «Saranno fieri di lei». «Fino all’altro ieri sì. Succede che dipingo su un muro lo schema di un impianto di fantasia che mi viene particolarmente bene. E lo firmo. Gli abitanti al pianterreno della casa di fronte vengono ad ammirarlo. Leggendo il mio illustre nome in fondo all’affresco pensano che lo schema sia più che valido, una garanzia. Da tempo meditavano di rimettere mano al loro vecchio impianto. Pensano: è inutile chiamare un elettricista, lo realizziamo noi. La casa è andata a fuoco e adesso andiamo per avvocati. È il destino di un vero artista essere incompreso».
Dopo quello di Galileo Ferraris un altro nipote di inventore si fa vivo con me dopo aver ascoltato una conversazione radiofonica con Piero Bianucci
di Bruno Gambarotta
nel corso della quale rievocavo l’episodio. Sostiene di discendere da Alessandro Cruto, l’inventore della lampadina a incandescenza. Gli faccio presente che Cruto, nato nel 1847, si è sposato in tarda età e non ha avuto figli. Ha la risposta pronta: «Il mio antenato era molto affezionato alle due figlie femmine della sorella di sua moglie. Una delle due si è fatta suora. L’altra, Anita, si è sposata e ha avuto tre figli maschi e tre figlie femmine. Io discendo da una delle femmine». «Perché vuole che la metta in contatto con il nipote di Galileo Ferraris?». «Fra le nostre due famiglie c’è un conto in sospeso. È una storia di destini incrociati: il mio antenato, Alessandro Cruto, assistette a una serie di conferenze tenute da Galileo Ferraris nelle quali lo scienziato sosteneva che, per far funzionare una lampada a incandescenza, sarebbe servito un materiale inesistente in natura, in grado di reggere le temperature generate dal pas-
saggio di corrente». «E questa volta si sbagliava». «Sì. Cruto si sentì sfidato. Lui aveva provato a cristallizzare del carbonio per fabbricare dei diamanti e aveva ottenuto in cambio delle guaine durissime, che funzionarono benissimo come filamento». «Mi risulta che l’invenzione fu attribuita a Edison». «Sì. Purtroppo Edison riuscì a registrare il brevetto cinque mesi prima». «Perché desidera incontrare il nipote di Galileo Ferraris. Quel tipo di lampadina ha terminato il suo ciclo vitale». «Lo so. Alessandro Cruto arrivò alla lampadina perché cercava di fabbricare diamanti». «È così, la chiamano serendipity». «Voglio proporre al nipote di Galileo Ferraris di costituire una società». «Per fare cosa?» «Cerchiamo di inventare un nuovo tipo di lampadina». «Non ci riuscirete mai». «Lo credo bene. Ma tentando invano di inventare un nuovo tipo di lampadina, scopriremo il modo di fabbricare i diamanti. È la serendipity bellezza».
sa Bianca come ha fatto con Zelensky (-3)? Chi glielo dice che, se continua così, alla fine del suo mandato presidenziale il suo voto d’aria scenderà a –1000? Qualcuno lo avvisi, per favore. I limiti, si diceva. Einstein ha scritto che la differenza tra un genio e uno stupido è che il primo ha dei limiti, ma Trump probabilmente non lo sa (-4). Figurarsi (-5) se conosce la frase-talismano di Totò: «Ogni limite ha una pazienza». I limiti della buona educazione, d’accordo. Ma i limiti territoriali? Neanche per sogno. Sconfinare è il progetto del presidente americano (Canada, Groenlandia). Sconfinare ovunque possibile è la politica bellica di Netanyahu (Gaza, Cisgiordania, Iran, Siria…). Debordare è la parola d’ordine di Putin: in Polonia, Romania, Estonia… Nessuno rispetta i confini, ciascuno fa come vuole. Sfondare
in ogni direzione, a destra e a sinistra, ma difendere con i denti (e i muri) i propri confini. Un paradosso, un delirio di onnipotenza.
Se ogni limite ha una pazienza, è vero innanzitutto che la pazienza ha un limite, e se qualcuno (la Cina?) perde la pazienza, finisce molto male. Un aureo libretto di Remo Bodei (6-), pubblicato qualche anno fa dal Mulino e intitolato Limite, si interrogava: «Dove si trova, se si trova, la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito?». Già, dove si trova?
La risposta non è univoca. Bisogna distinguere tra limiti fisici, scientifici, intellettuali, morali, politici. «Non tutto ciò che è possibile è lecito» è il principio chiave (6) da tenere come bussola. Un altro è quello di Orazio: «La morte è il limite ultimo di tutte le cose». Tolstoj mette in testa a un suo perso-
naggio, Ivan Il’ič un sillogismo: «Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Caio è mortale». E però: «gli era sembrato per tutta la vita, giusto soltanto nei riguardi di Caio, e che lui non c’entrasse per nulla. Quello era l’uomo Caio, l’uomo in generale: la cosa era quindi giusta; però lui non era mica Caio».
Non è che per caso Donald, Vladimir e Benjamin la pensano come Ivan (4+)?
A quanto ci risulta, sono tutti credenti, a vario titolo, eppure sembrano ignorare che alla fine sono anche loro (come noi) implacabilmente Caio. A meno che non confidino, con la loro onnipotenza (politica, militare, economica), nell’allungamento della vita più che nella loro immortalità. Probabilmente credono più nelle potenzialità della Silicon Valley che nella carità di un qualsiasi Dio. E al diavolo ogni limite.
na di talenti che il suo «fiuto» ha indirettamente prodotto è nata la battuta con cui è stato spesso parodiato: «Questo l’ho inventato io!». Gli ultimi anni gli hanno riservato qualche dispiacere professionale: riteneva di avere ancora molte idee e non si sentiva valorizzato dalla «sua» azienda, la Rai.
Pippo è stato il conduttore per eccellenza, il presentatore che ha ideato la regia «sul campo», ultimo erede della grande tradizione del varietà. È stato lui a scandire il ritmo dei programmi mentre li metteva in scena, a suggerire gli stacchi, affrontando imperturbabile qualsiasi imprevisto. Infaticabile, ha interpretato come pochi il ruolo di talent scout di giovani promesse, più volte ha dimostrato di saper riempire i buchi del palinsesto. Ci sono stati momenti in cui la Rai ha retto lo scontro con Mediaset grazie al continuo impegno di Pippo. La Rai aveva i magazzini vuoti e vuote erano le teste di alcuni centri decisionali: Pip-
po si è esposto, ha occupato tutti gli spazi possibili, forse troppi. Era un intrattenitore di facile presa, il massimo esponente dell’ideologia nazional-popolare (il più bell’elogio che gli potesse fare l’incauto ex presidente Enrico Manca), espressione di un mondo che conosceva il repertorio del teatro di rivista meglio della navigazione su Internet. Pippo era «uomo Rai». Quando nel 1987 abbandonò Viale Mazzini per passare in Fininvest riuscì a condurre un solo spettacolo, Festival. Non trovava in quegli studi «l’aria», era questa la sua espressione, che è la condizione necessaria per la riuscita di uno spettacolo. Per circa dodici mesi scomparve dai teleschermi. Si aggirava nei pressi di Viale Mazzini come un cane bastonato. A qualche cronista confidò il suo avvilimento: «Come sta?» – gli chiese una volta Beniamino Placido. «Come vuole che stia? Male. Non ho un lavoro». Poi rinacque, perché riammesso a corte, e Angelo Guglielmi lo
sdoganò alla grande con Uno su cento Baudo ha simboleggiato nel mondo della tv quello che la Democrazia cristiana ha rappresentato in politica: amico di De Mita, amico di Andreotti, ma nemico di Cossiga (con cui si è scambiato una serie di epiteti ingiuriosi). Filippo Ceccarelli ne aveva fatto un ritratto non proprio lusinghiero: «Baudo è rimasto qui (e lì) a dimostrare che se l’esperienza storica della Democrazia cristiana si era definitivamente esaurita, non per questo avevano smesso di esistere i democristiani. Sopravvissuto eroico e patetico, campione di quel fascinoso orientamento sentimentale e cinico che forse solo in Alberto Sordi si era manifestato al massimo dell’immedesimazione che attira a sé la medietas, specie se opaca e alla portata di tutti». In realtà, di Baudo, ne nasce uno ogni secolo, e quando muore la memoria s’inchina perplessa come dinanzi a un evento della storia che segna un prima e un poi.
Baudo ha condotto i grandi varietà del sabato sera, ma il suo capolavoro resta Domenica in: in quei pomeriggi sei, sette milioni di persone restavano incollate al video, i discografici, i pubblicitari, i produttori lo imploravano per partecipare al suo programma, gli scrittori si presentavano con il libro sotto braccio per mendicare un passaggio e un sicuro posto in classifica. La tv aveva raggiunto la dismisura del suo potere. Baudo era il nuovo che avanzava anche se stava sempre fermo (il famoso rinnovamento nella continuità); era una curiosa forma di eclettismo sociale, la capacità cioè di rivolgersi a tutti, di apparire interclassista, di promuovere l’innovazione e nello stesso tempo salvaguardare la tradizione. Sapeva occupare la scena e far ruotare attorno a sé gli ospiti. Era un tramonto che non tramontava mai. Poi, fatalmente, è sopraggiunta la sera dove non vale più la magica formula «Signore e signori buonasera!».
di Aldo Grasso
di Paolo Di Stefano
GUSTO
Zucca
I giganti
sono di ritorno
Le zucche sono i giganti dell’orto. E sono molto di più di una semplice verdura per zuppe
Testo: Claudia Schmidt
Zuppa di zucca
Con questa ricetta è facile preparare una cremosa zuppa di zucca. Il ciuffo di panna montata la rende ancora più appetitosa.
Cake alle nocciole e alla zucca
Prepara in poche mosse un cake delizioso con nocciole e zucca grattugiata, servito con un goloso frosting al formaggio fresco.
Ricetta
Torta alla zucca con formaggio erborinato
Piatto principale Ingredienti per 4 persone
400 g di zucca, pesata mondata, ad es. Muscade o Hokkaido
1 pasta sfoglia rettangolare già spianata
4 cucchiai di crème fraîche alle erbe
sale
pepe
1 cucchiaio d’olio d’oliva 100 g di formaggio erborinato
1. Scalda il forno statico a 200 °C. Taglia la zucca a fettine sottili.
2. Accomoda la pasta sfoglia con la carta da forno su una teglia e distribuisci la crème fraîche. Farcisci con la zucca, sovrapponendo le fette senza schiacciarle. Irrora d’olio, sala e pepa.
3. Cuoci la torta al centro del forno per 20-25 minuti.
Zucca gratinata con tacchino
Questo gratin di zucca, cipolle e striscioline di tacchino, arricchito con panna, aglio e formaggio, è un piatto di facile realizzazione.
4. Taglia a pezzetti il formaggio e distribuiscilo sulla torta. Servi subito.
Ricetta
Knöpfli con zucca e funghi
Piatto principale
Ingredienti per 4 persone
600 g di zucca,ad es. Butternut
250 g di funghi misti, ad es. cardoncelli e champignon
1 mazzetto d’erba cipollina sale
3 cucchiai d’olio di colza pepe
Impasto per knöpfli
450 g di farina per spätzli o farina semibianca
1½ cucchiaini di sale
1 dl di latte
1 dl d’acqua
3 uova
1. Per l’impasto, versate in una scodella la farina e il sale. Mescolate il latte con l’acqua e incorporate alla farina. Sbattete le uova, unitele e impastate il tutto con un mestolo, fino a ottenere una pastella densa che produce bolle e risulta piuttosto elastica. Lasciatela riposare per ca. 30 minuti.
2. Mondate la zucca e tagliatela a spicchi spessi ca. 5 mm. Pulite i funghi e dimezzateli o lasciateli interi a seconda delle dimensioni. Sminuzzate l’erba cipollina.
3. Portate a ebollizione abbondante acqua e salate. Versate poco per volta l’impasto sul coperchio forato per knöpfli posto sulla pentola e lasciate cadere nell’acqua i knöpfli. Non appena vengono a galla, estraeteli con una schiumarola e scolateli.
4. Scaldate poco olio e rosolate la zucca e i funghi a fuoco medio per ca. 5 minuti. Estraete e tenete in caldo.
5. Rosolate i knöpfli nell’olio rimasto, poco per volta, finché si dorano leggermente.
6. Serviteli con la zucca e i funghi e regolate di sale e pepe. Cospargete con l’erba cipollina.
Le nostre due preferite
Butternut
La sua buccia a volte è un po’ dura, quindi è meglio sbucciare questa zucca a forma di pera, il modo più semplice è con un pelapatate o un coltellino. Il «collo» stretto è particolarmente adatto per cubetti e fette, che possiamo tostare per far sì che si sviluppi il loro sapore dolce-nocciolato. La parte rotonda è perfetta per zuppe e puree.
Zucca Hokkaido
La zucca Hokkaido è davvero molto versatile. Nelle vellutate, nel curry o al forno, l’Hokkaido è la scelta perfetta. Poiché la sua buccia cuoce rapidamente, la si può mangiare senza problemi. È possibile conservare la zucca in un luogo fresco e asciutto per diversi mesi. Suggerimento: tagliare la zucca a metà e cuocerla in forno, quindi ridurla in purea e congelarla. Il tutto può essere poi utilizzato per preparare zuppe e puree o per farcire i ravioli.
Hokkaido al kg Fr. 3.70
Ricetta
Caesar salad alla zucca
Piatto principale Ingredienti per 4 persone
1 zucca Butternut o Hokkaido di ca. 800 g
4 cucchiai di tahina (pasta di sesamo)
4 cucchiai d’aceto di vino rosso
4 cucchiai d’acqua sale pepe
50 g di semi di zucca
400 g di mini lattuga romana
30 g di parmigiano in un pezzo
4 cucchiai di crostini di pane
1. Scalda il grill a 200 °C. Griglia la zucca intera per 50–60 minuti da tutte le parti a fuoco diretto con il coperchio chiuso, finché l’esterno scurisce e l’interno s’ammorbidisce. Per verificare la cottura, infila un coltello nella zucca: questa è cotta quando il coltello esce facilmente.
2. Per la salsa, mescola la tahina con l’aceto e l’acqua poi condisci con sale e pepe. Tosta i semi di zucca in padella senza grassi, finché scoppiettano leggermente. Stacca le foglie dai cespi di lattuga e distribuiscili in scodelline. Taglia la zucca in due, facendo attenzione al calore, e privala dei semi. Stacca la polpa dalla buccia e tagliala a bocconi, poi distribuiscili sulle foglie di lattuga. Grattugia a scaglie il parmigiano sull’insalata, guarnisci con i crostini e irrora con la salsa.
Più di una semplice zuppa
Zucca con yogurt e cipolle arrostite
Perché tagliare una zucca Hokkaido, conosciuta anche come Orange Knirps, quando la si può servire intera, con yogurt all’erba cipollina e cipolle?
Deliziosa, saporita o esotica: la zuppa di zucca può essere gustata in molte varianti
Zenzero per la piccantezza
La zuppa di zucca è di per sé un piatto delicato. Rosolando una cipolla e due spicchi d’aglio e poi aggiungendo un pezzetto di zenzero della grandezza di un pollice si crea una piacevole piccantezza.
Latte di cocco: più di un semplice sostituto
Sostituendo la panna con il latte di cocco non solo si crea una versione vegana, ma si conferisce alla zuppa anche un aroma particolare e piacevolmente dolce.
Curry per un tocco esotico
La miscela di spezie che conosciamo come curry può essere più o meno piccante, quindi prima di usarla è meglio provarla. Anche
la combinazione di latte di cocco e curry in polvere rende la zuppa molto saporita.
Un tocco d’Oriente
Aromatizzata con Ras el hanout, la zuppa è perfetta come antipasto in un menu orientale.
Per ottenere un risultato più denso
La zuppa di zucca è troppo liquida?
La prossima volta, utilizza meno brodo o aggiungi una o due patate schiacciate. Se la zuppa è comunque troppo acquosa, per addensarla puoi anche farla bollire più a lungo.
Zuppa dal sapore fruttato
Il succo di mela, mango o arancia conferisce alla zuppa di zucca
un tocco agrodolce. Il succo va aggiunto in pentola prima di rendere in purea i vari ingredienti, i piccoli pezzettini di mela possono essere cotti per qualche minuto.
Topping Come guarnizioni sono perfetti i semi di zucca, le scaglie di cocco tostato, i crostini, i semi di melagrana o qualche goccia di olio di semi di zucca. Le zuppe leggere possono essere meravigliosamente aromatizzate con erbe come il prezzemolo, il basilico o l’erba cipollina. Se si preferisce un tocco mediterraneo, si può cospargere la zuppa con foglie di timo. Il coriandolo si armonizza particolarmente bene nelle zuppe con latte di cocco, curry e zenzero.
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TEMPO LIBERO
L’epopea elvetica a Salerno
Nell’Ottocento l’impero tessile elvetico trasformò la città; oggi il ricordo di quell’epoca sopravvive in poche memorie architettoniche
Pagina 37
Sapori autunnali
In autunno ricomincia anche il tempo delle zuppe: perché non sfruttare la stagione delle zucche con una ricetta raffinata e semplice?
Pagina 39
Negli skatepark in carrozzella
Un gradito ritorno
Un remake che saprà fare la gioia di molti: ritorna il mitico Metal Gear Solid Delta Snake Eater, con tutto il fascino del 2004
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Altri campioni ◆ A Bulle si sono svolti i Mondiali in carrozzina di Wheelchair Motocross
Musica, giovani, applausi e tanta energia. Questa l’atmosfera che il 12 e 13 settembre ha invaso lo skatepark di Bulle, trasformandolo per due giorni nel centro del WCMX, acronimo che sta per Wheelchair Motocross. Per molti un termine ancora sconosciuto, per chi c’era, uno spettacolo capace di unire sport, emozioni e inclusione. Ma che cos’è esattamente il WCMX? Lo spiega Marco Bruni, tra i principali promotori della disciplina in Svizzera e co-organizzatore dei Mondiali.
«Il WCMX – racconta – è simile al BMX che vediamo negli skatepark. Solo che al posto della bicicletta si usa una carrozzina appositamente modificata. Le ruote anteriori sono più avanzate, per garantire stabilità, e c’è un ammortizzatore che attutisce gli impatti dopo i salti. In gara gli atleti eseguono trick, rotazioni, scivolate sui rail e acrobazie di ogni tipo».
Come tutti gli sport, anche il WCMX ha il suo eroe: si chiama Aaron «Wheelz» Fotheringham e vive a Las Vegas
E come in tutti gli sport, anche il WCMX ha il suo eroe, che prende il nome di Aaron «Wheelz» Fotheringham. Paraplegico dall’infanzia, vive a Las Vegas e ha trasformato la sua carrozzina in uno strumento di libertà. I suoi spettacoli sono diventati virali: discese da rampe di trenta metri, salti mortali doppi, atterraggi perfetti. Wheelz non era presente a Bulle, ma resta il punto di riferimento per migliaia di atleti e appassionati. Un entusiasmo contagioso che è arrivato fino in Svizzera. Il WCMX approda infatti da noi circa quindici anni fa, spinto dai video di Wheelz che circolavano online e accendevano la fantasia dei più giovani. Il vero punto di svolta arriva però nel 2019, quando Lorraine Truong, ex biker di talento, contatta l’Associazione svizzera dei paraplegici per chiedere un sostegno concreto allo sviluppo di questa nuova disciplina. La richiesta viene affidata a Marco Bruni, tecnico con un passato nello sport di alto livello: venticinque anni alla guida della nazionale maschile di Snowboard freestyle presso Swissski, tre Olimpiadi vissute da allenatore e una medaglia d’oro portata a casa con lo snowboarder Iouri Podladtchikov. «Con Lorraine ci siamo messi subito al lavoro – ricorda Bruni –. All’inizio non sapevo nemmeno come reagisse una carrozzina dentro ad una rampa. Ho dovuto imparare tutto da zero, o quasi. Insieme abbiamo costruito un nuovo concetto di insegnamento, adattato alle esigenze di chi pratica il WCMX».
I risultati arrivano in fretta: Lorraine diventa presto la migliore rider al mondo, tre volte campionessa iridata e dominatrice assoluta per quattro anni. È lei a lanciare l’idea di portare i Campionati del mondo in Svizzera, convinta che il Paese avesse tutte le carte in regola per ospitare un evento di tale portata.
Lo sviluppo di questa nuova disciplina si deve alla tenacia dell’atleta
Lorraine Truong, purtroppo mancata in giugno
«La scelta di Bulle – sottolinea Bruni – non è stata casuale. Qui da venticinque anni si svolge un evento di freestyle molto conosciuto, e da quattro anni c’è spazio anche per il WCMX.
Lo skatepark e la città offrono il contesto ideale». Purtroppo, Lorraine non ha potuto vedere realizzato il suo sogno: è scomparsa lo scorso giugno.
Proprio a lei è stato dedicato il giorno di apertura dei Mondiali.
La preparazione per l’organizzazione dei Mondiali è stata lunga, complessa, a tratti faticosa. Ma il risultato ha superato le aspettative: a Bulle sono arrivate delegazioni da sette Paesi – Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Francia, Brasile, Italia e naturalmente Svizzera.
Il pubblico ha potuto ammirare atleti di altissimo livello, tra cui il tedesco Davide Lebuser, che una settimana prima aveva entusiasmato il pubblico a Nottwil durante uno show in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni della Fondazione svizzera dei paraplegici. A Bulle, Lebuser ha conquistato il terzo posto, precedendo il giovane svizzero Emiglio Pargatzi, vent’anni appena e già considerato la promessa del futuro.
«Le gare di WCMX – continua Bruni – sono strutturate nel seguente modo: ogni atleta ha a disposizione due run da un minuto e mezzo. In
quel tempo occorre concentrare trick, creatività e fluidità. Una giuria valuta difficoltà, intensità ed esecuzione. Conta la migliore delle due prove, utile per guadagnarsi l’accesso alla finale». Una formula che garantisce spettacolo e lascia agli atleti libertà di espressione.
Il WCMX è ancora giovane, ma sta crescendo rapidamente. Lo dimostra il Mondiale del 2020, disputato online a causa della pandemia, che ha visto la partecipazione di atleti da continenti lontani come il Sud America. Germania, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti sono oggi i Paesi trainanti, mentre altre nazioni si affacciano con interesse crescente. «La vera forza del WCMX è l’inclusione – spiega Bruni –. Lo si pratica negli stessi skatepark dove i ragazzi si allenano con skateboard e scooter. Non ci sono barriere: ci si trova insieme, ci si diverte insieme.
A Bulle è stato evidente: un ragazzo in carrozzina accanto ai suoi amici, ognuno con il proprio mezzo. Nessu-
na differenza, solo passione condivisa. Questa è inclusione pura». Il carattere freestyle della disciplina è un altro punto di forza: può essere vissuto come competizione ad alto livello, ma anche come semplice gioco, un modo per passare del tempo con gli amici, spingersi un po’ oltre i propri limiti e divertirsi.
Eppure, l’obiettivo più ambizioso guarda lontano: fare del WCMX una disciplina paralimpica. È già accaduto con lo snowboard freestyle, diventato sport olimpico ai Giochi di Nagano nel 1998. Perché non potrebbe ripetersi la stessa storia?
La strada non sarà breve, ma a Bulle si è visto quanto entusiasmo e determinazione animino questa comunità. Il WCMX non è solo sport: è spettacolo, coraggio, inclusione e desiderio di libertà. Un messaggio potente, che va oltre le rampe e le acrobazie, e che potrebbe presto trovare la sua consacrazione sui palcoscenici più prestigiosi del mondo.
Marco Bruni mentre dà una mano a un atleta durante i campi sportivi di WCMX organizzati dall’Associazione svizzera dei paraplegici.
Davide Bogiani
Le donne spesso mostrano sintomi diversi rispetto agli uomini quando hanno un infarto. Queste differenze rendono più difficile una diagnosi tempestiva e spesso ritardano le misure salvavita.
Riconoscere i segnali di allarme in tempo
Le donne spesso presentano sintomi atipici come malessere, nausea, vomito, stanchezza e persistenti dolori addominali e alla schiena. Tuttavia, possono anche presentare i sintomi tipici come forte dolore al petto, forte pressione nella zona del petto, difficoltà a respirare, sudorazione e dolore che si irradia al braccio sinistro, ma anche alla mascella, all’addome o alla schiena.
Perché i cuori delle donne battono diversamente
La salute del cuore è diversa anche dal punto di vista biologico tra uomini e donne: i cuori delle donne sono più piccoli, i vasi sanguigni sono più stretti e le placche di colesterolo si formano spesso nei vasi coronarici più piccoli. Negli uomini, invece, sono spesso le arterie coronariche più grandi a essere colpite. Le differenze ormonali rendono la diagnosi ancora più difficile, e questo fa sì che gli infarti nelle donne vengano spesso trascurati.
Infarto nelle donne: il pericolo sottovalutato
L’infarto è ancora considerato una malattia tipica degli uomini, ma le donne muoiono più spesso a causa di questa patologia. Il motivo è spesso da ricercare nei sintomi atipici che non vengono immediatamente associati a un infarto.
Intorpidimento
Nausea o dolore addominale
Le donne spesso mostrano segnali di allarme diversi rispetto agli uomini. Queste differenze sono fondamentali per una diagnosi precoce.
Perché ogni donna è unica
La tua vita è unica come te. La Groupe Mutuel ti offre soluzioni personalizzate che ti supportano esattamente dove per te è importante.
Il gender data gap può essere letale I dati clinici si basano per circa tre quarti su studi condotti su uomini, perché le donne sono più difficili da reclutare. Questo porta a una minore disponibilità di dati scientifici sulle malattie, sui risultati, sugli effetti collaterali e sulla dose corretta dei farmaci. Esistono linee guida per la ricerca di genere, ma non sono applicate ovunque in modo adeguato.
Rischi aggiuntivi per il cuore delle donne
La maggior parte dei fattori di rischio per le malattie coronariche sono uguali per entrambi i sessi: diabete, sovrappeso, ipertensione, colesterolo LDL elevato, fumo, mancanza di attività fisica e stress.
Le donne hanno anche rischi specifici legati al genere, come:
• cambiamenti ormonali (p. es. la menopausa)
• malattie come l’endometriosi o la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)
• pressione alta in gravidanza, diabete gestazionale o preeclampsia (gestosi)
• malattie autoimmuni
L’elenco non è esaustivo. Per ulteriori informazioni, scansiona il codice QR.
Suggerimenti per prevenire un infarto e come trattarlo.
Scopri ora i vantaggi per le donne > groupemutuel.ch/it
Esaurimento
Mancanza di respiro
Vertigine
Sudore freddo
Sudore freddo
Dolore al torace
Dolore toracico o battito cardiaco irregolare
Dolore alle braccia, al collo, alla mascella o alla schiena
Dolore alle braccia, al collo, alla mascella o alla schiena
Mancanza di respiro
Mancanza di respiro
Gli svizzeri a Salerno, un’epopea dimenticata
Itinerario ◆ Dal cotonificio di Fratte a Villa Wenner l’impero tessile elvetico nell’Ottocento trasformò la città e oggi sopravvive solo in poche memorie architettoniche
Mario Messina
Quando arrivi a Salerno si percepisce subito che è una città di mare. Dalla stazione ferroviaria, del mare si sente quasi l’odore. D’altronde il porto turistico è lì, a soli 400 metri in linea d’aria. Ma noi oggi al mare voltiamo le spalle, per volgere lo sguardo a quel lembo di terra stretta tra i Monti Lattari e i Monti Picentini. È lì che andiamo per cercare qualche segno della presenza, un tempo massiccia, di cittadini svizzeri a Salerno.
Nel diciannovesimo secolo, alcune famiglie di imprenditori elvetici rivoluzionarono l’industria del salernitano dove costruirono un impero economico basato in primo luogo sul settore tessile. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la presenza elvetica da queste parti era massiccia. Perché qui vivevano sia i ricchi imprenditori sia le maestranze che essi si portarono appresso. Oggi, a più di un secolo di distanza dalla fine dell’epopea svizzera a Salerno, di quella presenza restano poche tracce.
Dal centro città bisogna spostarsi verso Fratte, frazione nell’entroterra della città rivierasca, per incontrare la prima di quelle tracce. È la chiesa di Santa Maria dei Greci, conosciuta come «rotonda di Fratte» a causa della sua forma sferica. La seconda traccia si trova poco più avanti: il centro commerciale «Le Cotoniere». Cosa c’entrano una chiesa cattolica e un centro commerciale con gli svizzeri? Entrambi questi luoghi sorgono dove un tempo si trovavano gli stabilimenti Schlaepfer Wenner & C. e ad essi sono legati. Ma per capire in che modo è utile fare un passo indietro. Nel 1829, a soli 17 anni, Friedrich Albert Wenner lasciava San Gallo per trasferirsi nella Penisola. Più precisamente tra Napoli e Salerno, un’area che in quell’epoca si stava aprendo alle influenze industriali europee. E non mancarono i tentativi di trovare il loro posto in quello spazio industriale da parte dei cittadini elvetici. Il primo svizzero a impiantare una filanda non lontano da qui fu Johann Jakob Egg che costruì il primo cotonificio svizzero a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese, in provincia di Caserta). La presenza di Egg aprì la strada a tanti altri suoi connazionali: Vonwiller, Zueblin, Escher, Mayer, Zollinger, Freitag e Schlaepfer. Fu con quest’ultimo, Johann Conrad Schlaepfer, che il nostro Wenner costituì la sua prima azienda. Grazie alla Schlaepfer-Wenner, nel 1830 furono costruite le prime filande e gli impianti per la tessitura e la tintura, avviando una fase di forte crescita economica per la provincia di Salerno. Nel corso della seconda metà del secolo, il distretto tessile di Fratte divenne un punto di riferimento nazionale, impiegando centinaia di operai e distinguendosi per l’uso di tecnologie avanzate importate dalla Svizzera e dall’Inghilterra, che garantirono la produzione di tessuti di alta qualità destinati ai mercati italiani ed esteri.
Lì dove Wenner e i suoi soci costruirono i capannoni delle sue aziende oggi si trova il centro commerciale che di quella storia industriale ha mantenuto solo un richiamo nel nome. Ma a ricordare quella presenza e quella storia ci pensa la chiesa di Santa Maria dei Greci che fu fatta costruire proprio dagli imprenditori svizzeri. Ma perché un gruppo di impren-
ditori svizzeri e di fede protestante decise di far costruire una chiesa cattolica? Semplice: per ingraziarsi i lavoratori locali. A differenza di altri loro connazionali (come il sopracitato Egg, che dalla popolazione di Piedimonte fu presto ben voluto), Wenner e compagni non si integrarono con la popolazione, né provarono mai a farlo.
Lo ha ricordato in diverse occasioni la professoressa Daniela Luigia Caglioti, docente di Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli e autrice di Vite parallele: una minoranza protestante nell’Ita-
lia dell’Ottocento (Il Mulino), saggio in cui illustra la vita degli imprenditori svizzero-tedeschi vissuti in città: «Per i piccoli e medi imprenditori svizzeri che vissero a Napoli e nel Regno in quegli anni ci fu scarsa o nulla integrazione nel contesto locale. Non dobbiamo pensare a queste persone come parte di un’élite. Quelli che arrivarono nel Regno napoletano in quegli anni furono soprattutto piccoli imprenditori alla ricerca di opportunità di lavoro e investimento. Non possiamo certo dire che fossero degli sprovveduti che venivano qui a cercar fortuna perché spesso dispone-
vano di un po’ di capitale da investire.
Ma erano senz’altro diversi sia dalle classi popolari sia dalle élite napoletane per cultura, censo e soprattutto religione».
La popolazione e i rappresentanti locali della Chiesa cattolica espressero preoccupazione per la fede protestante dei nuovi arrivati. La questione trovò una soluzione solo quando gli imprenditori d’oltralpe si decisero a finanziare la costruzione di un luogo di culto cattolico.
L’edificio fu realizzato tra il 1853 e il 1855 dall’architetto milanese Fumagalli, il quale progettò un tempio in stile neoclassico. La struttura si distingue per un pronao con colonne in ghisa e una pianta centrale sormontata da una cupola, poggiata su un alto tamburo.
Una chiesa, insomma, a uso e consumo della popolazione locale dalla quale gli imprenditori protestanti si tenevano a distanza. Anche fisicamente. Wenner, infatti, decise di edificare la propria dimora su una collina a Pellezzano, a quattro chilometri da lì.
Oggi Villa Wenner è una delle poche testimonianze tangibili della presenza degli svizzeri a Salerno. Opera dell’architetto elvetico Adolph Mauch, la villa ha un carattere neoclassico. Un neoclassicismo «attardato» che di-
stingue quella costruzione da tutte le altre fatte costruire in quel quartiere che oggi è chiamato «Villini svizzeri». Un edificio con caratteristiche mitteleuropee che qui non trovano riscontro altrove: un protiro aggettante in ghisa, costruito per intero nelle loro fabbriche e un parco che voleva avere delle caratteristiche romantiche tipiche del clima culturale d’oltralpe di metà Ottocento. Un giardino, quello di Villa Wenner, dove però riescono a trovare spazio anche piante indigene che restituiscono un’atmosfera del tutto particolare.
La presenza dei Wenner a Salerno terminò all’inizio del XX secolo. Le nuove tecnologie, la concorrenza internazionale e i mutamenti del mercato tessile misero sotto pressione l’azienda. La crisi economica del dopoguerra aggravò ulteriormente la situazione, facendo perdere centralità all’industria tessile di Fratte. Il colpo finale arrivò nel 1918, quando il governo italiano decise di nazionalizzare l’azienda, permettendo a un gruppo di finanzieri italiani di acquisirne le quote. Così, la lunga partecipazione svizzera nella tessitura meridionale, durata 105 anni, si concluse.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
La chiesa di Santa Maria dei Greci; sotto: Villa Wenner; in basso: il centro commerciale «Le cotoniere», dove un tempo sorgeva lo stabilimento. (Federico Quagliuolo)
Ora in offerta
Ricetta della settimana - Zuppa di zucca
Ingredienti
Antipasto
Ingredienti per 4 persone
800 g di zucca Hokkaido (Knirps arancione), già mondata
1 grossa cipolla
20 g di burro
8 dl di brodo di verdura
1,5 dl di panna semigrassa, ben refrigerata (vedi suggerimento)
sale
Preparazione
1. Tagliate a dadi la zucca compresa la buccia. Tritate grossolanamente la cipolla.
2. Soffriggete la cipolla nel burro a fuoco medio, finché assume leggermente colore.
3. Aggiungete la zucca e continuate brevemente a soffriggere a fuoco basso.
4. Spegnete con il brodo. Mettete il coperchio e lasciate sobbollire per circa 20 minuti, finché la zucca risulta morbida.
5. Incorporate 2/3 della panna semigrassa, poi riducete la zuppa in purea con il frullatore a immersione. Condite con sale, pepe e noce moscata.
6. Montate la panna restante. Disponete la zuppa nei piatti, guarnite con un ciuffo di panna montata e servite.
Consigli utili
Invece della panna potete usare dei crostini di pane o dell’olio di semi di zucca per guarnire la zuppa. Se mettete la panna in congelatore per circa 10 minuti, sarà più facile montarla.
Preparazione: circa 20-25 minuti; cottura: circa 15-20 minuti
Per persona: circa 4 g di proteine, 15 g di grassi, 14 g di carboidrati, 210 kcal
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Il ritorno del serpente nella giungla
Videogiochi ◆ Metal Gear Solid Delta: Snake Eater è un remake che conserva il fascino originale del 2004
Kevin Smeraldi
Metal Gear Solid Delta: Snake Eater è stato annunciato da Konami al PlayStation Showcase del 25 maggio 2023 per la prima volta. Immagino che, come noi, migliaia di fan della saga siano rimasti a bocca aperta durante la presentazione, con la speranza che il tempo potesse scorrere più velocemente per poter mettere le mani sul gioco il prima possibile.
Finalmente l’attesa è finita e, dal 28 agosto 2025, il gioco è disponibile per tutti. Noi non abbiamo aspettato nemmeno un istante e ci siamo fiondati immediatamente sul pad per giocare un classico che ha segnato l’adolescenza di moltissimi ragazzi negli anni 2000. Dopo diverse ore di gioco, abbiamo il piacere di condividere con voi cosa pensiamo di questo titolo.
Partiamo subito dicendo che questo è un remake del titolo originale uscito nel 2004. Metal Gear Solid Delta: Snake Eater rimane lo stesso titolo che si è potuto giocare più di 20 anni fa, e quando diciamo «lo stesso», intendiamo che tutte le particolarità che hanno reso questo titolo un capolavoro sono rimaste. Un esempio, senza farvi troppi spoiler, sono i modi per affrontare le boss fight e approcciare i nemici rimasti invariati: è proprio tutto come una volta. Per chi ama i videogiochi come noi, queste sono espressioni di classe che fanno venire la pelle d’oca e ci fanno esprimere esaltazione verso il suo creatore storico, Hideo Kojima.
Chiaramente, questo remake ha voluto svecchiare quello che era stato fatto più di 20 anni fa e gli sviluppatori sono stati davvero in gamba a farlo in una maniera molto pulita e personalizzabile. Il videogame, infatti, darà l’opportunità di giocare con la stessa inquadratura del titolo originale, o con una nuova visuale più simile a quella cui siamo abituati oggigiorno, ovvero un’inquadratura posteriore al protagonista ruotabile a 360 gradi, onde evitare quei fastidi con la telecamera che non permetteva di vedere alcuni nemici nel titolo originale. Inoltre, anche i controlli sono stati modernizzati, rendendoli più in linea con i giochi d’azione in terza persona di oggi. A noi queste modifiche sono piaciute notevolmente, tanto che l’abbiamo giocato interamente utilizzando questa nuova visuale.
Per chi non conoscesse la saga di Metal Gear Solid, parliamo di un videogioco d’azione con una forte componente «undercover» e una storia paragonabile ai migliori film di Hollywood.
In particolare, Metal Gear Solid: Snake Eater è ambientato nelle fitte giungle dell’Unione Sovietica nel 1964, nel pieno della Guerra Fredda, e ci metterà nei panni dell’agente segreto della CIA con il nome in codice di Naked Snake. La sua missione sarà quella di salvare uno scienziato e distruggere una super-arma nucleare.
Giochi e passatempi
Cruciverba
Due amici sono al bar e uno leggendo il giornale esclama: «Giorgio, sai che hanno fatto la TAC a una mummia di 2000 anni fa?» Cosa risponde Giorgio? Lo scoprirai risolto il cruciverba, leggendo le lettere evidenziate.
(Frase: 1, 6, 6, 5, 9)
ORIZZONTALI
1. Un grande albero
6. Figlio di Anchise e Afrodite
10. Un goccetto nel bicchiere
11. Sono legati all’archeologia
12. Due nel canotto
14. Le iniziali di Tolstoj
15. Moneta del Perù
16. Le iniziali della Tatangelo
17. Moneta bulgara
19. Si dice con rammarico
22. L’attore Baldwin
24. Ne è protagonista il 6 orizzontale
26. Noto monte biblico
28. C’è quella dei conti
31. Assenza di passioni
33. Minimo comune multiplo
34. Le iniziali dell’attrice Rossellini
36. Figlio di Procne
37. Articolo
39. Le iniziali dell’attrice Angiolini
40. Una consigliera proverbiale
42. L’impugnava D’Artagnan
44. Provoca intolleranza 45. Un raggio nei poligoni regolari
VERTICALI
1. Parte della scarpa
2. Due di quadri
3. Unione Italiana del Lavoro
4. Un numero
5. La mitica giovenca
6. Un lampo a Parigi
7. Ci... seguono in cucina
8. Nome femminile
9. Aiuto in poesia
11. Gravano sui basti
13. Un tessuto
15. Si festeggiano tutti
Questo titolo propone una storia epica di spionaggio, tradimento e patriottismo, mischiata con un gameplay divertente e appassionante, che regalerà un’esperienza videoludica come poche. Parliamo proprio del suo gameplay, che ha reso la saga di Metal Gear pioniera degli stealth action game. Durante quest’avventura Naked Snake è da solo, senza armi e senza cibo: viene infatti letteralmente catapultato nella giungla senza alcuna risorsa e dovrà farsi strada tra rettili, animali e soldati, cercando di sopravvivere e compiendo la sua missione.
Durante l’avventura dovrete cacciare per procurarvi il cibo, medicarvi se vi ferite, interrogare i soldati per carpire informazioni, e chiaramente pro-
gredire con la missione seguendo le indicazioni del colonnello tramite radio. Tutto questo deve essere fatto nella maniera più furtiva possibile; infatti, nonostante si possa uccidere i nemici in tutti i modi possibili, lo scopo del gioco, e soprattutto della missione, è non farsi scoprire. Per farlo avrete a disposizione diversi gadget, come: radar, sonar, visori termici, armi silenziate e addirittura armi sonnifere che, anziché uccidere i nemici, li addormenteranno momentaneamente. Ma attenzione, perché si sveglieranno. Per quanto riguarda il comparto tecnico, Metal Gear Solid Delta: Snake Eater è uno spettacolo puro. Con una grafica mozzafiato, giochi di luce impressionanti e dettagli nei vari luo-
ghi che si visitano, siamo convinti che in più occasioni resterete esterrefatti. Dire che l’audio sia in secondo piano per questo titolo sarebbe quasi una blasfemia. Metal Gear Solid Delta: Snake Eater offre una colonna sonora impressionante, a partire dalla sua sigla iniziale, che ricorda i classici film di spionaggio alla James Bond, fino a tutti quei suoni che sono il marchio di fabbrica della saga. Questo è forse uno dei titoli dove la componente sonora fa davvero la differenza.
Questo gioco, è vero, non è perfetto; ci sono alcune cose che si potevano ancora migliorare: i colpi che non sempre vanno a segno, alcune movenze di Naked Snake un po’ strane e le numerose ore spese a guardare i filmati e ad ascoltare le conversazioni radio per seguire la storia. Sicuramente alcuni di voi la troveranno frustrante in alcuni frangenti, altri invece logorroica a tratti, ma questa è un’esperienza, e deve essere vissuta come l’ha creata il suo sviluppatore.
Questo titolo ci ha gasati un sacco e ci siamo divertiti a poter rimettere le mani su un gioco che, in qualche modo, ha segnato le nostre adolescenze.
Raccomandiamo l’acquisto a tutti i fan della saga di Metal Gear Solid: siamo sicuri che piacerà anche ai neofiti, anche se magari non come ai giocatori di vecchia data. Il divertimento, comunque, è assicurato per ore. Voto: 9/10
il 1° novembre
18. Nome femminile
20. Azioni illegali
21. Evita la ripetizione
23. Lo dice chi ha afferrato il concetto
25. Un’insidiosa offerta
27. Favoriscono gli acquirenti
29. Vicina al cuore
30. C’è anche quello da taglio
32. Preposizione articolata
35. Il cantautore Stewart
38. L’Oriente
41. Pronome personale 42. Le iniziali del Papi della tv
Due di spade
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
Soluzione della settimana precedente RACCOGLIERSI IN PREGHIERA
I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
invece di 23.45 Sminuzzato di pollo Optigal Svizzera, 2 x 350 g, (100 g = 2.24)
13.50 invece di 27.–Nuggets di pollo Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5 kg, (100 g = 0.90) 50%
2.75 invece di 3.95
Uva bianca senza semi Migros Bio Italia/Spagna, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.55), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025 30%
Porri (Migros Bio esclusi) interi e a fette, per es. interi, Svizzera, al kg, 3.46 invece di 4.95 30%
Ammorbidente Lenor in confezioni multiple o speciali, per es. Freschezza d'aprile, 2 x 1,239 litri, 9.75 invece di 15.–, (1 l = 3.93) conf. da 2 35%
5.95 invece di 9.–
Prosciutto cotto in crosta Spécialité Suisse Svizzera, 2 x 120 g, (100 g = 2.48), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025 conf. da 2 33%
conf. da 3 33%
Pasta Migros Bio, refrigerata fiori ricotta e spinaci o agnolotti all'arrabbiata, per es. fiori, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85, (100 g = 1.32)
Branches Frey Milk o Dark, in conf. speciale, 50 x 27 g, per es. Milk, 12.75 invece di 25.50, (100 g = 0.94) 50%
Validi gio. – dom.
imbattibili weekend del Prezzi
Tutti i tipi di caffè in chicchi, 1 kg per es. Boncampo in chicchi, 9.07 invece di 12.95, (100 g = 0.91), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025 30%
Fino a esaurimento dello stock. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.
Accendino per
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Settimana Migros Approfittane e gusta
Porri (Migros Bio esclusi) interi e a fette, per es. interi, Svizzera, al kg, 3.46 invece di 4.95
Pasta Migros Bio, refrigerata fiori ricotta e spinaci o agnolotti all'arrabbiata, per es. fiori, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85, (100 g = 1.32)
Cibi semplici ma ricchi di vitamine
1.20
4.95
Migros Ticino
Peperoni misti Spagna/Paesi Bassi, sacchetto da 500 g, (100
3.95 invece di 5.50
Extra uva pizzutella Italia, al kg 28% PREZZO BASSO
1.25 Avocado Perù, il pezzo
4.20 Datteri
Stati Uniti / Israele, vaschetta da 300 g, (100 g = 1.40)
Tutte le mele e le pere, Migros Bio e Demeter per es. pere Williams Migros Bio, Svizzera, al kg, 5.12 invece di 6.40, prodotto confezionato 20%
–.40 Limone Sudafrica, il pezzo
2.90
Patate a pasta farinosa Svizzera, busta da 2,5 kg, (1 kg = 1.16)
Oltre 1000 prodotti di uso quotidiano a prezzo basso
1.30
Cipolla Svizzera, al kg
Carne e salumi
Teneri, anche sul budget
1.35
invece di 1.90 Carne di manzo macinata M-Classic Germania/Italia, per 100 g, in self-service 28%
4.30
Carré d'agnello M-Classic per 100 g, in self-service 13%
invece di 4.95
6.30
invece di 9.50 Rib eye di manzo dry aged M-Classic Irlanda/Gran Bretagna, per 100 g, in self-service 33%
8.40 invece di 12.–
di pollo Optigal al naturale e speziato, Svizzera, al kg, in self-service 30%
2.55 invece di 3.20
magro di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service 20%
3.25 invece di 4.35
di lonza di maiale Migros Bio Svizzera, per 100 g, in self-service 25%
1.85 invece di 2.20
Lasagne alla bolognese con manzo Black Angus prodotta in Ticino, per 100 g, in self-service e al banco 15%
5.85
1.75
2.95
12.90
1.10
2.20
Pesce e spinaci: l’accoppiata vincente
8.75
di 10.35
Filetti di salmone con pelle Migros Bio d'allevamento, Norvegia, 300 g, in self-service, (100 g = 2.92) 15%
7.95
invece di 15.90
Cozze fresche M-Classic, MSC pesca, Paesi Bassi, 2 kg, in self-service, (1 kg = 3.98)
Tutta la pasta Migros Bio e You (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. penne integrali Migros Bio, 500 g, 1.72 invece di 2.15, (100 g = 0.34)
spinaci alla panna conditi, IP-SUISSE prodotto surgelato, 800 g, 2.66 invece di 3.80, (100 g = 0.33)
Ricetta delle fettuccine con zucca e salmone affumicato: migusto.ch
9.95
invece di 14.30
Salmone affumicato Migros Bio d'allevamento, Norvegia, 180 g, in self-service, (100 g = 5.53) 30%
25%
8.95
invece di 12.–
Filetti di orata con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Turchia, 350 g, in self-service, (100 g = 2.56)
44%
10.95 invece di 19.80
Filetti di pangasio Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5 kg, (100 g = 0.73)
Tutte le paste in blocco, già spianate e non spianate, Migros Bio per es. pasta per crostate già spianata, 270 g, 1.84 invece di 2.30, (100 g = 0.68) a partire da 2 pezzi 20%
Discoletti, nidi alle nocciole e amaretti al cocco, Petit Bonheur per es. discoletti, 207 g, 2.48 invece di 3.10, (100 g = 1.20) a partire da 3 pezzi 20%
3.85
Sfogliatine M-Classic 2 x 4 pezzi, 2 x 132 g, (100 g = 1.46)
Pane di frumento croccante con semola di grano duro
20x CUMULUS Novità
3.95
Pane croccante dal forno a legna Migros Bio 400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.99)
Cornetti alla crema in conf. speciale, 4 pezzi, 280 g, (100 g = 2.14) 14%
6.–invece di 7.–
Formaggi
Da mescolare, grigliare e sgranocchiare
15.25
Tutto il formaggio Appenzeller in self-service per es. leggermente piccante, circa 250 g, per 100 g, 1.40 invece di 1.75 20%
invece di 19.10 Fondue moitié-moitié Caquelon Noir, AOP 2 x 400 g, (100 g = 1.91)
da 2 20% Fette di raclette aromatizzate M-Classic paprica, pepe e aglio, 14 fette, 400 g, 6.72 invece di 8.40, prodotto confezionato, (100 g = 1.68) a partire da 2 pezzi 20%
Caseificio Blenio per 100 g, prodotto confezionato 20%
2.10 invece di 2.65
7.35 invece di 9.20 Rosette di formaggio Tête de Moine, AOP 2 x 120 g, (100 g = 3.06)
2.45 invece di 3.10
Formaggio cremoso Luzerner Emmi, bio circa 280 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%
Gorgonzola Selezione Reale DOP per es. mascarpone, 200 g, 3.90 invece di 4.35, (100 g = 1.95) 10%
Migros Ticino
Migros Ticino
Acquisti intelligenti, scorte previdenti
a partire da 2 pezzi 30%
Tutti i cereali e i semi, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. fiocchi di avena finissimi, 400 g, 1.26 invece di 1.80, (100 g = 0.32)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le confetture Extra e Fit & Well, Belle Journée per es. Extra alle fragole, 500 g, 2.16 invece di 2.70, (100 g = 0.43)
a partire da 2 pezzi 20%
Caffè istantanei Cafino (senza bio), Classic o Voncoré, per es. Classic, 550 g, 9.44 invece di 11.80, (100 g = 1.72)
a partire da 2 pezzi 30%
Tutti i rösti M-Classic per es. Original, 500 g, 1.75 invece di 2.50, (100 g = 0.35)
a partire da 2 pezzi 33%
Tutti i tipi di farina Migros Bio da 1 kg (prodotti Alnatura, Demeter e Regina esclusi), per es. farina per treccia, 2.55 invece di 3.80, (100 g = 0.26)
conf. da 4 25%
Pescato all'amo
conf. da 3 25%
Rio Mare tonno all'olio d'oliva o al naturale, in confezioni multiple, per es. tonno all'olio di oliva, 4 x 104 g, 13.80 invece di 18.40, (100 g = 3.32)
Pizze Toscana o Margherita, M-Classic prodotto surgelato, per es. Toscana, 3 pezzi, 1080 g, 8.85 invece di 11.85, (100 g = 0.82)
Tutti i tipi di olio e aceto, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 8.76 invece di 10.95, (100 ml = 1.75) 20%
Snack e aperitivi
Per colmare i piccoli languorini
Tutte le barrette ai cereali e gli snack, Farmer per es. barrette ai cereali al cioccolato e alla mela, 288 g, 3.22 invece di 4.60, (100 g = 1.12) a partire da 3 pezzi 30%
Chips Migros Bio al naturale o alla paprica, in conf. speciale, 300 g, (100 g = 2.00) 20%
a partire da 2 pezzi 20% 6.–invece di 7.50
Tutte le zuppe Bon Chef per es. vellutata ai funghi porcini, 75 g, 1.36 invece di 1.70, (100 g = 1.81)
3.90 invece di 6.57
Chips M-Classic, in conf. XL alla paprica o al naturale, in conf. speciale, 400 g, (100 g = 0.98) 40%
da 2 25%
Graneo o Snacketti, Zweifel disponibili in diverse varietà, per es. Paprika Shells Snacketti, 2 x 75 g, 2.90 invece di 3.90, (100 g = 1.93)
Tutte le noci e la frutta secca, Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. noci di anacardi, Fairtrade, 150 g, 2.84 invece di 3.55, (100 g = 1.89) a partire da 2 pezzi 20%
Offerte valide dal 30.9 al 6.10.2025, fino a esaurimento dello stock. Senza esaltatori di sapidità
Bevande Gusto rinfrescante e
frizzante
conf. da 6 33%
Evian in confezioni multiple, per es. 6 x 1,5 litri, 4.42 invece di 6.60, (100 ml = 0.05)
Conisotonicheproprietà
conf. da 24 40%
28.80
invece di 48.–Birra Feldschlösschen senza alcol
Lager o limone, 24 x 500 ml, (100 ml = 0.24)
conf. da 12 25%
9.45 invece di 12.60
Coca Cola Classic o Zero, 12 x 330 ml, (100 ml = 0.24)
conf. da 6 30%
da 6 33%
San Pellegrino e Sanbittèr in diverse varietà e confezioni multiple, per es. San Pellegrino con anidride carbonica, 6 x 1,25 litri, 4.42 invece di 6.60, (100 ml = 0.06)
Diverse varietà in offerta
conf. da 10 50%
2.45
invece di 4.95
Capri Sun
Multivitamin, Multivitamin Zero, Mystic Dragon o Monster Alarm, 10 x 200 ml, (100 ml = 0.12)
Orangina e Oasis disponibili in diverse varietà, per es. Orangina, 6 x 1,5 litri, 9.66 invece di 13.80, (100 ml = 0.11)
conf. da 6 25%
8.95
invece di 11.95
Succo d'arancia Migros Bio 6 x 1 litro, (100 ml = 0.15)
conf.
Irresistibili delizie a prezzi allettanti
Tutti i praliné Ferrero per es. Rocher, 200 g, 5.06 invece di 5.95, (100 g = 2.53) 15%
conf. da 2 20%
4.–
invece di 5.–
conf. da 5 20%
17.20
invece di 21.50
Magdalenas M-Classic marmorizzate o al limone, 2 x 225 g, (100 g = 0.89)
Tavolette di cioccolato Lindor o Chocoletti, Lindt per es. Lindor al latte, 5 x 100 g, (100 g = 3.44)
Croccanti se raffreddate e cremose a temperatura ambiente
Branches Eimalzin in conf. speciale, 50 x 25 g, (100 g = 1.40) 50%
17.50 invece di 35.–
Kägi Fret
3 x 150 g o 3 x 128 g, per es. 3 x 150 g, 8.80 invece di 11.85, (100 g = 1.96) conf. da 3 25%
–.50 di riduzione
25.95 invece di 41.52
Palline al latte Lindor Lindt in conf. speciale, 800 g, (100 g = 3.24) 37%
Tutti i biscotti in rotolo M-Classic e Migros Bio per es. biscotti margherita M-Classic, 210 g, 1.70 invece di 2.20, (100 g = 0.81)
al 6.10.2025, fino a
Soluzioni pratiche
Detersivo per stoviglie Handy Original, Lemon o Orange, per es. Original, 3 x 750 ml, 4.55 invece di 5.40, (100 ml = 0.20)
partire da
pezzi
Tutti i detersivi Elan (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Spring Time, in conf. di ricarica, 2 litri, 6.48 invece di 12.95, (1 l = 3.24)
Tutto l'assortimento di tessili per la camera da letto Home per es. lenzuolo teso Jersey Stretch, 90–100 x 200–220 cm, il pezzo, 31.96 invece di 39.95
Canon PIXMA-TS3752i blu/grigio o TS3551i bianco il pezzo, 47.96 invece di 59.95 20%
Persil Gigant Discs Universal o Color, 10 pezzi
Tutte le batterie Energizer per apparecchi acustici per es. 312, 8 pezzi, 7.98 invece di 15.95
Bellezza e benessere a ritmo di convenienza
Tutto l'assortimento Maybelline per es. concealer Instant Anti-Age, 01 light, il pezzo, 9.54 invece di 15.90
Tutto l'assortimento di prodotti per la cura del viso L'Oréal Paris (prodotti Men e confezioni multiple esclusi), per es. crema da giorno antirughe Revitalift, 50 ml, 12.71 invece di 16.95, (10 ml = 2.54)
Prodotti per la doccia Nivea o Nivea Men per es. Crema Soft, 3 x 250 ml, (100 ml = 0.93) conf. da 3 33%
invece di 10.50
3.60
Deodoranti Nivea o Nivea Men per es. deodorante Dry Comfort, 2 x 50 ml, 5.60 invece di 7.50, (100 ml = 5.60)
Rafforza la struttura del capello Nivea Hair Care Length Wonder shampoo o balsamo, per es. shampoo, 250 ml, 3.95, (100 ml = 1.58) 20x CUMULUS Novità
labbra Lavera Basis Sensitiv
g, (10 g = 8.00) 20x CUMULUS Novità
Tutto l'assortimento Secure e Tena (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Ultra Normal, FSC®, 20 pezzi, 4.65 invece di 6.20, (10 pezzi = 2.33)
Assorbenti o salvaslip, Molfina per es. salvaslip Long, FSC®, 100 pezzi, 4.50 invece di 5.30, (10 pezzi = 0.45)
2.85 invece di 3.40
Tutto l'assortimento M-Plast (confezioni da viaggio escluse), per es. cerotti in strip Comfort, 24 pezzi, 1.95 invece di 2.60
Assorbenti Ultra Molfina, FSC® Normal, Normal Plus o Night Plus, per es. Normal Plus, 2 x 14 pezzi, (10 pezzi = 1.02)
come nel commercio specializzato
Axanova è sinonimo di prodotti dall'efficacia immediata. Che siano rinfrescanti, riscaldanti o una combinazione di entrambi, favoriscono la rigenerazione e il benessere. Axamine offre integratori di alta qualità, formulati in modo sensato, ideali come integrazione a una dieta equilibrata.
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Comodità e praticità
Tutto l'assortimento di valigie e borse da viaggio nonché di accessori da viaggio (articoli Hit esclusi), per es. trolley Glider disponibile in diversi colori, taglia S, il pezzo, 55.96 invece di 69.95
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Tutto l'assortimento di alimenti per bebè e assortimento Mibébé, Migros Bio (latte di tipo 1 escluso), per es. spaghetti alla bolognese Migros Bio, 220 g, 1.26 invece di 1.80, (100 g =
Milette Naturals Mini 2 o Newborn 1 per es. Mini 2, 42 pezzi, 8.50, (1 pz. = 0.20)
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Solo da questo giovedì a domenica
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Tutti i tipi di caffè in chicchi, 1 kg per es. Boncampo in chicchi, 9.07 invece di 12.95, (100 g = 0.91), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025
5.95
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Prosciutto cotto in crosta Spécialité Suisse Svizzera, 2 x 120 g, (100 g = 2.48), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025 conf. da 2 33%
30%
2.75 invece di 3.95
Uva bianca senza semi Migros Bio
Italia/Spagna, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.55), offerta valida dal 2.10 al 5.10.2025