Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 ottobre 2018 • N. 40
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 ottobre 2018 • N. 40
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Società e Territorio Mindfulness per genitori Un libro di Valeria Giordano spiega ai genitori come liberarsi dall’ansia
La Greina in mostra Il Museo della Valle di Blenio di Lottigna indaga l’altipiano da più punti di vista
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A due passi Con le sue passeggiate Oliver Scharpf ci accompagna a Bognanco per bere le acque minerali ma soprattutto ammirare il dancing Rubino
Notizie brevi
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Credere all’istinto
Psicologia Il «pensiero di pancia» non è un
salto nel vuoto o un azzardo, ma una forma di intelligenza, una modalità complessa di uso della mente. Nuovi studi suggeriscono che dovremmo dargli più credito
Una città a metà
Una veduta di Mesoraca sulle pendici della Sila. (J. Marti, gallery fotografica su www.azione.ch)
Reportage Visita a Mesoraca, il paese da cui provengono (quasi) tutti i calabresi in Ticino.
Diviso tra chi è rimasto e chi se ne è andato per sempre
Jonas Marti
Stefania Prandi In alcuni momenti è importante lasciarsi guidare dall’istinto. Lo sanno bene i campioni sportivi, i musicisti, gli attori, gli artisti, che quando entrano in azione, per mantenere fluidità, concentrazione e ispirazione, devono «sospendere il giudizio». La capacità di entrare nel «flusso», nel pensiero di pancia, serve a tutti, anche nella vita quotidiana, come spiegano una serie di recenti ricerche condotte in Germania, negli Stati Uniti e in Australia. Se osserviamo il contenuto della mente troppo da vicino, infatti, rischiamo di perdere l’orientamento, bloccandoci, lasciandoci sopraffare dal rimuginìo. Secondo Gerd Gigerenzer, psicologo sociale, direttore dell’Harding Center all’Istituto Max Planck di Berlino, quando si agisce senza pensare troppo, seguendo la regola del «vai con la tua prima sensazione migliore e ignora tutto il resto», si hanno prestazioni più soddisfacenti. L’intuito, infatti, non è un salto nel vuoto o un azzardo, ma è una forma di intelligenza, una modalità complessa di uso della mente: non si può smettere di pensare se non si è già pensato prima. Prendiamo il caso di una cantante di opera alla Scala: ha alle spalle anni di disciplina, esercizi, prove, e non può permettersi di focalizzarsi su come migliorare la tecnica mentre si trova sul palco. Lì deve solo eseguire, dare il meglio di sé. Oppure, consideriamo una grande tennista come Serena Williams: non può essere timorosa mentre è in campo, facendosi sopraffare dalle paure, ma deve solo concentrarsi sul gioco. Claude Steele, psicologo sociale e professore emerito all’Università di Stanford, ha studiato gli effetti dell’ansia sulla performance, giungendo alla conclusione che per imparare a sospendere il pensiero bisogna cercare di proteggersi dall’auto-analisi. Più si sale con l’età, più si diventa svegli, più bisogna programmare il cervello a non perdersi troppo.
Dovremmo dare maggiore credito alla nostra pancia. Una ricerca dell’Università statale della Florida, condotta da Linda Rinaman, docente di Psicologia e Neuroscienze, sostiene che i messaggi che vengono mandati al cervello dalla nostra pancia hanno un’influenza potente su emozioni, umore e decisioni, e servono per farci scegliere certe situazioni (più favorevoli) a discapito di altre. Lo studio, pubblicato sulla rivista «Physiology» e firmato anche da James Maniscalco, ricercatore dell’Università dell’Illinois di Chicago, fornisce una comprensione scientifica di come funziona il nostro istinto. Come spiega Linda Rinaman, «pancia e cervello sono costantemente collegati da un nervo vago. È un sistema esteso a due direzioni che connette il cervello al tratto gastrointestinale, che ha un’area con una superficie enorme e molti “sensori”. Il tratto gastrointestinale è oltre cento volte più ampio della superficie della pelle e manda molti più segnali al cervello di ogni altro organo del sistema nel corpo». Joel Pearson, professore di Neuroscienze cognitive all’Università di New South Wales (Sydney), ha cercato di misurare il modo in cui usiamo l’intuito per prendere decisioni. Di recente il suo laboratorio ha condotto un esperimento con il quale sono stati analizzati i comportamenti di un gruppo di studenti, che sono stati sottoposti alla vista di una serie di immagini subliminali con forte impatto emotivo che li «guidavano» mentre completavano un test al computer. Le immagini erano velocissime e non venivano registrate a livello conscio, ma hanno contribuito comunque a migliorare la prestazione. Questo perché quando le nostre sensazioni inconsce e le emozioni vengono combinate con le informazioni consce, siamo in grado di prendere decisioni migliori. L’intuito è stato studiato a lungo, da Aristotele a Carl Jung, ai manuali di management e finanza. Chi deve prendere decisioni importanti velocemente
Li vedi ovunque salendo la strada polverosa. Sono accanto agli eucalipti solitari, affastellati sulla collina, sospesi sui dirupi. Interi palazzi incompiuti, scheletri di calcestruzzo e nudi mattoni rossi: ai piani inferiori ondeggiano le ghirlande di panni stesi ad asciugare, sopra ci sono gli appartamenti vuoti, senza vetri alle finestre, vuoti involucri che aspettano di essere riempiti. Sono le case costruite dai primi emigrati di Mesoraca con i primi guadagni della diaspora. Avevano lasciato interi piani incompiuti per i figli, con la certezza che un giorno sarebbero tornati a finirli. Non sono mai tornati. Sono rimasti su al Nord. A Lavena Ponte Tresa, comune gemellato; in Svizzera, tra Lugano e Bellinzona. Donne, uomini e bambini. Che oggi costituiscono una vera e propria seconda Mesoraca: in Calabria ne vivono 6500. In Ticino sono 5mila.
Dagli anni 50 in poi Mesoraca ha visto la sua popolazione migrare verso il Nord e il paese invecchia anno dopo anno Tenere un diario è un buon modo per mantenere il contatto con la propria «pancia» e bilanciare ragione e istinto. (Marka)
e senza avere – in apparenza – abbastanza elementi su cui basarsi è obbligato ad agire in modo istintuale. Secondo il Search Inside Yourself Leadership Institute, nato all’interno di Google da un team di esperti di mindfulness, neuroscienze e intelligenza emozionale, il nostro istinto può migliorare, se allenato, e peggiorare quando siamo giù di morale, depressi oppure arrabbiati. In un esperimento è stato chiesto a un campione di persone di studiare diversi gruppi di parole, alcuni dei quali collegati tra loro. Chi aveva l’umore più stabile è stato capace di distinguere velocemente le parole correlate, anche senza conoscerne il significato, commenta Carina Remmers, psicologa clinica alla Free University di Berlino
che ha guidato lo studio. Le persone depresse, invece, hanno dimostrato incertezza facendo fatica a credere alle proprie decisioni. I ricercatori hanno ripetuto il compito, sostituendo le immagini alle parole, e le persone depresse non hanno avuto gli stessi problemi. La differenza tra questi due risultati probabilmente è dovuta al fatto che da un lato c’era un compito verbale e dall’altro visivo: quando ci sono state di mezzo le parole è iniziata la «ruminazione mentale». Perdere la capacità di restare connessi con la propria «pancia» può diventare un problema. La giornalista Judi Ketteler ha raccontato, in un articolo pubblicato lo scorso luglio su «The New York Times», che intorno ai qua-
rant’anni il suo intuito è andato in tilt. Come le è stato detto da alcuni esperti, può succedere, andando avanti con gli anni, di sviluppare motivazioni conflittuali e di non riuscire a bilanciare le contraddizioni. L’approccio per uscire dall’impasse è quello di cercare di entrare di nuovo in contatto con il proprio sé reale. Un buon modo è quello di tenere un diario. Sembra un suggerimento banale, ma come sottolinea Francis P. Cholle, autore di The Intuitive Compass: Why the Best Decisions Balance Reason and Instinct (La bussola intuitiva: perché le decisioni migliori bilanciano ragione e istinto), «scrivere pensieri e sensazioni, anche se si crede di avere poco da dire, aiuta la mente non conscia a rivelarsi».
Mesoraca, arroccata sulle boscose pendici della Sila tra due ripide gole che scendono verso il mare, è una città spezzata a metà tra chi se ne è andato e chi è rimasto. Sono passati decenni e generazioni, ma basta indugiare nel negozio di alimentari della piazza, sotto i rosari di peperoncini, e pronunciare la parola «Ticino» per scorgere negli occhi un barlume di nostalgia e di fierezza; il dolore degli addii, l’orgoglio del riscatto. «Pensi che cosa poteva significare per un padre di famiglia andarsene e lasciare tutto», dice Giuseppe Stirparo, assessore di Mesoraca, unico della famiglia rimasto in Calabria, tre fratelli tra Lamone, Cadempino e Ponte Tresa, i genitori vissuti quasi trent’anni a Bioggio. «Andare verso l’ignoto, in un altro paese, quando le compagnie aeree
low cost non c’erano ancora, quando non c’era nemmeno ancora l’autostrada, e dalla Calabria alla Svizzera una lettera ci poteva mettere anche quindici giorni ad andare e tornare». Erano gli anni 50, la gente fuggiva da una terra che non aveva più pane da dare ai suoi figli. Sull’onda del passaparola si tentava la fortuna altrove, al Nord. Gli emigrati dei villaggi vicini sono rimasti in Italia. Ma i mesorachesi no. Loro hanno osato andare più in là, oltre il confine, in Svizzera, dove a Chiasso «ti facevano la visita sanitaria prima di entrare» ma a Lugano «ti aspettavano in stazione e appena scendevi dal treno ti assumevano». Una grande opportunità potere lavorare nella Svizzera italiana: essere all’estero, ma continuare a parlare italiano. I primi mesorachesi, eredi degli antichi pastori e boscaioli della Sila, cominciarono nel settore agricolo. Poi esplose il boom economico e diventarono muratori. Storie difficili, fatte di lontananza, di notti trascorse a dormire in baracche di trenta persone, di schiene piegate e camicie madide. Poi infine il riscatto sociale. Offuscato però da alcuni fatti di cronaca nera e giudiziaria che hanno macchiato il nome di Mesoraca e hanno contribuito a creare in Ticino una cattiva fama difficile da sfatare. Ma negli spogli corridoi del Comune – la targhetta all’entrata «qui la ’ndrangheta non entra» e la foto di Falcone e Borsellino appesa a una parete – non ci stanno a essere bollati come criminali. «Abbiamo dato tanto alla Svizzera», attacca appena ci vede il popolarissimo sindaco Armando Foresta. «Nel tempo siamo riusciti a diventare medici, professori, addirittura politici. Se il vostro paese è cresciuto, è anche grazie alla nostra collaborazione». È una storia antica quella di Mesoraca, lo si vede bene scendendo gli stretti vicoli pietrosi del centro storico. Mesoraca ha avuto un papa, San Zosimo. Mesoraca ha avuto la consueta sfilata di dominatori mediterranei: Greci, Romani, Bizantini, Saraceni, Spagnoli. E quasi sempre, come tutta la Calabria, feudalesimo e latifon-
do. Per molti e troppi secoli ha subito il potere dei signorotti locali. Tanta terra per loro, quasi niente per gli altri. Una miseria, origine dell’odierno squilibrio. L’antica e prepotente ricchezza di questi grandi proprietari terrieri è ancora scolpita negli stemmi dei palazzi nobiliari, aleggia nelle oscure corti che si intravvedono sbirciando dai portoni di legno. Mesoraca fu una città importante. Almeno abbastanza da potersi permettere di chiamare scultori per abbellire le sue chiese. Tra di loro – premonitore gioco del destino – anche un certo Antonello Gaggini: suo padre, Domenico, era partito da Bissone per mettersi al servizio della raffinata corte aragonese di Palermo. Una migrazione al contrario, cinquecento anni fa, quando erano i ticinesi a mettersi il sacco in spalla ed emigrare. La sua Madonna delle Grazie, scolpita nel marmo bianco di Carrara, dal 1504 domina dall’altare il Santuario del SS. Ecce Homo. Il complesso religioso è custodito con silenziosa dedizione da Fra Giuseppe, un piccolo francescano vestito col saio che ci accoglie all’ombra del chiostro. «Gli emigrati attingono alle loro radici attraverso la devozione al santissimo Ecce Homo. Per sposarsi molti vengono proprio qui. Quest’anno abbiamo celebrato una ventina di matrimoni, da Lugano, Bellinzona, Ponte Tresa. Con l’autorizzazione della Curia di Lugano». E poi, ogni sette anni, la grande festa, con la statua lignea di Cristo in processione, quando «c’è proprio la folla di emigrati che rientrano». Dal terrazzo davanti alla bianca facciata della chiesa in certe giornate capita di vedere anche il mare. Si vede tutta la pianura del Marchesato, con i nudi campi di grano color ocra sotto il sole di fine estate, e i declivi puntellati di ulivi. Come migliaia di emigrati ogni anno, anche quest’estate è tornato in paese Maurizio Cortese. A Bellinzona da una vita, da venti anni è presidente dell’Associazione Mesorachesi in Ticino, che promuove la cultura e la gastronomia calabresi, e fa da ponte tra gli emigrati e le istituzioni di Mesora-
ca. Sorseggiando latte di mandorla ci presenta entusiasta i molti eventi che sta organizzando in Svizzera, dalla sagra del merluzzo che si è tenuta il 15 settembre a Sementina, alla rappresentazione teatrale in dialetto mesorachese prevista per dicembre a Manno. «Siamo una comunità molto unita. Dal Ticino possiamo addirittura dire la nostra sui lavori pubblici che si eseguono a Mesoraca. C’è un costante e strettissimo rapporto tra noi, residenti in Svizzera, e chi è rimasto qui». Una grande famiglia allargata, dalle Alpi allo Ionio. Gli autobus fanno su e giù, dai veicoli targati Ticino arrivano colpi di clacson per salutare un amico. Gli emigrati non dimenticano Mesoraca. E Mesoraca non dimentica i suoi esuli. Al margine del paese, accanto a un cartello su cui campeggia la scritta rossa «si vende vino, si fanno zanzariere su misura», c’è il frantoio di Vincenzo Castagnino. Anche sua sorella abita in Svizzera. Ogni anno una paletta di bidoni pieni di olio d’oliva attraversa l’Italia e arriva al confine di Ponte Tresa, dove viene consegnata agli emigrati mesorachesi. L’olio d’oliva, insieme al tipico pane cotto nel forno a legna e alle castagne abbondantissime, è più di una risorsa: è una ragione d’orgoglio, sapore della propria terra lontana. Ma a Mesoraca tutti lo sanno: i palazzi vuoti non si riempiranno mai più. Il paese sta invecchiando anno dopo anno, spogliato di intere generazioni. «Continuiamo a diminuire» lamenta l’assessore Giuseppe Stirparo. Negli anni 80 i residenti erano quasi diecimila. Oggi poco più della metà. E le nuove generazioni, nonostante l’enorme sforzo degli amministratori locali, continuano a fuggire portandosi dietro i loro sogni. E guardando sempre e ancora alla Svizzera. «Il fenomeno dell’emigrazione è la piaga di tutto il Sud: continuiamo a perdere la risorsa più importante, i giovani, il futuro. Ma non ci rassegniamo, non ci rassegneremo mai. Giorno dopo giorno continuiamo a combattere, affinché nessuno in futuro debba mai più lasciare la propria terra».
Premio Möbius Multimedia Ventidue anni di Möbius: la rassegna luganese dedicata alle nuove tecnologie e alla comunicazione digitale proporrà al LAC di Lugano (Sala 1) i prossimi 5 e 6 ottobre la sua consueta serie di conferenze e di approfondimenti di alto livello. Il tema scelto per l’edizione di quest’anno è «Digitale e ambiente». Sotto la direzione di Alessio Petralli, la Fondazione Möbius di Lugano si appresta quindi come tradizione ad assegnare i premi Möbius ad alcuni progetti che si fondano sulle nuove tecnologie: nell’ambito indicato dal tema generale saranno presentati i tre progetti finalisti, ASAR, un radar ad apertura sintetica e metodologia di misura per il monitoraggio di frane, pendii scoscesi e manufatti; Beepro, un sistema remoto che permette all’apicoltore di monitorare lo stato di un’arnia e di sorvegliare le proprie api e Next Park, programma per cercare parcheggio e trovarlo facilmente. Come di consueto saranno presentati anche il Premio per il prodotto innovativo in tema di editoria in transizione e Möbius Giovani, dedicato alla comunicazione virale, gestito in collaborazione con il corso di comunicazione visiva della SUPSI. I momenti di discussione saranno affidati al dibattito di venerdì 5 ottobre (ore 18.00) tra Alessandro Curioni e Bruno Oberle, Tecnologie digitali al servizio dell’ambiente e in seguito all’«umanista informatico» Gino Roncaglia. Nel pomeriggio di sabato 6 invece, dalle 14.30 alle 16.30, toccherà a Moreno Celio, Andreas Kipar, Pippo Gianoni e Luca De Biase affrontare, nei rispettivi contributi, il tema guida dell’edizione 2018. Ah, l’amore! Sarà l’amore e la sessualità il tema di un ciclo di conferenze gratuite organizzate dalla Società ticinese di scienze naturali e da L’ideatorio dell’USI. Incontrarsi, corteggiarsi, sedursi, amarsi e riprodursi sono attività importanti che richiedono cura nella selezione del proprio partner. Le mille strategie riproduttive del mondo animale ci fanno capire la centralità di questa rivoluzione biologica: la sessualità. Senza di essa il mondo sarebbe meno profumato, meno colorato, più silenzioso. Anche noi uomini e donne non smettiamo di innamorarci e il nostro corpo porta i segni di una lunga storia evolutiva. Il ciclo di incontri inizierà domani 2 ottobre (20.30, Auditorio dell’USI) con la conferenza «Riproduciamoci! Dall’animale agli umani» della biologa Claudia Bordese e dell’antropologa Sara Hejaz che si inoltreranno nella nostra storia evolutiva: siamo esseri viventi che sanno non solo riprodursi ma anche amarsi. Quali sono le parole giuste per parlare di sessualità e amore ai bambini? Lo psicoterapeuta Alberto Pellai e la psicopedagogista Barbara Tamborini ne parleranno il 22 ottobre nella conferenza «Mamma, papà, che cos’è l’amore?». Il 6 novembre invece sarà la volta del tema della diversità: la neuropsicologa Daniela Ovadia e il medico Francesco Bianchi-Demicheli analizzeranno in che cosa uomini e donne sono diversi. Il ciclo terminerà il 29 novembre al Cinema Lux di Massagno dove la filosofa Francesca Rigotti e l’evoluzionista Telmo Pievani parleranno della figura del maschio. Informazioni: www.stsn.ch; www.ideatorio.usi.ch