Azione 14 del 31 marzo 2025

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edizione 14

MONDO MIGROS

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SOCIETÀ Pagina 6

Le soft girls prediligono il tempo per sé e rinunciano alla carriera, la nuova tendenza della Gen Z

Mentre nei Campi Flegrei la terra continua a tremare, la storia di due vulcanologi venuti dalla Svizzera

ATTUALITÀ Pagina 15

Pensare fuori dagli schemi

CULTURA Pagina 19

Milano omaggia Leonor Fini, donna artista anticonformista e dal coraggio straordinario

Giovanni Pironaci racconta la sua passione per la guida su ghiaccio: un mix di adrenalina e precisione

TEMPO LIBERO Pagina 29

L’esecrato Vecchio continente

Il vicepresidente americano JD Vance non sopporta di dover «salvare di nuovo l’Europa». L’ha detto al segretario alla Difesa Pete Hegseth in una chat di gruppo segreta condivisa accidentalmente con il direttore della rivista «The Atlantic», che poi ha spifferato tutto (ne parla anche Lucio Caracciolo a pag. 17). Nella stessa riunione è spuntato pure l’epiteto di «parassiti» riferito agli europei (l’ha usato Hesgeth ed è stato poi ribadito dallo stesso Trump). Restiamo zen. Partiamo dagli europei «parassiti». La scelta dell’aggettivo si riferisce alla questione dei dazi: l’Europa avrebbe fatto la cresta sui prodotti che esportava in America. È corretto? I nostri dazi erano in verità piuttosto moderati, mentre è vero che nel 2024, le esportazioni europee verso gli Stati Uniti ammontavano a circa 584 miliardi di dollari e le importazioni dagli Stati Uniti erano pari a 357 miliardi di dollari (fonte Euronews). La bilancia commerciale tra Stati Uniti e Unione Euro-

pea ha quindi mostrato un disavanzo significativo a favore dell’Europa che ora Trump vuole recuperare imponendo tasse esorbitanti su molte merci europee (e non solo).

L’America percepisce come parassitario l’atteggiamento europeo anche sul fronte della sicurezza. Gli Stati Uniti sono la nazione che ha fatto di più in termini di sostegno a Kiev ma tutti i Paesi europei insieme hanno dato all’Ucraina più degli Stati Uniti in termini di denaro: l’Europa ha destinato a Kiev 132 miliardi di euro (70 in aiuti finanziari e umanitari e 62 in aiuti militari) contro i 114 miliardi degli USA, 64 in armi e 50 in aiuti finanziari e umanitari (fonte: Analisidifesa).

È probabile però – e qui passiamo al tema dell’America che «salva di nuovo l’Europa» –che la percezione degli europei «a scrocco» degli Stati Uniti affondi le proprie radici nella storia del Novecento. Sia chiaro: non risulta che gli antenati del vicepresidente americano JD Vance abbiano partecipato alla liberazione dell’Eu-

ropa dal nazismo. Probabile, quindi, che la sua singolare uscita non si riferisca a se stesso o alla sua famiglia, ma al suo Paese, l’America, che ha sacrificato moltissime vite nel e per il Vecchio continente. Le bianche e commoventi croci dei cimiteri militari americani in Normandia ce lo ricordano ancora oggi. Nessun europeo che abbia il senso della storia può dimenticarlo. Come non può ignorare l’aiuto del Piano Marshall (1948-1952) per la ricostruzione dell’Europa occidentale, l’adesione alla Nato per garantire la sicurezza collettiva dell’Europa e gli interventi militari in Bosnia e Kosovo negli anni ’90. D’altra parte nessun americano che abbia il senso della storia dovrebbe dimenticare il contributo che l’Europa ha dato alla grandezza del nuovo continente. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’America è diventato il faro delle scienze grazie anche all’ingegno di Albert Einstein, tedesco, Enrico Fermi, italiano, Niels Boh, danese, e molti altri. Ma oggi la scienza non gode di

grande popolarità a Washington. Il suo ammirevole sistema politico, un tempo modello planetario di democrazia, si nutre del pensiero di John Locke, inglese, Charles de Montesquieu, francese, Jean-Jacques Rousseau, svizzero. Il Campidoglio degli Stati Uniti e la Casa Bianca sono templi neoclassici ispirati all’architettura dell’antica Grecia e di Roma, e la Cattedrale di San Patrizio a New York e molte chiese e università sono in stile neogotico, rielaborazione del gotico francese o britannico.

Perché l’America è figlia dell’Europa. Circa il 60% della popolazione Usa è di sangue europeo. Se appena sfogli gli alberi genealogici di chi la governa scopri che il vicepresidente JD Vance ha origini irlandesi e scozzesi, il segretario alla Difesa Pete Hegseth norvegesi e lo stesso Donald Trump tedesche da parte del padre e scozzesi da parte della madre, mentre tutti e quattro i suoi nonni sono nati nell’esecrato Vecchio continente.

Stefania Prandi Pagina 3

I prodotti sostenibili devono essere accessibili

Info Migros ◆ L’azienda affronta le crescenti sfide legate al cambiamento climatico con una nuova strategia insieme a tutte le sue affiliate

Il vento è cambiato. Paesi potenti come gli Stati Uniti stanno voltando le spalle all’Accordo di Parigi sul clima. Anche in altri Paesi le forze politiche conservatrici stanno prendendo il sopravvento. Di conseguenza, il commercio di materie prime e l’industria delle armi sono fiorenti, mentre la tutela dell’ambiente è in difficoltà. Secondo ricercatori come il fisico climatico dell’ETH Reto Knutti, oggi i progressi non sono ancora abbastanza rapidi (vedi box). Come azienda tra le più grandi in Svizzera, la Migros onora la propria responsabilità nei confronti dell’ambiente e dei diritti umani e presenta una nuova strategia di sostenibilità che persegue obiettivi ancora più ambiziosi della precedente. «Ora affrontiamo i nostri obiettivi di sostenibilità con l’intero Gruppo Migros. L’effetto sarà così molto più grande», afferma Christopher Rohrer, responsabile della Direzione Sostenibilità e politica economica del Gruppo Migros. «Vogliamo rendere la sostenibilità accessibile a tutte e tutti».

Tutte le imprese del Gruppo Migros, come Denner, Digitec Galaxus, Banca Migros e Medbase, si impegnano a raggiungere una serie di obiettivi per permettere alle generazioni future un pianeta in cui vivere una vita degna. Le misure concrete sono attualmente in fase di sviluppo. Migros si muove nelle sei seguenti direzioni.

Clima

Entro il 2050 il Gruppo Migros ridurrà a zero le emissioni nette di gas serra nelle proprie imprese e lungo le sue catene di valore aggiunto. Il Gruppo Migros sta investendo nelle energie rinnovabili. Oggi dispone già di oltre 400 impianti fotovoltaici che dall’energia solare producono ca. 58’000 megawattora all’anno (ca. 21’000 economie domestiche medie). Per il trasporto delle merci il Gruppo Migros punta sulla ferrovia e su veicoli non propulsi da combustibili fossili. Digitec Galaxus ha installato la più grande pompa di calore reversibile d’Europa nella propria sede logistica di Wohlen, riuscendo così a risparmiare in un sol colpo l’87% delle emissioni di CO 2.

M-Check è un sistema di valutazione dei prodotti.

Migrol sta costruendo 2000 punti di ricarica elettrica, creando così la più grande rete di stazioni della Svizzera.

Biodiversità

Di qui al 2050 il Gruppo Migros darà un contributo essenziale alla tutela della biodiversità e alla rigenerazione della natura. Ad esempio promuovendo un’agricoltura ecologica attraverso il partenariato con IP-Suisse e Bio Suisse. La Migros è la maggiore acquirente di prodotti IP-Suisse e offre un’ampia scelta di prodotti Bio-Suisse. Sulle aree aziendali della Migros e di Denner si estende per oltre tre milioni di mq complessivi una superficie fiorita equivalente a 400 campi da calcio e che offre spazio a molti esseri viventi.

Economia circolare

Il Gruppo Migros mira a chiudere entro il 2050 tutti i cicli dei materiali e dei prodotti esistenti, proteggendo così la biodiversità e il clima. La Migros ha già allestito molti sistemi di raccolta propri, come quello del PET e della plastica. In più ottimizza costantemente i propri imballaggi in modo che possano essere riciclati. Dal 2010 sono state risparmiate 17’520 tonnellate di materiale di imballaggio. Migros e Denner collaborano con enti assistenziali per evitare lo spreco alimentare. Ad esempio, la carne invenduta e prossima alla scadenza viene congelata da Denner e donata alla Caritas.

Responsabilità sui prodotti

Il Gruppo Migros offre alle e ai clienti l’accesso a prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente, della società e degli animali a un prezzo abbordabile. I prodotti di uso quotidiano dovrebbero quindi essere sostenibili anche quando rientrano nel segmento di prezzo più basso. Nel settore della salute, la società affiliata Medbase assicura l’assistenza sanitaria di base a prezzi convenienti.

Marketing e consumo

Con la propria offerta e la propria opera di sensibilizzazione, il Gruppo Mi-

gros permette alle e ai clienti di vivere nel rispetto e nella consapevolezza dell’ambiente. Un esempio sono i sistemi di valutazione M-Check di Migros e Impact di Denner: essi mostrano in modo trasparente l’impatto dei nostri prodotti sul clima e sul benessere degli animali. Con il programma di gestione patrimoniale Inspire di Banca Migros, la clientela investe in aziende con obiettivi climatici efficaci. La banca supporta inoltre le clienti e i clienti con consulenze gratuite sul risanamento energetico degli stabili.

Condizioni di lavoro

Il Gruppo Migros pone al centro delle

sue attività il benessere delle persone e la promozione della diversità, dell’inclusione e delle pari opportunità. Fa dunque tutto il possibile per rafforzare i diritti umani lungo la sua catena di fornitura. Un esempio è un progetto in Spagna che promuove una coltivazione delle fragole più ecologica e socialmente responsabile grazie a cui è stato promosso il dialogo con i sindacati e le aziende agricole e sono state introdotte misure per prevenire gli infortuni sul lavoro.

Informazioni

«Si devono muovere anche politica e imprese»

Reto Knutti (52), fra i fisici del clima più rinomati al mondo, svolge attività di ricerca e insegnamento sui cambiamenti climatici al Politecnico di Zurigo ed è stato autore per l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): lo abbiamo incontrato.

Nel 2024 la superficie terrestre si è riscaldata di 1,6 gradi. Che cosa significa?

Il valore è stato superiore all’obiettivo di 1,5 gradi definito nell’Accordo di Parigi sul clima. Quasi certamente continueremo a superare questo obiettivo nel lungo periodo. Il cambiamento climatico è già presente e sta avendo un impatto ovunque, ad esempio negli eventi meteorologici estremi della scorsa estate. Gli obiettivi climatici globali non sono molto ambiziosi, ma ora contano le misure. Si possono introdurre tasse e sistemi di incentivazione o promuovere campagne di informazione. Appellarsi al buon senso delle persone non è sufficiente.

E se andiamo avanti così?

Questi 1,5 gradi non sono la soglia di un abisso. Gli effetti si faranno sentire piuttosto come un ghiaione che inizia a franare su una pendenza sempre

L’anno della trasformazione

Info Migros ◆ Il 2024 è stato l’anno della trasformazione, Migros si è concentrata soprattutto sul proprio core business

Il 2024 per il Gruppo Migros è stato l’anno della trasformazione. Ci si è inoltre concentrati sul core business, con i quattro settori di attività strategici: Food, Non Food, Servizi finanziari e Salute. In un contesto particolarmente impegnativo, il Gruppo Migros ha aumentato il fatturato dell’1.8% raggiungendo 32.5 miliardi di franchi e confermando la sua posizione di leader nel commercio al dettaglio in Svizzera. «La Migros ha vissuto un anno impegnativo e ricco di avvenimenti», afferma Mario Irminger, presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros. «Vorrei ringraziare tutte le collaboratrici e tutti i collaboratori che hanno svolto un lavoro eccezionale e hanno reso possibile questo risultato». L’utile ante oneri finanziari e fiscali (EBIT) per l’esercizio è quindi pari a 484 mio di franchi (esercizio prece-

dente: 286 mio). In seguito alla scelta di concentrarsi sul core business, la rettifica del portafoglio ha avuto un impatto peggiorativo sul risultato pari a 440 milioni di franchi. Gran parte di questi oneri straordinari è da ricondurre alla vendita dei negozi specializzati Migros, ora completata. L’utile del Gruppo ammonta a 419 milioni di franchi (esercizio precedente: 175 milioni). I ricavi delle cessioni confluiranno nel risultato del 2025 e deter-

mineranno un effetto straordinario positivo in quel momento. Le cessioni annunciate all’inizio del 2024 sono state in gran parte completate. Per SportX, melectronics, Bikeworld, OBI, micasa e Hotelplan è stato possibile trovare nuovi proprietari e quindi buone soluzioni per il personale e la clientela, mentre le restanti filiali di Do It + Garden chiuderanno entro la fine di giugno 2025, dove non sarà possibile individuare una soluzione adeguata a livello regionale. Il processo di vendita di Mibelle non è ancora stato concluso. Nel 2024 il commercio al dettaglio delle 10 cooperative regionali Migros è stato influenzato negativamente dal calo del fatturato dei mercati specializzati. Le cooperative, comprese le società affiliate, hanno realizzato un fatturato leggermente più basso, pari a 16,3 miliardi di franchi (-0,8%).

più ripida. Viviamo al di sopra delle nostre possibilità in diversi settori. In Svizzera, negli ultimi anni abbiamo consumato le risorse globali del pianeta già nel mese di maggio. Non possiamo prevenire completamente il cambiamento climatico, ma scegliere se limitarlo a 1,6, a 2 o a 3 gradi e influenzare la rapidità con cui la Terra diventerà poco accogliente.

Ci sono speranze?

La tecnologia sta facendo grandi progressi, il carbone è troppo costoso, le alternative come le pompe di calore e il fotovoltaico stanno diventando più

interessanti. Presto raggiungeremo il picco di emissioni di CO2, ma i nostri progressi non sono abbastanza veloci, per cui le temperature continueranno a salire.

Qual è il ruolo di aziende come Migros?

I grandi distributori possono ridurre le proprie emissioni nelle catene di trasporto, nella produzione o negli edifici e offrire prodotti sostenibili. Come singoli individui, possiamo contribuire molto, ad esempio nei viaggi, nella scelta di un veicolo, dell’alimentazione, ecc. Ma non basta: si devono muovere anche la politica e le imprese.

Come possiamo ottenere un’inversione di tendenza?

In Svizzera abbiamo persone ben formate e, dal punto di vista finanziario e tecnico, siamo in grado di investire nella tutela del clima. A lungo termine, prevenire è più conveniente che curare. Come ha detto un collega: prima si raccolgono i frutti in basso, dopo si ha bisogno di qualcuno che costruisca una scala. Questo qualcuno poi potrebbe anche decidere di venderla. La Svizzera potrebbe assumere questo ruolo pionieristico.

Save the date

Forum elle ◆ Una serie di appuntamenti imperdibili per inaugurare la primavera

La sezione ticinese di Forum elle, con le sue oltre 270 socie, è particolarmente attiva, e sotto la direzione di Gaby Malacrida (presidente in Ticino) offre incontri di carattere diverso. Gli appuntamenti di primavera a colpo d’occhio.

• Giovedì 3 aprile 2025 Alla scoperta del Parco della Breggia (nella foto) e dei suoi tesori (ore 9.45)

• Martedì 8 aprile 2025

Incontro con David Roscoe, per molti anni al servizio della Regina Elisabetta II del Regno Unito (Bellinzona, Hotel Internazionale, 16.30)

• Mercoledì 16 aprile Ti ho sposato per allegria di Natalia Ginzburg con Gianpiero Ingrassia, Mariella Bargilli e Lucia Vasini (Bellinzona, Teatro Sociale, 20.45)

• Giovedì 1. maggio Stori da bar… lafüs, compagnia Flavio Sala (B’zona, Teatro Sociale, 20.45)

Diventare socie e info varie

Per diventare socie di Forum elle visitate il sito www.forum-elle.ch, sezione Ticino: oltre al formulario di iscrizione, troverete l’elenco completo degli appuntamenti passati e futuri. simona.guenzani@forum-elle.ch Tel. 091 923.82.02

Il fisico e ricercatore svizzero Reto Knutti (52).

SOCIETÀ

Vita da soft girl

Una nuova tendenza nata in Svezia è sempre più popolare tra le ragazze della Gen Z che prediligono il tempo per sé alla professione

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Ragazzi sul palco

Al Centro Professionale Commerciale di Lugano abbiamo incontrato allievi e professori impegnati nel corso facoltativo di teatro

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Motori: il tocco femminile delle Kia

A Barcellona il Gruppo coreano ha presentato i nuovi modelli concept elettrici, a conquistare tutti è stata la EV2

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Il pensiero laterale, una ginnastica per la creatività

Intervista ◆ Ragionare in maniera non convenzionale e fuori dagli schemi è molto utile per trovare idee efficaci e soluzioni nuove come ci racconta Paul Sloane nel suo ultimo libro

Stefania Prandi

Pensare in maniera convenzionale non è sempre utile per trovare idee efficaci e risolvere problemi complessi. Dovremmo prediligere un approccio diverso. Paul Sloane, speaker, autore e consulente britannico (autore di più di venti libri, che complessivamente hanno venduto oltre due milioni di copie), ha appena pubblicato in italiano un manuale con consigli ed esercizi per allenarci a ragionare fuori dagli schemi. Il testo si intitola Il pensiero laterale per la vita di ogni giorno. Soluzioni straordinarie per problemi ordinari (FrancoAngeli).

Paul Sloane come funziona il pensiero laterale? Cosa lo rende diverso da quello verticale? Nel pensiero convenzionale, o verticale, si procede in modo prevedibile e diretto. Il pensiero laterale consiste, invece, nell’affrontare il problema da nuove direzioni, prendendolo letteralmente di lato. Ci permette di concepire soluzioni creative per problemi grandi e piccoli. In ogni ambito della vita esistono idee dominanti. Si tratta degli assunti e delle regole alla base dei sistemi e che influenzano il pensiero e gli atteggiamenti delle persone. L’idea che la Terra fosse piatta e che fosse posizionata al centro dell’universo è un esempio di idea dominante che ha polarizzato il pensiero lungo linee prestabilite. Una volta che si instaurano delle idee dominanti, qualsiasi altra cosa viene vista in modo da avvalorarle. Per noi è facile criticare quei costruttori di carrozze a cavalli che pensavano che le automobili fossero degli stupidi marchingegni che non avrebbero mai avuto successo. Di fatto, anche noi siamo prigionieri di idee consolidate. Una tecnica di pensiero laterale che possiamo utilizzare consiste nell’elencare tutte le idee dominanti che influiscono sulla nostra situazione per poi metterle deliberatamente in discussione.

Cosa ci fa temere di pensare fuori dagli schemi?

Esiste un concetto chiamato «pensiero di gruppo». Le persone, quando sono in gruppo, prendono spesso decisioni sbagliate perché cercano di raggiungere il consenso minimizzando il conflitto. Reprimono i punti di vista dissenzienti, evitano le questioni controverse e si isolano dalle influenze esterne. Il risultato è che non considerano davvero le prospettive alternative. Chi dice qualcosa di non ortodosso o bizzarro sembrerà strano e si assumerà un grosso rischio. Le persone non vogliono sembrare stupide, non auspicano di essere derise né ridicolizzate. Ma

a volte servono idee molto audaci e molte volte provengono dagli esterni e non dagli interni al proprio gruppo di riferimento.

Come possiamo pensare «lateralmente»?

Ho elencato tutte le tecniche principali che servono a sviluppare il pensiero laterale nel mio libro. Quando abbiamo un’idea, è sempre bene farsi delle domande: se fosse vero il contrario? Se non avessimo bisogno di farlo? Se trovassimo una maniera completamente diversa di porre domande? È più facile capire il pensiero laterale in retrospettiva che guardando al futuro. Travis Kalanick era a Parigi nel 2009 e non riusciva a trovare un taxi libero. Se avesse pensato verticalmente, avrebbe deciso di prendere la metropolitana, camminare, salire sull’autobus oppure aspettare un taxi. Lui, però, pensava lateralmente: «Posso sfruttare la capacità di tutti gli automobilisti di Parigi che potrebbero essere felici di

darmi un passaggio per una tariffa ridotta». E ha creato Uber che adesso è una app del valore di 60 miliardi di dollari. Nessuna compagnia di taxi ci sarebbe mai arrivata.

Nel suo libro lei scrive che le persone immigrate sono particolarmente capaci di creare imprese di successo. Perché hanno un vantaggio rispetto ai nativi? Il motivo principale è ciò che Matthew Syed chiama «mentalità dell’outsider». Le persone immigrate hanno sperimentato un Paese e una cultura diversi. Non sono cresciute con i presupposti e le convinzioni radicate nella maggior parte della popolazione nativa. Essendo al di fuori dei quadri di riferimento prevalenti, possono sfidare lo status quo e vedere nuove possibilità. Possono contrapporre e combinare due punti di vista diversi, perché è quello che hanno fatto fin dal loro arrivo. La Kauffman Foundation riferisce che più del 40 per cento delle aziende

Fortune 500 è stato fondato da immigrati o da figli di immigrati, che più del 50 per cento delle startup americane da un miliardo di dollari, o «unicorni», ha almeno un fondatore immigrato e che gli immigrati, rispetto ai nativi, hanno quasi il doppio delle probabilità di fondare una nuova azienda.

Il suo consiglio è di fare domande. Quanto è importante chiedere? Il pensatore laterale è sempre curioso e pone molte domande, intelligenti, stupide, infantili. Nel 1970 il figlio di sei anni di Roger Hargreaves, Adam, fece al padre una domanda che solo un bambino poteva pensare. Adam chiese: «Papà, com’è fatto il solletico?». In risposta, Hargreaves, da fumettista, disegnò l’immagine di un blob arancione e rotondo con una faccia e lunghe braccia gommose. Il blob divenne il personaggio principale del suo primo libro, Signor Solletico. Hargreaves faticò a trovare un editore disposto ad accettarlo, ma al-

la fine il libro fu pubblicato e divenne l’inizio della serie Mr. Men, che ha venduto più di 90 milioni di copie.

In che modo i pregiudizi ci impediscono di pensare fuori dagli schemi?

I pregiudizi ci imprigionano in ragionamenti precostituiti. Dovremmo sforzarci di essere più aperti mentalmente, incoraggiare opinioni contrarie, frequentare persone che la pensano in modo contrario al nostro invece di circondarci di chi è d’accordo con noi. Mi viene in mente l’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ha affidato tutte le cariche governative importanti a collaboratori che gli sono leali e non intendono contraddirlo. Così può realizzare le sue politiche senza problemi. Ma sta facendo un grosso errore perché se sbaglia, nessuno glielo dirà. Una situazione fantastica se si va nella direzione giusta. Se però la direzione è sbagliata, ci si può schiantare.

Prelibatezze della regione

Attualità ◆ Le colombe di produzione locale regalano al palato una sinfonia unica di profumi e sapori

Tra le diverse tipologie, spicca anche la particolare variante al gianduia della pasticceria Dolce Monaco di Losone

Cosa sarebbe la Pasqua senza la colomba? Oltre al piacere per il palato, questo tipico dolce festivo rappresenta anche un simbolo di pace e convivialità. Nel rispetto della tradizione, Migros Ticino offre nel suo assortimento pasquale una ricca gamma di colombe, da quelle classiche o più elaborate di diversi noti marchi italiani alla colomba classica San Antonio del panificio Migros, senza dimenticare le proposte senza glutine o lattosio dedicate alle persone particolarmente sensibili alle intolleranze alimentari.

Naturalmente la scelta pasquale non esclude nemmeno le specialità di produzione locale, preparate artigianalmente in alcuni piccoli laboratori di pasticceria ticinesi e della Mesolcina. Tra queste citiamo le colombe classiche, al cioccolato e senza lattosio di Buletti da Airolo; la colomba tradizionale di Poncini da Maggia; la colomba ai marroni Cuoco di Lostallo e la colomba al gianduia della pasticceria Dolce Monaco di Losone. Sicuramente quest’ultima si caratterizza in modo particolare per il suo ripieno, costituito da golosissima crema alle nocciole. «Con questo prodotto abbiamo voluto proporre qualcosa di alternativo alla colomba più classica», ci spiega il titolare Marzio Monaco, che per la qualità dei suoi prodotti si è già aggiudicato dei riconoscimenti a livello internazionale. «Rispetto

al prodotto convenzionale, l’impasto non contiene frutta candita, ma viene arricchito con una delicata crema gianduia di nostra produzione. Altri criteri che influiscono sulla qualità

Per una Pasqua dolcissima!

del prodotto finale sono sicuramente l’impiego di buon burro ticinese, lievito madre prodotto in casa e una lunga lievitazione naturale dell’impasto che dura due giorni, in modo da

Attualità ◆ Oltre ai coniglietti, a Pasqua anche le uova di cioccolato la fanno da padrona Le uova Balocco a tema catturano l’attenzione di grandi e piccoli golosi

La Pasqua è ormai dietro l’angolo e alla Migros è già disponibile una vasta gamma di bontà e decorazioni per rendere l’importante ricorrenza ancora più invitante e indimenticabile. Tra queste possiamo citare anche le proposte dello storico marchio piemontese Balocco, azienda leader riconosciu-

ta e apprezzata in tutto il mondo per le sue specialità dedicate alle festività più importanti. Oltre alle uova di cioccolato a tema già lanciate con successo negli scorsi anni – nella fattispecie Puffi, Juve, Inter e Milan – alla scelta si aggiungono ora due novità esclusive, Emily in Paris e Tartarughe Ninja.

L’uovo di cioccolato al latte Emily in Paris rappresenta un connubio perfetto tra dolcezza e stile parigino, dedicato a tutti gli amanti della celebre serie televisiva avente come protagonista Emily Cooper. Realizzato con cioccolato al latte di prima qualità, al suo interno nasconde diverse sorprese super

conferire al prodotto la sua inconfondibile fragranza». Insomma, il sapore ricco e avvolgente di questo dolce della regione saprà conquistare tutti gli estimatori dei dessert più sopraffini.

fashion ispirate alla serie, perfette per regalare quel tocco in più di femminilità e audacia a tutte le donne. Un vero must per tutti i piccoli e grandi appassionati dei fumetti e delle serie animate, l’uovo di cioccolato Tartarughe Ninja è realizzato con irresistibile cioccolato, mentre al suo interno contiene una serie di sorpresine ispirate ai mitici protagonisti Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello. Questa specialità rappresenta un regalo indispensabile che unisce perfettamente il piacere del cioccolato e l’entusiasmo per uno dei cartoni più amati in assoluto.

Flavia Leuenberger

Nuovo design per Sanactiv

Attualità ◆ Grazie ad un attento restyling la scelta del prodotto giusto per il proprio benessere è ora molto più facile

Alcuni esempi

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Sanactiv, l’apprezzata marca Migros di prodotti per l’automedicazione, è appena stata oggetto di un restyling, grazie al quale la clientela potrà ora orientarsi meglio nella scelta del prodotto desiderato. Il nuovo design delle confezioni riporta infatti dei codici colore, classificati per campo di applicazione: p. es. il verde corrisponde a «Digestione», blu per «Occhi», giallo per «Pelle», azzurro «Raffredda-

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Tutto l’assortimento Sanactiv a partire da 2 pezzi fino al 7.4.2025

menti», viola «Sonno e relax», mentre rosso corrisponde a «Articolazioni e muscoli». I prodotti per il benessere e la salute della linea Sanactiv aiutano a supportare uno stile di vita sano e a trattare i disturbi più comuni di tutti i giorni. Realizzati con materie prime di alta qualità, sono affidabili e offerti ad un ottimo rapporto qualità-prezzo. Severi controlli di qualità assicurano un utilizzo sicuro.

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Le ragazze che vogliono una vita soft

Le ragazze che vogliono una vita soft

Tempi moderni ◆ Dopo anni di lotta per la parità di genere nel lavoro come nella vita familiare, una nuova tendenza nata in Svezia spopola tra le più giovani: cercano una vita meno stressante e meno legata al successo professionale

moderni ◆ Dopo anni di lotta per la parità di genere nel lavoro come nella vita familiare, una nuova tendenza nata in Svezia spopola tra le più giovani: cercano una vita meno stressante e meno legata al successo professionale

Alessandra Ostini Sutto

Vengono denominate soft girls, le ragazze – esponenti della Generazione Z – cui non importano carriera e successo, ma piuttosto una vita lenta, tranquilla, in cui avere più tempo per se stesse, i propri interessi ed affetti. Le loro giornate si svolgono all’insegna della cura di sé, dall’alimentazione al movimento, ambito nel quale prevalgono discipline come lo yoga, il pilates e in generale gli allenamenti dolci. Nel lungo periodo, la soft girl si immagina di stare a casa con i figli ed attendere, la sera, il marito. Quello che persegue è insomma il desiderio ritenuto un po’ arcaico di condurre una vita solo casa e famiglia.

Le soft girls sono ragazze della Generazione Z che alla carriera antepongono una vita lenta, tranquilla, con più tempo per sé, i propri interessi e affetti

soft girls, le ragazze – esponenti della GenerazioZ successo, ma piuttosto una vita lenta, tranquilla, in cui avere più tempo per stesse, interessi Le loro giornate si svolgono all’insegna della cura di sé, dall’alimentazione al movimento, ambito nel quale prevalgono discipline come lo yoga, e in ti dolci. Nel lungo periodo, la soft girl di a il marito. lo che persegue è insomma il desidedi una vita solo casa e famiglia. soft girls ragazze della Generazione Z che alla carriera antepongono una vita lenta, tranquilla, tempo e

Può stupire che un tale fenomeno abbia in simbolo dell’uguaglianza di genere, della parità occupazionale e dell’emancipazione femminile. Quello delle è infatti nato come un sui se parti del mondo alla fine degli anni 2010 ma è proprio nel Paese scandinavo che, da qualche anno, è esploso, tanto che (il prinsui giovani) ha evidenziato questa tra il 2024, mentre un altro studio dello stesso anno metteva in luce il fatto codo pure tra le ragazzine di 7-14 anni, quali una La BBC ha intervistato un’esponente di questo trend, Vilma Larsson, venticinquenne che ha, appunto, scelto di lasciare il lavoro per essere, semga». Vilma ha raccontato che mentre il suo compagno si dedica alla carrie-

Può stupire che un tale fenomeno abbia origine in Svezia, uno dei Paesi simbolo dell’uguaglianza di genere, della parità occupazionale e dell’emancipazione femminile. Quello delle soft girls è infatti nato come un microtrend sui social media in diverse parti del mondo alla fine degli anni 2010 ma è proprio nel Paese scandinavo che, da qualche anno, è esploso, tanto che Ungdomsbarometern (il principale sondaggio annuale condotto sui giovani) ha evidenziato questa tra le tendenze riguardanti i ragazzi per il 2024, mentre un altro studio dello stesso anno metteva in luce il fatto come tale aspirazione si stia diffondendo pure tra le ragazzine di 7-14 anni, il 14% delle quali si sente una soft girl La BBC ha intervistato un’esponente di questo trend, Vilma Larsson, venticinquenne che ha, appunto, scelto di lasciare il lavoro per essere, semplicemente, una «fidanzata casalinga». Vilma ha raccontato che mentre il suo compagno si dedica alla carrie-

ra, lei va in palestra, a fare una passeggiata oppure cucina per lui. Oltre a ciò, lavorando lui da remoto, la coppia viaggia spesso e trascorre l’inverno a Cipro. Con il fatto di raccontare la sua vita da soft girl sui social, Vilma è diventata un’influencer, attività dalla quale sostiene però di non ricavare alcun profitto; è il compagno a darle, mensilmente, uno «stipendio».

La situazione della ragazza svedese risulta sicuramente privilegiata e uno degli interrogativi che ci si pone in relazione al fenomeno generazionale di cui ci stiamo occupando è proprio la sua sostenibilità a livello finanziario. Nella realtà però, come capita per varie tendenze, esistono diversi modi per metterle in atto; c’è chi diventa una soft girl a tutti gli effetti, smettendo di lavorare e lasciando al partner l’incombenza delle questioni economiche, e chi invece – la maggior parte – non può permetterselo. Per loro, la quotidianità tranquilla e priva di stress delle «ragazze dolci» rappresenta più un ideale a cui tendere che un vero stile di vita. In ogni caso, questa sorta di rifiuto di quanto ottenuto con l’emancipazione femminile dovrebbe quantomeno far riflettere. Questa propensione non è del tutto estranea neppure in Svizzera ed è in particolare sui social che si trovano ragazze che ambiscono ad abbracciare una vita meno legata al successo professionale e maggiormente incentrata sul benessere fisico e mentale. «Dal mio punto d’osservazione, soprattutto in relazione alle ragazze, noto una certa mancanza di ambizioni lavorative», afferma Sara Rossini, co-fondatrice e direttrice di fill-up, prima azienda in Svizzera ad offrire servizi di coaching per l’apprendistato, «se prendo come esempio l’estetista, seguo delle ragazze che mi dicono “a cosa mi serve il diploma? Per ottenerlo devo studiare e quindi è meglio se seguo un corso per fare le unghie, apro un piccolo salone in proprio e lavoro, anche bene, come fanno tante”».

ra, va fare seggiata oppure cucina per lui. Oltre a ciò, lavorando lui da remoto, la coppia viaggia spesso e trascorre l’inverno a Cipro. Con il fatto di raccontare soft girl sui social, è diventata un’influencer, attività dalquale alcun profitto; è il compagno a darle, mensilmente, uno «stipendio». della ragazza se risulta sicuramente privilegiata e interrogativi ci ne in relazione al fenomeno generazionale di cui ci stiamo occupando è a nanziario. Nella realtà però, come cavarie tendenze, versi modi per metterle in atto; c’è chi diventa una a tutti gli effetti, lasciando partner l’incombenza delle questioni chi –parte – non può permetterselo. Per loro, la quotidianità tranquilla e priva di stress delle «ragazze dolci» rappresenta più un ideale a cui tendere che un sorta di rifiuto di quanto ottenuto con l’emancipazione femminile quantomeno far riflettere. Questa propensione non è del tutestranea è in particolare sui social che si trovano che ambiscono una vita meno legata al successo professionale e maggiormente incentrafisico mio punto d’osservazione, soprattutrelazione noto certa mancanza di ambizioni lavorative», afferma Sara Rossini, co-fondatrice e direttrice di fill-up, prima azienda in Svizzera ad offrire servizi coaching l’apprendistato, prendo come esempio l’estetista, seguo delle ragazze che mi dicono “a cosa mi serve il diploma? Per ottenerlo devo studiare e quindi è meglio apro un piccolo salone in proprio e lavoro, anche bene, come fanno tante”».

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Le ragazze tendono quindi a cercare – a detta di Sara Rossini – la via semplice e meno faticosa, influenzate in questo anche dai social, dove chi ne ha fatto, almeno in parte, un lavoro, dà l’idea di essere arrivato, senza particolare fatica. «Un altro motivo per cui le ragazze cercano la via facile coincide con l’idea che, una volta sposate, il lavoro passerà in secondo piano», continua la professionista, che ha svolto quasi tutta la sua carriera in settori legati alla formazione e conosce quindi molto bene i ragazzi e la Gen Z: «Ovviamente non si può generalizzare, ma se, su un ipotetico campione di 100 ragazze, una volta erano 80 quelle che ambivano a fare carriera e 20 quelle la cui aspirazione era avere una famiglia e stare a casa con i figli, attualmente mi sento di affermare che questi dati si stanno un po’ ribaltando».

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re – a detta di Sara Rossini – la via semplice meno faticosa, influenzate in questo anche dai social, dove chi ne ha fatto, almeno in parte, un lavoro, dà l’idea di essere arrivato, senza particolare fatica. «Un altro motivo per cui ragazze la via facile coincide con l’idea che, una volta sposate, il lavoro passerà in secondo professionista, che ha svolto quasi tutta la sua carriera legati e conosce quindi molto bene i ragazzi e la Gen Z: «Ovviamente non si può generalizzare, ma se, su un ipotetico campione di 100 ragazze, una volta erano 80 che fare carriera e 20 quelle la cui aspirazione era avere una famiglia e stare a casa con i figli, attualmente mi sento di affermare che questi dati si stanno un po’ Per contestualizzare, va comunque detto che i giovani di oggi vivono in una società non facile: «Le aspettative, soprattutto per le donne, sono alte. e performanti e non tutte sono in grado di esserlo – Sara Rossini

Per contestualizzare, va comunque detto che i giovani di oggi vivono in una società non facile: «Le aspettative, soprattutto per le donne, sono alte. Devono sempre essere perfette e performanti e non tutte sono in grado di esserlo – aggiunge Sara Rossini

Un’esperienza tra natura, avventura e panorami mozzafiato

A pochi minuti dal centro di Lugano, il Monte San Salvatore regala un panorama mozzafiato dove il cielo incontra la terra. Conosciuto come il «Pan di Zucchero della Svizzera», è una delle mete più affascinanti del Canton Ticino. Grazie alla Funicolare Monte San Salvatore, attiva dal 1890, raggiungere la vetta è semplice e veloce: in soli 12 minuti si passa da Paradiso alla cima, ammirando paesaggi spettacolari lungo il tragitto.

Un viaggio tra le nuvole

La stazione della funicolare si trova a Paradiso, a pochi passi dalla stazione ferroviaria e dall’uscita autostradale Lugano-Sud. Il viaggio è breve ma emozionante: salendo fino a 912 metri d’altitudine, lo sguardo si apre su un panorama unico, con il Lago Ceresio, la Pianura Padana e le Alpi svizzere e savoiarde a fare da cornice.

Tante esperienze in un solo luogo Il Monte San Salvatore è il luogo perfetto per chi cerca natura, re-

lax, avventura e sapori autentici:

• Sentieri panoramici per escursionisti di tutti i livelli conducono a Ciona, Carona, Melide, Morcote e Paradiso. Gli amanti dell’adrenalina possono cimentarsi con la via ferrata, un’esperienza emozionante tra pareti rocciose e viste mozzafiato.

• Relax e divertimento: un’area giochi attrezzata permette ai più piccoli di divertirsi, mentre gli adulti possono rilassarsi all’aria aperta, respirando la natura in ogni stagione.

• Cultura e storia: in vetta si trova la storica Chiesa del San Salvatore, meta di pellegrinaggi dal XIII secolo, e il Museo San Salvatore, che racconta la storia locale e ospita una sezione dedicata ai fulmini e alla geologia della regione.

Gusto e convivialità ad alta quota

Il Ristorante Vetta San Salvatore propone delizie gastronomiche ispirate alla cucina mediterranea, preparate con ingredienti freschi e di stagione.

La veranda panoramica e la terrazza soleggiata offrono la cornice perfetta per un pranzo con vista, una cena romantica o un aperitivo al tramonto.

Il ristorante è anche attrezzato per eventi, meeting e banchetti, con sale per accogliere fino a 70 persone.

– andando oltre le distinzioni di genere, il mondo del lavoro è diventato più complesso e, al suo interno, si è portato avanti il pensiero che i giovani siano più responsabili e quindi in grado di comportarsi di conseguenza, quando in realtà ragazzi e ragazze sono oggi meno forti, il che, a volte, li porta a fermarsi non tanto, o non solo, perché non si vogliono impegnare, quanto perché hanno in fondo paura di non essere all’altezza». La Generazione Z nasconde infatti un lato fragile, riconducibile in gran parte all’alto grado di stress che caratterizza la società della performance. Che quella delle soft girls sia quindi una tendenza a scappare da questa società? Oltre a ciò, quello compiuto dalle «ragazze dolci» sembrerebbe costituire un ulteriore passo all’interno di un altro filone caratteristico della generazione che comprende le persone nate tra il 1997 e il 2012, e cioè il fatto di essere molto legati alla propria vita personale. Se, infatti, in generale, gli esponenti della Gen Z aspirano ad avere una carriera che consenta loro di continuare a godersi la vita e coltivare i propri interessi, le soft girls si spingono oltre,

andando le nere, il mondo del lavoro è diventato più interno, portato avanti il pensiero che i giovani siano più responsabili e quindi in di comportarsi conseguenza, quando in realtà ragazzi e ragazze a li porta a fermarsi non tanto, o non solo, perché non si vogliono impegnare, perché fondo di non essere all’altezza». La Generalato gile, riconducibile in gran parte all’alto grado di stress che caratterizza la società della performance. Che quella delle soft sia quindi una tendena da a ciò, quello compiuto dalle «ragazze dolci» sembrerebbe costituire un ulteriore passo all’interno di un altro filone caratteristico della generazione che il e il 2012, e cioè il fatto di essere molto propria infatti, in generale, gli esponenti della Gen Z aspirano ad avere una carconsenta a godersi la vita e coltivare i propri ingirls

Monte San Salvatore: il Paradiso sopra Lugano

scegliendo di concentrarsi esclusivamente sugli ultimi due aspetti. Una visione della vita e del lavoro (di cui tra l’altro si occupa anche Simona Ravizza nella sua rubrica a pag.11), che si scontra diametralmente con quella della cosiddetta girl boss, figura simbolo della realizzazione femminile, nata negli anni 10 del 2000 negli Stati Uniti, che incarna una giovane donna in carriera, ambiziosa, instancabile e intransigente. Figura che ha con ogni probabilità ispirato parte delle madri delle giovani di cui ci stiamo occupando, lavoratrici emancipate sì, ma pure stressate. E sono proprio questo stress – con le sue conseguenze – e le esigenze di successo giudicate troppo elevate, che le attuali «ragazze dolci» rifiutano, ritenendoli dannosi per la propria salute mentale. Anche secondo alcuni studiosi, la loro ricerca, volontaria e consapevole, di un ruolo tradizionale nella famiglia è influenzata dal fatto di essere cresciute a fianco di madri che, pur facendosi in quattro tra casa e lavoro, non ottenevano gli stessi diritti dei loro colleghi.

scegliendo concentrarsi mente sugli ultimi due aspetti. Una visione vita ro (di cui tra l’altro si occupa anche Simona Ravizza nella sua rubrica a pag.11), che si scontra diametralmente con quella della cosiddetta boss ne femminile, nata negli anni 10 del 2000 negli Stati Uniti, che incarna una giovane donna in carriera, ambiziosa, instancabile e intransigente. ispirato parte delle madri delle giovatrici emancipate sì, ma pure stressate. E sono proprio questo stress – con conseguenze esigenze successo giudicate troppo elevate, che tenendoli dannosi per la propria salute mentale. Anche secondo alcuni studiosi, la loro ricerca, volontaria e consapevole, di un ruolo tradizionale di essere cresciute a fianco di madri che, pur facendosi in quattro tra casa lavoro, stessi ritti dei loro colleghi.

A chi vede in tutto ciò un passo indietro, potenzialmente rischioso, nella lotta per l’uguaglianza di genere, Denice Westerberg, portavoce nazionale dell’ala giovanile del partito nazionalista e populista di destra dei Democratici svedesi, risponde: «Le ragazze dovrebbero poter decidere della propria vita; se hanno la possibilità economica di non lavorare, buon per loro. Viviamo in un Paese che ci dà tutte le opportunità per fare carriera. Abbiamo tutti i diritti. Ma abbiamo il diritto anche di scegliere di vivere in modo più tradizionale». Per lei quindi questo recente trend rappresenterebbe la vera emancipazione femminile, nella quale però, si potrebbe aggiungere, le sue esponenti sono probabilmente facilitate dal fatto di non aver dovuto lottare, contrariamente da chi le ha precedute, per i pari diritti e l’indipendenza.

A chi vede in tutto ciò un passo indietro, potenzialmente rischioso, nella lotta per l’uguaglianza di genere, Denice Westerberg, portavoce nazionale dell’ala giovanile del partipopulista dei Democratici svedesi, risponde: «Le ragazze dovrebbero poter decidere della propria vita; se hanno la possibilità economica di non lavorare, per che ci dà tutte le opportunità per fare carriera. Abbiamo tutti i diritti. Ma abbiamo il diritto anche di scegliere di vivere in modo più tradizionale». recente rappresenterebbe la vera emancipafemminile, però, potrebbe aggiungere, le sue esponenti sono probabilmente facilitate dal fatto di non aver dovuto lottare, contrariamente da chi le ha precedute, per i e l’indipendenza.

Aperti anche d’inverno! Dal dicembre 2019, la funicolare è operativa tutto l’anno, permettendo ai visitatori di scoprire il Monte San Salvatore anche in inverno, quando la montagna si veste di colori e atmosfere uniche.

Vivi un’esperienza indimenticabile! Sali a bordo della funicolare e lasciati conquistare da uno dei panorami più spettacolari della Svizzera! Scopri di più su: www.montesansalvatore.ch

«Tutti dovrebbero fare teatro almeno una volta»

Scuola ◆ Al Centro Professionale Commerciale di Lugano da sei anni viene proposto un corso aperto agli studenti, facoltativo e fuori dalla griglia oraria. Ne abbiamo parlato con i ragazzi e i professori coinvolti

Anche l’aula magna può diventare spazio scenico. Bastano poche sedie disposte a semicerchio, magari un tavolo al centro, con sopra una tovaglia. Arriviamo a prove avviate, nel bel mezzo dell’assassinio. Questa sera recitano gli studenti. Il copione di Omicidio sull’Orient Express di Agatha Christie è sui loro telefonini. «Scusate, questa battuta voglio rifarla» – dice uno di loro. «Vai pure» – lo autorizza il docente di italiano nel ruolo di regista, Andrea Bianchetti, mentre la scena prosegue con la finzione di un’ispezione delle ferite da taglio riportate dal personaggio al centro della storia: Samuel Ratchett, l’uomo misteriosamente ucciso nella sua cabina del lussuoso convoglio.

Siamo al Centro Professionale Commerciale di Lugano. È qui che da sei anni si rinnova un progetto molto particolare: un corso di teatro aperto agli studenti, facoltativo, che si tiene fuori dalla griglia oraria, 45 minuti nella pausa del mezzogiorno o la sera, a lezioni concluse, durante l’arco dell’anno scolastico. E i docenti sono volontari, vi dedicano il loro tempo libero. Parliamo dell’iniziativa con alcuni dei protagonisti, già proiettati verso la messinscena dello spettacolo, in cartellone al Lux di Massagno il 29 aprile, con tre rappresentazioni, due riservate alle classi, e una alle 17.30 aperta al pubblico, a ingresso gratuito. Come è nata l’idea? «Era il 2018 – ricorda Bianchetti – e avevo deciso, con alcuni colleghi, di inaugurare un corso di teatro. Dapprima ho fatto una prova, ho invitato alcuni studenti bravi che conoscevo e così abbiamo messo in scena il primo spettacolo, che fu piuttosto terrificante, I ragazzi della cinquantaduesima strada. Poi ho capito come gestire tutto e il secondo anno è andato meglio, grazie anche alla collaborazione di Ledwina Costantini, regista e attrice di Opera RetablO. Il corso è libero: gli studenti si devono iscrivere, ma possono andare e venire, partecipare alla recita o

Viale dei ciliegi

Peter Horn - Jessica Meserve

Il migliore papà del mondo

Arka (Da 3 anni)

Finalmente nella letteratura per l’infanzia abbondano anche i libri sui papà, dopo quelli sull’esclusiva unione mamma-cucciolo. E sono papà che trascorrono gioiosamente del tempo con i loro cuccioli. Un papà che sta con i propri figli, accudendoli e provando piacere nello stare con loro, è un papà, non un «mammo», orrendo termine della (fine) del Novecento. Ed eccoci qui, dopo la cosiddetta «festa del papà», che da quel coraggioso Giuseppe biblico prende ispirazione, ad assistere al proliferare di titoli, più o meno interessanti, sui papà. Ne scegliamo uno, che nella sua semplicità rende omaggio ai tanti modi di essere papà (includendo anche tutti i papà magari non biologici ma di cuore), ed è questa storia di due tartarughe, padre e figlio, il quale si chiede cosa faccia un papà, oltre a «tenere al caldo il suo cucciolo» (e già non è poco). E qui scopriamo che un papà fa tante cose, a dipendenza del suo modo di essere: «Oh, un papà fa tante cose […] Per esempio, cinguet-

solo assistere e dare una mano. A gennaio chiediamo di assegnare le parti. Inizialmente facevo qualche esercizio di teatro, ma poi ho concluso che valeva la pena lavorare subito sullo spettacolo, perché il tempo è poco. Il bello è che i ragazzi vengono al corso spontaneamente. È così anche per noi docenti, anche se io e alcuni colleghi da due anni godiamo di uno sgravio dal monte ore della sede scolastica accolto dal plenum».

Pedro Luca Clemente, 22 anni, al terzo anno di maturità commerciale, è alla sua seconda esperienza al teatro scolastico. Appare il più esperto della Compagnia teatrale uPperCut del CPC di Lugano, dal momento che ha frequentato già corsi in passato. Oggi impersona il detective Hercule Poirot. «Io dico che tutti dovrebbero fare teatro almeno una volta nella vita, aiuta tantissimo allo sviluppo personale, fa acquisire fiducia in se stessi, abitua a levarsi di dosso le catene, i pesi che sono la paura di essere giudicati. Ecco: imparare ad essere più liberi nel proprio corpo, con la propria identità. Penso che non si debba avere un talento innato per fare teatro, basta il coraggio di compiere il primo passo, di entrare nel mondo e… buttarsi, può davvero aiutare a svilupparsi in modi che non ci si aspetta». Gloria Stoppa, stessa età, pure lei al terzo anno di maturità commerciale, nello spettacolo ricopre il ruolo dell’eccentrica signora Hubbard: «Io andavo a sentire i musical, e quando fai teatro questo mondo ti incuriosisce. Spero, dopo il CPC, di trovare una compagnia, anche amatoriale, dove poter continuare». Melissa Seddio, terza AFC di commercio, nella pièce impersona invece il capotreno Pierre Michel. «Ormai sono quattro anni che vengo qui a teatro, il primo anno facevo solo l’aiutante, poi ho avuto una parte, ho debuttato con Piccole donne. Sinceramente sono una persona molto timida, quando recito non si direbbe, ma nella vita normale faccio fatica

ad espormi. Sono stata trascinata nel gruppo teatrale, da sola non lo avrei mai fatto. Prima non prendevo parte a nessuna iniziativa. È stato bellissimo, ho conosciuto tantissime persone. Aver vissuto quattro spettacoli, dalle prove, quando ancora non hai una battuta, all’applauso del pubblico, è grandioso. Devo dire che con lo studio del copione non sono proprio la più brava, mi riduco sempre all’ultimo giorno a imparare a memoria e ogni anno mi prendo le mie belle ‘‘alzate’’ per questo, però alla fine me la cavo». Quali sono le competenze che vi sembra di acquisire con il teatro? Melissa: «Sicuramente ci aiuta tanto ad esporci davanti a un pubblico, ci vengono a vedere trecento allievi per ognuna delle tre rappresentazioni. E quando tocca a te è davvero emozionante. Ma il teatro aiuta anche ad aprirti con le altre persone, a socializzare. Se serve per lo studio? Non credo. Anche il teatro mette un po’ di

stress, ma non pesa. Mi consente di distrarmi e non pensare alle mie verifiche, domani ho quella di contabilità, ma durante le prove non ci penso».

Sottolinea la docente di materie economiche Joanna Pavoni: «È fondamentale avvicinare i ragazzi al teatro perché riescono a lavorare in team, si creano atmosfere, una seconda famiglia. Partecipare dal nulla a uno spettacolo li fa sentire valorizzati».

Aggiunge Bianchetti: «Siamo riusciti a integrare anche ragazzi molto complicati a livello di gestione e disciplina, anche con il tre in condotta, che magari si sentono meno valorizzati in classe e che qui con il teatro riescono a esprimere meglio le loro qualità.

A volte succede così e alla fine dello spettacolo, a impresa compiuta, è davvero bello».

Ogni anno sono una decina gli attori e le attrici che si mettono in gioco, e talora quando manca una parte occorre convincere altri studenti per

completare il cast. E allo spettacolo di aprile parteciperà anche Elena, otto anni, figlia della docente di tedesco, Petra Erni: «La storia di Orient Express ruota attorno a una bambina defunta e pertanto serviva una parte». Qual è il ruolo del regista? «In estate leggo i romanzi, rielaboro i testi per accorciare certe scene e riscrivo il copione. Si potrebbe fare anche teatro sperimentale, ma è più difficile. Invece il copione prevede battute precise e ruoli assegnati. Cerco di intervenire il meno possibile sul lavoro attoriale, perché il tempo è davvero poco. Si cerca quindi di restituire alla fine quello che si è costruito. Curo anche tutta la parte delle musiche, alla scenografia lavoriamo invece tutti». Come si conciliano i ruoli di docente e di regista, non si confondono i due piani? «Chi fa il corso di teatro deve imparare a mettere un po’ da parte l’autorità. Devi essere in qualche modo amichevole con i ragazzi. Si crea un rapporto diverso perché tutti si ha una meta comune: portare lo spettacolo in scena e siamo dunque tutti alla pari. È vero che il docente è ancora il referente, probabilmente qui è proposto un altro tipo di scuola. Oggi è sempre più difficile trovare spazi d’arte, spazi creativi all’interno della scuola. È tutto ridotto all’osso. Per fortuna in questi anni abbiamo sempre avuto dagli 8 ai 12 allievi che sono venuti e sono cambiati nel tempo. E tanti sono stati anche i docenti che hanno collaborato. Ci sono tantissime ore di lavoro». L’insegnante di economia Marta Ghielmetti: «Il giorno dello spettacolo c’è grande solidarietà tra gli allievi». E il pubblico di studenti come reagisce? «All’inizio fanno ingresso al cinema Lux come orde, ma poi seguono e alla fine applaudono con convinzione, perché vedono l’impegno sul palco». E – assicurano i nostri interlocutori – c’è anche chi si commuove nel buio della sala, nell’intensità della musica che chiude e raccoglie ogni parola. Fino alle lacrime.

ta ai suoi piccoli per dire loro che è tempo che imparino a volare». Bella questa allusione a uno dei più importanti compiti della funzione paterna, ossia dire ai propri cuccioli che è tempo che imparino a volare. Il tartarughino, però, sentendo che si parla di volo, obietta che questo non è papà tartaruga, ma papà uccello. Da qui parte una trascinante carrellata di animali, ognuno con la propria capacità specifica (papà ragno tesse ragnatele con i suoi piccoli, papà millepiedi li aiuta quando le loro numerose zampe si aggrovigliano…), che permette sia di riconoscere i tanti diversi modi di essere papà, sia di riconosce-

re che quello del proprio papà è, per il suo cucciolo, il «migliore del mondo». Questo libro è poi interessante anche per altri motivi, innanzitutto per quella struttura iterativa-cumulativa che tanto piace ai bambini e che ben si presta alla lettura ad alta voce: ogni volta il papà tartaruga, nello spiegare cosa faccia un papà, pone una sorta di indovinello, risolto dal suo tartarughino ma anche da ogni piccolo lettore o lettrice, ad esempio: «Questo papà mostra ai suoi piccoli come appendersi a testa in giù dai rami per dormire, anche in pieno giorno! Chi potrebbe mai essere?». Inoltre, è interessante anche per la trattazione del tempo, sia stagionale (la storia si svolge in autunno), sia quotidiano (la storia si svolge dal giorno, con l’erba dorata dal sole, alla notte, la notte dei pipistrelli e delle lucciole). Infine, anche dal punto di vista scientifico, i lettori apprendono molte cose, tra cui che le tartarughe vanno in letargo, come l’ultima deliziosa immagine ci mostra (rendendo questa storia interpretabile anche come storia della buonanotte). Una storia da condividere con i propri cuccioli, ben oltre la festa del papà.

Claudia Fachinetti

Il giro del mondo in 10 migrazioni straordinarie

Piemme Il Battello a Vapore (Da 8 anni)

Sulla copertina campeggia uno stormo di uccelli, schierati a V, sul blu del cielo. In effetti quando si parla di animali migratori, il pensiero va subito alle creature alate, ma non sono solo loro a intraprendere lunghi viaggi. Si spostano, per sopravvivere, o per far sopravvivere i loro discendenti, molte altre specie di animali, affrontando pericoli e sfide incredibili. Orsi, squali, farfalle, e tanti altri sono gli eroi mi-

granti che Claudia Fachinetti, biologa e giornalista, ci racconta in questo bel libro, che è di divulgazione scientifica in forma narrativa, perché racchiude 10 racconti leggibili come 10 straordinarie avventure. L’adesione emotiva dei giovani lettori è rafforzata dal fatto che sono gli stessi animali a raccontare il loro viaggio. Un viaggio, oltre che avventuroso, spesso anche commovente, come quello delle femmine di orso polare che hanno partorito da poco, e che quindi non possono partire subito con gli altri orsi verso la baia ghiacciata, dove, al calare della temperatura, potranno trovare le loro prede. Le mamme orse devono attendere che i cuccioli abbiano almeno 3-4 mesi prima di far loro affrontare i venti gelidi e le intemperie. Partiranno dunque con i piccoli quando essi saranno pronti a farlo, e solo allora potranno nutrirsi con gli altri. O le piccole farfalle monarca che intraprendono un viaggio di oltre 4000 chilometri, dal Nord America al Messico e ritorno. Ma al ritorno arriveranno solo le loro nipoti. Viaggiare è vivere, come scrisse Hans Christian Andersen nella citazione riportata in epigrafe. Viaggiare è anche dare la vita.

I ragazzi della Compagnia teatrale uPperCut del CPC di Lugano durante le prove per la messa in scena di Omicidio sull’Orient Express.
di Letizia Bolzani

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Un’automobile con un tocco femminile

Motori ◆ A Barcellona Kia ha presentato i nuovi modelli concept della sua strategia di elettrificazione: a conquistare tutti è la

Mario Alberto Cucchi

Vivace, colorata e cosmopolita. Anche per queste ragioni Barcellona è stata scelta dal Gruppo coreano per il suo Kia EV Day 2025 in cui ha svelato in anteprima mondiale la Concept EV2 e poi EV4 e PV5. I simboli dell’ampliata strategia EV globale che rappresentano l’ultima fase della strategia di elettrificazione di Kia. «Sentire il feeling di un abbraccio attraverso i colori sfumati presenti nella Kia EV2», come spiega Nathalie Bucher, giovane donna che si occupa proprio dei colori dei materiali e delle finiture all’interno del design team europeo di Kia in Germania a Francoforte.

L’intento era quello di creare un’auto che riproducesse il comfort e il calore di una casa, con EV2 i coreani ci sono riusciti

Siamo davanti a un concept ovvero una vettura che ad oggi non è ancora in strada ma che prefigura per design e soluzioni la Kia EV2 definitiva che arriverà nelle concessionarie nel 2026. Quella svelata oggi è una sorta di laboratorio pensato per testare soluzioni innovative. «Sul concept Kia Ev2 abbiamo utilizzato per la prima volta nel mondo dell’automotive un nuovo materiale derivato dalla fibra di cellulosa per realizzare il cruscotto e non solo – continua Nathalie –.

È facilmente modellabile in fase di produzione ma soprattutto è ecologico e decisamente pratico nell’utilizzo da parte del cliente finale dato che è persino lavabile. Sono convinta – conclude Bucher – che in futuro probabilmente rimpiazzerà la plastica presente nell’auto».

Kia EV2 sarà un mezzo elettrico globale e anche per questo a livello di design e soluzioni è frutto del lavoro di persone che lavorano insieme pur trovandosi a migliaia di chilometri di distanza. «Io mi sono occupata del design degli interni» ci spiega un’altra giovane donna, Tae Woon Jeon che lavora nel centro di design Kia di Namyang in Corea. «Ogni dettaglio è stato pensato e curato al fine di ottenere una semplicità di utilizzo sopra la media – continua Jeon – , credo che EV2 non sarà solo un’auto ma darà il feeling di una casa in cui rifugiarsi per scappare dalla normale e impegnativa vita cittadina. Per questo – conclude Tae Woon Jeon – abbiamo pensato anche a un set dedicato al pic-nic». «Kia Concept EV2 rappresenta un audace passo in avanti per il futuro della mobilità urbana», ha dichiarato il Presidente e CEO di Kia, Ho Sung Song. «Con la Concept EV2, abbiamo voluto affrontare la sfida di realizzare un veicolo che superi le aspettative, offrendo tecnologia innovativa e praticità oltre le sue dimensioni. Vogliamo rendere i

veicoli elettrici veramente accessibili a tutti». All’evento sono stati presentati nove veicoli in totale. Il Concept EV2 è stato esposto insieme a quattro esemplari di EV4: due sedan a 4 porte e due hatchback a 5 porte. Quattro varianti del PV5 hanno illustrato la flessibilità che ha trasformato il settore del primo modello PBV dedicato di

Kia, con le varianti PV5 Cargo, PV5 Passenger e PV5 Wheelchair Access Vehicle (WAV), oltre al PV5 Crew. Ma è EV2 il modello che ci ha colpiti maggiormente. Può piacere oppure no ma senz’altro questo concept farà parlare di sé per soluzioni come le pratiche porte senza montante centrale che permettono un accesso facilitato, per il pavimento piatto che consen-

te anche di sedersi per terra durante una sosta, per i sedili della seconda fila che si ribaltano permettendo al divano anteriore di scorrere indietro il più possibile. Il Concept EV2 è dotato di divisori per bagagli scorrevoli a scomparsa e cinghie che aiutano a fissare oggetti di tutte le dimensioni. L’illuminazione dei messaggi di Kia consente agli occupanti di visualizzare messaggi di testo attraverso i finestrini del veicolo per comunicare con i pedoni e gli altri utenti della strada, mentre la tecnologia connessa avanzata sblocca una nuova dimensione nell’esperienza audio. Basti pensare che anche gli altoparlanti triangolari sono rimovibili e si possono persino portare fuori dall’auto.

Come in tutte le concept non sappiamo quanto di queste soluzioni ispirate dai valori di «Opposites United» vedremo davvero il prossimo anno sulla EV2 di produzione ma speriamo molte. Per ora possiamo dire che agli EV day di Barcellona la concept EV2 ha rubato il palcoscenico alla berlina EV4 definitiva che arriverà nelle concessionarie in autunno. Gli automobilisti cercano sempre più in un’auto il comfort e il calore di una casa e con EV2 i coreani ci sono riusciti anche grazie a due ragazze dai capelli scuri, Nathalie e Tae. Se il tocco di una donna in una casa si vede ed è importante adesso siamo certi che lo sia anche in un’automobile.

Specialità di mare di prima qualità. Qui ce n’è per tutti i gusti.

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La Concept EV2 presentata da Nathalie Bucher che si occupa dei colori dei materiali e delle finiture nel design team europeo di Kia in Germania (M.A. Cucchi)

Approdi e derive

Una, nessuna, centomila verità

Scambio di opinioni nell’ascensore di un supermercato: una signora, che si dice preoccupata per il fatto di essersi ritrovata nel carrello due kiwi involontariamente sfuggiti alla cassa elettronica, e due amiche che commentano la sua preoccupazione, ritenuta ingiustificata. «Tranquilla, non è un furto, solo una distrazione del tutto irrilevante per le finanze del negozio. Anzi, con i pochi soldi che ci ritroviamo sempre a fine mese, al limite ben venga anche un piccolo risparmio inatteso»

Dopo questo dialogo improvvisato e un po’ surreale, non è dato sapere se la signora, per superare il suo disagio, riconsegnerà i due kiwi ballerini. Aveva proprio ragione il filosofo Cassirer: siamo animali simbolici, non viviamo a contatto con i fatti ma con i significati che diamo loro. E forse aveva ragione anche Nietzsche: non esistono fatti ma solo interpretazioni. Queste visioni da un lato mettono l’accento sulla nostra

Terre Rare

responsabilità nei confronti della realtà ma dall’altro aprono un’autostrada a derive relativistiche in cui va perso il significato stesso della verità. La cultura è da sempre, in un certo senso, un potente richiamo a tenerci in contatto con il suo irrinunciabile valore: il valore di una verità intesa come idea limite, come orizzonte di senso. Non come certezza, dogma, possesso ma, al contrario, come punto di riferimento del pensiero, orizzonte aperto del nostro continuo domandare, volto luminoso di quella inquietudine esistenziale, di cui già parlava Platone con la figura di Eros (Eros è brutto ma cerca la bellezza) e che con uno splendido fil rouge arriva fino al cielo stellato di Immanuel Kant.

La ricerca di un fondamento oggettivo della conoscenza su cui fondare la nostra comune appartenenza e i nostri legami, ha un significato etico non trascurabile. La verità, intesa come orizzonte di senso, è com-

Spazio, ultima frontiera

La conferenza tenuta alla Supsi dalla ricercatrice e docente Barbara Spinelli nelle scorse settimane, in occasione dell’attribuzione del premio Moebius per l’intelligenza artificiale al servizio della società, ha offerto più di uno spunto di riflessione utile sull’argomento.

Crediamo che contributi di questo tipo siano assolutamente necessari per capire meglio una realtà in evoluzione e che non è più una semplice sperimentazione, o una tecnica di cui sia ancora possibile mettere in discussione l’uso. L’IA è qui, e sta già funzionando senza che noi ce ne accorgiamo, nei motori di ricerca, nelle varie piattaforme digitali con cui gestiamo le nostre attività quotidiane, da Amazon a Facebook a tutto il resto. Da discutere e da tenere criticamente in osservazione sono piuttosto molti

aspetti correlati con il suo uso, tra cui, come sottolineato da Spinelli nel suo intervento, non ultimo è quello del raffreddamento dei data center che la ospitano e che la ospiteranno. Un problema ecologico di non facile soluzione, ma che è tuttavia essenziale. In un grafico da lei mostrato nel corso della conferenza si nota il preoccupante parallelo tra quantità di energia necessaria per raffreddare i server e la registrazione delle temperature relative al riscaldamento globale terrestre. C’è una correlazione tra le due curve ascendenti? Non esiste per ora una risposta univoca alla questione, ma caso vuole che gran parte dei data center sia raffreddata con l’acqua di laghi e fiumi (si veda l’esempio del Centro di calcolo di Lugano) e che il riscaldamento globale delle acque sia un dato di fatto, misurato e misurabile.

Le parole dei figli

Quiet quitting

«Con il quiet quitting non stai abbandonando il tuo lavoro, ma stai abbandonando l’idea di andare oltre. Il lavoro non è la tua vita. Il tuo valore non è definito dalla tua produttività». A portare ne Le parole dei figli il termine quiet quitting, un modo di dire in inglese che sta per «fare lavorativamente il minimo indispensabile», è un video di 17 secondi, pubblicato su TikTok dall’ingegnere newyorkese 24enne Zaid Khan e diventato virale nel luglio 2022. Per noi boomer però, e chi segue questa rubrica ormai lo sa, è importante capire soprattutto quel che sta dietro alle Parole dei figli Su TikTok ci sono video divertenti a proposito del «POV: stai facendo quiet quitting » (l’acronimo, l’abbiamo capito, sta per Point of View, ovvero «Punto di Vista»). Il capo dice: «Stamattina sei arrivata puntuale in ufficio alle 9, ultimamente stai sempre uscendo in orario alle 6, poi stai con-

pagna di viaggio irrinunciabile nel nostro cammino personale: arreda il nostro mondo interiore e ci indica la strada verso ciò che è buono e giusto. Ce lo ricorda, fin dall’antichità, il sole platonico che, nella sua Repubblica, ci attende all’uscita della caverna. Restare in contatto con la verità così intesa ci impegna non solo a dire la verità, ma anche ad essere veri Questo valore è da sempre legato anche all’idea di bellezza, ad una bellezza che chiama: come altre volte ricordato, bello e chiamare (kalos, kalein) hanno la stessa radice. La bellezza insomma è un luminoso orizzonte etico. Vero, bello e buono, dicevano gli antichi kalos kai agathos. Watson e Crick, gli scopritori della doppia elica del DNA, pare che vedendola rappresentata dissero: «È troppo bella, dev’essere vera!».

La domanda di verità e di bellezza, radice della nostra umanità e della nostra convivenza, appare però sempre più in ostaggio di voci aggressive

che ne offendono e ne tradiscono il senso, consegnandola al solo desiderio di dominio di poteri sempre più autoritari. Quando i fatti sono consegnati alle loro interpretazioni, non c’è più bisogno di rimanere in contatto con questa domanda, non c’è più bisogno di giustificare la verità di ciò che si dice.

Le derive politiche di una perdita di contatto con la verità, di una rinuncia all’impegno etico verso la realtà, sono oggi sotto gli occhi di tutti. Viviamo nell’epoca della post-verità, in cui la realtà dei fatti si afferma sulla base di sentimenti di adesione o di rifiuto emotivi. Di fronte a questa preoccupante deriva che sta minacciando le nostre democrazie, torno ad una recente splendida lettura. Nel suo Del vuoto. Sulla cultura e filosofia dell’Estremo Oriente, il filosofo ByungChul Han ci accoglie e ci ospita in un mondo altro, dentro un orizzonte totalmente straniero rispetto alla nostra visione della vita.

Da questo altrove, da questo mondo così lontano e straniero, qualcosa viene tuttavia a suggerirci come il desiderio di affermazione e l’impegno di soggetti responsabili, che sta al cuore dell’etica moderna, possa trasformarsi in desiderio di dominio: possesso e domino sull’Altro e sul mondo. «Più si indebolisce l’atto di riflettere – scrive il filosofo – più le cose risplendono chiare. In altre parole, a un calo di riflessione corrisponde un aumento di mondo. (…) Ritirarsi in un’assenza, dimenticarsi di sé…».

Questo sguardo-altro, così lontano dal nostro modo di abitare la vita, a me pare comunque un panorama da trattenere sullo sfondo del nostro vivere e convivere, un suggerimento silenzioso a prestare più attenzione alle derive della nostra cultura in cui il valore della presenza a sé stessi rischia di essere consegnato a soggetti che fanno del proprio rapporto con il mondo uno strumento di dominio.

La notizia circolata in questi giorni in cui si parla del tentativo di installare un data center sulla stazione orbitale ISS apre forse l’occasione per comprendere meglio con quali occhi i ricercatori e gli scienziati stiano guardando alle possibilità offerte dallo spazio. Lassù il freddo è una condizione naturale normale e, una volta garantita la possibilità di trasmissione di dati verso terra efficiente e sicura, ecco una soluzione possibile che è totalmente inaspettata per l’immaginazione dell’uomo comune. Il gelido spazio è l’ambiente ideale per raffreddare i processori surriscaldati.

Perché no?

Allo spazio si guarda con interesse anche per risolvere problemi di tipo energetico, un altro punto «scottante» (si scusi il gioco di parole) quando si parla di IA. Sono in fase di avan-

zata progettazione stazioni per la produzione di energia elettrica fotovoltaica, che, poste in orbita geostazionaria favorevole, potranno inviare energia elettrica sulla terra in forma di microonde, tramite un sistema wifi. L’efficienza reale di simili centrali solari è per ora in discussione, ma alcuni esperimenti preliminari hanno mostrato la fattibilità del progetto. E varie aziende multinazionali stanno elaborando soluzioni che affrontano un problema di fondamentale importanza per il futuro dell’umanità. Senza le quali sarà gioco forza necessario dover tornare a considerare un ritorno all’uso di energia nucleare.

In questi due contesti problematici, legati all’uso della nuova tecnologia, dunque, si vede come lo spazio rappresenti una seria opzione, una nuova frontiera, in grado di offrire soluzioni

ormai raggiungibili. Gli sforzi delle maggiori potenze economiche come Cina e India di raggiungere il nostro satellite (e le sue riserve di materiali pregiati) sono un’ulteriore dimostrazione del fatto che il nostro futuro sta sopra le nostre teste.

La fantascienza a cui siamo stati abituati negli ultimi decenni del 900 è ormai soltanto scienza: a questo punto la fantasia di quegli scrittori è realtà e bisognerà cominciare forse di nuovo dalla letteratura per inventare sviluppi immaginari del futuro, da far diventare ulteriore realtà da qui a cinquant’anni. Con una sola certezza: le soluzioni per la Terra sono assai probabilmente fuori dalla Terra. E la rete Starlink disegnerà, forse, le costellazioni con cui ci orienteremo nelle notti d’estate, con lo sguardo rivolto all’insù.

segnando sempre i progetti in tempo, che cosa c’è che non va? Prima attaccavi alle 6 del mattino a lavorare e uscivi alle 9 di sera, consegnavi i progetti sempre in anticipo e ti prendevi responsabilità senza che io te lo dovessi dire». Risposta della lavoratrice Gen Z: «Sto facendo quiet quitting : ho iniziato a lavorare con il Covid circa 80 ore a settimana, poi sono andata in burnout come del resto la metà della mia generazione, e quindi non mi licenzio, ma ho deciso di fare il minimo indispensabile. Entra un progetto importantissimo? Facciamola semplice: riceverò più soldi? E, per caso, questa cosa potrebbe intaccare il mio work life balance (l’equilibrio tra vita e lavoro, ndr)? No! Ecco, dunque non lo faccio. Sono le 6, devo uscire!». Insomma: gli straordinari è meglio evitarli, così come qualsiasi impegno extra al di fuori delle mansioni contrattuali.

Dal mio punto di vista, però, non è corretto liquidare la cosa al motto: «La Generazione Z privilegia il tempo personale rispetto al lavoro straordinario non retribuito». È una lettura che considero superficiale. L’interesse per questo modo di dire va ben oltre. Perché quello che rivendica la Gen Z è, a mio avviso, molto più profondo. A distanza di quasi tre anni e una miriade di video social dopo, possiamo affermare che è rivoluzionario il concetto che il quiet quitting porta con sé, quel Work is not your life. È ormai un mantra di vita della Gen Z È il bisogno di ricollocare la professione in una delle caselle della vita, magari anche importante, ma non la più importante. Il lavoro non può mandare in macerie la qualità di vita, la salute mentale, la famiglia, le relazioni con gli amici. Quando io lavoro troppo – e purtroppo succede spesso – la mia

16enne Clotilde mi prende in giro dicendomi che sono hobbylos, ossia che ho perso l’abitudine di coltivare hobby o passioni personali. Il modello imperante dei nostri tempi è stato il lavoratore workaholic con la professione al centro della propria vita. In contrasto, la Gen Z valorizza il tempo libero, l’amicizia e il benessere personale, riconoscendoli come parte essenziale di un equilibrio tra vita e lavoro. Ora io sono convinta che vadano indagate le conseguenze che questo modo di pensare potrebbe avere nella vita quotidiana dei nostri figli quando saranno adulti. Il nuovo modo di affrontare il lavoro degli Gen Z dove li porterà? Se saranno davvero in grado di giocarsi un miglior equilibrio tra vita professionale e privata, è verosimile pensare anche a un futuro, per esempio, in cui la suddivisione delle incombenze figli-casa sarà più equilibrata? Più

parità, meno sfruttamento e vite più bilanciate?

Spoiler: dell’argomento ci occuperemo nel prossimo Caffè dei genitori, dove abbiamo invitato Virginia Stagni, classe 1993, laurea in Bocconi e master in Media & Communications alla London School of Economics, la più giovane manager in oltre 130 anni di storia del «Financial Times» con un ruolo centrale rivolto a fare leggere il quotidiano economico inglese ai giovani e oggi la più giovane dirigente d’Italia come chief marketing officer di The Adecco Group, l’agenzia di lavoro con sede in Svizzera e attiva in oltre 60 Paesi che fornisce lavoratori temporanei alle aziende, le aiuta a trovare candidati per posizioni a tempo indeterminato, offre corsi di aggiornamento e riqualificazione professionale e supporta le aziende nella gestione delle risorse umane. A presto!

di Simona Ravizza
di Lina Bertola
di Alessandro Zanoli

Nuovi di zecca

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ATTUALITÀ

Uiguri nel Canton Berna Pechino controlla e minaccia anche la comunità uigura residente nel nostro Paese: la testimonianza

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Focus sui Campi Flegrei

Mentre l’area continua ad essere instabile, la storia di due vulcanologi venuti dalla Svizzera

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Media: libertà a rischio

Negli Usa Trump ha tagliato i fondi a radio che hanno fatto la storia, come «Voice of America»

Pagina 16

Quando mancano soldati, e non solo

La confusione di Trump I passi disordinati del presidente americano porteranno alla sua disfatta? E chi ci guadagna?

Pagina 17

Svizzera ◆ Tra le sfide che attendono Martin Pfister anche quella di «risolvere» la concorrenza tra servizio civile e servizio militare

Equipaggiamento scarso, arsenali da rifornire, servizi segreti da riformare, droni che dovrebbero finalmente riuscire a spiccare il volo. E finanziamenti da assicurare anche sul medio e lungo termine. Questa lista dei compiti da portare a termine è lunga e non esaustiva, e ci dice che sono davvero parecchi i cantieri aperti lasciati dall’ormai ex consigliera federale Viola Amherd. Tra questi ce n’è uno di cui si parla poco: quello degli effettivi dell’esercito. E sarà una delle numerose sfide con cui si dovrà ora confrontare Martin Pfister, il nuovo responsabile del Dipartimento federale della difesa, storico di formazione, colonnello nell’esercito e ormai ex Consigliere di Stato nel suo Cantone, Zugo.

Bisogna trovare qualcuno che sostituisca il capo dell’esercito Thomas Süssli e quello dell’intelligence Christian Dussey

Alla voce personale sono almeno tre i grattacapi che rischiano di togliere il sonno al neo-ministro. Il primo nodo da sciogliere è quello più noto e riguarda la sostituzione del capo dell’esercito Thomas Süssli e di Christian Dussey, il direttore del Servizio delle attività informative, i servizi segreti del nostro Paese. A cui si aggiunge anche il concorso per rimpiazzare il divisionario Peter Merz, il numero uno delle forze aeree elvetiche. In altre parole Pfister dovrà riuscire a individuare le personalità in grado di affrontare i tanti guai che al momento intaccano la difesa del nostro Paese. Una scacchiera delicata su cui c’è bisogno di tre mosse vincenti. Il tempo qui è comunque galantuomo, visto che si tratta di dimissioni presentate con largo anticipo rispetto all’effettiva partenza di questi alti funzionari dello Stato, il capo dell’esercito Thomas Süssli, per esempio, lascerà il suo incarico alla fine dell’anno. Ma al di là di queste nuove figure di spicco del grigioverde elvetico, Martin Pfister deve tener d’occhio altri aspetti meno appariscenti, e che riguardano pure loro il personale. Da una parte c’è da sollevare il morale delle truppe, un problema che si è manifestato in particolare proprio all’interno dei servizi segreti, confrontati con continue ristrutturazioni e parecchie dimissioni. Una riorganizzazione che si protrae ormai da più di due anni, sotto la guida del direttore dimissionario Christian Dussey, che a sua volta aveva ricevuto questo incarico direttamente dalla ministra uscente Viola Amherd. Una nuova impostazione degli 007 svizzeri che ha lasciato diverse scorie tra il personale, come emerso anche da un sondaggio interno a questa struttura, indebolita da pro-

cessi di lavoro inefficienti e da scarse capacità manageriali. La gestione dei servizi segreti svizzeri ha ricevuto solo 35 punti su un massimo di 100. La media per gli altri settori dell’amministrazione federale è di 61 punti. Una pagella decisamente insufficiente per un settore così delicato come quello dei servizi segreti, chiamati per di più a muoversi in un contesto geopolitico più teso e problematico rispetto al recente passato.

Ma alla voce «personale» le sfide non finiscono qui. Ce n’è anche una terza di cui si parla davvero molto raramente, ed è quella degli effettivi, del numero di militi a disposizione dell’esercito svizzero. E qui non mancano tensioni tra le esigenze delle caserme e le necessità di un altro tipo di servizio, quello civile. Un braccio di ferro alla caccia di personale di cui ha parlato anche il neo-ministro Pfister in una delle sue tante interviste rilasciate durante la campagna che lo scorso 12 marzo gli ha permesso di essere eletto in Governo. Sulle colonne della «NZZ», il Consigliere federale di Zugo si era espresso in questi termi-

ni: «Occorre riuscire a coordinare il servizio militare con le esigenze della vita professionale. Ciò detto diventa un problema se le unità del nostro esercito non dispongono del personale necessario. Mi disturba il fatto che parecchi soldati decidano di passare al servizio civile, dopo aver completato la formazione della scuola reclute. Questa possibilità dovrà essere ridotta o persino eliminata».

Di un altro tema si parla da tempo: le donne potrebbero in futuro essere costrette a prestare servizio militare (o civile)

Per Pfister è chiaro, qui c’è un problema. E la pensa così anche il Consiglio federale, che lo scorso mese di febbraio ha presentato un piano d’azione articolato in sei misure proprio per frenare questo passaggio dal servizio militare a quello civile, un’emorragia che non riguarda soltanto i soldati semplici ma anche i sottoufficiali e gli ufficiali. Tra le misure previste segna-

liamo in particolare l’aumento del numero minimo di giorni, in tutto 150, da effettuare per chi passa al servizio civile. In termini generali per il Governo il numero di giovani ammessi al servizio civile rimane «elevato». Ogni anno sono circa 6500 i nuovi «civilisti» che svolgono questo servizio, ad esempio in una casa di riposo o in un istituto scolastico. Ma resta alta anche la quota di soldati, che dopo aver svolto una parte del loro obblighi militari, decide di cambiare casacca e di passare alla concorrenza. «Nel 2023 il 32% delle ammissioni al servizio civile è avvenuto dopo l’adempimento della scuola reclute e l’incorporazione nelle formazioni dell’esercito», dice il Governo nel messaggio presentato in febbraio per impostare una riforma della legge sul servizio civile. Una percentuale simile a quella degli anni precedenti, in tutto circa 2000 soldati all’anno lasciano il grigioverde per questo motivo. Del tema si è interessato anche il Parlamento, con il fronte del centro-destra che sostiene questo tipo di misure in favore del grigioverde,

mentre a sinistra si teme per il futuro del servizio civile, messo ora sotto pressione da questo tipo di limitazioni. Ma non è finita qui, visto che nella recente sessione primaverile delle Camere federali è stato deciso che il servizio civile dovrà dare una mano anche alla protezione civile. In caso di bisogno una parte dei giorni di servizio assegnati ai «civilisti» dovrà essere effettuata a favore della protezione civile, che interviene ad esempio in caso di catastrofi naturali. In altri termini la concorrenza si accentua, tra le necessità dell’esercito, quelle dei «civilisti» e ora anche quelle della protezione civile.

C’è un altro tema di cui si parla da tempo: le donne potrebbero in futuro essere costrette a prestare servizio militare (o nella protezione civile). È quanto prevede una delle due varianti sull’evoluzione dell’obbligo di servizio presentate a metà gennaio dal Consiglio federale… «Dove c’è da mettere ordine, farò ordine», aveva detto qualche settimana fa il nuovo capo del Dipartimento della difesa. Per Martin Pfister la sfida è ora lanciata.

Roberto Porta

Perseguitati anche all’estero

Svizzera ◆ La comunità uigura nel nostro Paese viene sistematicamente osservata, minacciata e sottoposta a pressioni da parte di Pechino. La testimonianza di una coppia fuggita dallo Xinjiang e residente nel Canton Berna

Gulnar mi siede davanti, un fazzoletto in mano per asciugarsi le lacrime. La donna ha 55 anni e proviene dallo Xinjiang, una regione autonoma della Repubblica popolare cinese. «Da otto anni non ho più alcun contatto diretto con la mia famiglia», racconta la donna uigura. «Mia madre è anziana. Vive da sola e io sono molto preoccupata. Mi manca così tanto». Nell’immagine del suo profilo WhatsApp la si vede mentre le dà un bacio sulla guancia. «Se chiamo i miei familiari, ho paura che succeda loro qualcosa, che vengano imprigionati. È ciò che spesso succede quando qualcuno riceve una telefonata dall’estero», dice Gulnar. Attualmente la madre le fa sapere che sta bene tramite conoscenti, che le inviano un messaggio: «Tua madre è ancora viva». Della morte del padre, avvenuta sei anni fa, è venuta a sapere solo un mese dopo il decesso.

Quei «campi di rieducazione»

Con il marito Abduxukur vive da quasi 25 anni in un villaggio nel Canton Berna. In Svizzera si è rifatta una vita. Ha tre figli maggiorenni, una casa con il giardino e un grande desiderio: riabbracciare, un giorno, i propri cari. Un desiderio che la intristisce perché sa che probabilmente resterà inesaudito. «Nel 2006 sono tornata per la seconda volta nella mia città natale», continua Gulnar. «Poco dopo il mio arrivo, la polizia mi ha contattata e mi ha portata in una stanza d’albergo, dove mi ha sottoposto a un interrogatorio durato quattro ore. I funzionari mi hanno fatto mille domande: quanto guadagna tuo marito? Chi frequenti in Svizzera? Che giornale leggi?».

Nel 1996 il marito Abduxukur lascia Ürümqi, la capitale della regione autonoma Xinjiang Uygur, per proseguire gli studi al Centro internazionale di fisica teorica nei pressi di Trieste. Un anno più tardi si iscrive

all’Università di Basilea, dove ottiene il dottorato in scienze dei materiali. «La mia idea era formarmi all’estero e poi tornare a insegnare nell’università della mia città», racconta Abduxukur. «Nel 1999 ho incontrato i miei professori a Ürümqi e ho parlato loro dei miei piani. Loro mi hanno sconsigliato di tornare e di aiutare la mia gente dall’estero». Da qui la sua decisione di chiedere alla moglie di raggiungerlo in Svizzera con il primo figlio. Era il 2000.

Da allora la coppia torna diverse volte nello Xinjiang. L’ultima visita risale al 2014, con i figli. Un anno più tardi, Gulnar viaggia da sola. Poco fuori dalla città di Kuqa vede un cosiddetto «campo di rieducazione», eretto dalle autorità cinesi.

A ogni incrocio osserva poliziotti armati e ovunque nota videocamere e microfoni, anche nei taxi. Deve continuamente mostrare il suo passaporto; per fortuna quello svizzero, ottenuto nel 2011, che la rassicura parzialmente. «In Svizzera abbiamo imparato cosa significa la democrazia», sottolinea Abduxukur. «Non potevamo più tornare indietro. Non avevamo mai pensato di stabilirci definitivamente all’estero».

In Cina, negli ultimi decenni, si è verificato un netto peggioramento della situazione dei diritti umani, soprattutto per le minoranze etniche come quella uigura nello Xinjiang, regione autonoma situata nel nord-ovest del Paese, al crocevia tra Asia centrale e Asia orientale. Dopo l’avvio del progetto della Nuova via della seta la situazione di questo gruppo etnico turcofono e musulmano è ulteriormente peggiorata. Lo Xinjiang rappresenta infatti un importante corridoio economico verso Occidente e, per garantire l’approvvigionamento di materie prime necessarie per sostenere la crescita della Cina, Pechino ha deciso di rafforzare il controllo sulla regione, nonché sui ricchi giacimenti di gas e petrolio. Secondo un recente rapporto

per i diritti umani, la Cina attua da anni una politica sistematica di internamento, lavoro forzato e trasferimenti coatti nei confronti degli uiguri e di altre minoranze musulmane nello Xinjiang. Numerose testimonianze e rapporti di organizzazioni per i diritti umani parlano di milioni di persone detenute senza processo in «campi di rieducazione», dove subiscono indottrinamento politico, torture, trattamenti inumani e degradanti, violenze sessuali. Inoltre sono documentate politiche di controllo delle nascite, come sterilizzazioni e aborti obbligatori, mirate a ridurre la crescita demografica degli uiguri. «Mio fratello è stato in prigione», dice Gulnar. «Anche mio fratello – continua Abduxukur – è stato rinchiuso in un campo per dieci anni, senza aver commesso alcun reato». Oltre alla repressione e alla sorveglianza in Cina, le autorità cinesi controllano la comunità uigura all’e-

stero, anche quella in Svizzera, come ha evidenziato un rapporto del Consiglio federale, pubblicato di recente e commissionato all’Istituto europeo dell’Università di Basilea. Lo studio indica che tale repressione transnazionale della diaspora uigura si esprime anche sotto forma di minacce di violenza nei confronti dei familiari in Cina. «Ho ricevuto spesso chiamate da numeri esteri da persone sconosciute», racconta Abduxukur. «Mi hanno chiesto di fornire nomi, numeri di telefono e indirizzi di uiguri in Svizzera. Visto che non ero disposto ad assecondare la loro richiesta, mi hanno minacciato, affermando che avrei dovuto assumermi la responsabilità del mio rifiuto, senza indicare con precisione di quali conseguenze si trattasse». Secondo il rapporto, la strategia cinese mira anche a creare dissensi all’interno della diaspora uigura, con l’obiettivo di indebolirla. «Ci sono alcuni uiguri che chiamano i loro familiari a casa. Ciò insospettisce gli al-

tri membri della diaspora. Come mai godono di questo privilegio? Sono forse spie?», si chiede Gulnar. Cinque anni fa la comunità uigura in Svizzera, che conta all’incirca 200 persone, si è divisa: da una parte chi vuole continuare a farsi sentire attraverso le proteste di piazza; dall’altra, chi intende puntare sulla sensibilizzazione attraverso i canali social, i mass media tradizionali o le organizzazioni non governative. A presiedere la nuova associazione è Abduxukur, al quale chiediamo se non abbia paura. «Certo! Mio fratello e quello di Gulnar sono stati in prigione. Non abbiamo più alcun contatto con le nostre famiglie. Se c’è una scala per misurare il dolore, credo che ne abbiamo già raggiunto l’apice. A questo punto non abbiamo quasi più nulla da perdere». Gulnar aggiunge: «Ieri ci siamo detti: se ci lasciamo vincere dalla paura, la repressione diventerà sempre più forte. Se non facciamo nulla, la situazione non migliorerà».

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dell’Alto commissariato delle Nazioni unite
Manifestazione degli uiguri a Berna. (Keystone)

Dalla Svizzera per studiare i vulcani

Campi Flegrei ◆ Mentre l’area continua ad essere instabile vi raccontiamo la storia di Alfred Rittmann e Immanuel Friedländer

La terra a Napoli continua a tremare. I Campi Flegrei, l’area vulcanica che si estende dall’estremo occidentale della città e prosegue verso Pozzuoli e Bacoli, fanno paura. Un terremoto di magnitudo 4.4 ha colpito la zona nella notte tra il 12 e il 13 marzo, seguito nei giorni successivi da eventi di intensità poco inferiore. Tra i fenomeni sismici più intensi degli ultimi anni nella zona.

Alfred Rittmann fu il primo a comprendere la vera natura dei Campi Flegrei e di altre conformazioni geologiche nel golfo di Napoli

Il termine tecnico, in questo caso, è «bradisismo»: un fenomeno geologico che consiste nel sollevamento o abbassamento lento e graduale della crosta terrestre, talvolta accompagnato da scosse di terremoto. Sebbene il bradisismo si possa verificare in diverse occasioni e situazioni, è un fenomeno estremamente comune nei pressi delle caldere. Si tratta di grandi depressioni circolari che si formano a seguito dell’esplosione o del crollo del suolo che possono avvenire in seguito a una violenta eruzione vulcanica che svuota la camera magmatica, facendo collassare la parte superiore del vulcano.

Oggi uno degli esempi più famosi di caldera sono proprio i Campi Flegrei. Ma quella che oggi è un’informazione scontata non lo era fino a pochi decenni fa. E il primo a ipotizzare che quella zona a ovest di Napoli caratterizzata da terra instabile, vampate di gas che fuoriesce dal sottosuolo e una ricca fertilità fosse una caldera fu uno studioso svizzero: Alfred Rittmann.

A lui e al suo collega Immanuel Friedländer (tedesco di nascita ma svizzero di adozione), si deve una buona parte delle attuali conoscenze

legate ai Campi Flegrei e alla vulcanologia in generale. Per capire in che modo, è bene fare un passo indietro. Friedländer, nato a Berlino nel 1871, studiò e si laureò in zoologia. Ma grazie all’influenza del fratello Benedict, naturalista e sessuologo, e a un viaggio intrapreso con lui nel Sud-est asiatico e alle Hawaii, il giovane Immanuel sviluppò un forte interesse per la vulcanologia. Era il 1893. Solo nove anni più tardi lo studioso decise di dedicare la sua intera vita a questa professione e trasferirsi a Napoli, la città stretta tra aree vulcaniche distinte: Vesuvio, Ischia e Campi Flegrei. La sua attenzione fu subito catturata dai Campi Flegrei dove cominciarono le sue osservazioni e la raccolta di dati. Nel 1914 fondò l’Istituto vulcanologico di Napoli, dedicato a studi sistematici sull’attività vulcanica e sismica della regione. Erano anni difficili. Il mondo stava per fare i conti con la Grande Guerra. Per salvare se stesso e il suo lavoro, Friedländer trovò riparo in Svizzera dove trasformerà l’Istituto vulcanologico in fondazione privata: il Vulkan-Institut Immanuel Friedländer con sede a Sciaffusa. Con la fine della Prima guerra mondiale Friedländer poté tornare a Napoli. Qui di lavoro da fare ce n’era tanto. Per questo dopo qualche anno invitò un giovane vulcanologo svizzero a raggiungerlo. «Fu così che, nel 1926, Alfred Rittmann arrivò a Napoli per la prima volta», racconta ad «Azione» Daniele Musumeci, dottore in Scienze dell’interpretazione che ha dedicato gran parte della sua ricerca alla figura di Rittmann. A Rittmann il mondo della vulcanologia deve tanto. Non solo perché fu il primo a comprendere la vera natura dei Campi Flegrei e di altre conformazioni geologiche nel golfo di Napoli, ma anche perché fu il primo a rendere la vulcanologia una scienza interdisciplinare. «Tra il 1926 e il 1936 Rittmann sviluppò teorie che

trasformarono la vulcanologia in una scienza che abbraccia più ambiti. Fino a quel momento, la disciplina era concepita principalmente come un’osservazione descrittiva dei fenomeni vulcanici, senza un vero e proprio approccio integrato. Alcuni studiosi tendevano a combinarla con la petrografia, che si occupa della classificazione delle rocce vulcaniche, mentre le altre branche della geologia e delle scienze della Terra seguivano percorsi separati. Fu Rittmann a unire questi diversi campi, integrando la tettonica, la magmatologia, la petrografia e la vulcanologia tradizionale», spiega Musumeci. E fu proprio questo approccio interdisciplinare che spinse Rittmann verso le sue più grandi scoperte. Nel suo lavoro del 1950 intitolato Sintesi geologica dei Campi Flegrei (pubblicato sul «Bollettino della Società Geologica Italiana»), Rittmann analizzò l’evoluzione eruttiva dell’area e propose che l’ampia depressione osservata fosse il risultato di un collasso del suolo dovuto allo svuotamento della camera magmatica sottostante, definendo così il concetto di caldera in questo contesto.

L’idea fu rivoluzionaria perché, fino ad allora, l’interpretazione delle eruzioni vulcaniche tendeva a concentrarsi solamente sull’aspetto esplosivo e sul sollevamento del suolo (il bradisismo, appunto), senza considerare il meccanismo di collasso post-eruttivo che porta alla formazione di un’enorme depressione.

Friedländer trovò riparo in Svizzera dove trasformò il suo istituto in fondazione privata: il Vulkan-Institut Immanuel Friedländer con sede a Sciaffusa

Rittmann non solo collegò il fenomeno del bradisismo alla dinamica del magma in risalita, ma evidenziò anche come, a seguito dell’espulsione massiccia di magma durante eruzioni esplosive (come quella che ha originato l’eruzione dell'ignimbrite campana circa 39’000 anni fa), il suolo sovrastante cede e collassa, dando origine alla caldera. Questi concetti hanno avuto un impatto profondo sulla vulcanologia

moderna, poiché hanno permesso di comprendere meglio la morfologia e la storia eruttiva dei grandi sistemi calderici, specialmente in aree densamente popolate come quella dei Campi Flegrei. Quelli napoletani furono anni intensi e straordinari per Friedländer e Rittmann ma la situazione politica che precedette la Seconda guerra mondiale separò le strade dei due studiosi. L’istituto fondato da Friedländer operò fino al 1934, quando fu costretto a chiudere a causa delle tensioni politiche nei confronti dei cittadini stranieri. Le sue collezioni furono trasferite all’ETH di Zurigo, dove Friedländer trascorse gli ultimi anni della vita, continuando le sue ricerche fino alla morte nel 1948. Anche Rittmann lasciò Napoli nel 1934 per rientrare in Svizzera, ma la sua carriera in Italia non terminò lì. Tornò nel Belpaese diverse volte: prima a Roma, poi a Napoli e infine a Catania. Qui nel 1960 fonderà un istituto che, tramite vari cambi di denominazione, è arrivato fino ad oggi: l’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

Veduta aerea della riserva naturale Cratere degli Astroni, un’area protetta nella zona di Napoli. Il cratere è uno dei più grandi dei Campi Flegrei. Sotto, da sinistra: fotografia dei Campi Flegrei, fondo Friedländer, e lo studioso nella Solfatara di Pozzuoli (ETH/BIB). (Wikimedia)

Contro le voci della libertà

Stati Uniti ◆ Trump ha tagliato i fondi a diversi media che hanno fatto la storia, quali «Voice of America» e «Radio Free Europe/Radio Liberty»

Nel quartier generale di «Voice of America» («VoA»), al 330 di Independence avenue a Washington, un’intera parete è dedicata ai giornalisti che lavoravano per l’emittente americana caduti durante il loro servizio. Il primo è Leonid «Liavon» Karas, che aveva trent’anni: dall’Unione sovietica era scappato a Monaco, in Germania, ed era stato uno dei primi conduttori del servizio bielorusso di «Radio Liberation». Il 1° settembre del 1954 non si presentò in redazione, e il suo corpo senza vita fu trovato nel fiume Isar. Due mesi dopo un collega di Karas, Abdurrahman Fatalibeyli, rimase ucciso in circostanze mai chiarite. C’è anche lui fra i ritratti su questo doloroso muro di «Voice of America», insieme con lo scrittore e giornalista bulgaro Georgi Markov, ucciso nel 1978, e più di recente Almigdad Mojalli, freelance yemenita ucciso vicino Sana’a, Sabawoon Kakar e Maharram Durrani, morti entrambi nell’aprile del 2018 a seguito di due attentati suicidi coordinati a Kabul, fino all’ultima giornalista uccisa: Vira Hyrych, reporter e produttrice di «Radio Svoboda», la versione ucraina di «Radio Free Europe/Radio Liberty», morta quando un missile russo ha colpito l’edificio in cui si trovava. Sotto a questo lungo ricordo di volti e storie c’è una citazione, quella di John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, che diceva: «La libertà di stampa è essenziale alla sicurezza di un Paese».

«VoA», «Radio Free Europe/Radio Liberty», «Radio Free Asia», l’«Office of Cuba broadcasting», sono tutte testate che fanno capo a un’unica agenzia federale che si chiama US Agency for Global Media, considerata uno dei pilastri della diplomazia e del cosiddetto soft power americano nel mondo con un budget di circa 270 milioni di dollari l’anno e più di duemila dipendenti nel mondo, che trasmette in 49 lingue diverse. È a quella agenzia che il nuovo presidente Donald Trump ha improvvisamente tagliato tutti i fondi. Il 17 marzo scorso, dallo Studio ova-

le, il tycoon ha firmato il suo ennesimo ordine esecutivo per smantellare la US Agency for Global Media e «Voice of America». Il giorno dopo gran parte dello staff dell’azienda – che è praticamente ovunque nel mondo, anche in zone dove nessun media privato o commerciale avrebbe alcun interesse a mandare un inviato o un corrispondente – è stato messo in aspettativa. L’Amministrazione Trump e gran parte dei sostenitori del movimento Maga (Make America great again) accusano da anni ormai i media che vivono grazie ai contributi federali di diffondere «propaganda radicale» e di essere «anti-Trump», e quindi i contribuenti non dovrebbero finanziare più contenuti contrari agli interessi Usa. Ma l’attacco alla libertà di stampa, a un giornalismo indipendente che ha fatto la storia e anche la grandezza del modello americano soprattutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è evidente. Così come il tradimento della citazione di John Adams, sotto al muro che ricorda i giornalisti caduti.

John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, diceva: «La libertà di stampa è essenziale alla sicurezza di un Paese»

Il direttore di «Voice of America», Michael Abramowitz, di recente ha scritto in un post sui social media che «praticamente tutto lo staff» è stato messo in congedo amministrativo, compreso lui: «“VoA” promuove la libertà e la democrazia in tutto il mondo raccontando la storia dell’America e fornendo notizie e informazioni obiettive ed equilibrate, soprattutto per coloro che vivono sotto i regimi tirannici». È la verità. La data di nascita di «VoA» viene fatta risalire al 24 febbraio del 1942, quando sembra sia stata diffusa la prima trasmissione radiofonica in tedesco che iniziava con queste parole: «Ogni giorno, a quest’ora, vi parle-

remo dell’America e della guerra. Le notizie possono essere buone o cattive. Vi diremo la verità». L’obiettivo era quello di creare una stazione radio che bucasse la propaganda di regime, uno scopo poi ampliato enormemente dopo la fine del conflitto e l’inizio della Guerra fredda. «Voice of America» aveva lo scopo di fermare il comunismo e la diffusione della sua ideologia nei Paesi anche europei. E non era solo un canale di notizie: il quotidiano programma «Voice of America Jazz Hour», condotto da Willis Conover dal 1955 al 2003, fece scoprire il jazz a milioni di persone nei Paesi sovietici, trasformando la musica in un’arma di soft power e di rappresentazione della democrazia.

Parallelamente, il Governo americano, attraverso il suo braccio operativo della Central intelligence agency (Cia), diede vita a «Radio Free Europe». Le sue trasmissioni iniziaro-

no non a caso il 4 luglio del 1950 da Monaco di Baviera, nella Germania ovest, e i programmi erano diretti alla contropropaganda in Cecoslovacchia. Ma presto la sua copertura venne aumentata, trasmettendo in quindici lingue diverse e raggiungendo la maggior parte dei Paesi sotto l’influenza sovietica. Il ruolo della Cia nel suo finanziamento è rimasto segreto fino alla fine degli anni Sessanta, per evitare possibili ritorsioni da parte dell’Unione sovietica. Del resto, «Radio Free Europe» era vista come una minaccia dai regimi comunisti. Nel 1981 la sede di Monaco fu colpita da una bomba piazzata dal terrorista Carlos lo Sciacallo su ordine del regime rumeno di Nicolae Ceaușescu. Ma la radio non si fermò, nemmeno nel 1986, subito dopo il disastro di Chernobyl, mentre i media sovietici minimizzavano l’incidente e «Radio Free Europe» diffuse informazioni cruciali, diventando la fon-

te principale per chi cercava di capire la verità sulla catastrofe. Col tempo gli obiettivi di «Voice of America» e di «Radio Free» sono cambiati enormemente: la prima riforma la fece il presidente americano Gerald Ford, che nel 1976 per legge impose alle stazioni radio di essere «accurate, obiettive e complete», e vietò ogni interferenza editoriale da parte dei Governi in carica – un modo per far diventare le radio, poi trasformate anche siti web da milioni di utenti, uno dei più indipendenti e affidabili media americani, libere dalla necessità di stare sul mercato commercialmente. È anche grazie a questo che alcuni luoghi del mondo hanno avuto una copertura giornalistica internazionale negli ultimi decenni. Un ruolo cruciale che Trump vuole spegnere del tutto, ufficialmente per ridurre «gli sprechi» e la «propaganda woke», ma facendo così un favore ai dittatori di mezzo mondo.

«Voice of America», dei media liberi contano! (Keystone)

Nel caos di Trump

Stati Uniti ◆ I passi disordinati del presidente porteranno alla sua disfatta? E chi ci guadagna?

Come ricordava spesso Giulio Andreotti, con romana ironia, «a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca». Proviamo ad applicare questo motto al caso delle rivelazioni sulla riunione riservata dei vertici americani intorno ai bombardamenti contro gli huti. Azzardiamo quindi che il direttore di «The Atlantic» non sia stato messo per errore nella lista degli abilitati all’incontro, ma che a invitarlo, o a farlo invitare, sia stato qualcuno interno agli apparati statunitensi. Una persona che avesse interesse a colpire l’amministrazione Trump per screditarla davanti all’opinione pubblica americana e internazionale. D’altronde tale interpretazione darebbe un senso meno improbabile a quanto sta accadendo negli Stati Uniti.

Le spiegazioni piuttosto banali su cui l’amministrazione Trump ha insistito in questi giorni, cioè che si sia trattato di un incidente di poco peso e che comunque non riguardasse segreti, non convince granché la stessa opinione americana. Secondo un recente sondaggio, addirittura tre su quattro sono i cittadini statunitensi che considerano poco credibile la tesi di Hegseth e associati. Quanto finora emerso dai documenti filtrati alla stampa conferma che si sia trattato di rivelazioni classificate.

Questo incidente, comunque lo si voglia interpretare, conferma l’idea di un notevole dilettantismo praticato ai piani alti del sistema decisionale americano. Dilettantismo forse accentuato dalla scelta di Trump di procedere al galoppo, cercando di ottenere il massimo dei risultati e dell’eco possibile già nelle prime settimane di Governo. Affastellando dazi, controdazi, proclami contro Paesi alleati e amici, attacchi diretti alla leadership ucraina solo parzialmente ritrattati e rivendicazioni territoriali senza precedenti nella storia non solo americana, l’inquilino della Casa Bianca dà l’impressione di avere una fretta maledetta. Voleva essere un effetto sorpresa. Lo è in parte, ma il vantaggio è largamente compensato in senso contrario dalla confusione che sta generando. E non solo fra i suoi avversari americani o fra i suoi molti critici esterni, ma anche all’interno di una squadra di Governo molto eterogenea. Qui si incrociano professionisti della politica, come il segretario di Stato Marco Rubio (certamente non trumpiano), elementi di primo piano degli apparati, come la direttrice dell’intelligence Tulsi Gabbard, e personalità molto discutibili, come il segretario alla Difesa Pete Hegseth. Accanto a essi, una rappresentanza di poteri forti privati, economici, tecnologici e finanziari, di cui Elon Musk è il simbolo. Il risultato è una minestra difficilmente

mangiabile, anche per chi la produce. Si può quindi considerare non irrilevante il rischio che il missile partito dalla Casa Bianca il 20 gennaio di quest’anno perda pezzi rapidamente. Che cosa accadrebbe se, da una crisi all’altra, Trump fosse costretto sulla difensiva o addirittura avviato verso l’impeachment? Il caos generato in queste poche settimane diventerebbe difficilmente governabile. Avviare contemporaneamente un cambio di regime interno e un cambio di regime internazionale è operazione finora mai vista, ad altissimo rischio. In ogni caso destinata a produrre enormi effetti, sia nel caso riuscisse, ancor più se dovesse fallire. Ciò riguarda in maniera molto diretta i cosiddetti «alleati europei», che si stanno faticosamente riprendendo da una sorpresa in fondo non così sorprendente.

La bomba Trump è esplosa nel mezzo dell’Atlantico sollevando onde di tempesta sulla sponda europea e molte preoccupazioni su quella americana. Soprattutto, ha messo in rilievo l’obsolescenza dell’organizzazione militare (Nato) ed economica (Ue) dell’impero europeo dell’America. Considerato insostenibile, nelle forme attuali, da Trump e associati. Si susseguono le riunioni dei cosiddetti «volenterosi», squadra «europea» che cambia continuamente formazione e che nell’ultimo vertice di Parigi è arrivata a includere oltre agli ormai soliti canadesi, norvegesi e turchi anche l’Australia. Insieme, ha messo in evidenza la crisi interna all’Anglosfera. I famosi Five Eyes, massimo sistema spionistico al mondo – formato da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda – si dividono su sponde opposte. Al vertice l’America di Trump che minaccia di annettersi il Canada e abbandona a sé stessa Londra, che insieme all’Australia, in attesa magari della Nuova Zelanda, si scopre un’anima incredibilmente europea. Chi sembra avvantaggiato dal ciclone Trump, oltre alla Russia, è la Cina. Sarebbe però sbagliato credere che Xi Jinping osservi solo con soddisfazione lo spettacolo che gli si spalanca davanti. Un eccesso di confusione in campo occidentale potrebbe impedire di sedare davvero la guerra in Ucraina e scatenare reazioni a catena difficilmente governabili, potenzialmente estese a tutto il mondo, Indo-Pacifico compreso. Di sicuro, il leader di Pechino inclina a immaginare che il sospetto andreottiano di un complotto interno alla potenza americana abbia qualche fondamento. La Cina è in competizione con gli Usa, ma l’ultima cosa che vorrebbe è la disintegrazione del nemico. Perché a quel punto un esito bellico della competizione sarebbe quasi inevitabile.

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CULTURA

Dialoghi affilati e tanto umorismo Boston Marriage riporta in scena due donne affermate, e temi importanti quali libertà e autodeterminazione

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Negli studi di Radio Gwendalyn

La radio alternativa, fondata nel 2005 da Alan Alpenfelt, continua a essere un luogo di incontro, sperimentazione e libertà

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Un detective sonnambulo ad Ascona L’ultimo romanzo di Vanni Santoni sarà presto ospite degli attesi Eventi letterari del Monte Verità

Pagine 22-23

Leonor Fini: ribelle, visionaria e anticonformista

Mostre ◆ A lei Milano dedica un’importante retrospettiva per scoprire l’attualità della sua arte

Una vita decisamente intensa e fuori dagli schemi, quella di Leonor Fini: donna e artista eccentrica, controcorrente, indipendente e ammaliatrice. Leggendo la sua biografia si rimane impressionati dalle esperienze che ha vissuto, dai viaggi che ha intrapreso e soprattutto dalle numerosissime amicizie e dai tanti legami amorosi che ha saputo stringere grazie alla sua intrigante personalità.

Max Ernst l’ha definita la «furia italiana», di «scandalosa eleganza, capriccio e passione». In pochi, difatti, sono riusciti a resistere al fascino innegabile, reso ancor più seducente da un temperamento turbolento, di questa femme fatale italo-argentina che è stata non solo pittrice, ma anche scenografa, costumista, scrittrice, designer e illustratrice, una delle prime donne a rompere la gerarchia tra le diverse arti.

Fin dalla tenera età Leonor Fini è stata protagonista di vicende peculiari che hanno inesorabilmente segnato la sua esistenza: contesa dai genitori separati, il padre, argentino, tenta più volte di rapirla, mentre la madre, triestina di origini tedesche (con cui l’artista ha sempre avuto un rapporto quasi morboso), cerca di nasconderla ricorrendo a continui travestimenti.

L’ambiente in cui la piccola «Lolò» cresce è quello colto e borghese della Trieste degli anni Venti del Novecento, frequentato da Umberto Saba, James Joyce e Italo Svevo. Poi c’è l’approdo a Milano, dove Fini incontra Achille Funi, di cui diventa la compagna, Carlo Carrà, Mario Sironi e Giorgio de Chirico. Nel 1931 è nella frizzante Parigi: qui, tra feste e ricevimenti, viene presentata dal fotografo Henri Cartier-Bresson al drammaturgo francese André Pieyre de Mandiargues, a cui si lega sentimentalmente, e conosce Max Ernst, che la introduce nell’ambiente della pittura e della letteratura surrealista facendola entrare in contatto con André Breton, Salvador Dalí e Paul Éluard.

Proprio con Max Ernst l’artista si reca a New York nel 1936 inanellando nuove amicizie ed esperienze lavorative. Attraverso Christian Dior frequenta Elsa Schiaparelli per la quale crea l’iconico flacone a forma di busto femminile per il profumo Shocking, ispirato alla silhouette dell’attrice Mae West. A Montecarlo, nel 1942, durante una prima teatrale, incontra il console Stanislao Lepri che si innamora perdutamente di lei tanto da abbandonare la politica e dedicarsi all’arte. Quando poi, nel 1952, Fini conosce il letterato polacco Konstanty Jeleński, inizia con lui e con Lepri una lunga convivenza a tre che sciocca i moralisti e sfida le consuetudini sociali.

Anche a Roma, dove si aggiudica

il ruolo di ritrattista ufficiale del bel mondo capitolino, l’artista lascia il segno con la sua verve anticonvenzionale. Nella Città Eterna lavora per il teatro e per il cinema e frequenta Luchino Visconti, Federico Fellini, Elsa Morante (che di lei dice: «Unisce in sé due grazie: l’infanzia e la maestà»), Alberto Moravia e Fabrizio Clerici. Dipinge Alida Valli a seno scoperto e nelle dimore che affitta per trascorrere le estati, tra cui un’antica torre sul lungomare di Anzio, non manca di radunare i suoi tanti amici, a cominciare da Brigitte Bardot.

In ogni città in cui soggiorna, Fini è protagonista della scena mondana partecipando a feste in cui si presenta sempre mascherata con esuberanti abiti ideati da lei stessa, chissà se come ripercussione del trauma vissuto da piccola o se per il semplice gusto della provocazione. Memorabile, a Venezia, il ballo organizzato dall’eccentrico multimilionario Carlos de Beistegui, in cui l’artista sfoggia un’incredibile mise da angelo nero.

Come la sua vita anche la sua arte rispecchia un’indole vulcanica e sfaccettata, uno spirito camaleontico e disinvolto, aperto alla sperimentazione e alla più totale libertà espressiva.

Che le opere di Fini vengano ricondotte al Surrealismo è sicuramente corretto, poiché da esso l’artista si è lasciata suggestionare molto, non solo grazie alla conoscenza diretta delle figure più importanti che hanno militato in questo movimento, ma anche alla lettura dei testi di Freud, che l’hanno spinta a esplorare la dimensione dell’inconscio, dell’irrazionalità e del sogno. Fini non si accontenta però di raccogliere stimoli solo dall’esperienza surrealista (motivo per cui non vi ha mai aderito ufficialmente) e sviluppa la propria indagine in più direzioni, sorretta sempre dalla particolarità della sua visione e dall’indipendenza dalle principali tendenze artistiche dell’epoca.

A rendere distintivo il suo linguaggio è la rivisitazione dei caratteri propri del Surrealismo in chiave classicista, frutto di una formazione tutta italiana e dello studio del Rinascimento. Le citazioni stilistiche di maestri del Quattrocento e del Cinquecento (Piero della Francesca, Tiziano e Michelangelo, solo per indicarne alcuni) si accompagnano a una perizia esecutiva affine alla pittura fiamminga del XV secolo e al Manierismo che dà vita a composizioni dalla grande vivacità plastica e coloristica.

La città di Milano, dopo quasi un secolo dalla prima mostra personale d’esordio che l’artista aveva tenuto nel capoluogo meneghino alla Galleria Barbaroux, dedica a Leonor Fini un’ampia retrospettiva nelle sale di Palazzo Reale che ripercorre le tappe

principali del suo poliedrico percorso (attraverso dipinti, disegni, tante fotografie, splendidi costumi e libri), mettendo in evidenza il valore della sua ricerca, non ancora debitamente riconosciuto, e l’originalità degli esiti raggiunti.

Sebbene ancora oggi non sia così nota al grande pubblico come dovrebbe, Fini ha attraversato da protagonista la scena culturale europea dagli anni Trenta del Novecento fino alla fine del secolo (muore a Parigi nel 1996) e con le sue opere ha affrontato, con largo anticipo, molte tematiche sociali di grande attualità, prime fra tutte quelle legate all’identità di genere e alle tipologie di famiglia non tradizionali.

Come emerge dal nutrito nucleo di dipinti esposto in mostra (in cui, va detto, si trova talvolta qualche tela che non è all’altezza delle altre e che tradisce una certa discontinuità stilistica), l’universo pittorico dell’arti-

sta è popolato da figure enigmatiche collocate in ambientazioni oniriche e tocca temi quali la sessualità, la morte, il macabro, le pratiche rituali e la metamorfosi: ne sono un esempio Le Bout du Monde del 1948, La Cérémonie del 1960 e Rasch, Rasch, Rasch, meine Puppen Warten! del 1975. Al centro dell’immaginario ermetico e fortemente simbolico di Fini c’è sempre la donna, ora moderna sfinge, ora dea o sacerdotessa, ora creatura sospesa tra sembianze umane e feline («Io sono la figlia di una donna e di un gatto», diceva l’artista, che era solita uscire indossando una maschera da felino e che nella sua abitazione parigina era circondata da decine di gatti). Attorno a questi personaggi femminili potenti ci sono esseri ambigui e inquietanti, avvolti in atmosfere misteriose e voluttuose. Emblematica è l’opera Femme assise sur un homme nu , datata 1942, in cui una donna dalla posa fiera e accatti-

vante è seduta su un uomo nudo addormentato: è il manifesto di un’artista irrequieta e orgogliosamente autonoma, capace di stravolgere, nella pittura così come nella vita reale, le convenzioni sociali e le regole del perbenismo.

Tutta l’esistenza di Leonor Fini, in fondo, è stata una grande performance in cui l’artista ha fatto di sé stessa uno strumento per veicolare idee affrancate da schemi precostituiti e guidate solo dalla libertà di esprimere pienamente la propria identità. «Sono una pittrice», diceva Fini, «Quando mi chiedono come faccia, rispondo: “Io sono”».

Dove e quando Io sono Leonor

Palazzo

Fino al 22 giugno

Orari: ma-me-ve-sa e do 10.00-19.30; gio 10.00-22.30. www.palazzorealemilano.it

Fini.
Reale, Milano.
2025.
Leonor Fini Autoportrait au chapeau rouge, 1968, Olio su tela, 84 x 61 cm.
(Archivio fotografico del Museo RevoltellaGalleria d'Arte Moderna, Trieste © Leonor Fini Estate, Paris)
Alessia Brughera

Intelligenza, ironia e indipendenza sul palco

Spettacoli ◆ Torna in scena la brillante commedia di sapore ottocentesco Boston Marriage: al Kursaal di Locarno il 1. e il 2 aprile e al Cinema Teatro di Chiasso il 6 aprile

Il teatro è, per chi scrive, uno spazio di interrogazione della realtà e del vivere comune; tuttavia, non sempre deve sentirsi costretto a riflettere sulle questioni più alte. Ci può essere, insomma, un’apertura alla leggerezza, al gusto per la battuta sagace, per l’interpretazione e la maestria; a patto che, ovviamente, il contesto rimanga qualitativamente alto e non privo di intelligenza. Proprio per questo ha convinto due anni fa Boston Marriage, la brillante commedia scritta da David Mamet che al LAC avevamo apprezzato con la regia di Giorgio Sangati e la carismatica presenza scenica di Maria Paiato. Chi se lo fosse perso ora può recuperare, perché lo spettacolo torna a calcare le scene ticinesi, e più precisamente è in cartellone al Teatro di Locarno domani e dopodomani, 1. e 2 aprile, e al Cinema Teatro di Chiasso domenica 6 aprile.

La messinscena apparentemente convenzionale svela in verità temi contemporanei attraverso dialoghi sagaci e interpretazioni magnetiche

Inizialmente il testo sembra richiamare atmosfere classiche, anche per la scenografia piuttosto tradizionale e borghese: un divano rosso, signore benvestite e pettinate le quali alludono con una certa insistenza al loro status privilegiato, una cameriera indaffarata, le tazze, le porcellane, il ciondolare in vestaglie raffinate, i dettagli. E, accanto a questi elementi, il gusto per la teatralità, per i gesti ampi ed eleganti, rotondi, per il linguaggio forbito e al contempo tagliente. Tutto lascerebbe supporre che Boston Marriage, insomma, si risolva in una mes-

sinscena convenzionale. Eppure, lo spettacolo riserva ben altre sorprese: a grattar la superficie, infatti, il messaggio che appare sottotraccia scardina i ruoli e diventa più contemporaneo di quanto ci saremmo aspettati all’inizio, e porta in scena tematiche attualissime; addirittura femministe. Ambientata alla fine dell’Ottocento, la storia inizia con due amiche, Anna e Claire, che conversano nel salotto della prima e che discutono di frivolezze, amanti, soldi, lusso, non risparmiando commenti sprezzanti e apertamente classisti alla loro cameriera, decisamente vessata dalla padrona di casa. Tuttavia, il testo si emancipa subito dalla cornice convenzionale: il titolo Boston Marriage, come sottolinea

il testo di presentazione dello spettacolo, fa riferimento a una convivenza tra donne indipendenti, comune nel New England tra il XIX e il XX secolo. E proprio questo concetto di indipendenza appare man mano centrale nella narrazione, dove le protagoniste sfidano le aspettative della società tradizionale e impongono un modo loro, privo di orpelli o sdilinquimenti, di vivere l’amore e l’erotismo, con libertà e autodeterminazione.

Maria Paiato e Mariangela Granelli incarnano con grande maestria due donne dallo spirito brillante e acuto: la più matura, interpretata da Paiato, vive negli agi grazie ai doni di un misterioso amante facoltoso da lei circuito, ma il suo cuore è diretto

all’amica, un tempo sua amante, che vorrebbe riconquistare. Quest’ultima però le confessa di essere innamorata di una più giovane donna e chiede aiuto proprio a lei per organizzare un incontro clandestino, lontano dagli occhi severi della madre della ragazza. La vicenda si complica quando la giovane amante, pur senza mai apparire in scena, riconosce in una collana indossata dalla padrona di casa un gioiello appartenente alla stessa madre.

La padrona assoluta della scena è senza dubbio lei, una strepitosa, magnetica Maria Paiato, che riesce a caricare ogni battuta del già arguto David Mamet, l’autore dello spettacolo che è di per sé una garanzia, di sostan-

za viva (non è questo forse il segreto della recitazione più piena?). Anna, da lei interpretata, è una donna egocentrica ed egoriferita, un personaggio che non passa inosservato, amante della teatralità. Le riflessioni sulla vita e sulle sue insensatezze, nelle sue mani, si trasformano in momenti esilaranti, senza mai scivolare nella macchietta; anzi, alla fine, se scuotiamo il meccanismo, ciò che rimane sono briciole di amarezza.

Il linguaggio di Anna è un cardine importantissimo e centrale in questo testo e risulta composto da altezze e parole forbite, impreziosito dal gusto per l’eleganza e la ricercatezza; per questo, quando arrivano, la trivialità e le bassezze creano spiazzanti momenti di sorpresa. In questo equilibrio verbale, Paiato si muove con eleganza impeccabile, offrendo un’interpretazione mirabile, ricca, sfaccettata, sempre-cangiante; l’attrice cattura e ci riporta indietro, a un vecchio modo di fare teatro che forse qualche volta manca. Si ride tanto. È uno spettacolo insomma godibilissimo, una commedia di qualità eccellente, che non aspira ovviamente a riflessioni sui massimi sistemi, ma che sa intrattenere, cosa forse ancora più difficile, con intelligenza e ironia e che fa ritrovare il gusto per la recitazione piena, i tempi perfetti, la presenza scenica ammaliante. Un appuntamento imperdibile, per chi a teatro cerca ogni tanto anche un po’ di leggerezza.

Dove e quando Boston Marriage, a Locarno, Teatro Kursaal, 1-2 aprile 2025, www.teatrodilocarno.ch; e a Chiasso, Cinema Teatro, 6 aprile 2025. www.centroculturalechiasso.ch

«Il brano preferito? Quello che sto suonando»

Musica ◆ Beethoven, Čajkovskij  e Šostakovič al LAC il 10 aprile con l’OSI diretta da Poschner e la pianista Yulianna Avdeeva

Enrico Parola

Come tanti suoi colleghi, per Yulianna Avdeeva «il compositore e il brano preferito sono quelli che sto suonando: altrimenti sarebbe impossibile stabilire una connessione intima e appassionata con quelle note». È il motivo per cui alla classica domanda su quali siano i suoi autori prediletti la risposta è più che ecumenica: «Bach, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Liszt, Rachmaninov, Mahler, Prokof’ev, Šostakovič, Bartok…» E ovviamente Čajkovskij:

Concorso

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto dell’OSI diretto da Markus Poschner con la pianista Yulanna Avdeeva che avrà luogo giovedì 10 aprile 2025 (20.30, Sala Teatro LAC). Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Avdeeva» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 6 aprile alle 24.00. Buona fortuna!

martedì prossimo a Monaco di Baviera e due giorni dopo al Lac, Markus Poschner e l’Orchestra della Svizzera Italiana l’accompagneranno nel suo primo Concerto. «Come non annoverarlo? Furono di Čajkovskij le prime note che suonai in pubblico, a sei anni: due brani tratti dall’Album per la gioventù. Studiavo da una decina di mesi, i miei genitori non sono musicisti, ma grandi appassionati di musica sì; ascoltavo i loro dischi e con un dito solo cercavo di riprodurre le melodie sul pianoforte verticale di casa; mi portarono alla Gnessin (la scuola per talenti di Mosca, ndr.), dove studiai per tredici anni, prima di trasferirmi a Zurigo per perfezionarmi con Konstantin Sherbakov».

Di quel precoce debutto ricorda ancora le emozioni: «I miei mi ripetevano di non sentirmi in soggezione per le luci e la gente in sala, di concentrarmi sulla musica; invece io trovavo esaltante proprio quell’atmosfera, mi piaceva l’idea di condividere il piacere della musica con tanta gente. Fu lì che decisi di tentare la strada della concertista». Anche oggi, sulla soglia dei quarant’anni (li compirà a luglio), sen-

te in fondo a sé la stessa emozione di quando ne aveva sei: «La paragono all’eccitazione dei bambini alla vigilia di Natale: da piccoli si attende l’arrivo dei regali, ci si prepara senza sapere bene che cosa si troverà nei pacchetti; allo stesso modo si studia un programma e non si vede l’ora di salire sul palco, ma non si può mai prevedere con certezza il risultato: la reazione del pubblico, l’atmosfera della sala,

il tipo di pianoforte, il proprio umore del momento… Sull’esecuzione incidono tanti fattori, in buona parte incalcolabili».

Se in Germania Poschner dirigerà la Quinta di Beethoven, al Lac sui leggii dell’Osi ci sarà la Nona sinfonia di Šostakovič, un autore con cui Avdeeva condivide una tappa della carriera: «Lui partecipò alla prima edizione del Concorso Chopin di Varsavia, nel 1927, e soprattutto da giovane suonava spessissimo Chopin». L’autore, e il concorso, che hanno consacrato la pianista russa: nel 2010 ha vinto l’edizione che celebrava il bicentenario dalla nascita del Polacco, quarta donna nella storia, dopo il duo Czerny-Stefanska e Bella Davidovic nel 1949 e a 45 anni da Martha Argerich, trionfatrice nel 1965. «Mi ritrovai Davidovic e Argerich in giuria: fu una fortuna poter parlare con loro durante il concorso. Era il bicentenario, c’era un’atmosfera di festa in città; tutti i concorrenti suonano solo Chopin, per trovare la mia chiave interpretativa studiai anche la storia, gli scrittori, i pittori (in particolare Delacroix) e i semplici amici che circondavano il Polacco e in qualche modo ebbero qualche influenza su di lui». Come Chopin, anche Adveeva adora giocare a scacchi: «Cosa non rara tra musicisti; ho visitato il museo Prokof’ev a Mosca, che è la casa dove visse tra il 1948 e il 1953; ci sono ancora la sua scacchiera e una lettera in cui invita a giocare il grande violinista Oistrakh. Era bravo, riuscì a battere l’ex campione del mondo Capablanca!»

Yulianna Avdeeva si esibirà al LAC giovedì 10 aprile.
Da sinistra, in scena con Boston Marriage: Maria Paiato, Ludovica D’Auria, Mariangela Granelli

In diretta dalla Repubblica delle Palme

Radiofonia ◆ La realtà di Radio Gwen(dalyn), un luogo dove si dà voce anche alla cultura «altra»

C’è un po’ di tensione in via alla Campagna, al secondo piano di una vecchia casa di Molino Nuovo, una di quelle sfuggite alla speculazione edilizia e dove si respira ancora l’aria di una Lugano d’altri tempi. È proprio da questa cucina, con le pareti colorate e il pavimento di cementine esagonali tipiche dell’edilizia popolare del secolo scorso, che Radio Gwendalyn trasmette questa sera, ospite dell’associazione culturale Ahora Es Cuando. Mancano pochi minuti alla messa in onda e Daniela, una delle tre conduttrici, non si trova. È scesa a telefonare agli ospiti per spiegare loro come raggiungere lo studio, ma c’è ancora da rivedere la scaletta e definire la playlist musicale.

Sta per iniziare la sesta puntata de La Repubblica delle Palme, una delle novità del palinsesto primaverile di Gwen (chiamata affettuosamente così dalle persone che l’ascoltano). Armando collega gli ultimi cavi dei microfoni al mixer, pronto a inviare il segnale al server che lo manderà in onda. Marco è ancora immerso nel montaggio di un’intervista registrata in esterna questa mattina, mentre nella stanza accanto si sta per concludere una lezione di pianoforte.

L’orologio segna le 18.00 e, come per magia, tutto si sistema. Io mi siedo su un vecchio divano e mi godo la diretta che parte in perfetto orario. La nuova trasmissione si propone di raccontare «questo bizzarro Cantone, tra leggerezza e serietà, per esplorare storie inusuali e tematiche più grandi di noi», come spiega Daniela nell’introduzione. Gli ospiti della puntata sono Peruz e Gabriel, due giovani luganesi che, lo scorso settembre, hanno intrapreso un viaggio in bicicletta da Breganzona fino alla Turchia. Il pretesto? Mangiare un kebab a destinazione. Un’idea quasi dadaista, almeno in apparenza. Bastano però poche parole per capire che il kebab è solo una scusa: il vero motore del viaggio è la voglia di esplorare, incontrare nuove persone

e scoprire il mondo con gli occhi curiosi di chi parte senza troppe certezze. Durante uno stacco musicale, Cristian mi racconta che questa trasmissione è pensata anche come una palestra per nuovi volontari: «Un modo per imparare sul campo i meccanismi radiofonici e far nascere nuove trasmissioni». Marco aggiunge: «Siamo una radio comunitaria, vogliamo offrire una piattaforma di espressione al maggior numero possibile di persone», nei programmi infatti si presta una particolare attenzione ai gruppi marginalizzati e alle minoranze. «Vogliamo costruire una comunità attorno alla radio, basata su ideali comuni e con una visione sociale», conclude con convinzione.

Radio Gwen è la prima radio comunitaria della Svizzera italiana ad aver ottenuto dall’Ufficio Federale delle Comunicazioni lo status di radio complementare senza scopo di lucro. Essere una radio complementare significa colmare i vuoti lasciati dalle emittenti commerciali e pubbliche, svolgendo un ruolo di servizio per il territorio. La concessione, valida per dieci anni, garantisce un finanziamento annuale, ottenuto rispondendo ai requisiti di un bando pubblicato nel 2022. Anche questo progetto è quindi uno dei tanti spazi informativi resi possibili grazie ai fondi raccolti tramite il canone radiotelevisivo. Accanto a questo importante finanziamento, la radio è sostenuta anche da diversi enti e fondazioni, tramite il merchandising e attività di supporto tecnico a vari eventi.

Radio Gwen nasce nel 2005 da un’idea di Alan Alpenfelt e Stefano Palermo. I suoi primi passi li ha mossi in un garage dietro al Murrayfield Pub di Chiasso, per poi trasferirsi allo Spazio Lampo, sempre nella cittadina di confine, dove ha ancora il suo studio principale. D’anima nomade, trasmette anche da numerose sedi provvisorie, seguendo festival e iniziative temporanee. Tra queste, i tre mesi intensi di programmazione dalla yurta mon-

La fabbrica di carta

tata fuori dalla Straordinaria, nello sterrato della Gerra a Lugano. Oggi la radio sta crescendo e cerca di organizzarsi in modo più strutturato. Accanto alle decine di volontari che preparano le trasmissioni, ora è possibile stipendiare un gruppo di coordinatori, responsabili della gestione e degli aspetti fondamentali del progetto. Ma cosa distingue Radio Gwen dalle altre emittenti? Cris è chiaro: «Abbiamo una grande possibilità di sperimentare, e anche di sbagliare. Questo ci dà una libertà enorme». «Non abbiamo pressioni politiche o commerciali», aggiunge Marco «il nostro stile è forse meno professionale, ma più autentico: nelle nostre trasmissioni mettiamo molto di noi».

Scorrendo le pagine e i file audio sul sito di Radio Gwen, si percepisce subito la ricchezza e la complessità della sua offerta. La radio è un vero e proprio crocevia di realtà, associazioni e progetti radicati sul territorio. Citarli tutti sarebbe impossibile, ma alcuni spiccano immediatamente. C’è Radio Casvegno, un’iniziativa

di comunicazione radiofonica realizzata in collaborazione con l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale di Mendrisio. Ogni settimana, le puntate vengono registrate all’interno del parco di Casvegno, con l’obiettivo di dare voce agli abitanti del quartiere e coinvolgerli attivamente nella realizzazione delle trasmissioni. Oppure Nettune, il network di radiofonia studentesca del Canton Ticino, che riunisce giovani appassionati di radio provenienti da diversi licei del Cantone. Non manca lo spazio per la sperimentazione sonora, come nel caso di Canale Milva, una mostra sonora che utilizza il suono come strumento di produzione artistica. Il progetto raccoglie una serie di rubriche, ognuna dedicata a una canzone o a una cantante, con una particolare predilezione per le dive della musica italiana. Ma Radio Gwen non è solo talk e sperimentazione: la musica ha un ruolo centrale, con una particolare attenzione alla scena elvetica. Quasi un quarto dei brani trasmessi sono di produzione svizzera e si vorrebbe aumentare an-

Pubblicazioni ◆ Nelle portentose edizioni Henry Beyle di Milano, il pensiero di Georges Simenon sul romanzo e sulla scrittura del «peso della vita»

Stefano Vassere

I libri della casa editrice Henry Beyle di Milano non si leggono subito. Bisogna prima capire come aprirli senza profanarne i miracoli della fabbricazione. Capita di esitare di fronte alle pagine intonse e di cercare di leggere scostandole via via, guardandole in prospettiva laterale per accedere per quel sentiero al testo vero e proprio.

Una grafica così preziosa da indurre a chiedersi se sia il caso di «profanare» un libro tanto perfetto attraverso la lettura

Prendiamo questo Il romanziere di Georges Simenon; è uscito contemporaneamente in due vestiti diversi: uno è stampato in 500 copie su carta Kingdom Laid Cordenons, con la sovraccopertina in carte Bugra Hahnemühle, Mi-Teintes Canson, Wibalin Stria, Zerkall-Bütten, Tela –Giappone. L’altro, più pregiato, tirato

in 100 copie, con la sovraccopertina in carta Bugra Hahnemühle. Quale amante del libro tipografico se la sentirebbe di maneggiare tutto questo Bugra Hahnemühle come un normale volumetto?

Ora, se per vostra fortuna riuscite a dare seguito alla tentazione di penetrare tutto questo sfarzo di grafica, carta e materiali e accedete al testo, troverete una conferenza che Simenon tenne a New York nel novembre del 1945 dedicandola alla sua attività di scrittura. Un exposé che si apre con la dichiarazione di una sorta di blocco del conferenziere, della difficoltà (non dell’incapacità, le pagine successive lo dimostreranno) di spiegare come funziona la fabbrica del romanzo, differenziandosi da altri artigiani, come un muratore che costruisce il suo muro senza tante storie e senza interrogarsi sulla sua arte. E scegliendo di parlare della fucina di un tipo particolare di romanzo, il suo. O meglio del faticoso apprendi-

stato del mestiere di romanziere, con tanto di tappe e conquiste successive. Del pudore iniziale per una scelta della quale era forse meglio non par-

lare troppo in giro, dell’opzione esitante tra il giornalismo e la letteratura, dell’ambientazione della scrittura (di sicuro Parigi, meglio se a Montmartre), della ricerca del modo più semplice e meno obliquo di raccontare una storia, della nota propensione a sfornare pagine e volumi con cadenza industriale: «lavorando otto ore posso sfornare ottanta pagine al giorno. Significa tre giorni per un romanzo d’avventure da duecentocinquanta pagine a millecinquecento franchi, sei giorni per un romanzo d’amore da cinquecento pagine a tremila franchi».

L’approdo di tutta questa sofferta produzione simenoniana è quello che tutti conosciamo: il superamento del genere e la conquista della qualifica di romanziere tout court, che guadagna al nostro autore la capacità di parlare senza esitazioni del «peso della vita» senza smettere gli strumenti nel frattempo acquisiti: conoscere l’età dei suoi protagonisti, il loro nu-

cora questa percentuale. «Cerchiamo di dare spazio alle etichette indipendenti, non solo alle produzioni delle major», precisa Daniela. Vale quindi la pena di sintonizzarsi a qualsiasi ora, tramite lo streaming dal sito ufficiale www.radiogwen.ch o in DAB, per immergersi in questo magnifico jukebox e scoprire artisti e band ancora poco conosciuti. Tutte le trasmissioni vengono poi messe a disposizione sotto forma di podcast e restano quindi sempre fruibili. «Anche mio padre, che ha ottantun anni, si complimenta per la bella musica che trasmettiamo», racconta Marco con un sorriso. Sono le 19.13 quando, dopo l’agenda culturale, la trasmissione giunge ai saluti. Ma il palinsesto di Radio Gwen è abbastanza flessibile da accogliere senza problemi questi piccoli sforamenti. Mentre si spengono i microfoni e si smonta lo studio, già si inizia a pensare alla puntata di giovedì prossimo. Nonostante le sfide che l’attendono, Radio Gwen continua a essere un luogo di incontro, sperimentazione e libertà.

mero di telefono, procurarsi le piante della città dove è ambientata la vicenda, pulire la macchina per scrivere fin negli ingranaggi più minuti, prima di mettersi a lavorare.

Il libro sui libri e sul modo di produrli, su vizi e ossessioni che accompagnano questo mondo, è l’approdo continuo e regolare della casa benemerita che ha pubblicato questa opera. Resta il sale di quell’esitazione iniziale, quella pratica che si vorrebbe affrontare con i guanti, quella momentanea infrazione peccaminosa e temeraria. Rituale previsto per i fortunati acquirenti di Henry Beyle ma anche piccolo cruccio del lettore, in sospensione, in fatale indecisione, tra piacere della lettura e culto del libro fatto bene. Un occhiu a Cristu e l’autru a San Giuvanni Battista

Bibliografia

Georges Simenon, Il romanziere, a cura di Matteo Codignola, Milano, Henry Beyle, 2024.

Henry Beyle ha pubblicato due diverse versioni del libro di Georges Simenon.
Il team di Radio Gwen impegnato ne La Repubblica delle Palme
GEORGES SIMENON
IL ROMANZIERE
A cura di Matteo Codignola
EDIZIONI HENRY BEYLE

La psicogeografia come forma d’arte

Letteratura ◆ Nel nuovo romanzo Il detective sonnambulo, Vanni Santoni fa vagabondare i suoi personaggi tra luoghi e visioni, offrendo uno

Si intitola Il detective sonnambulo il nuovo libro di Vanni Santoni, scrittore ed editor italiano, che sarà ospite degli Eventi letterari Monte Verità, sabato 12 aprile con la moderazione di Giuliana Altamura. In libreria dall’8 aprile, (ma già preordinabile), è un romanzo che esplora la tensione tra aspirazioni utopiche e realtà, nella creazione di una comunità intellettuale, dando vita a una narrazione ricca di riferimenti storici, artistici, filosofici («anzi mistici»), tecnologici, informatici, politici, e provenienti dalla cultura Pop, con ampi rimandi al mondo dei manga, dei videogiochi e del cinema, che insieme tracciano un parallelo tra i grandi movimenti del passato e le sfide contemporanee. Santoni ha già dato prova del suo forte interesse per le tradizioni esoteriche e mistiche, oltre che per la simbologia junghiana, elementi che permeano anche la sua ultima opera, rendendola perfettamente in linea con il tema degli eventi di quest’anno, Psicogeografie, organizzati per i 150 anni dalla nascita di Carl Jung.

Una trappola labirintica

«…mi aggiravo ombroso e fuori fuoco tra quei banchi, tra […] cineserie, pipe di gesso, bambolotti, abatjour e bronzetti, resti d’interno di una Parigi che non c’era più; mi dicevano, almeno, che non era esistita solo nella mia immaginazione alimentata dai libri e da troppi, davvero troppi film, e intanto ponderavo la sciocchezza che avevo fatto a trasferirmi lì, a quanto provinciale fosse stato pensare che la cosa logica, per qualcuno che voleva realizzare qualcosa, e neanche sapevo cosa, fosse trasferirsi a Parigi, come se fossimo ancora negli anni Trenta o a fine Ottocento…»

Nel romanzo di Santoni, la ricerca della bellezza, del significato e dell’arte sembra trasformarsi in una trappola in cui i protagonisti si perdono, prima a Parigi poi a Berlino, come in un sogno lucido che alla fine non riescono più a controllare, e che porta il lettore a interrogarsi su come possa un luogo carico di significato e potenzialità trasformarsi in un labirinto di illusioni: «Per effetto del tempo – spiega l’autore –, è la risposta numero uno. Ma non è solo questo. C’entrano anche i soldi e come influenzano lo spazio urbano in epoca di tardo capitalismo». Modernità, gentrificazione e cambiamenti sociali potrebbero dunque aver eroso la capacità di certi luoghi di essere fucine di innovazione e ispirazione: «Il fatto che nessun aspirante artista – essendo l’aspirante artista per definizione squattrinato – possa oggi permettersi di trasferirsi a Parigi o a Londra, come non può da tempo trasferirsi a New York, e come a breve non potrà trasferirsi nemmeno a Berlino, per via dell’impennata senza controllo dei prezzi degli affitti è un problema significativo, perché le individualità atomizzate hanno meno possibilità di creare movimenti artistici, e dunque arte»… cosa che accadeva invece in passato, e lo dice bene il protagonista Martino: «Guardavo la scrivania di Breton e pensavo, facile la vita se arrivi a Parigi e ti ritrovi in ghenga coi surrealisti…».

Monte Verità e psicogeografia

Nei primi del Novecento, una fiorente attività intellettuale e artistica nacque anche al Monte Verità, che si dice fosse intriso di una certa energia: «Lo conoscevo solo di fama – racconta l’autore – ma recentemente ne ero rimasto assai impressionato in seguito a una mostra a esso dedicato al Museo del Novecento di Firenze. Essendo da sempre interessato al tema delle comunità spirituali e artistiche, te-

ma centrale del mio romanzo La verità su tutto (ndr. Mondadori, 2022), ho sentito un’immediata affinità con tale luogo». Torniamo dunque al tema degli Eventi letterari del Monte Verità di quest’anno: la psicogeografia suggerisce che i luoghi influenzino il nostro stato d’animo e i nostri comportamenti e che, di conseguenza, l’esplorazione di spazi urbani, suburbani o naturali possa ancora oggi arricchire la creatività di un artista: «Per me è fondamentale. Il detective sonnambulo,

come credo ben testimoni la copertina che abbiamo scelto, nasce proprio dalle mie esplorazioni – spiega l’autore –, solitarie e rigorosamente a piedi (di Parigi e delle altre tre città, Berlino, Davos e Venezia) attraverso le quali si articola il romanzo».

Nel nome, l’identità

Non solo paesaggi reali, però: il surrealismo ha spesso trattato Parigi come un paesaggio onirico, di esplorazione

La trama ◆ Perdersi a Parigi, sulle tracce di Johanna

Martino è un aspirante sceneggiatore italiano che finisce per perdersi nei labirinti delle città, e in una spirale che mescola arte, desiderio e smarrimento. In un mercato di Parigi incontra Johanna, una donna enigmatica, dai capelli rossi; misteriosa, inafferrabile, imprevedibile e talvolta contraddittoria, diventa l’oggetto della sua ossessione. Ogni passo di Martino lo spinge verso di lei, solo per vederla svanire ogni volta che sembra più vicina. Man mano che l’investigazione si intensifica, la donna si moltiplica, cambiando nome e identità, evocando tracce che rimandano a figure di altre storie e leggende, in un’escalation che pare non avere fine: l’indagine conduce poi Martino in una rete di attivisti e intellettuali, tra cui Manfredi, un milionario che ha costruito la sua fortuna grazie alle criptovalute, e oggi finanzia le iniziative artistiche della rossa La ricerca spinge il narratore prima a Davos, poi in Cile, dove finalmente ritrova una Johanna, forse non più la stessa.

A partire da questo punto il romanzo entra nel vivo, spostando la narrazione a Berlino dove prende corpo un’ambizione visionaria, quella di

creare una comunità intellettuale, artistica, un centro di creatività e innovazione, rappresentato simbolicamente dallo Schloss (castello). Non solo un luogo fisico, ma anche una sorta di utopia contemporanea, dove si fondono arte, tecnologia, pensiero filosofico e misticismo, stimolato da viaggi interiori generati dall’uso di psichedelici e vasche di deprivazione sensoria-

le. Molti i riferimenti a luoghi storici e culturali (Atene, la Firenze del Rinascimento, la Vienna di fine Ottocento, Hangzhou, Silicon Valley, la Roma di Augusto, la Baghdad degli Abbassidi e persino il Monte Verità…) che costruiscono un parallelo tra il passato e il desiderio di una nuova comunità che proponga momenti di grande fermento intellettuale, relazionandoli a

psichica. Nel romanzo, l’esplorazione di temi profondi legati all’identità, alla memoria e alla percezione della realtà passa anche attraverso l’espediente letterario legato ai nomi dei protagonisti, che mutano nel corso della narrazione e lasciano al lettore decidere se questo «dispositivo» esprima il concetto di identità fluida, rappresenti forme di archetipi, alluda a livelli diversi di realtà o se sia solo un modo di creare maschere.

Tra i tanti nomi, spicca pure quello di Jöelle Van Dyne, che – Umlaut

movimenti sovversivi e sviluppatori di nuove tecnologie. Ma l’ hybris (eccesso di superbia) è dietro l’angolo. Nel mezzo di questa tensione tra utopia e realtà, il narratore cronista –detective sonnambulo – si percepisce come un ospite casuale spesso «dormiente», sospeso «tra il sogno e la veglia acuta». È un uomo incastrato in una vita a suo dire surreale o assurda. A enfatizzare il suo ruolo passivo è il lasciarsi trascinare dagli eventi e dagli altri personaggi senza mai davvero prendere un’iniziativa.

Come lui, verrebbe da dire, anche il lettore, il quale non potrà rimanere indifferente di fronte a questo romanzo. Innumerevoli, gli spunti di riflessione e le possibili interpretazioni. Va detto infine che l’esperienza di lettura de Il detective sonnambulo si espande giocoforza oltre le pagine, spingendo i lettori più curiosi a esplorare concetti, pensieri e opere varie, come vere e proprie diramazioni del romanzo stesso.

Bibliografia

Vanni Santoni, Il detective sonnambulo, Mondadori, 2025, pp 320.

Un ritaglio dell’immagine di copertina del romanzo Il detective sonnambulo (Vanni Santoni / Mondadori); di fianco in senso orario, l’autore Vanni Santoni; uno scorcio dal Monte Verità (Ma. Ma.); Parigi, rue Oberkampf, più volte percorsa dal protagonista Martino (Jeanne Menjoulet).

d’arte agli Eventi del Monte Verità

uno sguardo sulla forza che essi esercitano sul nostro immaginario

e spazio nel cognome a parte, è anche il nome di Madame Psychosis, protagonista di Infinite Jest di David Foster Wallace: «Diciamo che è un omaggio “mirato”: è certo un omaggio, ma il riferimento non è casuale. Inoltre va letto pensando al fatto che quel nome se lo è scelto Johanna», coprotagonista del romanzo di cui Martino è innamorato: «…una parte di me sperava di far ingelosire Johanna a distanza, non eri forse quella che mi leggeva nel pensiero, Johanna? Fallo, allora, appari qua infuriata come un’erinni».

Genius loci e Anima

A noi più che la personificazione della vendetta, Johanna pare essere da una parte l’incarnazione dell’anima della città di Parigi, del Genius loci («Veniva il dubbio di aver amato uno spettro o un riflesso, l’eggregora di una città che, pure, pareva esistere più nel proprio mito, nell’idea che altri hanno di lei, che nelle sue pietre…») – la personificazione di Parigi oggi potrebbe benissimo incarnare una figura sfuggevole, contraddittoria e volubile, rispecchiando la complessità e i contrasti della città moderna. La Parigi di oggi potrebbe essere una donna mutevole, sempre in bilico tra il suo passato glorioso e il suo desiderio di innovazione, una figura che cambia umore con il passare del tempo, affascinante ma imprevedibile, ora romantica e sognante, ora fredda e distante; una città che ti attrae e ti respinge, ti fa innamorare e ti confonde, come una musa ispiratrice che cambia volto ogni volta che cerchi di capirla meglio; un simbolo della tensione tra autenticità e cambiamento, tra tradizione e modernità, con un cuore che batte in modo irregolare ma sempre pulsante di vita – dall’altra, la donna-Parigi potrebbe essere un archetipo dell’Anima che

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Martino insegue senza riuscire davvero a farla sua, a integrarla… (non più solo un luogo fisico, ma una dimensione psichica che rispecchia le sue paure e le sue ansie creative, in un girovagare nel quale sviluppare almeno una nuova consapevolezza dei luoghi che abita, del suo tempo, e di sé stesso).

Realtà e inconscio

Johanna, anche se intesa come donna-Parigi senza confini, è un’entità viva che sfugge alla comprensione del protagonista sonnambulo. Si potrebbe dire che, come nel surrealismo, ci sia un’interazione tra il mondo onirico del protagonista e lo spazio fisico dei luoghi, dove realtà e inconscio si fondono: «Credo di sì – conferma Vanni Santoni – e anche in un piano ulteriore, quello della visione e della profezia. Ma ho voluto che Il detective sonnambulo restasse anche un libro leggibile come narrazione realistica, e che la chiave interpretativa dipendesse dal tipo di sensibilità del lettore. Spero di esserci riuscito». Indubbiamente, sì: i livelli di lettura sono molteplici e con rimandi anche molto pop, come quelli al mondo dei fumetti, ai manga, ai videogiochi, alle «individualità solo-digitali»: «… come se fosse una realtà di secondo grado», si legge nel romanzo, quasi si trattasse di un ampliamento di questa, più che di un rifugio: «Sicuramente ampliamento e intensificazione della realtà, come nel caso delle arti digitali (o gli strumenti digitali) che si sono semplicemente aggiunte a quelle preesistenti senza per questo cancellarle, come è sempre avvenuto e sempre avverrà», conferma Santoni, aggiungendo che «l’ipotesi escapista – per i fumetti come per altri fenomeni che ho affrontato in libri come Muro di casse o La stanza profonda, dedicati ai rave e ai giochi di ruolo –è sempre una semplificazione, oltremodo superficiale».

Psichedelia

Realtà che porta con sé però anche il mal di vivere, tra problemi sociali e ambientali: «Come liberare il mondo dal male, dalla sofferenza…» si chiede il ricco Manfredi. La posta in gioco è gigantesca: sconvolgere il mondo, per fargli cambiare direzione con l’arte impegnata. Il vero limite sarebbe dato dal fatto che «Abbiamo smesso d’immaginare il futuro, un futuro» […] («Quanto era meglio ai tempi di Galileo, quando si poteva ancora immaginare…»). I surrealisti usavano tecniche come l’automatismo per lasciare che l’inconscio guidasse la loro arte e si immergevano nei sogni per superare i limiti della realtà; i protagonisti del romanzo si immergono invece nelle vasche

Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)

Simona Sala

Barbara Manzoni

Manuela Mazzi

Romina Borla

Ivan Leoni

di deprivazione sensoriale. Più precisamente, quale alternativa all’incapacità di immaginare, il romanzo sembra suggerire la pratica dei «viaggi astrali», utili per estendere il proprio cosmo, grazie alla psichedelia, che il narratore però definisce «[…], nient’altro che volgare espansione della coscienza…»: «Non credo che Martino Suckert abbia un’opinione precisa sui viaggi interiori a cui lo sottopone il coprotagonista Manfredi Contini della Torre – afferma Vanni Santoni – anzi ne è spesso assai perplesso. Dall’altro lato è certo che per Manfredi sono un modo, anzi il modo più efficace e diretto, per potenziare l’immaginazione e la teoresi». Eppure, la narrazione si spinge oltre, quasi a voler sostenere che queste pratiche non forniscano una soluzione ai problemi del mondo: «La psichedelia e la meditazione sono strumenti molto potenti, ma non bi-

Con «Azione» agli Eventi

Gli Eventi Letterari Monte Verità di Ascona quest’anno avranno luogo dal 10 al 13 aprile. Sono molti gli incontri in programma, per partecipare ai quali è richiesta la prenotazione anticipata, possibile attraverso il sito ufficiale: https://eventiletterari.ch. Al fine di permettere a due coppie dei nostri lettori di assicurarsi un posto (gratuito) per seguire la presentazione del Detective sonnambulo, «Azione» mette in palio 2x2 biglietti che

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sogna dimenticare che la loro efficacia risponde anche allo stato del set (condizioni interiori e intenzioni del soggetto) e del setting (condizioni esteriori, luogo e compagnia durante l’esperienza), nonché del framing (momento storico e contesto sociale), concetto che nel pamphlet Dopo il Rinascimento psichedelico (Einaudi 2024) mi sono permesso di affiancare ai due succitati, ideati dai grandi psicologi e psiconauti di Harvard Timothy Leary, Richard Alpert e Frank Metzner».

Sincronicità

Rimanendo in ambito della psicologia analitica, Johanna si fa portavoce anche di altri temi cari a Jung, come la sincronicità, concetto che però lascia interdetto Martino, fino alla fine, e di fatto non sembra essere chia-

rissimo nemmeno al lettore: «Jung parlava di “nessi acausali”, e si noterà che Il detective sonnambulo ne è pieno. Chi vuole approfondirlo può leggere il libro dello stesso Jung intitolato appunto La sincronicità, oppure, se preferisce un approccio più squisitamente letterario, leggere i libri di W.G. Sebald, in particolare Austerlitz e Gli emigrati, che ritengo il più riuscito esempio del suo uso in narrativa, naturalmente tenendo sempre conto del lavoro pionieristico di Hermann Broch nei Sonnambuli (il riferimento al suo trittico nel mio titolo non è casuale)».

Ancora due domande…

permetteranno loro di assistete all’incontro con lo scrittore Vanni Santoni dal titolo Le città del destino, in programma sabato 12 aprile alle 18.00 al Monte Verità, Sala Balint. Modera Giuliana Altamura. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Psicogeografia» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 6 aprile alle 24.00.

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Il protagonista, Martino, appare come un cronista impacciato, che spesso si abbandona al flusso di pensiero, ammette di non sapere chi è né cosa vuole, e vaga al margine dell’oscurità mentale, come un dormiente solitario («sentendosi in un sogno febbrile che spingeva verso l’incubo») incapace di connettersi davvero con quanto gli sta accadendo attorno: Martino siamo noi? «Sempre…», conferma Vanni Santoni. Ispirazione e disillusione permeano il suo romanzo, ammantandolo di un non velato nichilismo, e mettendo in risalto la disillusione dei protagonisti come fosse una riflessione sulla difficoltà odierna di trovare autenticità nell’arte e nei luoghi. È possibile che questa sfuggevolezza creativa sia il cuore del viaggio artistico? «Ebbene sì, è possibile… Molto possibile».

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Un affare di famiglia… estremo

Suona il telefono. Rispondo.

«Buongiorno, Mozzi, come va?», dice una voce femminile assai gradevole. «Buongiorno, con chi ho il piacere di parlare?», dico.

«Sono Ornella Baggio, naturalmente», dice Ornella Baggio.

«In che cosa posso esserle utile?», dico. «Guardi, io non intendo pubblicare un romanzo», dice Ornella Baggio. «Questo non può che andare a suo merito», dico.

«Non scrivo nemmeno poesie», dice Ornella Baggio.

«E a parte questo», dico, «c’è qualcos’altro che lei non fa?».

«Oh, certo», dice Ornella Baggio.

«Non faccio Pilates, non colleziono figurine, non compro su Vinted».

«Ma suppongo», dico, «che tutte queste cose non c’entrino nulla col motivo per cui lei mi telefona».

«Lei è un uomo intuitivo», dice Ornella Baggio.

«Dunque mi dica», dico.

Pop Cult

«Mio figlio, lui sì, ha scritto un romanzo», dice Ornella Baggio. «Può capitare», dico. «Ed è un romanzo bruttissimo», dice Ornella Baggio. «Me lo sta dicendo col suo cuore di madre?», dico.

«Naturalmente», dice Ornella Baggio. «E suo figlio, lui sì», dico, «questo romanzo lo vorrà pubblicare». «Peggio», dice Ornella Baggio. «Lo ha già pubblicato», dico. «Non così peggio», dice Ornella Baggio. «Non è ancora stato pubblicato ma ha già un contratto», dico. «Bingo», dice Ornella Baggio. «E questo romanzo», dico, «è un romanzo autobiografico nel quale suo figlio racconta tutte le angherie, i soprusi, i ricatti affettivi, le castrazioni, eccetera, che gli sono stati imposti da una madre narcisista e anaffettiva». «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Sa che lei è davvero molto intuitivo? Molto per essere un uomo, intendo».

«Lei solletica la mia vanità», dico. «Già», dice Ornella Baggio. «In fondo lei è un uomo come tutti gli altri, sempre in cerca di conferme». «Ma dunque», dico, «vogliamo tornare all’argomento della telefonata?». «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Ora, io ho già consultato l’avvocata». «Le ha dato buoni consigli?», dico. «Mi ha sconsigliato di seguire la via maestra», dice Ornella Baggio.

«E quale sarebbe la via maestra?», dico. «Mio figlio è appassionato di sesso estremo», dice Ornella Baggio. «Può capitare», dico. «Non so se lei ha presente», dice Ornella Baggio. «Quelle cose tipo–». «Sono un uomo di mondo», dico. «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Lei capirà, nel corso di queste pratiche, un incidente può capitare». «Lei ha immaginato di far uccidere suo figlio?», dico.

«Nel culmine del piacere», dice Ornella Baggio. «Una morte bellissima».

«Lo ammetto: c’è della poesia», dico. «Ho sempre cercato il meglio per mio figlio», dice Ornella Baggio. «La sua avvocata le avrà prospettato qualche anno di galera», dico. «Una trentina», dice Ornella Baggio. «Ma lei è certamente in grado di organizzare un delitto perfetto», dico. «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Sono vedova da vent’anni». «Tuttavia la invito a considerare la cosa anche da un altro punto di vista», dico. «Spari», dice Ornella Baggio. «Autore morto, libro best seller », dico. «Lei dice?», dice Ornella Baggio. «Dico, dico», dico. «Ma l’editore può pubblicare il libro se l’autore è defunto?», dice Ornella Baggio. «Se c’è un contratto firmato, senz’altro», dico. «Immagino che l’editore sia già in possesso del testo». «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Ecco», dico. «Se io fossi l’editore, appena uscita la notizia del decesso di suo

La solitudine che non si può riempire e lo shopping online

Tra le cosiddette «malattie moderne», patologie perlopiù di ambito psichico direttamente riconducibili al nostro odierno stile di vita, ve n’è una che sempre più spesso si può notare descritta a caratteri cubitali nelle riviste popolari, come in quelle accademiche – soprattutto in riferimento alle giovani generazioni, particolarmente sensibili al suo deleterio fascino. Si tratta di un disturbo antico, la cui versione odierna è però direttamente collegabile alla presenza pervasiva di internet nelle nostre vite, al punto da aver recentemente ottenuto la denominazione di «dipendenza da shopping compulsivo online». Infatti, se è vero che, al pari di altre patologie legate al mancato controllo degli impulsi, anche la sindrome dell’acquisto a tutti i costi rappresenta una realtà da tempo consolidata e ben nota agli psicologi, essa era finora

Voti d’aria

apparsa come legata a categorie dotate di un’indipendenza e un potere d’acquisto ben maggiori rispetto a quella dei giovani. Almeno finché internet non si è confermato come una costante all’interno delle giornate di ognuno di noi, tanto da rendere veramente semplice procurarsi qualsiasi oggetto si scopra di desiderare, indipendentemente dal luogo in cui esso sia prodotto; di fatto, è sufficiente essere in possesso di una carta di credito e l’intero assortimento mondiale è a nostra completa disposizione, come in una sorta di infinito «grande magazzino» globale il cui unico limite è il budget individuale.

Eppure, se si torna alle origini diagnostiche della sindrome da shopping compulsivo per come intesa nella sua forma originaria (la prima comparsa nei manuali di psichiatria risale a fine ’800), diviene chiaro come, già in

Evviva, la distopia è realizzata

La distopia si è realizzata. È il titolo di un articolo di Alessandro Carrera apparso sull’«Indice» (5½), la rivista di recensioni che ha resistito a tutte le intemperie e continua a uscire da 42 anni con olimpica indifferenza a ciò che sta intorno, web compreso. L’articolo segnala un racconto scritto da Isaac Asimov nel 1955, Diritto di voto, in cui campeggia un gigantesco computer, Multivac, sepolto in una base segreta. Questo cervello elettronico incamera tutte le possibili informazioni sui cittadini americani: gusti e preferenze, consumi e acquisti, pensieri e percezioni. Ogni quattro anni, Multivac seleziona il Cittadino Medio e lo sottopone a un sondaggio elettorale. Nel 2008 come «medio-men» viene identificato il signor Muller, commesso di un supermercato di Bloomington, il quale diventa dunque unico rappresentante di 300 milioni di cittadini al quale spet-

terà scegliere il presidente degli Stati Uniti. Per esprimere il voto, Muller viene prelevato dai servizi segreti e portato in una clinica, lì gli vengono applicati degli elettrodi capaci di registrare le sue reazioni fisiologiche alle domande che gli vengono sottoposte. Multivac elaborerà i risultati della pressione del sangue, della sudorazione, delle onde cerebrali e su quella base individuerà il candidato scelto da Muller per la presidenza. Questo è il processo di Democrazia Elettronica grazie al quale l’Elettore Muller, gonfio di afflato patriottico, diventerà una celebrità data in pasto a televisioni e giornali. Tra le tante domande che gli sono state sottoposte, l’unica di cui Muller abbia memoria riguarda il prezzo delle uova. Ebbene, Carrera fa notare che tra le ultime promesse fatte da Trump al termine della campagna elettorale c’era l’abbassamento del prezzo delle uova. Promessa ov-

passato, ciò che ha sempre reso particolarmente interessante il fenomeno in tutte le sue declinazioni sia stata, in effetti, la capacità di adattarsi ai più svariati e molteplici contesti economici e sociali: al punto che proprio dalla sua assimilazione all’interno della cultura popolare del XX secolo viene la classificazione di quella che è forse una delle più intriganti manifestazioni dello shopping compulsivo, ovvero il cosiddetto «G.A.S.» –acronimo che sta per «gear acquisition syndrome », termine traducibile come «sindrome da acquisizione di equipaggiamento»: una denominazione impiegata dai musicisti professionisti per definire l’attitudine ossessiva ad acquistare continuamente nuove attrezzature tecniche – dai semplici strumenti musicali alle apparecchiature sonore per l’incisione e registrazione dei brani. Del resto, tale «dia-

gnosi» presenta un’origine senz’altro illustre, essendo attribuita nientemeno che al compianto Walter Becker, frontman dei leggendari Steely Dan: questi coniò il termine già negli anni 90, dopo aver assistito ai sintomi preoccupanti di un collega che aveva riempito la casa di chitarre a tal punto da faticare a muoversi all’interno del salotto (per questo, in origine la sigla G.A.S. stava, in verità, per «guitar acquisition syndrome », essendo riferita essenzialmente all’amato strumento).

E chissà cosa penserebbe oggi il buon Becker della deriva a cui l’e-commerce e lo shopping online hanno condotto la sindrome da acquisto compulsivo, peggiorandone enormemente la portata e rendendo il disturbo assai più diffuso di quanto non fosse un tempo. Dopotutto, non è solo la connotazione «rapida» dell’acquisto online – effettuato a distanza e tra-

figlio spedirei il libro in tipografia». «Per fare un sacco di soldi», dice Ornella Baggio. «Be’», dico, «li farebbe anche lei». «Anch’io?», dice Ornella Baggio. «Suppongo che suo figlio non sia sposato e non abbia figli», dico. «Non gliel’avrei mai permesso», dice Ornella Baggio. «Dunque lei è l’unica erede», dico. «Di un sacco di soldi», dice Ornella Baggio. «Ma lei non si farà dominare dall’avidità», dico. «Naturalmente», dice Ornella Baggio. «Però sono una donna che sa riconoscere un’opportunità». «Il famoso sesto senso delle donne», dico. «Signor Mozzi», dice Ornella Baggio, «lei mi è stato molto utile». «Ne sono lieto», dico. «E credo che mi sarà utile anche in futuro», dice Ornella Baggio. «A cose fatte, intendo». «Naturalmente», dico.

mite forme di pagamento asettiche, dalle quali il contante è bandito – a rendere così semplice l’essere fagocitati dalla frenesia dell’acquisto; in realtà, sembra chiaro come la mancanza di interazione umana che caratterizza l’online shopping sia un fattore determinante nel favorire l’assuefazione. E proprio qui, forse, sta il problema principale: perché la grave, profonda solitudine che caratterizza la nostra epoca rappresenta l’alleato migliore per compulsioni d’ogni tipo, grazie alla comoda e attraente «privacy» che accompagna l’atto autolesionista, riparandolo dal giudizio altrui. Forse sarebbe sufficiente essere meno isolati gli uni dagli altri per riuscire a tamponare o arginare quell’urgenza ossessiva che si cela dietro ogni gesto compulsivo – e, magari, limitare i danni (spesso devastanti) che da essa derivano.

viamente non mantenuta, ma poco importa: l’algoritmo, come il Multivac di Asimov, sa che il cittadino medio americano vota per chi promette di abbassare il prezzo delle uova, che gli americani mangiano in gran quantità. Carrera aggiunge altri esempi di distopie realizzate: quella, per esempio, di Sinclair Lewis, che in un racconto del 1935 previde l’avvento negli Stati Uniti di un presidente di stampo fascista, Buzz Windrip, eletto da una massa di creduloni grazie a parole d’ordine populiste fondate sui «veri valori americani». Si potrebbe continuare con altri lungimiranti visionari, come Evgenij Zamjatin, Aldous Huxley, George Orwell, che in vario modo hanno prefigurato quel che sarebbe sopraggiunto in ambito sociopolitico e tecnologico. Ricordo l’incredulità, nel 2001, quando andai a intervistare a Treviso il teorico dell’età dell’accesso, Jeremy

Rifkin (6-), il quale profetizzò la liberazione del tempo, che equivaleva a una nuova schiavitù: i telefoni, disse, saranno sempre più piccoli e sempre più multifunzionali, non avremo più uffici, saremo sempre connessi, lavoreremo anche in vacanza, non andremo mai in pensione, faremo la spesa da casa nostra. Rifkin parlava di «nuovi tiranni» del progresso e non sbagliava affatto. Vedeva un pericolo nell’«abbandono della realtà» e temeva il definitivo «assorbimento della sfera culturale in quella economica» (6 alla capacità profetica complessiva). Meglio non si potrebbe descrivere quel che, un quarto di secolo dopo, abbiamo sotto gli occhi. Si può provare a immaginare che cosa avremo sotto gli occhi nel 2050. Gli smartphone, sempre più micro, diventeranno «interfacce cerebrali» interiorizzate e ci permetteranno di comunicare senza l’uso delle mani e probabilmen-

te senza bisogno di parole, in pratica basterà il pensiero. Forse basterà il pensiero anche per incontrarsi con altre persone in spazi virtuali condivisi. Non servirà insomma la presenza fisica. Ho chiesto lumi a ChatOn e mi ha risposto che: «Tecnologie in grado di riconoscere e interpretare le emozioni umane potrebbero influenzare il modo in cui interagiamo, creando messaggi più empatici e contestualizzati». Empatici e contestualizzati: qualcosa mi dice che potremmo essere vicini all’area della letteratura. Ho chiesto dunque come sarà la letteratura nel 2050. Risposta in sei aggettivi: interattiva (2), multimediale (2), creata dall’intelligenza artificiale su misura per il lettore (1+), sempre più accessibile a un pubblico ampio (2-), inclusiva (3--), sostenibile (formati non fisici ma digitali, 4). Media 2,2. Per identificare lo Scrittore ideale del prossimo futuro, urge elaborazione Multivac.

di Benedicta Froelich
di Giulio Mozzi
di Paolo Di Stefano
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Cosa c’entrano le uova con la Pasqua?

Le coloriamo, le nascondiamo e le mangiamo, e c’è un motivo: nel cristianesimo, l’uovo è diventato il simbolo della risurrezione di Gesù, che si celebra a Pasqua. Dall’esterno l’uovo sembra morto, ma all’interno cresce la vita.

Perché si nascondono le uova?

È molto probabile che l’usanza di regalare le uova risalga a un’epoca in cui si celebrava ancora la festa della «dea germanica della primavera». Il cristianesimo proibì questo rituale, quindi le persone nascondevano le uova destinate agli altri in modo poco visibile invece di regalarle personalmente. Si presume che l’odierna tradizione pasquale si sia sviluppata da qui.

Da dove arriva l’usanza di colorare le uova?

Nel Medioevo le uova venivano colorate di rosso. L’intenzione era quella di ricordare il sangue versato da Gesù e il sacrificio della sua vita sulla croce. In seguito, le uova sono state dipinte anche di altri colori.

Cosa c’entrano i conigli con la Pasqua?

I conigli sono un simbolo di fertilità. Sono tra i primi animali a partorire in primavera e di solito danno luce a cucciolate numerose. Inoltre sono considerati i messaggeri della dea germanica della primavera, Ostara. I conigli entrarono anche a far parte del cristianesimo e fino al 1453 erano considerati un simbolo di Cristo, il Risorto.

Perché esistono

gli ovetti di cioccolato?

L’uovo di cioccolato si è diffuso nel XIX secolo, quando si sviluppò la produzione di cioccolato modellabile. Questo grazie all’olandese Casparus Van Houten, che nel 1828 inventò la pressa idraulica per il cacao rivoluzionando la lavorazione del cioccolato.

Da dove viene il coniglio di Pasqua?

Il medico di Francoforte Johannes Richter fu il primo a menzionare il coniglio di Pasqua nel 1682. Descrisse un’usanza del Palatinato, in Alsazia, in cui il coniglio pasquale deponeva le uova e le nascondeva nei giardini. All’epoca era già chiaro che si trattava solo di una favola che i genitori raccontavano ai bambini.

Che cos’è un agnello pasquale?

L’agnello è conosciuto soprattutto come animale sacrificale. Viene tradizionalmente macellato e mangiato durante la

ATTUALITÀ

Pasqua

Cosa c’entra la Pasqua con i coniglietti e le uova

Foto: Getty Images, zVg

Pasqua ebraica («Pesach» o «Pesah»). La sua pelliccia bianca è simbolo di purezza e pace. Nella Bibbia, Gesù viene chiamato «Agnello di Dio». Con questo si intende che egli è stato l’«agnello sacrificale», perché con la sua morte ha preso su di sé i peccati di tutta l’umanità a partire da Adamo ed Eva.

Cosa c’entra il digiuno con la Pasqua?

Secondo la tradizione cristiana, la Pasqua inizia con il periodo prepasquale della Quaresima, che prende il via il Mercoledì delle Ceneri e dura circa 40 giorni. La Quaresima ha lo scopo di ricordarci il digiuno di Gesù, che dopo il battesimo digiunò nel deserto per 40 giorni. Ecco perché anche il periodo di digiuno cristiano prima della Pasqua ha questa durata.

Perché la Pasqua si svolge sempre in una data diversa?

La Pasqua è una cosiddetta festa mobile. La data è determinata astronomicamente: la Pasqua si celebra sempre la domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Il 21 marzo è considerata la data fissa in cui inizia la primavera. Ciò significa che la festività potrà svolgersi non prima del 22 marzo e non oltre il 25 aprile. Quest’anno la prima luna piena di primavera è il 13 aprile. Ciò significa che il giorno di Pasqua sarà domenica 20 aprile.

Cosa si festeggia esattamente?

La Pasqua è una festa cristiana in cui si celebra la risurrezione di Gesù Cristo. Secondo la Bibbia, morì sulla croce il Venerdì Santo e risuscitò la domenica successiva. La Pasqua celebra la sua risurrezione e ricorda la promessa che tutti i credenti vivranno nel regno eterno di Dio dopo la loro morte. Che cosa significa la parola Pasqua? La denominazione «Pasqua» deriva dall’ebraico «Pesach»: anche la festa ebraica di Pesach si svolge in primavera e ha origini bibliche, eventualmente anche prebibliche.

Tutti i bambini sanno che a Pasqua il coniglio pasquale nasconde uova colorate e coniglietti di cioccolato. Ma da dove ha origine questa tradizione? Le informazioni più importanti sull’imminente festività.

NUOVO AL GUSTO DI CETRIOLO E CITRONELLA

SENZA ALCOL

TEMPO LIBERO

A colpi di pedale nel Medioevo

Da Assisi a Bruges, 2315 km e 33 tappe fanno rivivere a due autori-ciclisti, Antonini e Ferretti, un’epoca di rinascita e di grandi viaggiatori

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Biscotti a forma d’uovo

Non piacciono solo a Pasqua; per altre occasioni e in un’altra forma saranno sempre molto apprezzati

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Città da gioco, sogni da costruttori

Laddove ogni mossa si trasforma in una riflessione culturale sulle radici urbane e sulle visioni che definiscono le metropoli

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Un volante di ghiaccio che emoziona

Adrenalina ◆ Giovanni «Pino» Pironaci spiega le tecniche e la sua passione per la guida estrema all’Ice Driving School di Livigno

È un brivido (freddo) che percorre la schiena in tutta la sua lunghezza, mentre nelle vene la scarica d’adrenalina che si sprigiona acuisce al massimo ognuno dei cinque sensi. Qui la concentrazione dev’essere massima, perché ogni minima sbavatura viene dilatata e il rischio di perdere il controllo è sempre presente. Anche perché su una superficie come questa –avrete capito che stiamo parlando di una strada ghiacciata – non può essere tutto calcolato. Specie quando sotto il cofano pulsa un motore con diverse centinaia di cavalli che per essere domati richiedono abilità particolari. Già la semplice presenza di neve sulla carreggiata complica la vita a molti automobilisti, figuriamoci poi se invece della coltre bianca ci si imbatte in una lastra di ghiaccio. C’è chi, però, da quella lastra si sente per certi versi attratto, e prova a familiarizzare meglio con questo tipo di guida, «che è completamente diverso da quello che generalmente si adotta su una strada asciutta, bagnata e pure innevata» assicura Giovanni «Pino» Pironaci, uno che di guida sportiva se ne intende. «A volte, sul ghiaccio, in una frazione di secondo, devi saper leggere la strada, ma anche capire l’aderenza che avrà la tua auto nell’affrontare una curva».

La guida su ghiaccio è un’arte di precisione e adrenalina, dove ogni movimento è amplificato e la velocità viene sostituita dal controllo assoluto della vettura

La passione per i motori, Pino se la porta dietro fin da ragazzino, ossia da quanto ha iniziato a correre con i gokart. Negli anni, questi hanno poi lasciato il posto alle auto vere e proprie che lo vedono ancora oggi (61enne) a girare sui vari circuiti al volante di auto potenti nell’ambito dei campionati amatoriali. Dalla sua prima volta in pista è trascorsa un’abbondante trentina di anni, «ma la passione per i motori non ha età». E per quando finisce la stagione delle gare normali – che va da inizio primavera fino ad autunno inoltrato – Pino ha cercato un’alternativa per prolungare il brivido delle quattro ruote motorizzate in attesa della stagione successiva, trovandola appunto nella guida su ghiaccio.

Pilota da ghiaccio, però, ovviamente non si nasce, ma lo si può diventare «con molta pratica e seguendo dei corsi specifici. Sono in parecchi i ticinesi, fra cui il sottoscritto, che provano l’ebbrezza di questo tipo di guida facendo capo all’Ice Driving School di Livigno, sorta di autodromo ghiacciato naturale che dal 1992, inverno dopo inverno, viene allestito

durante i mesi freddi», in una località che da qualche anno strizza sempre più l’occhio a queste attività adrenaliniche sul ghiaccio (vedasi ad esempio la pista di kart pure ghiacciata e quella per le slitte nelle immediate adiacenze). «Spesso questo genere di trasferte le facciamo in gruppo, tra appassionati del volante, vuoi per trascorrere qualche giorno assieme – perfezionando quello che per diversi di noi non è un semplice hobby ma anche una professione – vuoi per mettere alla prova, rapportandoci agli altri compagni d’avventura, le nostre abilità di piloti in condizioni estreme. L’anno scorso ci ero stato per la prima volta, e quest’anno ci sono tornato volentieri, perché la sensazione che ti dà il fatto di girare su una pista così è davvero speciale. Diciamo che alle nostre latitudini è la sola, che fa pure da sfondo alle gare valide per il Campionato italiano di specialità».

Anche se il circuito non è molto grande, stiamo parlando di un tracciato di 1,3 km (mentre nei Paesi

nordici vi sono percorsi che superano anche abbondantemente la decina di chilometri, arrivando addirittura a venti), e per potersi destreggiare al meglio occorre familiarizzare con una tecnica particolare: «È tutta un’altra cosa rispetto al correre su una pista d’asfalto, ma pure su una strada innevata.

Il fascino di questa guida estrema sta nella sua imprevedibilità dove l’adrenalina è brivido puro

Anche perché qui sei al volante di una 4x4 con un motore attorno ai 300 cavalli di potenza e già questo cambia notevolmente il tipo di guida. Poi, per pennellare al meglio le curve, devi essere bravo a lanciare correttamente la tua vettura. Per familiarizzare con questa tecnica occorre tanta pratica –molto più di quello che serve per girare su un normale circuito – e anche una buona istruzione. Non per niente, nel caso dell’Ice Driving School, i primi giri vengono effettuati a fianco

di un istruttore, e una seconda parte della pratica avviene a ruoli invertiti. Tornandoci a un anno di distanza, qualcosa rimane ancora, ma pure nella… replica ci vuole qualche giro, nonché un buon ripasso delle tecniche di base, per togliere un po’ di ruggine ai meccanismi appresi dodici mesi prima. Adrenalina? Eccome se ne provi! Ma è un tipo di adrenalina di tutt’altro tipo rispetto a quando corri su una strada asciutta. Perché se su quest’ultima il brivido che si prova viene amplificato dalle velocità che si possono raggiungere, su una pista ghiacciata è la pattinata a farti accelerare i battiti del cuore». E paura, si prova anche quella quando la vettura parte: «Beh, sì, ovviamente un po’ di timore lo si ha, specie affrontando le primissime curve su questo genere di superficie, perché non sai tutte le dinamiche che entrano in gioco, e il comportamento della vettura non lo puoi prevedere, se non in modo approssimativo. È vero che ci sono anche gare e campionati su questo genere di piste, ma per me

la guida su ghiaccio resta una sorta di divertente e adrenalinico passatempo da praticare nella pausa tra una stagione e l’altra del Motorsport, in un periodo che altrimenti, sportivamente parlando, sarebbe morto per gli appassionati di motori. In entrambi i casi, comunque, ogni volta che metto in pista una macchina, una forma di adrenalina c’è sempre».

Non sono, a ogni buon conto, unicamente i piloti «della domenica» ad accettare la sfida di volersi mettere alla prova su una strada ghiacciata. «No, affatto, basti pensare che appena qualche giorno prima della nostra uscita a Livigno, sul circuito dell’Ice Driving School ha girato anche il giapponese Takuma Sato (già pilota di F1 dal 2002 al 2008 con Jordan, Bar e Super Aguri e pure primo nipponico a vincere la 500 miglia di Indianapolis e ora passato appunto alle IndyCar Series, ndr). Questo per dire che, anche quando si guida, non si smette mai di imparare. Soprattutto quando lo si fa in condizioni che non si presentano tutti i giorni».

Auto sul circuito dell’Ice Driving School di Livigno.
Moreno Invernizzi
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Quante volte al giorno devo mangiare?

Per le persone sane e di peso normale, tre pasti principali al giorno – mattina, mezzogiorno e sera – sono l’ideale per mantenere stabili i livelli di zucchero nel sangue e garantire un apporto equilibrato di nutrienti.

E se mangio di più?

Non è un problema. La frequenza dei pasti dipende dal metabolismo individuale, dall’attività fisica e dalla regolazione della sazietà. Quindi chi ha un elevato fabbisogno energetico, è molto magro di natura o fa tanto sport dovrebbe mangiare addirittura più di tre volte al giorno per mantenere il proprio peso.

A partire da quante ore si può parlare di «tanto sport»?

A partire da circa 5 ore di sport alla settimana.

Quanto sono davvero importanti le proteine?

Un adulto sano dovrebbe consumarne circa 0,8 grammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Questo valore è abbastanza facile da ottenere con un’alimentazione equilibrata. I frullati e le barrette proteiche sono utili soprattutto per chi fa sport, per le persone anziane o in caso di malattia o infortunio. Quando il sistema immunitario è debole, abbiamo bisogno di più proteine per guarire. Anche le persone che vogliono dimagrire senza perdere muscoli dovrebbero mangiare più proteine.

E se si fa molto sport?

In quel caso sono necessari circa 1,5 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo. Tuttavia, possiamo assimilare solo 20-40 grammi di proteine per pasto. Ecco perché vale la pena mangiare più volte alimenti ricchi di proteine durante la giornata.

BENESSERE

Alimentazione

Ecco perché la merenda è cosa buona e giusta

Mangiare 3 volte al giorno: questa è la regola generale. La dietista Shannon Helbling spiega come seguire un’alimentazione equilibrata e perché dovremmo fare anche uno spuntino tra i pasti.

Testo: Barbara Scherer

Quali sono le caratteristiche di un pasto equilibrato?

La regola più semplice per un adulto sano e senza esigenze aggiuntive è un piatto con un terzo di verdure, un terzo di carboidrati e un terzo di proteine. Grassi sani come noci o olio d’oliva completano il pasto. La frutta e la verdura sono adatte anche come spuntino.

Quindi tra i pasti dovrei mangiare solo frutta e verdura...

No. Ciò che mangiamo tra i pasti dipende soprattutto da quello che i nostri pasti principali non hanno eventualmente coperto. Possono essere adatti anche uno yogurt, delle noci o un panino, a seconda delle esigenze indivi-

duali. Chi vuole perdere peso dovrebbe scegliere spuntini che saziano e che causano poche fluttuazioni di zucchero nel sangue, come del quark magro con frutti di bosco e una manciata di mandorle. Gli spuntini ci aiutano a colmare il divario tra i pasti principali.

Quindi gli snack non sono malsani?

No, assolutamente no. Tuttavia, è sfavorevole mangiare costantemente piccole quantità di snack molto zuccherati o ricchi di grassi. Invece di un dattero o di un cioccolatino ogni ora, sarebbe meglio fare uno spuntino più equilibrato dopo 2 o 3 ore, come un piccolo panino integrale con formaggio.

Lo spuntino di mezzanotte va bene?

Chi vuole perdere peso dovrebbe evitarlo. Per tutti gli altri non c’è problema. Tuttavia, non bisogna consumare pasti ad alto contenuto energetico prima di andare a letto, perché potrebbero avere un effetto negativo sul sonno. Chi ha ancora fame dovrebbe optare per qualcosa di leggero e ricco di proteine, come uno yogurt, un pezzo di formaggio o un uovo.

Quindi il mio stomaco non ha bisogno di una pausa relativamente lunga tra un pasto e l’altro?

Non è stato dimostrato che lo stomaco abbia bisogno di una «pausa». Tuttavia, per regolare il senso di fame e sazietà e per le persone che vogliono perdere peso, può essere sensato non mangiare per 4 o 5 ore tra un pasto e l’altro.

Snack spezzafame
I muffins non sono molto indicati come spuntino.
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Due giornalisti tra storia e paesaggi d’Europa

Bussole ◆ Dall’Italia alle Fiandre, un viaggio tra città antiche, tesori artistici e riflessioni sul Medioevo nel libro di Roberto Antonini e Antonio Ferretti

Due giornalisti, giunti alla pensione, chiudono la porta dell’ufficio alle loro spalle. Poi celebrano una vecchia amicizia e nuovi inizi con un grande viaggio in bicicletta attraverso l’Europa medievale: 2315 chilometri in 33 tappe da Assisi a Bruges, dalla terra di San Francesco, amico di povertà, alla città che istituì la prima borsa valori al mondo, dai monasteri d’Appennino ai mercati delle Fiandre. «Dall’Umbria al Mare del Nord, il filo conduttore del Medioevo ci ha permesso di scoprire affascinanti città, ammirare tesori artistici straordinari, percorrere pianure infinite, costeggiare fiumi e canali, superare catene montuose come Appennini, Alpi, Giura e Ardenne».

La passione comune dei due viaggiatori è dunque il Medioevo, evocato anche grazie all’ombra del grande storico francese Jacques Le Goff, morto dieci anni fa, eppure presente quasi fisicamente nel viaggio (e in una lunga intervista alla fine del volume). Prima di partire si va a scuola, poiché il libro si apre con una sintesi della civiltà medievale che potrebbe essere adottata nelle classi per tanto è ben fatta. Si parla soprattutto di Basso Medioevo, dopo l’anno Mille. È allora che – lungo l’asse tra l’Italia e le Fiandre, lo stesso ripercorso in questo viaggio – rinascono città e mercati, prende

Mosaico

forma una nuova civiltà. Nonostante la drammatica battuta d’arresto della peste trecentesca, comincia allora un percorso lineare e inarrestabile che sfocia nell’Umanesimo, nel Rinascimento, nelle esplorazioni commerciali e coloniali, nel primato dell’Europa, insomma nel nostro mondo.

Noi siamo il Medioevo, ripetono quasi con stupore i due ciclisti tra una discesa, una salita, uno sterrato o un guado; solo la Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, dunque assai tardi, hanno cambiato veramente il paradigma delle nostre esistenze. Ma è un Medioevo molto lontano dal mito pigramente ripetuto di un’età di mezzo, immobile, fanatica, superstiziosa, oscura («Non siamo mica nel Medioevo!» esclamiamo troppo spesso ‒ e a sproposito ‒ quando un’idea ci appare antiquata). Al contrario pagina dopo pagina, tappa dopo tappa, prende forma l’immagine di un’epoca sorprendentemente inquieta, moderna, dinamica; oltretutto un’epoca di grandi viaggiatori (anche se la bicicletta non era ancora stata inventata…).

In questo percorso tra Italia ed Europa del Nord le nostre terre ‒ il Ticino e la Svizzera ‒ possono sembrare un poco d’intralcio. Dopo tutto la Svizzera è toccata solo in parte da questa nuova energia che percor-

di colori

Mondoverde ◆ Dalle varietà peruviane alle collezioni domestiche, la Fittonia è una pianta che arreda con eleganza

re l’Europa dopo l’anno Mille. Ma anche qui le memorie medievali non mancano, a cominciare dalle tracce dello straordinario pellegrinaggio dei monaci irlandesi guidati da San Colombano e diretti a Bobbio. Inoltre proprio in quei secoli, in forme incerte e spesso leggendarie, matura un sentimento di comune appartenenza, il primo nucleo dell’identità nazionale.

Il libro di Antonini e Ferretti è davvero un buon lavoro, ma natural-

mente ha anche qualche limite. Per cominciare, l’entusiasmo si è tradotto in un eccesso di informazioni, più consono a un libro di storia che di viaggio; molto poteva essere omesso, o meglio ancora diluito nelle diverse tappe del viaggio. Inoltre la loro visione del Medioevo, per quanto solida, aggiornata e ben documentata, riflette un punto di vista illuministico, efficiente, semplice e razionale (come la bicicletta appunto). Il Medioevo tuttavia non è solo la genesi del mon-

do moderno; è anche un’epoca interamente compresa in un orizzonte religioso, dove appena un sottile diaframma separa mondo terreno e ultraterreno, questa vita dall’altra, quella vera e definitiva, alla quale bisogna giungere preparati. Anche i limiti e le malefatte della Chiesa, che gli autori volentieri ricordano, sono solo una parte della questione. Per comprendere a fondo il Medioevo serve forse uno spirito religioso, se non la fede. E se il Medioevo ha conosciuto il riso, come abbiamo imparato leggendo Il nome della rosa, certo non amava l’ironia, alla quale Roberto e Antonio invece non sanno rinunciare: «Il nostro Graal è un bar, un ristorante, una piccola épicerie, una persona con la quale scambiare quattro chiacchiere o alla quale chiedere se siamo sulla strada giusta». Ma in un libro ricco e interessante restano peccati veniali, per i quali basta il Purgatorio, naturalmente anch’esso «inventato» nel Medioevo, per la precisione nel XII secolo. Chi lo dice? Ma Le Goff naturalmente.

Bibliografia Roberto Antonini e Antonio Ferretti, Viaggio nel Medioevo. In bicicletta attraverso l’Europa delle meraviglie Salvioni, 2024, pp.336.

Piccola, robusta, semplice e dai colori sgargianti: la Fittonia è una graziosissima pianta d’appartamento con delle trame sulle foglie super decorative.

Leggermente ruvida al tatto, ha dimensioni contenute ma cresce velocemente e si presta a esser collezionata in tutte le sfumature di colore delle foglie: bianca e verde smeraldo come quelle della «Mosaic Lemon», rosa acceso e verde sono quelle della «Forest Flame», verde acido è la «Lemon», verde scuro con striature bianco neve, la «White Anne», gialla con nervature fuxia, la «Mosaic Skeleton», rossa è invece la «Mosaic Tiger» e molte altre.

La temperatura ideale per mantenerle è dai 10 ai 25°C; ama posizioni poco luminose, innaffiature regolari una volta alla settimana , mentre bisogna evitare di bagnare le foglie. Ha inoltre la caratteristica di non rilasciare lattice, è ideale quindi se si hanno animali in casa.

Di origine peruviana, ha fiori poco appariscenti e il suo nome è legato alle sorelle Fitton, Elizabeth e Sarah Mary, originarie di Dublino, che nel 1817 pubblicarono per la casa editrice Longman Conversations on Botany, un libro di botanica dedicato ai bambini. Poco si sa di queste donne, se non la loro parentela con William Henry Fitton, celebre geologo e loro fratello. Io le immagino con le stesse caratteristiche delle loro omonime piante: resistenti, determinate, ma al-

lo stesso tempo discrete, come dovevano essere le donne nell’epoca in cui vissero le sorelle Fitton.

Un’idea originale per coltivarle e valorizzare al meglio le loro foglie rotonde e dalle venature evidenti, è di trapiantarle all’interno di tazze o vasi smaltati tutti uguali e disporle su di un grande vassoio o in vasi trasparenti da tenere sulla scrivania per creare un mini giardino d’ufficio.

Fa eccezione per via delle dimensioni che possono raggiungere i sessanta centimetri d’altezza, la Fittonia gigantea, dalle foglie lucide, verde scuro con nervature rosse; difficilmente la si trova in vendita poiché è molto esigente come pianta in quanto calore e umidità necessari: è una vera pianta per soli collezionisti.

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Anita Negretti

La psicogeografia come forma d’

Si intitola Il detective sonnambulo il nuovo libro di Vanni Santoni, scrittore ed editor italiano, che sarà ospite degli Eventi letterari Monte Verità, sabato 12 aprile con la moderazione di Giuliana Altamura. In libreria dall’8 aprile, (ma già preordinabile), è un romanzo che esplora la tensione tra aspirazioni utopiche e realtà, nella creazione di una comunità intellettuale, dando vita a una narrazione ricca di riferimenti storici, artistici, filosofici («anzi mistici»), tecnologici, informatici, politici, e provenienti dalla cultura Pop, con ampi rimandi al mondo dei manga, dei videogiochi e del cinema, che insieme tracciano un parallelo tra i grandi movimenti del passato e le sfide contemporanee. Santoni ha già dato prova del suo forte interesse per le tradizioni esoteriche e mistiche, oltre che per la simbologia junghiana, elementi che permeano anche la sua ultima opera, rendendola perfettamente in linea con il tema degli eventi di quest’anno, Psicogeografie, organizzati per i 150 anni dalla nascita di Carl Jung.

Una trappola labirintica

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«…mi aggiravo ombroso e fuori fuoco tra quei banchi, tra […] cineserie, pipe di gesso, bambolotti, abatjour e bronzetti, resti d’interno di una Parigi che non c’era più; mi dicevano, almeno, che non era esistita solo nella mia immaginazione alimentata dai libri e da troppi, davvero troppi film, e intanto ponderavo la sciocchezza che avevo fatto a trasferirmi lì, a quanto provinciale fosse stato pensare che la cosa logica, per qualcuno che voleva realizzare qualcosa, e neanche sapevo cosa, fosse trasferirsi a Parigi, come se fossimo ancora negli anni Trenta o a fine Ottocento…»

Offerte valide dal 1.4 al 14.4.2025, fino a esaurimento dello stock.

Letteratura ◆ Nel nuovo romanzo Il detective sonnambulo, Vanni Santoni fa vagabondare i suoi personaggi tra luoghi e visioni, offrendo

Monte Verità e psicogeografia

Nei primi del Novecento, una fiorente attività intellettuale e artistica nacque anche al Monte Verità, che si dice fosse intriso di una certa energia: «Lo conoscevo solo di fama – racconta l’autore – ma recentemente ne ero rimasto assai impressionato in seguito a una mostra a esso dedicato al Museo del Novecento di Firenze. Essendo da sempre interessato al tema delle comunità spirituali e artistiche, te-

ma centrale del mio romanzo La verità su tutto (ndr. Mondadori, 2022), ho sentito un’immediata affinità con tale luogo». Torniamo dunque al tema degli Eventi letterari del Monte Verità di quest’anno: la psicogeografia suggerisce che i luoghi influenzino il nostro stato d’animo e i nostri comportamenti e che, di conseguenza, l’esplorazione di spazi urbani, suburbani o naturali possa ancora oggi arricchire la creatività di un artista: «Per me è fondamentale. Il detective sonnambulo,

come credo ben testimoni la copertina che abbiamo scelto, nasce proprio dalle mie esplorazioni – spiega l’autore –, solitarie e rigorosamente a piedi (di Parigi e delle altre tre città, Berlino, Davos e Venezia) attraverso le quali si articola il romanzo».

Nel nome, l’identità

Nel romanzo di Santoni, la ricerca della bellezza, del significato e dell’arte sembra trasformarsi in una trappola in cui i protagonisti si perdono, prima a Parigi poi a Berlino, come in un sogno lucido che alla fine non riescono più a controllare, e che porta il lettore a interrogarsi su come possa un luogo carico di significato e potenzialità trasformarsi in un labirinto di illusioni: «Per effetto del tempo – spiega l’autore –, è la risposta numero uno. Ma non è solo questo. C’entrano anche i soldi e come influenzano lo spazio urbano in epoca di tardo capitalismo». Modernità, gentrificazione e cambiamenti sociali potrebbero dunque aver eroso la capacità di certi luoghi di essere fucine di innovazione e ispirazione: «Il fatto che nessun aspirante artista – essendo l’aspirante artista per definizione squattrinato – possa oggi permettersi di trasferirsi a Parigi o a Londra, come non può da tempo trasferirsi a New York, e come a breve non potrà trasferirsi nemmeno a Berlino, per via dell’impennata senza controllo dei prezzi degli affitti è un problema significativo, perché le individualità atomizzate hanno meno possibilità di creare movimenti artistici, e dunque arte»… cosa che accadeva invece in passato, e lo dice bene il protagonista Martino: «Guardavo la scrivania di Breton e pensavo, facile la vita se arrivi a Parigi e ti ritrovi in ghenga coi surrealisti…».

Non solo paesaggi reali, però: il surrealismo ha spesso trattato Parigi come un paesaggio onirico, di esplorazione

La trama ◆ Perdersi a Parigi, sulle tracce di Johanna

Martino è un aspirante sceneggiatore italiano che finisce per perdersi nei labirinti delle città, e in una spirale che mescola arte, desiderio e smarrimento. In un mercato di Parigi incontra Johanna, una donna enigmatica, dai capelli rossi; misteriosa, inafferrabile, imprevedibile e talvolta contraddittoria, diventa l’oggetto della sua ossessione. Ogni passo di Martino lo spinge verso di lei, solo per vederla svanire ogni volta che sembra più vicina. Man mano che l’investigazione si intensifica, la donna si moltiplica, cambiando nome e identità, evocando tracce che rimandano a figure di altre storie e leggende, in un’escalation che pare non avere fine: l’indagine conduce poi Martino in una rete di attivisti e intellettuali, tra cui Manfredi, un milionario che ha costruito la sua fortuna grazie alle criptovalute, e oggi finanzia le iniziative artistiche della rossa

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La ricerca spinge il narratore prima a Davos, poi in Cile, dove finalmente ritrova una Johanna, forse non più la stessa.

psichica. Nel romanzo, l’esplorazione di temi profondi legati all’identità, alla memoria e alla percezione della realtà passa anche attraverso l’espediente letterario legato ai nomi dei protagonisti, che mutano nel corso della narrazione e lasciano al lettore decidere se questo «dispositivo» esprima il concetto di identità fluida, rappresenti forme di archetipi, alluda a livelli diversi di realtà o se sia solo un modo di creare maschere.

Tra i tanti nomi, spicca pure quello di Jöelle Van Dyne, che – Umlaut

A partire da questo punto il romanzo entra nel vivo, spostando la narrazione a Berlino dove prende corpo un’ambizione visionaria, quella di

creare una comunità intellettuale, artistica, un centro di creatività e innovazione, rappresentato simbolicamente dallo Schloss (castello). Non solo un luogo fisico, ma anche una sorta di utopia contemporanea, dove si fondono arte, tecnologia, pensiero filosofico e misticismo, stimolato da viaggi interiori generati dall’uso di psichedelici e vasche di deprivazione sensoria-

le. Molti i riferimenti a luoghi storici e culturali (Atene, la Firenze del Rinascimento, la Vienna di fine Ottocento, Hangzhou, Silicon Valley, la Roma di Augusto, la Baghdad degli Abbassidi e persino il Monte Verità…) che costruiscono un parallelo tra il passato e il desiderio di una nuova comunità che proponga momenti di grande fermento intellettuale, relazionandoli a

movimenti sovversivi e sviluppatori di nuove tecnologie. Ma l’ hybris (eccesso di superbia) è dietro l’angolo. Nel mezzo di questa tensione tra utopia e realtà, il narratore cronista –detective sonnambulo – si percepisce come un ospite casuale spesso «dormiente», sospeso «tra il sogno e la veglia acuta». È un uomo incastrato in una vita a suo dire surreale o assurda. A enfatizzare il suo ruolo passivo è il lasciarsi trascinare dagli eventi e dagli altri personaggi senza mai davvero prendere un’iniziativa. Come lui, verrebbe da dire, anche il lettore, il quale non potrà rimanere indifferente di fronte a questo romanzo. Innumerevoli, gli spunti di riflessione e le possibili interpretazioni. Va detto infine che l’esperienza di lettura de Il detective sonnambulo si espande giocoforza oltre le pagine, spingendo i lettori più curiosi a esplorare concetti, pensieri e opere varie, come vere e proprie diramazioni del romanzo stesso.

Bibliografia Vanni Santoni, Il detective sonnambulo, Mondadori, 2025, pp 320.

Un ritaglio dell’immagine di copertina del romanzo Il detective sonnambulo (Vanni Santoni / Mondadori); di fianco in senso orario, l’autore Vanni Santoni; uno scorcio dal Monte Verità (Ma. Ma.); Parigi, rue Oberkampf, più volte percorsa dal protagonista Martino (Jeanne Menjoulet).
Manuela Mazzi

Ricetta della settimana - Biscottini di Pasqua

Ingredienti

Pasticceria dolce

Ingredienti per circa 45 pezzi

120 g di burro, morbido

80 g di zucchero

1 bustina di zucchero

vanigliato

1 uovo di media grandezza

180 g di farina bianca

1 c di scorza di limone

Glassa

200 g di zucchero a velo

3 gocce di colorante alimentare, ad es. viola, rosa e verde

Preparazione

1. Lavorate a spuma il burro, lo zucchero e lo zucchero vanigliato con uno sbattitore elettrico.

2. Separate il tuorlo dall’albume. Mettete l’albume da parte. Incorporate il tuorlo alla crema di burro e zucchero. Unite la farina setacciandola e la scorza di limone grattugiata. Impastate velocemente gli ingredienti, coprite l’impasto e mettetelo in frigo per circa 30 minuti.

3. Spianate la pasta tra due fogli di carta da forno in una sfoglia di circa 5 mm di spessore. Ritagliate biscotti a forma di uovo e accomodateli su una teglia foderata con carta da forno. Impastate gli avanzi di pasta, spianateli di nuovo e ritagliate altri biscotti.

4. Scaldate il forno statico a 180 °C. Cuocete i biscotti al centro del forno per circa 12 minuti, finché i bordi cominciano a scurire. Sfornate e lasciate raffreddare sulla teglia.

5. Per la glassa, montate a spuma l’albume messo da parte. Incorporate lo zucchero a velo setacciandolo. Mescolate finché si forma una massa densa. Dividete la glassa in quattro porzioni e coloratene tre con i coloranti alimentari. Se le glasse risultano troppo dense, aggiungete poche gocce d’acqua in modo che si possano pennellare sui biscotti. Trasferite la glassa bianca in una piccola tasca da pasticciere (vedi suggerimento).

6. Stendete le glasse colorate sui biscotti e fatele asciugare un po’. Decorate i biscotti con la glassa bianca e lasciatela asciugare.

Consigli utili

Se non avete una tasca da pasticciere, servitevi di un piccolo sacchetto di plastica, tagliando una punta del sacchetto con le forbici. Questa pasta può essere utilizzata per preparare anche altri tipi di biscotto, ad esempio al limone o milanesini.

Preparazione: circa 30 minuti; refrigerazione: circa 30 minuti; cottura in forno: circa 12 minuti

Per persona: 1 g di proteine, 2 g di grassi, 9 g di carboidrati, 60 kcal

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Costruire in pochi minuti una città perfetta

Colpo critico ◆ Dai mattoncini dell’infanzia ai giochi da tavolo, dall’immaginazione all’urbanistica, così si riflettono le nostre aspirazioni e visioni del mondo

Chi non ha mai costruito una città? Appena abbiamo l’età per ragionare, appena ci mettono in mano quattro sassi cominciamo a tirare su case, chiese, locande, ospedali, palazzi. È uno dei primi gesti della nostra infanzia, che si tratti di edificare capanne nel bosco o di creare una boom town con dei cubetti colorati. I bambini replicano le azioni dei loro progenitori, che sempre hanno pensato sé stessi in luoghi più o meno simili a una città, dagli accampamenti dei nomadi fino alle megalopoli.

Come un riflesso delle società che abitiamo, l’atto di costruire una città diventa il filo conduttore di numerosi giochi da tavolo

La costruzione di una città è il tema di fondo di molti giochi da tavolo. La concezione ludica può rivelare anche una visione dei centri urbani e del loro ruolo storico, semplicemente per come essi vengono rappresentati. Nel suo Link City (Bandjo, 2024), Émilien Alquier usa il meccanismo delle associazioni d’idee per invitare i partecipanti (da 2 a 6) a costruire una metropoli ideale. Un giocatore (il «sindaco») sceglie segretamente dove collocare tre edifici – per esem-

pio una scuola, un centro benessere e una casa per anziani – intorno ad altri edifici già presenti; gli altri giocatori dovranno poi indovinare le varie posizioni. Nasceranno quindi discussioni interessanti. Avrà messo la casa per anziani vicino alla scuola? Così i nonni possono vedere i nipoti. Ehi, un momento, il centro benessere non sta bene vicino al night club! E perché no? Io lo metterei piuttosto vicino alla galleria d’arte o alla gioielleria, visto il tipo di clientela. Eccetera. Fra pianificazione del territorio e pseudo teorie sociali, i partecipanti collaborano per creare la loro Link City.

Senza rendersene conto, i giocatori si trovano a riflettere su che cosa sia una città. In questo senso si può dire che il contesto ludico abbia una valenza culturale e forse pure una risonanza politica. All’inizio di marzo 2025 un gruppo di autori francesi ha scritto un «manifesto metaludico» (www. manifeste-métaludique.fr). Secondo i firmatari, il gioco da tavolo non è solo un divertissement, ma possiede una dimensione sperimentale (emotiva, poetica, surrealista) e un significato politico, dal momento che può influenzare la nostra visione del mondo. Il manifesto ha generato un vasto dibattito, nel quale non voglio addentrarmi. Mi limito a dire che, in fin dei conti, ogni genere di lavoro culturale

Giochi e passatempi

Cruciverba

«Sai, ieri mentre ero con mia moglie dall’avvocato per il divorzio, lui a un certo punto mi chiede di parlare con toni pacati, …» Trova il resto della frase leggendo a soluzione ultimata, le lettere evidenziate: (2, 3, 2, 7, 6, 4, 6)

ORIZZONTALI

1. Contrassegni di fabbrica

6. Equivoco, sospetto

11. Le iniziali del marito

di Claudia Mori

12. Un Franco attore

14. Il famoso Laurel

15. Un tasto sul registratore

17. Levigate

19. Le iniziali dell’attore DiCaprio

20. Stato dell’Asia occidentale

22. Questo a Trastevere

23. Quella bianca è gialla

24. Preposizione articolata

26. Risultato

28. Opinione favorevole dell’altro

30. Lì

32. Possessivo

33. Si usa infilato

35. Una volta in latino

37. La targa di Enna

38. Quelli falsi ingannano

40. Un accumulo d’adipe

41. Testardo «in tedesco»

43. Vive nei mari del Nord

45. Gli esseri meno seri

46. Opera di Puccini

47. Abitante di Ninive VERTICALI

1. Nome femminile

2. Aspro in latino

3. Cane senza pari 4. Dea della morte nella mitologia nordica

5. Opera di Mascagni

7. Provocante, scandaloso

8. Le iniziali della Toffanin

9. Non si pettina mai

10. Propagazione vibrante di energia

13. Più versa più guadagna

16. Gruppi sociali chiusi

finisce per avere un impatto sulla società. Vale per la progettazione ludica quello che diceva Ettore Sottsass circa il suo mestiere. «Progettare – ha osservato nel 1987 l’architetto italiano in una conferenza al MET di New York – è un evento politico nel senso che si deve sempre o si dovrebbe sempre sapere molto bene che quando si fa qualcosa, quel qualcosa viene depositato in un ambiente sociale in movimento. Quello che è stato depositato in un ambiente sociale provocherà reazioni diverse. Qualche volta quello che è stato disegnato sarà percepito il

giorno dopo, qualche volta sarà percepito anni più tardi e altre volte non sarà mai percepito perché resterà per sempre nascosto nel grande calderone della storia».

Molti giochi sono frammenti invisibili nel «grande calderone della storia», ma la loro influenza antropologica potrebbe essere maggiore di quanto sembri. Che cosa dice di noi il Monopoly? E perché oggi vanno di moda gli escape game in cui si cerca di fuggire da una stanza chiusa? La maniera in cui giochiamo rivela le nostre paure e le nostre aspirazioni.

Costruire una città ideale è un sogno antico. Possiamo risalire al mito della Torre di Babele nella Bibbia e seguire il corso dei secoli fino alla polis greca e alla città-stato del Rinascimento teorizzata da Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria (1485). Risponde a questo desiderio anche l’utopia della Città del Sole (1623) di Tommaso Campanella, così come il concetto della Gerusalemme celeste che i mistici contrappongono alla Gerusalemme terrena (e perciò imperfetta). Per queste ragioni è liberatorio l’esercizio di mettere in piedi una città.

Un gioco recente che approfondisce l’aspetto anche tattile del piacere, chiedendo ai partecipanti (da 2 a 4) di impilare dei mattoncini, è Tower Up (Monolith, 2024) di Frank Crittin, Grégoire Largey e Sébastien Pauchon. Il gioco è elegante e limato in ogni dettaglio: a ogni mossa bisogna scegliere se procurarsi nuove risorse o se aggiungere un pezzo a un grattacielo, rispettando alcune condizioni. C’è una gara serrata per mettere il tetto del proprio colore in cima al palazzo più alto. Qual è la valenza sociale o politica di tutto ciò? Di certo suggerisce che gli esseri umani non abbiano ancora smesso di costruire la Torre di Babele, sempre più alta e talvolta, purtroppo, sempre più pericolante…

18. Avverbio di modo

21. Un nipotino di Paperino

23. Il margine di un affare

25. Guida la preghiera nella moschea

27. Nome maschile

28. Riassunto, nel riassunto

29. Comodità

31. Detto anche «centopelle»

32. Sondaggio psicologico

34. Un colore

36. Eccesso nei prefissi

38. Fiume della Savoia

39. A Roma valeva dieci

42. Le iniziali dell’attore Smaila

44. Le iniziali del comico Siani

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione

cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome,

intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie

Generata da IA
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Hit della settimana

1. 4 – 7. 4. 2025

7.30 invece

Settimana Migros

3.95

Limoni Migros Bio Spagna, rete da 500 g, (100 g = 0.20)

Ravanelli Svizzera, il mazzo 1.–

Frutta e verdura per l’equilibrio

8.95 Asparagi bianchi

3.90

Mele Jazz Svizzera, al kg, (100 g = 0.39) 25%

invece di 5.20

3.60

Formentino Migros Bio Svizzera, 125 g, confezionato, (100 g = 2.88) 20%

invece di 4.50

20x CUMULUS

Novità

3.95

Trio di rosette Farmer's Best, IP-SUISSE prodotto surgelato, 500 g, (100 g = 0.96)

4.40 invece di 5.50

Asparagi verdi fini Spagna, mazzo da 500 g, (100 g = 0.88) 20%

3.60 invece di 4.50 Filetti di pesce persico con pelle M-Classic d'allevamento, Svizzera, per 100 g, in self-service 20%

da 2 20%

5.50 invece di 6.90

erbe e aglio o panna e fleur de sel, 2 x 150 g, (100 g = 1.83)

Migros Ticino

La tradizione sposa il gusto

Niente di più perfetto con questi prezzi!

1.84

invece di 2.30 Le Gruyère surchoix AOP per 100 g, prodotto confezionato 20%

Tutti i formaggi di capra Chavroux per es. formaggio di capra a pasta molle, 150 g, 3.36 invece di 4.20, (100 g = 2.24)

3.85 invece di 4.55

2.40 invece di 3.–Canaria Caseificio per 100 g, prodotto confezionato 20%

2.20

invece di 2.60

Uova di Pasqua svizzere con macchie decorative, da allevamento all'aperto, IP-SUISSE 6 x 50 g+ 15% 4.50

Migros Ticino

Bontà preziose dal mare

Tutto l'assortimento di pesce e frutti di mare, prodotti surgelati (articoli Sélection e Alnatura esclusi), per es. bastoncini di pesce impanati Pelican, MSC, 20%

8.95

invece di 11.40

Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 380 g, in self-service, (100 g = 2.36) 21%

7.90

Filetti di limanda Anna's Best, MSC pesca, Pacifico nordorientale, in confezione speciale, 400 g, (100 g = 1.98) 20%

invece di 9.90

LO SAPEVI?

Oltre alle proteine, il pesce fornisce anche iodio, acidi grassi omega-3 e diverse vitamine. La Società Svizzera di Nutrizione (SSN) raccomanda pertanto di consumarne da 1 a 2 porzioni di 100-120 grammi alla settimana. È da preferire il pesce da pesca sostenibile o da acquacoltura sostenibile.

In vendita in self-service

Sushi Hiroto 225 g, (100 g = 2.20)
Snack o menu, Anna's Best
Dim Sum Sea Treasure, Vegetable Spring Rolls o Chicken Satay, per es. Dim Sum, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80, (100 g = 2.20)
conf. da 2
Pasta Migros Bio, refrigerata fiori ricotta e spinaci o agnolotti all'arrabbiata, per es. fiori, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85, (100 g = 1.32)
conf. da 3
Tutti i wrap, i sandwich e gli onigiri, in stile asiatico, refrigerati per es. Sushi Wrap Smoked Salmon, 240 g, 6.– invece di 7.50, (100 g = 2.50)

Dolce o salato?

Farcisci e inforna

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le paste in blocco e già spianate, Anna's Best per es. pasta per pizza, spianata, rettangolare, 580 g, 4.– invece di 5.–, (100 g = 0.69)

12.90

Leckerli finissimi in conf. speciale, 1,5 kg, (100 g = 0.86) 33%

invece di 19.50

Tutte le trecce precotte per es. cornetti al burro M-Classic, IP-SUISSE, 550 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 0.51) 20%

a partire da 2 pezzi 20%

Tutti i dessert in coppetta refrigerati (prodotti Daily esclusi), per es. coppetta svedese, 100 g, 2.36 invece di 2.95

Il nostro pane della settimana: il tritello di frumento cosparso sulla crosta dona a questo pane un intenso aroma di noci e crea un bel contrasto con la morbida mollica

Dai alla Pasqua la forma che vuoi Pasqua

4.95 Set di tagliabiscotti con goffratura Kitchen & Co. 3 pezzi, il set

2.95

Tagliabiscotti a forma di farfalla Kitchen & Co. il pezzo 2.95

Tagliabiscotti a forma di muso di coniglietto Kitchen & Co. il pezzo

4.95

Set di tagliabiscotti a forma di coniglietto Kitchen & Co. 3 pezzi, il set

Offerte valide dall’1.4 al 7.4.2025, fino a esaurimento dello stock.
Tutto l'assortimento Pâtissier per es. zucchero vanigliato, 4 x 10 g, 2.96 invece di 3.70, (10 g = 0.74)

Dolci e cioccolato

Per momenti di dolcezza

Un catturasguardi per il buffet di Pasqua

Agnello di Pasqua 400 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.00) 23%

4.–invece di 5.20

Tutti gli ovetti di cioccolato Freylini Frey disponibili in diverse varietà, per es. Classics, in busta da 200 g, 3.96 invece di 4.95, (100 g = 1.98) 20%

Tutte le mezze uova con praliné Frey per es. du Confiseur, 227 g, 12.76 invece di 15.95, (100 g = 5.62) 20%

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le palline Lindor e i praliné, Lindt per es. palline di cioccolato al latte, 200 g, 9.56 invece di 11.95, (100 g = 4.78)

Bastoncini alle nocciole, zampe d'orso o schiumini al cioccolato, M-Classic in conf. speciale, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.40 invece di 8.–20%

conf. da 6 30%

Tavolette di cioccolato Frey Giandor, al latte e alle nocciole o al latte finissimo, 6 x 100 g, per es. Giandor, 10.25 invece di 14.70, (100 g = 1.71)

di «capelli d'angelo» e crema di

Tavoletta di cioccolato Dubai Style 100 g

Ice ice Baby

20x

7.50

20x

Oppo Salted Caramel prodotto surgelato, vasetto da 475 ml, (100 ml = 1.58)

5.95

Fro Zen Salted Caramel Ice Cream Bar

prodotto surgelato, 3 x 50 g, (100 g = 3.96)

20x CUMULUS

Novità

8.95

Cornetti al caramello Fun prodotto surgelato, 6 x 122 ml, (100 ml = 1.22)

20x CUMULUS Novità

7.50

Chocolate Brownie Oppo prodotto surgelato, vasetto da 475 ml, (100 ml = 1.58)

20x CUMULUS

Novità

5.95

20x CUMULUS

Novità

Ice Cream Bar Yogurt Amarena Fro Zen prodotto surgelato, 3 x 50 g, (100 g = 3.96)

8.95

Cornetti alla stracciatella Fun prodotto surgelato, 6 x 122 ml, (100 ml = 1.22)

Refrigerio straconveniente Bevande

24.90 invece di 35.60 Red Bull Energy Drink o Sugarfree, 24 x 250 ml, (100 ml = 0.42)

7.55 invece di 10.80

Ice Tea

pesca, zero al limone e zero alla pesca, 6 x 1,5 litri, (100 ml = 0.08)

Aproz e Aquella disponibili in diverse varietà, 6 x 1,5 litri o 6 x 1 litro, per es. Aproz Gazéifiée, 6 x 1,5 litri, 4.29 invece di 6.40, (100 ml = 0.05)

Sun

Multivitamin Zero o Monster Alarm, 10 x 200 ml, (100 ml = 0.14)

Grande scelta, piccoli prezzi

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di verdure, barattolo da 228 g, 7.04 invece di 8.80, (100 g = 3.08)

conf. da 3 20%

Pizze La Trattoria prodotti surgelati, alla mozzarella, al prosciutto o al tonno, per es. alla mozzarella, 3 x 300 g, 5.40 invece di 6.75, (100 g = 0.55)

conf. da 2 20%

Latte di cocco Thai Kitchen in confezioni multiple, bio o normale, per es. normale, 2 x 500 ml, 6.85 invece di 8.60, (100 ml = 0.69)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento di purea di patate Mifloc M-Classic per es. 4 x 95 g, 4.– invece di 5.–, (100 g = 1.05)

Tutta la pasta trafilata al bronzo M-Classic per es. conchigliette, 500 g, 1.56 invece di 1.95, (100 g = 0.31) 20%

conf. da 4 20%

5.60 invece di 7.–

Punte di asparagi bianchi M-Classic, in vasetto 4 x 110 g, (100 g = 1.27)

Con ripieno di funghi e ceci

20x CUMULUS Novità

12.95 Momos vegani Tenz prodotto surgelato, 280 g, (100 g = 4.63)

a partire da 2 pezzi 30%

Caffè istantanei Cafino (prodotti bio esclusi), per es. Classic, 550 g, 8.26 invece di 11.80, (100 g = 1.50)

Barrette proteiche e PowerGel Powerbar Vanilla Raspberry, Peanut Chocolate e Green Apple, per es. Vanilla Raspberry, 90 g, 3.95, (100 g = 4.39)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le noci e la frutta secca, Sun Queen (Sun Queen Apéro escluse), per es. noci di anacardi, 200 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 1.40)

Tutti i tipi di olive non refrigerate M-Classic (articoli Demeter e Alnatura esclusi), per es. olive nere spagnole, snocciolate, 150 g, 2.16 invece di 2.70, (100 g = 1.44) 20% 3.95 Chips Chiefs Sour Cream o Paprika, 80 g, (10 g = 0.49)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutti i tè e le tisane Messmer per es. melagrana egiziana, 50 g, 2.56 invece di 3.20, (10 g = 0.51)

3.50 Farmer Snacks Dark Chocolate Raspberry o Almond Chocolate, 120 g, (100 g = 2.92)

Per far brillare la casa

a partire da 2 pezzi 50%

Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 4.98 invece di 9.95, (100 g = 0.62)

Additivi per il bucato Total in conf. multipla o speciale, per es. panni Color Protect, 2 x 30 pezzi, 10.60 invece di 15.20

Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Wool & Silk in conf. di ricarica, 2 litri, 8.37 invece di 11.95, (1 l = 4.78) a partire da 2 pezzi 30%

Carta per uso domestico Twist Recycling, Classic o Deluxe, in conf. speciali, per es. Recycling 1/2 strappo, 16 rotoli 30%

11.75 invece di 16.80

Tessili per la cucina Kitchen & Co. per es. asciugamano da cucina in cotone biologico, 50 x 70 cm, 2 pezzi, 6.97 invece di 9.95 a partire da 2 pezzi 30%

13.95 invece di 20.93

Oxi Booster Total Color o White, in conf. speciale, 1,5 kg, (1 kg = 9.30) 33%

conf. da 3 33%

7.–

invece di 10.50

Tutti i detersivi Elan (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Spring Time, in conf. di ricarica, 2 litri, 6.48 invece di 12.95, (1 l = 3.24) a partire da 2 pezzi 50%

Mini deodoranti o sfere profumate Migros Fresh disponibili in diverse profumazioni, per es. Lime Splash

11.95

Detersivo per bucato Perwoll Colour per tessuti chiari 1,35 litri, (1 l = 8.85)

Per la freschezza e la protezione

6.75 invece di 9.–Dental Fluid Candida per es. Parodin, 2 x 400 ml, (100 ml = 0.84)

Prodotti per la cura del corpo e dei capelli I am in confezioni multiple, per es. shampoo Intense Moisture, 3 x 250 ml, 4.05 invece di 5.85, (100 ml = 0.54)

Fiori e giardino

Varie Bellezza naturale

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Taglia gli steli dei ranuncoli in diagonale con un coltello affilato prima di metterli nel vaso e riempi il vaso fino all'orlo con acqua fresca e conservante per fiori recisi. Rabbocca l'acqua tutti i giorni.

Ranuncoli disponibili in diversi colori, mazzo da 7, il mazzo 20%

11.95

invece di 14.95

9.90

Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 20, il mazzo

3.95

invece di 4.95

disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 60 cm, il pezzo 20%

Rose Fairtrade

10.–

Piante verdi disponibili in diverse varietà, Ø 17 cm, il vaso

a partire da 3 pezzi 33%

Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 6.53 invece di 9.75, (1 pz. = 0.27)

7.95

Calzini per bebè disponibili in diversi colori e motivi, tg. 10/14–23/26

Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Gourmet per es. Perle i piaceri del mare, 4 x 85 g, 3.96 invece di 4.95, (100 g = 1.16)

Il set da spiaggia per piccoli costruttori è disponibile anche con design animale

30%

5.57

invece di 7.95

Set di secchielli Zoo il set 30%

10.45 invece di 14.95

Prezzi imbattibili del weekend

30%

Tutto l'assortimento di giocattoli (articoli già ridotti esclusi), offerta valida dal 3.4 al 6.4.2025

40%

3.50 invece di 5.90 Scamone di manzo Black Angus M-Classic, al pezzo Uruguay, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 3.4 al 6.4.2025

30%

Chips Zweifel

175 g e 280 g, per es. Paprica, 175 g, 2.94 invece di 4.20, (100 g = 1.68), offerta valida dal 3.4 al 6.4.2025

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