Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio I comportamenti considerati tipicamente «femminili» e «maschili» sono definiti da fattori culturali e non dalla «natura».
Ambiente e Benessere I fattori psicosociali condizionano gli interventi di chirurgia spinale, ne parla la neurochirurga Dominique Kuhlen, viceprimario e responsabile Clinica di neurochirurgia ORL
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 22 marzo 2021
Azione 12 Politica e Economia Stati uniti: l’ambizioso piano di Joe Biden per cambiare la ridistribuzione dei redditi
Cultura e Spettacoli A Milano una mostra raccoglie le opere di donne che decisero di dedicare la vita all’arte
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di Amanda Ronzoni pagina 19
Pietro Castelli
Il mare, questo sconosciuto
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Myanmar, nazione incompiuta di Peter Schiesser Sette settimane dopo il colpo di Stato del 1. febbraio, la rivolta nel Myanmar mostra una resistenza inaspettata nonostante la sanguinosa repressione militare. Una popolo pacifico fronteggia un esercito che da 60 anni non ha mai ceduto il potere reale, nonostante il governo civile installatosi nel 2011, e intende difenderlo con le armi. Il presidente americano Biden ha definito la crisi in Myanmar un’emergenza nazionale per gli Stati Uniti e ha ordinato alla sua amministrazione di intraprendere i passi per congelare averi per un miliardo di dollari dei militari birmani negli Stati Uniti. Voci si sono levate anche per chiedere un embargo sulle armi. Nelle proteste per le strade delle città del Myanmar si innalzano striscioni con la scritta R2P (Responsibility to Protect), che invocano un intervento militare dall’esterno per ragioni umanitarie (come previsto dalla risoluzione dell’Assemblea dell’Onu del 2005). Ma la situazione non è facile. Per un intervento militare occorre che tutti i membri del Consiglio di sicurezza con diritto di veto siano d’accordo, e la Cina non lo sarà mai, vista la contiguità geografica con il Myanmar. L’unica eventual-
mente possibile è la via diplomatica. Probabilmente però non sotto guida americana, bensì di un paese del sud-est asiatico (si parla dell’Indonesia). Il problema di fondo è che il Myanmar è uno Stato nazionale incompiuto, perché i militari lo tengono sotto un pugno di ferro da 60 anni e perché i britannici ne hanno disegnato i confini senza tenere conto della miriade di etnie che lo popolano. La maggioranza Bamar popola storicamente la grande piana che da Mandalay scende fino a Yangon lungo il fiume Irrawaddy, attorno c’è una corona di territori montani che confinano con Bangladesh, India, Cina, Laos, Thailandia popolati da etnie con religioni, lingue e legami storici e culturali diversi, anche oltre frontiera. Nel 1947 Aung San, il padre della leader delle Lega nazionale per la democrazia Aung San Su Kyi, aveva raggiunto con i leader delle diverse etnie l’accordo di Panglong, che garantiva una vasta autonomia nelle regioni da loro popolate e la possibilità di diventare indipendenti dieci anni dopo se insoddisfatti con il potere centrale. L’assassinio di Aung San da parte di un rivale poco dopo congelò la situazione e quando i militari presero il potere nel 1962 varie etnie, impaurite, crearono le proprie milizie, confron-
tando l’esercito in una strisciante guerra civile mai veramente risolta (come si è visto anche nel 2017 con i Roinghya musulmani, ma anche nel nord del paese nel 2013 e nel 2015). Quanto delicato sia il rapporto con le minoranze, che rappresentano in totale quasi un terzo della popolazione, lo ha dimostrato anche il rifiuto di Aung San Suu Kyi (Nobel per la pace) di condannare le violenze dell’esercito contro i Rohingya. Quindi, di fronte alle proteste per la democrazia da parte della popolazione Bamar, le altre etnie stanno a guardare. La brutalità con cui l’esercito reprime i manifestanti è in linea con le tattiche adottate da decenni contro le etnie minoritarie: da anni l’Onu constata che i militari uccidono, violentano, saccheggiano, distruggono, restando impuniti. Tutto per mantenere la presa sul potere, che è poi essenzialmente potere economico. Gli alti gradi dell’esercito sono coinvolti in traffici di ogni tipo, e così lo sono le milizie dei vari gruppi etnici. Con alcune di esse sono in combutta nel traffico di oppio (il Myanmar è il secondo produttore mondiale), di giada e altre gemme. I proventi sono reinvestiti in attività legali, intossicando il sistema economico. Opprimendo il paese, i militari difendono le loro ricchezze e per farlo sono pronti a tutto.