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Food rules DIRITTO ALIMENTARE
Giudizi privati sulle aziende alimentari
Private judgements on food companies
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di Giuseppe Maria Durazzo
Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione
It occurs to any person who works with large companies to receive - sooner or later - an e-mail from the editorial staff of a magazine that deals with consumption and comparative tests; while announcing the imminent dissemination of the tests carried out on food, the person is asked if he/she has something to object on the laboratory analysis and judgments that might be published. However, there is a clear difference between private surveys and official surveys, the latter being the exclusive responsibility of certain institutional bodies. This article explains the potential difficulties that private surveys can cause the food industry.
LUCI E OMBRE DI UNA PRATICA SEMPRE PIÙ DIFFUSA MA PRIVA DI “UFFICIALITÀ” LIGHTS AND SHADOWS OF AN INCREASINGLY WIDESPREAD PRACTICE WITH NO “OFFICIAL” STATUS
Achi lavora con le grandi aziende è di sicuro capitato di ricevere, prima o poi, una email (in tempi passati una raccomandata) della redazione di un periodico che si occupa di temi di consumo e di test comparativi, che preannunziando l’imminente diffusione delle prove compiute sull’alimento del controllato, chiede se si abbia qualcosa da obiettare sulle analisi di laboratorio compiute e su taluni giudizi che saranno o potrebbero essere pubblicati. Come, immagino, sarà pure capitato di essere raggiunti da una telefonata o da una email del responsabile di una pubblicazione online o cartacea che preannunzia qualche esternazione del giornale su un prodotto che riguarda la tua impresa, così riscoprendo, talvolta, antiche conoscenze.
La critica alimentare e il suo valore
Ma il tempo corrente è pure quello delle applicazioni che giudicano la bontà o le caratteristiche nutrizionali degli alimenti,

indirizzando così i consumatori, o del sistema pubblico francese Nutri-Score che assegna un punteggio nutrizionale senza tenere in conto le dosi di consumo; è l’epoca dei tutorials degli innumerevoli “esperti” che discettano di alimenti con un atteggiamento spesso onnisciente, si parva licet, ingiustificato, per cui le aziende devono confrontarsi molto spesso con censori privati, simil tecnici e giudizi, spesso decontestualizzati, o frasi estrapolate poco condivisibili. Insomma, è esperienza comune il fatto che il settore della critica alimentare (o delle buone recensioni) non sia sempre trasparente, indipendente ed espressione di quella dialettica che anima ogni attività umana tipica di una società tendenzialmente libera. Lunghissima, ma spero utile, premessa per condividere la mia esperienza in questo settore e il fatto che la mia opinione su tante di queste attività di test e giudizi (chimici, sensoriali, nutrizionali, o in generale afferenti alla bromatologia, prove di cucina ecc.) degli alimenti, che avvengono nei confronti e talvolta contro le aziende alimentari, non sia sempre favorevole. Fatte salve le non poche attività meritevoli di essere riconosciute, se non altro, per il fervente impegno animato dall’onestà.
A chi spetta il controllo della produzione alimentare?
In questo contesto è interessante l’articolo pubblicato dal Sole 24 Ore il 12 ottobre scorso secondo il quale una nota associazione consumeristica avrebbe segnalato, con dieci denunce inviate a Procure e Antitrust, l’ipotesi che i test sui prodotti alimentari condotti da riviste ed editoriali violano le direttive Ue e nazionali (secondo il titolo dell’articolo) “in assenza di trasparenza e soprattutto di competenza, considerato che la legge assegna soltanto a determinati soggetti istituzionali come i Nas tali compiti”. Preciso che al momento in cui scrivo questa nota non conosco i casi specifici sollevati e le ragioni della numerosità delle denunzie, ma la notizia offre lo spunto per una riflessione di carattere generale. È evidente che le attività di chi critica (o loda) le aziende alimentari costituiscano a loro volta un settore economico o un mestiere, per cui chi critica (o loda) nell’“interesse” del consumatore ha, in molti casi, un suo proprio legittimo tornaconto diretto e indiretto non trattandosi, per la maggior parte, di pubblicazioni scientifiche universitarie o di istituti pubblici di ricerca. La domanda che mi pongo è se giuridicamente si possa affermare che la legge assegni soltanto alle istituzioni pubbliche taluni compiti di controllo della produzione alimentare. La materia dei “controlli ufficiali” nel settore alimentare è regolata dal Reg. (Ue) 2017/625. I controlli ufficiali,
NEL SETTORE ALIMENTARE I CONTROLLI UFFICIALI SONO DI COMPETENZA DELLE AUTORITÀ PUBBLICHE



ai sensi del suddetto Regolamento, sono effettuati dalle autorità competenti degli Stati membri (art. 1,1, a). Ma l’esclusiva riservata agli Stati membri concerne quei controlli, qualificati come “ufficiali”, che riguardano (art. 2, 1), a) “il rispetto da parte degli operatori delle norme del presente Regolamento e della normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2; b) che gli animali e le merci soddisfino i requisiti prescritti dalla normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, anche per quanto riguarda il rilascio di un certificato ufficiale o di un attestato ufficiale”. Risulta dunque pacifico che nessun privato che scriva o parli di alimenti, ad esempio nei video disponibili sul web o con servizi televisivi, lo faccia al fine rilasciare attestati ufficiali (come i certificati veterinari per la circolazione delle carni), per rinviare partite presentate ai confini esterni dell’Ue (articolo 72 del citato Regolamento), raccogliere i finanziamenti obbligatori per i controlli (articolo 79), prestando reciprocamente assistenza amministrativa con gli altri organi di controllo ufficiale (articolo 102), e soprattutto, nel quadro legale, applichi le sanzioni stabilite dagli Stati membri (articolo 139) adottando provvedimenti e misure opportune per assicurare che l’operatore interessato ponga rimedio ai casi di non conformità e ne impedisca il ripetersi (articolo 138, 1, a).
Differenze tra indagini di privati e degli organi ufficiali
Dalla natura e dall’interesse pubblico che supportano l’esistenza e l’azione degli organi di controllo ufficiale, consegue che essi debbano agire in un contesto di specifica legalità e legittimità che va ben oltre il normale quadro regolatorio della generalità delle attività umane a rilievo giuridico, visto che, ad esempio, comporta l’attività procedurale sanzionatoria sia amministrativa sia penale. Dal che la necessità che i fondamenti dell’attività di polizia amministrativa o giudiziaria siano portatori delle garanzie legali previste dal complesso delle norme processuali (ad esempio quelle penali). Indipendenza, competenza, diritti dei soggetti sottoposti al controllo, verifica delle attività di raccolta e formazione delle prove non sono, di conseguenza, lasciate alla libertà dell’agente operante il controllo ufficiale, ma regolate all’interno di norme sostanziali e procedurali, così come è riservata alla legge la determinazione dei limiti e degli obblighi che i controllori ufficiali verificano quotidianamente e che gli operatori alimentari si autocontrollano nell’ambito degli obblighi vigenti. In questo contesto, appare di tutta evidenza che il controllo ufficiale e le attività di scouting effettuate da privati a vario titolo nell’ambito generale della
L’INCHIESTA PRIVATA PUÒ PRODURRE EFFETTI POSITIVI MA ANCHE DANNI INGENTI ALL’OPERATORE ALIMENTARE



OCCORRE TUTELARE LA FILIERA ALIMENTARE DA FENOMENI DI CONCORRENZA SCORRETTA
tutela dei consumatori, risultino non solo obiettivamente diverse nei soggetti che le compiono, ma negli scopi e, soprattutto, nei mezzi e negli effetti che producono.
Gli effetti di un’inchiesta privata
Un’inchiesta privata può sollevare la pubblica attenzione e attivare un controllo ufficiale, ma sarà solo il controllo ufficiale che, nelle condizioni di legge, potrà concludersi, nel caso esistano le condizioni sostanziali e processuali, con una sanzione. L’inchiesta privata o l’attività di consiglio di consumo possono comportare sia effetti benefici sia danni anche ingenti all’operatore alimentare, ma agiscono principalmente influenzando fattori come il comportamento dei consumatori, la rete dei clienti, il valore stesso del marchio aziendale e, quindi, quello dell’azienda, a maggior ragione se quotata in borsa, o spingendo a controlli invasivi da parte dei controllori ufficiali con effetti pratici dannosi per l’impresa alimentare, ma non hanno il potere di determinare sanzioni: insomma, l’inchiesta o il giudizio svolti da un privato rientrano nell’ambito di un’attività ben distinta da quella riservata agli Stati membri. Rilevata la qualificazione che l’ordinamento alimentare determina in capo al controllo ufficiale e, quindi, l’evidente differenza rispetto a ogni altra azione di “controllo” effettuata dai privati, le attività diverse da quelle ufficiali trovano una tutela non solo nel diritto di cronaca, di informazione, di critica, ma anche di parola, di iniziativa economica, di associazione, di riunione ecc., neppure riservata in via esclusiva alla professione giornalistica e ai suoi obblighi, prerogative e tutele previsti dalla legge. Tanto è vero che anche un avvocato, per ragioni professionali o anche solo come cultore della materia, può scrivere di prodotti alimentari. Già in passato (Pasta & Pastai gennaio-febbraio 2020), nel generale disinteresse per il tema, ebbi a sottolineare che chi giudica le aziende alimentari con lo strumento della comunicazione, multimediale o non, lo debba fare con la necessaria onestà intellettuale, competenza e indipendenza, evidenziando almeno i fondamentali conflitti di interessi personali o di gruppo, per non rischiare fenomeni pericolosi che, a prescindere dallo specifico nomen juris che caso per caso può individuarsi, si possono configurare come collateralismo, patronaggio e comparaggio nelle più svariate forme che oggi la modernità offre più che in passato. Parlo di conflitti di interessi, almeno maggiori, visto che chiunque abbia competenza in questo settore o nel diritto alimentare ha certamente maturato esperienze specifiche, altrimenti non sarebbe specialista ma, nella migliore delle ipotesi, solo un teorico lontano dalla realtà della filiera. In questa prospettiva la difesa da parascienziati, da testimoni-attori in pubblicità occulte, o da persone (fisiche o giuridiche) non indipendenti che attacchino in maniera infondata, o semplicemente per propria utilità, l’operatore alimentare costituisce non certo una novità, ma comunque un impegno che nel tempo ha dovuto evolversi al pari di come si sono articolati ed evoluti gli attacchi. Le norme per sanzionare certi abusi esistono, ma la complessità dei casi impone sovente alle aziende un approccio difensivo articolato contro quelle che possono essere vere e proprie ingiuste aggressioni.
Tutelare consumatori e imprese alimentari
La testimonianza del consumatore che casualmente ha comprato solo il tuo prodotto, casualmente ha tenuto lo scontrino e altrettanto casualmente ha consumato nel pasto solo detto prodotto avvertendo sintomi che non hanno dato evidenze correlabili al consumo, oppure lamenti altri danni, ad esempio di tipo psicologico, per aver saputo che prodotti simili erano stati ritirati dal mercato, da cui la richiesta risarcitoria per l’ansia, o il teleimbonitore che spiega come il tal ingrediente diventa colla nello stomaco, da cui il malessere del consumatore, o l’uso di diffuse fobie alimentari (che prima che dal punto di vista nutrizionale avrebbero la necessità di un approccio psicologico o psichiatrico) utilizzate per orientare il consumatore, sono fatti di comune esperienza per chiunque ruoti nel mondo dell’alimentare. Come purtroppo non risulta estranea alla nostra realtà l’osservazione di come la caparbietà di talune inchieste trovi la











quiete solo dopo che una certa disposizione legale sia stata modificata, o un certo ingrediente venga messo al bando facendo aumentare l’uso di un altro più gradito, o dei supporti pubblicitari o consulenziali siano casualmente stati attribuiti a un certo gruppo di lavoro non lontano da chi ha condotto la campagna critica. La filiera alimentare va tutelata da fenomeni di concorrenza scorretta e da forme di pressione illecita o illegittima, operazione non sempre facile anche perché talvolta gradita da altri attori della filiera. Un altro elemento di rilievo è che, visto la loro notorietà, le aziende di norma hanno molto più da perdere da un’operazione di discredito rispetto a chi le porta avanti (oltre a essere più solvibili di coloro che si celano dietro gli apparenti segreti dell’informazione). Ciononostante, seppure nella complessità del sistema, che vede le aziende alimentari “controllate” da altri soggetti privati, complessità destinata ad aumentare a causa delle azioni di classe (le anglosassoni class action di cui alla L. 2019, n. 31), a mio parere sarebbe un errore non riconoscere come, nel quadro legale vigente, possano e debbano convivere interessi opposti come quelli sopra citati. Se l’alimentare e l’alimentazione sono ormai argomenti che coinvolgono salotti, web, tv, ma anche maître à penser, e non solo i soggetti pubblici o di ricerca, quasi ad assurgere a nuova religione universale che ingloba temi nutrizionali ed economici in quelli sociali, ambientali, etici, geostrategici, non stupisce che da tempo si incontrino anche fenomeni, non sempre positivi, oggetto della citata e opinabile denunzia dell’associazione dei consumatori. Ma un sistema giuridico e sociale complesso, nell’evidente rispetto della legalità, deve tutelare - almeno questo è il mio pensiero - sia i pesi sia i contrappesi.

Giuseppe Maria Durazzo
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