Antichi Sentieri

ANTICHI SENTIERI

ANTICHI SENTIERI

La pubblicazione è stata realizzata dall’Associazione Culturale Ottovolante Sulcis nell’ambito del progetto “A Sant’Antioco per Antichi Sentieri”, cofinanziato dalla Fondazione di Sardegna.

A cura di Claudio Rosa e Filippo Lorrai Ideazione, testo, illustrazioni: Paolo Franco Balia Revisione testi: Filippo Lorrai e Zoretta Massa Grafica e impaginazione: Claudio Rosa

www.antichi-sentieri.com

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Ridente sovra un colle il borgo giace, di florida isoletta ad orïente, tra viti rigogliose, in suol ferace, che verso il mar pianeggia dolcemente.

Sui ruderi, già spenti, di cittade un dì fiorente e ricca molto, ei sorse, dappoi che queste fertli contrade, dal Saracen crudele furon corse.

Michele Caracciolo, “Il villaggio di Sant’Antioco” (1919)

Nulla è in grado di trasmettere la conoscenza dei luoghi come il percorrerli a piedi. Camminare lentamente permette di conoscere, osservare, ascoltare e sentire: tutti i nostri sensi sono coinvolti in questo semplice gesto di cui la Natura ci ha fatto dono. Vi invitiamo a scoprire l’Isola di Sant’Antioco, i suoi suoni, i suoi profumi e un po’ della sua storia.

In passato la geografia dell’isola era molto diversa da quella attuale: oggi Sant’Antioco è unita alla Sardegna da un lungo istmo artificiale, sul quale è stata costruita una strada di accesso permanente.

Le carte militari dell’inizio del XIX secolo ci mostrano che al tempo Sant’Antioco era separata dall’isola madre, e che al posto dell’istmo c’era una serie di lagune e isolotti; alcuni di questi erano connessi tra loro da ponti di epoca romana, che consentivano il transito via terra.

Nell’area oggi occupata dalle Saline, invece, gli isolotti erano separati e delimitavano le lagune, che ospitavano delle peschiere: è facile immaginare l’importanza che queste dovevano avere per gli abitanti della zona. In seguito, il territorio è stato completamente modificato con la costruzione di un gran numero di vasche, chiuse da argini e alimentate con l’acqua marina, per la produzione del sale.

Questa serie di canali è collegata allo stagno di Porto Pino, località conosciuta per le dune di sabbia bianchissima e per i boschi naturali di pino d’Aleppo.

Fonte: Archivio Storico di Sant’Antioco

I

Chi arriva a piedi o in bicicletta da Porto Pino trova accesso all’Isola di Sant’Antioco passando per la spiaggia di Porto Botte, frequentata dagli appassionati di kite-surf per via della sua favorevole esposizione ai venti di maestrale e scirocco. Il sentiero si snoda su una lingua di terra che da un lato costeggia il mare e dall’altro la vecchia peschiera di Palmas, oggi delimitata da argini e collegata alle Saline tramite dei canali.

In questo tratto il percorso è reso piacevole dalla ricca avifauna marina, composta soprattutto da fenicotteri, anatre e gabbiani. La flora comprende diverse specie palustri: salicornie, giunchi, ginestre ed erbe stagionali, ricchissime di fioritura in primavera.

Insieme al profumo del mare, il suono delle onde e del vento ci accompagnano sino alla foce del Rio Palmas: questo corso d’acqua oggi è interrotto dalla diga di Monte Pranu, che sorge più a monte, nel comune di Tratalias. Per gran parte dell’anno la foce è invasa dal mare in entrata: in caso di piogge molto abbondanti l’acqua della diga viene liberata, e solo allora il fiume riacquista tutta la sua forza e la sua bellezza.

Risalendo il Rio Palmas si incontra il ponte canale, costruito per far scorrere le acque provenienti dallo stagno di Porto Pino: sospinte dalle idrovore, attraversano il ponte e vanno ad arricchire i canali che alimentano le vasche per la produzione del sale, sull’altra sponda del fiume.

Il ponte, costruito negli anni sessanta, è facilmente attraversabile a piedi o in bicicletta e si affaccia su un paesaggio suggestivo. La foce del fiume, un tempo molto pescosa, ospita una piccola spiaggia.

Attraversando il ponte si entra nel territorio delle Saline: un ambiente completamente antropizzato, fatto di un susseguirsi di vasche e di canali. Il sale, estratto dai bacini a seguito dell’evaporazione dell’acqua, viene ammassato in grandi cumuli, in attesa delle successive fasi di lavorazione. Queste montagne di sale, visibili anche a grande distanza, sono le protagoniste del paesaggio.

Mattia Barbata - Tracciati 39°03’46.5”N 8°29’37.7”E Pagina precedente: James Beghelli - Confine (parte della serie “Segni impressi”)

Nonostante l’intervento umano abbia trasformato profondamente la geografia, la natura ha reclamato a sé l’ambiente delle Saline, che deve il suo fascino a questo connubio. Le vasche ospitano colonie di artemia salina, un piccolo crostaceo di cui i fenicotteri sono ghiotti e che dà il caratteristico colore rosa al loro piumaggio. A causa di questo crostaceo, l’acqua delle vasche si tinge di un rosso che diventa più intenso all’aumentare della salinità.

Dopo aver superato le montagne di sale ci troviamo davanti all’Isola di Sant’Antioco; percorriamo una lunga linea di terra che collega tutti gli isolotti un tempo esistenti in questa area.

Il vento, il rumore del mare e il profumo delle erbe palustri ci accompagnano nel cammino. Alla nostra sinistra vediamo in lontananza le isole della Vacca e del Toro, poste a sud del tratto di mare compreso tra la costa sudoccidentale della Sardegna e la costa orientale di Sant’Antioco: il Golfo di Palmas.

Su questi litorali, in passato, la palma nana era tanto diffusa da indurre i navigatori a battezzare il luogo “golfo delle palme”.

Si tratta di uno dei bacini più grandi e riparati del Mediterraneo, e per secoli ha fatto da approdo per le navi. È qui che, nel 1323, l’esercito aragonese sbarcò per prendere possesso della Sardegna: l’armata contava 53 galere e 11000 uomini al seguito dell’infante Alfonso, figlio di Giacomo II d’Aragona.

Mattia Barbata - Tracciati 39°03’37.0”N 8°28’46.3”E Pagine seguenti: Rita Deidda - Incontri

Nella geografia attuale il golfo è attraversato dal 39° parallelo, che passa per le rocce di Monte Sarri e poi raggiunge l’isola all’altezza della località Su Forru a Macchina. In passato, nello stesso golfo passava il “parallelo di Rodi”, come si può vedere nelle carte basate sugli studi di Eratostene, nato a Cirene nel 276 a.C. e per anni direttore della Biblioteca di Alessandria.

Eratostene creò il primo sistema di coordinate di cui si abbia notizia: una griglia di paralleli e meridiani per determinare una posizione. Il suo “parallelo zero” toccava l’Isola di Rodi, Atene e le Colonne d’Ercole (Gibilterra) passando per lo stretto di Messina e l’estremo sud della Sardegna. È affascinante pensare che questa linea sia stata tracciata seguendo le rotte dei navigatori dell’epoca.

Continuiamo il nostro percorso, immersi nella bellezza di un ambiente magico creato dall’uomo e dalla natura. Le acque del golfo ospitano ricche colonie di Pinna nobilis: si tratta di un grosso bivalve da cui viene estratto il bisso, un filamento pregiato che le tessitrici chiamano “seta del mare”. I veri protagonisti del paesaggio, però, sono i fenicotteri, con i loro voli colorati ed eleganti.

Al termine della strada che attraversa le Saline ci troviamo a ridosso di Sant’Antioco: l’accesso all’isola è consentito da un ponte di recente costruzione, che costeggia il vecchio ponte romano ancora intatto. Una volta arrivati in paese, non possiamo che consigliarvi una visita al centro abitato, una sosta o un breve soggiorno.

Uno dei luoghi di maggiore interesse dell’abitato è la Basilica costruita in onore di Sant’Antioco Martire, che secondo la tradizione visse nelle catacombe sottostanti la chiesa e lì morì nel 125 d.C. ll corpo originario dell’edificio, poi modificato con interventi successivi, risale al VI secolo. La visita può proseguire al Villaggio Ipogeo, fatto di grotte scavate nel tufo che furono usate da Fenici, Punici e Romani come sepolture e, in tempi più recenti, dalla popolazione locale come abitazioni. Per completare il percorso non può mancare una tappa al Museo Archeologico “Ferruccio Barreca” e al tophet, luogo sacro dei culti fenicio-punici.

II

Ripartendo dal porto verso meridione, costeggiamo da un lato i pontili privati e i capannoni per il rimessaggio delle piccole imbarcazioni, e dall’altro un’area, oggi deserta, che in passato ospitava un’industria per la produzione dell’ossido di magnesio. Qui la natura sta faticosamente recuperando i suoi spazi, come testimoniano i numerosi e profumatissimi cespugli di elicriso.

Percorriamo un argine che attraversa una zona paludosa, dove solo periodicamente si forma un tratto di spiaggia collegato al porto. Raggiungiamo così una serie di piccoli stagni: questa zona è chiamata Sa Punta de s’Aliga a causa dei grossi cumuli di alghe che vi ammassavano. Il percorso si ricongiunge con la spiaggia di Is Pruinis in un’area tipicamente paludosa, ricca di giunchi e di salicornie.

James Beghelli - Confine (parte della serie “Segni impressi�)

Gli uccelli marini contribuiscono a rendere il percorso suggestivo: è possibile scorgere avocette, cavalieri d’Italia, garzette, aironi e cormorani, oltre alle folte colonie di fenicotteri. Il sentiero continua sulla spiaggia, in un territorio peculiare e fragile: qui l’intervento umano è stato molto invasivo, e solo con il tempo la natura riuscirà a ripristinare un equilibrio.

Dopo circa 3 km la spiaggia termina sulla scogliera bianca di Su Forru a Macchina: il nome di questa località deriva dalla presenza del primo forno meccanizzato per la produzione della calce costruito sull’isola. A Sant’Antioco infatti si trovano molte rocce bianche ricche di calcare; nel nostro tragitto incontreremo spesso i forni per la calce (dalla forma simile a quella di un piccolo nuraghe), che venivano alimentati dalla legna di lentisco, tipico arbusto della macchia mediterranea.

James Beghelli - Confine (parte della serie “Segni impressi”) Pagina seguente: Mattia Barbata - Tracciati 39°00’06.9”N 8°26’41.4”E

Superata la spiaggia, torniamo sulla strada comunale, che costeggia un promontorio di rocce bianche e piccole insenature, ideali per una breve sosta e per immergersi nelle acque del golfo.

Una volta superata la scogliera, arriviamo in località Maladroxia: in passato era un insediamento di case basse abitate saltuariamente da pescatori, oggi invece è un borgo a prevalente vocazione turistica. Sulla sommità della collina che domina la baia, e da cui si scorge un ampio tratto del golfo di Palmas e delle terre circostanti, incontriamo il primo nuraghe del nostro percorso, chiamato S’Ega de Marteddu. Era un edificio complesso, composto da quattro torri, e nonostante oggi sia parzialmente crollato conserva intatto il suo fascino.

Terminata la visita archeologica, è possibile fermarsi sulla spiaggia, dove – a breve distanza dalla battigia – scorre una vena di acqua termale: utilizzata sino agli anni sessanta, oggi scorre liberamente in mare e offre ristoro a chi vi si immerge.

Giampaolo Parrilla - Stanza – Fluttuazione I 38°58’00.7”N 8°24’38.6”E Foto: Rita Deidda Video:

III

Oltre la spiaggia di Maladroxia e il promontorio che la delimita, il cammino prosegue su una scogliera di rocce bianche chiamata Su Mussareddu; ci immergiamo nella natura rigogliosa di ginepro fenicio, che con l’intensità della sua fragranza resinosa e del suo colore ricopre l’intera collina. Procediamo accompagnati dalla brezza del mare, mentre in lontananza scorgiamo di nuovo gli isolotti della Vacca e del Toro, veri protagonisti del paesaggio del golfo. La vegetazione comincia a diradarsi quando arriviamo vista della spiaggia di Coequaddus e inizia la discesa dalla collina. Qui, in primavera, è caratteristica la fioritura di piccoli iris, gladioli, aglio selvatico e orchidee spontanee.

Lungo la discesa vediamo alcuni forni per la calce, oggi in abbandono. Mentre ci avviciniamo al mare, fanno la loro comparsa i cespugli di elicriso, profumatissimi e ricchi di oli essenziali. La spiaggia di Coequaddus merita una piacevole sosta: grazie alle sue acque basse e temperate è una meta particolarmente apprezzata nei mesi estivi.

Il percorso prosegue sulla strada comunale: il tracciato è quello realizzato dai militari durante la Seconda Guerra Mondiale per raggiungere le postazioni antiaeree all’estremo sud dell’isola. La strada si insinua come un serpente adattandosi all’andamento delle colline che digradano verso il mare. Qui il profumo caratteristico è quello pungente del lentisco, che insieme all’olivastro domina la macchia mediterranea di questa zona.

Abbondante in tutta l’isola, in autunno il lentisco produce delle piccole bacche, prima rosse e poi nere una volta mature; da queste bacche si produceva un olio dal profumo intenso, chiamato “olio dei poveri” perché chiunque poteva produrlo. Oggi è particolarmente ricercato per usi alimentari ed erboristici.

Risalendo dalla spiaggia, di fronte a noi si apre uno scenario di rara bellezza: sullo sfondo, davanti agli isolotti della Vacca e del Toro, si scorge la sagoma di una torre costiera, ed è proprio quella la nostra prossima meta.

Progettata per la difesa dell’isola, ancora oggi Torre Canai offre al viaggiatore una magica vista sull’ingresso del golfo e ci accoglie con la sua statica bellezza. In passato, era proprio nel golfo di Palmas che arrivavano i pericoli maggiori per gli abitanti della zona: le incursioni dei pirati saraceni, che attaccavano le coste per procurarsi schiavi e bottino. Pensata già in epoca spagnola per far parte della rete di difesa costiera della Sardegna, la torre venne costruita nel 1757 su iniziativa dei Piemontesi, che nel frattempo avevano assunto il governo della Sardegna. Oggi l’interno dell’edificio è visitabile, e durante l’anno il sito ospita manifestazioni culturali di pregio.

James Beghelli - Confine (parte della serie “Segni impressi”) Pagine precedenti: Rita Deidda - Incontri

Alessandra Sarritzu - Percezione di un paesaggio, esercizio n. 1

aRE wE iN dANGER? #018 Experimental Music Paths 16.08.2019, Torre Canai - Sant’Antioco 38°58’05.6”N 8°26’34.5”E Live Danilo Casti:

Live Sanātana:

IV

Proseguiamo lungo la costa, fatta di insenature e scogliere di origine vulcanica dove periodicamente si formano spiaggette di rara bellezza. Torniamo sulla strada comunale e la percorriamo per alcuni chilometri; arrivati all’altezza del villaggio turistico Peonia Rosa, vediamo in lontananza l’estremità meridionale dell’isola. Lasciamo la costa e risaliamo su quella che un tempo era la vecchia strada percorsa dai carri per raggiungere le case agricole, molto diffuse in questa parte dell’isola.

Risalendo questo sentiero impervio, non possiamo non riflettere sull’estrema difficoltà a cui andavano incontro gli animali da tiro nel trasportare il raccolto del grano, che veniva seminato in questi terreni aridi e sassosi. Sino a 30-40 anni fa, in queste proprietà erano attive le fattorie chiamate medaus, abitate da persone che lavoravano queste terre estreme: coltivavano grano e allevavano animali adatti a vivere nutrendosi di erbe e arbusti spontanei. Questi insediamenti, oggi, sono in gran parte abbandonati; altri sono stati inglobati in strutture più recenti, solo in alcuni casi rispettose dell’architettura originaria. Uno degli esempi più notevoli di queste forme abitative è il medau Brau che, seppure in rovina, conserva ancora il suo fascino grazie alle sue linee costruttive e ai suoi spazi esterni, circondati da muri a secco.

Mattia Barbata - Tracciati 39°03’12.8”N 8°32’22.5”E Pagina seguente: Giampaolo Parrilla - Stanza – Fluttuazione I (dettaglio) 38°58’00.7”N 8°24’38.6”E

Durante la salita, lo scenario che si apre davanti a noi è fatto di natura aspra, mare e profumo di lentisco, mentre sempre più chiaramente si staglia sullo sfondo l’isolotto del Toro: è un luogo molto adatto alla nidificazione di rapaci, come il falco della regina (Falco eleonorae). Secondo una leggenda che veniva raccontata ai bambini, il Toro e la Vacca erano i due massi che Polifemo, accecato, lanciò verso la nave di Ulisse che fuggiva dall’Isola dei Ciclopi. Tutte le isole del Mediterraneo sono impregnate di mitologie con cui gli abitanti hanno convissuto per millenni; grazie ai racconti orali queste terre hanno conservato il loro fascino, prima che la nuova civiltà incrinasse il nostro millenario rapporto con l’ignoto.

Arrivati alla fine della salita, incrociamo la strada che porta al Semaforo. Entrato in funzione nel 1914, era una struttura della Marina militare dotata di un’antenna per le trasmissioni radio. Utilizzato a scopi bellici anche durante la Seconda Guerra Mondiale, ha ospitato reparti della Marina sino agli anni sessanta, per poi essere abbandonato. Oggi è semidistrutto a causa dell’incuria e del vandalismo, ma è ancora un luogo ricco di fascino; attorno alla costruzione principale collina si trovano i ruderi delle vecchie caserme. Il fabbricato è stato come la poppa di un vecchio veliero, dove trovavano posto le cabine di comando e il ponte di cassero; l’edificio guarda a sud e ha una meravigliosa vista sul mare aperto e sulle coste frastagliate di Portu Sciusciau, una delle nostre prossime tappe.

Dopo la visita al Semaforo, torniamo sui nostri passi per avviarci verso la piccola pianura sottostante: qui incontriamo un piccolo agglomerato di case, alcune delle quali conservano ancora le vecchie linee costruttive di cui abbiamo parlato in precedenza; gli edifici più recenti, invece, hanno modificato l’assetto dell’insediamento agricolo.

Il percorso continua in direzione della pianura di Crisionis, che prende il nome dalla forma degli ulivastri modellati dal vento di maestrale. Negli anni compresi tra il 1960 e il 1990, parecchi ettari erano coltivati a vite per la produzione del carignano; oggi, con l’abbandono delle vigne, si è tornati a produrre foraggio per l’allevamento degli animali.

Sofia Córdoba - Esercizio (dettaglio) 39°04’46.1”N 8°29’06.6”E

Sofia Córdoba - Esercizio 39°04’46.1”N 8°29’06.6”E Foto: Isabella Calabrò Video:

Laboratorio Rayografia 06.07.2019, Torre Canai - Sant’Antioco 38°58’05.6”N 8°26’34.5”E

V

Una strada di ciottoli ci conduce verso sud-ovest, in direzione del laghetto di Grutt’i Acqua. Il sentiero, circoscritto da due muri a secco, inizia all’interno di un vecchio medau in abbandono e ci conduce sino alle rovine del villaggio nuragico. La vegetazione è ricca di lentisco e ginepro fenicio, ma le vere protagoniste del paesaggio sono le palme nane, che in alcuni casi raggiungono dimensioni ragguardevoli.

Incontriamo i resti del pozzo sacro, che presenta tutte le caratteristiche tipiche dei pozzi di età nuragica: l’architettura preistorica produce un legame affascinante tra l’acqua, la terra e il cielo. Proseguendo verso l’interno, su un sentiero sempre più ricco di flora, arriviamo al laghetto. Colpisce immediatamente la bellezza di questo luogo, incastonato tra colline di rocce lavorate dal vento dalle forme suggestive e di piccole grotte naturali, adatte al riparo di uomini e animali. Il laghetto è spesso reso ancora più bello da una piccola alga galleggiante, la “lenticchia d’acqua” (Lemna minor), il cui aspetto è quello di un tappeto verde sulla superficie; in autunno, il colore di questa pianta vira verso un rosso intenso.

Il silenzio è profondo, il profumo della resina molto pungente e il luogo è impregnato di una magia speciale, come un invito alla meditazione.

Risaliamo la collina dopo aver attraversato un tratto di macchia alta che ci suggerisce come dovessero apparire i boschi primari tipici dell’isola, fatti di ulivastri, mirti e palme nane.

Vediamo tra le rocce una cisterna per l’acqua e un’ulteriore costruzione dell’epoca; seguiamo i gradini che dal sentiero portano al torrione centrale del nuraghe che dominava il villaggio, ridotto ormai a un cumulo di massi che ne custodiscono i misteri.

La vista ci ripaga della fatica necessaria per arrivare in cima.

Come la maggior parte dei nuraghi, quello di Grutt’i Acqua è costruito in una posizione strategica che domina il territorio circostante ed è in comunicazione visiva con altri nuraghi, posti sulle colline vicine. Su quale fosse l’uso di queste costruzioni esistono diverse teorie, nessuna delle quali esauriente. È certo però che formino una rete di punti visibili tra loro, e che questi punti consentono una capillare osservazione del paesaggio. Studi recenti suggeriscono che le posizioni e gli allineamenti dei nuraghi siano legati allo studio dei fenomeni astronomici.

Alessandra Sarritzu - Percezione di un paesaggio, esercizio n. 1 (dettaglio) Pagina precedente: Mattia Barbata - Tracciati 38°58’47.5”N 8°24’32.6”E Pagine seguenti: Rita Deidda - Incontri

Dopo questo magico incontro con la civiltĂ nuragica, riprendiamo il cammino dirigendoci verso la costa e le scogliere di Portu Sciusciau e la Grotta delle Sirene. Ci lasciamo alle spalle il pozzo sacro e, superata la collina, scendiamo verso il mare.

La vegetazione, inizialmente rada, si fa sempre piÚ fitta, sino a creare dei veri e propri boschi di ginepro. Questa pianta, rigogliosa e profumatissima, è qui dominante sulle altre specie vegetali.

Una volta giunti sul pianoro che porta alla scogliera, la macchia bassa si arricchisce di rosmarino, ginestrelle, iris selvatici e, in primavera, alcune specie di orchidee. Arriviamo sulla costa, in un paesaggio di scogliere altissime: il profumo del rosmarino si mescola a quello del vento e del mare, e la natura esprime tutta la propria forza. Da queste scogliere si osservano spesso dei magnifici tramonti: il sole, seguendo il suo regolare percorso, si immerge in mare a sud dell’Isola di San Pietro.

Proseguendo in direzione nord ci imbattiamo in un paesaggio incontaminato, privo di strade percorribili in auto, e dove la presenza umana è quindi molto limitata. La meta è la tomba dei giganti in località Su Niu de su Crobu (“il nido del corvo”), nome dovuto alla nidificazione di numerosi rapaci nelle colline circostanti, formate da rocce dalle forme suggestive. Si arriva così alla tomba dei giganti, monumento di età nuragica dalla forma a testa di toro; il semicerchio di massi che delimita l’esedra rappresenta le corna. La tomba ha una camera stretta e lunga: da qui la leggenda che l’isola fosse abitata da giganti, e che lì venissero sepolti. In realtà erano comuni tombe che contenevano un gran numero di corpi, forse utilizzate dalle famiglie più importanti della comunità.

In mezzo alla macchia, all’interno di una piccola collina isolata, si trova una arcaica domus de janas, luogo di sepoltura di epoca prenuragica. Sulla costa occidentale e verso l’interno dell’isola, lontano dal mare, si distendono altri sentieri, altri paesaggi suggestivi da raggiungere in una prossima esplorazione, per godere della bellezza dei luoghi e dei profumi della natura.

aRE wE iN dANGER? #018 Experimental Music Paths 16.08.2019, Torre Canai - Sant’Antioco 38°58’05.6”N 8°26’34.5”E Live j/mve:

video:

La documentazione visiva a corredo del testo è l’esito della residenza artistica di “Antichi Sentieri”, a cura di Claudio Rosa, svoltasi a Sant’Antioco nel settembre 2019.

Le descrizioni dei progetti artistici sono opera dei rispettivi autori.

I rayogrammi sono stati realizzati durante il laboratorio di rayografia, a cura di Chiara Caredda, tenutosi a Torre Canai - Sant’Antioco, nel luglio 2019.

Le foto introduttive ai capitoli sono di Claudio Rosa: gli oggetti raffigurati sono stati trovati lungo la costa nel corso di visite ai luoghi descritti nel testo.

Alessandra Sarritzu - Percezione di un paesaggio, esercizio n. 1 - Cianotipia e pittura su tela Durante la permanenza sull’Isola di Sant’Antioco ho cercato di confrontarmi con i paesaggi di questo territorio per creare una narrazione connessa alla mia personale visione di questi ultimi.

L’opera è costituita da immagini trasformate e alterate attraverso la pratica e da procedimenti chimici utilizzando la tecnica della cianotipia. E’ un processo fatto di attese in camera oscura, di reazioni chimiche e di sovrapposizioni. Vi è poi un ulteriore passaggio fatto di pigmenti e fluidi organici, in questo modo l’immagine si allontana dal tipico tono blu artificioso che caratterizza la cianotipia. Il lavoro è un tentativo di salvare un frammento di realtà, propagandone l’esperienza nel tempo e avvolgendolo dell’impressione misteriosa del ricordo sbiadito, essendo questi, luoghi a me familiari. La serie fotografica-pittorica congela la rappresentazione in una dimensione artistica, separata dal naturale scorrere del tempo.

Rita Deidda - Incontri - Fotografia Ho scoperto le superfici ruvide del paesaggio, quelle che si prestano all’azione del tempo, che si fanno modificare dagli agenti atmosferici, che si mischiano ai colori del loro sfondo.

Allo stesso modo ho scoperto le anziane guide del paese di Sant’Antioco, che con la loro esperienza hanno solcato sentieri ben prima che molti di noi arrivassero qua. Questi sentieri sono evidenti sulle loro mani, luoghi metaforici e non di un trascorso del quale per noi è possibile vedere solo la superficie.

Mattia Barbata -Tracciati - Fotografia Le fotografie sono il risultato dei percorsi battuti in questi giorni di esplorazioni e di indagini svolte in solitaria. Le carrettiere conducono a punti di ristoro, edifici abbandonati, resort che raccontano vecchie vacanze; la centrale elettrica di Santa Caterina, industria ridotta a un rudere; nuraghi che dominano il paesaggio dall’alto. Tutti questi posti sono collegati da un unico bisogno, l’acqua, che disseta chi li percorre e custodisce la memoria di culti arcaici.

Percorsi che si districano lungo il territorio al ritmo dell’acqua, che traccia i confini e diventa sacra.

Sono sentieri della fame e della sete, che fanno pesare i confini del territorio e che mostrano una natura vanitosa, percorsi sacri sorvegliati da antiche divinità. Sulle colline trovi i sogni di storie tristi e di tesori abbandonati, che ancora resistono.

James Beghelli - Confine (parte della serie “Segni impressi”) - Fotografia e pittura Due luoghi ed un oggetto di confine per rappresentare l’impatto dell’uomo sul territorio.

Un percorso visivo che parte dalla ricerca di immagini ed ambienti in cui è l’intervento umano ad essere confinato dalla natura e non l’inverso.

Le saline, come i ruderi, sono opere artificiali che devono convivere e rispettare l’ambiente che li circonda. La rete, con cui l’uomo cerca di delimitare lo spazio, è bucata, simbolo dell’eterno tentativo di comandare e delimitare la natura.

Giampaolo Parrilla - Stanza - Fluttuazione I - Acrilico olio e matite su muro, dimensione ambientale Questo popolo è inconsapevolmente leggero, etereo. Fluttua nella storia e tra i luoghi, sospinto più dal vento che dalla volontà. Ama nascondersi tra le rocce, sfuggire fra le frasche, immergersi, scorrere.

Come in un ciclo continuo (rappresentato dalla stanza) ha momenti di apice e caduta, nascondimento e calma.

E’ ricordato l’uso di cantar sulla cetra, per turno, ogni invitato tenendo, mentre cantava, un ramoscello di mirto che poi passava a chi dovea cantar dopo di lui. “Scolli” si dicevano tali canti, fossero già noti e popolari e ripetuti, o improvvisati lì per lì.

Fra i più graditi erano gli indovinelli ed erano di questo genere: Quale animale vive in terra, in mare, in cielo? E si rispondeva: cane che è quadrupede, pesce, costellazione. – Oppure si diceva a significar l’anno, i mesi, i giorni. Uno solo è il padre, dodici i figli, e ciascuno ne ha trenta di duplice aspetto, bianchi da una parte e neri dall’altra. Pur essendo immortali, tutti periscono.

Sofia Córdoba - Esercizio - Video Un esercizio di osservazione e riflessione di un luogo sconosciuto per identificare punti in comune con il passato e con il presente.

Un’antica base militare distrutta, una struttura inutile, un grande spazio in disuso; resti di un’ideologia bellica che ancora cerca una propria verosimiglianza. Quei discorsi su una civilizzazione promessa, vendere la libertà a costo della morte, sottomettere gli altri e avvelenare la terra.

Non è la guerra la misura e l’espressione in grande scala dello sviluppo economico avanzato?

Finito di stampare nel febbraio 2020.

Copia n. ___ / 150