ASA Magazine 6 - Luglio 2018

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ASA Magazine Anno 2 – Numero 6 – Luglio 2018 – Rivista bimestrale

LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino

La terra fa buon sangue Intervista a Marcello Masi, conduttore dei programmi televisivi RAI “Linea Verde Sabato” e “Signori del Vino”

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ASA MAGAZINE n. 6 / 2018 – Luglio 2018 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N. 6 / LUGLIO 2018 Rivista Bimestrale

Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com

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Comitato di Redazione e Controllo

Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino

Hanno collaborato a questo numero

Roberto Rabachino, Alice Lupi, Paolo Alciati, Francesco Bruzzese, Silvana Delfuoco, Carmen Guerriero, Carlo Ravanello, Nicoletta Curradi, Leonella Nava, Jimmy Pessina, Giovanna Turchi Vismara, Franca Dell’Arciprete Scotti, Riccardo Lagorio, Settimia Ricci, Sonia Re, Nicola Masiello, Redazione Centrale

Per la fotografia

Carmen Guerriero, Jimmy Pessina, Al Rocol, APCI


Sommario EDITORIALE L’agricoltura sostenibile e biologica è migliore di quella tradizionale a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA

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APPROFONDIMENTO La terra fa buon sangue. Intervista a Marcello Masi di Alice Lupi

Bocuse d’Or Europe, a Torino un autentico dominio scandinavo di Paolo Alciati

Il mercato dell’olio extra vergine di oliva in Italia di Francesco Bruzzese

Il Consorzio del Prosecco DOC si rinnova nel segno della continuità a cura di Paolo Alciati

A casa atletica italiana le eccellenze agroalimentari corrono con gli azzurri Luigi Veronelli: un Maestro alla Fondazione Cini di Silvana Delfuoco

Placido-Volpone, debutto in grande stile per una Puglia tutta da bere di Carmen Guerriero

Lungo la Via della Seta di Carlo Ravanello

Le Marche nel calice: il territorio svelato attraverso i suoi vjtigni di Nicoletta Curradi

Fuori i neonicotinoidi dai nostri piatti! a cura Redazione Centrale

Un sorso di Valle d’Aosta di Leonella Nava

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BIO Secondo AIAB ci sono troppi pesticidi ed è giunta l’ora di separarci da un modello di produzione distruttivo di Roberto Rabachino

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TURISMO NAZIONALE Eolie, sole mare e cultura di Jimmy Pessina

Il fascino di degustare vini in una cantina del 1200 a Siena di Paolo Alciati

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Montagnana, una perla medievale nella campagna veneta e i suoi prodotti DE.C.O di Giovanna Turchi Vismara

Istat, 2017 boom per turismo nei borghi a cura Redazione Centrale

TURISMO INTERNAZIONALE

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Varsavia: la storia è qui! di Franca Dell’Arciprete Scotti

Perù, storia di un viaggio tra cultura e tradizione di Jimmy Pessina

Hall in Tirol: monete, sale e cristalli di Franca Dell’Arciprete Scotti

L’altra Creta: viaggio slow nell’isola delle emozioni di Carmen Guerriero

AGROALIMENTARE NAZIONALE

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Il Franciacorta, dove la bellezza si sposa con la qualità di Riccardo Lagorio

La carne di coniglio, una valida alternativa di Settimia Ricci

I “Rubini di Corbara”, eccellenza campana tutta da assaporare! di Carmen Guerriero

La Valle del Gigante Bianco 2018 di Nicola Masiello

AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE

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Terra Madre Salone del Gusto 2018 a cura Redazione Centrale

NEWS DALL’ITALIA

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20 anni di noi. Festeggiamo come nelle famiglie più affiatate! a cura di Sonia Re per APCI

NEWS DAL MONDO

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La biodiversità e l’agricoltura, i numeri a cura Redazione Centrale

Al via il progetto europeo MADRE - Metropolitan Agriculture for Developing an innovative sustainable and Responsible Economy a cura di Gladys Torres Urday


L’agricoltura sostenibile e biologica è migliore di quella tradizionale L’agricoltura sostenibile ha un minore impatto sul pianeta, contrasta i cambiamenti climatici ed è conveniente anche dal punto di vista della redditività.

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prodotti coltivati secondo i dettami dell’agricoltura sostenibile e biologica sono buoni, hanno un impatto positivo sul nostro organismo e sono redditizi per chi li coltiva. Nonostante ciò le terre coltivate in maniera biologica rappresentano solo l’un per cento dei campi in tutto il mondo.

I dati riguardano quaranta anni di produzione, lo studio rappresenta dunque un’analisi a lungo termine della sostenibilità finanziaria dell’agricoltura biologica. La ricerca è nata per verificare la veridicità del diffuso assioma secondo il quale l’agricoltura bio ha una resa economica inferiore a quella convenzionale. In effetti questo tipo di coltivazione è meno produttiva, ma la resa è solo uno degli aspetti da considerare quando si raffrontano i due modelli agricoli, bisogna anche valutare la qualità del suolo, gli impatti sulla biodiversità e la qualità della produzione alimentare. L’agricoltura biologica può essere fino al 35 per cento più redditizia di quella convenzionale quando gli agricoltori fanno pagare un premio che attesta la qualità e la certificazione del prodotto. Secondo gli autori della ricerca i guadagni derivanti da questo modello agricolo sono destinati a superare quelli prodotti dall’agricoltura tradizionale, responsabile, tra l’altro, di numerosi danni ambientali come la conversione di grandi aree di foresta in campi coltivati, la distruzione di habitat preziosi per la biodiversità e


gli impatti ecologici dei pesticidi. Questo tipo di produzione, contrariamente a quella tradizionale, ha un basso impatto sul pianeta. Questo tipo di coltivazione, oltre a consumare meno energia ed emettere meno gas serra, funziona da serbatoio di carbonio: ogni ettaro così coltivato assorbe una tonnellata e mezza di CO2. Il settore agricolo è uno dei principali responsabili delle emissioni inquinanti in atmosfera. L’agricoltura biologica e sostenibile è invece uno dei più grandi alleati nella lotta al riscaldamento globale, le emissioni di gas serra son più che dimezzate rispetto alle pratiche agricole cosiddette convenzionali. di Roberto Rabachino – Fonte Lifegate


La terra fa buon sangue. Intervista a Marcello Masi Il giornalista Marcello Masi è conosciuto dal pubblico come volto RAI sia in veste di direttore del TG2 che di conduttore dei programmi televisivi “Linea Verde Sabato” e “Signori del vino” che raccontano l’agroalimentare italiano. Dietro la sua immagine autorevole si cela un uomo che ha un profondo legame con la terra e un forte desiderio di riconnettersi ai tempi dettati dalla natura. di Alice Lupi

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uongiorno Direttore, qual è l’idea che si è fatto del mondo agroalimentare italiano? Abbiamo un giacimento che sfruttiamo al dieci percento. L’Italia, da questo punto di vista, è unica nel panorama mondiale perché unisce una serie di eccellenze […] il clima, le bellezze naturali […]. Un autentico e straordinario patrimonio culturale che ci rende inimitabili. Questo è un Paese effettivamente straordinario e che sfruttiamo ancora in maniera insufficiente dal punto di vista economico […]

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dobbiamo lavorare molto di più, sia politicamente che infrastrutturalmente. L’Italia ha una ricchezza di tipicità molto copiosa, ma anche moltissime certificazioni di qualità, di marchi europei, tracciabilità. Non è forse un po’ ossessivo il bisogno di manifestare, testimoniare e provare l’aspetto qualitativo? Credo di no. Io sono di quelli che vede dove funzionano le cose. Io vedo che i Francesi, tramite la loro certificazione in difesa dei marchi, hanno tutelato, per esempio, lo Champagne, addirittura il

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metodo […]. La ricchezza del territorio dello Champagne è una ricchezza evidente per chi c’è stato; è un’intera regione che vive di vino e ora anche di turismo, proprio perché è unico. Lì devi andare se vuoi conoscere quel tipo di prodotto. Noi di prodotti ne abbiamo tantissimi ma non riusciamo a valorizzarli. […] Una tutela sulla carta conta ben poco nel momento in cui noi abbiamo circa sessanta miliardi di prodotti imitati e venduti nel mondo con nomi ridicoli che purtroppo sottraggono economia al nostro Paese. Conta avere una certificazione che


effettivamente sia tutelata. In questo l’Europa ha mancato la sua tutela verso i nostri prodotti, visto che in qualsiasi supermercato del mondo da New York a Caracas a Città del Messico ci sono bandiere italiane, nomi stropicciati italiani che vendono qualunque prodotto simil italiano […]. Io sono per una tutela efficace e per salvaguardare la nostra economia che viene ferita ogni anno con delle perdite che sono davvero immense. Quando parliamo di miliardi di dollari, o di euro, uno si rende conto che sono beni sottratti alla nostra occupazione, non solo al nostro PIL, ma anche in termini di lavoro e quant’altro. Magari, qualche tutela inutile in meno ma qualche tutela forte in più. Oggi sui banchi dei mercati troviamo prodotti

provenienti da tutto il mondo; ma con il turismo agroalimentare, sappiamo bene che non sono i prodotti a spostarsi ma le persone. Però, fino a qualche decennio fa si scappava dalle campagne, oggi sono destinazioni di vacanza. Non le sembrano elementi un po’ contraddittori?

avere un luogo dove ci sono dei ritmi naturali, dove ci si sveglia magari con il canto del gallo e si vuol fare una passeggiata nell’aria pulita… ci sono tutti i presupposti per andare in campagna […]. Questa esigenza di avere altri ritmi, di avere un altro approccio con la vita credo siano diventate, in questo momento, molto importanti.

No. Trovo che sia stato un errore abbandonare le campagne. Durante gli anni ’60 c’è stato lo spopolamento di queste zone, ma è stato un errore immaginare che in città ci fossero delle risposte di felicità, non è così. Chi vive in città sa benissimo che per una serie di comodità si rinuncia a tante altre cose.

Lei Direttore è anche co-conduttore di “Linea verde sabato”, un programma narrativamente completo che tiene conto delle varie fasi del mondo agricolo. C’è però una tendenza diffusa a raccontare, da parte dei comunicatori, un solo aspetto legato al mondo dell’agroalimentare e solitamente è quello enogastronomico, principalmente sensoriale.

Probabilmente, in un mondo globalizzato sempre più immediato e pieno di stimoli, AP P RO F ONDI M E NT O

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Non crede che sacrificando gli altri aspetti si rischia di presentare una verità solo parziale? Sono d’accordissimo, tanto è vero che lo chef credo che sia stato un’epidemia […] ma non racconta quello che c’è dietro un piatto che invece a me interessa molto di più, cioè il prodotto. Dietro il prodotto c’è una filiera di fatiche, di sudore che deve essere raccontata ma soprattutto deve essere spiegata per capire, perché se parlo di un latte di bufala, quel latte di bufala è un latte unico se è prodotto in certe condizioni, in un allevamento di un

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certo tipo, con del foraggio certificato. Se devo parlare di una mozzarella di bufala e voglio andare a scoprire e a cercare di spiegare perché quella mozzarella di bufala è fatta nel basso Lazio, in Campania piuttosto che in un’altra regione. Non credo che vederla in un piatto tagliata ormai attiri più di tanto l’attenzione; credo che sia quella degli chef, dei piatti più o meno colorati, una moda che naturalmente colpisce e continuerà a fare audience e share. Noi siamo servizio pubblico, abbiamo il dovere di raccontare anche altro, soprattutto come quel prodotto nasce, perché quel

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prodotto è unico, perché quel prodotto può essere definito un’eccellenza. C’è un’altra filosofia alla base del nostro programma che non solo sposo, ed essendo pure autore, cerco di portare avanti. Come è cambiato il modo di comunicare l’agroalimentare con l’arrivo dei new media? Nelle narrazioni dei comunicatori quanta retorica c’è oggi? I giornalisti sono dei lavoratori della parola; comunicano, in teoria, quello che fanno gli altri e cercano di raccontarlo


bene […]. Il buon giornalismo è quello che riesce, con un racconto rigoroso, corretto, senza falsità, senza fake, ad emozionarti e a darti una curiosità da dover scoprire poi per conto tuo, ti dà uno stimolo per informarti. La retorica fa parte del gioco […] è umano, non mi preoccupo di questo. Mi preoccupo di più che molti colleghi non siano preparati, non fanno nulla per approfondire la materia che devono raccontare. Quello mi preoccupa di più, perché l’idea che in un mondo così superficiale che sembra che tutto quello che riguarda lo studio, l’applicazione sia stato oramai definito inutile. Io, invece, sono convinto che sia ancora più importante oggi essere preparati quando si racconta qualcosa. Riprendendo una sua intervista, di qualche anno fa, a Carlo Petrini lei ha detto “Dalla terra arriva una sorta di riequilibrio sociale […] i contadini […] ho notato che sono felici”. C’è una connessione tra la felicità e la terra? Non c’è dubbio. Più giro l’Italia e il mondo agricolo e più trovo persone che, rispetto a quelle che si incontrano nelle città, hanno una luce diversa negli occhi, un equilibrio che oggi rischiamo di perdere in città, di perdere con i ritmi quotidiani. La terra è utilizzata come attività di

recupero per malati […] perché è qualcosa che ti tiene a contatto con la realtà, è una cura all’alienazione […]. La terra, quello che dai ti restituisce con gli interessi. In questo senso la terra non tradisce, anche se poi ti può far male una grandinata che ti rovina il raccolto all’ultimo momento, ma sono regole che uno accetta, sono regole che valgono per tutti. C’è una giustizia di fondo divina sulla terra, c’è un rapporto quasi scientifico tra il dare e ricevere. Sono tante cose che nel nostro vivere quotidiano abbiamo perso AP P ROF O NDI M E NT O

di vista. Davvero, chi torna alla terra, secondo me, sa di avere delle risposte […]. La terra è faticosa perché come dice sempre Carlin (alias Carlo Petrini ndr) «La terra è bassa». E’ un’umiltà nobile questo piegarsi verso la terra, da lì veniamo e lì torneremo. Insomma, c’è tutto secondo me, non c’è bisogno di nient’altro per essere felici. Più di una volta ho immaginato una vita da contadino […] e con vent’anni di meno, con la saggezza di oggi, è una scelta che avrei fatto..” ▣

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Bocuse d’Or Europe, a Torino un autentico dominio scandinavo

#roadtolyon: Finale europea del Bocuse d’Or - vince la Norvegia e l’Italia si salva per il rotto della… tocque blanche! di Paolo Alciati – Foto Julien Bouvier

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a 6a edizione del Bocuse d’Or Europe è stata vinta con pieno merito da Christian André Pettersen, chef del Ristorante Mondo

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a Sandnes, nella Contea norvegese di Rogaland, e rappresentante della Norvegia (già vincitrice nel 2016), dopo due entusiasmanti giornate di competizione all’Oval

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Lingotto Fiere di Torino davanti a 1300 spettatori scatenati e autori di un tifo da stadio, battendo la concorrenza di 20 agguerriti e preparatissimi chef provenienti da tutta


Europa con un unico grande obiettivo: un posto per la finale del più prestigioso concorso di gastronomia al mondo, sulle tracce dell’ormai storica frase del grande Maestro Paul Bocuse: “Classique ou moderne, il n’y a qu’une seule cuisine...La bonne”. Sul podio - ai posti d’onore - si classificano Svezia (Oro nel 2014) con Sebastian Gibrand e Kenneth Toft-Hansen per la Danimarca (nazione vincitrice già nel 2010). Il cuoco norvegese ha vinto, questa la motivazione della giuria, “grazie alla sua marcata creatività e alla capacità tecnica utilizzate per sublimare prodotti semplici, ma di altissima qualità, della cucina tradizionale piemontese e italiana”. Si è quindi celebrato

un autentico dominio scandinavo, ma sono 10 i paesi europei che parteciperanno alla Finale del Bocuse d’Or di gennaio ‘19 a Lione, in Francia, durante il salone Sirha, la Fiera internazionale dell’alimentazione. Oltre ai primi tre ci saranno anche la Finlandia, la Francia, il Belgio, la Svizzera, l’Ungheria, l’Islanda e il Regno Unito a sfidare 22 team provenienti dall’America Latina, il Nord America e l’Asia. Per l’Italia, classificata al dodicesimo posto subito dietro la grande delusa Spagna - e quindi inizialmente esclusa dai dieci posti finalisti - il viaggio a Lione è lo stesso assicurato grazie alla “Wild Card” assegnata dalla giuria a Martino Ruggieri, il nostro AP P ROF O NDI M E NT O

A sinistra, i vincitori. In alto, Accademia del Bocouse d’Or d’Italia: Luciano Tona, Curtis Mulpas, François Poulain, Enrico Crippa, Martino Ruggieri, Giancarlo Perbellini. Nella pagina seguente, dall’alto: foto di gruppo, oro alla Norvegia.

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campione. Un’altra piccola grande soddisfazione per lui è arrivata anche dal premio per il “miglior Commis” vinto da Curtis Mulpas, suo aiuto cuoco al Pavillon Ledoyen di Parigi, il ristorante tristellato dove Ruggieri ricopre dal 2014 il ruolo di head chef. Il premio per il “Piatto Speciale” è stato invece vinto dal team francese, guidato dallo chef Matthieu Otto, mentre il premio “Vassoio Speciale” è andato al team finlandese, diretto dallo chef Ismo Sipelainen. Il concorso Bocuse d’Or è stato creato nel 1987 da Paul Bocuse, uno dei padri della gastronomia francese – unico Chef al

mondo che ha mantenuto consecutivamente per cinquant’anni le 3 stelle Michelin per il suo ristorante di Collonges-auMont-d’Or – e scomparso lo scorso gennaio. È stato ricordato dal figlio Jerome Bocuse, Presidente del concorso, proprio il 12 giugno, nel giorno del suo quarantanovesimo compleanno: “questo non è il mio giorno, questo è il giorno in cui gli chef giungono qui da tutta Europa… Che location fantastica e che risultati abbiamo visto in questo concorso negli ultimi trent’anni. Non credo che mio padre avrebbe mai immaginato che un giorno il concorso che porta il suo nome potesse arrivare a questo punto. Grazie di AP P ROF O NDI M E NT O

cuore a tutti, ci vediamo a Lione”. La giuria era formata da una ventina di Chef stellati provenienti da tutta Europa e presieduta, oltre che da Jerome Bocuse, dall’ungherese Tamás Széll e dai nostri Carlo Cracco ed Enrico Crippa e ha giudicato con rigore e competenza i 15 straordinari “piatti perfetti” preparati da ognuno dei 20 chef concorrenti nelle 5 ore e 35 minuti a loro disposizione; inoltre, un’altra squadra di cuochi stellati si aggirava intorno alle postazioni dei 20 team valutando, con scrupolosa attenzione, tecnica, ordine e pulizia, mentre i coach verificavano la tempistica

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con precisione maniacale. La pressione è stata altissima e la concentrazione in questi frangenti è molto difficile, con il tifo assordante da parte di tutto il pubblico; la squadra belga ha addirittura fatto arrivare un gruppo di suonatori di tamburi professionisti con un aereo privato per sostenere il loro team con un incessante e rumorosissimo incoraggiamento. Anche le altre nazioni in quanto a tifo non si sono tirate indietro, ma sempre con grande simpatia, in amicizia e correttezza: abbiamo visto il pubblico inglese con una minibanda di ottoni che si è unita ai chiassosi tifosi spagnoli per intonare la “Marsigliese” in onore dei tifosi francesi e del team transalpino… quanto sarebbe bello se accadesse la stessa cosa negli stadi di calcio! In questi due intensi giorni in cui Torino si è trasformata nella capitale europea del gusto, le nostre eccellenze agroalimentari sono state protagoniste di queste vere e proprie Olimpiadi della gastronomia: per i vari piatti gli ingredienti obbligatori sono stati il riso S. Andrea di Baraggia Biellese e Vercellese, il formaggio Castelmagno DOP, il filetto di Fassona piemontese, le uova di gallina, le animelle di vitello e i vini del Piemonte, uniti ad un ingrediente “segreto”, rivelato solo la sera prima dell’inizio della kermesse: gli spaghetti. Gli eterogenei talenti europei sono stati messi

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a dura prova da questo ingrediente…c’è chi li ha spezzettati e stracotti e chi li ha addirittura essiccati e ridotti in polvere! Gli ingredienti del piatto vincente norvegese, un coreografico “golden egg”, sono stati un uovo in camicia su patate e burro chiarificato, zucchine al forno accompagnate da un’emulsione alle erbe, asparagi e crema di limone e un’insalata di asparagi temperata con Castelmagno, caviale di funghi, patate croccanti e salsa olandese. Il vassoio si è invece ispirato alla primavera norvegese, con la Chateaubriand di Fassona condita con germogli e fiori artici. “Colazione nelle campagne apuleie” è il titolo del piatto con cui Ruggieri ha partecipato; il rappresentante italiano ha voluto presentare una creazione che gli ricordasse l’infanzia e i piatti che caratterizzano le sue origini pugliesi e le sue passeggiate in campagna a raccogliere le erbe selvatiche: acetosella, cerfoglio, dragoncello, asparagi viola, pesca, fiori di zucchina, tuorli d’uovo marinati, crema di Castelmagno, gelatina di mandorla e carpaccio di anguria. Tirando le somme, per il team italiano addestrato dallo stellato Luciano Tona - ex direttore didattico di Alma - poteva andare peggio…non rimane che continuare a lavorare, più concentrati che mai,

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all’Accademia Bocuse d’Or Italia, sotto la presidenza del tristellato albese Enrico Crippa e del due stelle veneto Perbellini, confidando in un orgoglioso riscatto di Martino Ruggieri e la sua mini brigata con la testa proiettata alla finale mondiale del concorso di alta gastronomia di Lione, fra sette mesi, per ulteriori 5 ore e 35 minuti di fibrillazione e adrenalina pura, davanti a un pubblico competente e caloroso e a una giuria di altissimo livello, composta dai più grandi chef del mondo. ▣ Photo Credit: BOUVIER JULIEN pressecmpbocuseurope 2018

A pagina 16, nella colonna a sinistra, dall’alto in basso, i piatti di: Belgio, Croazia, Estonia, Francia, Islanda. Nella colonna a destra, i piatti di: Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Germania, Italia. A pagina 17, nella colonna a sinistra, i piatti di: Norvegia, Polonia, Russia, Svezia, Turchia. Nella colonna a destra, i piatti di: Olanda, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Ungheria.


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Il mercato dell’olio extra vergine di oliva in Italia Cerchiamo di capire meglio il mercato soprattutto dell’olio extra vergine di oliva (EVO) in Italia. Ne parliamo con il Presidente di FEDERDOP Daniele Salvagno, titolare di una azienda leader del settore, che dirige con i suoi fratelli in Veneto, e Presidente della Coldiretti di Verona. di Francesco Bruzzese

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residente, cosa rappresenta Federdop in Italia?

La Federazione dell’olio DOP nasce nel 2003, con l’intento di sostenere i Consorzi delle diverse DOP per una maggiore crescita del settore. La Federazione, insieme ai Consorzi, svolge un’azione di informazione, valorizzazione, promozione e tutela per difendere e proteggere le produzioni DOP italiane, per garantire al consumatore l’integrità del prodotto scelto.

oliva, parliamo soprattutto di olio extra vergine di oliva (EVO), in quanto per il mercato del consumatore l’olio di oliva e l’olio di sansa e di oliva hanno importanza inferiore. L’Italia è anche un Paese importatore di olio, poiché non produce olio autosufficiente, ma ha bisogno di importare olio di oliva dall’estero. Presidente, da quali Paesi acquistiamo l’olio?

Il consumatore è consapevole di fare una scelta giusta?

Quello spagnolo è sicuramente il primo mercato fornitore, seguito dalla Grecia e dalla Tunisia.

No, il consumatore è sempre più disorientato quando deve comprare una bottiglia di olio di

Ma sappiamo anche che diversi oli extra vergine di oliva di pregio vengono esportati.

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Sì. I principali Paesi sono USA, Germania, Giappone, Canada e Francia. Presidente, ritornando al consumatore, le chiedo come mai a fronte di 43 olio DOP e 4 IGP si vedono sugli scaffali dei supermercati pochi olio a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta? Il motivo è che si richiedono delle certificazioni per fregiarsi in etichetta della DOP/IGP, in quanto le produzioni sono molto frammentate, e pertanto la certificazione incide per oltre 0,80


centesimi al litro che il mercato non recepisce (per la certificazione del vino i costi sono di un euro per quintale). Una soluzione potrebbe essere quella di richiedere la certificazione cumulativa, con la costituzione di un blend unico, o meglio creare degli oleifici sociali soprattutto per i piccoli produttori, costituendo marchi collettivi. Presidente, tutto l’olio extra vergine di oliva che non viene certificato DOP/IGP come viene venduto? Viene venduto come prodotto italiano, con grande garanzia per il consumatore, visti i sempre maggiori controlli dei vari Organi preposti, in primis l’ICQRF, che attraverso il portale SIAN sono in grado di verificare la tracciabilità di tutte le transazioni commerciali. Infatti, il Registro Telematico ha consentito anche nel 2017 di contrastare efficacemente frodi e irregolarità. Prima di concludere, Presidente, come sta andando il mercato del Biologico? Molto bene in quanto il sistema dei controlli è ormai molto collaudato e possiamo stare tranquilli. Il consumatore crede nel biologico, mentre non si parla più di denocciolato in quanto i polifenoli (conservanti naturali dell’olio) si degradano in pochissimi mesi. Presidente, le giro l’ultima domanda dei consumatori: quando in

etichetta troviamo un olio EVO – miscela di oli originari dell’Unione Europea – secondo lei ci potrebbe essere anche una parte di olio italiano? Nella maniera più assoluta non credo che venga aggiunto olio italiano di pregio. Se il consumatore vuole acquistare un olio di qualità superiore deve acquistare olio prodotto in Italia o a Denominazione di Origine Controllata o biologico. Per l’olio extra vergine di oliva il Registro Telematico ha consentito anche nel 2017 di AP P ROF O NDI M E NT O

contrastare efficacemente frodi e irregolarità. Volevo aggiungere, concludendo, che finalmente anche il ristoratore si è orientato a esporre sui tavoli prodotti italiani di pregio, costituendo un biglietto da visita molto apprezzato dai consumatori. ▣

In alto, Daniele Salvagno, presidente Federdop.

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Il Consorzio del Prosecco DOC si rinnova nel segno della continuità Fresco di rinnovo carica, Stefano Zanette, in sella al consorzio Prosecco Doc dal 2012, è pronto ad affrontare il nuovo mandato per il prossimo triennio “… per dare un futuro al Prosecco e consolidare il lavoro svolto in questi anni sul fronte della sostenibilità e della coesione. Ma anche per affrontare una sfida del tutto inedita: dare vita al Prosecco Rosé”. di Paolo Alciati

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ra il 28 maggio scorso quando il Consiglio di Amministrazione riunito nel Palazzo del Prosecco, in Piazza Filodrammatici a Treviso, si è espresso all’unanimità a favore di Stefano Zanette con la carica di Presidente in rappresentanza della categoria dei vinificatori. Nominando anche i due vice: riconfermato Giorgio Serena mentre si aggiunge Gian Giacomo Bonaldi Gallarati Scotti, rispettivamente rappresentanti della categoria imbottigliatori il primo, dei produttori/viticoltori il secondo. Designati a far parte del Comitato Esecutivo sono

ora Alessandro Botter, Valerio Cescon, Mattia Mattiuzzo e Giancarlo Moretti Polegato. I pallini di Zanette sono noti a tutti, soprattutto nel settore. Il primo è senza dubbio la sostenibilità, obiettivo per raggiungere il quale Zanette ha avviato una serie di iniziative che gli sono valse anche alcune inimicizie. “Ora attendiamo che il nuovo governo nomini il Comitato Vini, attualmente acefalo, in modo che la nostra richiesta di modificare il Disciplinare per eliminare le tre molecole più temute dalla popolazione, Glifosate, Mancozeb e Folpet, venga finalmente esaminata dai rinnovati vertici e, auspicabilmente, recepita. AP P ROF O NDI M E NT O

Il Presidente Stefano Zanette con Yuri Bashmet.

Solo così potremo onorare il nostro impegno verso la cittadinanza e dare concretezza a una decisione che il Consorzio ha già fatto propria più di un anno fa”. Il secondo pallino è la coesione tra i tre Consorzi, avvalorato dal successo riscontrato dal ‘Sistema Prosecco scarl’, società cooperativa a responsabilità limitata che accoglie i tre Consorzi deputati a tutelare il Prosecco, la Doc e le due Docg, ConeglianoValdobbiadene Docg e Asolo

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Docg. La società, presieduta dallo stesso Zanette, opera sul fronte del contrasto alla contraffazione e sta dando risultati sostanziosi, riconosciuti a livello di governo centrale ed europeo: “Da soli forse si va più veloci, ma insieme si fa più strada e la prova ce l’ha offerta la recente visita, presso la nostra sede, di una delegazione inglese inviata dalla Food Standard Agency (l’omologa UK del nostro ICQRF) per ufficializzare l’ennesimo fermo nel Regno Unito relativo a una partita di “Prosecco fake”. Gli stessi successi ottenuti sul fronte della tutela internazionale - incalza Zanette - unendo le forze, li potremmo più facilmente conseguire anche sul fronte della promozione e della

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comunicazione. Ognuno con la propria testa, il proprio stile e la valorizzazione delle proprie diversità, ma tutti nella stessa direzione, per dare al mondo un messaggio coerente. Mi piace rappresentare l’universo Prosecco come un trittico dove ogni denominazione rappresenta di per sé un’opera d’arte, ma che solo grazie all’unione delle tre realtà riesce a dare la compiutezza dell’insieme”. “Per quanto riguarda il Prosecco Rosé - tiene a precisare Zanette - abbiamo le idee abbastanza chiare. Si tratta di un tema al quale stiamo lavorando da diverso tempo e riteniamo sia una sfida da affrontare subito. Innanzitutto perché il mercato segnala una importante richiesta di spumanti rosati nel mondo, anche di un

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Prosecco rosato. Inoltre, la scelta del Pinot Nero è coerente col progetto che sta alla base di questo vino che va nella direzione di valorizzare la Denominazione Prosecco in un momento in cui le cose stanno andando molto bene in termini di domanda. Non si tratta di inseguire un arricchimento di gamma, non a caso abbiamo individuato nel pregiato Pinot Nero il vitigno perfetto: non stravolge il profilo organolettico del Prosecco che oggi tutti conosciamo, perché è già tra i vitigni annoverati nel nostro disciplinare come complementare ammesso fin dal 2009, quando siamo nati come Denominazione”. Ovvio che finora si lavorava in bianco mentre nell’ipotesi contemplata la macerazione


avverrà in presenza anche delle bucce atte a rilasciare il colore nel dosaggio che verrà individuato come idoneo. Inoltre la scelta del Pinot Nero risponde a un’altra esigenza, evitare il rischio di monocultura favorendo la biodiversità. “Tra Friuli Venezia Giulia e Veneto abbiamo verificato che i quantitativi già disponibili di tale vitigno sono più che sufficienti, almeno in fase iniziale, per avviare il progetto. Non ci preme l’aumento di volumi, quanto il poter soddisfare la richiesta di quella fascia di consumatori che richiede un prodotto di pregio, in versione rosata. Vorremmo partire con questa produzione già dalla vendemmia 2019. Inoltre, non va sottovalutato il fatto che se

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A pagina 24, Etichetta Speciale ERMITAGE Prosecco DOC. A pagina 25, la Selene Alifax e World Super Bike. In questa pagina, in alto, IMOCO Volley e “I Dogi”, squadra di rugby paralimpico. A pagina 27, l’Ancilla Domini. A pagina 28, Stefano Zanette e Alex Zanardi.

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l’iniziativa avrà successo, costituirà una valida alternativa varietale al Glera o al Pinot Grigio, aumentando la biodiversità della nostra area. Per quanto riguarda l’ipotesi ventilata da qualcuno di introdurre nella vinificazione il Raboso, vitigno autoctono rosso tipico della zona del Piave, in questo momento non chiudiamo la porta in faccia a nessuno, ma è una soluzione che oggettivamente presenta diverse criticità. Infine, con questo progetto contiamo di accrescere sempre più il valore del Prosecco anche in termini di ‘percepito’ dalla parte del consumatore. Operazione che inevitabilmente richiede il supporto di costanti, programmate e coerenti azioni di promozione e comunicazione, in Italia e nel


mondo. A tal fine, come Prosecco Doc abbiamo optato per affiancare il nostro brand a situazioni di grande prestigio, sia negli eventi legati al mondo dell’agroalimentare che in ambito artistico, culturale e sportivo. Per citare un esempio, proprio in questi giorni si è concluso a Conegliano il Festival internazionale di musica classica che sosteniamo fortemente nella convinzione che l’arte, al pari della bellezza del territorio, siano due driver fondamentali per la nostra denominazione. Il Festival “Le vie del Prosecco” è fondato e diretto da Yuri Bashmet, violista russo riconosciuto come uno dei massimi interpreti al

mondo”. “Per dare un’idea della sua rinomanza e della considerazione che il governo russo gli attribuisce in termini di prestigio e riconoscibilità internazionale” - precisa Zanette – “basti pensare che Yuri Bashmet è stato coinvolto nella cerimonia di apertura dei mondiali di calcio 2018. Tant’è che nelle riprese in mondovisione appare mentre su una piattaforma collocata sul Volga dirige l’orchestra giovanile russa nell’esecuzione del brano di Tchaikovsky scelto come sigla di apertura, riceve il pallone dapprima lanciato nello spazio e gli assegna il calcio d’avvio”. Alla Russia il Consorzio si collega anche tramite un’altra AP P ROF O NDI M E NT O

brillante operazione siglata anni fa con l’Ermitage, il celebre museo di San Pietroburgo dov’è ospitata la più importante collezione di opere d’arte italiane, e venete in particolare: è qui che il Prosecco Doc trionfa come vin d’honneur (vino d’onore) in tutte le occasioni ufficiali. Sempre nel campo dell’arte, il Prosecco Doc risulta tra i supporter dello IUAV di Venezia, al quale ha commissionato uno studio sulla bellezza del paesaggio agricolo, del Treviso Jazz Festival e del Festival Show con i quali raggiunge un target a loro molto congeniale. “Da anni presenziamo anche al Festival del Cinema di Venezia – prosegue il presidente Zanette - e

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collaboriamo con Biennale Architettura, sempre a Venezia, dove abbiamo stretto un accordo di collaborazione anche con VELA, la società partecipata al cento per cento dal Comune con l’incarico di organizzare tutti i grandi eventi della città: dal Carnevale al Redentore alle feste di Natale e Capodanno. Per quanto riguarda lo sport, merita una menzione il nostro impegno sul fronte della vela, disciplina che ci vede protagonisti da diversi anni in regate come Barcolana di Trieste, Veleziana e Cooking Cup di Venezia, ma anche in altre località prestigiose come la nostra recente partecipazione alla RolexGiraglia di Saint Tropez dove il nostro debutto è stato premiato con un primo posto sul podio. Non va dimenticata la pallavolo femminile, dove da tempo il Prosecco Doc

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appare sulle maglie delle atlete dell’IMOCO VOLLEY come una sorta di talismano avendo battezzato la rimonta delle Pantere coneglianesi, campionesse d’Italia con due scudetti in tre anni! C’è poi il motociclismo, dove il Prosecco Doc spicca nel supportare i mondiali della World Super Bike accompagnando ogni tappa in Italia e oltre confine, armato di striscioni, gonfiabili, calici e naturalmente tanti Magnum da stappare sul podio con i più grandi campioni. Infine, una nota sul tema della solidarietà che il Prosecco Doc - anche giocando scherzosamente sulle sue doti di portafortuna - manifesta con il sostegno ad alcune realtà particolarmente meritevoli”. “Come il rugby paralimpico della spettacolare rappresentativa trevigiana “I Dogi” che, anche grazie al nostro supporto, continua a

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inanellare successi: undici vittorie consecutive su undici incontri disputati nel 2018. Perché non va dimenticato conclude Zanette - che il Consorzio Prosecco Doc fa il possibile per essere vicino anche a chi versa in situazioni di difficoltà e manifesta il coraggio e la voglia di non mollare. Come Alex Zanardi, la cui forza e perseveranza sono esempio per noi tutti che abbiamo l’onore di affiancare nel suo Obiettivo 3, il progetto da lui avviato in vista delle olimpiadi di Tokyo 2020 per portare nel mondo un messaggio di speranza”. ▣



CORRI

CON LA

TUA AZIENDA EUROPEI DI ATLETICA LEGGERA BERLINO 2018

A CASA ATLETICA ITALIANA le eccellenze agroalimentari corrono con gli azzurri Le aziende agroalimentari italiane dal 6 al 12 Agosto saranno al centro degli eventi organizzati dalla FIDAL e dalla Fondazione Gtechnology in occasione degli Europei di Atletica Leggera di Berlino.

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li antichi greci erano convinti che per vincere una gara d’atletica un velocista dovesse mangiare carne di lepre o gazzella. Allo stesso modo un lottatore doveva prepararsi consumando ingenti quantità di carne di

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cinghiale o di toro. Naturalmente queste fantasiose teorie non avevano nessun fondamento scientifico, ma ci danno una misura di quanto il nesso tra una corretta alimentazione e performance sportive fosse noto già dall’antichità.

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Proprio al tema dell’alimentazione e dello sport saranno dedicati gli appuntamenti organizzati dalla FIDAL – Federazione Italiana Atletica Leggera – che si terranno dal 6 al 12 agosto 2018, in occasione degli Europei di atletica Leggera. Nell’esclusiva location


dell’Hotel Golden Tulip, Casa Atletica Italiana diventerà il punto di ritrovo degli atleti azzurri impegnati nelle gare. Gli incontri saranno anche l’occasione per far conoscere quel particolare connubio di fantasia, arte culinaria, impegno, cultura e tradizione che costituisce l’essenza stessa della cucina italiana. Il cibo italiano è infatti un elemento imprescindibile della fama dell’Italia all’estero. Lo è per il suo sapore, per il valore indiscusso della Dieta Mediterranea e per la sua naturale capacità di generare condivisione e racconto. Del resto in tutto il mondo “mangiare italiano” non significa solo assaggiare deliziose pietanze, ma innanzitutto raccontare e imparare a “vivere all’italiana”. Per parlare della nostra Italia ai visitatori di Casa atletica italiana, la Fidal, insieme alla Fondazione Organismo di Ricerca Gtechnology ha deciso di raccontare, attraverso strumenti innovativi, il vero motore del nostro vanto nazionale: le aziende produttrici del comparto agroalimentare italiano. Durante tutto l’evento negli spazi di Casa atletica italiana saranno ospitate conferenze, esposizioni degustazioni ed eventi di networking e show cooking che vedranno come protagonisti chef, esperti di alimentazione e aziende

produttrici. Proprio per favorire la partecipazione e rendere più semplice le modalità di iscrizione, è stata creata la piattaforma web Tipics attraverso la quale le realtà italiane, anche le aziende più piccole, potranno partecipare agli eventi in programma con dei vantaggiosi e articolati pacchetti speciali. Alcune tra le varie formule di adesione prevedono la possibilità per le aziende di presentare e promuovere i propri prodotti e materiale informativo all’interno dell’area espositiva Tipics, partecipare ad incontri B2B con buyer,

ad eventi di degustazione e a cene speciali preparate da chef stellati con prodotti di eccellenza italiana. L’alimentazione italiana mediterranea è inoltre celebre anche per le sue proprietà nutrizionali riconosciute quale patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Su questo tema il 6 Agosto si terrà un evento speciale, a carattere divulgativo, organizzato dai ricercatori del Lab Scienze e AP P ROF O NDI M E NT O

Tecnologie della Salute della Fondazione Gtechnology. Al convegno scientifico, dal titolo Cibo, Salute e Longevità dalla dieta mediterranea: I nuovi traguardi degli chef, esperti scienziati di alimentazione, chef, produttori e distributori si confronteranno su tema dell’evoluzione culturale dell’alimentazione e su come essa abbia fatto in questi ultimi anni passi da gigante verso una formula che da generalista sta diventando progressivamente «individuale», attenta a dare risposte precise ed efficaci al singolo individuo con le sue esigenze di dieta in relazione alle sue scelte di vita, ma anche in relazione alla sua salute ed alle sue necessità. Un percorso impegnativo di una dieta «one to one» che vede al centro la forte evoluzione del ruolo degli chef: sempre meno produttori di “pietanze artistiche” e sempre più capaci di adattare piatti gustosi e dal forte appeal al gusto ed alle esigenze personali del singolo consumatore. A Casa atletica italiana, avremo la possibilità di raccontare il Made in Italy attraverso la tradizione sportiva ed alimentare del nostro Paese. Per informazioni e modalità di partecipazione scrivere a info@tipics.it ▣

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LUIGI VERONELLI: un Maestro alla Fondazione Cini L’idea dell’Alta Scuola italiana di Gastronomia Luigi Veronelli nasce dalla convinzione che, oggi più che mai, gli atti alimentari debbano essere vissuti e proposti come momenti di conoscenza, occasioni per nutrire corpo e mente. di Silvana Delfuoco

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ove, se non a Venezia, si è nel luogo deputato per parlare di arte e cultura del cibo? L’idea è venuta al direttore del Seminario Permanente Veronelli, Andrea Bonini,

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rielaborando quella che era stata un’intuizione originaria di Veronelli stesso: valorizzare l’enogastronomia in una prospettiva di qualità. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini, il progetto si è ora concretizzato, dando vita

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all’ “Alta Scuola Italiana di Gastronomia Luigi Veronelli”, da poco presentata alla Triennale di Milano. Perché, come ha detto in sede di presentazione la presidente del Seminario Permanente Veronelli Angela Maculan, “l’idea dell’Alta Scuola italiana


di Gastronomia Luigi Veronelli nasce dalla convinzione che, oggi più che mai, gli atti alimentari debbano essere vissuti e proposti come momenti di conoscenza, occasioni per nutrire corpo e mente”.

A sinistra, la Nuova Manica Lunga. In alto, il Chiostro dei Buora. A destra, Luigi Veronelli.

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Cini

’Alta Scuola Italiana di Gastronomia “Luigi Veronelli” alla Fondazione

Sarà proprio la Fondazione Cini a ospitare, nella sua sede veneziana sull’Isola di San Giorgio Maggiore, i corsi della Scuola. Ai futuri allievi verrà quindi offerta la possibilità di approfondire e perfezionare i loro studi in un contesto unico al mondo. E non soltanto per il prestigio che alla Fondazione è derivato dall’aver ospitato per ben due volte un evento internazionale come il G7, ma soprattutto per l’intensa attività culturale che tra le sue splendide architetture esperti e ricercatori internazionali delle più diverse discipline sviluppano. L’intento

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principale dell’Alta Scuola Italiana di Gastronomia è, infatti, proprio quello di comunicare e trasmettere la ricchezza e la varietà del patrimonio agroalimentare italiano come parte di un sistema culturale, così da divenire un potente fattore di attrazione e di sviluppo turistico.

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na Scuola per il mondo del turismo

Utenti privilegiati cui la Scuola intende rivolgersi sono dunque gli appartenenti al mondo del lavoro turistico-alberghiero, a tutti i livelli. Dai titolari di aziende di settore e addetti marketing; al personale della ristorazione e degli alberghi; senza dimenticare coloro che di questo mondo

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sono i comunicatori, come giornalisti e blogger, PR e guide turistiche: con l’obiettivo di supportare la loro preparazione enogastronomica in chiave squisitamente culturale. L’inaugurazione dei corsi, che saranno residenziali integrati da momenti esperienziali presso aziende del settore, è prevista nel luglio 2018 in concomitanza con la Settimana della Cultura Gastronomica, dedicata a fornire un quadro complessivo dello “stato dell’arte” della cultura del cibo. A questi farà seguito, nel 2019, l’esperienza del “Camminare in vigna”, il primo corso di alta formazione dedicato al vino italiano. Per il mondo del nostro turismo si intravedono, finalmente, le giuste prospettive di crescita in qualità.” ▣



Placido-Volpone, debutto in grande stile per una Puglia tutta da bere “Radici e futuro: da qui ha origine questo progetto”, mi rivela Michele Placido, famoso attore, regista e sceneggiatore italiano a livello internazionale, ora anche appassionato vigneron. Testo e foto di Carmen Guerriero

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riginario di Ascoli Satriano, località dei Monti Dauni, i​n provincia di Foggia, Michele Placido ha fatto dello stupore e delle emozioni il suo biglietto da visita in una vita sempre costellata di sfide ardite e di grandi successi,

Da sinistra, in piedi: Gerardo Volpone, Michelangelo Placido, Michele Placido, Michele Volpone. Seduti: Rocco Volpone, Violante Placido, Antonia Volpone.

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rimanendo, però, fedele a se stesso e alla sua terra, alla malìa dei meravigliosi paesaggi che si estendono, sereni, tra cielo e mare, dove lunghe distese di ulivi e vigneti disegnano dolci declivi, costellati di borghi di pietra. Qui, osservando

l’incessante lavoro di mani operose intente a legare tralci di vite, Michele Placido, giorno dopo giorno, ha maturato un sogno, divenuto, poi, promessa. “Era la promessa scambiata con il mio amico d’infanzia Domenico Volpone nel 1974 AP P ROF O NDI M E NT O

- continua Placido- oggi divenuta concreta con l’azienda Placido Volpone, nuova realtà vinicola, in provincia di Foggia”. Progetto che​ è, innanzitutto, la storia di due famiglie che condividono da sempre l’amicizia e un’intensa passione per il territorio, quello di Capitanata nel Tavoliere delle Puglie. Tradizione ed innovazione sono il perno di una valorizzazione virtuosa, definita di km zero virtuale, a partire dalle moderne tecnologie, come l’irrigazione sotterranea, che porta le gocce direttamente alle radici della pianta con notevole risparmio d’acqua e beneficio nonché la certificazione Blockchain, un registro distribuito e immodificabile, nato con le crittovalute, che permette di tracciare la produzione di qualsiasi tipo di prodotto a garanzia di provenienza e di qualità dei prodotti finiti. “In conversione al biologico, aspettando che il disciplinare sia completo”, PlacidoVolpone sarà la prima cantina al mondo, insieme ad EY ed EzLab, a certificare con il wine blockchain. Il gran debutto è avvenuto all’appena concluso Vinitaly 2018, con la presentazione dell’azienda e dei rappresentanti delle rispettive famiglie: Michele, Violante e Michelangelo Placido accanto a Rocco, Antonia, Gerardo, Michele

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e Camilla Volpone, nonché delle etichette dei vini, otto in tutto, tra bianchi, rosati e rossi, tra cui il Rosone, Mimí, il Rosso e il Nero, nati dalla valorizzazione del vitigno autoctono Nero di Troia e un rosato d’eccezione, il Faragola. A pochi mesi dal debutto, l’azienda Placido-Volpone ha raccolto recentemente un altro importante riconoscimento per il Rosato IGP, conquistando la medaglia d’argento al Mondial du Rosé, competizione nata nel 2004 a cura dell’Unione degli Enologi Francesi con l’intento non solo di valorizzare il vino rosato, ma operare un’attenta selezione di etichette d’eccellenza, attraverso una giuria di esperti. Prodotto da uve Sangiovese e Aglianico, il Rosato di Placido-Volpone ha un intenso colore rosa cerasuolo, espressione dei vitigni e della permanenza del mosto

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sulle bucce; al naso, delicate note fruttate di fragola; al gusto, è fresco, fruttato, armonico ed equilibrato, con una buona persistenza. Questo riconoscimento rappresenta per l’azienda un valore aggiunto nonché un importante incentivo a perseguire gli obiettivi di innovazione tecnologica che si coniugano con quelli di riscoperta e valorizzazione delle tradizioni del territorio. Il progetto Placido-Volpone è solo il punto di partenza di un percorso naturalmente proteso​anche a un importante ruolo sociale e culturale. Forte della valenza artistica e del prezioso apporto che l’attore, insieme alla bellissima figlia Violante, può offrire, il progetto ​ prevede un intenso connubio tra vino e arte che, come si può facilmente intuire, ​ si profila ricco e ​intrigante, con tre perni fondamentali: ​ vino di qualità, lavoro come opportunità per i residenti e

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valorizzazione del territorio, anche attraverso l’adozione di siti archeologici poco conosciuti. “Accanto ai nostri vigneti c’è un sito archeologico molto bello, l’antica città di Herdonia - continua Michele Placido, con tono affabulante - che vorrei far conoscere al mondo, attraverso l’organizzazione di un calendario di spettacoli teatrali su testi sia antichi che moderni. Proprio questa estate, infatti, partiremo con una serie di eventi teatrali che allestiremo nell’antico teatro”. E potremo essere certi che, detto da chi è riuscito a portare la cultura ​classica nei teatri di tutto il mondo, sarà sicuramente una partenza ai massimi livelli, preludio di grandi plausi e successi. Arte e Vino, e​mozione su emozione, dunque, Michele Placido incanta e stupisce, stavolta a casa sua, nell’amata Puglia. ▣



LUNGO LA VIA DELLA SETA Un viaggio storico e gastronomico nell’incantevole Paese di Tamerlano. di Carlo Ravanello

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a oltre 3000 anni vi è un tracciato che unisce le sponde orientali del Mediterraneo con il Mar della Cina, nell’Oceano Pacifico: è la Via della Seta. Lungo questo tracciato si sono mosse nei millenni le carovane che trasportavano nei due sensi ogni genere di merci e, con esse, trasferivano ogni tipo di cultura, talchè

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si può dire come non vi sia civiltà, europea o asiatica, che si sia sviluppata senza l’apporto delle numerose nozioni germogliate lungo il percorso che si snoda ancor oggi per oltre 10.000 chilometri fra la Turchia e la Cina, attraverso l’Iran, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, il Kyrgyzstan, il Tajikistan e la Mongolia. Quasi tutti questi Paesi, almeno per la parte attraversata dalla Via, sono di civiltà pastorale e la loro

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economia si basa in gran parte sull’allevamento delle pecore, delle capre, delle vacche e dei cavalli. Uno solo, l’Uzbekistan, situato fra i due grandi fiumi – l’Amu Darya e il Syr Darya - che riversano le loro acque dalle montagne del Pamir al Lago Aral, è a civiltà contadina (o per lo meno lo è nella sua parte più orientale compresa fra Samarcanda e la Valle di Fergana), ed ha suscitato nei secoli ogni


sorta di appetiti proprio per la sua caratteristica di “fornitore” ufficiale delle carovane, di quelle preziose derrate alimentari che erano indispensabili ai viaggiatori. Achemenidi, Greci, Sasanidi, Unni, Arabi, Turchi Selgiuchidi, Mongoli, Timuridi e Zungariani si sono succeduti nel controllo della regione fino all’arrivo dei Russi che, giunti nella seconda parte del XIX secolo, vi si sono insediati pressoché stabilmente - in stretto antagonismo con l’Impero Inglese che controllava la parte meridionale del Continente e manteneva il controllo degli sbocchi sull’Oceano Indiano - fino al 1991, data di nascita del moderno Stato uzbeko.

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li Uzbeki e la loro storia

Con le premesse di cui sopra potrebbe sembrare che una vera e propria cultura autonoma uzbeka non vi sia mai stata, ma non è così.

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Scarsamente nomadi, ma piuttosto tenacemente legati al loro territorio, gli Uzbeki hanno sviluppato molti secoli fa un’agricoltura di prim’ordine, cui non erano certo estranee le esperienze della “non distante” Mesopotamia. Quando Alessandro Magno giunse nel 329 a.C. sulle rive dell’Oxus (l’odierno Amu Darya) e si

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affacciò sull’ubertosa valle di Marakanda (Samarcanda) decise che non vi era posto più stimolante e, spintosi fino alle rive dello Iassarte (Syr Darya), decise di fondarvi una città “ai confini del mondo”, a pochi passi dalla Cina, che chiamò Alessandria Escate (Alessandria la lontana). Poi la sua smisurata ambizione e il convincimento di essere il

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padrone del globo terracqueo lo misero in contrasto con i suoi generali e questo lo portò alla perdizione definitiva con la prematura morte avvenuta a Babilonia solo 6 anni dopo. Della stessa fiorente agricoltura furono grandissimi estimatori anche gli Arabi, il cui massimo rappresentante, il matematico, astronomo, poeta e filosofo Omar Khayyam, trasferitosi a Samarcanda nel 1070, ebbe parole di somma lode, specialmente nei confronti

dell’uva, la cui coltivazione doveva essere fiorentissima, e del vino. O Khayyām, se sei ebbro di vino, sta lieto, se te la spassi con belle dal volto di luna, sta lieto. Poi ch’ogni cosa del mondo nel nulla finisce, pensa che tu sei nulla, e già che sei, sta lieto.

A sinistra, Bukhara: venditore di spezie e, sotto, suonatore di Tanbur. In questa pagina, in basso, Khiva: mercato di legumi e ortaggi.

L’arrivo di Gengis Khan e delle sue orde (XIIXIII secolo) portò a un

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In alto, Palazzo Ak Saray, residenza estiva di Tamerlano. A destra, forno Tandoori. A pagina 46 e 47, Samarcanda, il Registan: interno ed esterno. A pagina 48, Monumento sulla Via della Seta.

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temporaneo abbandono delle campagne – il Mongolo ha per casa il suo cavallo e disprezza tutto ciò che rappresenta la stanzialità ma la successiva dinastia timuride, fondata dal grande Amir Timur, l’Emiro di Ferro chiamato in Europa Tamerlano (XIV secolo), che non era mongolo, restituì agli Uzbeki tutta la loro dignità portandoli a dominare gran parte dell’Asia, dalla Turchia all’India. E’ questa la grande saga dell’Amir Timur (Tamerlano) e con lui la nascita di una singolare cultura uzbeka che, venuta alla luce oltre 700 anni fa, è

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sopravvissuta quasi intatta fino ad oggi.

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ita e opere dell’Amir Timur (Tamerlano, circa 1336 – gennaio 1405) Pochi uomini d’arme e creatori di imperi sono stati così misconosciuti dall’iconografia ufficiale europea come l’Emiro di Ferro, Amir Timur, detto Tamerlano. In tutta la letteratura occidentale, rivive ancor oggi questa figura semileggendaria nota per gli


orrendi massacri perpetrati un po’ ovunque, in uno spazio territoriale enorme compreso fra la Turchia e l’India settentrionale, dalle sue orde scatenate. In realtà le cose non stanno proprio così: l’Amir, originario di una piccolissima città, Shakhrisabz (la città verde), sita sulla Via della Seta, non lontano da Samarcanda,

aveva riportato in gioventù alcune dolorose ferite che gli avevano interessato una mano e un ginocchio rendendolo inabile e fortemente claudicante e questo, probabilmente, lo spinse a volersi affermare su tutti coloro con cui veniva a contatto e per arrivare a questo risultato non andava certo troppo per il sottile. Ma liquidare in questa maniera un uomo che fu probabilmente dotato, malgrado l’assenza totale di cultura (era analfabeta), di un’intelligenza fuori della media e di interessi assolutamente poliedrici, sarebbe

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indegno oltre che illegittimo. I tempi, nell’Asia Centrale del XIV secolo, non erano certo quelli di rilassato distacco pastorale che si legge in alcune romanzate note storiche: la vita, nel Medio Evo asiatico, era durissima - come del resto anche in Europa – e la sopravvivenza era spesso affidata alla velocità del proprio cavallo e alla capacità di maneggiare sapientemente l’arco da combattimento. Timur (13361405) proveniva dalla tribù turco-mongola dei Barlas, stanziale e di consuetudini agricole, ed era quindi un “mezzosangue”, disprezzato dagli orgogliosi Mongoli del nord e rigorosamente pastori nomadi. Ma, come si sa, nella scala dell’evoluzione, la pratica della pastorizia compare ben prima di quella dell’agricoltura ed è quest’ultima che alla lunga finisce per prevalere sulla prima. Proprio per questo motivo, probabilmente, Tamerlano potè godere di una maggiore organizzazione che gli permise di far muovere immense masse di guerrieri (anche mezzo milione) in tempi brevissimi e con tutto ciò che poteva loro servire al seguito. E’ stato dimostrato che, mentre una carovana ci metteva più o meno 3 mesi per percorrere i circa 1500 chilometri di quella parte della Via della Seta che attraversa l’Uzbekistan, un esercito di cavalieri di Tamerlano poteva raggiungere le due estremità

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di questo tragitto in soli 8 giorni partendo dalla centrale capitale Samarcanda, mantenendo una media dei 100 chilometri giornalieri ! Per circa 40 anni Timur-e lang, Timur lo zoppo, guerreggiò contro tutti: con i Mongoli al nord, di cui disintegrò gli ultimi resti della famosa Orda d’Oro nata con Gengis Khan circa 150 anni prima, ma anche contro Persiani, Turchi, Caucasici e Indiani. Le stragi furono innumerevoli ma, diversamente dai conquistatori che lo avevano preceduto, Tamerlano offriva sempre la resa ai nemici sconfitti e, comunque, vietava tassativamente ai suoi soldati di procedere a saccheggi distruttivi. Anzi, allorché le condizioni lo permettevano, riportava in patria tutto ciò che di bello trovava nei territori conquistati, compresi gli artisti e gli studiosi di

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ogni settore dello scibile ai quali metteva a disposizione fresche abitazioni e grandi ambienti dove esercitare le loro arti e le loro ricerche. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non venne mai a contatto bellico con popolazioni di fede cristiana, ma al contrario combattè accanitamente contro i regni di religione musulmana: religione che era stata introdotta nell’attuale Uzbekistan da Uzbek Khan, capo mongolo shaybani e fondatore della stirpe, poco prima della nascita di Timur. Dopo la sua scomparsa avvenuta a Otrar, sulla via della Cina, mentre si accingeva a portare a compimento una delle sue innumerevoli conquiste, Tamerlano non ebbe molta fortuna nella successione dinastica e la sua schiatta, i Timuridi, dopo il governo

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del nipote Ulughbek, grande astronomo e ricercatore più che capace amministratore, si trovò coinvolta in innumerevoli conflitti interni che la portarono nel giro di un secolo all’estinzione.


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Con Tamerlano l’agricoltura uzbeka conobbe un nuovo evo che si mantenne da allora ai massimi livelli anche sotto i conquistatori russi che fecero dell’Uzbekistan, per oltre centovent’anni, “il granaio dell’Impero”. Infatti, come abbiamo già accennato, il territorio uzbeko è quasi completamente

posizionato in un’area felicemente inserita fra i grandi corsi dei fiumi Amu Darya e Syr Darya che scaricano le loro acque, provenienti dalle montagne del Pamir, nel Lago Aral. Per questo motivo non vi è da sorprendersi se gli Uzbeki sono tradizionalmente agricoltori, in mezzo ad altre etnie, Kazaki, Turkmeni, Tagiki e Kyrgisi che al contrario praticano la pastorizia. E non è un caso se, per millenni, il territorio compreso fra Bukhara e

destinato all’agricoltura (se si eccettua il deserto del Kyzilkum, 200.000 kmq di “sabbia rossa” compreso approssimatamente fra Khiva a Bukhara) in quanto

la Valle di Ferghana, con centro a Samarcanda, ha nutrito le centinaia di migliaia di carovanieri che l’hanno attraversato. In questo Eden dell’Asia

a cultura agroalimentare uzbeka: le sue produzioni e la sua cucina.

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Centrale, dal punto di vista agricolo, c’è praticamente tutto. Distendendosi da nord a sud fra il 46° e il 38° Parallelo (più o meno come l’Italia) ma godendo di un clima sostanzialmente continentale – con inverni rigidi ed estati caldissime – non potrebbe assolutamente essere produttivo, dal punto di vita agricolo, se non fosse compreso, come abbiamo già detto, fra due grandi fiumi: l’Amu-Darya e il Syr-Darya. L’intercettazione delle loro acque e la loro distribuzione capillare sul territorio con una fittissima rete di canali (con la sola eccezione del grande deserto del Kyzylkum) rende possibili coltivazioni intensive di cereali, cotone e gelso per l’allevamento dei bachi da seta. Unico neo di questo sistematico prelievo d’acqua, è il progressivo prosciugamento del Lago Aral, dove finiscono le poche acque residuali, le cui dimensioni si sono drasticamente ridotte nell’ultimo secolo: si sta parlando di un vero e proprio disastro ecologico, ma i giovani Uzbeki – indipendenti dal 1991 – hanno già allo studio alcune pratiche innovative per evitare da qui in avanti la dispersione del prezioso liquido. La frutta e la verdura uzbeke non hanno l’eguale in tutta l’Asia Centrale e la cucina nazionale non può quindi far altro che avvalersi di questa grande risorsa,

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cui si aggiunge, ma con parsimonia, l’utilizzo di carni di vacca, di pecora e di capra. Il maiale è pressoché sconosciuto (il Paese è ufficialmente musulmano, seppur praticamente laico) e di grandissimo consumo è la birra che viene prodotta direttamente in loco.

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l riso plov e i vini uzbeki

Piatto nazionale, che si mangia anche a partire dal mattino presto, è il riso plov, che ha una funzione sociale e benaugurante: non è inusuale infatti che gli Uzbeki, in occasione dei grandi momenti familiari,

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circoncisioni, fidanzamenti, matrimoni e anche funerali, facciano colossali mangiate di riso plov, rigorosamente preparato dai maschi di famiglia, che iniziano la preparativa fin dal giorno prima dell’evento. Il riso viene cotto in grandi pentoloni - i kazan - insieme alle verdure, in maggioranza carote e peperoni, con l’aggiunta di piccoli pezzi di carne ovina, mentre il tutto viene condito con il grasso dell’agnello e/o del montone. Naturalmente, secondo gli Uzbeki, il plov è fortemente afrodisiaco, ma noi riteniamo che questa proprietà sia piuttosto dovuta alla costante presenza della vodka di cui

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la popolazione fa largamente uso proprio insieme al piatto. Oltre alla vodka, comunque, gli Uzbeki non disdegnano in accompagnamento al riso plov un buon bicchiere degli ottimi vini prodotti con uve coltivate nelle regioni più orientali sui dolci altopiani che circondano Samarcanda e Ferghana, a ridosso dei primi contrafforti del Pamir. Resta inteso che la stragrande parte delle uve uzbeke vengono fatte appassire al sole, o per produrre vini passiti dolci e fortemente alcolici o per sgranarne i chicchi e servirli come gustosissimi appetizers in tutte le ore della giornata. ▣


BEVI RESPONSABILMENTE

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www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


Le Marche nel calice:

il territorio svelato attraverso i suoi vitigni Le valli della regione sono ricche di fecondi vigneti e il modo più piacevole e consigliabile per approfondire la conoscenza delle Marche può avvenire attraverso il vino. di Nicoletta Curradi

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e Marche sono ancora poco frequentate dal turismo di massa, a parte la zona costiera. Perciò è possibile scoprire con tranquillità, a ritmi slow, le meraviglie custodite nel territorio. Dalle catene montuose alle spiagge di sabbia e alle scogliere a picco sul mare, le dolci colline dove si nascondono borghi suggestivi e piacevoli percorsi enogastronomici: mille sono i luoghi da scoprire in questa magica regione. Le valli delle Marche sono state definite “i denti di un pettine”. Infatti, se si osserva una carta geografica della regione, si nota con facilità che i corsi d’acqua nascono dalla catena appenninica e scendono direttamente verso il Mare Adriatico, correndo quasi paralleli fra loro, offrendo appunto l’immagine dei denti di un pettine. Queste valli sono ricche di fecondi vigneti e il modo più piacevole e consigliabile per approfondire la conoscenza delle Marche può avvenire attraverso il vino. Storia, cultura, tradizioni, sapori, atmosfere del bicchiere che racchiude e custodisce uno scrigno di sensazioni e suggestioni, che parla al cuore di chi sa gustare i prodotti della terra: il vino riesce a tramandare quanto di antico c’è nella modernità. La vitivinicoltura marchigiana ha saputo crescere ed evolversi,

rinnovandosi, senza mai tradire le sue origini. I vini marchigiani sono composti da cinque grandi uvaggi: il Verdicchio, il Pecorino, la Passerina, il Sangiovese e il Montepulciano. Il vitigno che esprime maggiormente le potenzialità del territorio è senza dubbio il Verdicchio. Gli enologi più esperti ritengono che esso abbia il potenziale per essere considerato il più grande vitigno autoctono d’Italia. Questa affermazione può sorprendere coloro che hanno provato solo i Verdicchi più

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giovani, a volte imbottigliati in attraenti bottiglie a forma di anfora. Fino a due o tre decenni fa la qualità non era elevata. Da allora i vini sono migliorati notevolmente, mantenendo un buon rapporto qualità prezzo. Il Verdicchio prende il nome dal suo colore. Infatti, le bacche mature hanno una sfumatura verde molto evidente. Le giovani annate sono altamente acide, con una sfumatura verde ben visibile nel bicchiere. Dopo circa un decennio, i sapori

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cambiano ma il colore rimane coerente. Il vino giovane ha sentori di mandorla amara in bocca con un accenno di sapidità. L’uva Verdicchio è coltivata nell’Italia centrale almeno dal XV secolo, anche se alcuni ritengono che fosse coltivata tra Jesi e Matelica fin dall’VIII secolo. Si deve comunque ai monaci, Benedettini prima e Camaldolesi poi, la reintroduzione della viticoltura nelle Marche. La DOC del Verdicchio ha già compiuto 50 anni, mentre dal 2010 vi sono le due DOCG del Verdicchio, quello dei Castelli di Jesi e quello di Matelica. Il nome del primo deriva non proprio da castelli, ma da borghi fortificati di origine medioevale. Quello coltivato nella zona di Matelica, nella valle del fiume Esino, l’unico della regione che corre da nord a sud, è meno noto, ma non certo di qualità inferiore. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico è prodotto nelle province di Macerata e di Ancona ed è ottenuto dalle uve raccolte nella zona originaria più antica. Con almeno l’85 % di uve Verdicchio si producono anche ottimi spumanti metodo classico o charmat. Il Verdicchio Castelli di Jesi Riserva richiede un

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invecchiamento minimo di 18 mesi, di cui almeno 6 in bottiglia, a decorrere dal 1º dicembre dell’anno di vendemmia. Le potenzialità del vitigno rendono possibile l’invecchiamento del vino, ma non tutti sono d:accordo. È certamente un pregiudizio da sfatare e occorre ribaltare l’idea diffusa, ma in realtà

infondata, sulle scarse potenzialità di questo prodotto, recuperando la considerazione di un viaggio troppo a lungo sottovalutato. Nell’immaginario collettivo, seppure apprezzato e ampiamente consumato, il Verdicchio non è mai stato associato all’invecchiamento: le annate più lontane non sono seduttive come quelle recenti, ma il

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tempo dà loro ragione. Con lentezza emerge una personalità legata al territorio, esprimendo le note di mineralità del terroir, composto da sabbia e argilla. I produttori di Verdicchio, soprattutto le giovani generazioni che hanno preso in mano le redini delle proprie aziende, spesso certificate biologiche, sono riusciti nell’intento di stimolare la curiosità degli intenditori, lavorando molto in vigna e selezionando i cloni, oltre che migliorando le tecniche di vinificazione e di affinamento. I vini che scaturiscono da questo lavoro sono riconoscibili soprattutto al naso, sanno invecchiare e maturano molto bene. mostrando caratteristiche di complessità, armonia, persistenza. Perciò è possibile oggi degustare e apprezzare bottiglie di Verdicchio risalenti al 2010, al 2007, al 1992 e addirittura al 1988, che mantengono carattere, potenza e sapidità. Per fortuna le Marche negli ultimi anni si stanno riappropriando del binomio vino-paesaggio per comunicare meglio il territorio. E il Verdicchio, con la sua eleganza, è certamente il miglior ambasciatore. ▣



Fuori i neonicotinoidi

d a i n ostri p i atti ! Storica decisione dell’Europa, che dopo una battaglia decennale ha bandito l’uso in campo aperto dei tre insetticidi più diffusi al mondo. a cura Redazione Centrale – Fonte Slow Food

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rriva dopo anni di battaglie la decisione presa dagli Stati membri dell’Europa di bandire l’uso dei neonicotinoidi in campo aperto. Si tratta di una

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grande vittoria per gli insetti impollinatori, come le api, e per tutti noi, contadini, consumatori e Stati membri. Lo scorso marzo l’Efsa ha ribadito la pericolosità di tre pesticidi della classe dei neonicotinoidi: clothianidin,

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imidacloprid e thiamethoxam. Il risultato è stato che la Commissione europea ha richiesto la restrizione del loro uso in campo aperto, incontrando la resistenza di alcuni Stati membri. Il voto di oggi (27 aprile ndr), invece,


ha approvato a maggioranza qualificata la proposta di divieto della Commissione. Per Slow Food questo risultato è un’ottima notizia, anche se la lotta ai neonicotinoidi non finisce qui: la Commissione, infatti, sostiene l’idea che “il divieto completo dell’uso dei tre neonicotinoidi non è giustificato, in quanto non c’è alcun rischio per le api in tutti quei casi in cui le piante sono trattate esclusivamente all’interno delle serre e rimangono al loro interno durante tutto il ciclo vitale”. Questo vuol dire quindi che i tre insetticidi si possono ancora utilizzare all’interno delle serre. Considerando i rischi comprovati di queste sostanze, Slow Food crede che dovrebbero essere vietate per tutte le coltivazioni

e in qualsiasi condizione. Secondo Carlo Petrini, presidente di Slow Food, «oggi gli Stati membri dell’Unione europea si sono messi dal lato giusto della storia. Si tratta di una vittoria importante non solo per le api ma per l’intera società. Questo voto è un chiaro messaggio indirizzato alla politica e all’intero sistema agricolo industriale: la nostra salute e quella del pianeta prevarranno sugli interessi finanziari delle multinazionali. Siamo di fronte a un passo fondamentale verso AP P ROF O NDI M E NT O

un’agricoltura buona, pulita e giusta». Dello stesso avviso Martine Dermine, coordinatore della Save the Bees Coalition e del Presidio Slow Food dell’ape nera belga: «Questo è un giorno che passerà alla storia perché da quando sono stati autorizzati, 20 anni fa, i neonicotinoidi hanno decimato milioni di alveari in tutta Europa. Gli Stati membri hanno espresso un segnale nettissimo a favore della protezione dell’ambiente e di un’agricoltura più sostenibile». ▣

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Un sorso di Val D’Aosta Il caffè “à la valdôtaine” è a base di caffè più Grappa o Genepì e fa parte da secoli del folklore e della cultura popolare della Valle d’Aosta. Si beve solo dai beccucci della grolla di legno, la coppa dell’amicizia che la tradizione vuole che sia fatta girare in senso orario e senza mai appoggiarla sul tavolo. di Leonella Nava

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hi dice Val d’Aosta, dice, oltre a castelli e montagne spettacolari, caffè in grolla e Genepì. Per la più piccola e meno

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popolata regione d’Italia queste due bevande sono quasi ... sacre! Un tempo i montanari usavano mettere a macerare in alcool fiori, erbe e radici di ogni genere: il risultato era un liquore

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che accentuava e rafforzava il legame che chi vive in alta montagna ha da sempre con il territorio. Anche il caffè “à la valdôtaine” (in patois, il dialetto valdostano, café à la cognèntse) è una


A sinistra, Emilia Berthod fra le piantine di Arthemisia Genepi. In basso, Coltivazioni. A pagina 58, Grolla e Kit Vaso Fai da Te.

bevanda alcolica (Genepì o Grappa) a base di caffè e fa parte del folklore e della cultura popolare: la sua diffusione risale a secoli fa, sia per scaldarsi durante lunghi inverni sia come rito sociale, in quanto si tratta di un modo comunitario di bere il caffè. Non a caso la grolla, la coppa in legno di noce o di acero tipica dell’artigianato valdostano, è chiamata “coppa dell’amicizia”: è composta da vari beccucci da cui si beve a turno facendola girare “à la ronde”, in senso orario. La tradizione dice che una volta alzata non deve essere più appoggiata sul tavolo. In caso contrario porterebbe male! Superstizione e scenografia a parte, la preparazione è abbastanza semplice: “Si prepara il caffè con la solita moka e nel frattempo si scalda a bagnomaria il Genepì o la Grappa. -consigliano a l’Hostellerie du Paradis, storico Hotel Restaurant, aperto tutto l’anno, in frazione Eau Rousse (Valsavarenche) nell’area protetta più antica d’Italia.- Versare poi il tutto nella grolla con cannella e qualche scorza di arancia o di limone e zucchero sui bordi della grolla inumiditi di liquore. Dare fuoco all’alcool e lasciar bruciare finché lo zucchero ai bordi non sarà caramellato.” Gli AP P ROF O NDI M E NT O

artisti-artigiani di grolle, che tutti gli anni a fine gennaio ad Aosta espongono alla storica centenaria fiera di Saint Ours (Sant’Orso), raccomandano di non lavare mai la grolla con detersivi, ma di pulirla solo con un panno umido. E il Genepì di oggi? A partire dagli anni ‘60, in seguito a difficoltà nel reperire genepì spontaneo ad alte quote (2.200 /3.000 metri s.l.m.) e per far fronte a domanda sempre maggiore di questa erba spontanea da parte dei produttori, alcuni agricoltori di montagna cominciarono a coltivarlo a quote più basse. Sicuramente chi è andato a sciare o a fare trekking in Val d’Aosta ha conosciuto il Genepì come dopopasto, ma anche, in quanto liquore versatile, come aperitivo o aromatizzante in qualche cocktail. Per tutelarne l’originalità e la qualità, dal 20 febbraio 2015 il Genepì è diventato ufficialmente IGP con Indicazione Geografica Protetta con denominazione Genepì della Valle d’Aosta o Genepì de la Vallée d’Aoste. Abitualmente a questa parola si associa un prodotto di consistenza liquida, ovvero un liquore di colore verde-giallo. Invece, a Valsavarenche, unico Comune interamente inglobato nell’area protetta del Parco Nazionale del Gran Paradiso, quel nome, come un tempo, vuol dire “erba” e profumo di fiori. E per

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Emilia Berthod, una passione trasformata in attività: da ben 16 anni a Bois de Clin, una minuscola frazione a 1300 metri, (cento per cento natura protetta) questa valligiana, Emy, ha acquisito col tempo una vera e propria specializzazione in una coltura difficile, che richiede impegno pluriennale. Coltiva il genepì, l’Arthemisia umbelliformis (o Arthemisia mutellina). E la novità è che... il liquore della valle lo si può fare da se stessi e non solo comperare come ottimo liquore tipico valdostano, magari da regalare al ritorno da una vacanza in Valle. “ Il Genepì casalingo è un po’ come la torta o il pane fatto in casa! Avrete aggiunto un ingrediente unico, che solo voi potete inserire” dice sorridendo Emy “ovvero poter dire: questo l’ho fatto io con amore”, continua Emy, che ha recentemente ideato il “Kit fai da te”, un simpatico vaso in vetro dove mettere a macerare in alcool i fiori di genepì con le erbe e due ricette “di partenza”, sia per produrre il liquore di color verde sia quello bianco. La differenza? “Questo secondo liquore si ottiene mettendo in sospensione le erbe dell’Arthemisia genepi, in modo che venga rilasciato solo il profumo e non il colore delle piantine. Il risultato è un liquore più amabile e delicato, perché non si estraggono i tannini dalle erbe” spiega ancora Emy.

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Il contenuto dei sacchetti dei kit fai da te è sufficiente ad aromatizzare un litro di alcool. Aggiungendo un litro di acqua e 500 o 700 grammi di zucchero (a seconda si desideri un Genepì più secco o amabile) si ottiene un liquore dalle virtù magicamente salutari. Come l’erba montana che lo compone. L’Azienda agricola Da Emy commercializza sul sito di eccellenze valdostane Tascapan anche arnica, sedano di montagna, iperico, achillea millefoglie e coda cavallina. Tutte erbe di montagna che, in quanto coltivate nel territorio protetto di Valsavarenche, hanno sui sacchetti il marchio di Qualità del parco Nazionale Gran Paradiso.

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Grazie alle visite guidate alle coltivazioni, che la titolare offre volentieri agli interessati, un salto in Valsavarenche merita un pensiero: una montagna non glamour ma emozionante. Vittorio Sella docet. ▣



Secondo AIAB ci sono troppi pesticidi ed è giunta l’ora di separarci da un modello di produzione distruttivo La crescita dei pesticidi nelle acque che dal 2007 è più che raddoppiato - dichiara l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (AIAB) - nonostante la PAC e i PSR abbiano premiato le aziende per una diminuzione di impatto ambientale che non c’è stato, aprendo un enorme interrogativo sui controlli. di Roberto Rabachino – da pubblicazione AIAB

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59 i pesticidi ritrovati nelle acque italiane e 400 quelli ricercati. L’erbicida con il maggior numero di superamenti è proprio il glifosate e il suo metabolita Ampa,

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prorogato dall’Ue per altri 5 anni anche se classificato dallo IARC potenzialmente cancerogeno per l’uomo. Sono numeri presentati il mese scorso dall’Ispra nel suo Rapporto “Pesticidi nelle Acque” contenente i risultati del monitoraggio relativi al

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biennio 2015-2016. Secondo l’Istituto nel 2016 entrambe le sostanze sono risultate superiori agli standard di qualità ambientale per le acque previsti dalla norma, rispettivamente nel 24,5% e nel 47,8% dei siti monitorati.


Dati molto preoccupanti. La situazione ha raggiunto livelli di allarme in tutta Europa. Lo confermano alcuni dati e dichiarazioni pubblicati recentemente su The Guardian relativi alla situazione europea e francese. “Le nostre campagne sono in procinto di diventare un vero deserto”, si dice in un comunicato rilasciato dal Centro nazionale per la ricerca scientifica (CNRS). Il principale colpevole, ipotizzano i ricercatori, è l’uso intensivo di pesticidi su vasti tratti di colture monocultura. Il problema non è l’avvelenamento degli uccelli, ma la scomparsa degli insetti di cui gli uccelli si nutrono. Secondo quanto riporta il quotidiano, ricerche recenti hanno scoperto tendenze simili in tutta Europa, stimando che gli

insetti volanti sono diminuiti dell’80% e le popolazioni di uccelli sono diminuite di oltre 400 milioni in 30 anni. Una “situazione catastrofica”, secondo Benoit Fontaine, biologo conservatore del Museo Nazionale di Storia Naturale della Francia. “Un’ulteriore preoccupazione – dice Vincenzo Vizioli, presidente di AIAB – arriva dal fatto che nonostante il notevole incremento dell’attività di monitoraggio e l’evoluzione dei metodi analitici, le sostanze responsabili della maggior parte dei superamenti normativi (come il glifosate e l’Ampa, l’Atrazinadesetildesisopropil o il metolachlor Esa, per citare alcuni esempi) non sono ricercati omogeneamente sul territorio nazionale facendo presupporre una presenza più massiccia di quella BI O

segnalata”. Inquietante, poi, la forte presenza di Atrazina, un diserbante famigerato per aver inquinato le acque padane e per questo revocato dall’Ue nel 2004, che dimostra che se si interrompesse oggi l’uso dissennato di pesticidi continueremmo a contabilizzare i danni per altri decenni. “Parliamo dunque – dice Vizioli – di sostanze tossiche che sono ancora riscontrate in grandi quantità a causa di un modello produttivo da cui l’intero sistema fatica a separarsi. E tutto ciò in netta controtendenza rispetto agli obiettivi della PAC e alla richiesta sempre più alta da parte dei consumatori di prodotti che non siano dannosi per la salute e per l’ambiente”. E parliamo di dati che

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confermano un pericoloso trend. “A tutto ciò – conclude Vizioli – si aggiunge il fallimento sia del Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei fitofarmaci, sia dei PSR che, come evidenziano i dati ISPRA, continuano a premiare un’agricoltura pericolosa e senza scrupoli. Per non parlare del

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ritardo che dimostrano le Associazioni di categoria nell’adeguarsi ai nuovi obiettivi e nel ragionare su un modello innovativo di premio. Dall’altra parte della barricata c’è un biologico che corre sempre più veloce verso l’industrializzazione portando con sé uno svuotamento dei suoi valori fondanti e il grave rischio

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della perdita di fiducia da parte dei consumatori. Bisogna abbandonare le reticenze ad affrontare il problema e non bisogna smettere di credere che un biologico vero e alla portata di tutti è possibile. L’impegno e la fatica di decine di migliaia di piccole aziende italiane lo dimostrano quotidianamente”. ▣


CONSORZIO TUTELA VINI DELLA MAREMMA TOSCANA

diversificate che incidono profondamente sulle caratteristiche della

Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014

Attraverso la partecipazione a manifestazioni internazionali o la

dopo il conferimento della DOC con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare, dedicandosi, inoltre, alla tutela del marchio

ricca e variegata gamma di vini proposta.

presenza presso sedi istituzionali sia in Italia che all’estero, il Consorzio è inoltre impegnato nella valorizzazione della Denominazione Maremma Toscana e del territorio da cui essa proviene con l’obiettivo

e all’assistenza ai soci sulle normative che regolano il settore.

di far conoscere la peculiare produzione della Maremma Toscana

Oggi il Consorzio conta 269 aziende associate, di cui 193 viticoltori

risalgono ai tempi degli Etruschi.

(per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 75 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie

DOC e la storia di questa originale zona vitivinicola, le cui origini

Importanti azioni di incoming destinate a operatori del settore italiani e stranieri, oltre a un ricco programma di eventi, tavole rotonde e

prodotte all’anno.

convegni, permettono al Consorzio di presentare l’eterogenea realtà

Il Consorzio opera nell’intera provincia di Grosseto, una vasta area

storica e culturale, promuovendo al contempo le migliori tecnologie

della Maremma non solo enologica, ma anche turistica, agricola,

nel sud della Toscana che si estende dalle pendici del Monte Amiata e raggiunge la costa maremmana e l’Argentario fino all’isola del Giglio, corrispondente alla zona di produzione della DOC Maremma Toscana, dove sono presenti 8.770 ettari di vigneto. Un’area geografica caratterizzata da condizioni pedoclimatiche molto

nel rispetto della natura. Lo scopo della DOC Maremma Toscana è oggi quello di affascinare e stupire gli amanti del bello e del buono di tutto il mondo, valorizzando le diversità di questo sorprendente territorio e ampliando gli orizzonti del gusto toscano attraverso la varietà e la qualità di questi pregiati vini.

www.consorziovinimaremma.it | info@consorziovinimaremma.it


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sola è anche riflessione, curiosità, è intervallo da cui rinasce la fantasia dell’ignoto, la smania di varcare il limite e di esplorare nuovi spazi. Le Isole Eolie sono state nei secoli più recenti un regno lontano e sconosciuto ma, data la posizione

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geografica e le loro vicende storiche, sono state spesso considerate protagoniste di una cultura e una civiltà proprie, autonome e spesso diverse dalla regione a cui geograficamente appartengono. Ne sono espressione il mito incentrato sulla propria realtà geografica

e sulla millenaria capacità umana di controllare un ambiente, difficile e inospitale. Sono gli elementi naturali – acqua, fuoco, aria e terra – a costituire lo spazio eoliano, facendone un territorio singolare e unitario. E ogni isola è in grado di cambiare tra loro

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Eolie, sole mare e cultura Isola è nostalgia e punto d’arrivo, è esitazione e trepidazione, è nello stesso tempo inquietudine e serenità: è qualcosa che suscita momenti intensi di contrasto, sensazioni che si rincorrono senza mai raggiungersi. Testo e foto di Jimmy Pessina

questi elementi, ricavandone un’immagine, una fisionomia, un’organizzazione spaziale e temporale. Fin dall’antichità queste isole, proprio per lo spettacolo delle coste alte e scoscese, dagli scogli scolpiti dell’erosione del mare e del vento, per i vapori emanati dalle loro

viscere, dovettero offrire ai primi viaggiatori in transito nel Tirreno meridionale un terreno fertile per indagini scientifiche, per ricerche di elementi curiosi, per descrizioni liriche, per meditazioni interiori, una fucina di sensazioni, di uomini, di avvenimenti e di

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impressioni da riportare nei loro libri. Tra i viaggiatoriscrittori, spiccano i nomi dello scienziato Déodat de Dolomieu, quello degli artisti Jean Houel e Gaston Vuillier, dello scrittore Alexandre Dumas e dell’arciduca Luigi Salvatore d’Austria. Un excursus che sappia

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tener conto dell’impronta personale delle opere di questi viaggiatori può fornire l’occasione per ricostruire uno scenario eoliano che tanto riuscì ad impressionare ed affascinare le menti di chi, a volte per caso, si imbatté in queste bellezze naturali, rendendoci partecipi attraverso quelle testimonianze di una “scoperta” del tutto particolare ed irripetibile delle Isole Eolie. L’Arcipelago di Eolo e di Vulcano, già descritto nell’antichità da autori come Stradone o Diodoro Siculo, e citato da poeti come Omero, non ha mai cessato di richiamare viaggiatori di

ogni provenienza. Dumas è certamente lo scrittore più celebre che ebbe modo di visitare le Eolie. Il racconto della sua permanenza alle Isole è vivace e pittoresco, a volte esuberante. Lo scrittore rimane affascinato alla natura, dalle abitudini culinarie, dai vini locali, dai colori del mare che per un gioco di luci ricco di armonia “cambiò colore cinque o sei volte prima di svanire tra i vapori”. Ma ciò che più colpisce Dumas è lo spettacolo delle frequenti eruzioni dello Stromboli: “Confesso che questa notte è una delle più curiose che abbia passato della mia vita….Non potevo staccarmi

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da quel terribile e magnifico spettacolo”. Curiosità, entusiasmo e nostalgia sono gli elementi fondamentali della sua esperienza in prima persona, per questo fa sì che il lettore si sente più partecipe. Circumnavigando l’isola di Alicudi, scoscesi pendii ricoperti d’erica si alternano a minuscole spiagge. Appaiono archi di roccia naturali, i cosiddetti “berciati” e, nelle scogliere, si aprono grotte scavate dagli elementi naturali come quelle dell’Acqua e del Grottazzo. Tipico esempio della natura geologica di Alicudi sono anche i “fili”, colonne di lava

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modulate dall’erosione e dagli sprofondamenti della roccia lavica antichissima. Agli appassionati di pesca subacquea consigliamo qualche immersione nelle vicinanze dello Scoglio della Jalera; fra i pesci più

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pregiati abbondano aragoste, ricciole e cernie. Di notevole interesse turistico è il giro in barca attorno all’isola di Lipari, da cui è possibile ammirare paesaggi lavorati dal vento da millenni e fondali meravigliosi, come la

Spiaggia Bianca, una delle più belle di tutto l’Arcipelago, chiamata così per il colore del fondale marino, dovuto ai sedimenti di pomice depositatasi in mare nel corso degli anni. Il periplo dell’isola di Filicudi in barca ne esalta

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la vera natura selvaggia. Le coste presentano bellezze non comuni: declivi formati a terrazze rivestite di ginestre, strette valli, dirupate scogliere e profonde grotte. Di grande effetto è la visita alla Grotta del Bue Marino, posta nelle vicinanze di Punta Berciato. All’interno della grotta i giochi di luce e il rumore del mare sembrano imitare il muggito del bue, producendo effetti suggestivi. La cala che si apre tra Capo Testa Grossa e lo Scoglio del Quaglietto nell’isola di Vulcano è di sicuro una delle più belle di tutto l’arcipelago. Entrando scoprirete delle bellissime piscine naturali dall’acqua cristallina dal colore dello smeraldo: il luogo è noto

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come il “bagno delle vergini”. La spettacolare baia di Pollara, nell’isola di Salina, è una zona rocciosa che sale verso la superficie, circondata da fondali di diverse centinaia di metri di profondità, ricchissimi di pesci e con la probabilità di fare incontri sensazionali con pesci di dimensioni fuori dal comune. Ma le Eolie non sono solo mare….natura…. cultura! Un ricchissimo menù di piatti tipici, realizzati con frutti della terra, i pesci del mare appena pescati semplicemente arrostiti o conditi con odorose spezie aromatiche come gli “involtini di pesce spada” o la saporosa “cernia a ghiotta” stuzzicano il palato facendo rivivere sapori dimenticati. ▣

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È

situato in una splendida torre medioevale duecentesca, all’interno del palazzo dove sorge il prestigioso Grand Hotel Continental del gruppo Starhotels Collezione unico hotel a 5 stelle nel centro di Siena - proprio di fronte a Palazzo Salimbeni, sede storica del Monte dei Paschi e a pochi passi da una delle più belle piazze del mondo, Piazza del Campo. Meravigliosa di giorno e affascinante in quelle incredibili notti di cielo blu intensissimo, quasi nero, nel quale si staglia la Torre del Mangia, imponente e acuta

Il fascino di degustare vini in una cantina del 1200 a Siena Un vero salotto del vino nel cuore di Siena, che rappresenta nel mondo una delle migliori tradizioni vitivinicole italiane. Degustare i vini della Wine Cellar all’interno dell’antica torre medievale, in uno spazio esclusivo e suggestivo, è un’esperienza polisensoriale unica. di Paolo Alciati

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come una freccia protesa nell’universo, intensamente illuminata di giallo a creare un contrasto netto, quasi irreale, come nei collage di fanciullesca memoria con le fotografie dei castelli e dei palazzi che alle elementari la maestra ci faceva ritagliare e incollare su pittoreschi sfondi colorati, di volta in volta sempre diversi. È la Wine Cellar del ristorante Sapordivino, uno spazio dove elementi moderni come il vetro e l’acciaio si contrappongono alla pietra antica e nel quale sono racchiusi i preziosi nettari di oltre 60 selezionate cantine, con oltre 400 etichette e più di 3.000 bottiglie di grandi vini

italiani e dei migliori prodotti delle cantine toscane. “Al Grand Hotel Continental abbiamo realizzato un progetto molto ambizioso”, dichiara Davide Gagliardi, Project Manager per F&De Group, “un vero salotto del vino nel cuore di Siena, che rappresenta nel mondo una delle migliori tradizioni vitivinicole italiane. Degustare i vini della Wine Cellar all’interno dell’antica torre medievale, in uno spazio esclusivo e suggestivo, è un’esperienza polisensoriale unica che si arricchisce grazie ai piatti dello Chef Ciaffarafà che esplorano, anche sul versante food, la cultura enogastronomica locale. La

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lista dei vini, composta per l’80% di etichette senesi e toscane, è frutto di una ricerca sul territorio presso le migliori cantine. Un viaggio nella storia vitivinicola che mi ha molto emozionato”. Frutto di una scoperta recente e casuale grazie a lavori di riammodernamento effettuati al di sotto del piano ristorante, in una delle zone più affascinanti del palazzo, la base della torre medievale dell’albergo, con mura originali del 1200 scavate nell’antica Pietra di Torre, calcare cavernoso senese, è così diventata con una sapiente e delicata opera di recupero - un luogo suggestivo ed esclusivo, una cantina pervasa da

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un’atmosfera elegante e ricercata, luogo aulico in cui tenere degustazioni ed eventi raffinati siano essi mondani o di business, ma con il fascinoso abbraccio di oltre 800 anni di storia. Ogni giorno, infatti, la Wine Cellar by Sapordivino apre le porte al pubblico per l’aperitivo con degustazioni guidate dal sommelier Gerardo Torchia e calici di vino accompagnati da taglieri con saporiti salumi e gustosi formaggi tipici del territorio, rustiche terrine d’oca e classiche zuppe della tradizione derivate da ricette che affondano nel Medioevo e nel Rinascimento, preparate con i prelibati cereali e legumi toscani, ma c’è anche spazio per degustazioni “verticali”, dedicate a vitigni, annate o etichette particolari, in accompagnamento a piatti

gourmet di terra o di mare. Ma non è tutto… infatti la Direzione del Grand Hotel Continental ha anche intrapreso un progetto di grande valore culturale all’insegna della scoperta della migliore tradizione enogastronomica toscana, fortemente improntata soprattutto sulla cucina senese, in cui moderno e tradizionale si incontrano e danno vita a menù sempre nuovi e sorprendenti e prodotti tipici come cinta senese, salumi e formaggi locali vengono reinventati e abbinati alle eccellenze vinicole del territorio. Nella corte interna del palazzo in una sala al piano terra illuminata da una cupola di vetro - si trova il ristorante Sapordivino, con un menù proposto dallo Chef Luca

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Ciaffarafà per valorizzare il forte legame tra cultura e territorio, piatti preparati con materie prima di alta qualità, carni di razze autoctone, olio d’oliva e stagionalità per emozionarsi in vera e propria esperienza culinaria di alto livello. Il Grand Hotel Continental Siena–Starhotels Collezione è parte di The Leading Hotels of the World, una delle più importanti collezioni di alberghi di lusso e sorge in una posizione strategica, in un magnifico palazzo del Cinquecento: Palazzo Gori Pannilini. L’albergo, che affaccia su Piazza Salimbeni, gioiello di architettura rinascimentale che risplende per prestigio nel cuore medievale della città, è impreziosito da magnifici affreschi e ricche decorazioni

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riportati alla luce con diversi restauri ed è diventato parte del patrimonio artistico e culturale di Siena. La storia e l’arte sono di casa in questo splendido edificio: affreschi, arredi preziosi, marmi e atmosfera elegante hanno conquistato nei secoli un pubblico d’élite, dai giovani

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aristocratici dell’ottocento alla Regina Margherita di Savoia (come testimoniano la targa e il busto posti nella scalinata che conduce al piano nobile del Palazzo), da importanti politici ai più noti nomi dello spettacolo. Il Grand Hotel Continental stupisce per la sua

magnificenza architettonica, i numerosi richiami all’arte rinascimentale e i bellissimi affreschi originali. Lo splendore degli spazi interni, impreziositi da inestimabili oggetti di antiquariato e dai pavimenti in cotto, splendidamente segnati da 500 anni di aristocratico

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calpestio, lo rendono un luogo raffinato e lussuoso. Dalla sua costruzione il palazzo ha visto il susseguirsi di artisti, artigiani e arredatori, impegnati a fare di ognuna delle camere un capolavoro, con arredi sontuosi, letti a baldacchino, antiche poltrone e raffinati lampadari in cristallo e vetro di Murano, antichi affreschi e decorazioni, dalla pittura parietale raffigurante San Cristoforo agli ornamenti realizzati nel XIX secolo. Vanta quattro tra le più imponenti, eleganti e sontuose sale di Siena: la Sala Olimpia, la Sala Gori, la Biblioteca e lo spettacolare Salone delle Feste che, dai

matrimoni della nobiltà alle riunioni tra capi di Stato, ha ospitato e continua a ospitare eventi importanti, arricchito da ricercati trompe-l’oeil del Cinquecento, splendidi lampadari in vetro di Murano, pavimenti di marmo e squisite finiture in legno dorato, velluto color acquamarina e damasco dorato. Oltre al mantenimento e alla rivalutazione di storiche dimore, il gruppo Starhotels è da sempre sensibile all’impegno sociale e culturale e investe nella valorizzazione del patrimonio storico-artistico italiano. Diversi monumenti hanno beneficiato per il loro restauro di sponsorizzazioni da parte dell’azienda: dalle 28 T URI S MO NAZ I ONAL E

Statue degli Uomini Illustri nel Loggiato della Galleria degli Uffizi, al Maschio Angioino, alla Madonna con il Velo di Raffaello - nella copia d’autore cinquecentesca attribuita agli allievi dell’artista - fino alla recente donazione per il restauro delle balaustre del Piazzale Michelangelo a Firenze. Sostiene inoltre importanti campagne benefiche di carattere sociale come quella intrapresa a partire dal 2015 a favore di Fondazione Pangea Onlus contro la violenza sulle donne. ▣

www.starhotels.com www.starhotelscollezione.com

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MONTAGNANA,

una perla medievale nella campagna veneta, e i suoi prodotti DE.C.O

La città fa parte dei Borghi più belli d’Italia e dell’Associazione Città Murate del Veneto e con il Montagnana Festival vuole esaltare le proprie eccellenze artistiche, architettoniche, paesaggistiche e gastronomiche. di Giovanna Turchi Vismara

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ontagnana, una delle più belle città murate del Veneto, ricca di storia, di fascino medievale e di una rigogliosa natura, si trova in una posizione strategica a circa 50 km di distanza da altri importanti centri artistici, quali Verona, Padova, Vicenza, Mantova e Ferrara, e a circa 80 km da Venezia. Questa sua privilegiata posizione ha determinato fin dall’antichità il sorgere di vari insediamenti fino a divenire in epoca romana punto di riferimento e di controllo di tutto il territorio. Successivamente, a seguito delle devastanti scorrerie degli Ungari, fu eretto a sua difesa un primo fortilizio

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situato ove ora sorge il Castello di San Zeno. Il borgo, divenuto poi centro feudale dei Marchesi Estensi, fu coinvolto nella lotta tra Papato e Impero e nel 1242 fu dato alle fiamme da Ezzelino III da Romano, vicario imperiale di Federico II e vincitore sui Marchesi D’Este. Ezzelino ricostruì la città, innalzando il Mastio che ancora oggi porta il suo nome. Dopo quella parentesi imperiale la città subì un alternarsi di dominazioni. Nel XIV secolo i Carraresi, Signori di Padova, la dotarono di due imponenti cinte murarie rafforzate da 24 torri di vedetta e della porta fortificata di Rocca degli Alberi. Le mura che racchiudono l’intero centro

cittadino sono a tutt’oggi perfettamente conservate. Dopo anni di guerre, nel 1405 la città si consegnò a Venezia perdendo importanza dal punto di vista militare e strategico; tuttavia, grazie agli investimenti dei nobili veneti, si arricchì di fastosi palazzi e pregiate opere d’arte. Tra questi spiccano la celebre Villa Pisani, progettata da Andrea Palladio, e il Duomo di S. Maria Assunta che vanta pregevoli tele di Giorgione, Bonconsiglio e Veronese. Oggi Montagnana fa parte dei Borghi più belli d’Italia e dell’Associazione Città Murate del Veneto che promuove la conoscenza, la tutela e la valorizzazione delle città murate. Inoltre, nel corso degli anni la città è stata insignita di

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numerose onorificenze e certificazioni, tra cui la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano che certifica i borghi dell’entroterra che si distinguono per la tutela del territorio e lo sviluppo di un turismo sostenibile. Montagnana, nel corso del 2018, anno nazionale del cibo italiano, con la 4° edizione del Montagnana Festival vuole esaltare le proprie eccellenze artistiche, architettoniche e paesaggistiche a fianco dei suoi prestigiosi prodotti agricoli, frutto di una sempre fiorente tradizione enogastronomica.

Turismo, ospitalità, cultura e cibo sono finalizzati a portare sviluppo socioeconomico al territorio e a creare nuove sinergie. Gli amanti della buona tavola hanno di che soddisfare i propri gusti scegliendo dal ricco paniere i prodotti provenienti dalla campagna circostante. Sono prodotti tipici del territorio comunale (DE.C.O.) certificati secondo un preciso disciplinare di produzione relativo sia all’agricoltura che all’allevamento. Vari i prodotti legati alla Denominazione del Comune d’Origine (DE.C.O.). Come

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il Prosciutto Veneto BericoEuganeo D.O.P. capace di equilibrare perfettamente morbidezza, dolcezza, profumo. Ci sono poi, frutto dell’esperienza e della tradizione radicata nel territorio, la “Pancetta di Montagnana”, il “Cotechino di Montagnana”, il “Prosciutto cotto alta qualità” e il “Salame di Montagnana”, tutti ottenuti dalla macellazione e lavorazione di carni di suini dell’età minima di 12 mesi, nati nel territorio della Regione Veneto e allevati nel territorio del Comune di Montagnana. Particolare è il “Melone di

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Montagnana”, dal colore giallo-arancio che contiene molte vitamine e sali minerali, soprattutto potassio. Per anni la sua semente è stata autoprodotta, dando origine a tipiche varietà, tra le quali la “pevarina” che accompagna al delicato sapore un retrogusto asprigno che rimanda a piccole quantità di pepe finemente triturato. Ci sono i “peperoncini verdi” a sigaretta, raccolti durante l’estate, con dimensioni che variano dai tre a un massimo di sei centimetri. Non devono essere troppo maturi, per evitare la presenza di semini al loro interno. Dopo essere stati accuratamente lavati vengono ben conservati sotto aceto. Hanno eccellenti qualità organolettiche e si accompagnano bene agli antipasti, ai formaggi e ai bolliti. E’ un tipico pane casereccio lo “Schissotto di Montagnana”, inventato dai contadini veneti di una volta per alternarlo all’enorme consumo di polenta. Viene prodotto con farina bianca 00, strutto, latte, lieviti naturali e si accompagna agli affettati. Una ricetta molto antica e popolare nel territorio della bassa padovana sono gli Gnocchi dolci alla veneta con uvetta, zucchero e cannella al burro versato. Ingrediente principale è la “patata dorata”, coltivata nei comuni situati tra le province di Padova, Vicenza e Verona, tra cui naturalmente Montagnana. ▣ T URI S MO NAZ I ONAL E

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Istat, 2017 boom per turismo nei borghi I borghi rappresentano un’Italia diversa da quella più conosciuta, dove si preserva lo stile di vita italiano. A noi piace considerare i turisti che li visitano come dei veri investitori nella bellezza italiana, perché con la loro presenza contribuiscono a mantenere vive le attività. a cura Redazione Centrale – Fonte ANSA

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astelmola (Me), l’acropoli di Taormina, che sembra una terrazza con vista sul mare; San Ginesio (Mc), piena in ogni angolo di effigi del Santo patrono, il martire romano Lucio Ginesio,

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ritratto mentre suona la ribeca o mostra la maschera perché era mimo, musico e attore; Rocca Imperiale (Cs), il cui vanto sono i limoni dall’eccezionale profumo; o ancora Castel San Pietro Romano (Rm), dove nel 1953 Luigi Comencini

ambientò il suo Pane, amore e fantasia: sono solo alcuni dei 279 borghi disseminati da Nord a Sud del nostro Paese, raccontati nelle loro mille sfaccettature dalla Guida Ufficiale I Borghi più belli d’Italia, edita da SER Società Editrice Romana.

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Giunta alla XIII edizione e presentata a Roma dall’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”, la guida descrive nei dettagli luoghi unici e “slow” che custodiscono lo stile di vita italiano e che sono emblemi di una bellezza nascosta ma preziosa: nelle 672 pagine trovano posto 279 borghi certificati, 2000 fotografie, 1500 eventi, più di 8000 operatori economici, oltre 800 tra piatti e prodotti tipici, 450 musei e gallerie d’arte, e un francobollo, quest’anno

dedicato ad Asolo. Non solo un biglietto da visita per promuovere questi piccoli e attivissimi centri ricchi di cultura e bellezza (oltre il 60% dei borghi ha almeno un museo, per un totale di 242 tra musei, gallerie e collezioni e 39 monumenti), ma un vero e proprio strumento per accompagnare i tanti appassionati che ogni anno scelgono di visitarli e di godere di un patrimonio unico nel suo genere: con la guida (che opera in sinergia con il portale borghipiubelliditalia.it

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e con la rivista Borghi Magazine) è dunque più facile orientarsi tra stili architettonici, monumenti e opere d’arte, splendidi paesaggi, produzioni artigianali ed eccellenze enogastronomiche, feste, eventi e antiche tradizioni che caratterizzano questi comuni. Del resto, il turismo nei borghi italiani va alla grande: secondo i dati provvisori diffusi dall’Istat, le presenze turistiche del 2017 in questi centri sono cresciute di 24 milioni di unità rispetto all’anno

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precedente. Nei 279 piccoli comuni presi in esame (che rappresentano il 4.3% del territorio nazionale, con 1 milione e 100 mila abitanti) è aumentata anche l’offerta ricettiva, con 191 mila posti letto in 7330 esercizi ricettivi; inoltre, nei borghi il turismo è più italiano

che internazionale, e non ha la caratteristica del “mordi e fuggi”, perché si registra infatti una media di 3.8 giorni di permanenza. “I borghi rappresentano un’Italia diversa da quella più conosciuta, dove si preserva lo stile di vita italiano. A noi piace

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considerare i turisti che li visitano come dei veri investitori nella bellezza italiana, perché con la loro presenza contribuiscono a mantenere vive le attività dei borghi”, afferma Fiorello Primi, presidente dell’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”. ▣

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Varsavia: la storia è qui! Stratificata, complessa, grandiosa e pittoresca, la fisionomia di Varsavia riflette in pieno la sua storia tormentata. di Franca Dell’Arciprete Scotti

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e note di Chopin aleggiano ovunque: negli splendidi parchi, all’ombra del Castello Reale, nella Piazza del mercato della Città Vecchia. E stupirà davvero tutti, conoscitori del grande polacco, curiosi e viaggiatori di lungo corso, la scoperta delle panchine musicali: dislocate in città, sono un invito ad ascoltare le musiche del sublime Fryderyck. Si preme un tasto e immediatamente si diffondono le melodie che incantano i passanti. Varsavia è tutta una scoperta.

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Città straordinaria, che ha visto distrutto il suo patrimonio storico e architettonico all’85% durante la seconda guerra mondiale, un centro storico ricostruito con tanta tenacia e abilità da essere dichiarato Patrimonio protetto dall’Unesco, proprio come esempio di fedele, eccellente ricostruzione. Così si passeggia tra le casette a tetti spioventi dai colori pastello, le viuzze tra il Castello reale e la Cattedrale, i palazzi barocchi con le insegne dorate, i mille angoli pittoreschi della Città Vecchia,

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come davanti a una quinta del Seicento. Imperdibili gli interni del Castello con salotti dorati, stucchi, specchi, mobili e arredi sottratti alla furia degli invasori. Perché Varsavia, come tutta la Polonia, ha sofferto più volte nel passato. Quando, alla fine del 1500, subentrò a Cracovia nel ruolo di capitale della nazione, Varsavia era una città splendida governata dai re di Polonia, che l’abbellirono dei monumenti più importanti. Grazie alla sua favorevole

posizione nel cuore del Paese e in riva alla Vistola navigabile, Varsavia fu una grande capitale sotto i Vasa e poi sotto i Sobieski che nel corso del ‘600 e del ‘700 la fecero diventare un grande centro barocco. Il Castello Reale risale appunto a quest’epoca d’oro in cui lavorarono a corte architetti e artisti italiani, da cui il tesoro più prezioso del castello: la sala del Canaletto, 22 tele originali che raffigurano vedute di Varsavia, opera del pittore veneziano Bernardo Bellotto,

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detto il Canaletto. Lo stile barocco si mescola con altri stili, dal gotico al Rinascimento, fino al neoclassico, nella pittoresca Piazza del Mercato della Città Vecchia grandissima e vivace, circondata da ristoranti, negozi di artigianato e locali dove si gusta l’enogastronomia polacca. Da sempre cuore culturale e commerciale di Varsavia, la piazza è un paradiso per i fotografi, incantati dai frontoni, le facciate, i bassorilievi, i dipinti che adornano le case color pastello. Al centro la famosa Sirenetta di Varsavia armata di spada

e scudo, che ricorda la leggenda di fondazione. Passeggiando a piedi in poco tempo si arriva al Barbacane, un’imponente fortificazione che all’interno ospita banchetti di artisti e artigiani che mettono in mostra le loro opere: vicino la casa natale della illustre cittadina Maria Sklodowska Curie. Al di là del Palazzo Reale, invece, comincia la cosiddetta Via Reale, la strada che doveva percorrere il re con il suo seguito per spostarsi dal castello di città alle residenze esterne. Lungo questa Via maestosa tutti i locali più belli, caffè, pasticcerie, birrerie,

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A pagina 92 e 93, palazzo della Cultura e delle Scienze. A sinistra e in basso, Bagni Reali di Varsavia. A pagina 96 e 97, Museo Polin, Varsavia.

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l’Università di Varsavia, l’Accademia di Belle Arti, numerose chiese di grandi dimensioni, ricche di stucchi rinascimentali, ori, facciate sinuose, affreschi, organi imponenti. La lunga Via Reale, dunque, in circa 4 chilometri, conduce ai famosissimi Bagni Reali Lazienki, voluti alla fine del 1700 da Stanislao Augusto Poniatowski, ultimo re di Polonia: il palazzo sull’acqua, candide architetture neoclassiche e un meraviglioso giardino interrotto da laghetti dove scivolano barche a forma di cigno, che ancora oggi è la gioia dei cittadini di Varsavia. All’ingresso il famoso monumento a Chopin, ai

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piedi del quale, soprattutto in estate, si tengono magnifici concerti all’aperto. Dall’ultimo re munifico e generoso, la storia di Varsavia si avviò a una serie di eventi tragici: spartita tra le potenze europee nel corso dell’800, invasa dai nazisti e poi conquistata dalle truppe sovietiche, che imposero la Repubblica Socialista per quaranta anni. Tracce di un passato sofferto ovunque, soprattutto nella zona del Ghetto. Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale a Varsavia era presente la maggiore comunità ebraica d’Europa, seconda al mondo dopo quella di New York. Oggi solo poche centinaia

di persone e tracce esili di un intero mondo, ma se in città solo qualche edificio e qualche strada ricordano la presenza del Ghetto, è invece di grandissima importanza e efficacia il Museo della Storia degli ebrei polacchi Polin, che sorge di fronte al Monumento agli eroi del Ghetto. Aperto nel 2013, nominato European Museum of The Year nel 2016, il Polin racconta non solo la tragica storia dell’Olocausto, ma anche il dipanarsi e lo sviluppo della comunità ebraica in Polonia e nell’Europa orientale. Da non dimenticare, infine, anche il quartiere di chiara impronta sovietica intorno a Piazza della Costituzione, un

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vero concentrato di palazzi nello stile architettonico del realismo socialista e soprattutto il Palazzo della Cultura e della Scienza che svetta in alto, dominando il panorama di Varsavia da qualunque angolo della città. Nato come “dono del popolo sovietico al popolo polacco”, forse è stato molto odiato negli anni passati, ma oggi è una testimonianza imperdibile di un’epoca e di un gusto, con la sua struttura verticale a terrazze, le statue allegoriche, le colonne, gli stucchi, gli affreschi, che narrano il mito del progresso socialista. Un mondo variegato, dunque, che merita una visita attenta e paziente per scoprire le stratificazioni della storia, una molteplicità di stili e angoli inaspettati. Se il passato ha conosciuto pagine davvero drammatiche, nel presente domina la vivacità culturale, la solarità di parchi e giardini amatissimi dai Varsaviani, lo splendore della ricostruzione, la voglia di vivere e la musica di Chopin. Un consiglio per i viaggiatori italiani: ottimo il Warsaw Pass, cumulativo, che dà accesso ai musei e ai mezzi pubblici di Varsavia. Per i turisti italiani eccellente la Guida “Varsavia”, Morellini Editore, di Roberto Polce, grande conoscitore della città. ▣ Info turistiche: www.polonia.it

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Perù, storia di un viaggio tra cultura e tradizione Il Perù ci invita a scoprire che la vera ricchezza non ha a che fare con ciò che si ha, ma con la possibilità di vivere esperienze indimenticabili. E per cominciare a viverle bisogna andare in Perù, un luogo dove la diversità e l’autenticità della sua cultura, natura e gastronomia nascondono il segreto della vita stessa. Testo e foto di Jimmy Pessina

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l Perù è un Paese molto grande e per visitarlo tutto ci vorrebbero parecchi mesi, così ogni viaggiatore è costretto a selezionare le mete che davvero non vuole perdersi e deve organizzare il viaggio di conseguenza. Questo perché fin dal principio ho escluso di visitare tutta la parte nord del Paese, dove si trova la famosa selva peruviana. Rimanevano così i deserti del sud e le aride ed elevatissime montagne del sud-est, finalmente uno scenario un po’ diverso da mare, tropici e giungla. Il nostro reportage è iniziato a Lima, che ho raggiunto in aereo da Milano via Madrid. Ora che il mio viaggio in Perù è ufficialmente concluso posso condividere con voi l‘itinerario che l’operatore milanese Vuela ha scelto per visitare questo straordinario Paese, pur lasciando i luoghi della transumanza turistica, inserendo siti archeologici di una bellezza incredibile. Inoltre, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, la titolare della Vuela, Karina Ruiz e lo chef stellato peruviano Raffael Rodriguez, che ci illustrava tutte le portate nei ristoranti. Dall’aeroporto di Lima ci trasferiamo per la “città bianca” di Arequipa, conosciuta con questo nome per le sue costruzioni in sillar, pietra bianca di origine vulcanica. La visita della città T URI S MO I NT E RNAZ I ONAL E

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inizia con una sosta al pittoresco quartiere di Yanahuara e al belvedere di Carmen Alto con vista sulle antiche colture a terrazzamenti della Valle di Chilina. Proseguiamo per la Plaza de Armas, considerata come una delle più belle del Paese. Al suo centro si trova una fontana in bronzo coronata da un angelo con una trombetta chiamata “Tuturutu”. La Cattedrale, costruita nel 1621 e riedificata nel 1844 dopo un grande incendio, fu nuovamente ricostruita nel 2002 dopo un

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forte terremoto. Sosta alla “Casa del Moral” (XVII secolo d.C.), per apprezzare la facciata in stile barocco di uno dei più antichi e importanti monumenti architettonici della città bianca. Splendida la chiesa della Compagnia di Gesù con i suoi chiostri, considerati la massima espressione dell’architettura religiosa del XVII secolo, e al celebre Monastero di Santa Catalina, fondato nel 1579 e aperto al pubblico dal 1970, una vera cittadella nella città. Il complesso religioso copre un’area di 20.000 mq, si sviluppa tra passaggi stretti e tortuosi, viuzze colorate e giardini rigogliosi. Terminiamo la giornata al Museo

Santuarios Andinos, dove è esposta Juanita, una giovane Inca sacrificata agli Dei più di 500 anni fa sul vulcano Ampato (6380 m). Da Arequipa, ci spostiamo a Chivay, in direzione del Canyon del Colca. Attraversiamo le pampa di Cañahuas, uno dei pochi

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posti al mondo in cui si possono osservare le vigogne allo stato brado. In questa immensa riserva si trovano anche lama e alpaca. Durante il tragitto abbiamo ammirato le bellissime terrazze di origine precolombiana che tuttora vengono coltivate dagli indigeni Collaguas. Il punto

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più alto che abbiamo raggiunto è stato il passo di Patapampa (4910 m), per poi discendere fino a Chivay (3600 m). Visita dei Bagni Termali di La Calera, a 3 chilometri da Chivay. Queste terme dalle virtù curative sono molto apprezzate anche dagli abitanti della regione. Partenza al mattino presto per la Cruz del Condor da dove si gode un bellissimo panorama della Valle del Colca. Alla Cruz siamo stati fortunati, oltre a godere di una bellissima giornata, abbiamo potuto osservare il maestoso volo dei condor, che approfittano delle correnti ascensionali del canyon per

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venire a volare vorticosamente sopra le nostre teste. Al rientro a Chivay una sosta al villaggio di Maca per poter visitare brevemente una delle chiesette coloniali più ricche della vallata. Proseguimento per Puno (3800 m), una fermata veloce a Lagunillas, dove le montagne si rispecchiano sull’acqua azzurra della laguna creando un magico gioco di colori. Imperdibile l’escursione in battello da Puno alle Isole galleggianti degli Uros sul lago Titicaca, indigeni di origine Aymara il cui stile di vita e la forte tradizione hanno sempre attirato la

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curiosità dei visitatori. Chiamati anche tribù dell’acqua, abitano su isole di canna di totora (giunco), che utilizzano anche per la costruzione delle loro capanne e imbarcazioni; vivono principalmente di pesca, patate essiccate e volatili marini. Continuiamo il viaggio in barca verso l’isola di Taquile, a 35 km dalla città di Puno. Una lunga scalinata in pietra conduce dal molo al centro dell’isola, ma per i visitatori è stato creato un sentiero meno ripido che circonda l’isola e permette di godere del paesaggio circostante durante il percorso che porta alla piazza centrale. Siamo stati sorpresi da una vista meravigliosa: il blu acceso del

lago Titicaca, il cielo sempre azzurro e le cime innevate della Cordigliera Reale boliviana. Gli abitanti sono molto ospitali, vivono di agricoltura e allevamento e sono abilissimi tessitori. Da Puno ci trasferiamo a Ollantaytambo, la bellezza del paesaggio è unica, passando dall’altopiano alla pampa delle Ande, attraversando numerosi villaggi caratteristici. Il punto più elevato che si attraversa è La Raya (4312 m), che segna il limite tra la zona della pampa andina e quella dell’altopiano. Una sosta alle famose Chullpas di Sillustani, tombe circolari di origine pre-inca utilizzate anche dagli Inca. In ognuna di queste torri funerarie sono stati ritrovati

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fino a 25 corpi mummificati in posizione fetale ed accompagnati da offerte come cibo, gioielli e utensili da lavoro che potessero servire ai defunti per la loro vita nell’aldilà. Il sito si trova a circa 4000 metri s.l.m. in un paesaggio dominato dalle montagne che circondano il lago di Umayo. Sul percorso incontriamo Racchi, un altro sito archeologico Huari di grande importanza per l’architettura unica nel suo genere. Questo posto, di grande estensione, è composto di numerose costruzioni tra le quali spiccano il tempio principale o Tempio di Wiracocha, che presenta una serie di colonne circolari in adobe (mattone di fango e paglia) di cui ora rimangono visibili le ampie basi. Fermata ad Andahuaylillas, dove si trova l’impressionante cappella conosciuta come “la piccola Sistina”. Da Ollantaytambo, prendiamo il treno che ci porta a Aguas Caliente, la base di partenza per l’imperdibile visita alle vestigia maestose de “la città perduta degli Inca”, scoperta nel 1911 dall’antropologo americano Hiram Bingham. Le rovine si trovano sulla cima del Machu Picchu (montagna vecchia in quechua), ai piedi del Huayana Picchu (montagna giovane), circondate dai fiumi Urubamba e Vilcanota. Il complesso è diviso in due grandi zone: la zona agricola,

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formata dai tipici terrazzamenti inca che si trova a sud, e la zona urbana a nord, che era l’area dedicata alle attività quotidiane, civili e religiose. La bellezza e la storia di questo sito si possono recepire arrivando all’alba, quando tutto è ancora coperto dalle nubi e piano piano la coltre si alza lasciando il viaggiatore stupito da tanta bellezza: anche questa non è una tappa del turista mordi e fuggi. Si rientra al villaggio di Aguas Calientes, partenza in treno fino alla stazione di Ollantaytambo e breve visita a uno degli ultimi siti costruiti dagli Inca prima dell’arrivo

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degli Spagnoli. Gran parte della costruzione è rimasta inconclusa, le pietre abbandonate come testimonianza della battaglia che si tenne tra Manco II e i Conquistadores. Interessante il villaggio dove le strette vie, la piazzetta e le fondamenta delle costruzioni sono ancora quelle originali. Nel primo pomeriggio partenza per Cusco, attraversando la Valle Sacra degli Inca. Cusco, che in lingua quechua si traduce in “l’ombelico del mondo”, è l’antica capitale dell’Impero Inca, di cui rimangono ben conservate le imponenti rovine del suo passato glorioso. I siti

archeologici, i tesori dell’epoca coloniale, i mercati colorati, le chiese e le piazze, fanno di Cusco la più affascinante città del Sud America. La visita della città inizia con La Plaza de Armas dove, secondo la leggenda, si conficcò il bastone d’oro dell’Inca Manco Capac, indicandogli il luogo esatto dove fondare la città che sarebbe diventata la capitale dell’Impero. Si prosegue poi per il caratteristico quartiere di San Blas, dove i palazzi dell’epoca coloniale sono stati costruiti sulle fondamenta dei palazzi incaici e dove si trovano gli artigiani e gli antiquari più importanti della

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città. La grande Cattedrale è stata eretta nel XVI secolo sulle fondamenta del Palazzo Inca di Wiracocha. Non poteva mancare una capatina a Korikancha, il centro religioso più sacro dell’epoca incaica dedicato al culto del dio Sole e sul quale, dopo l’arrivo degli Spagnoli, è stato costruito il convento di Santo Domingo. Interessanti le rovine fuori città: l’anfiteatro di Qenqo, centro di culto alla Pachamama (Madre Terra in quechua); Puka Pukara, un antico rifugio utilizzato dai chaski (messaggeri inca) per riposarsi durante le lunghe spedizioni ed utilizzato come forte dopo l’arrivo degli Spagnoli; Tambomachay, conosciuto come “Bagno dell’Inca”, centro dedicato al culto dell’acqua. Ultima tappa

a Sacsayhuaman, ancora oggi oggetto di studi archeologici. Questo sito copre un’area di 6 km2 e si pensa potesse essere un centro polifunzionale al pari di Machu Picchu. Non può mancare una visita del mercato artigianale di Pisac. Dalla piazza principale inizia la fiera che avvolge – principalmente la domenica – tutto il paese offrendo ai visitanti uno spettacolo di colore e folclore. La frutta e la verdura sono ordinatamente esposte su teli distesi al suolo, si possono trovare inoltre tanti negozi per acquistare articoli artigianali provenienti da tutta la regione: tessuti colorati, poncho tradizionali, gioielli, antichità, oggetti rituali e molto altro. Il nostro viaggio

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prosegue per Lima. Trasferimento all’aeroporto di Cusco e partenza per Lima. Non avevo grandi aspettative, ma devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso. Il centro di Lima è davvero carino, finalmente una città coloniale con qualche edificio passabile e un po’ di storia. Niente a che vedere con le città europee a cui siamo abituati, ma comunque niente male. Il quartiere più consigliato per soggiornare è Miraflores, risaputamene il più sicuro e chic, con tanti negozi, ristoranti e una bella passeggiata lungomare. Iniziamo la visita della città con la Cattedrale di Lima, costruita nel 1625 e ricostruita nel 1940 dopo un grande terremoto che percosse la

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capitale. Si prosegue poi con la visita al Convento di San Francisco, un bell’esempio di architettura coloniale con il suo chiostro ornato con colorate piastrelle di Siviglia ed affreschi rappresentanti la vita di San Francesco d’Assisi. Il convento è conosciuto inoltre per la sua favolosa biblioteca, tra le più

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antiche del Sud America, e le catacombe dove si trovano le ossa di migliaia di persone decedute durante gli anni della colonizzazione spagnola. Non poteva mancare una capatina al Museo Larco Herrera, fondato nel 1926 e situato dentro un elegante edificio del XVIII secolo, costruito sopra una

piramide precolombiana del VII secolo. Il Museo ospita una grande collezione d’oro, argento e ceramica ed è uno dei pochi musei al mondo, dove i visitatori possono percorrere il deposito ed apprezzare i 45.000 oggetti archeologici debitamente classificati; un’esperienza davvero unica. ▣

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C

’è un personaggio ad Hall, nel Tirolo austriaco, che introduce in pieno nell’atmosfera medievale e nella storia straordinaria di questa città. E’ il Wardein, vale a dire il super sorvegliante delle monete o guardiano della zecca, che, nell’audio guida, racconta la storia della Haller Muenze. Quando nel 1477 l’arciduca Sigismondo trasferì da

HALL IN TIROL: monete, sale e cristalli Circondata dalle foreste del Tirolo, Hall racconta un ricco passato e uno sfavillante presente: miniere di argento e di sale, la zecca imperiale e i Mondi dei Cristalli Swarovski. di Franca Dell’Arciprete Scotti

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Merano ad Hall quella zecca dei conti del Tirolo che esisteva già dal 13mo secolo, cominciò la fortuna di questa fiabesca cittadina che ha avuto una lunga storia di fama e di ricchezza, tanto da essere a lungo più importante della stessa Innsbruck, attuale capoluogo del Tirolo. La fortuna di Hall si basava su alcuni vantaggi naturali che la rendevano unica. Alle spalle, sulle montagne, si aprivano miniere d’argento e una importantissima miniera di salgemma, davanti alla

città scorrevano le preziose acque dell’Inn. Da queste fortunate condizioni ne derivò un’altra, appunto: la fondazione della Zecca principesca aperta nel 1447. Attraverso una visita a Burg Hasegg, sede della Zecca, si possono percorrere secoli di storia, non solo delle tecniche di coniazione, ma dei personaggi e del costume. Le monete rappresentano un mondo intero: oggetti di desiderio e di collezione, testimonianza

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di un’epoca e di un potere, e soprattutto formidabile forma di autocelebrazione politica, attraverso la rappresentazione di un volto. Hall, ricca di miniere d’argento, ha anche la primogenitura della prima moneta d’argento nel quindicesimo secolo, il famoso tallero. Come non riconoscere l’assonanza con la moneta più potente del mondo moderno, il dollaro? Il tallero d’argento di Maria Teresa era allora la moneta più stabile al mondo nel

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A pagina 110 e in questa pagina, a sinistra, Hall, insegne e centro storico. A pagina 110 e 112, cristalli Swarovski. A pagina 114, Zecca e tallero. A pagina 115, la miniera di sale.

valore, un vero e proprio articolo d’esportazione: i commercianti compravano l’argento, lo facevano trasformare in talleri ad Hall e li esportavano perfino in Oriente. Nel 1764 la produzione di talleri ad Hall raggiunge il suo valore assoluto con la fusione di ben 50 tonnellate di argento. A proposito, non dimentichiamo che, alla fine del viaggio nella storia della moneta, è possibile per i visitatori della Zecca coniare la propria piccola moneta personale! La visita della Zecca di Hall tra macchine da conio, effigi di principi e imperatori,

punzoni in ferro, forme d’acciaio per ricavare i tondelli dalle strisce di metallo fuse o laminate e bulini da incisione, si deve completare con la salita alla torre del coniatore, un’opera maestosa, dalla geniale geometria costruttiva. Alta 45 metri, a metà altezza presenta una corona di pietre a sbalzo, da cui si innalza un corpo originale a dodici lati, con sei finestre mansardate e una lanterna a dodici facce. La sua altezza e la sua struttura si spiegano con il fatto che in origine la torre aveva la funzione di sorveglianza della salina. Con i suoi dodici angoli di

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basamento, la torre è un marchio inconfondibile e da sempre il simbolo della città di Hall, visibile da ogni direzione. In cima la vista è spettacolare. Da qui si scopre tutto il compatto centro storico, il più grande centro storico medioevale dell’Austria occidentale: palazzi decorati da stemmi, tetti merlati, la Chiesa parrocchiale di San Nicolò con il campanile a cipolla, la Piazza Oberer Stadtplatz. Scendendo giù a passeggio per la città, sembra di viaggiare attraverso i secoli: vicoli tortuosi, bellissime insegne di ferro battuto e dorato, le statue nelle nicchie delle facciate. Un’altra attrazione di Hall è il piccolo museo del sale, dedicato all’”oro bianco”, costruito come un interno

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di miniera, con i carrellini, i binari, i serbatoi d’acqua, i cunicoli. All’esterno la porta di accesso riporta il classico saluto beneaugurante “Gluck auf!” L’ ”oro bianco” era così importante nell’economia della città che nello stemma di Hall originariamente era raffigurato un barile di sale. Poi, a partire dal 1501, vennero aggiunti due leoni dorati, come segno di particolare apprezzamento da parte dell’imperatore Massimiliano. Ma Hall è al centro di una regione che ospita anche il Karwendel Nature Park, la più grande area protetta del Tirolo e il più grande parco naturale in Austria. Da qui partono sentieri, dai più semplici a quelli dedicati agli sportivi più allenati. Un’escursione da non perdere è lo Zirbenweg, il Sentiero dei pini cembri: un itinerario in quota, a circa 2.000 metri, in una delle più ricche e antiche riserve di cembri d’Europa, con vista sulla valle dell’Inn lungo tutto il percorso. E, per far conoscere più da vicino i segreti naturali di questo Parco, ci sono le escursioni Nature Watch: itinerari guidati in mezzo alla natura con i cannocchiali di precisione Swarovski Optik per ammirare nei più piccoli dettagli animali, fiori e formazioni geologiche. A breve distanza dalle case medievali di Hall si

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aprono i famosi Mondi di Cristallo Swarovski con le loro creazioni luminose, la seconda struttura museale più visitata di tutta l’Austria. L’ingresso è scavato in una collina dal volto umano, un enorme gigante i cui occhi sono due lucenti cristalli, mentre dalla bocca esce una fragorosa cascata. Proprio dal Gigante partirà la Coppa del Mondo di Ciclismo su strada Uci 2018, che si terrà quest’anno in Tirolo, dal 22 al 30 settembre. Sin dai loro inizi i Mondi di Cristallo Swarovski hanno invitato artisti, architetti e designer a utilizzare le Camere delle Meraviglie e il giardino del Gigante come spazi per dare libero corso alla loro creatività e a mettervi in scena le loro associazioni col tema del cristallo. Tra gli ultimi artisti chiamati all’opera, Fernando Romero, Arik Levy, Manish Arora

e l’artista multimediale austriaco André Heller. Un Duomo interamente di cristallo, un bizzarro teatro meccanico Mechanical Theatre, la suggestiva Sala blu, paesaggi immaginari ricchi di tesori segreti: vere e proprie opere d’arte create da artisti di fama internazionale con i cristalli. La magia continua poi nel

giardino: un’area di 7,5 ettari con un vero e proprio gioiello, la Nuvola di Cristallo, progettata dalla coppia di artisti franco-americani CAO PERROT (Andy Cao e Xavier Perrot), un ipnotico capolavoro mistico costituito da oltre 800.000 cristalli Swarovski inseriti a mano, che fluttua su una nera vasca a specchio. ▣

Informazioni: www.regionhall.at, www.swarovski.com/kristallwelten in italiano. Austria per l’Italia Hotel è un’associazione alberghiera che riunisce oltre 100 hotel in tutta l’Austria in cui l’accoglienza è ottima, soprattutto per famiglie, perché il personale parla italiano: www.vacanzeinaustria.com Consigli di viaggio: tutte le maggiori città italiane sono collegate a Innsbruck con i treni delle Ferrovie austriache, con offerte molto vantaggiose: www.obb-italia.com

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L’ALTRA CRETA: VIAGGIO SLOW

nell’isola delle emozioni Non solo mare cristallino, movida e paesaggi costieri, ma itinerari poco turistici delle zone interne, siti archeologici meno conosciuti, giovani e piccole cantine, taverne autentiche, fattorie slow e villaggi caratteristici. Testo e foto di Carmen Guerriero

È

il nuovo trend del turismo, una forma alternativa, cosiddetta “esperenziale”, dove l’emozione è il fulcro di ogni

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attività che pone il turista al centro della “scena” e gli consente di vivere in prima persona esperienze speciali e memorabili, non da semplice spettatore, ma da protagonista!

In particolare, l’enogastronomia si rivela più che mai un potente volano economico, capace di attrarre un turismo sempre più consapevole e di qualità, con maggiore capacità e

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propensione alla spesa, che cerca, nel settore, un’opportunità di conoscenza e di contatto con la cultura del territorio. Com’è emerso dalle più importanti fiere del turismo BIT (Borsa Internazionale del Turismo di Milano) e BMT (Borsa Mediterranea del Turismo di Napoli), anche quest’anno il Mar Mediterraneo, Creta e Grecia in testa, torna a essere protagonista dell’estate 2018! Creta, la Grecia estrema di fronte le coste libiche, è la Grecia speciale, quella delle emozioni intense e confliggenti, un’isola straordinaria, ricca di contrasti e di risorse, capace di incontrare le richieste anche del viaggiatore più esigente. A meno di avere un mese a disposizione per un tour completo in una sola

vacanza, meglio optare per singoli itinerari. Nella parte ovest dell’isola, una buona base di partenza è Xanìa, l’aristocratica cittadina cretese, prima turca e poi veneziana, famosa per il suo romantico Porto Veneziano del XIV secolo, l’imponente Faro, la Fortezza Firkas, nel rione di Topanas, abitato all’epoca della dominazione turca dalle famiglie benestanti. La città è un meraviglioso labirinto di vicoli e scalinate, botteghe profumate di spezie, oggetti di artigianato, stradine sinuose, tra mura cadenti e balconi fioriti di gelsomino, ristoranti eleganti e taverne tipiche, più o meno turistiche, e splendide dimore storiche ricche di fascino, archontikò, trasformate in hotel, come Elia Zambeliou boutique Hotel, nella strada principale

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A sinistra, spiaggia di Elafonissi. In alto, Xanìa, porto veneziano. A pagina 118, dall‘alto verso il basso, a Xanìa, quartiere di Splantzia: Ginger Concept, le sue mezedes, i vicoli. A pagina 119, Alexandra Manousakis .

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del centro storico, dagli interni chiari, eleganti e curati, alcuni con originali arredi d’epoca, come lavatoi e camini di pietra e stanze ampie e luminose affacciate sul Porto Veneziano. Della stessa linea, sempre in centro, Elia Portou Due è un hotel moderno e di design, declinato nei toni bianco e nero, in una zona ricca di localini e taverne, a ridosso delle mura archeologiche e con la grande comodità del parcheggio vicino. In via Zambeliou, Tamam è il rifugio gastronomico degli amanti del cibo tradizionale, un unico ambiente suggestivo, prima hammam turco e poi kafeneion negli anni ’50, che propone piatti cretesi ed una buona carta di vini locali. Kalitsounia (fagottini di formaggio Myzhitra e spinaci o erbe) e Boureki (una sorta di lasagna di verdure e patate, con

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menta e myzhitra) sono i must di una cucina che emoziona. Trasuda di fascino e di storia il quartiere di Splantzia, con le case colorate, alcune restaurate ad arte, altre sul punto di crollare sotto il peso dei secoli, salite impervie e improvvisi scorci sul Porto Veneziano. Fino a sera, i vicoli brulicano di vita quotidiana, con vecchiette vestite di nero, dagli occhi di brace, intente a cucire sui gradini di casa, voci gioiose dei bambini e i profumi delicati dei gelsomini rampicanti... assolutamente

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inebriante! Tra le stradine interne, Ginger Concept, in via Sarpaki 36, è un locale giovane, moderno e creativo, con gustose mezedes, insalate fresche e fantasiosi aperitivi bio, una piacevole scoperta a Splantia! Di fronte, The Well of the Turk, una taverna dalle atmosfere molto romantiche, che, tra luccichii colorati di piccole lampade turche e profumi di fiori notturni, serve piatti della migliore tradizione mediterranea tra Creta e Turchia. In questo quartiere, la piazza compendia la serena commistione di stili e tradizioni nella Chiesa ortodossa di Agios Nikolaos, che ha sia campanile che minareto. Sulla stessa piazza, la Chiesa di San Rocco, in stile rinascimentale, è accanto a vivaci kafeneion dove gli anziani giocano a tavli, variante greca del backgammon. Pochi metri dopo, To Maridaki è una taverna tradizionale che serve pescato fresco del

giorno e piatti tipici, con una discreta carta di vini dell’isola. La Old Town è una sfilata di meraviglie, come la moschea Kioutsouk Hasan, detta anche dei Giannizzeri, che oggi ospita mostre. Da qui si susseguono fino alla zona degli antichi arsenali una

serie di locali, ristoranti, taverne, dove l’antico ed il moderno convivono felicemente, come Kibar, in un monastero del Cinquecento ed il Nama Bar, tra musica dal vivo e barche ormeggiate, in una gioiosa movida di turisti, vip e residenti. Qui, Salis è

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l’indirizzo goloso di un ristorante raffinato, dove poter guardare le barche entrare e uscire dal porto e le persone che passeggiano lungo il molo, sorseggiando un ottimo calice di vino. Già, perché la cosa straordinaria è la strepitosa cantina a vista, termoregolata, con la più ampia lista di vini di Creta nonché da tutti i Paesi europei! Il motivo si spiega oltre che per la presenza di un esperto Sommelier anche perché la proprietà è di Akfsin Molavi, uno chef di grande esperienza internazionale, appassionato vigneron, marito di Alexandra Manousakis, una delle tre figlie della attuale generazione della Manousaki Winery, a Vatolakkos, ad appena 30 minuti di auto da Chania. Qui, la giovane Alexandra Manousakis conduce, con passione, l’azienda di famiglia, puntando ad una produzione di eccellenza con vitigni internazionali, a volte in blend con autoctoni, con vini

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In questa pagina, dall’alto, in senso orario: a Drakonias, Creta, esterno della taberna Ntounias e gemistes con riso alla menta della taberna Ntounias. A Chanìa, presso l’azienda vitivinicola Dourakis Winery, controllo dei sedimenti del rosato Kudos.

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interessanti come ‘Alexandra’ e Nostos Sirah, un grande Roussanne vinificato in botte. Affascinante la storia della famiglia tratteggiata attraverso originali etichette dei vini. Ottima accoglienza, location in mezzo agli aranceti e degustazioni all’ombra di un poderoso vecchio ulivo di 800 anni, rendono la visita piacevole ed interessante. Sulla National Road di Chania, 45 chilometri verso ovest, si raggiunge Kissamos, da dove partono i traghetti per la laguna caraibica di Balos, fra le cento spiagge più belle del mondo, nella penisola di Gramvousa. Il percorso è fattibile anche via terra, ma la sterrata è impegnativa, quasi una pista che sale e scende in un

paesaggio brullo, tra dirupi e scorci panoramici mozzafiato, alle pendici del Monte Geroskinos, con un sentiero di due chilometri che scende alla spiaggia dall’altra parte del promontorio. A 30 km da Chania, verso l’interno dell’isola, a Pontikiana, una frazione di Kolymvari, Karavitakis Winery è una cantina caratterizzata dall’impegno costante nella sperimentazione di nuove tecniche per esaltare le peculiarità migliori di ogni varietale, creando, di volta in volta, accostamenti inediti e particolari, segno distintivo dell’azienda che può vantare una vasta gamma di varietà tra vini bianchi: Soultanine, Malagouzia, Chardonnay e Sauvignon Blanc e vini rossi: Cabernet, Syrah, Merlot,

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Grenage Rouge, Kotsifali, Sangiovese, Refosco, Nebbiolo e Tempranillo. Drakonias Keramos è un villaggio di montagna che si raggiunge attraversando l’incredibile Gola di Therissi: un’ora di salite e discese dai monti, di tornanti e dirupi, di capre e pecore vaganti …. poi, quando pensi che il navigatore sia impazzito e ti abbia portato fuori strada, ecco che appare l’insegna “Ntonias” Taberna “Slow food”! Contenitori di terracotta locale fumicano all’aperto, sotto un fuoco crepitante e fumoso: qui cucina tradizionale, materie prime provenienti da prodotti locali e sapori tipici sono i cardini della cucina di Stelios che ha piantato i suoi orti e organizzato una fattoria con

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greggi libere, piccole mucche di razza locale, capre e conigli. Non ci sono apparecchi di cottura elettrici, tutto è cotto a legna, anche il latte crudo per farne, poi, formaggio! Sempre nell’areale di Chanìa, ad Alikambos, Evie ed Anthony, fratello e sorella sono l’ultima generazione dell’azienda vitivinicola Dourakis Winery, che produce “Euphoria”, un passito da uve Romeiko e “Kudos”, un ottimo rosé da Grenache e “Kudos”, di gran carattere, 100% Mandilari, un rosso autoctono. Un’accoglienza calorosa, l’ottima espressione in lingua italiana ed una cantina completamente interrata e scavata nella roccia sono un valore aggiunto dell’azienda. Da Kaloudiana, lungo la strada per Elafonissi, si incontra Elos un piccolo villaggio di montagna che cattura il viandante col profumo di pane alle olive nere appena sfornato, ancor prima di arrivare al forno, e banchetti di fortuna di anziani del posto che vendono thyme honey, il buonissimo miele al timo, tipico di queste vallate. Dopo alcuni tornanti e spettacolari pareti rocciose, si raggiunge la laguna di Elafonissi, una scheggia di Paradiso nella sabbia rosata, con delicati (e protetti) gigli bianchi di mare e l’unica foresta di cedri libanesi del Mediterraneo. Da Xanìa, una sessantina di

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chilometri di strade a tornanti e paesaggi mozzafiato, conducono a Chora Sfakion, la baia nascosta tra il mare tra i più belli del Mediterraneo – e le altissime Lefka Ori, Montagne Bianche, rifugio degli antichi Sfakioti, i montanari dagli occhi azzurri e i capelli biondi, discendenti degli antichi Dori, durante la guerra prima contro i Turchi, poi contro l’invasione della Wehrmacht durante la battaglia di Creta Μάχη της Κρήτης del 1941. Lungo la

strada, a Mournies, un singolare - per le dimensioni sproporzionate - monumento evoca la strenua e coraggiosa difesa del popolo greco contro l’invasore tedesco. La costa, da questo punto, è un susseguirsi di spettacolari lingue sabbiose orlate di spiagge meravigliose: Frangokastelo, col superbo Castello veneziano perfettamente conservato che domina la spiaggia; Loutro, il delizioso porticciolo, raggiungibile solo in traghetto,

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A sinistra, battaglia di Creta Μάχη της Κρήτης, del 1941, Mournies. In alto, spiaggia dei cedri libanesi, Moschea Kara Musa Pasha a Rethimno.

in una piccola baia ricca di insenature, come Glyka Nera, una spiaggia di ciottoli, sabbia chiara e tamerici, con piccole sorgenti di acqua dolce che sgorgano dal sottosuolo. Sulla strada per Rethymno,

Spili è un incantevole paesino montanaro, tutto ossigeno e silenzio, appena rotto dal gorgoglìo mantrico dell’acqua di una splendida fontana dalle teste di leone, detta “cento fontane”. Sulla collina di PaleoKastro, l’imponente cinta muraria

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delinea Rethimnon, terza città dell’isola, un’affascinante mix di influenze veneziane ed ottomane che si legge nell’urbanistica del centro storico, dalle strade ora regolari e ariose, poi strette e nascoste, nei caratteristici balconi di legno in aggetto, tra profumi di spezie, locali di lusso internazionali, piccole botteghe artigiane, taverne, kafeneion e negozi di

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souvenir. La Moschea di Kara Musa Pasha, a pochi passi da Platia Heroon (Piazza degli Eroi con la statua del Milite Ignoto), la Moschea Neratzes, dal minareto più bello e più alto della città, sono tra le più belle testimonianze del periodo di occupazione turca, due dei tanti ex edifici veneziani trasformati in moschea dopo la caduta di Creta. Del periodo veneziano è, invece, la Fontana Rimondi, quattro colonne e tre bocche d’acqua a forma di testa di leone, splendido esempio di arte italiana, costruita tra il 1626 ed il 1629 ad opera del comandante veneziano Rimondi, donde nome e stemma araldico, cui fu aggiunta una cupola quando i Turchi occuparono la città nel 1645. A circa un’ora di auto si raggiunge Heraklion, l’antica Candia, capoluogo dell’isola, con il Castello a Mare, l’antica Fortezza veneziana, l’antica Fontana Morosini e l’imperdibile Museo Archeologico, uno dei maggiori della Grecia per le preziose e ricche collezioni di arte Minoica. A pochi chilometri, verso l’interno dell’isola, il celeberrimo Palazzo di Knosso, 20 mila metri quadri di splendore e fasti di Arte Minoica! L’interno di dolci colline e vigneti copiosi conduce a Peza, l’area vitivinicola più importante dell’isola, dove si trova Minos Wines, la

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cantina del dott. Nikos Miliarakis, anche Presidente di Wines of Crete, un’associazione che unisce 350 viticoltori locali che producono il 90% della produzione isolana, tendendo al continuo miglioramento della qualità del vino, per la rinascita del vino cretese, tant’è che la più ampia area di Peza è riconosciuta come una Denominazione di Origine di qualità superiore, tanto per i vini bianchi della varietà Vilana quanto per i rossi, da Kotsifali e Mandilari. A pochi metri, la Ταβέρνα Ονησιμος serve piatti tradizionali cretesi realizzati

con prodotti fatti in casa da Ελενης Βαρδακη e il marito, come formaggio Manouri e Anthotyro, a pasta tenera, e Graviera, a pasta dura, squisita frutta sciroppata e raki. Fantastica la preparazione - al momento! – della Tiropitakia, un dolce fagottino di sfoglia, ripieno con un formaggio tenero, zucchero e cannella. Poco oltre, Idi Psiloritis, la montagna più alta di Creta, con boschi antichi, gole profonde, decine di sorgenti d’acqua potabile e villaggi deliziosi… ma questa è un’altra storia! ▣

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A sinistra, Eleni Bardaki con il marito e Carmen Guerriero, Taberna Onisimos. Sotto, i balconi di legno ad aggetto ottomani, Rethimno In alto, fontana Rimondi, Rethimno.

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In questa pagina, Veneto Restaurant, Rethimno. Sotto, Sarikopitakia, tipici rustici salati ripieni di formaggio e coperti con il miele della Taberna Onisimos, e pane a forma di animaletti, forno artigianale a Rethimno.

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Dal 1946, il ristorante Pupurry propone una selezione dei migliori piatti della tradizione italiana, rivisitati in chiave contemporanea: dalla carne alla brace, da sempre eccellenza della cucina del ristorante, ai risotti e ai piatti di pesce. Una sala dall’elegante atmosfera d’antan e un giardino racchiuso tra olivi e oleandri accolgono gli ospiti, offrendo loro prodotti di qualità, un’ospitalità attenta e un’attitudine particolarmente benevola verso gli amici a quattro zampe. Ristorante Pupurry Via Gian Battista Bertini, 25 - Milano - Tel. 02 331 1829 www.ristorantepupurry.com


Il Franciacorta, dove la bellezza si sposa con la qualità Al Rocol di Ome è stato fra i primi agriturismo nati in Franciacorta, oltre trent’anni fa. di Riccardo Lagorio – foto Al Rocol

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a produzione di vini di qualità rappresenta l’attività principale dell’azienda, che utilizza uve proprie, coltivate su terrazzamenti in collina

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e produce Franciacorta DOCG, Curtefranca Rosso DOC e Curtefranca Bianco DOC. Nella tenuta di 34 ettari, le vigne coltivate su terrazzamenti ben esposti al sole si alternano all’uliveto e

al bosco di querce, castagni, robinie secolari, dove sono tracciati itinerari per passeggiate a piedi e in sella alla mountain-bike. Gianluigi Vimercati Castellini (nella fotografia in vigna),

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solo in cantina, con l’obiettivo di attrarre turisti e amanti del vino in Franciacorta. Alcune iniziative che Gianluigi Vimercati ha avviato in queste settimane continueranno per tutta l’estate e sono la testimonianza della caparbietà ad attrarre escursionisti che desiderano trascorrere qualche tempo a contatto con la campagna e fare conoscenza di buon vino e buon cibo. proprietario con la sua famiglia della tenuta, è tra i più attivi sostenitori del territorio agricolo franciacortino, convinto che attraverso la cultura green si possa generare economia

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e cultura utili al territorio nel suo complesso. Anche per questo cerchereste invano la sua produzione vinicola sugli scaffali dei supermercati o delle enoteche: Vimercati vende tutte le 80mila bottiglie

Si può sperimentare così il Wine Trekking con Cuvée. Dura 3 ore e viene organizzato durante i fine settimana (secondo un calendario pubblicato sul sito www.alrocol.com) e, su

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richiesta, in ogni giorno della settimana per piccoli gruppi. La passeggiata si sviluppa nel settore più remoto e selvaggio della Franciacorta, dove i fianchi delle colline si fanno più pendenti e i vigneti vengono coltivati su terrazzamenti ben soleggiati. Seguendo i sentieri che dalla cantina si inerpicano tra vigne, ulivi e boschi, la prima tappa è il vecchio roccolo di caccia, che dà il nome dell’azienda. All’ombra di questa architettura vegetale, con querce secolari i cui rami si intrecciano gli uni negli altri, la prima degustazione è riservata al Satèn Martignac, il più morbido dei Franciacorta, dal perlage finissimo e persistente, che nel nome rievoca la piacevolezza della seta. Man mano che si sale, la vista si apre con spettacolari scorci paesaggistici. Seconda tappa, il vigneto Ca’ del Luf (Casa del lupo) per assaggiare

il Franciacorta Brut che viene prodotto dalle uve Chardonnay. Ultima tappa il più antico vigneto della tenuta, il Vigneto Vecchio con le uve di Pinot Nero, che fanno nascere il Rosè Le Rive. Il percorso si conclude con una visita guidata in cantina, che fa scoprire ai partecipanti i segreti della meticolosa e lenta lavorazione del Franciacorta. Al termine, i partecipanti ricevono un Franciacorta Cuvée, un assemblaggio delle uve dei 3 vigneti che sono stati loro raccontati. A sottolineare il ricordo delle piacevoli ore trascorse fra vigne e cantina, la bottiglia viene personalizzata con un’etichetta che riporta il selfie di gruppo, datata e firmata. Il picnic tra i filari è un’altra operazione utile a far conoscere la Franciacorta. A chi vuole trascorrere una

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rilassante e ritemprante giornata, viene messo a disposizione un cestino che gli ospiti, previa prenotazione, ricevono al loro arrivo. Il contenuto? Salame nostrano, pane, torte salate e torte dolci. Tre le proposte di cestini fra cui scegliere per la tipologia di vino inserita: Cestino Franciacorta, Cestino Millesimato e Cestino Curtefranca, per chi preferisce i vini rossi. Seguendo un facile percorso che dalla cantina si snoda tra vigneti, prati e boschi, ciascuno può scegliere il luogo dove fermarsi a fare il picnic: nel vecchio roccolo di caccia oppure sui soleggiati terrazzamenti con geometrici filari di viti o, ancora, nei prati. Chi vuole, può fermarsi nell’agricampeggio: si sceglie tra otto piazzole immerse nel verde, attrezzate con attacchi luce e acqua e dispositivo di carico e scarico. A disposizione degli ospiti servizi igienici, docce, spogliatoi. E per il relax, la piscina. Chi invece preferisce il conforto delle quattro mura, si accomoda nel corpo centrale della tenuta, in un rustico ristrutturato in mezzo ai vigneti, dove sono stati ricavate 15 camere e vari appartamenti arredati in stile country. Per far riscoprire anche ai più piccoli l’autenticità della vita in campagna e i valori della tradizione contadina millenaria, è stata infine

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creata una fattoria didattica: possono così accarezzare i conigli e le caprette, raccogliere le uova nel pollaio, trarre le verdure dall’orto, esplorare il frutteto e il vigneto. Sulla tavola dell’agriturismo vero e proprio si va dalla degustazione di piccole sfiziosità al pranzo o alla cena. Seguendo le ricette familiari, la signora Daniela, madre di Gianluigi Vimercati, e il cuoco Fabio Orizio cucinano piatti stagionali della tradizione bresciana e franciacortina, valorizzando i prodotti dell’orto e della fattoria. Sono immancabili i casoncelli (pasta ripiena) di carne o con il formaggio bagoss, le tagliatelle tirate a mano con funghi nostrani, gli gnocchi di patate e il manzo all’olio o il brasato al vino rosso. Forte di questa esperienza, Al Rocol ha fatto e continua a fare scuola. A maggio anche un gruppo di studentesse è arrivato dalla Svezia in Franciacorta per scoprire i segreti dell’agriturismo italiano e per conoscere da vicino come si svolgono

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le attività di un agriturismo in una delle principali aree enoturistiche d’Italia. Per un mese Olivia Backman e Lisa Nilsson, diciannovenni della scuola Vadstenagymnasiet con indirizzo turistico enogastronomico di Vadstena, sono state accolte all’azienda, dove hanno potuto seguire tutte le fasi del lavoro nell’agriturismo,

dalla vigna, alla cantina, al ristoro. In particolare, il loro stage si è focalizzato sugli aspetti dell’accoglienza e della ristorazione, ed hanno visto come i prodotti della campagna vengono lavorati per preparare i tradizionali piatti proposti

agli ospiti dell’agriturismo. Un altro aspetto che le ha particolarmente coinvolte sono state le visite in cantina, seguite da degustazioni, molto richieste da visitatori sia italiani che stranieri: hanno potuto apprendere come organizzarle al meglio, come scandire i tempi, come presentare i vini. “Ci ha fatto piacere ricevere la domanda di stage dalla Svezia perché è una conferma indiretta della notorietà della Franciacorta e dell’agriturismo italiano, che viene ritenuta un modello interessante da studiare in ambito enoturistico” ci ha confidato Gianluigi Vimercati Castellini. “Non solo i nostri vini sono sempre più apprezzati anche all’estero, ma anche lo stile della nostra offerta turistica.” E questa è la sfida che Vimercati ha lanciato, vincendola. ▣ Azienda Agricola Al Rocol Via Provinciale, 79 Ome (Bs) Telefono 0306852542 www.alrocol.com.

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La carne di coniglio, una valida alternativa Da sempre presente nelle ricette della tradizione regionale italiana diffusa dal nord al sud, isole comprese, la carne di coniglio è una valida alternativa a quella bovina, sicuramente da riscoprire, non solo per le sue caratteristiche nutritive, ma anche per la storia dolce e delicata che la accompagna. di Settimia Ricci

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a leggenda

Si narra che un anziano viandante sfinito dalla fame incontrò sul suo cammino quattro animali: una scimmia, una lontra, uno sciacallo

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e un coniglio e chiese loro aiuto e consiglio per potersi finalmente rifocillare. La scimmia prontamente si arrampicò sugli alberi e raccolse frutta in abbondanza per offrirla al vecchio. La lontra invece si tuffò nel fiume

e riemerse con dei pesci freschi per lui. Lo sciacallo dal canto suo si introdusse in una casa incustodita e rubò tutto il cibo che vi trovò mentre il coniglio riuscì a portare al vecchio solo un po’ d’erba. Mortificato, ebbe

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però un’idea. Raccolse della legna, accese un bel fuoco e poi disse al vecchio “ora mi getto fra le fiamme così avrai della buona carne arrostita!”. Colpito da tanta generosità, il vecchio alzò gli occhi al cielo dove vide la luna che aveva seguito commossa tutta la scena e dopo aver abbracciato con i suoi raggi il generoso coniglietto, per premio lo accolse per sempre nelle sue candide e luminose praterie. Una leggenda che esalta delicatezza e generosità così come delicata e generosa è la carne di questa bestiola.

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iffusione

Ma dove è nato il coniglio? Gli scienziati sembrano concordi

nello stabilire le sue remote origini nel continente africano. Dall’Africa poi il coniglio si sarebbe diffuso in Spagna e successivamente in tutta Europa, in particolar modo in Francia e in Italia. A facilitare il tutto avrebbe contribuito non poco la nota prolificità della specie unita alla bontà e versatilità delle sue carni che, essendo facilmente reperibili in abbondanza, erano anche a buon mercato rispetto alle altre.

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roprietà e caratteristiche

Ricca di proteine, circa il 21%, e povera di grasso, circa il 15%, quella di coniglio è la carne ideale da introdurre in qualsiasi dieta. Vantando inoltre

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proprietà ipoallergeniche, è adatta anche per i più piccoli. Contiene vitamina C, vitamine del gruppo B, niacina, nonché fosforo, ferro, cobalto, manganese, potassio. Aiuta a normalizzare il metabolismo delle proteine e dei grassi e a prevenire l’arteriosclerosi. Nelle persone che affrontano un trattamento contro il cancro può ridurre la quantità di radiazioni assorbite. Non contiene colesterolo, erbicidi, pesticidi, farmaci e altre sostanze chimiche in tracce o metalli pesanti. Il suo contenuto di proteine ​​è superiore a quello della carne di agnello, maiale, bovina. E’ infine utilissima ai diabetici in quanto regola il livello di glucosio nel sangue.

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on solo cibo

Ma il coniglio, specie negli ultimi decenni, si è rivelato anche un ottimo animale da compagnia che ben si adatta alla vita da appartamento, a patto di essere adeguatamente curato, nutrito e vezzeggiato. Molti lo prediligono addirittura al più tradizionale cagnolino e perfino al gatto. Molto amato e ambito per motivi di tutt’altro genere è invece il coniglio d’Angora dal cui pelo, opportunamente lavorato, nascono morbidissimi golfini che la moda ripropone periodicamente nei corsi e ricorsi storici che la caratterizzano. E ancora,

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di coniglio sono le pelli e pellicce di lapin che vengono utilizzate per fare tappeti, coperte o giacche.

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e ricette

In cucina, la delicata e bianca carne di questo animaletto è davvero versatile e si presta a numerosi preparazioni a patto di saperla opportunamente trattare. E’, infatti, una carne che più delle altre assorbe il sapore di ciò di cui l’animale si è cibato e inoltre tende a

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conservare un sentore e un sapore quasi di selvatico. Per ovviare agli inconvenienti appena citati c’è però un trattamento infallibile che le cuoche del Centro Italia adottano da sempre con successo. Pima di iniziare a cucinare il coniglio seguendo una qualsiasi ricetta, l’animale va messo in ammollo in abbondante acqua fredda, alla quale va aggiunto un bicchiere di aceto di vino bianco, il succo di un limone e un mazzetto di erbe profumate formato da salvia, rosmarino, finocchio selvatico

e alloro. Dopo averlo lasciato in ammollo per una intera notte, si fa a pezzi e si mette in una casseruola senza alcun condimento facendo evaporare a fuoco lento tutta l’acqua assorbita e con essa tutti i sentori dell’animale. Solo dopo queste due semplici operazioni, ammollo ed evaporazione lenta, si può iniziare a cucinare il coniglio con la ricetta prescelta, sicuri che la carne non ha più alcun cattivo sentore. In genere è ottimo arrosto, a patto che sia ben irrorato di olio, oppure all’arrabbiata con un piccante sughetto di pomodoro, al tegame con le olive verdi o nere, e infine fritto in pastella. Ma ci sono tre ricette regionali che a nostro avviso vanno assolutamente riscoperte: il coniglio in potacchio delle Marche, con i pomodorini, il coniglio in fricassea tipico di tutto il Centro Italia e il tonno di coniglio del Piemonte. Nel potacchio e nella fricassea protagonista assoluto è il vino bianco locale nel quale la carne va fatta rosolare. Nella fricassea si aggiunge poi una salsa di uova e succo di limone che deve ricoprire a velo la carne prima di essere servita. La ricetta piemontese invece è utilissima per conservare il coniglio. La carne, in genere il filetto, viene infatti lessata con aromi e poi conservata sott’olio proprio come fosse tonno. In genere si serve come antipasto. ▣

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I “Rubini di Corbara”, eccellenza campana tutta da assaporare! La Festa dell’Oro Rosso campano, a cura di Mediterranean Cooking Congress, Associazione Corbara Excellent e Comune di Corbara. Testo e foto di Carmen Guerriero

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È

rosso, succoso e dal sapore inconfondibile: il pomodorino di Corbara, paesino collinare in provincia di Salerno, è un pomodoro straordinario, sapido e dalle grandi proprietà organolettiche legate ai terreni, composti di lapilli del Vesuvio e materiale piroclastico, che drenano l’acqua e la conservano nel sottosuolo e ai venti salmastri della Costa d’Amalfi. In questi luoghi, oggi come un tempo, si usa conservare i pomodorini appesi in grappoli in una zona asciutta e ombreggiata, dove possono durare mesi, fino a

diventare un concentrato di profumi e sapori, ingrediente fondamentale per i piatti di questa terra baciata dal sole. Come per i vigneti, microclima e terroir influenzano grandemente le caratteristiche, determinando differenze nette di qualità, quantità e sapore del pomodoro corbarino rispetto anche agli altri terreni dei Monti Lattari. Introdotto in Europa da Cortés, dopo la conquista spagnola nel 1540, come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina (infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Mattinoli classificò la pianta

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A sinistra, il Vesuvio visto da Corbara. In alto, coltivazioni di Corbarino.

del pomodoro fra le specie velenose), la coltivazione del pomodoro è diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo dapprima in Sicilia e, successivamente, in Campania, soprattutto la zona dell’Agro Nocerino-Sarnese,

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tra Napoli e Salerno. Qui la pianta di pomodoro ha trovato, da subito, condizioni climatiche favorevoli, con mutazione anche del suo caratteristico colore da oro, donde il nome, all’attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi. La particolare sapidità di questo pomodorino e il suo gusto leggermente acre ne fanno un ottimo prodotto da consumare fresco, condito in gustose insalate o da lavorare per la realizzazione di sughi. Le eccezionali caratteristiche gustative e organolettiche del pomodorino e la stretta correlazione creatasi tra specie ed ambiente, hanno spinto a definire, invano, un’ipotesi di riconoscimento D.O.P. (Denominazione Origine Protetta) nell’anno 2005.

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In via praticamente di estinzione, è grazie all’impegno congiunto di alcuni imprenditori ed un ristretto numero di contadini di Corbara che si è riusciti a restituire questo pomodoro alle tradizioni ed all’identità locale, diffondendone la conoscenza attraverso eventi e manifestazioni di largo respiro, come Mediterranean Cooking Congress, giunta alla V edizione, appena conclusasi, organizzata dalla società By Tourist in partnership con l’associazione Corbara Excellent presieduta dall’imprenditore Carlo D’Amato, dell’azienda I Sapori di Corbara, ed il Comune di Corbara. Tra speciali cooking show di ricette della tradizione e interessanti consigli di

esperti, medici e nutrizionisti come Luigi Leo, oncologo dell’Ospedale dei Colli Monaldi, Teodoro Cardi, Direttore del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), Rocco De Prisco, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Michele Scognamiglio, professore dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, sono stati realizzati cinque piatti da noti chef campani che hanno utilizzato il pomodoro corbarino come ingrediente fondamentale, raccontati poi da altrettanti giornalisti. Introduzione a cura del giornalista Giuseppe Iannicelli di Canale 21 con premiazione di 4 agricoltori di Corbara, famiglie storiche

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Da sinistra, il dott. Pietro Pentangelo, Sindaco di Corbara; Anna Chiavazzo e i suoi cioccolatini; Erminia Cuomo, del ristorante Da Bacco a Furore (SA); Gerardo Di Dato con il suo gelato al corbarino.

del territorio, tra cui Antonio Napodano, Antonio Giordano 1° conferitore dei pomodorini di Corbara e Mario Giordano che ha anticipato una straordinaria annata per qualità e quantità. A premiare, Pietro Pentangelo, Sindaco di Corbara, e Carlo D’Amato, Presidente dell’Associazione Corbara Excellent e manager della società I Sapori di Corbara. I 5 Cooking Show sono stati coordinati dal giornalista Vincenzo D’Antonio della rivista Italia a Tavola. Chef Vincenzo Del Sorbo, del ristorante Pompeo Magno di Pompei, ha preparato la “Braciolettina di mare” con pane insaporito da prezzemolo, basilico e aglio, con pinoli su vellutata di corbarino e mousse di tarallo

al finocchietto, affiancato dalla giornalista Antonella Petitti della rivista Cucina a Sud; Paolo Barrale, del ristorante stellato Marenna’ e Presidente dell’Associazione Chic, ha preparato “Ramen fuori norma”, a base di acqua di corbarino, melanzana e tofu di mandorle, affiancato dal giornalista Giuseppe Giorgio de Il Roma; Domenico Iavarone, del ristorante Jose’ Restaurant di Torre del Greco, ha preparato Linguine con sugo alla “puttanesca” destrutturata e sconciglio, la “marruzza” napoletana, con gazpacho di pomodori corbarini, capperi fritti e polvere di olive nere taggiasche, per tagliare la particolare dolcezza del corbarino, affiancato dalla giornalista Santa di Salvo di

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Il Mattino. Giulio Coppola, del ristorante La Galleria di Gragnano, ha preparato Marruzze alla Belladonna o “puttanesca”, con gel di corbarino, polvere di cucunci, alici, foglie di cappero, prezzemolo croccante, olive nere di Gaeta, affiancato dal giornalista Michele Armano della Guida ai ristoranti del Gambero Rosso Erminia Cuomo e Rosario Napolitano, dell’Hosteria Da Bacco a Furore, hanno presentato un piatto storico, amato dall’attrice Anna Magnani e a lei dedicato: i “Ferezzuli alla Nannarella”, una pasta fatta a mano, avvolta intorno ad un ferro di calza e condita con cipolla, pesce spada affumicato, rucola, pomodoro, pinoli e uva passa, affiancati dal

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giornalista Mario Amodio editorialista di Amalfi Notizie. Tra le specialità in degustazione dei Piani del Gusto al Palazzo di Vetro, i prodotti salati delle aziende del Comune di Corbara, Panificio Nasta, Caseificio Monti Lattari, salumificio Ruocco, il pane biscottato di Corbara «spugnato» in acqua di mare da Antonio Iovieno ed il cocktail a base di corbarino preparato dalla bartender Rita Russo, dallo scorso anno drink ufficiale della dieta mediterranea. Originali e fantasiosi, poi, i dolci a base sempre di

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pomodoro corbarino di Anna Chiavazzo, con i suoi fantastici cioccolatini ripieni di corbarino, Gaetano Nasta, che ha realizzato una pasta di mandorle con confettura di pomodoro corbarino, Gerardo Di Dato che ha proposto un gelato al pomodoro corbarino e Alfonso Pepe e Sal De Riso. “Corbara è il cuore di uno straordinario microclima – ha sottolineato il dott. Pietro Pentangelo, Sindaco di Corbara - ponte tra l’antica fertilità dell’agro sarnese nocerino e gli scenari ed il sole della costiera amalfitana.

In questo contesto gli agricoltori corbaresi, attraverso costumi e tecniche produttive sapienti, fanno nascere e crescere i “rubini di Corbara”: i corbarini. Con grande orgoglio lottiamo ogni giorno affinché questa produzione sia salvaguardata e diffusa come la vera eccellenza del nostro territorio a cui un’intera comunità si sente legata”. Nella seconda decade di luglio, Corbara festeggerà ancora il suo pomodorino e un’altra eccellenza, la noce pesca gialla, con un altro evento, ormai alla sua la V edizione, dal titolo “Corbara

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A pagina 142, in senso orario: Ferezzuli, di Erminia Cuomo e Rosario Napolitano, ristorante Da Bacco a Furore (SA); Marruzze alla Belladonna, di Giulio Coppola, del ristorante La Galleria di Gragnano (NA); Ramen, di Paolo Barrale, del ristorante stellato Marennà a Sorbo Serpico (AV); Linguine alla puttanesca, di Domenico Iavarone, José Restaurant di Torre del Greco (NA). In questa pagina, dall’alto: Braciolettina di mare, di Vincenzo Del Sorbo, del ristorante Pompeo Magno di Pompei; Panna cotta e gelatina di corbarino, di Sal De Riso; Pasta di mandorle, di Gaetano Nasta.

e il Corbarino” (Associazione PRO LOCO Corbara, con il patrocinio del Comune di Corbara ed in collaborazione con I Sapori di Corbara), tra suggestioni medioevali ed

eccellenze agroalimentari del territorio dei Monti Lattari, per promuovere il pomodorino locale e valorizzare, allo stesso tempo, il centro storico. ▣

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La Valle del Gigante Bianco 2018 Si è concluso con successo l’evento che vede scendere in campo personaggi pubblici, privati e associazioni con il solo scopo di valorizzare un territorio ed il suo prodotto principe che si identifica con la razza bovina Chianina quale eccellenza gastronomica di grande pregio e qualità della Valdichiana. di Nicola Masiello

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’evento organizzato dall’ Associazione” Amici della Chianina” e dal Circolo Culturale intitolato ad Ezio Marchi, giunto alla sua XXIV° edizione, valorizza e rende merito al ricercatore e veterinario che per primo ha studiato la razza Chianina e

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per primo raggiunse risultati ottimali per il suo sviluppo e selezione. Ancora oggi questo tema è di attualità, soprattutto alla luce dell’importanza di avere prodotti di eccellenza per la promozione del territorio e dei suoi aspetti storici e culturali; anche la F.I.S.A.R.

Delegazione Valdichiana collabora a questo progetto di qualificazione curando tutta la parte inerente la tracciabilità del prodotto, la selezione dei tagli, la loro classificazione e la loro cottura per arrivare alla gestione degli abbinamenti dei vini con le varie preparazioni. Non è stato escluso in questo percorso

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anche la promozione di altri prodotti di eccellenza come l’Aglione della Valdichiana e i vini, presentati con le loro peculiarità, attraverso degustazioni guidate. Nel contesto degli eventi si è cercato di premiare il lavoro del contadino/allevatore attraverso i Consorzi di tutela e valorizzazione genetica della razza, in primis quello del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale. Un ruolo importante è demandato alla comunicazione, fatta da esperti e comunicatori che quotidianamente si occupano di qualità dei cibi, della loro promozione e illustrazione qualitativa con richiami efficaci sulla carne di Chianina. In questa direzione il Comitato organizzatore

ogni anno assegna un riconoscimento ad un personaggio, che si sia distinto in questa opera, con il premio “Ezio Marchi” e per l’edizione 2018 questo è andato a Roberto Rabachino, docente universitario, esperto di marketing territoriale e profondo conoscitore delle eccellenze agroalimentari Italiane ma anche Presidente dell’ASA (Associazione Stampa Agroalimentare Italiana) ed a tutti i suoi associati impegnati nello stesso intento. Nell’ambito della stessa conviviale c’è stato anche un altro momento importante, quello della nomina di ”Ambasciatore della Valdichiana” come territorio di eccellenza la scelta è andata su Donatella

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Cinelli Colombini, nota imprenditrice in rosa dell’enologia Italiana e vulcanico personaggio del turismo del vino e dell’Associazione Donne del vino ma soprattutto ambasciatrice e promotrice di un progetto di valorizzazione e marketing di un luogo, la Valdichiana, ricco di storia, cultura e tradizioni. Un territorio che ha avuto anche un riconoscimento importante a livello regionale quale catalizzatore del brand Toscana. Il premio è stato consegnato da Riccardo Agnoletti, Sindaco di Sinalunga e da Giovanni Corti, Presidente Ass. Amici della Chianina. Ha presentato la serata Nicola Masiello, Presidente Emerito F.I.S.A.R. coadiuvato dal giornalista Claudio Zeni. ▣

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TERRA MADRE

Salone del Gusto 2018 A Torino e in tutto il Piemonte dal 20 al 24 settembre. a cura Redazione Centrale – Fonte Ufficio Stampa Slow Food

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erra Madre Salone del Gusto torna a Torino con una nuova formula, ancora una volta destinata a sorprendere. Giunta alla dodicesima edizione, è organizzata da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e il coinvolgimento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell’ambito delle attività previste per l’anno del cibo italiano. Il programma completo, le ultime notizie e la possibilità di riservare gli appuntamenti su prenotazione sono su www.salonedelgusto.it. Sempre on line è possibile acquistare in prevendita il biglietto d’ingresso a Lingotto Fiere: molto accessibile il prezzo (5 euro il biglietto singolo e

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20 euro l’abbonamento per i cinque giorni, oltre i diritti di prevendita). L’incasso, al netto dei costi di gestione, verrà interamente destinato a finanziare il “diritto di partecipazione” dei delegati di Terra Madre e i progetti della rete Slow Food in Africa. Nei giorni dell’evento, il costo del biglietto di ingresso singolo acquistato alle casse è 10 euro. Food for Change è il tema dell’edizione 2018, a partire dal progetto stesso della manifestazione, diffuso e aperto, fino ai contenuti dei forum e delle conferenze, perché riteniamo che il cibo sia il più potente strumento per avviare una rivoluzione lenta, pacifica e globale: se vogliamo cambiare il mondo, cominciamo dai piccoli gesti quotidiani, come la scelta consapevole delle materie prime che usiamo per realizzare le nostre ricette. Se lo facessimo tutti, vedremmo gli effetti sulla qualità e salubrità dei prodotti, sulla tutela degli ecosistemi e della biodiversità, sui mercati globali e la distribuzione delle risorse. Sulla vita di ogni giorno. La manifestazione internazionale dedicata al cibo buono, pulito, sano e giusto per tutti rimodella quindi i propri confini per offrire alle centinaia di migliaia di visitatori e agli espositori e delegati

provenienti da tutto il mondo un’esperienza di partecipazione ancora più appagante. L’intento è coinvolgere nei cinque giorni il più ampio numero di partecipanti, creando di fatto un nuovo evento a partire dal meglio dell’esperienza del 2016, che ha visto la manifestazione propagarsi nel centro della città di Torino, arricchito dalla facilità di visita che le edizioni sino al 2014, raccolte all’interno del Lingotto Fiere, hanno sempre permesso. Un evento che si diffonde in tutto il Piemonte con le occasioni di scambio tra delegati e cittadini ospiti nelle famiglie delle oltre 120 Città di Terra Madre e i Tour DiVini, 15 itinerari (organizzati insieme alle Condotte Slow Food del territorio) per scoprire le bellezze artistiche e paesaggistiche della regione e gustare i prodotti più significativi nei luoghi in cui nascono. A Torino, grazie al bando Io sono Terra Madre, sono oltre 150 gli eventi - inseriti nel programma ufficiale - organizzati da enti e associazioni e coinvolgono tantissimi quartieri, a partire da Mirafiori e San Salvario. Nuvola Lavazza e piazza Castello ospitano alcune conferenze e Laboratori del Gusto, l’Enoteca e i Food truck. Lingotto Fiere

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e Oval accolgono due tra le più significative novità di questa edizione: le cinque grandi aree tematiche #foodforchange, costruite insieme ai delegati della rete; le cucine di strada e le birre artigianali, allestite nello spazio antistante l’Oval per consentire ai visitatori di fruirne anche dopo la chiusura serale dei padiglioni che ospitano il grande Mercato italiano e internazionale. Altra novità di questa edizione è l’area B2B, organizzata dalla Camera di commercio di Torino con Slow Food, in collaborazione per la prima volta con Enterprise Europe Network - EEN, la più grande rete al mondo di supporto alle PMI, presente in 66 Paesi. Terra Madre Salone del Gusto è resa possibile grazie al contributo delle tantissime aziende che hanno creduto in questo progetto e che insieme a noi si stanno impegnando per rendere l’edizione 2018 la più bella di sempre. Citiamo qui gli Official partner: GL events, Iren, Lavazza, Lurisia, Parmigiano Reggiano, Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy. Con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Associazione delle fondazioni di origine bancaria del Piemonte. ▣

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20 anni di noi. Festeggiamo come nelle famiglie più affiatate!

I primi 20 anni di APCI Associazione Professionale Cuochi Italiani raccontati dal suo Direttore Generale, Sonia Re. a cura di Sonia Re per APCI

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998- 2018: quanta strada si è percorsa, eppure quel passato continua a vivere nella memoria di tanti di noi. Lo spirito che ci anima e accomuna è lo stesso di sempre, da quel fatidico anno di fondazione di APCI Associazione Professionale Cuochi Italiani. Mi innamorai da subito dell’entusiasmo e della partecipazione sentita che pervadeva ogni iniziativa, dello spirito di

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appartenenza e altruismo che si respirava nell’aria, di quel modo speciale delle berrette bianche nel credere in un progetto, nel dedicare il loro tempo per la riuscita di percorsi condivisi, partecipati con spontanea passione! Mi è difficile elencare qui tutti coloro che per primi fondarono APCI, ma due per tutti permettetemi di citarli: mio padre Carlo Re e Luigi Ugolini. A loro andrà il perpetuo merito di averla voluta e creata, insieme

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ad una squadra di amici e cuochi. Diverse le persone che si sono poi susseguite nell’arco di questi anni, e il cui sforzo e carisma ha permesso di giungere a questo importante traguardo. Un grazie particolare va al Presidente Roberto Carcangiu e ai ‘miei’ Consiglieri sempre pronti, disponibili ed efficienti, per aiutarci a non perdere la rotta. Insieme a loro, lo staff APCI che gestisce con me ogni giorno la macchina operativa. I cuochi della Nazionale #APCIChefItalia, insostituibili compagni di viaggio, e tanti singoli e preziosi associati e collaboratori in Italia e all’estero: un lungo elenco di chi a vario titolo opera in APCI e, anche di fronte alle difficoltà e seppure con mezzi a volte limitati, non si è mai arreso. A loro devo molto e il cammino che dovrò proseguire, so che, insieme a loro, sarà meno faticoso,

e sicuramente radioso e felice! Sono fiduciosa per il nostro futuro, che ha avuto negli ultimi anni un ricambio generazionale, portando all’interno di APCI tanti giovani che hanno saputo dare un impulso ed una vivacità al passo con i tempi, confermando che il cambiamento è utile e necessario per uno sviluppo associativo costante. Celebrare oggi un anniversario così importante significa per me ridare attualità a quel momento in cui tante persone misero il loro impegno al servizio di APCI per realizzare quello che fu un bel sogno, e che da quel momento cominciò a crescere fino a diventare una realtà solida e il riferimento concreto per tanti professionisti e altrettanti bisogni. Trovo entusiasmante la sfida di preservare quest’opera così faticosamente costruita,

adeguandosi ai cambiamenti, ad incominciare dal ruolo dei cuochi nella società, e dalla tutela dell’immagine di ognuno di essi; stimolante l’obiettivo di riscoprire il valore che hanno oggi termini come sacrificio e incontro per ridare dignità a chi rischiava di essere escluso, per gustare la gioia di condividere e sostenere la fatica di una professione i cui disagi si sopportano così con più resistenza e considerazione da parte di tutti. Con questo entusiasmo e un calice in mano (che ovviamente non poteva mancare!), brindiamo perché oggi si riparta per una nuova stagione, arricchita di tanti strumenti e attori che ne facciano sempre di più un contenitore aperto e duttile, un caleidoscopio di emozioni, esperienze e opportunità! #APCI20ANNI Auguri a noi! ▣


La biodiversità e l’agricoltura, i numeri Far lavorare l’agricoltura a favore della biodiversità. a cura Redazione Centrale – Fonte dati AdnKronos

È

il messaggio che arriva dalla Fao in occasione della tre giorni (29-31 maggio) di Dialogo multi-stakeholder ‘Biodiversity Mainstreaming across Agricultural Sectors’,

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organizzato a Roma congiuntamente con la Convenzione sulla diversità biologica (Cbd). Qualche dato: nel 2014 solo 200 piante sono state coltivate, delle quali 9 (canna da zucchero, riso, grano, patate, semi di soia, palma da

olio, barbabietola da zucchero e cassava) rappresentano il 66% delle colture totali mentre 8 specie di colture (orzo, fagioli, arachidi, mais, patate, riso, sorgo e grano) forniscono il 53% delle calorie medie giornaliere consumate. E ancora: 3

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varietà di colture (grano, riso e mais) rappresentano il 48% delle calorie medie giornaliere consumate. Sul fronte degli allevamenti, delle 8.800 razze di bestiame conosciute, il 7% è estinto, il 24% è a rischio di estinzione e il 59% è classificato come a rischio sconosciuto a causa della mancanza di dati; 5 specie animali (bovini, ovini, caprini, maiali e pollame) forniscono il 31% della media giornaliera di proteine consumate. In pratica, ha spiegato il direttore generale della Fao José Graziano da Silva, “solamente tre colture di base, riso, mais, e grano, e tre specie animali, bovini, suini e pollame, forniscono la maggior parte dell’energia

alimentare nel mondo”. Da qui l’appello lanciato dal direttore generale per “un cambiamento trasformativo” nel modo in cui produciamo il nostro cibo, perché sia ben saldato in sistemi agricoli sostenibili, in grado di produrre alimenti sani e nutrienti e allo stesso tempo di tutelare la biodiversità del Pianeta. “La biodiversità è essenziale per la tutela della sicurezza alimentare e la nutrizione globale, per migliorare i mezzi di sostentamento e per rafforzare la capacità di resilienza delle persone e delle comunità”, ha sottolineato nel suo intervento. Integrare la biodiversità tra le priorità del settore agricolo

può portare a diversi benefici. Secondo la Fao, le politiche in materia di agricoltura, di uso delle risorse naturali, di protezione e tutela di specie a rischio, habitat e biodiversità devono essere allineate per proteggere al meglio l’ambiente e ridurre l’impatto dell’agricoltura, della pesca e della silvicoltura. Qualche esempio positivo: le aree protette e gli orti botanici sono aumentati del 30% e hanno aumentato la conservazione delle varietà selvatiche delle colture; a livello globale, 524 milioni di ettari di foreste sono stati designati principalmente per la conservazione della biodiversità. ▣


Al via il progetto europeo MADRE Metropolitan Agriculture for Developing an innovative sustainable and Responsible Economy A Marsiglia i partner, stakeholder e i rappresentanti delle istituzioni si sono incontrati per la conferenza finale di MADRE, il progetto europeo sull’agricoltura urbana e periurbana. a cura Redazione Centrale

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partner e gli stakeholder di MADRE si sono riuniti a Villa Valmer (Marsiglia, Francia) per l’evento conclusivo del progetto. La conferenza – Agricoltura metropolitana e sistemi agroalimentari nel Mediterraneo – è stata l’occasione per presentare i risultati di MADRE ad un ampio pubblico. Durante la conferenza, due tavole rotonde hanno coinvolto esperti e vicesindaci provenienti dalle 6 aree metropolitane coinvolte con i rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni internazionali che si occupano di agricoltura e cibo.

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Il progetto MADRE – Agricoltura Metropolitana per lo Sviluppo di un Economia innovative, sostenibile e Responsabile – è stato presentato da Patrick Crézé, Direttore Sviluppo, e Manon Dieny, coordinatore di progetto, entrambi afferenti ad AViTeM. Se il Catalogo delle buone pratiche, la piattaforma digitale Agri-Madre, i White Paper e il Policy Paper rappresentano i principali risultati del progetto MADRE, la firma di un accordo d’intesa per la creazione di un network mediterraneo su agricoltura metropolitana e sistemi agroalimentari costituisce

l’impegno a continuare a lavorare insieme dopo la fine del progetto.

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deliverable: presentazione dei risultati del progetto MADRE

Il Catalogo delle buone pratiche comprende una selezione di 36 buone pratiche di agricoltura urbana e periurbana, raccolte grazie al supporto dei 6 gruppi di lavoro metropolitani. Ulteriori iniziative sono incluse nella piattaforma online AgriMadre. Questi strumenti vogliono coadiuvare una

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MADRE Metropolitan Agriculture for Developing an innovative, sustainable and Responsible Economy

MADRE aims to promote metropolitan agriculture in the Mediterranean area through the creation of a transnational cluster of key stakeholders on Urban and Periurban Agriculture. Six flagship metropolitan areas are involved: Barcelona, Montpellier, Marseille, Bologna, Tirana, Thessaloniki.

madre.interreg-med.eu

Project budget

1,17 M €

ERDF/IPA funds

0,99 M €

Project duration

18 months


mappatura degli stakeholder; un consolidamento delle conoscenze acquisite nei territori; la valutazione degli aspetti economici, delle performance ambientali e sociali delle iniziative di agricoltura metropolitana; la promozione delle pratiche più rilevanti ed innovative e le opportunità di networking. I White Paper e il Policy Paper contengono l’analisi delle 6 aree di innovazione legate all’agricoltura identificate nel contesto del progetto – innovazione sociale, per gli agricoltori, territoriale, transnazionale, per la ricerca accademica e per i consumatori – e raccomandazioni per rafforzare il ruolo dell’agricoltura urbana e periurbana nelle politiche pubbliche, a livello locale e metropolitano.

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e tavole rotonde: un’occasione di incontro e cooperazione

La prima tavola rotonda – sulle sfide e i vantaggi della creazione di un network mediterraneo sull’agricoltura e i sistemi agroalimentari – è stata moderata da Thierry Giordano (consigliere decentralizzato per la cooperazione della FAO Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura); oggetto del dibattito le soluzioni per rafforzare l’agricoltura, specifiche per l’area mediterranea. Tra i relatori, François Marcadé (coordinator di CIVAM PACA),

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Vincent Garcés (presidente di MCAF - Mediterranean Citizens ́ Assembly Foundation, social council di “World Capital of Sustainable Food 2017”, Città di Valencia) e Davide Di Martino (segretariato del Milan urban Food Policy Pact). La seconda tavola rotonda ha coinvolto città e metropoli interessate nello sviluppo di un network mediterraneo ed è stata moderata da Xavier Tiana, segretario generale di Medcities e capo delle relazioni internazionali dell’area metropolitana di Barcellona. I relatori presenti erano i vicesindaci e i consiglieri provenienti dalla metropoli Aix Marseille, dall’area metropolitana di Barcellona, dalla Città metropolitana di Bologna, dai Comuni di Tirana, Salonicco, Neapolis-Sykies e Mouans-Sartoux. I vicesindaci e gli stakeholder, rappresentanti delle 6 città, hanno firmato il protocollo d’intesa per la creazione di un network mediterraneo sull’agricoltura metropolitana e i sistemi agroalimentari.

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ltre MADRE: un network mediterraneo sull’agricoltura urbana

Il progetto MADRE rappresenta una rete di attori impegnati nel fare dell’agricoltura una forza motrice fondamentale per lo sviluppo economico sostenibile e dà alle città una struttura sulla quale basare le loro future

politiche alimentari. I partner di progetto hanno raccolto – con l’aiuto degli oltre 250 stakeholder coinvolti – circa 50 buone pratiche di agricoltura urbana e periurbana, ricavate dai lavori dei 6 gruppi di lavoro metropolitani e dei 6 gruppi di lavoro transnazionali. Tutte le città coinvolte in MADRE – Barcellona, Marsiglia, Montpellier, Bologna, Salonicco e Tirana – sono anche firmatarie del Milan Urban Food Policy Pact: questo fatto testimonia una sinergia tra le due iniziative e come l’agricoltura rappresenti una delle maggiori leve per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle metropoli, e un fattore chiave per l’economia del futuro. Dalla conferenza finale del primo giugno è emersa l’importanza della co-progettazione di politiche agroalimentari e della transizione da un approccio top-down a uno bottom-up, così come la necessità di creare collegamenti tra le aree rurali e quelle urbana, e tra politiche agroalimentari e socioeconomiche. La nascita di un network mediterraneo di agricoltura metropolitana e sistemi agroalimentari rappresenta l’impegno delle autorità, dei coltivatori, dei ricercatori e della società civile a lavorare insieme per la promozione di iniziative di agricoltura urbana e periurbana e di politiche che proseguano oltre il progetto MADRE. ▣

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