l'Artugna 90 - Agosto 2000

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Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia Anno XXIX Agosto 2000 Numero 90


Sommario

Tessere preziose

in questo numero... 2

Tessere preziose di Roberto Zambon

3

La lettera del plevan di don Adel Nasr e don Nillo Carniel

4

Nible de la coriera di Roberto Zambon

7

I nostri cognomi nella rete di Anna Pinal

10

Andar per fiori di Annalisa Quaia

12

Una staffa di Carlesso sul Crep di Umberto Sanson

13

Veste nuova al presbiterio di Simonetta Gherbezza e Marta Bensa

15

Mario Signora, l’uomo dei princìpi di Walter Arzaretti

17

La raccolta delle patate (1948) di Clelia Zambon La corleta di Angelin Frith

18

La mamma di Carla Andreini

19

Le piste dei Berberi di Claudia Pez

22

Intorvìa la tóla a cura di Adelaide e Melita Bastianello

23

L’angolo della poesia

24

’N te la vetrina

26

Lasciano un grande vuoto...

27

Cronaca

31

Inno alla vita

32

I ne à scrit

34

Programmi e Bilancio

35

Avvenimenti

ed inoltre… nel supplemento ’l Cunàth 1

L’Italia, ieri paese di emigranti, oggi paese di immigrati di Paolo Signora

3

Un dardaghese tra i coscritti udinesi del 1833 di Lorenzo Smrekar

4

L’Artugna in Ungheria di Marta Zambon

6

Festa diocesana dell’A.C. a Concordia di Gruppo A.C.G.

6

Festa del Bambino in Carinzia

7

A Gardaland con l’Arco Iris di Marina, Alessia, Elena

8

Quattro chiacchiere con Elena di Laura e Sara

In copertina. La nostra Comunità s’impoverisce: una tessera preziosa è stata sradicata con violenza. Il rischio di un impoverimento spirituale e sociale con conseguente massificazione dell’uomo è tangibile. Dobbiamo rassegnarci o lottare con speranza?

Periodico quadrimestrale della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia (PN) Direzione, Redazione, Amministrazione Tel. 0434/654033 - C.C.P. 11716594 Internet: http://www.naonis.com/artugna E-Mail: l.artugna@naonis.com Direttore responsabile Roberto Zambon - Tel. 0434/654616 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Ed inoltre hanno collaborato Ennio Carlon, Luigi Modolo, Espedito Zambon Euridice Del Maschio Autorizzazione del Tribunale di PN n. 89 del 13-4-73 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Stampa Arti Grafiche Risma - Roveredo in Piano/Pn

Un mosaico è proprio un’opera straordinaria. L’Italia è particolarmente ricca di capolavori creati con questa tecnica. Anche vicino a noi si trovano grandi mosaici conosciuti in tutto il mondo per il loro splendore. Pensiamo a quelli famosissimi di Ravenna (nelle grandi basiliche di San Vitale, di Sant’Apollinare, o in quel piccolo gioiello che è il mausoleo di Galla Placidia), ai mosaici preziosissimi nella basilica di San Marco a Venezia oppure a quelli che ricoprono il pavimento, appena restaurati, nella basilica di Aquileia. Certo che creare queste opere deve richiedere tempo, pazienza, fantasia, bravura: gli artisti che con somma maestria ci hanno regalato tali capolavori hanno dovuto, dapprima, selezionare le migliaia di tessere dai vari colori, forme e misure e poi le hanno affiancate e fissate l’una contro l’altra fino a creare le figure che tanto ci affascinano. Grazie alla resistenza dei materiali utilizzati e alla bravura degli artisti ci sono pervenuti molti mosaici antichi, conservati nel loro splendore originale. È stupefacente come l’intelligente unione di tanti piccoli elementi di scarso valore riesca a formare opere di valore inestimabile. Le tessere di un mosaico, infatti, sono solo cubetti di marmo, pietra, vetro o terracotta. Alcune sono un po’ più ricche delle altre ma perfino quelle d'oro e d'argento hanno solo un sottilissimo foglio del prezioso metallo applicato a comuni lastre di vetro. Eppure basta che manchi anche una sola tessera e il mosaico si impoverisce. Se le tessere cominciano a staccarsi e non vengono sostituite, tutto il mosaico corre il pericolo di andare in rovina. Mi piace pensare alla nostra comunità come a un bel mosaico formato da tante tessere. Nei secoli, queste hanno perso il loro splendore, sono invecchiate ma sono state sempre rimpiazzate da altre più giovani e lucenti in una sapiente opera di restauro: così la comunità è cresciuta e consolidata, ha superato difficoltà di ogni tipo ed è arrivata fino ai nostri giorni. Anche noi, tessere del mosaico, operiamo accanto a tessere preziose per la nostra comunità. Una di queste è senz’altro Ovidio che per decenni ha prestato la sua opera come sacrestano della Pieve. Sempre presente, competente e preciso ha fatto sì che la chiesa fosse sempre in ordine e la


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La lettera del plevan

liturgia si svolgesse con la dovuta cura e solennità. Ovidio, il prezioso aiuto per tanti pievani, ora non può più essere accanto al celebrante, preparare i paramenti, accendere le candele, suonare le campane... La malattia lo ha fermato proprio prima della Settimana Santa, il periodo in cui l’opera di un sacrestano è fondamentale per il buon andamento delle funzioni più importanti e sentite dell’intero anno liturgico. E come Ovidio, altre colonne della nostra comunità, altre tessere sentono il peso degli anni. Il mosaico si sta impoverendo e il «restauratore» fa fatica a trovare quei pezzetti di marmo o di vetro colorato per ridare nuova vita e portare questa preziosa opera anche nel terzo millennio che stiamo per iniziare. Il rischio di un impoverimento spirituale dei nostri paesi è reale. La comunità cristiana ha sempre costituto il fulcro dei nostri paesi; attorno alla chiesa e nella chiesa si è sviluppata la storia dei nostri padri ma ora sembra che tutto questo non conti più nulla. Dobbiamo rassegnarci o possiamo continuare a sperare?

Carissimi tutti, vicini e lontani, siamo nel cuore dell’estate in cui celebriamo l’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo. Questa festa non è solo importante ma molto significativa, perché si celebra una primizia di redenzione, perciò tutti gli uomini aspettano la redenzione del proprio corpo. Il Signore Gesù è venuto nella carne per salvare la carne, quindi la nostra salvezza è, non solo nell’anima e nello spirito, ma anche nel corpo, per questo tutto il nostro essere è prezioso. Il Giubileo ci ricorda di tornare a Dio con tutto il cuore, che in senso biblico indica la totalità dell’essere. Allora è bello sentire la salvezza di Dio in noi. Qualcuno mi chiede: «Come può avvenire il Giubileo, che è salvezza di Dio, nella mia vita?» La Bibbia e i Santi rispondono di praticare la Giustizia e la Carità, ed agire nella bontà e nel perdono reciproco. Sarebbe molto bello se tutti gli uomini praticassero questi princìpi anche se in minima parte: si avrebbe così un paradiso anticipato. Invochiamo la benedizione di Dio per l’intercessione della Vergine Assunta su tutti voi e le vostre intenzioni a gloria di Dio. I vostri parroci

ROBERTO ZAMBON

DON ADEL NASR E DON NILLO CARNIEL Basilica di Aquileia. Lotta tra il gallo e la tartaruga. Particolare del grande mosaico pavimentale. L’immagine raffigura l’eterna lotta tra le tenebre (tartaruga) e la luce (gallo). Alla fine il vincitore riceverà il premio, la coppa sopra la colonna. È un simbolismo caro anche a religioni pagane per l’immediata comprensione.


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Nible de la coriera

Nible de la coriera, classe 1901. Un personaggio che appartiene alla storia dei nostri addii e dei nostri ritorni. Con il suo camice color sabbia e bordi blu, divisa di allora, e l’eterno berretto a visiera un po’ sfatto dall’uso, era sempre ad attenderci a Sacile, come un capitano con l’ordine di riportarci all’ovile, per ricomporre i paesi in continuo spopolamento. Tanti ne riportava a casa, e di più ne riconduceva poi al treno che li scaraventava prima a Venezia, poi sempre più lontano. Siamo passati tutti di lì, sulla sua corriera, come in una strettoia di imbarco. Era un momento di commozione. Quando partivi, lasciavi una libertà infinita, ma non sapevi dove saresti finito. Quando tornavi vedevi che l’avere mollato le radici era un po’ come essere stati buttati via. Con il tempo diventavi sempre più estraneo. Eri di passaggio, cioè di nessuno. Nible era un volto di riconciliazione, ti sentivi riammesso, riaccettato, accompagnato fin sulla piazza come per un ingresso di onore. Quando poi rimetteva in moto per riportarti a Sacile, dava una grande sbuffata di polvere e di gas di scarico ai residenti che si sbracciavano per salutare, come a cancellarli e farli dimenticare subito, per alleviare il senso di abbandono. Anche lui era eternamente in partenza, fuori di casa per 15 ore al giorno. Una cassetta con dentro pochi oggetti, rasoio, posata, asciugamano e qualche piccolo attrezzo, era tutto ciò che aveva con sé. Era una comune scatola di legno, sulla quale a volte appoggiava i gomiti per riposarsi fra una corsa e l’altra. Un cuscino ben duro, per uno che ogni giorno macinava chilometri lungo strade tortuose e sconnesse, sollevando polveroni come un carovaniere del deserto. Il suo pasto era pane e latte, che la Santa Sartorela provvedeva a rifornirgli. Per quei tempi non sembrava un mangiare povero. Malgrado la frugalità, Nible aveva un qualcosa di signorile, un tono curato che non lasciava immaginare una vita tanto dura. Però in qualche scatto brusco e nervoso traspariva la sua stanchezza di solito ben dissimulata. Era compare di Piero Postin, cioè santolo di uno dei figli, e possedeva il cartellino di fiduciario per la presa e consegna dei sacchi postali. Quei plichi di lettere arrivate e attesissime erano presto tra le mani di Piero, messe tutte in ordine e

La corriera del mattino, che frequento io nel mio andirivieni DardagoMilano, è uno spasso: nel periodo scolastico, all’alba delle 7,15 salgono decine di sonnambuli, con i loro zaini colorati e pesanti come macigni... Quando risalgono alle due passate, sono pallidi e affamati come martiri usciti dalle torture... Tra loro ci sono dei personaggi in miniatura: bulli e bulle vestiti e truccati da adulti, che vorrebbero saltare via la giovinezza come un’età senza attrattive...! Utilitaristi che ossessivamente ripassano gli argomenti delle interrogazioni per sapere tutto alla pari dei loro insegnanti... Giocherelloni che con le loro trabaccole elettroniche sperano di scoprire i segreti dei missili interplanetari... Chi va in automobile, si perde tutto questo fermento emotivo della precoce follia umana..... La cosa più incredibile è la dolcezza di questi ragazzi... ma da dove verrà? Non dai libri, non dai professori, e forse non dai genitori... mah! La corriera è proprio un luogo di riflessione!


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lui, el postin, era dietro lo sportellino, con gli occhiali sul naso, a farsi domandare: «In elo de mea?» Lui sapeva già quando non ce n’era. Aveva già scorso due o tre volte tutta la posta arrivata. Ma fingeva di cercare lentamente, ogni volta, per rispetto di quel viso teso e speranzoso. «No, la rivarà doman». Giorno dopo giorno, Nible vedeva la fila di impazienti arrivati con anticipo, che aspettavano seduti sulle panche di pietra del Maressial. Aspettavano lui. Era lui a portare la felicità. Quel pezzo di mondo che era lontano tornava presente ad ogni arrivo di sacco postale, con missive, foto, rassicurazioni, in lettere e cartoline.

Tra i giovani era abitudine nascondere sotto il francobollo romantiche frasi d’amore, come quelle dei famosi cioccolatini, oppure parole scherzose e divertenti. I sacchi quando ripartivano erano molto leggeri, con poche lettere, scritte in bella calligrafia sul cjantonal del fogher; emanavano ancora un profumo di legna e mostravano le tracce di cenere usata come carta assorbente. Più spesso venivano spedite cartoline illustrate di auguri... buon onomastico, buona Pasqua... cariche di valori simbolici ed affettivi. I sacchi di posta viaggiavano accanto al guidatore. Sul tetto della corriera, a cura del bigliettaio (inizialmente Piero Sartorel) venivano allineate tutte le valigie, alcune gonfie da scoppiare, Foto accanto: Dardago. Anni trenta (collezione privata). All’ombra del campanile la corriera de Nible riscalda il motore per riprendere il quotidiano percorso. Foto a sinistra: documenti rinvenuti negli uffici della Saita di Udine da Luigi Modolo, cui va il nostro cordiale ringraziamento per la premurosa collaborazione.


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e anche masserizie, attrezzi agricoli di tutte le forme per i contadini che andavano a rifornirsi a Sacile, casse di verdura della Neta... Un giorno arrivò persino un porthitut tenuto legato in un sacco che, per gli scossoni delle strade piene di buche, riuscì a scalciare, sciogliere il sacco e volare via dando filo da torcere per farsi riacciuffare tra le risate. L’arrivo della corriera si faceva udire da lontano con il suo clacson suonato prima delle curve come un segnale di allegria. Se strombazzava ad un muss, questo diventava anciamò pi muss. «No podevelo tirasse drio ancia ’sta careta chel Nible là, e ancia mi deve a tordio come duti chei là... che desgrathia nasse muss...» diceva la povera bestia scuotendo le recie per il fastidio. Gli orari della corriera li conoscevano tutti, e a richiesta erano comunicati a voce. Non c’erano tabelle. «Vala a Pordenon ’sta coriera?» domandava una donna a Piero Sartorel appoggiato sul finestrino posteriore. «No», risposta chiara e sintetica. «Vala a Pordenon ’sta coriera?» domandava la stessa donna a Nible seduto al volante. «Se non la va a Pordenon da drio, no la va nencia davanti». Risposta arguta da lasciare senza fiato. Lavorare con Nible non era sempre facile. La durezza era lo stile dei tempi. L’unica protezione del posto sicuro erano pazienza e buona volontà. Piero Sartorel era ancora ragazzo quando doveva mandare giù bocconi

amari. Nel suo primo lavoro di aiutante controllava i biglietti forandoli con un chiodo. Anni da pionieri, quelli. Da allora la corriera si ammodernò in continuazione, soprattutto in occasione dei passaggi di proprietà: Puppin, Sap, Saita, Atap... Nible, cioè Annibale Fornasieri, questo era il suo nome, arrivava ogni giorno da Aviano. Usciva con il motorino alle 5.30 del mattino, per far partire la corriera da Dardago alle 6. Rimasto vedovo con due bambine, un bel giorno decise di risposarsi. Ad una passeggera che saliva in corriera, le chiese: «Dove va?» «A fare la cuoca in Svizzera». «Non vorrebbe fare la cuoca a me?» Probabilmente l’aveva notata altre volte ed omaggiata già di qualche frase galante prima di passare ad una proposta così diretta. Si sposarono e quando andò in pensione, lui instancabile viaggiatore, si dedicò al campeggio per continuare a girare il mondo, da dividere con la moglie a fianco. Ex cuoca di professione. Vita libera, questa volta rallegrata da manicaretti sempre in tavola... Ai tempi di «pane e latte» non avrebbe mai osato pensarlo. O forse sì? ANNA PINAL

(CON LE INFORMAZIONI DI FRANCINA ZAMBON SARTOREL)

Nella foto: Inaugurazione,nel 1912 a Pordenone, dei servizi automobilistici pubblici con i paesi della pedemontana. Gaspardo Paolo, Un secolo, oggi. SOMSI, Pordenone.


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I nostri cognomi nella rete

Nel numero 50 (aprile 1987) del nostro periodico, con il titolo «I Registri della Pieve» è stata pubblicata una ricerca sui cognomi, nomi e soprannomi più usati nei nostri paesi. Tale ricerca aveva come fonte i preziosi registri di battesimo della nostra Pieve e dava appuntamento ai lettori per ulteriori ricerche, statistiche e curiosità tratte dagli altri registri conservati nell’archivio parrocchiale. Varie difficoltà hanno impedito, per ora, di mantener fede alla promessa: speriamo in un prossimo futuro di rimediare. In questo numero, però, vogliamo analizzare un altro aspetto dei cognomi più comuni dei nostri paesi. Approfittando della mole di informazioni presenti nella rete Internet verifichiamo il grado di diffusione di questi cognomi in ambito nazionale. Come vedremo non mancheranno le sorprese e le curiosità. Prima di tutto è doverosa una precisazione. La fonte utilizzata si riferisce alle utenze telefoniche. Pertanto le entità numeriche che incontreremo nell’analisi non si riferiscono a persone aventi un determinato cognome ma ad abbonamenti telefonici intestati al cognome stesso. Considerato che, in media, ogni famiglia è abbonata al telefono, possiamo tranquillamente affermare che i numeri riportati corrispondono ai nuclei famigliari. Lo studio prende in considerazione i 10 cognomi più frequenti nel nostro comune, che sono: Zambon, Carlon, Fort, Bocus, Del Maschio, Angelin, Janna, Busetti, Lacchin, Bastianello. I dati relativi ai cognomi Janna e Lacchin comprendono anche quelli presenti con la diversa grafia Ianna e Lachin. Il dato che emerge immediatamente dalla lettura della tabella riportata è che tutti i cognomi considerati hanno origine friulano-veneta e sono diffusi essenzialmente in queste due regioni. Si nota una massiccia presenza a Milano, a Venezia e, in misura minore, a Torino che testimonia la forte emigrazione delle nostre genti in quelle città, nella prima metà di questo secolo. Sporadiche, invece, sono le presenze di questi cognomi nelle altre regioni d’Italia (specialmente del sud). È particolarmente interessante la scoperta che

tutti i cognomi analizzati, ad esclusione di Busetti e Bastianello, registrano a Budoia una diffusione più elevata rispetto a qualsiasi altro comune d’Italia (escludendo, naturalmente, Milano e Venezia). Ciò porterebbe ad affermare che questi cognomi hanno avuto origine nella nostra zona. Alla luce dei dati esposti, l’ipotesi è sostenibile ma lasciamo agli esperti del settore eventuali conclusioni. Una notazione particolare merita il cognome Zambon che oltre ad essere il più diffuso nel comune è anche il cognome «nostrano» più diffuso in Italia. Oltre che nel comune di Budoia, Zambon è diffuso in tutto il Veneto. Un dato impressionante: il cognome è presente in ben 232 comuni della Regione. In nessun comune, però, troviamo una concentrazione come a Budoia. La sua diffusa presenza in tutto il Veneto può suffragare l’ipotesi che il cognome abbia avuto più di una origine. Senza dubbio, però, la sua preponderante presenza nei nostri paesi (specialmente a Dardago) e la antica documentazione storica in nostro possesso ci permettono di stabilire che il cognome Zambon ha anche una origine dardaghese. Busetti e Bastianello, pur rientrando tra i primi dieci della nostra zona, rappresentano l’eccezione alla regola. Infatti la loro presenza a Budoia, percentualmente, è inferiore rispetto alla diffusione di questi cognomi nel resto d’Italia.

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Altri dati relativi ai vari cognomi Zambon È presente in quasi tutta Italia, anche se molte regioni meridionali registrano la presenza di pochissime unità. Il cognome è assente in Umbria, Molise, Basilicata e Calabria, mentre è abbastanza diffuso in Emilia Romagna (46) e nel Lazio (49 presenza a Roma, 16 a Latina e 4 a Frosinone). Le presenze nella zona di Latina sono probabilmente da ricollegarsi con la migrazione di molti contadini veneti durante la Bonifica dell’Agro Pontino intorno al 1930. Come già detto, il cognome è presente in ben 232 comuni del Veneto; a tale diffusione non fa riscontro, però, una concentrazione rilevante come a Budoia. Escludendo Venezia (140 presenze, molte delle quali dovute all’emigrazione) i comuni con una più alta presenza del cognome Zambon sono Padova (84), Villorba di Treviso (56), Schio (49), Treviso (46) e, con circa 30 presenze, Pieve di Soligo, San Fior, Susegana, Vittorio Veneto, Roncà (VR), Marano Vicentino e Rovigo. Carlon Diffusione prevalente nel nord Italia, una buona diffusione in provincia di Venezia e in quella di Padova. Interessante la presenza numerica a San Martino di Lupari (20). Il cognome è presente anche in cinque comuni della Val d’Aosta tra cui Saint Vincent (8). Non si trova il cognome in Toscana, in Umbria e nelle regioni a sud delle Marche. Fort Il cognome è presente abbastanza uniformemente nelle regioni del centro-nord. Negli elenchi di Roma, Fort si trova 15 volte. È assente in Valle d’Aosta, in Umbria e nelle regioni a sud delle Marche. Bocus È il cognome più «friulano» in quanto ben il 42% delle utenze telefoniche intestate a questo cognome si trovano nella nostra Regione. Scarse le presenze nelle regioni del centro sud anche se troviamo un Bocus a Catanzaro. Del Maschio È, forse, il cognome – tra quelli presi in considerazione – più concentrato in tre regioni.

Le comunità: da un’unica origine le famiglie si ramificano fino a intersecarsi tra loro per dar vita ad un immenso e vitale disegno.


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Cognome

Italia

Budoia %

Pr. PN Friuli %

Venezia Veneto %

Zambon

2422

121

5

201

263 11

231

Carlon

208

57

27

62

71 34

43

92

Fort

205

39

19

49

73 36

47

Bocus

89

25

28

33

37 42

Del Maschio

91

23

25

25

Angelin

81

22

27

Janna/Ianna

86

21

Busetti

509

Torino Piemonte %

Resto %

162

283

12

106

182

8

215 9

44

16

17

8

0

5

2

23 11

61

30

30

40

20

2

2

1

29 14

26

24

27

18

19

21

0

2

2

7

27 30

30

37

41

15

16

18

0

0

0

11 12

27

32 40

25

28

35

12

13

16

2

2

2

6

7

24

24

26 30

19

29

34

20

22

26

0

0

0

9

10

19

4

30

54 11

34

95

19

51

228

45

8

19

4

113 22

Lachin/Lacchin 153

17

11

26

30 20

71

83

54

9

15

10

7

9

6

16 10

Bastianello

16

3

21

26

83

459

76

35

38

6

14

26

4

56

605

4

1479 61

Milano Lombardia %

Note: Nella colonna Italia sono riportate le utenze telefoniche intestate ai singoli cognomi in tutto il territorio nazionale. Nelle altre colonne «Budoia, Prov. Pordenone, Friuli, Venezia, Veneto ecc.» sono riportate le utenze relative al comune o alle zone indicate. La colonna «Resto» riporta le utenze telefoniche presenti nel rimanente territorio nazionale (Italia meno Friuli, Veneto, Lombardia e Piemonte). La colonna «%» indica il rapporto percentuale tra la presenza del cognome nella colonna precedente rispetto a tutto il territorio nazionale. (Fonte: http://elenco.iol.it - Luglio 2000)

In pratica i 91 cognomi presenti sono concentrati in Friuli, Veneto e Lombadia. Poche presenze, solo in Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Angelin Anche Angelin è un cognome prettamente settentrionale. Infatti è presente in tutte le regioni a nord della Toscana ad esclusione della Valle d’Aosta. Troviamo il cognome anche nel Lazio e ad Alghero (Sardegna). Ianna/Janna Il cognome con la grafia Ianna è più frequente rispetto a Janna (48 rispetto a 38). Il 90% del cognome è diffuso nelle 3 regioni Friuli, Veneto e Lombardia. Il cognome è praticamente assente nel centro-sud della penisola. Busetti È il cognome a più larga diffusione geografica. Lo troviamo in ben 17 regioni mancando solo in Molise, Basilicata e Calabria. La provincia di Treviso, il Trentino e, specialmente, il Bergamasco sono le zone in cui il cognome è più presente.

Lacchin/Lachin In questo caso, Lacchin è più diffuso di Lachin (85 e 68). Il cognome è molto presente in Veneto, infatti il 54% si trova in questa Regione. Il comune «piccolo» con maggior presenza è, sempre, Budoia poiché quasi tutti i Lacchin/Lachin del Veneto risiedono a Venezia. Bastianello Il cognome è diffuso prevalentemente in Veneto e specialmente nelle province di Padova, Venezia e Vicenza. In queste 3 province, Bastianello è presente in 87 comuni.

Curiosità Infine, alcune curiosità statistiche. I cognomi percentualmente più presenti a Budoia rispetto al totale sono Bocus, Carlon e Angelin. Ben il 28% dei Bocus e il 27% dei Carlon e degli Angelin d’Italia risiedono a Budoia. Invece i cognomi con minor presenza percentuale sono Busetti (3%) e Bastianello (4%). ROBERTO ZAMBON

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Andar per fiori

Il tipo di vegetazione presente in una determinata area dipende da molti fattori tra cui la morfologia del territorio, le caratteristiche fisicochimiche del suolo, l’altitudine, le temperature, la piovosità ed anche l’intervento dell’uomo. Vi sono specie vegetali che si trovano un po’ dappertutto, per il fatto che si adattano bene ad una vasta gamma di condizioni, ed altre, molto esigenti, che hanno distribuzione più ristretta. Salendo lungo le pendici di una montagna le caratteristiche ambientali, prima fra tutte la temperatura, cambiano molto rapidamente ed altrettanto fa la vegetazione; in pianura, dove le condizioni ambientali rimangono sostanzialmente uguali su vaste aree, si osserva una vegetazione più omogenea. Trovandosi lungo la linea d’incontro tra pianura e montagna, il comune di Budoia può godere di entrambi i tipi di vegetazione. La zona collinare e quella della bassa montagna sono caratterizzate da boschetti di querce miste a castagni, aceri, carpini, frassini e a cespugli tra cui noccioli, cornioli, biancospini e viburni. All’inizio della primavera, quando ancora gli alberi non hanno messo le foglie, il sottobosco si tappezza dei delicati fiori degli anemoni bianchi e viola (Anemone nemorosa ed Anemone hepatica), delle pervinche (Vinca minor), delle primule (Primula vulgaris) e degli ellebori verdi (Helleborus viridis), mentre un po’ più in alto compaiono anche i bucaneve (Galanthus nivalis) ed i ciclamini (Cyclamen europaeum). Risalendo le rive sassose del torrente Artugna, verso la chiesetta di San Tomè, si trovano delle piante particolarmente amanti del sole e dell’aridità: le basse piante di erica (Erica carnea) producono una profusione di fiorellini rosa nella tarda primavera, mentre gli arbusti di pero corvino (Amelanchier ovalis) si coprono in estate di grandi fiori bianchi. Il bosco circostante cambia aspetto man mano che si sale, infatti, querce, carpini e frassini concedono un po’ alla volta lo spazio ai pini, agli abeti, a qualche larice ed ai faggi, che costituiscono le principali essenze dei boschi montani. Nelle radure erbose ai margini della boscaglia vivono, al riparo di ginepri e noccioli, alcune piante che, per bellezza e rarità, non temono confronti: Lilium carniolicum ed Hemerocallis lilio-asphodelus sono splendidi gigli dai fiori color rosso aranciato e giallo, decisamente in contrasto col viola tenue degli iris (Iris pallida cengialti).

In questa pagina. Foto in alto: Hemerocallis lilio-asphodelus. Al centro: Eryngium alpinum. In basso: Paeonia officinalis.

A pagina 11. In alto: Amelanchier ovalis. Al centro: Lilium carniolicum. In basso: Gentiana lutea subsp. symphyandra. (foto tratte da «Itinerari botanici nel Friuli-Venezia Giulia» di Livio Poldini, Edizioni del Museo Friulano di Storia Naturale - Udine)


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Affascinano i rari narcisi bianchi (Narcissus poëticus) e le orchidee (Orchis purpurea, Orchis mascula...), che spuntano qua e là nell’erba con le loro infiorescenze carnose, mentre le peonie dai fragili fiori rosa (Paeonia officinalis) preferiscono l’ombra del margine del bosco. Nei prati è facile incontrare, in primavera-estate, i fiori gialli di Genziana lutea, quelli rosa dei garofani (Dianthus monspessulanus...) e dei gerani (Geranium sanguineum...), oppure i fiori viola della Pulsatilla montana, dei crochi (Crocus reticulatus), delle centauree (Centaurea triumfettii...) e delle campanule (Campanula carnica...). Di particolare bellezza sono, ancora, il fior di stecco (Daphne mezereum), arbusto poco appariscente dai fiori rosa riuniti in mazzetti all’estremità dei rami, e Coronilla emerus, leguminosa che si copre di moltissimi

fiori gialli a partire da maggio. Alle quote più elevate vivono, infine, due piante tipiche dell’ambiente rupestre e delle praterie di alta montagna, sono il Leontopodium alpinum (stella alpina), caratteristico per il fogliame argentato e lanuginoso, ed il Rhododendron ferrugineum (rododendro, rosa delle Alpi), arbusto sempreverde dai fiori color carminio, riconoscibile dal rosso ruggine che macchia la pagina inferiore delle sue foglie. Naturalmente a tutela della flora della nostra regione vige una legge (cfr. Sanson U. «La Legge Regionale 3 giugno 1981 n. 34 (*)», l’Artugna n. 37, aprile 1982) che limita, ed in alcuni casi vieta, la raccolta delle piante rare e di quelle usate per scopi alimentari ed officinali. ANNALISA QUAIA

LEGGE REGIONALE 3 GIUGNO 1981, N. 34 (*)... Il Capo I di detta legge tratta le «Norme per la tutela della flora spontanea». Si vietano «la raccolta e la detenzione» delle seguenti specie: 1. Asphodelus albus Mill. (Asfodelo) 2. Cypripedium calceolus L. (Scarpette della Madonna) 3. Erucastrum palustre (Pir.) Vis. (Brassica palustre) 4. Eryngium alpinum L. (Regina delle Alpi) 5. Hemerocallis flava L. (Giglio dorato) 6. Iris illiryca Tom. (Iride celeste) 7. Iris pallida Lam. (Giaggiolo) 8. Leontopodium alpinum Cass. (Stella alpina) 9. Lilium bulbiferum L. (Giglio rosso) 10. Lilium Carniolicum Bern. (Giglio arancione) 11. Lilium martagon L. (Giglio martagone) 12. Narcissus radiiflorus Salisb. (Narciso) 13. Nigritella nigra Rchb. (Nigritella) 14. Nuphar luteum S. et S. (Nannufero) 15. Nymphaea alba L. (Ninfea bianca) 16. Peonia officinalis L. (Peonia) 17. Phyteuma comosum L. (Raponzolo di roccia) 18. Primula auricola L. (Orecchia d’orso) 19. Pulsatilla montana (Hoppe) Rchb. (Anemone montana) 20. Wulfenia carinthiaca Jacq. (Wulfenia) Fra tutte le specie della flora spontanea diverse dalle suddette (come: la viola, la primula, il bucaneve, il mughetto, la margherita, il ciclamino...) «è consentita la raccolta complessiva giornaliera, per persona, di non più di dieci assi fiorali o di fronde se si tratta di felci e di non più di 1 chilogrammo di muschio o di licheni allo stato fresco». «È vietato divellere, estirpare, asportare e distruggere le radici, i tuberi, i rizomi, i bulbi ed i semi delle piante spontanee o di parti di esse nonché di commerciare od offrire in vendita le stesse». Un esempio ne è la radice della genziana lutea (anthiana da sgnapa). Per scopi scientifici,

didattici ed officinali si possono raccogliere le piante «proibite» previa autorizzazione delle superiori autorità. È «permessa la raccolta fino ad un massimo giornaliero di 1 kg delle parti commestibili allo stato fresco per persona» delle seguenti 26 specie: 1. Silene cucubalus Wibel (Bobbolini, Stringoli) (sclopetína) 2. Taraxacum officinale W. et W. (Dente di leone) (radicia mata) 3. Gallium mollugo L. (Caglio bianco) 4. Chenopodium sp (Farinaccio selvatico) 5. Aruncus vulgaris Rafin (Barba di capra) 6. Papaver rhoeas L. (Papavero) (pavàre) 7. Urtica dioica L. (Ortica) (urtìa) 8. Mentha sp L. (Menta) (mentastre) 9. Humulus Lupulus L. (Luppolo) (bruscàndol) 10. Ruscus aculeatus L. (Pungitopo) (spàreso de rusta) 11. Cardamine pratensis L. (Crescione) 12. Tragopogon pratensis L. (Barba di becco) 13. Symphytum officinale L. (Consolida maggiore) 14. Ruta graveolens L. (Ruta) 15. Asperula odorata L. (Stellina odorosa) 16. Valerianella olitoria L. Poll.(gallinelle,lattughini) (ciantagìal) 17. Origanum vulgare L. (Origano) 18. Melissa officinalis L. (Melissa) 19. Allium schoenoprasum L. (Erba cipollina) 20. Rubus idaeus L. (Lampone) (lanpón) 21. Rubus fruticosus L. (Mora di rovo) (mora de spin) 22. Vaccinium myrtillus L. (Mirtillo nero) (blàsema) 23. Vaccinium vitis-idaea L. (Mirtillo rosso) (blàsema) 24. Fragaria vesca L. (Fragola) (fragola) 25. Arnica montana L. (Arnica) (margarita dhala) 26. Rosa canina L. (Rosa selvatica) (rosa o ruosa de cian) .....


Una staffa di Carlesso sul Crep

Ad Est dell’abside della chiesetta di San Tomè, nel Comune di Budoia, in territorio di Dardago, presso il torrente Artugna, si eleva per circa 200 e più metri, una parete rocciosa del monte Brognasa nata dai franamenti che hanno dato origine alla sottostante petraia. Tali franamenti hanno originato: pareti lisce, soffitti, scafe ed anfratti simili a finestrelle dove ora fanno i loro nidi rapaci diurni e notturni. Nella sua parte alta, attraverso una pericolosa entrata, si accede al Landre de Benedét o Benét dove antichissimi abitatori hanno lasciato traccia. Il carbonato di calcio di cui la parete è costituita, a prima vista, allontana l’idea di scalarla perché alquanto friabile e perciò pericolosa; solo lui, Raffaele Carlesso, accademico del CAI, poteva tentare un’impresa simile: attrezzare quel-

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Ho ricordato Raffaele Carlesso perché ha onorato le nostre crode con i fatti e non posso dimenticarlo per i consigli datimi e per la simpatia dimostrata per la nostra montagna. Parlando di lui uno scoiattolo di Cortina d’Ampezzo mi diceva: «A rampegar co’ lu, anca se el xe vecio, xe d’aver paura!». E ciò lo diceva uno che in fatto di croda e corda se ne intende. UMBERTO SANSON Foto in alto: Raffaele Carlesso, un leone entrato nella leggenda. Accanto: Il forte scalatore con amici budoiesi (m.o Sanson) e pordenonesi, alla base d’attacco delle Crode de San Tomè.

la pericolosa parete in cui, ultimamente, ha lasciato una piccola staffa di corda ed alluminio che penzola nel vuoto. Oso sperare che nessuno la tocchi. Ciò è purtroppo successo con certi chiodi. Il bello sarebbe rubare quella staffa seguendo l’arrampicata di Raffaele Carlesso! Fin dal basso. Sulla stampa locale di lui ho letto: «Scompare a 91 anni il più forte scalatore della scuola pordenonese: Raffaele Carlesso» e ancora: «Un leone entrato nella leggenda». Non solo quel grande rocciatore ha attrezzato le Crode di San Tomè, ma era anche solito allenarsi sul Crodón de la Val Grànda perché, mi diceva un giorno, lo riteneva molto utile come allenamento per il quarto grado.


Veste nuova al presbiterio

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In occasione della solenne festività del Corpus Domini, la parrocchiale di Budoia ha riaperto il portale ai fedeli, anche se ancora in modo non ufficiale. L’ufficialità avverrà nel mese di settembre a restauro ultimato. Riportiamo di seguito la relazione delle restauratrici Simonetta Gherbezza, titolare della ditta omonima, dal 1999, e Marta Bensa, collega-collaboratrice, le quali si prodigano attivamente ad ultimare i restauri di loro pertinenza, anche in questi mesi estivi. Un grazie al parroco e ai Consigli amministrativo e pastorale della Parrocchia.

Partendo da un’altezza di 10 metri circa, siamo intervenute sui diversi materiali presenti quali: stucchi, dipinti murali ed elementi lapidei, realizzati a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Con la tecnica dello stucco sono stati realizzati tutti gli elementi aggettanti che percorrono le tre pareti dell’abside (cornicione marcapiano, cornice a dentelli, elementi a fusaiola, capitelli, putti alati con ghirlande di fiori). Ricchissima è anche la decorazione realizzata nel 1943 con la tecnica della tempera, grazie alla generosità della defunta Lucia Lacchin, raffigurante finti marmi e moduli che si ripetono su tutta la superficie del catino absidale (uva, spighe di grano). Ad un’analisi visiva abbiamo notato che tutte le superfici prese in considerazione erano coperte da uno strato più o meno concrezionato di polvere mista a fumo di candela, depositatasi negli anni; ciò ha portato ad una progressiva opacizzazione della doratura e della policromia. Abrasioni, cadute della pellicola pittorica e dell’intonaco, nonché ritocchi cromaticamente alterati, interessavano i dipinti murali. Pessimo risultava lo stato di conservazione degli stucchi che si presentavano con mancanze di elementi, con pezzi pericolanti e con precedenti interventi di restauro esteticamente e strutturalmente inadeguati. Individuate dunque le tecniche artisticamente originarie e le diverse forme di degrado, si è proceduto alla scelta delle metodologie di intervento. Il metodo di pulitura adottato è stato a secco (con pennelli di varia durezza e spugne wishab),

Foto in alto: Simonetta Gherbezza e Marta Bensa al lavoro di restauro dell’altare Foto in basso: Ricostruzione di una foglia di acanto.

sulle zone sensibili all’acqua, mentre sulle dorature e sulle policromie degli stucchi è stato scelto un sistema acquoso (soluzione tampone a pH 8,9). Come precedentemente ricordato, gli stucchi presentavano grossi problemi. Gli stacchi sono stati fatti riaderire per mezzo di una resina acrilica (Primal AC33), mentre per gli elementi più pesanti si è fatto uso di una resina bicomponente (UHU Plus).


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Il rifacimento dei pezzi mancanti è stato portato a termine mediante una ricostruzione mimetica usando gesso scagliola su perni in fibra di polipropilene. I ritocchi di porporina alterati sono stati asportati per mezzo di uno sverniciatore il cui principio attivo è il cloruro di metilene. Negli stacchi d’intonaco sono state eseguite iniezioni di malta (6001 Bresciani), mentre nei sollevamenti di pellicola pittorica e di foglia d’oro si è proceduto all’iniezione di Primal AC33. Sui finti marmi rossi e sulle decorazioni del semicatino, risultati decoesi, abbiamo applicato a spruzzo una resina acrilica (Paraloid B. 72) diluita in acetone al 10%. Le stuccature delle lacune più estese sono state portate a termine mediante calce e sabbia, mentre per i piccoli dislivelli che interessavano la pellicola pittorica è stato usato dello stucco vinilico. Tutti gli elementi metallici a vista (perni in lega ferro/carbonio) sono stati trattati con un convertitore di ruggine (Fertan). In accordo con la direzione dei lavori, si è deciso di effettuare un’integrazione mimetica che ha interessato rispettivamente i finti marmi e le decorazioni del semicatino absidale, risultanti abrase o macchiate, utilizzando colori acrilici considerati stabili nel tempo. Sui nuovi rifacimenti in stucco e sulle zone prive di doratura è stata posta una base gialla con colori acrilici, su di essa si è provveduto ad applicare una doratura, mediante oro decalco, usando una missione ad acqua. L’altare del 1884 dedicato a Sant’Andrea e San Giacomo è stato realizzato nel presbiterio dall’artista G. Minarelli. L’opera, dorata successivamente, è costituita da marmi policromi e da due sculture laterali in stucco. Tutta la superficie era ricoperta da depositi superficiali misti a nero fumo; inoltre erano visibili diffuse gocciolature di cera di candele. Di fronte a tale situazione siamo intervenute con un’accurata spolveratura e con un sistema di pulitura a secco (gomma, whishab) sulle due statue in stucco. Gli elementi lapidei sono stati puliti mediante impacchi con una soluzione tampone a pH 9 supportata da polpa di carta e da fogli di cellulosa. Sullo sporco più concrezionato abbiamo usato del vapore acqueo. La Croce di Sant’Andrea si presentava ricoperta da porporina alterata; ciò ha indotto le scri-

venti ad intervenire asportandola con dello sverniciatore. Essendosi staccata la parte estrema della croce, abbiamo applicato un perno in fibra di vetro e della resina bicomponente. Lo stesso adesivo è stato utilizzato per bloccare il Cristo posto all’estremità del tabernacolo. Gli elementi in metallo (corona, porta candele e bandiera del Cristo) sono stati puliti con una soluzione di acqua e acetone. Tutte le leghe ferro/carbonio sono state trattate con il convertitore di ruggine, mentre le leghe di rame sono state lucidate con un prodotto a pH neutro. Le stuccature decoese o che sbordavano sulla pietra sono state eliminate e sostituite con una miscela di calce, sabbia e polvere di pietra. Sulle sculture sono state effettuate alcune stuccature con gesso scagliola. Terminate le operazioni di pulitura si è provveduto alla protezione di tutte le parti in pietra, mediante l’apposizione di cera microcristallina (Cosmolloid 80). Sul retro dell’altare sono stati asportati vecchi fili elettrici, tubi di plastica, ganci e graffe in metallo, che sporgevano dalla superficie. Le lacune sono state stuccate con calce e sabbia e successivamente tutta la parete è stata dipinta con un prodotto acrilico. Questa prima sessione dei lavori nel presbiterio della chiesa di Sant’Andrea Apostolo di Budoia si è felicemente conclusa; con il mese di luglio avranno inizio i lavori sulla navata che dovrebbero vedere il termine con la fine della stagione estiva. SIMONETTA GHERBEZZA E MARTA BENSA

Foto sopra: decorazione del semicatino absidale, prima e dopo il restauro.


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Mario Signora, l’uomo dei princìpi

Ci ha lasciati un «grande vecchio», un budoiese che ha avuto per sua patria il mondo, dove l’aveva portato la vita e la professione e anche le sue scelte di uomo retto e libero. Mario Signora lo ricordiamo asciutto e distinto nel portamento fisico, gentile e riservato nel tratto umano, sicuro e forte nel condursi, da solo, anche ad età molto avanzata. Una personalità solida, quasi da «gentleman» inglese, che tale si era rivelata fuori Budoia, ma senza scordare l’origine in questo paese della Pedemontana Occidentale che ritrovò suo, col fratello Monsignor Aurelio, negli ultimi anni, quelli del lento ma sereno declino della «quercia», che aveva sfidato i terreni più impervi e i venti più impetuosi. Mario Signora nasce a Budoia l’11 aprile 1909. Nasce soltanto, perché i suoi sono da tempo stabilmente impiegati a Venezia e hanno un figlio, maggiore di sette anni, che di lì a poco entrerà in Seminario e poi (1925, 75 anni orsono) si farà prete. L’esempio del fratello sarà sempre come una calamita per Mario che pure si forma, nei primi anni di studio (ginnasio e liceo), nello stesso ambiente di don Aurelio e vi apprende il rigore di una vita di princìpi, da osservare con fedele disponibilità al sacrificio e una convinzione inattaccabile. Mario cresce come un giovane dotato di intelligenza e di fermezza. Frequenta l’università a Padova lavorando per due anni da operaio (pur di non prendere la tessera fascista) e presto (1932) si laurea in chimica ed in chimica-farmacia. Da studente, entra attivamente nell’associazionismo cattolico e si distingue a livello diocesano: nell’Azione Cattolica diventa presidente della Gioventù diocesana di Venezia; nella FUCI è pure presidente diocesano, facendosi amico anche l’allora assistente nazionale Monsignor Montini (futuro Paolo VI). Sono anni, quelli dal 1928 al ‘32, di difficile convivenza per l’A.C. con il regime fascista, che tende ad assorbire interamente la formazione della gioventù nei suoi programmi ed organizzazione. Si arriva alla chiusura delle sedi e anche a Venezia si assiste alla reazione, a tratti violenta, a questa imposizione. Mario Signora è già allora tra i più convinti sostenitori degli ideali di libertà e giustizia propri del cattolicesimo democratico: libertà di pensare, di riunirsi, di manifestare e vivere le proprie convinzioni. Il temperamento del fratello del mi-

te rettore, allora, ai Miracoli è impavido (lui dice «pestifero») e inflessibile quando si tratta dei princìpi: all’insaputa di don Aurelio, non esita a rispondere con le botte, nel 1931 in Piazza San Marco, quando i facinorosi del regime tentano di chiudere la bocca all’A.C. Ne andava ancora orgolioso a 90 anni di un tale gesto, il nostro Mario Signora! E si vedeva ancora tutta la passione ideale che lo aveva condotto negli anni ad intraprendere strade scoscese e perigliose e assumere gravose responsabilità, sempre con la stessa bussola di orientamento: l’onestà, la coerenza, senza compromessi! La militanza non equivoca di Mario Signora è palese anche a Roma, dove egli ha modo di frequentare esponenti cattolici e no (su tutti De Gasperi), ospiti di riunioni clandestine a Piazza di Spagna, protette dal fratello Monsignore, frattanto approdato al dicastero di «Propaganda Fide». Quando la guerra sopravviene e la situazione si complica, Mario non esita a gettarsi nella mischia, avendo considerato – evidentemente – che la posta (gli ideali) in gioco vale anche più della stessa vita. Decide di arruolarsi subito (1943) con gli Americani («nemici giurati», allora, della patria), nella V Armata del famoso generale Clark, incurante delle possibili conseguenze del suo tradimento. Con la vittoria alleata, invece, ha l’onore – primo di soli 25 italiani – di partecipare alla liberazione di Milano, il 25 aprile 1945. Una vita di ardimenti, dunque, quella del nostro Mario Signora, alla quale egli mantiene fe-


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Mario Signora, sottotenente di prima nomina della Brigata Alpina Julia, con il fratello mons. Aurelio. Anno 1934.

de nei lunghi anni d’intenso lavoro nel campo siderurgico, dove certamente contribuisce, con ruoli di prestigio, alla ricostruzione dell’Italia, a farla anzi una «potenza industriale». Per seguire questa sua «vocazione», rinuncia anche alla politica, al posto di ministro che De Gasperi gli avrebbe voluto affidare. Lo ritroviamo comunque ai massimi livelli dirigenziali di importanti colossi della produzione siderurgica nazionale (il professor Mario Signora è uno specialista quotato degli acciai inossidabili, autore di testi di manualistica in tema): Acciaierie e Ferriere Bolzano, Falck di Milano, Acciaierie Terni, fino anche a 9-10.000 dipendenti per volta. Ed è anche libero docente al Politecnico di Roma. Con tali responsabilità sulle spalle, e le immaginabili estensioni di esse nel settore della finanza, l’ingegner Signora si presenta comunque e sempre come l’uomo dei princìpi, inflessibile quando si tratta – come diceva – di «assicurare la giusta compensazione all’operaio» e di «non permettere ai colletti bianchi di abusare del loro ruolo»: e che non scherzi sull’etica del lavoro, lo si

capisce quando, per questi motivi, fa licenziare anche gli «intoccabili». Forse più nessuno può testimoniare della statura morale, del ruolo di primo piano svolto per l’Italia del secondo dopoguerra dal professor Mario Signora, del quale, giustamente, in riferimento al fratello vescovo a Pompei, si è detto: «non è vissuto di luce riflessa». Fatti e aneddoti se li è probabilmente portati per sempre nella tomba, a meno che ad illuminarci non ci soccorrano i suoi diari: Mario Signora tanto era schivo, disturbato direi dall’odore di una anche piccola notorietà, quanto meticoloso nell’annotare per sè gli avvenimenti della sua vita intrepida. Gli appunti forse gli servivano anche per guardarsi e calibrare il tiro, se per caso lo sparo fosse andato oltre; oppure per ripararsi da vuoti di memoria pericolosi, con le patate bollenti che si era ritrovato fra le mani e continuavano certune a scottare a distanza anche di decenni; sicuramente per meditare sulla giustizia come fondamento di tutto il suo agire, mai tradibile. E non deve essere stato sempre facile per lui, al suo livello di decisioni. Venne alfine l’ora della pensione, sollecitata anche da quella di Monsignor Aurelio, che scelse Budoia per gli ultimi anni (dal 1983) e si vide al fianco proprio il «devoto» Mario, che ogni cosa avrebbe fatto per il fratello-vescovo e gli comprò anche la casa (e la chiamò «Aurelia»), perché il soggiorno, segnato dalla malattia, fosse il più confortevole. È in questa casa che abbiamo conosciuto Mario Signora, un amico cortese e magnanimo: guardando alle foto, ormai antiche, incorniciate e appese con precisa diligenza; osservando l’uomo distinto e forte, fiero degli anni gagliardi e ricco di concreta saggezza; sentendolo declamare i valori supremi da difendere, «se serve anche con la lotta». Valori «che ho riverito nella persona sacra di mio fratello vescovo», ci congedò una volta il buon Mario, baciando una di quelle foto appese; valori «che ho imparato a Venezia anzitutto da lui», aggiunse, prendendo fra le mani, con venerazione, anche la foto (con dedica) del «suo» patriarca Cardinale La Fontaine. Così era Mario, e così – con venerazione e coraggio – è andato incontro anche alla morte l’ultimo di maggio di quest’anno santo. Avrà trovato, anche perché purificato dalla malattia, una buona compagnia in cielo. WALTER ARZARETTI

Ai suoi funerali, presieduti dal Parroco sac. Adel Nasr, ha tenuto l’omelia il suo coetaneo e fraterno amico P. Venanzio Renier, presenti oltre – ad una delegazione di Pompei, guidata da monsignor Giuseppe Rendina, segretario particolare di Mons. Aurelio – il Sindaco di Budoia ed il Maresciallo comandante la stazione carabinieri di Polcenigo. Sono stati pure letti i messaggi del Vescovo di Concordia-Pordenone Sennen Corrà – che lo aveva visitato nella sua abitazione il primo maggio – dell’Arcivescovo e del Sindaco di Pompei. Gli alpini, cui Mario era socio sin dalla rifondazione, lo hanno scortato sino al cimitero ove riposa accanto al fratello ed ai genitori nella cappella da lui fatta edificare.

In memoria di Mario Signora è giunta una generosa offerta alla redazione de l’Artugna.


La raccolta delle patate (1948)

La corleta

Tutta la famiglia è mobilitata. Naturalmente anche i bambini. Clelia 10 anni, Graziosa 8 e Francesco, il cuginetto, 7. Il campo è nei Magreith. Il nonno Adamo mena le vace (guida le mucche), Paolin suo figlio all’aratro, nonna Rosa e altri dietro con le mastele (secchi). Dopo un po’ i bambini si stancano. Il richiamo del torrente Artugna è troppo forte. Nella pietraia si trovano tante cose: sassetti piccoli, soprattutto devono essere rotondi, il che comporta parecchio tempo nella ricerca. Scaie per giocare a campanon. Poi garofolini rosa con quattro petali talmente rari, ma per questo ancora più preziosi. Erba saponaria con i fiori di un bel rosa pallido. Mettendo le foglie in acqua e strofinando fanno la schiuma. Qualche fico selvatico (buoni però difficile trovarli maturi) si mangiano sempre prima. Pagugne piccole bacche nere e poi brombolite blu. Ad essere fortunati si trova qualche bacca di stropacui (rosa canina). Improvviso lo schiocco della frusta e la voce tonante del nonno: «Canais chi che no lavora nol magna». I bambini si girano, alto sulla riva c’è il nonno Adamo sempre con il suo gilét e la sua indiscussa autorità di capofamiglia. I bambini lasciano i giochi e ritornano a raccogliere le patate senza paura. La frusta è solo un simbolo.

La stirpe dei Romolo Marin ebbe origine intorno alla metà del 1800 da Romolo e da Angela Besa di Santa Lucia; nacquero parecchi figli: Maria Bocus moglie di Giovanni, Marco, Leonardo, Romano e Gilda, moglie di Costante Frith. Io sono figlio di questi ultimi. Circa cinquanta anni fa mia nonna Angela Besa possedeva una bella corleta con la quale filava la lana per confezionare golf e calze per tutti, in particolare per i numerosi nipoti. Io mi ero affezionato a quell’oggetto e non ne facevo mistero alla nonna Angela. Un giorno, avanti con gli anni, mi disse: «Visto che ti sei affezionato alla mia corleta ho deciso di preferirti ai miei nipoti e te la voglio regalare». Tornare a casa con il prezioso regalo della nonna è stata una cosa entusiasmante e sono andato a portarla in un angolo del granaio. In quegli anni abitavo a Trieste e tutte le volte che ritornavo a Dardago andavo a trovare la «mia» corleta. Un anno ritorno e non la trovo più. Chiedo dov’è. Mi viene risposto che insieme ad un banc era stata... venduta. Non vi nascondo di aver pianto per aver perso la «mia» corleta, per ciò che essa rappresentava dal lato affettivo per un giovane della mia età: un pezzo del mio cuore era legato a lei. Malgrado gli anni trascorsi e le trasformazioni avvenute in casa, ricordo l’angolo del graner dove l’avevo riposta e vado a vedere se è tornata, sapendo che ormai è sparita. Oggi, 10 settembre 1999, viene a trovarmi mia cugina Maria Marin e, visto il tempo passato, racconto la storia della corleta per avere la sua comprensione e quella degli altri cugini verso i quali la nonna Angela Besa ha voluto favorirmi. Con mia grande meraviglia, mi risponde che la corleta è in possesso di un nostro cugino, Gabriele Janna Ciampaner. In quel momento ho provato una grande gioia come quando l’avevo avuta dalla nonna Angela. La corleta non era sparita, ma era ancora in mano della stirpe di Romolo Marin. Se questo è vero, lasciatemi che io faccia una raccomandazione a Gabriele: conservala con cura perché attaccato a quella corleta c’è un pezzo del mio cuore.

CLELIA ZAMBON

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ANGELIN FRITH


La mamma

Due grossi lucciconi scesero sul cuscino e tutto diventò buio. Da molto lontano una voce andava ripetendo sempre delle parole che la bimba non riusciva a sentire, perché la mamma se ne era andata con quella veste tutta rossa, senza potersi voltare a guardarla..... qualcuno aveva chiuso la porta. E lei era rimasta lì, come una bambola di pezza con gli occhi fissi, stupiti e la boccuccia socchiusa, senza potersi muovere. Accanto a lei il fratellino dormiva... Le avevano detto una volta che, quando qualcuno viene chiamato da quella voce, lascia tutto, se ne va, proprio come aveva fatto la sua mamma. Ma perché; dove era andata; quando sarebbe tornata? Era mai possibile che la lasciasse sola in quella casa che non conosceva? Una terribile angoscia la scosse tutta e dal profondo del cuore sentì salire un tepore che la invase, e la prima cosa che fece appena poté muoversi fu di correre verso quel punto rosso tanto lontano. Più la bimba correva, più piccolo si faceva il punto e più larga la strada, più forte la luce... poi una immensa confusione come una giostra che gira, con cavalli a dondolo, pupazzi, fantocci, trombette..... la avvolse. Chi la tirava da una parte, chi la voleva dall’altra, chi la respingeva, chi la chiamava! Quella voce! La conosceva ora; riusciva a distinguerla benissimo; le diceva: «Sii bu..o...»; «Come?», gridava, «cosa hai detto? Non ti sento più»; intanto cercava di allontanarsi dalla confusione per distinguerla meglio, ma la voce se ne era andata di nuovo lontano. Passò tanto tempo e la bimba, tornando a casa, trovò una donna che aveva preso il posto della sua mamma. Essa stringeva al petto una creaturina, proprio come la mamma aveva fatto con lei, prima di andarsene per sempre. Smarrita si senti più sola che mai. Andava a scuola; quando tornava, esaurite tante piccole cose che doveva fare, si sedeva a tavola... sembrava che nessuno si curasse di lei, e allora presa dallo sconforto si rifugiava nel letto dove nessuno le rimboccava le coperte. Mai un bacio, un sorriso, una carezza. Solo ordini: fai questo, fai quello, vai, non andare..... Quante lacrime soffocate! Quante ne aveva dovute asciugare crescendo! «Il babbo quando torna a casa è stanco e non voglio che si inquieti!». Era stato un ordine anche quello, ed allora la bimba non pianse più. A poco a poco si chiuse in se stessa e così ri-

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mase fino a quando un giorno, in mezzo ad una grande confusione, fra case crollate, incendi, disperazione, si accorse che la guerra l’aveva portata lontana da quella famiglia che non era più la sua, ma che era stata adottata da un’altra immensamente diversa, chiamata «vita». Lì trovò un posto e la pace. Era cresciuta! Un giorno, le venne di pensare al passato, e fissando lo sguardo nel cielo sereno, rivide quel punto rosso, che più lo fissava più si faceva grande mentre lei ritornava piccina! In mezzo ad una luce sfolgorante un volto sorridente si chinò su di lei, mentre una voce calda le sussurrava: «Sii buona». Erano dunque queste le parole che non era riuscita a capire nella confusione tanto, tanto tempo prima? Ma adesso l’aveva sentita bene! Si trovò stretta fra due morbide braccia, mentre un grosso bacio le schioccò sulla gota. Che gioia, era la sua mamma; non l’aveva dunque perduta; forse non l’aveva mai lasciata. «Mamma, che brutto sogno ho fatto; ho avuto tanta paura; ma ora sei qui... che gioia» andava ripetendo, e si stringeva forte forte a lei. «Sì tesoro, sono qui, ma ricordati che la gioia ha un suo prezzo, non dimenticarlo mai. Se vuoi che la tua mamma non ti lasci, se vuoi che la tua casa sia serena, devi essere buona e ubbidiente; e devi perdonare». Ascoltandole, quelle parole si impadronivano di lei assieme ad una profonda pace, e si ritrovò ad essere piccina, lasciandosi cullare, vestire, condurre a scuola, tenendosi stretta alla mano della mamma. Questo sogno diventò la realtà di tutta la vita. Il desiderio di amore, l’affetto della mamma mai più ritrovato, ed il calore della famiglia, spento prima ancora di nascere. La famiglia era per lei una grande città, tanti amici, lavoro e sacrifici, sogni spenti sul nascere. La volontà di sopravvivere nei momenti più difficili le era data dalla voce della sua mamma che la esortava a non arrendersi mai. «Ci sono io a proteggerti, il buon Dio me lo ha concesso». ..... La mamma morì di aborto, mentre i due bimbi dormivano inconsci accanto a lei.

Disegno dell’autrice


Le piste dei Berberi

Se state pensando alla vostra prossima mèta delle vacanze, vi consiglio di tutto cuore di dedicare un po’ delle vostre ricerche alla Tunisia, perché in questa terra dell’Africa mediterranea ce n’è di tutti i gusti: storia, cultura, pace e divertimento. Non indirizzate subito i vostri pensieri a Djerba, mèta turistica tunisina per eccellenza; evocate piuttosto gli immaginari avventurosi stile «I predatori dell’arca perduta», futuristici di «Guerre stellari», sentimentali e magici de «Il paziente inglese». Alcune scene tratte da questi film sono state girate in alcuni luoghi della Tunisia. Il protagonista principale è il deserto del Sahara, un immenso mare di sabbia da far perdere la cognizione del tempo e del luogo. La sua sabbia è talmente fine che tenerla in mano è un’impresa da prestigiatore. È come se ti facesse capire che la sabbia appartiene solo al deserto e che nessuno è in grado di possederla, così come è per la gente del deserto. Loro appartengono al deserto, sono parte del deserto. Gli uomini del deserto sono persone sagge che vivono a stretto contatto con la natura della quale ne conoscono tutti i segreti. Sono persone cordiali, ospitali e molto generose. Il loro modo di vivere e la loro stessa lingua li allontanano dalla realtà di vita e da quello che è il nostro vivere occidentale; ma hanno saputo mantenere quei valori di vita, come la sincerità e la bontà d’animo, che da noi sono una rarità. Forte è la differenza culturale che esiste all’interno della Tunisia passando da un paese all’altro: ogni tribù ha i propri disegni e colori e ciò lo si capisce dalla diversa colorazione del vestito che portano le donne tunisine. Ad interrompere lo splendido paesaggio del Sahara tunisino sono qua e là le oasi. Il fascino delle oasi tunisine sta nel fatto che, come per il deserto, a prima vista si assomigliano tutte ed invece sono tanto differenti. Al loro interno si può godere della freschezza dei loro giardini e delle palme dattifere, dell’acqua che sgorga da sorgenti sotterranee e che si manifesta in brevi ma rigogliosi corsi d’acqua e dove non manca chi offre uno squisito thè alla menta o alle mandorle appena fatto. E di certo non manca la spiaggia in Tunisia: ben 1.200 km di costa inondata dal sole tutto l’anno. E che dire della cucina tradizionale tunisina? Beh, a parte il famoso cuscus (cucinato con agnello, pollo o pesce), molto buono il brik, una crepe fritta farcita con uovo, carne o pesce. I dolci sono semplici ma vari.

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Non nego che prima di partire eravamo tutti pieni di preoccupazioni – «stiamo attenti a non prenderci qualche fastidiosa malattia» o «speriamo di non trovarci qualche compagno non voluto (scorpioni, vipere o salamandre) in tenda» – e piuttosto prevenuti – «chissà cosa mangeremo, dove dormiremo?». Già, perché il viaggio che avremo intrapreso sarebbe stato un tour in fuoristrada su pista con in programma una notte nel deserto in tende allestite dai beduini. Non per altro il programma di viaggio si chiamava «Le piste berbere!» Comunque si può dire che siamo partiti psicologicamente abbastanza preparati, se non pronti, ad affrontare la serie di problemi e di fatiche che avremmo sicuramente incontrato durante quella settimana. Vi anticipo che, a dispetto di quanto previsto, alla fine del viaggio ci siamo ritrovati ancor prima della partenza con tanta malinconia. È stato veramente un peccato dover lasciare quei posti così meravigliosi dove ci si sentiva come a casa. Eravamo proprio un bel gruppo, formato da 24 persone, affiatato quanto basta per rendere il soggiorno e la convivenza piacevole. L’età dei partecipanti spaziava dai 25 ai 65 anni. Io sono partita con mia mamma Lucia e due sue amiche, Enzia e Agnese. Gli altri erano coppie sposate o gruppi di amici. Il giro che abbiamo fatto è stato il seguente : 23 Aprile 2000 – 1° giorno. Siamo partiti dagli aeroporti di Orio al Serio (BG), Bologna, Milano Malpensa, Roma – destinazione aeroporto Zarzis di Djerba ad orari diversi. Noi quattro arriviamo a pomeriggio inoltrato giusto in tempo per ammirare il primo meraviglioso tramonto tu-

Foto sotto: la suggestiva oasi di montagna di Chebika, in cui sgorga una preziosa sorgente d’acqua.


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nisino. Al nostro arrivo veniamo accolti dal personale del tour operator ed accompagnati al nostro albergo. Dopo aver cenato, la stanchezza del viaggio si fa sentire e pensiamo sia meglio andare a dormire per essere riposate per il giorno dopo. Ma, verso le 23.00 succede la «disgrazia»: Agnese cade e si rompe il polso. Iniziare una vacanza in questo modo, non è di buon auspicio! Comunque, dopo la visita in ospedale, Agnese torna in albergo. Cerchiamo di convincerla a trascorrere la settimana nell’albergo di Djerba, ma lei non demorde e non rinuncia al suo viaggio avventuroso nel deserto. 24 Aprile 2000 – 2° giorno. Al mattino conosciamo i nostri compagni di viaggio e la guida Chaker, un ragazzo tunisino che parla perfettamente italiano. Gli autisti dei 5 fuoristrada sistemano le valigie sopra le macchine e noi veniamo suddivisi in gruppi di 6 persone. Il nostro autista è Buba. Siamo pronti ad iniziare il viaggio. Partiamo, quindi, da Djerba, l’«isola dei lotofagi» dal nome del frutto che faceva perdere la memoria. Si narra che fu proprio Ulisse a scoprire l’isola. Andiamo a visitare la Ghriba, che significa «la straniera», la più antica sinagoga ebraica del posto, ubicata al centro di Djerba. Due sono le date storiche a cui far risalire l’origine della sinagoga: 586 a.C. oppure 70 d.C. Ogni anno questa sinagoga è meta di un pellegrinaggio (Pellegrinaggio della Pasqua ebraica – primi di Maggio) a cui partecipano fino a 5/6.000 ebrei di tutto il mondo. La sinagoga è composta da due distinte sale: la prima, destinata esclusivamente alle preghiere dei rabbini, è caratterizzata dalle meravigliose vetrate colorate in cui spiccano i colori bianco, azzurro, verde e giallo che hanno un preciso significato e rappresentano rispettivamente la pace, il mare (di Djerba), la fertilità/vita, il deserto (della Tunisia) ; nella seconda sala, nella quale si entra scalzi, si possono invece ammirare i preziosi cimeli sacri ebraici. Prendiamo il traghetto ad Ajim, villaggio portuale dove ancora viene praticata la pesca delle spugne, e raggiungiamo il continente. Ci dirigiamo in fuoristrada verso Toujane, villaggio berbero scavato nella catena di montagne del Dahar. Durante il tragitto incontriamo distese di uliveti intervallate da pianure desertiche. Arriviamo successivamente a Matmata, villaggio costruito sui fianchi delle montagne famoso per le case troglodite, abitazioni scavate fino alla profondità di 6 mt. la cui origine risale al

1100 d.C. Pranziamo in un ristorante scavato nella roccia. Caratteristico intorno al villaggio il paesaggio lunare, teatro di alcuni importanti film tra cui «Guerre stellari» e «I predatori dell’arca perduta». Partenza per Tamazret, villaggio situato su una collina. Arrivo a Kebili, dove abbiamo cenato e pernottato presso l’albergo riservato. Il pranzo si può dire che è stato il primo momento in cui abbiamo avuto modo di conoscerci. E abbiamo subito capito che il viaggio sarebbe stato divertente. 25 Aprile 2000 – 3° giorno. Partiti da Kebili effettuiamo una sosta per visitare le dune pietrificate di Bechri. Attraversiamo il lago Chiott El Jerid, il cui sale viene esportato ed utilizzato a livello industriale. In questo posto è possibile ammirare l’effetto dei miraggi (ed effettivamente ab-

Foto sopra: altre immagini di oasi tunisine: Ksar Ghilane, nota per la presenza di acque termali e Mides, nelle cui vicinanze si trova un profondo canyon.


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biamo creduto di vedere una distesa d’acqua dove invece non c’era altro che sale!). Il proseguimento della giornata prevede la visita alle oasi di montagna: Mides, famosa per il canyon scavato dall’erosione; Tamerza, villaggio distrutto da un’alluvione; Chebika, dove nasce una sorgente d’acqua. Arriviamo a Touzer per il pranzo. Dopo pranzo, visitiamo la città vecchia di Tozeur e il museo Dar Cherait, dove è esposta la collezione di oggetti appartenenti all’epoca del Bey. Dopo cena ci raccogliamo tutti quanti nella hall. Chaker ci propone un fuori-programma: perché invece di una, non trascorriamo due notti nel deserto? Vi assicuro che il posto dove vorrei portarvi è bellissimo e suggestivo. Però dovete essere tutti d’accordo, altrimenti non se ne fa niente. La proposta viene accettata all’unanimità. 26 Aprile 2000 – 4° giorno. Partenza per l’oasi di Nefta, Perla del Jerid, costruita a gradini nei quali si coltivano principalmente palme, ulivi ed orti. Dalla cima della sua collina il panorama ci offre un’immagine suggestiva dei suoi minareti che dominano in lontananza. Si parte per Hazoua e El Faouar percorrendo la strada che costeggia ad ovest il lago di sale del Chiott El Jerid. Durante il viaggio è frequente incontrare dromedari al pascolo brado. Sostiamo per raccogliere le rose del deserto, pietre di sabbia scolpite dal vento che ricordano nella loro forma le rose. Raccogliere le rose del deserto è stata l’impresa più faticosa che ricordo; abbiamo sofferto un caldo micidiale – ci saranno stati 45 °C o più. Ma abbiamo raccolto le più belle! Pranziamo a El Faouar e nel pomeriggio, dopo la cammellata (sarebbe meglio dire, se la parola esistesse, dromedariata), partiamo per Douz, oasi del sud tunisino. La passeggiata sui dromedari è stata divertente, ma purtroppo l’abbiamo fatta alle due del pomeriggio quando il sole picchiava in modo allucinante. Approfittiamo del tempo libero per dedicarci alla visita del mercato e all’acquisto di souvenir. Ora siamo pronti per dirigerci a Bir El Hadj Brahim – pozzo del pellegrino Abramo, dove dormiremo in un accampamento. La serata, iniziata con una gustosa cena, termina con danze ed allegria in pieno deserto. La cena ci è stata preparata e servita dai nostri autisti; è stata la cena più squisita che abbiamo mangiato: minestra piccante di semolino, carne di montone e verdure cotte sotto la sabbia. I beduini usano cucinare in questo modo: accendono un fuoco in mezzo al deserto che poi lasciano mori-

re, in un pezzo di stoffa sistemano il cibo, la richiudono e la insabbiano. Il pane cuoce in circa 20/30 minuti. 27 Aprile 2000 – 5° giorno. Dopo aver assistito all’alba nel deserto ed aver fatto colazione, riprendiamo il viaggio per Ksar Ghilane, oasi nella quale si può fare un bagno nelle acque termali. Qui trascorriamo il resto della giornata e pernottiamo. C’è un’enorme differenza tra il posto in cui abbiamo pernottato ieri e quello dove siamo oggi. Ksar Ghilane è un comune campeggio attrezzato, dove però abbiamo visto scorpioni, topi e un’infinità di scarafaggi. Dopo aver visto Bir El Hadj Brahim, questo non ci piace proprio. 28 Aprile 2000 – 6° giorno. Alla mattina partiamo in direzione Ksar Hallouf. Arrivati a destinazione visitiamo i vecchi granai, fortificati sulla montagna. Pranziamo a pochi chilometri di distanza in un ristorante scavato nella montagna. Dopo aver mangiato raggiungiamo la capitale Medenine e successivamente visitiamo Guellala, famosa per le ceramiche. Verso sera giungiamo a Djerba, dopo aver attraversato il ponte romano, e ci fermiamo per gli acquisti a Houmt Souk. Infine veniamo accompagnati al nostro albergo. 29 Aprile 2000 – 7° giorno. Giornata libera che alcuni dedicano alla spiaggia, altri alla piscina dell’albergo o ad una visita del mercato. Alla sera, cena a base di pesce in un ristorante di Djerba nel quale abbiamo assistito ad un meraviglioso spettacolo folkloristico e serata in discoteca. 30 Aprile 2000 – 8° giorno. Siamo ripartiti... per tornare in Italia. CLAUDIA PEZ

Foto sopra: la cottura del pane nel deserto: l’impasto, avvolto in un telo, viene messo a cuocere sotto la sabbia precedentemente scaldata con il fuoco.


Intorvìa la tóla

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Pasta e fagioli di nonna Catina

Fegato alla veneziana

Ingredienti Fagioli secchi 4 patate 1 carota 1 gambo di sedano 2 pomodori pelati 1 cipolla 80 g di pancetta una bella manciata di prezzemolo sale, pepe, olio e a piacere aceto.

Il fegato deve essere tenerissimo e bianco, che provenga possibilmente da vitello da latte, e ripulito dalle pellicine per evitare che si arricci in cottura. Ingredienti per 4 persone 400 g di fegato di vitello 400 g di cipolle 30 g di burro 3 cucchiai di olio extravergine brodo vegetale, sale, pepe, prezzemolo, succo di limone.

Preparazione Mettere a bollire i fagioli (precedentemente lasciati a mollo per una notte) in acqua con un pizzico di pepe. Unire 2 patate e un pezzo di carota, sedano e due pomodori pelati. A parte fare un soffritto con un po’ d’olio, cipolla, pancetta tagliata finissima, insaporire per qualche minuto e quindi unire il tutto ai fagioli. Quando le patate saranno cotte toglierle e passarle al setaccio. Unire altre 2 patate tagliate a pezzi. Lasciar cuocere ancora per un’ora e mezza circa. 10 minuti prima di spegnere aggiungere un trito di prezzemolo. A piacere nel piatto unire un cucchiaio di aceto.

Preparazione Preparare il fegato a fettine piccole e molto sottili. Far appassire la cipolla, affettata sottilmente, in olio e burro, bagnando con un poco di brodo. Lasciar cuocere a fuoco molto lento per circa 30 minuti. Unire quindi il fegato e cuocere per 5 minuti girando continuamente. Verso la fine della cottura salare. Trasferire in un piatto caldo, rifinire con una manciata di pepe, prezzemolo tritato e, a piacere, una spruzzata di limone. Servire con la polenta. A CURA DI ADELAIDE E MELITA BASTIANELLO

A P P E L L O

A L L E

L E T T R I C I

Ci farebbe molto piacere la vostra collaborazione a questa rubrica così da meglio rappresentare le abitudini di ogni famiglia. Inviateci presso la redazione de l’Artugna i vostri suggerimenti o le vostre ricette. Siamo disponibili per qualsiasi aiuto o richiesta. È indispensabile la collaborazione di tutti.


L’angolo della poesia

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Sommesso Vorrei chiedere scusa ma già sarebbe vanità temo e dunque vado ancora in silenzio attento a non sfiorare le siepi perfette rasate livellate belle però poi il bosco che però non mi ama ed è giusto sicuro compiuto bello comunque e vi assicuro che camminerò delicatamente sulle zolle di questo prato come alla festa quella vera quella seria e guarderò la luna

senza avidità credetemi non dovete preoccuparvi e con occhi di ghiaccio come il suo volto di ghiaccio come una fiera un’altra fiera non ci faremo del male è certo e le stelle bruciano se stesse come Narciso e non chiederei loro niente e proverei vergogna se venissi a sapere che fossero coscienti che le osservo ma non lo sapranno mai credetemi e piano senza pretendere di capire il linguaggio sommesso dell’acqua poso un piede di là del ruscello e mi va di credere che divida in due parti la

terra e che sotto di me alla fine di uno stretto anfratto ci sia un’altra luna vera di ghiaccio e tante stelle vere non nell’acqua e il cielo vero quello che mi avvolge comunque e ringrazio la brezza che mi accarezza e non prova bisogno di chiedermi scusa perché mi ha sfiorato con rispetto con gesto simile al mio passo in punta di piedi in mezzo al cielo. (A mio fratello Don Italico J. Gerometta) FERNANDO GEROMETTA

No ’l è pì... No ’l è pì stale, ma ciàmbera e cusina par me cugnada nel cortif Barthàn, unlà che nóna Nuta ogni matina moldéa la vécia vacia co le man.

Vestiti nuof gnancia i se li sognava! Chéi del cugin Vittorio i se passava duti noi thinque mas’ci e se li deva ai «Tarantiéi» che là vithin i stava.

E col seciél se dheva in lateria, che el lat i lo cambiava in formai bon e mi me lo ricorde e lo magnave tanto de gusto: l’era la me passiòn.

Me santol Leti m’à paiat el vestito co l’era da fa cresima; metùt l’àe a la comunion tre ani dopo: no me muoveve, tant l’era stretùt.

Me pora mama, vedova, impegnada i thìnque fioi co puòc a tirà avanti diséa, co domandave un altro sbit: «Da sol te magna pì de dhuti quanti!»

Tempi puareti, ma se se voleva dhuti gran ben e ància se se idhava a ovra a tirà su ua e panole, pajadi co la thena o un fià de blava.

E co un cortif insieme in tre faméie, tre puliner co puoce pite ognun, ogni matina se palpea le pite, pa savé quanti guòf l’era a ciascun.

PADRE RITO LUIGI COSMO


’N te la vetrina

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FOTO 1: SCUOLE ELEMENTARI DI BUDOIA, CLASSE 5ª NATI NEL 1919-1920-1921. INSEGNANTE MAESTRO ARTURO RODANO` . Prima fila, in alto (da sinistra). Avanguardista con bandiera (chi si riconosce ?), Rosa Licia, Diana Adele Pia, Steffinlongo Anna, Carlon Salute (?), Angelin Giuseppina, Panizzut Palmira, Vettor Anna, Panizzut Ferruccio (?), Mezzarobba Matteo, Carlon Gio Batta. Seconda fila (da sinistra). Panizzut Teresa, Panizzut Noemi Alberta, Carlon Santina, Ariet Italia, Carlon Luigina, Carlon Nelda, Ariet Rosina, Pusiol Lina, Burigana Anna, Santin Nives, Cardazzo Marianna. Terza fila (da sinistra). Fort Franco, Bernardis Antonio, Da Ros Francesco, Titolo Cesare, Carlon Antonio, il maestro Rodanò, (?), Panizzut Ernesto, Carlon Arsenio, Burigana Giovanni, Panizzut Anselmo, Fort Angelo. Seduti (da sinistra). (?), Del Maschio Luigi, Carlon Adriano, Scussat Amilcare. FOTO 2: IL MUNICIPIO DI BUDOIA – INGRESSO (LA FOTO DOVREBBE RISALIRE AGLI ANNI 1924/1925). Evidenti gli stemmi (sabaudi e fascisti). Ai lati degli stipiti della porta, appena si nota, è effigiata la testa di Mussolini. Appese al muro le due vetrinette per l’albo pretorio del Comune. La tabella che gli effigiati mostrano, riporta: «Dio Nus Protesi» (friulano di Bertiolo) e «Se no i xe mati no li volemo» (veneziano). Le persone: sdraiato (?); da sinistra Carlon Giovanni (classe1904) fratello di Antenore; appoggiato allo stipite (?); al centro seduto Pieri (Pietro Morelli), dirigente ufficio postale di Budoia, friulano di Bertiolo; appoggiato allo stipite (?), seduto dovrebbe essere uno dei fratelli Burigana Postin figlio di Osvaldo. Nota. Ai lati delle scritte sulla tabella figurano: a sinistra una busta per corrispondenza riportante la scritta: RR. PP. (Regie Poste); a destra un cavalletto per canneggiatori con la scritta U. T. C. (erano i tempi della rilevazione per la formazione del nuovo catasto); il boccale riporta una data illeggibile.

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(TESTO E FOTO 1, 2 E 3 A CURA DI FERDINANDO CARLON)


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FOTO 3: A MEZZOMONTE IL 17 GENNAIO 1929. Chi si riconosce? La località: gradoni un tempo coltivati (le bancele) come si vede, ora è folta vegetazione di rovi e spine!

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FOTO 4: Luigia Del Maschio nata nel 1877. (PROPRIETÀ DI MARIA ZAMBONI)

FOTO 5: Angelo Zamboni nato nel 1869 e Giacomina Valentini nata nel 1884. (PROPRIETÀ DI MARIA ZAMBONI)


Lasciano un grande vuoto...

È sempre tragico l’ultimo saluto, ma se il passaggio alla vita eterna avviene in giovanissima età come per Paola Carlon Marcandella e Paolo Fort, ambedue trentenni – ad un anno dalla loro scomparsa – o addirittura in tenerissima età come Giovanni Del Puppo, figlio di Pier Carlo, il dolore si fa straziante. Nella nostra limitatezza umana ci chiediamo il perché. Solo Dio ci viene in aiuto, attraverso le persone che ci sono vicine, e ci lenisce il dolore.

* «Noi vediamo, infatti, come per mezzo di uno specchio, in modo non chiaro; allora, invece, vedremo direttamente in Dio; ora conosco solo un modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente...» (S. Paolo, I Corinti 13, 12)

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Cronaca

PA’ LA VITA In data 31 marzo 2000 si tiene l’Assemblea dei Soci della sezione di Budoia-Santa Lucia della Associazione Friulana Donatori di Sangue e, quindi, la riunione del nuovo Consiglio Direttivo con la distribuzione delle cariche. Per il quadriennio 2000-2003 il Consiglio è così composto: Umberto Coassin (Presidente); Pietro Del Maschio (Vice Presidente); Eligio Carlon (Rappresentante dei donatori); Valerio Arlati, Marcellina Carlon, Gian Pietro Fort, Luisa Malvermi e Basilio Zambon (Consiglieri) e Liliana Puppin (Segretaria).

FESTA DE LA BIRA E DE I «BIKERS»

zio bar-ristorante, mentre le musiche di una vivace orchestra folk animano il sabato sera. M.Z.

A fine primavera la Pro Loco, in collaborazione con il gruppo ciclistico «Salvador» di Sacile ed il Comune di Budoia, organizza per il primo week-end di giugno un «gran fondo» di mountain bike. All’iniziativa, al suo debutto a Budoia, aderiscono circa 300 appassionati delle due ruote provenienti da tutto il triveneto, che si confrontano in un impegnativo tracciato. Partiti da Budoia, attraverso Dardago, i ciclisti, sfiorando il Piancavallo, s’inoltrano nel bosco del Cansiglio. In seguito, solcando le piste del Col dei Sclos, gli atleti attraversano Mezzomonte e Polcenigo per ritrovarsi alla fine in piazza a Budoia, dove un fornito chiosco enogastronomico provvede a rifocillare i concorrenti e quanti hanno voluto unirsi. Tra i partecipanti si segnala un notevole gruppo di professionisti che, insieme ad un team di cronometristi affermati nei campi di gara internazionali, eleva il livello della competizione ad uno standard che va ben oltre quello dell’evento sportivo locale. In concomitanza con la gara, la Pro Loco organizza la Festa della Birra, durante la quale funziona il servi-

Sopra: foto di gruppo scattata in una delle ultime lezioni di ginnastica. Manca qualche signora ma si ha un’idea del grande numero di partecipanti.

PA’ STÀ IN FORMA Si tiene anche quest’anno il corso di ginnastica dolce per signore della seconda giovinezza organizzato dall’AUSER. Le partecipanti rimangono molto soddisfatte sia per gli esercizi proposti dalla simpatica signorina Monica sia per l’ottimo rapporto che si è stabilito tra tutte le signore. Ringrazio i responsabili dell’AUSER per questa possibilità offertaci. MARIA ANTONIETTA TORCHETTI

Sotto: il momento della premiazione della riuscitissima gara di montain bike.


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ANCIAMO` «I COLORI DELLA SPERANZA» Sabato 30 giugno, la Pieve di Dardago ha l’onore di ospitare un evento di elevato tenore artistico. Il Collis Chorus, con la collaborazione della Pro Loco, del comune di Budoia e della parrocchia di Dardago, vuole ripetere anche quest’anno la manifestazione «I colori della speranza», rassegna di musica spiritual che, giunta alla sua 6a edizione, ha ormai una rilevanza che supera i confini provinciali. Si esibisce il coro Academy Gospel Choir di Firenze, che esegue un vasto repertorio di spiritual più o meno noti al nostro pubblico. Il coro e i solisti, coinvolti nello spirito del canto anche con la mimica del corpo, riescono veramente ad entusiasmare i numerosi presenti, che non sanno rinunciare ad alcuni bis e salutano il gruppo con una vera e propria «standing ovation». M.Z.

PELEGRINS PAL GIUBILEO Il peregrinare, appartenente all’esperienza più ancestrale dell’uomo, è il momento forte di quest’anno giubilare; anche Budoia rientra, seppur senza titolo, tra i luoghi di sosta. Diretto ad Assisi per il Giubileo francescano del 28 aprile, un gruppo di alunni ungheresi con i loro insegnanti del liceo francescano di Szentendre è ospite della Casa della Gioventù. Entrati in Friuli da Tolmino ed attraversata in cinque giorni la nostra regione, i giovani giungono per la celebrazione dei riti del Giovedì Santo, per poi proseguire verso altre località fino alla città umbra. È un’esperienza significativa per tutti i presenti alla cerimonia religiosa.

Foto sopra: alcuni ragazzi del Liceo con i loro insegnanti, insieme al sacrista Elio, prima della partenza.

A TRIESTE Il 15 luglio un nutrito numero di appassionati si ritrova al teatro Verdi di Trieste, per assistere all’Operetta in tre atti «Il Pipistrello», su libretto di R.Genée e K. Haffner, musica di Johann Strauss. Dirige il maestro Friederich Haider, mentre regia e coreografia sono affidate a Gino Landi. Purtroppo la pioggia incessante non ci dà tregua, neanche per consentirci una breve passeggiata a Trieste. L’attesa pomeridiana è però largamente compensata dalla bravura dei tanti interpreti del fortunato e divertente spettacolo. Grazie a questo appuntamento annuale con il teatro, la Pro Loco vuole avvicinare sempre più persone a questa forma d’arte, che affonda le sue radici nel passato ma che sa suscitare sempre nuovi entusiasmi. Per allinearsi sempre più alle esigenze dei soci, la Pro Loco sta diffondendo un questionario dove essi possono esprimere le loro preferenze in merito al tipo di spettacolo, agli orari e ai prezzi. M.Z.

DA LA «LAPPONIA» A «LA CAMARGUE» Nella calda serata di venerdì 9 giugno, un folto pubblico aderisce con entusiasmo alla proposta dell’AFNI (Associazione fotografi naturalisti italiani) e della Pro Loco, dall’invitante titolo «Paradisi Naturali».


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Nella Sala Consigliare, Ermanno Dametto presenta due proiezioni di grande interesse naturalistico: la prima serie di diapositive, «Autunno nel Sarek», svela affascinanti immagini del Parco Nazionale della Lapponia Svedese; la seconda, «Ali sulla Camargue», presenta un ambiente a noi più vicino, ma nel quale una natura ancora incontaminata sa offrire con i suoi colori magiche atmosfere e nuove emozioni di vita animale. M.Z.

SÙ PA’ LE MONT Anche quest’estate la Pro Loco di Budoia organizza due escursioni in montagna. La prima si svolge domenica 25 giugno: la mèta è il Col Cornier e la giornata trascorre piacevolmente nonostante il maltempo tenti di guastare la festa. Il sentiero che raggiunge la cresta e poco dopo la vetta del Col Cornier è uno tra i più suggestivi delle nostre montagne perché nelle giornate più serene permette di ammirare uno splendido panorama, spaziando sul gruppo del Cavallo, sugli altopiani del Piancavallo e del Cansiglio, sulle dolomiti bellunesi e sulla pianura pordenonese fino al mare. In questo modo la Pro Loco intende valorizzare i sentieri della zona, spesso sconosciuti agli stessi abitanti dei nostri paesi, oppure tralasciati, nella tendenza diffusa di apprezzare solo ciò che è lontano da casa.

La seconda giornata, domenica 23, prevede un’escursione in Val di Fassa. Un nutrito gruppo di persone di tutte le età trascorre circa 5 ore di camminata in allegra compagnia lungo un itinerario con moderato dislivello attraverso i rifugi sul Catinaccio: da Vigo di Fassa (m 1413) si sale in funivia sul Ciampedie (m 1997), proseguendo per i rifugi Nigritella, Catinaccio, Gardeccia, Vaiolet, Antermoia (m 2497), la Baita Lino Brach, fino al rifugio Micheluzzi, per discendere infine a Campitello di Fassa (m 1448) per la Val Duron. I percorsi sono scelti in modo da poter accostare alla montagna il maggior numero di persone possibile e permettere a tutti di vivere le emozioni che solo l’alta montagna sa dare, senza correre rischi e affaticarsi troppo. M.Z.

TRA TERA, CLAPS E... AGA. ’L Crep, la Val de Croda, ’l Cunath, Fontana, per il loro particolare fascino sia preistorico che naturalistico, offrono spunti per attività di laboratorio e per spettacoli, proposti dalla Biblioteca Comunale. E così, verso i monti, partono i laboratori di archeologia con l’allestimento del forno per la cottura dei manufatti di ceramica, realizzati dai ragazzi della scuola media, e di lettura per i bambini delle elementari. In località Fontana, invece, ci aspetta il teatro «Storie di fiume» della Compagnia di Arti e Mestieri di Pordenone. Nella foto: Fernanda e Alpidio festeggiano con i loro cari i 50 anni di vita in comune. Ai due «sposi» giungano anche gli auguri della redazione de l’Artugna.


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EL CIAMPANILE DE BUDUOIA A Budoia campane mute per l’ingabbiatura della torre campanaria. È l’impresa San Lorenzo di Marsure a condurre i lavori di consolidamento della struttura che restituiranno al paese i quotidiani rintocchi entro Agosto.

MA VARDA CHE TEMP MAT! Tempo strano quest’estate! A un lungo periodo di siccità, che ad alcuni alberi ha trasformato la veste estiva in autunnale, susseguono settimane di temporali violenti con grandinate e vento, provocando sradicamenti di piante ad alto fusto e un brusco abbassamento della temperatura di ben oltre quindici gradi. Tutti costretti a prendere dal guardaroba coperte e maglioni.

LUSTRE ’NTEL CIAMPANILE Per volontà del Consiglio Amministrativo della Parrocchia di Dardago, nel periodo di festività de la Sunta, la cella campanaria viene festosamente decorata con le luminarie. È un’immagine che ci riporta indietro nel tempo, fino agli anni ’50. In tale occasione l’intero campanile fu vestito di luce. Ci si augura che la tradizione, una volta ripresa, non si interrompa.

AGA IN PLATHA Non c’è paese in Friuli che non sia caratterizzato dalla sua fontana. A Budoia mancava, ovvero la piazza ne era sprovvista da alcuni decenni. È notizia di questi giorni l’imminente installazione di un moderno manufatto nella piazza Umberto I. A memoria d’uomo, fino agli anni ’40, c’era la fontana alimentata dall’acqua del ruial, nel decennio successivo venne installato un manufatto circolare con faro centrale: era l’attrazione dei bambini che si divertivano a «pescare» con gli occhi i pesci rossi.

Nella foto: il campanile bisognoso di cure

13 LUGLIO 2000 FESTA DI COMPLEANNO ... A una mamma. Una Mamma è una donna che fa del suo meglio per sostituire una Fata. La nostra cara mamma per nostra gran fortuna possiede una magia e gli anni sa fermar. Se senti quando parla se vedi cosa fa pensiamo esterefatte «ottantotto non li ha». Non fa certo come il vino che invecchiando inacidisce per ogni anno che passa lei s’addolcisce. È un paese assai curioso dove lei rimane giovane, un paese di magia, non serve andarci in treno, ci vuole fantasia. Lei legge e racconta a noi figlie sempre attente e tutte e tre viviamo felici e contente cantando: Evviva la mamma, evviva la fantasia, evviva le fate che portano magia! R.D.


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Inno alla vita...

Ăˆ una grande festa quando un bambino riceve il Sacramento del Battesimo. l’Artugna partecipa alla gioia dei genitori e di tutta la comunitĂ cristiana con questa nuova rubrica fotografica. In questo numero ricordiamo il battesimo di Mathias Zambon e Francesca Bastianello

Primo compleanno di Jacopo Cautero: quattro generazioni a confronto. Monia Zambon (la mamma), Ermelina Bocus (la bisnonna), Jacopo Cautero (il festeggiato) e Corrado Zambon (il nonno).


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I ne à scrit

Tricesimo, 2 gennaio 2000

Milano, 24 maggio 2000

Cara Redazione, intanto vivissimi complimenti per la rivista, in splendida forma grafica. Appena ricevuta, Brusini l’ha avuta e portata al fratello che ne è stato felice. Non m’aspettavo di avere la mia immeritata porzione di «gloria»! Grazie. Soprattutto auguri a tutti di buon lavoro, anche al maestro Sanson. A riviodisi e mandi

Spett. le Redazione, ricevo in data odierna il periodico l’Artugna n. 89 e con grande commozione a pag. 6 vedo una fotografia «Romania 1923» a me cara. La persona a sinistra è mio nonno: Vincenzo Bocus Frith. Complimenti per il vostro lavoro e grazie per le emozioni che riuscite a dare. Cordiali saluti.

ANDREINA

CATERINA BOCUS PIZZINI

Ci rattrista profondamente rileggere questo scritto, perché oramai la signora Andreina Nicolosi Ciceri non è più tra noi: ha raggiunto il suo Gigi, il 24 maggio. Amica da quasi un trentennio anche di Budoia, per aver studiato e tramandato il video sui riti epifanici, la ricorderemo sempre con affetto.

Gent. ma Signora Caterina Bocus Pizzini, siamo lieti di riuscire ancora – dopo ventotto anni – ad offrire intense emozioni. Il merito è solo dei lettori che intelligentemente collaborano alla costruzione della nostra microstoria. Attendiamo anche da lei e dalla sua famiglia nuove emozioni!

Tilghman (U.S.A.), 25 maggio 2000

Venezia, 21 giugno 2000

Spett. le Redazione, tante grazie al periodico per la pubblicazione delle fotografie con i miei cugini. La fotografia della mamma di mio nonno mi è nuova. Spero che ci rivedremo a Budoia un’altra volta.

Ho trovato il vostro sito su Internet. Mio padre a suo tempo riceveva una rivista che non ricordo se con questo titolo proveniente dall’avito paese, in cui ho ancora delle proprietà. Gradirei ricevere la rivista. Grazie e saluti UMBERTO BOCUS

ROSINA MANGIONE GARVIN

Gent. ma Signora Rosa, ci auguriamo anche noi di rivederla presto nella terra dei suoi avi. Cordialmente.

Gent. Sig. Umberto, con piacere inseriremo il suo nominativo tra gli «abbonati» e le faremo avere i prossimi numeri del periodico. Ci scriva ancora!

Milano, 31 maggio 2000

Santa Lucia, 2 luglio 2000

Saluti dalla famiglia del professor Franco Bastianello da Milano.

Spett. le Redazione de l’Artugna, mi chiamo Antonio Ceccato e con mia moglie Adelina Chiaradia abito a Santa Lucia di Budoia e vi saremmo grati se, nel prossimo numero de

Ricambiamo i saluti «telematici».


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l’Artugna inserirete una mia foto con mia moglie per il mio «venticinquesimo» di matrimonio. Ci siamo, infatti, sposati il 15 agosto del 1975 a Fratta di Caneva. Colgo l’occasione per farvi gli auguri di buon proseguimento. Saluti ANTONIO E ADELINA

Un piccolo contributo e tanti carissimi auguri. IRMA BIANCHI E CRISTINA ZAMBON PINAL – MILANO

* Auguri a tutta la Redazione. PINUCCIA DA ROS – MILANO

* Con i miei più cari auguri. Cordialmente DANIELA ANGELIN CARGIOLI – GENOVA

* Nel terzo anniversario della morte di Vittorio Del Maschio: la moglie e i figli lo ricordano sempre con grande immutato affetto. Il mio contributo per l’Artugna. Buon proseguimento. MARIA LILIANA PATRON – TREVISO

* Per l’Artugna, tanto gradita e attesa dalla nostra mamma quando era in vita e tuttora attesa e gradita dai suoi figli. Grazie ed auguri. FAMIGLIA LUIGIA FERRARI – MILANO

* Grazie, l’Artugna, che mantieni sempre vivo, a chi è lontano, il ricordo dei paesi a noi cari. Cordialmente AURORA CERRONI – ROMA

* In memoria di Romano Zambon, nel primo anniversario della morte, la moglie.

DAI CONTI CORRENTI

ROSINA ZAMBON – TORINO

Con tanti auguri per il torrente della mia prima infanzia. PIETRO COVRE – TRIESTE

*

* Un altro Angelin, Lorenzo Maria, si è accodato nella famiglia di mio figlio Michele. A voi tutti cordiali saluti ed auguri. ALFEO ANGELIN – TOLMEZZO

l’Artugna per me è un legame duraturo con Dardago, paese dei miei nonni e genitori, Isidoro Rigo Moreal e Andreanna Busetti Caporal. JOLANDA RIGO – SACILE

* Grazie per l’Artugna che ci fa ricordare anni felici. BENITO PELLEGRINI – TORINO

* Saluti ed auguri a tutti. DORINA DELLA VECCHIA – GALLIERA VENETA

* Ecco il nostro piccolo contributo per l’Artugna. Con gli auguri affettuosi e riconoscenti di buon lavoro e buon 2000. SILVANA BOCUS PISU – SUSEGANA

* Con tanti complimenti e vivissimi auguri! GIOVANNI ZAMBON BONAPARTE – VENEZIA

* Grazie per l’invio de l’Artugna. VITTORIO ZAMBON – MILANO


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Programmi e Bilancio

Festa de la Sunta PROGRAMMA RELIGIOSO Mercoledì 15 agosto ore 11.15 Santa Messa Solenne partecipa la corale «Santa Maria Maggiore» PROGRAMMA RICREATIVO Lunedì 7 agosto inizio Torneo di Bocce «Lui&Lei» gara a coppie tra residenti e villeggianti. Sabato 12 agosto apertura «Grande Pesca di Beneficenza» e rimarrà aperta i giorni 13, 14 e 15 agosto. Altri festeggiamenti sono organizzati dall’associazione C.F.D.

Bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 89

entrate

Costo per la realizzazione + sito Web Spedizioni e varie Entrate dal 01/04/00 al 10/07/2000

4.816.000

Totali

4.816.000

Differenza

1.944.000

6.530.000 230.000

Festa dei Funghi e dell’Ambiente Venerdi 8 settembre ore 21.00 2° torneo nazionale «OPEN» di danze sportive. Specialità ballo da sala, liscio unificato Sabato 9 settembre ore 20.30 Torneo individuale di scacchi. Sabato 9 settembre ore 21.00 Ballo con l’orchestra «Jimmy Bonato» Domenica 10 settembre ore 10.30 Apertura al pubblico della prima giornata di: 33a Mostra Micologica Regionale 26a Mostra Filatelica e annullo postale speciale 3a Mostra «Vecchi oggetti di vita paesana» con animazioni a cura del Gruppo «Larin» di Polcenigo. 3a Mostra Mercato sui prodotti tipici della Montagna pordenonese Mostra Fotografica «Fotovisioni» un modo diverso di vedere la Natura Mostra «Coltiviamo i Bonsai» a cura dell’associazione Sakura di Pordenone Domenica 10 settembre ore 17.00 Esibizione per le vie del paese di: · Claudio & Consuelo Giocolieri e Cantastorie · Trio Tzigano tre affermati musicisti (chitarra, violino e fisarmonica) Domenica 10 settembre ore 20.30 Ballo e spettacolo con il gruppo folk «Popovic» Giovedi 14 settembre ore 21.00 Serata nusicale con esibizione di Band del Progetto Giovani della Pedemontana Occidentale Venerdi 15 settembre ore 21.00 Ballo con l’orchestra «Trio Italiano»

uscite

Sabato 16 settembre ore 9.00 Convegno di Studio: Qualità Ambientali ed Identità. Quale Agricoltura e Turismo per uno sviluppo rurale e sostenibile. Sabato 16 settembre ore 21.00 Ballo con l’orchestra «Jimmy Bonato» Domenica 17 settembre ore 8.30 Partenza della 28a Marcia dei Funghi Domenica 17 settembre ore 10.30 Apertura al pubblico della seconda giornata (vedi domenica 10) Domenica 17 settembre ore 17.00 Presentazione e dibattito nuova legge regionale 15/5/2000 n.12 sulla raccolta dei funghi. Interverranno: Claudio Angelini Responsabile dell’ispettorato micologico Azienda Sanitaria del Friuli Occidentale, Antonio Zambon Sindaco di Budoia, Isidoro Gottardo Presidente del Gruppo Popolare in Consiglio Regionale (autore della nuova legge), Giorgio Pozzo Assessore regionale alla gestione faunistica e venatoria, alla autonomie locali e alle foreste e parchi. Domenica 17 settembre ore 17.00 Esibizione per le vie del paese di: · Il Canzoniere Vicentino · Gli Stelten Flight: espertissima coppia di acrobatici trampolieri Domenica 17 settembre ore 20.30 Ballo con l’orchestra «Souvenirs» In tutte le giornate funzionerà un ristorante al coperto con degustazione funghi e piatti tipici campagnoli accompagnati da ottimi vini.

6.760.000


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Avvenimenti

Nascite

Matrimoni

Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di:

Hanno unito il loro amore: felicitazioni a…

Samuele Prevedello Dellisanti di Luciano e Paola Madormo – Venezia Lorenzo Maria Angelin di Michele e Barbara Migotto – Udine Vanessa Pellegrini di Luca e Erica Cosmo – Dardago Aurora Sguassero di Devis e Laura Pellegrini – Mussana Jacopo Zambon di Paolo e Anna Maria Re – Milano Elisa Volpatti di Bruno e Manuela Cadel – Budoia Lisa Puiatti di Stefano e Elisabetta Crovato – Chieri/Torino

* Nozze d’argento Adelina Chiaradia e Antonio Ceccato – Santa Lucia * Nozze d’oro Fernanda Rigo e Alpidio Bocus – Dardago Giacomina Busetti e Vittorio Zambon Petenela – Budoia

Lauree e Diplomi

Defunti

Complimenti...

Riposano nella pace di Cristo: condoglianze ai famigliari di…

Licenza elementare Matteo Boem, Caterina Dorigo, Sasha Gamble, Lila Doris Jividen, Alexander Marcolin, Roberta Pitton, Andrea Rigo, Samuel Teot, Serena Tesolin, Sophia Laverne Wiley. Licenza media inferiore Alberto Bocus, Yuri Bocus, Michela Busetti, Nicoletta Candia, Marina Carlon, Francesca Carnio, Simone Cecchinel, Fabio Del Maschio, Ramona Deodato, Alessia Guadagnini, Ediana Martinuzzo, Nicola Moro, Andrea Rui, Andrea Usardi, Ivory Wiley. Licenza media superiore Sara Bocus – Liceo Socio Psico Pedagogico Gianluca Quaia – Istituto Tecnico Industriale Micol Roncarà – Liceo Classico Paolo Signora – Liceo Scientifico Pietro Sommario – Liceo Scientifico Francesca Iuorio – Istituto d’Arte Claudio Zambon – IPSIA Laurea Alessandro Del Zotto – Bardolino del Garda – Budoia – Architettura

I nominativi pubblicati sono pervenuti in Redazione entro il 15 luglio 2000. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

Giovanna Muti Puppin di anni 80 – Milano Tiziano Tranci di anni 57 – Genova Ivonne Ianna in Signorile di anni 62 – Saluzzo Luigi Zambon di anni 80 – Dardago Giovanna Lacchin di anni 89 – S. Lucia Luigi Bastianello di anni 91 – Dardago Marino Carlon di anni 72 – Budoia Romano Michelin di anni 79 – Castello d’Aviano Emanuele Annieri di anni 85 – Dardago Giovanni Del Puppo di anni 6 – San Giovanni-Polcenigo Mario Signora di anni 91 – Budoia Marianna Carlon di anni 95 – Budoia Francesco Giannelli di anni 80 – Budoia Maria Burigana di anni 87 – Budoia Silvana De Chiara di anni 51 – Castello d’Aviano Vincenzo Arcidiacono di anni 61 – S. Lucia Giacomo Carlon di anni 73 – Milano

IMPORTANTE Giungono talvolta lamentele per omissioni di nominativi nella rubrica Avvenimenti. Ricordiamo che la nostra fonte di informazioni sono i registri dell’Anagrafe comunale. Pertanto, chi è interessato a pubblicare nominativi relativi ad avvenimenti fuori Comune o relativi a particolari ricorrenze (nascite, nozze d’argento, d’oro, risultati scolastici, ecc.) è pregato di comunicarli alla Redazione.


Raganella 路 Hyla arborea Foto di Gabriele Bano - Tolmezzo Nikon F90s ob. 90 f 2.8 Fuji sensia

Principalmente notturno, questo anfibio lo si pu貌 trovare in ambienti ricchi di vegetazione; ha una propensione per arrampicarsi e cambiando colore rapidamente si mimetizza tra cespugli e canneti. Nella stagione riproduttiva i maschi, rigonfiando il sacco vocale, emettono in coro il verso caratteristico che da lontano pu貌 assomigliare ai versi delle anitre.

O Associazione Fotografi Naturalisti Italiani Sezione di Budoia -Pordenone Via della Liberazione, 6 路 33070 Budoia / Pn Tel. 0434/654322


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