Bach danza sulle acque del Livenza

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ANNO XLIX / DICEMBRE 2020 / NUMERO 151 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA


Bach danza sulle acque del Livenza

A sinistra. Ilaria Moretto, studentessa del Liceo Pujati di Sacile scelta tra le ottanta ragazze del casting, che ha interpretato con dolcezza e soavità la ragazza degli anni ’20 del Novecento a fianco del giovane pianista polacco Tymoteusz Bies, immerso nel mondo bachiano ma non insensibile agli sguardi della fanciulla. Nella pagina accanto. Amine Messaoudi, il ballerino franco-marocchino che ha danzato Serpentine al teatro Zancanaro di Sacile. È noto anche per essere stato scelto sia dalla cantante Madonna (per il corpo di ballo nel suo ultimo videoclip) che da una famosa cantante marocchina; lavoro, quest’ultimo, diretto e ripreso da Luca Coassin fra Frisanco, Sacile, Brugnera e Porcia.

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Ci onora pubblicare l’articolo del critico Marco Maria Tosolini, composto per l’Artugna, riguardante il film musicale Goldberg Serpentine love, firmato brillantemente dal regista Luca Coassin da un’idea di Davide Fregona. Il cortometraggio o meglio ‘minifilm’, girato nel 2019 a Sacile lungo la Livenza e all’interno dell’azienda Fazioli, produttrice di pianoforti (per la prima volta aperta ai non addetti ai lavori), narra la storia d’amore tra due giovani degli anni Venti del Novecento: il pianista (Tymoteusz Bies), che si esercita all’accompagnamento del film Danse Serpentine dei fratelli Lumiere, ed una ragazza a scuola di danza (Ilaria Moretto del Liceo Pujati di Sacile), che sta seguendo lo stesso film dal suo telefonino. La scena si trasferisce in un cinema in cui il Danseuse Serpentine (Amine Messaoudi), fuori dallo schermo in veste di Cupido, farà innamorare i due protagonisti, accompagnandoli nei luoghi più attraenti e romantici di Sacile. Un terzo budoiese, Mirko Fort, ha collaborato alla realizzazione grafica del manifesto.

Paradossalmente i primi vent’anni del Terzo Millennio hanno visto modificarsi la tendenza dell’ultima parte del XX secolo per la quale aumentava, nel mondo occidentale, l’inurbamento e la crescita dei grandi centri. Basta scorrere qualche dato e si vede che i piccoli centri conoscono una costante moderata crescita. La provincia e le innumerevoli (tranquille) bellezze che offre sembrano invitare molti, soprattutto in età matura, a scegliere se non forme di Splendid Isolation certo di ragionato ritiro e riscoperta di valori ambientali sempre più preziosi. Se questo è un aspetto prevedibile dell’attrattiva dei piccoli centri meno noto è il fatto per il quale siti «riparati» – dove lo stesso Friuli Venezia Giulia, pur essendo «crocevia» delle culture latina, slava e germanica come in nessun altro luogo d’Europa vive una dimensione «appartata» con tutti i pro e i contro che ciò comporta – producono stimoli che in tali luoghi «muovono» e nutrono soggetti talentosi. Davide Fregona e Luca Coassin, hanno in comune l’origine budoiese e una irriducibile dedizione professionale alle varie strade dell’arte. Davi-

de Fregona, pianista allievo del grande Luciano Gante, ha orientato le sue energie in modo particolare come didatta ma, soprattutto, come organizzatore e direttore artistico di innumerevoli iniziative dove ciò che si intuisce è il completamento di un «sistema» nella creazione, a livello nazionale, del primo «Distretto culturale ed economico» innervato, ma certo non limitato a quello, dalla produzione e centralità del pianoforte. Se il mondo dei suoni ai più alti livelli è quello che il lavoro di Fregona segna tre decenni di attività

Dal laboratorio della Fazioli, pianoforti nella loro bellezza iniziale come scafi di navi pronti per solcare i mari della sonorità. Sotto. Ragazze e ragazzi degli Istituti Marchesini e Pujati di Sacile, figuranti entusiasti, nelle sale di Palazzo Regazzoni.

quello di Luca Coassin insiste nella magia dell’immagine, trattandosi di direttore della fotografia e regista di respiro internazionale. Sono innumerevoli gli esempi, nel corso della Storia delle Arti, che raccontano di artisti, operatori di alto profilo, creativi, ingegni sorprendenti che nascono, muovono i primi passi in contesti assai circoscritti e, poi, prendono il volo sia percorrendo le strade del mondo sia portando le strade del mondo a convergere nei piccoli centri. Il caso di Sacile è un caso esemplare. Complice la bellezza del luogo e dintorni – vedi luoghi come Dardago, frazione budoiese, o Polcenigo per citare a caso, espressioni di una bellezza gentile e un po’ misteriosa ad un tempo, quasi sospesi nel tempo – l’idea di realizzare un cortometraggio, nata dalla fervida mente di Davide Fregona, si è presto manifestata nel compimento filmico firmato da

Luca Coassin. Un’opera d’immagine e suoni, che «fondesse» in modo particolare una «summa» estetica fatta di musica sublime, di bellezza urbana e naturale ad un tempo, di suggestione coreografica e trasparente giovinezza di amorosi intenti: questo è «Goldberg serpentine love». Neanche dieci minuti che raccontano molte cose ma, soprattutto, Le Cinéma, si, molto con lo spirito delle origini, che sono francesi. Non solo perché c’è un riferimento esplicito, una sorta di citazione trasfigurata in diversi momenti, di un debutto storico del fratelli Lumiére del 1897 con «Danse Serpentine», uno dei primo cortometraggi della storia dell’arte che ha cambiato il volto del ’900 e della civiltà, non solo occidentale. Soprattutto perchè «Goldberg serpentine love» sembra proprio lo «srotolarsi» della pellicola (anche se il mezzo è elettronico) che immerge lo spettatore in un gioco di storie incrociate che poi si riuniscono. L’arte di Coassin, supportato da una sapiente sceneggiatura scritta dal produttore Pasqualino Suppa e da Elettra Del Mistro, responsa-

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di Marco Maria Tosolini*

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bile anche di scene e costumi, porta a magnificazione la storia di un garbato innamoramento, che nasce fra le acque del Livenza, la bellezza «venexiana» dei palazzi di Sacile, complice la gioia festosa di studenti che sciamano – figuranti entusiasti degli Istituti Marchesini e Pujati di Sacile e della scuola «ML danza» – e i laboratori della Fazioli dove nascono pianoforti finalmente ripresi nella loro bellezza germinale: sembrano scafi di navi lignee approntate per solcare i mari della sonorità. Si narra, nel videofilm, di un amore di sapore altonovecentesco per tipo di fotografia, giusto ritmo del montag-

volgente giovane pianista polacco Tymoteusz Bies (vincitore di una recente edizione del concorso Piano FVG, animato dall’infaticabile M° Fregona) si delinea un labirinto di segni eppure fluido nella sua dimensione narrativa. La potenza suggestiva della musica che, di per sé, incanta è incrementata dal gesto del danzatore franco-marocchino Amine Messaoudi, sorta di malizioso Cupido, che trasfigura in icone del grande cinema delle origini. Come non percepire echi di Murnau nei fantasmatici disegni che crea con un semplice costume candido e alato? La semplicità dei mezzi fa

Moretto del Pujati di Sacile, che precipita non troppo lentamente, ma molto soavemente, in un inesorabile innamoramento per il giovane pianista biondo, immerso nel mondo bachiano ma non insensibile agli sguardi della fanciulla. Pur nelle brevità la densità delle scene e dello scorrere narrativo il cortometraggio fa pensare a stili immortali come quelli di Maestri quali – a ritroso nel tempo – Hal Hashby, John Schlesinger, i nostri sottovalutati Fabio Carpi e Valerio Zurlini, Fred Zinneman, Abel Gance, Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau. Senza, però, dimenticare suggestioni provenienti della

sulla composizione dell’inquadratura. Ho girato le riprese con lenti anamorfiche». Queste parole di Coassin non si riferiscono al cortometraggio in oggetto ma provengono da una intervista relativa ad un suo lavoro realizzato a Miami su quella icona della musica rock-pop che Iggy Pop («Un volto scolpito nella pietra» scriverebbe Borges). Una frase illuminante – è il caso di dirlo – sulla sensibilità creativa e trasfiguratrice del regista. Viene in mente l’uso di lenti particolari che usò Ridley Scott nel capolavoro di debutto come regista di lungometraggi: The duellist («I duellanti» del l977).

gista e della troupe «annusano» la luce e immaginano ciò che potrà diventare un sito nella dinamica di una narrazione per immagini e suoni. In questo caso sublimi, visto che le Variazioni Goldberg di Bach costituiscono un vertice compositivo senza pari. Così il barocco musicale dialoga con il barocco architettonico, la visionarietà coreografica di un danzatore di fisicità quasi alchemica si nutre del pianismo sorvegliato eppure intensamente poetico dell’implume (eppur maturo) Bies immersi in luci soffici e trasfiguranti, quasi occhio dell’inconscio. Così dalla piccola Budoia due

non facili equilibri. Colpisce, infine, che in questa ragionata modernità dei mezzi la bellezza venga conclamata con soggetti che provengono dalla storia passata: musica e architettura del XVI, XVII e XVIII secolo, cinema degli esordi, espressionismo, controllata secchezza del realismo d’oltreoceano e, infine, il mistero, vera anima e motore dell’arte più suggestiva, che permea fiumi (di Note), valli e montagne dei dintorni di Sacile e Budoia, terra friulana venata di elegante venezianità. «Goldberg serpentine love»: da vedere e sentire, come un sogno da accogliere e far proprio.

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Ancora i giovani gioiosi e festosi lungo la Calle dell’Oca.

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gio, cura delle luci mai invadenti, colori pastello, quando non, a siglare un stile elegantissimo e nostalgico, un bianco e nero d’antan. Coassin non è solo uno straordinario fotografo – che già non è poco – ma appartiene a quel novero di registi che, giustamente, dalla fotografia nascono come Jan de Bont e l’ancora più grande Ridley Scott. Solo chi vede negli interstizi della luce l’immagine dei sogni può poi trarli in evidenza. E solo chi ha visto e amato tanto, tanto cinema. Di tanti tipi ma soprattutto degli stili fondativi e sovrastorici. Nella serpentina amorosa nutrita da frammenti di quel capolavoro assoluto che sono le Goldberg Variationen di Johann Sebastian Bach interpretate dall’etereo eppure coin-

Tymoteusz Bies, il giovane pianista polacco in meditazione, avvolto dall’assordante fragore della Livenza.

sì che l’ingegno di Coassin emulsioni momenti iconici come ad esempio quando il pubblico di giovani è frontalmente illuminato. Giovani i cui volti denunciano quello Stupor che fu dei primi spettatori ma anche di quelli che, per decenni, hanno goduto di capolavori. Vale la pena di abbandonarsi alla visione di questo minifilm la cui completezza non ha nulla da invidiare ad un articolato lungometraggio. È noto che la brevità in arte è assai più difficile da gestire di forme estese. Le atmosfere riescono ad essere sorprendentemente metatemporali, e, pur narrando, un po’ sospese. Scelta eccellente – in un attento casting di 80 giovani studentesse – per il volto e la fisicità da ragazza degli anni ’20 quella di Ilaria

raffinatezza di Visconti e della stralunatezza felliniana. Il rapporto diretto e storico, poi, con la altissima magistralità di Peppino Rotunno, caposcuola di una teoria di geni della fotografia cinematografica – da Vittorio Storaro al carnico (di origine) Dante Spinotti – la dicono lunga sull’apprendistato di Coassin. Una riflessione la merita la luce degli esterni – ché quelli interni sono più gestibili con luci, proiettori e fari adeguati – poiché la luce di Sacile, della zona ripresa, è sinuosamente permeata di riverberi che giungono dalle acque del Livenza. «Già in altre occasioni, per alcuni film, ho illuminato a giorno scene in cui era scritto «interno notte poco illuminato». Qui invece abbiamo giocato sulla cromia e

Il regista Luca Coassin sul set durante le riprese cinematografiche.

L’ambiente, se ben scelto, è complice. Una intuizione che è certo nata nell’idea originaria di Davide Fregona, non nuovo a contestualizzare «artisticamente» eventi (Palazzo Regazzoni per vari eventi, la ex chiesa di San Gregorio...) dove i suoni vengono potenziati dal Genius loci. Poi i sopralluoghi del re-

artisti moderni – dove moderno significa esperto nell’organizzazione e nella lucidità progettuale – lanciano al mondo, attraverso il media audiovisivo un messaggio che può giungere ovunque, nel segno dell’eccellenza e dell’originalità. Questo dove archetipi e strumenti culturali di alto profilo raggiungono

Davide Fregona alla presentazione della giuria del concorso ‘Piano FVG’.

È professore di Storia ed Estetica della Musica al Conservatorio «G. Tartini» di Trieste ed è membro del Consiglio d’Amministrazione. Docente presso i corsi di ARTEM (alta scuola specialistica di formazione di musicoterapisti), ha collaborato e collabora con prestigiose istituzioni e fondazioni liriche (Bologna, Venezia, Roma, Modena, Siena, Parma), svolge attività di conduttore e regista in campo radiofonico e televisivo con la RAI e strutture private. È drammaturgo – autore di oltre una ventina di testi teatrali realizzati la RAI, per Mittelfest e Festival di Spoleto – compositore di musiche di scena, per balletto, di oratori e di commento radiotelevisivo, oltre che polistrumentista (batteria, percussioni, chitarra, tastiere, flauto). Fa parte del Comitato di gestione dell’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi del Ministero dei beni culturali. Critico musicale e culturale, ha lavorato con testate nazionali e ora mantiene rapporti di collaborazione con Il Gazzettino. Ha tenuto conferenze e seminari per le università di Bologna, Roma Tre, Rouen, Trieste, Udine e Venezia, e diretto i Laboratori Interscolastici di Istruzione e Sperimentazione Musicale. Fra i premi e le onorificenze, nel 2007 ricevette il titolo di socio-corrispondente dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Udine, fondata nel 1606, per alti meriti culturali.

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*MARCO MARIA TOSOLINI

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