l'Artugna n. 155

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ANNO L I / APRILE 2022 / NUMERO 155 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA


L’EDI TO RIALE

di Roberto Zambon

Speravamo... Ormai ci speravamo. L’inverno stava per finire, il numero dei contagiati dal virus diminuiva di giorno in giorno; i vaccinati crescevano continuamente. Il 2022 si presentava come l’anno della ripartenza. Invece, cominciarono ad arrivare brutte notizie dall’Europa centro-orientale. Notizie tanto brutte da far quasi dimenticare la pandemia. Dopo mesi di tensione tra la Russia e l’Ucraina, in Gennaio la Russia cominciò ad aumentare il numero di militari nei pressi del confine. Alcune fonti parlano di un esercito di circa 200 mila soldati. Per la gravità della situazione, furono organizzati colloqui diplomatici bilaterali USA-Russia, ma tutti senza esito positivo. Il 22 febbraio il presidente russo Putin «riceve» i pieni poteri per effettuare operazioni militari all’estero. Inizia l’invasione dell’Ucraina che causa morti e distruzioni e un forte logoramento dei rapporti tra la Russia e i Paesi dell’Occidente. Le notizie che arrivano dall’Ucraina peggiorano di giorno in giorno. Bombardamenti di obiettivi militari, ma anche civili, portano morte, dolore e distruzione.

«Penso ai milioni di rifugiati ucraini che devono fuggire lasciando indietro tutto e provo un grande dolore per quanti non hanno nemmeno la possibilità di scappare. Tanti nonni, ammalati e poveri, separati dai propri familiari, tanti bambini e persone fragili restano a morire sotto le bombe, senza poter ricevere aiuto e senza trovare sicurezza nemmeno nei rifugi antiaerei…». L’arrivo dei profughi è motivo di preoccupazione. Ovviamente è necessario trovare la soluzione a molti problemi di logistica: trovar loro un posto dove trascorrere il periodo da esuli, possibilmente procurare loro un lavoro e inserire i piccoli nelle scuole… Il Comune di Budoia e le nostre Parrocchie hanno dimostrato molta sensibilità verso questi problemi. Su richiesta dell’Amministrazione Comunale, la parrocchia di Dardago ha messo a disposizione parte della canonica, dove ora vivono nove persone ucraine di una stessa famiglia. Quindi anche la parrocchia di Budoia e alcuni privati hanno messo a disposizione alcuni alloggi disponibili. Anche le Associazioni si sono mosse. In primis gli Alpini che hanno messo a disposizione la loro sede di Dardago

Gruppo di ucraini ospiti della parrocchia di Budoia con il sindaco, l’assessore Cimarosti, alcune volontarie e privati che hanno messo a disposizione le loro case. A destra. La famiglia di ucraini che alloggia nella canonica di Dardago con l’assessore Ianna e il capogruppo degli alpini Andreazza.

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Migliaia di profughi fuggono verso i paesi occidentali, tra cui l’Italia. Televisione e radio ci aggiornano continuamente sulla tragedia che si compie in Ucraina, lo Stato da cui, negli anni scorsi, sono arrivate migliaia di «badanti» dei nostri vecchi.

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La situazione in Ucraina è fotografata con molto realismo da questo intervento del Papa all’Angelus del 20 marzo: In Ucraina «anche questa settimana missili e bombe si sono abbattuti su civili, anziani, bambini e madri incinte. Tutto questo è disumano, anzi è anche sacrilego perché va contro la sacralità della vita umana. Soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia». «Non dimentichiamolo: è una crudeltà, disumana e sacrilega». «Preghiamo in silenzio per quanti soffrono. Sono andato a trovare i bambini feriti che sono qui a Roma: a uno gli manca un braccio, un altro è ferito alla testa... bambini innocenti [...]».

per la raccolta di oggetti, vestiti ecc. a favore degli Ucraini. La Parrocchia di Dardago, inoltre, ha aperto un conto corrente bancario per la raccolta degli aiuti finanziari. Chi desidera offrire donazioni in denaro – che saranno utilizzate a livello locale per l’accoglienza dei rifugiati nei nostri paesi – può fare un bonifico su tale conto intestato a

Parrocchia Santa Maria Maggiore codice IBAN IT56Z0533664770000030670195 Banca Popolare Friuladria Aviano

La grande sensibilità, a più livelli, che abbiamo avuto modo di constatare in questo periodo ci apre un po’ la strada verso l’ottimismo! Preghiamo e speriamo!


LA LETTERA DEL PLEVÀN

di don Davide Gambato

Noi dobbiamo essere coloro che sperano

«il terzo giorno» Carissimi Fratelli, questa quaresima è iniziata nel segno della tristezza e dell’inquietudine. Ci sembrava ormai di poter uscire dalle preoccupazioni della pandemia e poter riprendere a vivere, ma indesiderate sono arrivate dall’Ucraina le immagini della guerra. Il nostro cuore è stato invaso dallo smarrimento e dall’angoscia per i morti, per le sofferenze di tutti i feriti, per il lamento doloroso dei profughi, dei senza tetto, di coloro che vivono nell’angoscia dei bombardamenti. Vediamo vittime innocenti di una guerra che non comprendiamo e non vogliamo. Avevamo anche pregato tanto per la pace, ep-

e a cambiare vita, per stare nel mondo da persone risorte con Cristo, così come celebreremo nella Pasqua. Convertirsi è permettere allo Spirito di renderci capaci di vedere la realtà come la vede Cristo, e non come la vede il mondo; di considerare la storia nell’ottica dell’amore e non del dominio. Convertirsi è rendere sempre più profondo in noi lo stile di Gesù, il suo sguardo misericordioso, la sua capacità di vedere ovunque occasioni per mostrare quanto grande sia l’amore di Dio. Convertirsi è dunque il primo mezzo per sconfiggere la guerra, perché è entrare in una nuova logica, quella dell’amore e non della prevaricazione, della fratellanza e non dell’odio. Solo facendo esperienza di Dio, del suo amore, della sua provvidenza e ancor più della sua misericordia, nascerà in noi il desiderio della conversione, il desiderio di essere come Lui capaci di amore sempre e comunque.

Don Davide con i bambini e la nonna ucraini nell’oratorio di Budoia.

pure è arrivata la guerra: il Signore si è forse girato dall’altra parte? Dobbiamo confessare che la nostra vita e la nostra preghiera sono impregnate della logica del mondo che mette il proprio profitto, il desiderio di prevalere e primeggiare, la propria tranquillità, il proprio piacere prima di tutto il resto. Abbiamo dimenticato la verità, la giustizia, la libertà e la carità arrivando a tollerare atti di menzogna, d’ingiustizia, di possesso egoista, di dominio sull’altro, di pregiudizio e odio. In questo quadro non ci può essere pace e la nostra preghiera è inefficace perché ipocrita. La quaresima invita tutti a convertirsi

Papa Francesco ci ha rivolto alcuni inviti per questa quaresima: Non stanchiamoci di pregare. «Abbiamo bisogno di pregare perché abbiamo bisogno di Dio. Nessuno si salva da solo ma soprattutto nessuno si salva senza Dio, perché solo il mistero pasquale di Gesù Cristo dà la vittoria sulle oscure acque della morte». «Durante la Quaresima siamo chiamati a rispondere al dono di Dio accogliendo la sua Parola ‘viva ed efficace’. L’ascolto assiduo della Parola di Dio fa maturare una pronta docilità al suo agire che rende feconda la nostra vita». Non stanchiamoci di estirpare il male dalla nostra vita. «Il digiuno corporale a cui ci chiama la Quaresima fortifichi il nostro spirito per il combattimento contro il peccato. Non stanchiamoci di chiedere perdono nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, sapendo che Dio mai si stanca di perdonare. Non stanchiamoci di combattere contro la concupiscenza, quella fragilità che spinge all’egoismo e ad ogni male e fa precipitare l’uomo nel peccato».

Non stanchiamoci di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo. «La Quaresima è tempo propizio per cercare, e non evitare, chi è nel bisogno; per chiamare, e non ignorare, chi desidera ascolto e una buona parola; per visitare, e non abbandonare, chi soffre la solitudine. Mettiamo in pratica l’appello a operare il bene verso tutti». Anche quest’anno l’iniziativa della quaresima di fraternità «Un pane per amor di Dio» ci offrirà un’opportunità concreta per rendere operosa la nostra carità. Iniziamo con decisione e coraggio questo tempo di conversione. C’è tanto bisogno di cuori nuovi pieni di Gesù, di persone risorte: sono la certezza che la guerra non prevarrà sulla pace, che la vita sconfiggerà la morte. Noi dobbiamo essere coloro che credono nel «terzo giorno». Il Golgota ci narra una storia nuova: testimonia di una morte che non strappa la vita, di una morte che non ha più potere sulla vita, di una morte in cui la vita è compiuta. La luce brilla tra le tenebre e le dissolve, l’acqua penetra la terra e la feconda, Gesù, il Cristo è entrato nel peccato del mondo, ha affrontato la morte dell’uomo, ha donato la vita e ne ha rivelato la verità. «Io credo che il terzo giorno risuscitò da morte». Non ci abbandonare Dio, rassegnati al nulla, aiutaci a vivere con te la passione per la vita. Oltre ogni tempo, oltre la guerra, oltre le cose, donaci sempre di sperare «il terzo giorno». Auguri di buona Pasqua a tutti. Con la mia benedizione

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www.parrocchie-artugna.blogspot.com


LA RUOTA DELLA VITA NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Francesca Fornasier di Diego e di Elisa Della Valentina – Budoia Ludovica Zambon Foster-Orr di Christopher e di Valeria Zambon – Londra

LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Laurea Emanuele Fedrigolli – Laurea in Ingegneria Gestionale (110 con lode) – Politecnico di Milano Maddalena Bevilacqua – Laurea in Scienze della Formazione Primaria – Università di Udine – Santa Lucia di Budoia

DEFUNTI IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori.

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Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

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Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di... Fabio Zambon Pinàl di anni 93 – Baggio – Milano Rosalia Marangon Ariet di anni 88 – Budoia Enrichetta Angelin ved. Carlon di anni 99 – Budoia Graziosa Zambon ved. Polese di anni 81 – Coltura Giustina Favia ved. Zambon di anni 88 – Dardago Giampaolo Lugli di anni 84 – Budoia Felipe Antonio Fernandez Peres di anni 81 – Budoia Sandro Tranci di anni 50 – Dardago Aurora Del Maschio ved. Penso di anni 94 – Budoia Lidia Rigo ved. Balla di anni 93 – Budoia Luigia Zambon ved. Bastianello di anni 93 – Dardago Erino Ardemagni di anni 82 – Dardago Emilia Bocus ved. Zambon di anni 90 – Dardago Luigi Bastianello Thisa di anni 100 – Dardago Pietro Rigo Moreàl di anni 76 – Dardago Paolo Vettor di anni 54 – Venezia Piera Zambon Sclofa in Polese di anni 79 – San Quirino Angela Lina Berton ved. Zambon Pala di anni 85 – Francia


L’ARTUGNA PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA DARDAGO

BUDOIA

SANTA LUCIA

IN QUESTO NU MERO

155 ⁄ ANNO LI / APRILE 2022

www.issuu.com/artugna

@ direzione.artugna@gmail.com

2 Editoriale. Speravamo... di Roberto Zambon

26 Dante in Friuli? di Joshua Giovanni Honeycutt Balduzzi

3 Noi dobbiamo essere coloro che sperano «il terzo giorno» di don Davide Gambato

28 Inferno, Canto XXXIII, vv 1-27 e 37-90

4 La ruota della vita facebook.com/ArtugnaPeriodico

Direzione, Redazione, Amministrazione Via della Chiesa, 1 · 33070 Dardago [Pn] Conto Corrente Postale 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT BPPNIT2P037 Direttore responsabile Roberto Zambon · cell. 348.8293208 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Paolo Burigana, Leontina Busetti, Francesca Fort, Francesca e Vittorio Janna, Rita Marson, Mario Povoledo

6 Quando mancano i valori di democrazia e libertà, non c’è la pace a cura di Vittorina Carlon La libertà di Francesco Cauz Rasputin. Un brano di Storia comparata di Alessandro Fontana 8 Le nuove generazioni ‘fanno memoria’: a Dardago due pietre d’inciampo a cura di Roberto Zambon

36 L’inno alla vita 37 Accompagnano le offerte Il bilancio 38 Un marchio per le nozze d’oro de l’Artugna con i suoi lettori di Vittorio Janna La Recensione 39 Programma religioso

13 Dignità di Mario Povoledo 14 Dio dei Cieli, principe della pace… di Andrea Paganini 15 Quando si libera la fantasia... di Leontina Busetti

Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn

16 Percorsi tra i nostri colli di Leontina Busetti 18 Tita Maniach, abile scultore e... pittore di L.B.

IN COPERTINA

20 La grotta della natività di Umberto Coassin

La Natura, dopo la silente ed oscura pausa invernale, è pronta a sfilare orgogliosa davanti ai nostri occhi con la sua impareggiabile ed elegante bellezza intrisa di serenità primaverile. Un timido e solitario bucaneve (Galanthus nivalis), indice di purezza, evoca Rinascita interiore.

21 In fondo ad un cassetto di Pietro Ianna

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

33 La Cronaca

10 Per onorare la memoria di Giovanni e Benvenuto Vincenzo di Vittorina Carlon

Hanno collaborato Francesca Janna, Mario Povoledo, Espedito Zambon

Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

30 Lasciano un grande vuoto...

23 L’angolo della poesia e della preghiera 24 Uno spiraglio di «voci» di Roberto Cauz

È tempo di Rinascita.

[foto di Paolo Burigana]

25 ...a scuóla da Barba Andrea pa’ ciantà el passio... di Fernando Del Maschio

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Apriamo questo numero con un messaggio più che mai attuale dal titolo

«libertà» che ci giunge da Francesco Cauz, un bambino sensibile di otto anni che, insofferente all’immobilità del pettirosso dipinto nella grotta della Natività della chiesa di Budoia (cfr. articolo di Umberto Coassin a pagina 20), ridà indipendenza all’indifesa creatura e la fa volare, figurando ‘il volo’ come metafora di libertà. La libertà, concretizzata dall’uccellino, sia di buon auspicio a tutti i popoli

Quando mancano i valori di democrazia e libertà, non c’è la

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pace

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della Terra in questi momenti inquietanti, disumani, strazianti ed inenarrabili, in cui l’Ucraina è costretta a subire l’oppressione ma affronta e difende con orgoglio e fierezza la propria identità, incoraggiata dal mondo intero, per riappropriarsi della piena libertà che soltanto una forma democratica di governo assicura. Libertà e democrazia, due parole con significati profondi, due valori che rendono forti e rispettosi i diritti dell’uomo. Non avremmo mai immaginato d’inaugurare il 50° anno di vita del nostro periodico con venti di guerra che soffiano impetuosi da Oriente, a soli millecinquecento chilometri dal nostro confine. a cura di Vittorina Carlon


La libertà di Francesco Cauz Un giorno un uccellino volle entrare nella chiesetta al colle di Santa Lucia, ma non sapeva che stavano celebrando la messa. Una volta entrato il parroco lo vide e, notando qualcosa di strano, gli chiese: «Non sarai mica scappato dalla chiesa di Budoia?». L’uccellino non rispose e volò via. Finita la messa, il parroco andò a Budoia e si accorse che in chiesa era scomparso il pettirosso dal dipinto.

Rasputin Un brano di Storia comparata di Alessandro Fontana

di economia, di nomina di ministri, di questioni ecclesiastiche e perfino di operazioni militari (come si può leggere in ogni libro di Storia e nelle Enciclopedie). Rasputin era nato nel 1869 e venne assassinato nell’allora Pietroburgo nell’anno 1916 il 16 dicembre. Questa meravigliosa città cambiò presto nome, fu chiamata Leningrado e oggi è San Pietroburgo dopo la caduta del comunismo. Nel febbraio del 1917 la Madre Russia iniziò a cambiare regime e il deposto zar Nicola II venne assassinato per ordine di Lenin assieme a tutta la numerosa famiglia compresi i bambini, i servitori e perfino i cani. Tutti furono fatti a pezzi dai bolscevichi e gettati in uno o più pozzi. In questo brano si prospettano strane somiglianze e assonanze con i fatti d’oggi, Marzo 2022. Anzitutto i nomi Rasputin, Lenin, Pu-

tin: sembra che, all’impero dell’est Europa, i nomi terminanti con «IN» non portino bene. E poi lo storico ‘Rasputin’, casualmente composto dalle parole Ras e Putin, sembra attagliarsi bene al feroce dittatore che sta sconvolgendo i nostri già duri giorni. Forse i suoi compatrioti lo condanneranno alla stessa fine del consonante taumaturgo?

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Era l’anno 1907 e la Grande Madre Russia era guidata da un imperatore (famiglia dei Romanoff) Nicola II che fu un uomo debole e sfortunato, assolutamente inadatto ai tempi oscuri che si preparavano nell’Europa di allora. Amava molto la vasta famiglia e in particolare i figli tra cui Alessio, destinato alla successione, che era emofiliaco. La medicina ufficiale non fu capace di curarlo e Nicola II chiamò a corte una sorta di mistico avente grande fama di taumaturgo. Il suo nome era Gregorij Rasputin, un inquietante gigante di 1,93 metri d’altezza. Rasputin influenzò profondamente la famiglia dello Zar e, inizialmente, l’intera corte tanto che divenne il consigliere più intimo e ascoltato dell’Imperatore. In tutti gli affari di governo era in pratica l’uomo che decideva, che aveva l’ultima parola sia che si trattasse

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le nuove generazioni ‘fanno memoria’ a Dardago due pietre d’inciampo a cura di Roberto Zambon

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Anche Dardago è stato interessato da una originale iniziativa di un gruppo di studenti del Liceo Majorana di Pordenone coordinati dalle professoresse Corelli e Pettarin. Il progetto, giunto al quinto anno, si propone di togliere dall’oblio il sacrificio dei nostri concittadini o compaesani morti per la libertà nei campi di concentramento. Quest’anno, dopo la posa di cinque Pietre a Pordenone, gli studenti hanno curato la realizzazione di due Pietre d’Inciampo a Dardago. La loro posa ha avuto luogo, venerdì 28 gennaio, davanti alle abitazioni di due deportati nei campi di concentramento da dove non sono più tornati: Guerrino Zambon (a cura di Flavio Barameta e Giovanni Maria Sordi) e Gino Bocus (a cura di Erika Zambon e Eugenia Zanuttini).

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Guerrino Zambon La figura ed il sacrificio di Guerrino Zambon sono già stati ricordati dalla nipote Miriam Zambon e pubblicati nel numero 103 del nostro periodico l’Artugna (dicembre 2004). Miriam, nel suo articolo, ricorda che la famiglia, per molti anni, non ebbe notizie sulla sorte di Guerrino. Si sapeva che, dopo l’arresto a Dardago da parte delle truppe tedesche, il giorno 11 settembre 1944, insieme ad un altro compaesano, fu imprigionato a Pordenone e successivamente a Udine da dove fu deportato in Germania. Un anno dopo, la Croce Rossa comunicò alla famiglia la morte di Guerrino senza indicare il luogo della sepoltura.

di Duisberg dove probabilmente è deceduto. La salma fu tumulata nel Cimitero Militare Italiano di Amburgo. Fu organizzato un viaggio nella grande città della Germania settentrionale. Il Consolato Italiano fornì le informazioni per raggiungere il Cimitero Militare che si trova all’interno del principale cimitero della città. Il 6 dicembre 2004, Miriam e i famigliari entrarono nel Sacrario dove sono sepolti circa 5000 militari morti durante la seconda guerra mondiale. Grande fu l’emozione di Miriam e specialmente di suo papà, Raffaele, che mai avrebbe pensato di ritrovare la tomba del fratello dopo sessant’anni! Miriam ricorda ci fu un lungo momento di silenzio e di commozione e di preghiera. Su quella lapide, per la prima volta, furono posati dei fiori!

Momenti significativi della commovente cerimonia.

Dopo molti anni, Miriam sentì il bisogno di sapere di più sulla sorte dello zio e, dopo ricerche al Ministero della Difesa e all’Ufficio Onorcaduti, riuscì ad avere le informazioni sulla sorte dello zio. Guerrino, da Udine fu deportato nel campo si concentramento


Gino Bocus

settembre del ’44 alla disperata difesa dell’altopiano dall’attacco di più di 6.000 soldati tedeschi. Fu visto l’ultima volta vicino a Budoia da un contadino, mentre, vestito da alpino, scendeva dalle montagne con il suo mulo e cercava di convincere un uomo a nasconderlo nel suo campo del tabacco. A partire dalla firma dell’armistizio con gli alleati nel settembre del 1943, l’Italia settentrionale si trovò sotto il totale controllo delle forze

Dachau Quello di Dachau fu il primo campo di concentramento nazista, aperto il 22 marzo 1933 su iniziativa di Heinrich Himmler. Dachau servì da modello a tutti i campi di concentramento, di lavoro forzato e di sterminio nazisti eretti successivamente e fu la scuola d’omicidio delle SS che esportarono negli altri lager «Lo spirito di Dachau». Nell’ottobre 1933 venne emanato il primo regolamento del campo di Dachau. Conteneva ordini di servizio per le SS addette alla sorveglianza e le indicazioni per le brutali sanzioni da imporre ai detenuti. Tale regolamento, messo a punto da Theodor Eicke, doveva spezzare la personalità degli internati e impedire ogni tentativo di fuga, prevedendo per l’appunto pesantissime pene corporali ed esecuzioni. Il 10 e 11 novembre 1938, subito dopo la Notte dei Cristalli, più di 10.000 uomini ebrei vennero internati nel campo. Tra l’estate e l’autunno del 1944, per aumentare la produzione bellica, vennero creati dei sotto-campi diretti dal complesso di Dachau vicino alle fabbriche di armamenti, in tutta la Germania meridionale. Soltanto nei pressi di Dachau c’erano più di 30 campi satellite, in cui più di 30.000 prigionieri furono impiegati quasi esclusivamente nella produzione di materiale bellico. Migliaia di loro morirono per le condizioni disumane in cui furono costretti a lavorare. Il campo di Dachau venne poi liberato dall’Esercito degli Stati Uniti il 29 aprile 1945. Dal 15 novembre al 13 dicembre dello stesso anno si svolse nell’ex lager il cosiddetto «Processo di Dachau» contro le SS, che portò alla condanna a morte di 36 su 40 imputati. Vennero eseguite 28 delle 36 condanne a morte. Il 16 ottobre 1946, nei forni di Dachau, vennero cremati i corpi dei gerarchi nazisti impiccati a Norimberga per crimini contro l’Umanità. I processi proseguirono fino al 1948.

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Ecco la relazione su Gino Bocus a cura delle studentesse Erika Zambon ed Eugenia Zanuttini. Gino Bocus Frith nacque a Budoia il 29 luglio 1925 da Angelo Bocus e Giuditta Zambon, che già avevano due figlie più grandi: Maria, nata nel 1921, e Adda del 1923. Contadino nella vita e membro della divisione partigiana «Nino Nannetti», nel 1944 fu arrestato e consegnato ai tedeschi a soli 19 anni. La divisione di nome «Boscarin» era stata fondata un anno prima nel bellunese da un gruppo di antifascisti. Questa nel febbraio del 1944 si unì al distaccamento «G. Mazzini», andando così a costituire il nucleo della futura brigata della resistenza. Chiamata inizialmente «Distaccamento d’assalto Garibaldi», nome che veniva assegnato ad ogni divisione Partigiana di quel tipo, venne poi rinominata «Nino Nannetti» in onore dell’omonimo comandante antifascista bolognese caduto nella guerra di Spagna. La divisione occupò la Foresta del Cansiglio, che offriva una posizione strategica, al confine con due regioni, Friuli Venezia Giulia e Veneto, e tre province (Pordenone, Belluno e Treviso). Probabilmente prese parte con la sua brigata nel

tedesche, che si impegnarono per eliminare chiunque li contrastasse: chi opponeva resistenza veniva eliminato o con la fucilazione o deportato e impiegato nei campi di lavoro. Venne arrestato e consegnato dai tedeschi a Pordenone il 15 novembre del 1944 e internato con numero di matricola 2442; due settimane dopo, il 30 novembre, fu trasferito al carcere di Udine, da cui venne poi prelevato e caricato sul treno n. 109, partito da Trieste l’8 dicembre 1944 con destinazione Dachau. Circa 400 deportati giunsero con quel treno a destinazione l’11 dicembre 1944 senza Gino Bocus, che ancora oggi risulta disperso in deportazione in Germania.

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DUE SOLDATI DEPORTATI CHE NON RIABBRACCIARONO MAI PIÙ I LORO CARI

per onorare la memoria di Giovanni e Benvenuto Vincenzo Nei mesi di aprile ed agosto 1983 del periodico l’Artugna (nn. 40 e 41), pubblicammo le testimonianze dei reduci della ritirata di Russia della seconda guerra mondiale, in occasione dei 40 anni dalla battaglia di Nikolaevka (dicembre 1942–gennaio 1943). Oggi, a quasi ottant’anni dal triste evento, ne estrapoliamo alcune per ricordare ed approfondire le giovani vite di Giovanni Biscontin e Benvenuto Vincenzo Busetti. di Vittorina Carlon

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Tra i protagonisti1, l’ufficiale Mario Ponte scriveva che il villaggio russo di Nikolaevka «va ricordato per l’eroismo e la disperazione di quanti per giorni e giorni, sfiniti dai combattimenti e dalle marce massacranti sulla neve a 40-45 °C sotto zero, seppero aprirsi un varco e rompere l’accerchiamento nemico verso un ritorno sul quale già pochi contavano. [...] Nikolaevka, presieduta da una divisione russa […], si può considerare l’atto finale della battaglia del Don che ebbe inizio ai primi di Dicembre 1942 con l’attacco al fronte tenuto dall’Armir» (l’8 a Armata italiana).

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Un altro testimone, Augusto Angelin, sergente dapprima sul fronte greco e successivamente su quello russo, decorato di medaglia d’argento e di bronzo, apriva così la narrazione: «Ho ancora vivo nella mente immagini che mai riuscirò

fatica e dalla mancanza di viveri. «La ritirata fu un disastro – sottolineava Augusto – lì non morirono tutti, lasciai in vita diversi dei miei compaesani ed amici. Parlai con Giovanni Biscontin Mastela, che stava bene, poco prima che egli fosse fatto prigioniero. Non l’ho più rivisto, pur avendolo lasciato in vita».

Vincenzo Benvenuto Busetti.

a cancellare e scene che, pure nel sonno, riaffiorano di frequente e provocano incubi a distanza di quarant’anni». Anche per lui iniziava la lunga e interminabile Campagna di Russia tra l’influenza debilitante causata dal freddo, dalla

Chi era Giovanni? Figlio di Andrea Biscontin e di Santa Martini, nacque a Maniago e risiedeva con la famiglia a Budoia nella casa paterna; secondogenito di tre fratelli (Gina, Giovanni, Angelo), nacque il 2 marzo 1922. Persona intelligente ed educata, così lo ricordavano in paese, era celibe e svolgeva il lavoro di impiegato comunale. Arruolato nel Quartier Generale del Corpo d’Armata alpino, fu avviato al fronte russo con l’8a Armata (dei 57.000 alpini partiti per


Foto in alto a sinistra. Lettera di Benvenuto datata 13 febbraio 1944 e lettera spedita il 26 febbraio 1944.

la Russia, ne ritornarono solo 11.000). Nell’elenco dei Caduti e dei Dispersi risulta «disperso in combattimento in URSS, fronte Don», il 31 gennaio 1943, contrariamente alle attendibili testimonianze di Augusto, utili e valide per onorare la memoria dell’amico e toglierlo dall’oblio. Purtroppo, a causa dell’immane numero di morti, non tutte le informazioni presenti negli elenchi ufficiali risultano esatte o complete come constatato durante le ricerche della Prima Guerra Mondiale. Nonostante l’instancabile attesa dei famigliari, Giovanni andò ad accrescere le lunghe liste di persone scomparse e dimenticate. Nel suo diario postumo, Paolo Busetti ricordava invece la partenza per il fronte russo, il 18 agosto 1942, e il primo riposo dopo tanti giorni di marcia in un villaggio

ucraino dove «il nostro tenente cappellano ufficiò la S. Messa e tanti bambini di quella regione fecero la loro prima Comunione avendo come padrini gli ufficiali del nostro Battaglione: fu una giornata bellissima per tutti noi. […]» Con struggente nostalgia rievocava inoltre il giorno di Natale: «il mio pensiero volò alla mia casetta lontana, dove c’erano mia madre, mio padre, mia sorella. Un altro mio fratello si trovava pure lui in guerra sul fronte balcanico; eravamo lontani dalla nostra casa, dalla nostra chiesetta, dalla nostra bella Italia». Si trattava del fratello maggiore di nove anni: Vincenzo Benvenuto, figlio di Celeste e Soldà Genovina, nato il 19 dicembre 1913 a Santa Lucia. Era già sposato con Luigia (Luisa) Zanus Michiel, quando fu chiamato alle armi nel

NOTA 1. Ricordiamoli: Augusto Angelin Pelàt, Paolo Busetti Caraco, mons. Enelio Franzoni, Gino Ianna Tavàn, Mario Ponte, Giovanni Zambon Bonaparte, Giovanni Zambon Curadela.

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Vincenzo Benvenuto durante un’esercitazione.

55° Reggimento Fanteria e inviato al fronte. Venne fatto prigioniero dal nemico, deportato da Ragusa (Jugoslavia) il 18 settembre 1943 e internato nello Stammlager VI C (matricola numero 95029); come altri prigionieri venne impegnato duramente in una miniera di carbone. Il suo fisico – già compromesso prima dall’estenuante vita di guerra e dopo dalla micidiale prigionia tra stenti, fame ed eccessivo lavoro – deperiva giorno dopo giorno, fino a contrarre la turbercolosi. Venne ricoverato presso l’infermeria dello Stalag VI A di Hemer/Hiserlon, a nord Reno in Westfalia (Germania), diretta dal dottor Leopoldo Faretra o Zaretra (provincia di Foggia), e lì si spense il 10 marzo 1944 all’età di 30 anni, assistito dal medico e spiritualmente dal cappellano militare che gli somministrò tutti i Santi Sacramenti, «che Benvenuto ricevette con tanta rassegnazione alla volontà divina», come comunicò lo stesso don Angelo alla famiglia al suo rientro dalla Germania, il 10 ottobre 1945. Il suo corpo venne sepolto cinque giorni dopo nel cimitero di guerra franco-polacco di Hemer, nella tomba contrassegnata dal numero 325 (nella lettera alla famiglia, il medico informava che «la salma [di Benvenuto] riposa nel piccolo cimitero degli italiani in Hemer»); fu successivamente riesumato e traslato a Francoforte sul Meno, nel cimitero militare italiano d’Onore.

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per onorare la memoriadi Giovanni e Benvenuto Vincenzo

Dall’epistolario di Vincenzo Benvenuto Busetti (l’emittente si firma Benvenuto o Vincenzo oppure marito)

Durante gli ultimi mesi di vita, Vincenzo Benvenuto scriveva spesso all’amata moglie Luisa, divenuta poi sposa del fratello Paolo; le sue lettere furono gelosamente custodite da lei e dalle nuove generazioni. Ne riportiamo alcune. 1 febbraio 1944 Mia Cara, dopo un lungo silenzio giungo a te facendoti noto della mia ottima salute come vorrei sperare di te e di tutti di famiglia cioè i nostri cari. Mia Cara, non puoi credere come è grande il desiderio di scriverti, ma prima di ora non ho potuto far nulla, cioè non ho potuto farti noto della mia salute, ma ora spero di poterti farti avere più frequente mie nuove. Mia Cara, vorrei sperare che avrai ricevuto il modulo del pacco e che lo avrai spedito e avrai messo dentro della roba [...] e pure un po’ di pacchetti di tabacco e cartine o toscani... Infiniti baci tuo Vincenzo Il 6 febbraio 1944 Mia cara, spero presto sia quel bel giorno, di poterci riabbracciare per sempre e vedere i nostri cuori nella più grande felicità. Mia cara, non puoi credere quanto attendo e amo una tua riga, come mi immagino la volontà del tuo stesso cuore di ricevere un mio scritto. Termino questo mio scritto con un più lungo abbraccio e infiniti baci. il tuo Vincenzo Busetti Questa lettera fu scelta con sensibilità da Barbara Pitton, figlia di Paola Busetti e nipote di Luisa e di Paolo, per inserirla nel suo annuncio di matrimonio con Marco, ricordando il primo marito della nonna e suo prozio. 13 febbraio 1944 dal Campo dei prigionieri di guerra. M. Stammlager VI A Mia Cara, pure oggi t’invio queste mie poche righe per far tranquillo il tuo Cuore e quello dei miei cari che la mia salute prosegue bene, con la speranza di voi tutti. Ti prego ai pacchi al più presto. Termino con un infinito abbraccio dal tuo Benvenuto

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Come si può notare, Benvenuto non può o non vuole parlare del peggioramento della sua salute; così lo farà fino all’ultimo momento di vita.

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19 febbraio 1944 Mia Cara, giungo a te facendoti noto il mio ottimo stato di salute, così vorrei sperare di te e pure di tutti i nostri cari.

Mia Cara, vorrei sperare che tu stai bene e sei guarita di ogni cosa così almeno soffri solo la mia lontananza, vero? Però ti penso di essere sempre forte che speriamo in breve di vederti e non solo vederti ma bensì rimanere poi per sempre uniti, vero? Mia Cara, quando mi rispondi fammi sapere tutto come va, come vi trovate con la situazione familiare, se vai d’accordo in famiglia, secondo poi dei signori zii cosa dicono riguardo tutto l’insieme. Quando vai dai tuoi, salutali per me, spero stiano tutti bene pure loro e tuo fratello dov’è? Termino queste due righe con un più affettuosissimo abbraccio e un lungo bacio unito ai nostri cari dal tuo marito A quattro giorni dalla morte continua a sostenere di essere in ottima salute. 6 marzo 1944 Mia Cara, giungo a te con queste mie due righe facendoti noto della mia ottima salute, così vorrei sperare di te e di tutti di famiglia cioè i nostri cari. Mia Cara, assieme a questa mia ti invio pure due moduli per inviarmi dei pacchi non puoi credermi è grande il desiderio di scriverti ma prima di ora non ho potuto far nulla, cioè non ho potuto farti noto della mia salute, ma ora spero di poterti farti avere più frequente mie nuove. Mia Cara, vorrei sperare che avrai ricevuto il modulo del pacco, quindi non occorre che ripeta ciò che dovresti includere dentro, sotto ti dico di mandarli distanziati l’uno dall’altro di qualche settimana, secondo poi mettete roba di bucato. Mia Cara, non puoi credere quanto che il mio cuore desidera vederti e sentire una tua parola di conforto, sopra un pezzo di carta, dopo i mesi che non leggo più quei fatti di protocollo con mille e mille parole conservali però. Mia Cara, spero di ricevere pure io una tua riga. Termino però il mio cuore ti è sempre a te vicino così spero di te. Unisco un più affettuosissimo abbraccio e un lungo bacio unito ai nostri dal tuo Benvenuto L’ultimo messaggio postumo alla sua morte (?), con data manomessa. 1 aprile 1944 (morto il 10 marzo) o 28 gennaio 1944? Mia Cara, giungo a te con queste mie due righe facendoti noto che la mia salute prosegue bene così spero di te e dei nostri cari. Mia Cara, quando spedisci i pacchi mettimi pane, salame e un po’ di lardo da mangiare e da fumare però tabacco o toscani. Termino con un più affettuosissimo abbraccio unito ai nostri cari. tuo marito


DIGNITÀ di Mario Povoledo

tribuito il seguente significato: «la condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso». La dignità, Sergio Mattarella, nel suo discorso agli Italiani il giorno del suo reincarico a Presidente della Repubblica, l’ha declinata 18 volte, accostandola ai diversi mali che affliggono tutt’ora il nostro Paese. Andando indietro di sette anni, (3 febbraio 2015) nel discorso davanti ai Grandi Elettori, Senatori, Deputati e Rappresentanti regionali, venne l’invito a cogliere l’essenziale del servizio che un Capo di Stato è chiamato a svolgere giorno per giorno. Un servizio affidato dalla Costituzione, sulla quale ha prestato giuramento di fedeltà e che i cittadini sono chiamati a conoscere per poterlo condividere e sostenere nella costruzione del bene comune. «Mi auguro – diceva in quel discorso – che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. I volti preoccupati degli anziani, soli e in difficoltà, il volto di chi soffre, dei malati e delle loro famiglie che portano sulle spalle carichi pesanti. Il volto dei giovani che cercano lavoro e quelli di chi il lavoro lo ha perduto, o sono morti». Richiamava anche i volti degli imprenditori, dei volontari, di quanti lottano per la giustizia e la legalità, delle donne; così concludeva: «questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale». 7 anni dopo, siamo nel 2022, si è cercato di dare un volto al nuovo Presidente, sapendo che Mattarella lo aveva chiaramente fatto capire, che il suo posto era fare il nonno e non ricaricarsi sulle spalle un peso evidente, che l’alto ufficio impone. L’avviso ai naviganti (leggi politici) era chiaro, cercare l’accordo per trovare una persona con un profilo alto, super partes, che non può venire da una mediocrità di pensiero e da calcoli

che poco o nulla hanno a che fare con le attese di un popolo la cui sovranità è affidata al Parlamento, che, purtroppo, ha dimostrato ancora una volta di disattendere le reali necessità degli italiani. La sua lungimiranza ha sbloccato una situazione parlamentare ingarbugliata che poteva portare solamente ad una palude istituzionale e governativa dagli esiti imprevedibili, proprio in un momento assai critico, contrassegnato dalla persistente pandemia, da un debito pubblico alle stelle, con riforme importanti ancora tra gli scogli delle due camere. Quel senso di responsabilità che gli ha fatto dire di non potersi sottrarre e che il sacrificio di altri sette anni ha prevalso su «prospettive personali differenti». L’avvilente spettacolo che abbiamo assistito, con riunioni notturne di capi partito, conciliaboli, veti incrociati, candidature di profilo bruciate nel giro di poche ore, nomi nelle schede che nulla avevano a che fare con la realtà e il momento solenne della votazione, è stato demoralizzante ed ha aumentato nella gente la disaffezione e la sfiducia verso una politica che è incapace di volare alto. Tant’è che Mattarella ha voluto ricevere, nel rispetto delle prerogative del Parlamento, non i segretari dei partiti, ma i presidenti dei gruppi parlamentari, per metterli di fronte alle loro responsabilità, nel rispetto della Costituzione. Nel suo articolato discorso che ha toccato tutti i problemi in campo, il Presidente ha lanciato un monito a chi traduce solo in numeri, in percentuali, in grafici, le sofferenze, le fatiche, le speranze e le aspirazioni delle persone e delle comunità. Quella parola dignità ha scavato, sicuramente non solo il cuore ma anche l’anima di tutti. I cittadini, in questa complessa realtà che stanno vivendo, tutti sulla stessa barca, si attendono d’ora in poi, che le parole nobili pronunciate si trasformino in realtà. Auguri Presidente e che Dio ce la mandi buona!

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S e si apre il vocabolario, alla parola dignità viene at-

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Dio dei Cieli, principe della pace, datore di ogni dono perfetto, ascolta la mia preghiera: in quest’ora solenne per la mia giovane vita, a Te con fiducia affido il mio cuore, la mia volontà, la mia mente; trepida ti chiedo di benedire questo mio spadino, perché possa essere sempre e solo simbolo di difesa e di protezione.

Anita Paganini con il diacono Silvano Scarpat, a conclusione della cerimonia.

Dio dei Cieli, principe della pace... Una preghiera solenne recitata da Anita, allieva della Scuola Navale Militare di Venezia di Andrea Paganini

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Con queste parole inizia la preghiera solenne che Anita Paganini, come prima di lei molti altri allievi e cadetti delle scuole militari di tutta Italia, ha scandito con emozione e orgoglio in occasione del rito di benedizione dello spadino. La cerimonia si è tenuta lo scorso 26 dicembre nella chiesa di Sant’Andrea, in occasione della messa di Santo Stefano officiata da don Vito Pegolo e dal diacono Silvano Scarpat. Si tratta di una cerimonia la cui importanza è legata al fatto di sancire l’investitura ufficiale di un allievo della Marina Militare, come nel caso di Anita che da settembre è entrata a far parte della Scuola Navale Militare «Francesco Morosini» di Venezia.

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La benedizione dello Spadino si tiene, di norma nel periodo di Natale, nella chiesa o parrocchia a cui appartiene l’allievo o il cadetto. Secondo l’antica tradizione, si dice che la donna che lo estrae per la prima volta dal fodero, cosa che avviene poco prima della benedizione, non tradirà mai il cadetto; da qui l’usanza di farlo estrarre dalla propria madre, in segno di benedizione e amore verso il figlio che ha deciso di intraprendere una scelta di vita e la professione nella Marina Militare o in altre Armi, motivo di orgoglio per tutta la famiglia.


di Leontina Busetti

Quando si libera... la fantasia no notati gli addobbi sulle case, sui portoni, sui muri, sui recinti. Diversi anni fa addobbi erano stati preparati per l’arrivo di un illustre paesano, il vescovo Domenico Comin, missionario in Ecuador. Questi decori erano stati conservati e rimessi per la processione della festa di Santa Lucia; da lì, visto l’avvicinarsi delle feste natalizie, sono stati lasciati ed arricchiti. Quest’anno, pur senza l’incentivo della processione, abolita per la pandemia, si è provveduto a decorazioni varie con maggior entusiasmo. Orfeo Gislon, utilizzando e riciclando legno abbandonato, ha costruito ben 50 pini e poi li ha dipinti. Due gruppi di signore si ritrovavano alla sera, o anche al pomeriggio in una stanza della casa canonica: qui con rami di pino di diverse specie, di agrifoglio, di magnolia, bacche, il tutto ravvivato da nastri, fiocchi, balocchi, luminosi pacchetti incartati, qualche bomboletta spray, si dava sfogo alla propria fantasia e abilità. Poi una mattina con carro, ovviamente trainato da trattore, i soci della «Riva de messa», sempre pronti e disponibili, li hanno posizionati. E sulla strada per andare in chiesetta, la riva de messa, la signora Francesca Cecchini, sulla cavità di un tronco d’albero, ha allestito un piccolo presepio, quasi nascosto, ma vedendolo, anzi scoprendolo, era un tocco di poesia. L’associazione «Riva de messa» con l’apertura della chiesetta d’estate, l’illuminazione della stessa, con il ripristino dei sentieri circostanti, si è così rivelata un gruppo efficiente e soprattutto motivo di slancio per un paese che appariva defilato e un tantino sornione.

Addobbi natalizi a Santa Lucia

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P assando per Santa Lucia un paio di settimane prima di Natale si saran-

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passeggiare all’aria aperta

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di Leontina Busetti

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percorsi tra i nostri

È sempre più frequente l’abitudine di passeggiare all’aria aperta. Coloro che abitano nelle nostre zone si devono ritenere fortunati perché i percorsi sono numerosi e vari. Non è difficile incontrare persone in campagna, su strade bianche che si incrociano permettendo così di decidere quanti chilometri si desiderano percorrere. Le biciclette la fanno da regine, alcuni anche su qualche cavallo, gente con cani che corrono liberi e senza

pericoli per sé stessi e per gli altri. Sul tratto della strada per Castello, poi, c’è una notevole quantità di acacie il cui profumo in primavera rilascia il loro profumo che è un buon valore aggiunto. Percorsi esposti al sole che fanno aumentare il buonumore oltre che attivare la vitamina D. Già vicino a Castello si vede la chiesetta di San Martino: pur chiusa, fa pensare all’importanza che aveva in passato, quando le scadenze del passato erano legate alla

vita religiosa. Comunque anche adesso l’11 novembre si celebra la Messa, poi gli abitanti di Dardago, dalla cui parrocchia dipende la chiesetta, offrono castagne, vino ed altro. Ed è sempre un piacevole ritrovo. A ciò si aggiungono i percorsi sulle colline intorno alla chiesetta di Santa Lucia, che sono stati ripristinati, puliti dalle sterpaglie e resi piacevolmente percorribili. Otto sentieri dai quali si può raggiungere Budoia e Polcenigo senza strappi ripidi


Colli di Santa Lucia mappa dei sentieri

colli

Legenda Percorso 1. Sentiero Gor Percorso 2. Truoi de Fontanathe Percorso 3. Via della Liberazione Percorso 4. Truoi del Bosc Percorso 5. Truoi de la Salera Percorso 6. Truoi delle Cascatelle Percorso 7. Truoi de la Fontana Percorso 8. Truoi de le Anguane

e difficoltosi (a parte quello verso la Salera). I soci della «Riva de messa», aiutati anche da un gruppo scout di Venezia, ha reso possibile tutto questo. All’avvicinarsi dell’estate si godrà una dolce frescura. Sulla strada per Fontanathe (Gor) si vedranno anche delle sculture in legno, lavori eseguiti su tronchi caduti con abilità e maestria da Piero Basaldella che arricchiscono questi sentieri e li rendono unici.

Tipologia dei percorsi: facile Il gruppo scout di Venezia, volontario a Santa Lucia.


NEL NOSTRO TERRITORIO

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l’arte di Giovan Battista Soldà in mostra a Santa Lucia

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Tita Maniach abile scultore e... pittore di L. B.


Da sabato 18 dicembre a giovedì 6 gennaio si è svolta a Santa Lucia, presso il centro di aggregazione giovanile, la mostra delle opere di Giovan Battista Soldà, ma per noi di qua Tita Maniach. Più volte su questa rivista si è scritto di lui, ma si è avvertita l’esigenza di raccogliere e di mostrare attraverso pannelli le foto dei suoi lavori. Alessia Vicenzi ha provveduto alla trasposizione delle foto di buona parte dei bassorilievi e dei dipinti che si trovano in case private; i soci della «Riva de messa» poi hanno completato l’allestimento. Purtroppo per difficoltà tecniche non si è riusciti a collocarli tutti; l’artista, inoltre,

non poneva la firma sulle sue opere per cui sono stati esposti solo quelli di cui si aveva certezza. E, quel che è peggio, molto è andato perduto nel rifacimento dei cimiteri, soprattutto gli angioletti, tenere immagini che ricordavano i neonati. Qualcuno si può ancora vedere nel cimitero di San Giovanni e in quello di

Alcune opere scultoree cimiteriali di Tita Maniach. Nella pagina a sinistra, il maestoso monumento ai Caduti di Santa Lucia.

Budoia. Un bassorilievo dolce e toccante per un bambino di un anno si trova nel cimitero di Budoia: è una mamma china sulla culla. Ora lo ospitiamo qui, in questa rivista. Ha presentato la mostra Fabrizio Fucile, ricordando Tita

Maniach attraverso il suo incontro con la figlia maggiore Maria, mancata da poco. Tita, uomo intellettualmente onesto e sensibile, abile e preparato, talvolta ha interpretato la vita privata dei defunti, altre volte ha generalizzato in «Pietà», senza mai ripetersi e mettendo in rilievo nel dolore la figura materna. Il bellissimo monumento ai Caduti, in piazza a Santa Lucia, gli angeli sulla facciata della chiesa parrocchiale, anche se molto in alto, ce lo rendono presente. Ma ora, andando in cimitero, potremo ricordarlo meglio, come se la vita anche per noi continuasse dopo la morte.


Nella chiesa di Budoia, a destra della navata, nello spazio in cui fino ad alcuni decenni fa era ospitato il vecchio confessionale ligneo ora demolito, il muro era rimasto al grezzo, cosicché per abbellirlo il pittore Umberto Coassin ha ideato la grotta della Natività. L’artista spiega al visitatore l’iter progettuale della sua opera realizzata nel 2021.

Gesù nasce tra le nostre crode

La grotta della Natività di Umberto Coassin Ho voluto rappresentare la Natività come se fosse avvenuta in mezzo a noi, ambientandola nel nostro paesaggio, sicuro che il pensiero sarebbe comunque andato a Betlemme. Seguono gli elementi da me raffigurati: il muro di sassi a vista, presente nelle costruzioni delle nostre abitazioni e nelle ‘ciase mate’ disseminate lungo il territorio montano e di pianura; luogo di ricovero di bestiame, pastori e viandanti, adatto quindi a rievocare la nascita in Terra del Salvatore, in una fredda grotta o capanna, lontano dal luogo abitato perché «non c’era posto per loro, così poveri, negli alberghi, già pieni per il censimento»; il cielo stellato, come quella notte, oltre duemila anni or sono. Campeggiano ben visibili una bella luna piena e la stella cometa che guiderà i pastori e i Re Magi all’incontro con Gesù; le nostre montagne, dalle quali emerge, ben visibi-

le, il massiccio del Monte Cavallo, con la prima neve che ne delinea i tratti maestosi a noi famigliari; sulla parete di destra, ho pensato ad un segno che l’attento occhio del visitatore scoprirà: un intruso*; gli angeli, che annunciarono ai pastori, considerati gli ultimi, gli scartati, i poco di buono di quell’epoca, la lieta novella del Natale, che cambiò le sorti del mondo «oggi vi è nato un Salvatore che è Cristo Signore», reggono un panneggio che rende gloria a Dio e pace in tutto il Creato. * Per permettere la comprensione del testo di Francesco Cauz a pagina 7 sveliamo l’elemento estraneo: un pettirosso. (nota redazionale)

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L’ambientazione realizzata dal pittore Umberto Coassin.

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in fondo ad un cassetto SECONDA PARTE

D on Cardazzo descrive la dimostrazione tumultuosa che avvenne il giorno 19 marzo 1840 quando si incominciò a seppellire nel nuovo cimitero di Budoia. Erano morti due fanciulli, ma il parroco per non compromettersi ed esporre la sua persona a probabili dileggi, avuto sentore che quelli di Budoia volevano il loro nonzolo con il crocefisso di Budoia e non quello di Dardago (questo diritto spettava al parroco), disse al cappellano don Cardazzo: «Dopo la messa io devo andare a Marsure, questa sera a Budoia ci sono due fanciulli da tumulare ed è giusto che a uno di questi andiate voi che siete il primo cappellano, il secondo lo tumula quello di Budoia. Se il nonzolo di Budoia si presenta con il crocefisso, voi, alla presenza di due testimoni, li dite che avete da me ordine che il crocefisso lo porti il nonzolo di Dardago». Immaginate con quale spirito il giovane cappellano si avviò per celebrare quel funerale, d’altronde era ben conscio a quali ostilità sarebbe andato incontro il parroco.

Nel viaggio fu accompagnato da alcuni dardaghesi che lo rincuoravano dandogli coraggio. Il defunto era in Contrada Lunga e quando giunsero al quadrivio degli Angelini (l’incrocio tra via Lunga e via Casale) tutto il piazzale era gremito di donne, uomini e bambini con gli occhi fissi su don Cardazzo. Questa turbe umana lo seguì fino alla casa del defunto dove c’era il nonzolo di Budoia con il crocefisso elevato. Il cappellano chiamò in disparte il nonzolo e, secondo gli ordini ricevuti, lo esortò a ritirarsi. Il nonzolo budoiese rifiutò dicendo che non poteva disobbedire a quelli di Budoia che gli avevano imposto di portare lui il crocefisso. Vedendo vicino a lui due dardaghesi, don Cardazzo disse loro: «Voi stessi sarete testimoni degli ordini che a lui diedi e della sua disobbedienza». Ciò detto prese dal suo nonzolo la cotta e la stola e diede inizio alla cerimonia nella totale confusione e disordine. Avviandosi la processione i due nonzoli diedero prova di gran equilibrio camminando a pari

passo, la processione verso la chiesa avvenne nel più totale disordine tra canti, urla e imprecazioni contro il parroco. Non mancarono le minacce e le bestemmie. Ma don Cardazzo proseguì, impassibile, verso la chiesa. Terminata la cerimonia, ritornò a Dardago, per la via più breve, disgustato e amareggiato. Era soddisfatto, però, di aver compiuto il suo dovere e di aver risparmiato al parroco tale situazione. Il parroco non era ancora rientrato da Marsure e don Cardazzo si recò in canonica la mattina successiva per narrargli l’accaduto (il cappellano non abitava in canonica, ma nella «ciasa del capelan» dove attualmente c’è l’asilo). Don Gozzi era avvilito, disgustato, anche se il suo animo era ormai avvezzo al punto che un anno prima aveva rifiutato un trasferimento con un pingue beneficio esclamando: «hoc est requiem mea». Ma egli da persona responsabile e sensibile qual era due giorni dopo chiamò in canonica i deputa-

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di Pietro Ianna

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ti e fabbricieri per estendere e firmare un concordato soggetto da approvazione dello stesso Vescovo. Concordato che, come si vedrà in seguito, ha giovato poco e in parte è rimasto lettera morta. Dalla lettura di questo decalogo si capisce quanto fragili e delicati fossero i rapporti tra le tre frazioni, in modo particolare tra Dardago e Budoia, un tocco di campana o un secchiello di acqua santa erano sufficienti a far esplodere una rivolta.

La data riportata è il 22 marzo 1840, la firma è del parroco don Giacomo Gozzi. Erano presenti i Deputati (gli attuali assessori) Stefani Sebastiano, Angelo Ianna, Buset Angelo e i Fabbricieri Sanson, Vettor, Lachin (i Deputati ed i Fabbricieri erano uno per frazione). Era presente anche l’Agente comunale Osvaldo Cardazzo. Il documento fu approvato dal vescovo Carlo Fontanini. Don Gozzi sottolinea che per i

trent’anni in cui lui è stato parroco ha sempre saputo conservare la pace, l’unione e la quiete della parrocchia e amerebbe che per il bene spirituale e temporale dei suoi parrocchiani, questo sia conservato anche in futuro, e questo renderebbe meno amaro il suo dolore per il suo distacco dalla parrocchia.

DECALOGO

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1. Le esequie dei defunti di Budoia e Santa Lucia non verranno più celebrati nella parrocchiale di Dardago, ma nella chiesa di Budoia perché più vicina al cimitero. 2. La cerimonia può essere fatta dai rispettivi cappellani, ma il parroco può riservarsi il diritto di celebrarla. 3. Nel giorno della tumulazione di un defunto di Budoia o Santa Lucia se avviene di mattina il parroco canterà nella stessa chiesa di Budoia la messa presente corpore, se accadrà di pomeriggio la canterà la mattina seguente a Dardago. 4. Tutte le messe cantate di settimi, trigesimi, anniversari e qualunque altra messa cantata debba celebrarsi dal parroco o suo delegato nella parrocchiale di Dardago.

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Incisione che attesta lo scavo delle fondamenta della rinnovata chiesa di Dardago nel 1788, a due anni dalla posa della prima pietra. (Il resto archeologico è riapparso recentemente sul Sagrato).

5. Nel caso di tumulazione di defunti di Budoia sarà il nonzolo di Dardago a recarsi alla casa del defunto ed accompagnare il celebrante fino alla chiesa e cantare i vesperi, perché quello di Budoia è un illetterato e non atto a ripeterli a memoria. Dopo la funzione sarà quello di Budoia ad accompagnare in cimitero. 6. Per evitare puntigli e inutili dissapori il nonzolo di Budoia porterà alla casa del defunto il Cristo di Budoia e il secchiello per benedire. 7. I due nonzoli vanno equamente ricompensati per la loro funzione che svolgono in occasione di un funerale. Essendo però superiore la prestazione del nonzolo di Dardago, a discrezione del parroco, ma senza obbligo per i di lui successori, avrà da lui una ricompensa extra. Questo per evitare lagne che possano turbare le buone relazioni tra nonzoli e frazionisti. 8. Per la tumulazione di quelli di Santa Lucia sarà il nonzolo di Dardago a portare il Cristo della parrocchiale alla casa del defunto ed accompagnerà il sacerdote in chiesa a Budoia e assisterà ai canti dei vesperi. Quello di Budoia accompagnerà il sacerdote in cimitero. Anche qua i compensi come sopra. 9. Per qualunque defunto al momento dell’elevazione dello stesso prima la campana di Dardago e poi delle rispettive chiese filiali debbano dare i soliti segni. 10. Ci si augura, una volta approvato e sottoscritto questo documento, che non abbiano più ad insorgere discussioni e puntigli si invitano i deputati e fabbricieri ad adoperarsi perché questo documento sia rispettato per la pace e concordia tra le frazioni. Si sottolinea che in caso venissero lesi i diritti della parrocchia questo richiamerebbe il parroco a tutto il rigore e ripristinare i diritti che cede.


L’ ANGOLO DELLA POESIA E DELLA PREGHIERA Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, ti circonda di bontà e misericordia.

La guerra in viaio con me All’improvviso il tuo mento stanco cade giù. Dalla tua bocca un lamento pesante spegne il ticchettio delle nostre tastiere coprendo il sibilo ininterrotto di questo treno.

SALMO 102 (103), 3.4

Preghiera

per la conversione, la pace e contro la guerra per intercessione del Beato Marco d’Aviano apostolo della riconciliazione e della pace in Europa

SIGNORE GESÙ CRISTO, che per il ministero sacerdotale e taumaturgico del BEATO MARCO D’AVIANO hai consolato tanti cuori e tanti malati, esaudisci la mia preghiera. Il Tuo sguardo misericordioso si posi su di me: tornando a Te con animo contrito, io possa colmare la distanza da Dio causata dal peccato.

MIRKO CAMPINI

Ottienimi, contemplando la Tua Croce luminosa, la grazia della conversione e quella che desidero (...) e attendo solo dalla Tua bontà, per i meriti del Beato Marco. Gloria al Padre... Amen Beato Marco, vieni in nostro aiuto.

Chi, invocando il Beato Marco, riceve grazie potrà segnalarle a COMITATO BEATO MARCO PRO CAUSA DI CANONIZZAZIONE Casa Betania, via Villanova 14 – 33170 Pordenone (Italia) comitatobeatomarco@virgilio.it APRILE 2022 / 155

Rumori di guerra si siedono accanto a me. E non riesco più a sentire altro. Chiudo gli occhi anch’io. Sogno che un giorno arrivi anche per Te un po’ di felicità. Poi mi saluti e te ne vai con una borsa, una bottiglia d’acqua, il tuo biglietto e un numero di telefono scritto a matita. Ovunque tu sarai perdonami.

Fa’ che, seguendo l’esortazione del Beato Marco predicatore del dolore perfetto, i cristiani dell’Europa ricca di cose e impoverita di valori si volgano al Padre che largamente perdona e ravvivino la memoria di Te risorto e la speranza nell’eternità beata. Sostenuti dallo Spirito, si appassionino ancora all’annuncio del Vangelo e donino a tutti una testimonianza forte di pace e fraterna unione dei popoli per la pace e contro la guerra.

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LE ASSOCIA ZIONI

uno spiraglio di «voci»

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di Roberto Cauz

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Il 26 dicembre del 2021 si è tenuto nella chiesa parrocchiale di Santa Lucia il tradizionale concerto del Collis Chorus, dopo che l’edizione del 2020 non ha potuto avere luogo a causa della pandemia e sebbene l’emergenza non fosse (e non è...) ancora finita. Cantare o non cantare in un momento ancora così «particolare» e delicato? Ce lo siamo chiesti mille volte ed abbiamo avuto mille dubbi, fino alla mattina stessa di quel giorno: ma troppa era la nostra voglia di ripartire, di vedere uno spiraglio di «luce», o meglio di «voci» in fondo al tunnel e «ricominciare» per sentirsi ancora vivi! A Santa Lucia era già stata programmata l’esibizione del 2020, anche per ricordare i vent’anni dalla morte di Don Nillo Carniel. Per questo, insieme alle nostre voci e grazie ai virtuosismi dell’amico Francesco Cardelli, giovane promettente organista, abbiamo potuto riascoltare l’organo in tutte le sue particolari sonorità. E da dove avevamo interrotto siamo ripartiti, proponendo, per quanto ci è stato possibile, un progetto, iniziamente più ampio, che doveva essere realizzato con il gruppo corale giovanile studentesco SingIN di Pordenone, con l’augurio di poter ancora condividere l’esperienza non appena ciò sarà possibile. È con un’emozione diversa dal solito che abbiamo cantato: – perché fino all’ultimo momento questo evento è stato «appeso ad un filo» per colpa di un «nemico invisibile», che ha limitato la nostra libertà. Eravamo abituati ad affrontare i problemi, ma solo quelli dipendenti dalla nostra volontà, non quelli «indipendenti» dalla stessa. E... non è la stessa cosa! – perché eravamo abituati a prepararci ai concerti in una sede «nostra», alla quale ormai eravamo af-

fezionati. E invece da due anni abbiamo dovuto fruire di altri spazi più idonei e dettati dalle regole. E cambiare ed adattarsi di volta in volta... non è la stessa cosa! – perché proponevamo repertori diversi, ma abbiamo fatto «di necessità virtù», anche se... non è la stessa cosa! – perché ci siamo esibiti dopo 2 anni, durante i quali il virus ci ha fatto perdere «forzosamente» il contatto con il pubblico. E poter risentire i «suoi» applausi... non è stata la stessa cosa! – perché, anche se nel mese di settembre del 2021 abbiamo avuto l’onore di cantare a Trieste in occasione di un evento a ricordo dei quarant’anni dell’USCI regionale, insieme ad altri gruppi, quel tardo pomeriggio eravamo solo noi, e... non è stata la stessa cosa! – perché le regole ci hanno imposto di mantenere le distanze durante il canto. Rispetto ad essere «spalla a spalla» con il compagno di sezione come eravamo abituati,... non è stata la stessa cosa! – perché eravamo soliti esibirci in una ventina di coristi, mentre quel giorno abbiamo cantato in nove ed abbiamo pensato a tutti i nostri compagni che non erano presenti, complice il virus, per forza o per scelta: e... non è la stessa cosa! Ma una cosa, di sicuro, è rimasta la stessa: la voglia di cantare, di ricavare, nonostante tutto, un momento per emozionarsi ed emozionare: se ci siamo riusciti il merito va al nostro direttore Roberto De Luca, sempre presente, disponibile, comprensivo e costruttivo. Noi coristi «sopravvissuti», la disponibilità, la voglia, l’impegno e il cuore ce lo abbiamo messo, con l’augurio di riabbracciare chi riprenderà l’avventura dopo la «pausa forzata» e sperando che altre voci vogliano unirsi alle nostre per guardare al futuro. Passate parola!


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Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese

...a scuóla da Barba Andrea

pa’ ciantà el passio...

B arba Andrea Spinél (Burigana), classe 1881, l’è stat par tanti ains nonthol, da cuan che mi ere pithol fin cuan che veve sedese ains, ma l’ài cognossut pulidho da sagheto in avant. Fà el nonthol (clamat ancia ciampaner) no l’era tan fathile. Le ciampane se le sonava a man co le corde e alora se scuminthiava ale sie de matina co l’Ave Maria, dopo l’era la messa co l’ufithio dei morth (i ultin ains ciantat dal prete da ’na banda e dal nonthol da chel’altra) e se feneva ale oto co la ciampana pithola che clamava i canais a scuola. A medhodhì altra Ave Maria e la sera alle oto Ave Maria e alle oto e medha Deprofundi. Dhut chisto se no l’era Rosares (meis de magio e otobre) o novene o funerai o altre. El sabo dopomedhodhì Barba Andrea e la so femena i veva da netà la glesia co cualchedun che i dheva ’na man. La dhuminia po l’era dhut un drit fra messe, bespre e sonadhe va-

Andrea Burigana Spinél

rie. Cuan che d’istat el temp el cargava, el nonthol el veva da core a sonà le ciampane (prima la granda e dopo el tertho, se credeva che le «onde sonore» le rompess le nevole e no vigness la tampesta). La stemana santa po i la passava scuasi dhuta in glesia. (Su le funhions de ’na volta scrivarai pi avant). L’era ’na stemana difithile. Le funthions le era diverse dal solito e tan pi longe de adhess. El prete l’era nervoso, el nonthol ancia e noi zagheth ciapeane qualche scodhopadha pi del solito. Scuasi ogni an prete e barba Andrea i se ciatava da dhi e

el nonthol el diseva che l’era stuf e el meteva le claf de la glesia su la credhentha de la sagrestia. Passadha la buriana, dhut tornava come prima. Cuan ch’el prete l’era impegnat (bastantha spess!) barba Andrea el feva ancia dotrina. Chela volta (pi de setanta ains fa) se dhoprava anciamò come «sussidi didattici» la bacheta de cornoler e la ciana cargana. Barba Andrea nol veva besoin, bastava le so manate (coi cai a fortha de sonà le ciampane) par sistemane la codhopa. Cuan che nol vedheva chi che feva el stupidel, el ne meteva in fila e ’na scodhopadha a testa no i ne la giavava nissun. Me pense come uncuoi cuan che ài fat el prin servithio da chiericheto. Veve la navicela e el toribol el lo tigneva Pierino Fantin. Anciamò prima da dhi fora de la sagrestia Pierino el me dhiss in te ’na recia: «Sta ’tento da no spande l’incenso, senò barba Andrea…». Figurasse la me pura. Dhut bin fin

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a metà messa, dopo, mi no sai comot, un garnel d’incenso l’è dhut par tera, par fortuna thentha che se inacordhess barba Andrea. Ai cognut spetà ch’el dhess in sacrestia par to su el garnel. Barba Andrea l’era un dei poci che d’inver i vigneva le buganthe sulle rece. Par fortha, el veva le rece come doe ale e col freit avanti e indrio co ’na vecia bicicleta e thentha siarpa. Barba Andrea nol veva studiat latin. Però co la bona volontà el lo liedheva e el lo ciantava thentha sbaliasse (no come therti cantors che i sbegherava – el diseva lui –). L’era un dei ultins che i saveva ciantà le profethie e el passio de la stemana santa come ’na volta. Alora mi e Gigi Bastianela (Burigana) son dudhi a ciatalo a ciasa par fasse insegnà a ciantà. El vecio l’è stat propio content e par scominthià l’à metut su la tola un bucal del so vin blanc. Cossì son stadhi là un per de ore e son vignudhi via un poc storni, però veane imparat a ciantà e Gigi, ch’el saveva un po’ de musica, el veva scrit ancia le note. El passio de San Matio de la dhuminia de l’ulif, ciantat come ’na volta, el durava thincuanta minuti. Mi me soi ris’ciat a ciantà chel de San Nani del vendre sant che l’era un po’ pì curt. Dopo miedhora no i la feve pì e l’à cognut fenilo Gigi. Dopo poci ains el latin l’è sparit da le glesie. Pecadho!

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Il 12 dicembre 2021 si è tenuto all’interno dell’ex latteria di Budoia un interessante momento di confronto organizzato da «L’oppure» in collaborazione con «Giais on the Rock» e con il sostegno dell’Amministrazione comunale di Budoia sul tema: «Il rapporto tra Dante Alighieri, il Friuli e il friulano». Per capire quale sia la natura di tale rapporto è necessario far riferimento ad almeno tre diversi piani: uno fisico, un altro dell’opera e un altro ancora linguistico.

Dante in Friuli?

di Joshua Giovanni Honeycutt Balduzzi

IL PIANO FISICO In occasione del Dantedí del 2021 il portale Riviste Friulane ha pubblicato digitalmente un articolo de La Panarie del 1930 1 a firma di Giuseppe Costantini che rapporta la presenza di profughi toscani in Friuli a quella – possibile – di Dante. Dalla fine del XIII sec., infatti, per oltre un secolo e successivamente alla spicciolata, molte famiglie toscane si rifugiarono, profughe, in un Friuli all’epoca piú legato al mondo germanico che al resto d’Italia.2 Le cause di questi spostamenti erano da un lato le guerre fratricide, le persecuzioni e le lotte politiche caratterizzanti la politica toscana, ma anche, dall’altro, le attività economiche che il Friuli permetteva: la Patria, ancora piuttosto rigidamente feudale, era particolarmente adatta alle speculazioni su cui tali immigrati fondavano almeno in parte le proprie fortune, dal momento che i grandi feu-


datari friulani cedevano volentieri temporaneamente i propri possedimenti in cambio di denaro. Lunga e prospera fu la storia di alcune famiglie toscane nella storia della Patria prima e della Serenissima poi: basti pensare alla famiglia Manin, in origine Manini, che, giunta in Friuli successivamente all’epoca di cui qui si scrive, cosí fortemente determinò la storia veneziana e financo quella unitaria. Anche Dante visse le medesime problematiche di tante famiglie toscane. Ciò è sufficiente per ipotizzare, dunque, che fu anch’egli in Friuli? Secondo Costantini la risposta è sí, e individua anche un periodo in cui tale visita poté avvenire: in almeno un’occasione tra il 1302 e il 1318 il Poeta fu, secondo lui, ospite della corte patriarcale. Leggenda vuole, inoltre, che sia stato a Udine e nella valle dell’Isonzo, dove vi è anche una grotta chiamata Dantowna Jama; c’è chi, perdipiú, volle Dante anche in Valcellina, come Giuseppe Malattia della Vallata. IL PIANO DELL’OPERA La ricezione dell’opera dantesca sul territorio friulano è testimoniata da diverse fonti. In primis vi sono alcune testimonianze artistiche, quali una campana del duomo di Gemona che, fusa nel 1425, riporta una terzina del Paradiso; due grandi affreschi dell’atrio della basilica abbaziale dei Benedettini di Sesto al Reghena rappresentanti il Paradiso e l’Inferno con chiari riferimenti alla Divina Commedia; un affresco del 1515 con richiami danteschi nella chiesetta dei Santi Filippo e Giacomo a San Martino al Tagliamento. Vi sono poi le testimonianze manoscritte. Nel 1466 Niccolò Claricini vergò una copia della Divina Commedia e la postillò; di poco dopo è la notizia di altri quattro codici danteschi in biblioteche private e di quello della Guarneriana di San Daniele, contenente anche la piú antica versione latina conosciuta dell’Inferno, traduzione di capitale importanza per la diffusione della conoscenza dell’opera aldilà dei confini dello spazio di lingua neolatina.

In questa sua opera Dante dimostra una conoscenza linguistica a tratti anche sorprendentemente solida: abbozza una suddivisione quasi moderna delle lingue d’Europa nelle famiglie linguistiche germanicoslava, romanza e greca; dimostra di possedere una consapevolezza abbastanza avanzata del concetto di evoluzione linguistica; concepisce i volgari d’Italia come tutti indipendenti, non ‘dialetti’ di un’unica lingua. Allo stesso tempo, però, dimostra di concepire il latino e il greco quali lingue ‘artificiali’, costruite cioè ex post sulla base di altre lingue esistenti e svolgenti il ruolo di lingue meramente utili a definire una ‘gramatica’. Per Dante, inoltre, l’Italia è un luogo fisicamente e politicamente ben definito, cioè un’entità geografica dove si parlano volgari romanzi. In questo quadro il friulano non riceve un trattamento di favore, assieme, a dire il vero, a una prima serie di altri volgari passati in rassegna dal Poeta. «Post hos Aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui «Ces fas-tu?» crudeliter accentuando eructuant»4 (De Vulgari Eloquentia XI, 6) è la maniera in cui apostrofa le parlate aquileiese e istriana. Come nel caso di altre lingue montane a suo avviso i suoni del friulano risultano troppo aspri per non stridere alle orecchie dei cittadini e dunque tale volgare risulterebbe inadatto a un’ipotetica curia imperiale d’Italia – a maggior ragione se vi si aggiunge anche una sibilante di troppo come nel caso di «ces». Nel suo scartare la parlata del Friuli Dante ci comunica però almeno un dato estremamente interessante, cioè che lo spazio linguistico friulano si estendeva anche all’Istria e non solo, come oggi, al Friuli storico; un dato corroborato anche dalla ricerca linguistica moderna e contemporanea che poggia sulla teoria dell’unità ladina. Per concludere, dunque, se le teorie sulla presenza fisica di Dante in Friuli possono essere considerate suggestive ancorché storicamente plausibili ipotesi, sicuramente le prove circa la ricezione della sua opera e della sua conoscenza della lingua friulana sono invece granitiche. Un rapporto tra Dante e il Friuli forse a distanza, ma indubbiamente esistente.

IL PIANO LINGUISTICO 3 NOTE 1. La Panarie, a. 7, n. 42 (novembre-dicembre 1930). 2. Per maggiori informazioni sulle presenze fiorentine a Cividale: https://www.loppure.it/cividale-parlava-fiorentino/ 3. Per approfondire il tema si veda: https://www.loppure.it/ces-fas-tu-dante-e-il-friuli-prima-puntata/ 4. «Dopo questi [volgari] setacciamo via quelli aquileiesi e istriani, che prorompono pronunciando rozzamente un «Ces fas-tu?».

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Dante, come si apprende dal De Vulgari Eloquentia, conosceva la lingua friulana, di cui possediamo testimonianze letterarie già dal ’200. In quest’opera il Poeta passa in rassegna quattrodici tipi di volgare d’Italia, coll’obiettivo di trovarne uno valido ed elevato quanto il latino: un volgare, cioè, illustre, che potesse essere usato in un’ipotetica curia imperiale d’Italia. Ça va sans dire che la sua ricerca giunge a offrire al fiorentino tale caratteristica.

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Q uando il dottor Cimarosti, collaboratore nell’organizzazione dell’evento «dantesco», mi chiese la disponibilità a tradurre in budoiese qualche terzina della Divina Commedia rimasi alquanto perplesso e dubbioso. Mi sembrava oltraggioso verso il sommo Poeta tradurre anche una minima parte del suo capolavoro in un linguaggio simile a quello (il friulano) che Dante ben poco stimava. Oltre a ciò la nostra parlata, povera di vocaboli, ben poco si presta a esprimere la varietà immensa della poesia dantesca. Poiché però sono curioso delle novità, vi presento con tutta umiltà il frutto del mio piccolo lavoro. Ho scelto il brano del conte Ugolino che potete leggere di seguito. I fatti sono noti: il conte si trova nella parte più profonda dell’Inferno fra i traditori, perché accusato di aver tradito Pisa di cui era maggiorente. Immerso nel ghiaccio rosicchia il cranio dell’arcivescovo Ruggieri, suo grande nemico, che aveva condannato a morte per fame il conte e i suoi figli e nipoti.

...da un’incisione di Gustave Doré. Dante e Virgilio incontrano il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri.

di Fernando Del Maschio

Inferno Canto XXXIII, vv 1-27 e 37-90

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La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a' capelli del capo, ch’ elli avea di retro guasto.

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Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’ io rinovelli disperato dolor che ’l cor mi preme già pur pensando, pria ch’ io ne favelli.

4

Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor ch’ i’ rodo, parlare e lacrimar vedrai insieme.

7

Io non so chi tu se’, né per che modo venuto se’ qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente quand’ io t’ odo.

10

Tu dèi saper ch’ io fui conte Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino.

13

Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri;

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però quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s’ e’ m’ ha offeso.

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Breve pertugio dentro da la muda, la qual per me ha il titol de la fame, e ’n che conviene ancor ch’ altri si chiuda,

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m’ avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand’ io feci ’l mal sonno che del futuro mi squarciò ’l velame.

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[…]

Chel pecadhor el soleva la bocia dal so past da bestia, el la neta coi ciaviei del ciaf ch’el veva roseat par da drio e dopo el scominthia: «Ti te vol che rinove el duol desperat ch’el me pren sul cuor sol che a pensai anciamò prima de parlà. Ma se le me parole le à da esse sementha che la frute disonor al tradhitor che rosee, parlà e lagremà te vedarà in te ’na volta. Mi no sai chi che te so e nencia comot che te so vignut cadhò, ma te me pare propio florentin cuan che te sente. Te à da savè che mi soi stat el conte Ugolin e sto cà l’è l’arcivescovo Ruggieri. Adess te dirai parchè soi cussì dongia de lui. No l’è besoin che te dhise che par colpa de chel che l’à fat soi stat ciapat e soi mort, stant in fiducia de lui. Ma chel che no te pol ’vè sentut, comot che la me mort l’è stadha dura, te sentarà e te savarà s’el me à ofendhut. ’Na pithola bocola de la Muda, che par mi la se clama de la fan e che besogna che vigne serat anciamò cualchedhun, me veva fat vedhe passà tanti dhiss cuan che ai fat un brut sion che el me à fat vedhe chel che sarave vignut avanti.


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Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli, pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli?

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Già eran desti, e l’ora s’appressava che ’l cibo ne solea essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava;

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e io senti’ chiavar l’uscio di sotto a l’orribile torre; ond’ io guardai nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.

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Io non piangea, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: «Tu guardi sì, padre! che hai?».

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Perciò non lacrimai né rispuos’ io tutto quel giorno, né la notte appresso, infin che l’altro sol nel mondo uscìo.

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Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scòrsi per quattro visi il mio aspetto stesso,

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ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch’ io ’l fessi per voglia di manicar, di subito levorsi

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e disser: «Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia».

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Queta’ mi allor per non farli più tristi; lo dì e l’altro stemmo tutti muti; ahi, dura terra, perché non t’apristi?

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Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gettò disteso a’ piedi, dicendo: «Padre mio, ché non m’aiuti?».

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Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’ io cascar li tre ad uno ad uno, tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,

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già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti: poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».

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Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese ’l teschio misero co’ denti, che furo a l’osso, come d’un can, forti.

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Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove ’l «sì» suona, poi che i vicini a te punir son lenti,

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muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’ elli annieghi in te ogni persona!

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Ché se ’l conte Ugolino aveva voce d’aver tradita te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.

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Innocenti facea l’età novella, novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata e li altri due che ’l canto suso appella.

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[…]

Cuan che me soi sveiat, la matina prest, ài sentut plande i me fioi, che i era co mi e anciamò i dormeva, e dimandà pan. Te so ferothe se beldà no te sente duol, pensant chel che ne spetava. E se no te plande, de che plandeto de solito? Oramai i era sveiath e manciava poc a l’ora che i ne portava da magnà e dhuth no reane segurs che i ne lo portas pal sion che veane fat. Alora ài sentut serà a claf la porta de sot e ài vardhat thentha fà parola i me fioi. Mi no plandeve, parchè el duol el me veva fat de sass, ma i plandeva lor e el me Anselmut el me dhiss: «Pare, che ato che te ne vardhe cussì ?» e cussì no ài lagremat e no i ài respondhut dhut el dì e la nuot dopo, fin che no l’è vignut fora el sol de nuof. Pena che l’è vignut un po de ciaro in te la preson e ài vedhut la thiera dei me fioi come la mea, me soi mordhut dhute doe le man pal duol e lor, pensant che lo fess par voia de magnà, i se à levat su e i me a dhit: «Pare, ne fa manco duol se te ne magne: ti te ne à vestit e ti te pol spoiane». Alora me soi calmat parchè no i se destuoie de pi. Soi stat thito chel di e ancia chel dopo; dura tera parchè no te soto verta? Rivadhi al cuarto di, Gaddo el se à butat lonc e disteso ai me piè disent: «Pare, parchè no me idheto?» e là l’è mort e come che ti te me vedhe , mi ài vedhut tomà i tre un a la volta tra thinque e sie diss. Mi, oramai orbo, passave da un a l’altre e par doi diss i clamave ancia se i era morth. Dopo, pi ch’el duol l’à podhut fà el dedhun». Fenit da parlà, l’à ciapat el pora ciaf coi dhenth che i era pi forti de chiei de un cian. Ahi Pisa, vargogna de la dhent del bel paes undulà che sona el si! Sicome i vesins i speta massa a castigate, che se move la Capraia e la Gorgona e le strope l’Arno cussì ch’el ve neghe dhuth! Ancia se foss stat vero che el conte Ugolin el te veva tradhit coi ciastiei, no te veve da dhai chela cross ai so fioi. L’età dhovena li feva nothenti, nova Tebe, Uguiccione e Brigata e chi altre doi beldà nominath.

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Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli ch’ eran con meco, e domandar del pane.

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L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI

LASCIANO UN GRANDE VUOTO

Un pensiero della Signora Lora Quaggiotto del Gruppo Missionario ‘Sacro Cuore’ di Pordenone.

Enrichetta Angelin Amatissima mamma, rimarrai sempre nei nostri cuori per il tuo dolce sorriso che rispecchiava la tua anima bella, ricca di dolcezza e con la rara qualità di vedere il bene in ogni persona, per il tuo equilibrio, la tua correttezza e gentilezza, per la tua intelligenza, umiltà e discrezione, per la tua generosità, qualità condivise dalle tante persone che ti conoscevano. Ora, sei in cielo con il tuo amato Marco e le persone a te care e da lassù preghi per tutti noi.

«Abbiamo perduto una donna esile ma grande nella carità, nella fede e nella speranza. Ci resta vivo e presente il ricordo della sua discrezione, della signorilità del suo comportamento, dell’impegno portato avanti per tanti anni con fedeltà silenziosa. Rimane per noi del Gruppo Missionario ‘Sacro Cuore’ un esempio e una testimonianza che lasciano il profumo di tutto ciò che è buono e nobile».

LE TUE FIGLIE

Luigia Zambon Cara mamma, piango la tua assenza ma mi sarai sempre vicino. Di una cosa sono certo, che mi amerai dal cielo come mi hai amato sulla terra. Porterò sempre nel cuore il tuo sorriso e la grande gioia di vivere che in tutti questi anni mi hai trasmesso. Mamma, le persone non muoiono mai se le hai nel cuore. Ho sicuramente perso la tua presenza ma quello che ho imparato da te, ciò che mi hai insegnato, questo non lo perderò mai. Ciao, maestra!

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PAOLO

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Lidia Rigo Aveva 93 anni. L’ultima parte della sua vita è stata segnata dalla malattia che l’ha costretta a letto nella sua casa all’inizio di via Roma, a Budoia. Ma chi l’ha conosciuta la ricorda come una donna dinamica, serena e scherzosa, pronta ad aiutare chi aveva bisogno. Originaria di Dardago, trascorse diverso tempo in Belgio dove conobbe e sposò Umberto Balla, originario di Belluno, e dove nacque il primogenito Angelo. Prima di stabilirsi a Budoia, vissero per un periodo a Molveno (Trento) e successivamente si stabilirono a Budoia dove nacque la figlia Donatella. Lidia è ricordata come una donna sempre disponibile. Per anni ebbe il compito di aprire e chiudere le porte della chiesa. Aiutava anche la Pro loco in piccoli ma necessari lavoretti per preparare la Festa dei Funghi o altre manifestazioni. Era molto brava nei lavori manuali, quasi insuperabile nei lavori a maglia. Molti hanno apprezzato i calzini di lana grossa preparati dalla Lidia. La ricordiamo scherzosa ed allegra, felice quando poteva far qualcosa per nipoti e pronipoti: immancabile era la visita al suo allevamento di conigli.

Roberto Puppin Con tristezza vi annunciamo il decesso del fratello Roberto Puppin. Roberto era residente in Belgio dove i genitori erano emigrati nel 1948. Nostro padre, Angelo, era figlio di Osvaldo della famiglia Puppin Puttelate. Ricordandolo. ELIO FR. PUPPIN

Un caro ricordo da Rita e Roberto.

Sandro Tranci Prematuramente, a 50 anni, ci ha lasciati il nostro caro Sandro, lasciando nello sconforto la mamma Gina e i suoi cari.

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Sandro, per molti anni, fu attivo nel settore della ristorazione (per ben 20 anni al «Vecchio Borgo» di Santa Lucia) creandosi tanti amici ed estimatori che lo ricordano con simpatia.

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LASCIANO UN GRANDE VUOTO

In Milano, il giorno 30 gennaio, presso la Casa di Riposo per artisti «Giuseppe Verdi», serenamente si è spenta Tina Favia. Da tutti era chiamata ‘Maestra Tina’.

Tina Favia Zambon

Ciao mamma, tu lo sai. Non mi è familiare descrivere con le parole i sentimenti e le emozioni che intensamente provano il mio spirito. Come sempre preferisco affidare al segno della matita, a quello del pennello, alle intensità e trasparenze del colore il compito di tradurre e ‘mostrare’ ciò che si nasconde tra le pieghe del mio animo. Per te ho dipinto Two Worlds, i due mondi.

Mamma, mia amata mamma, ti ricordo attraverso questa foto, un albero con i rami protesi verso il cielo alla ricerca della luce, che rappresenta la forza, la solidità e i valori della vita che tu mi hai donato. Ti ho accanto ogni giorno assieme anche al tuo Cornelio, mio papà unico e speciale. Vi penso con immenso affetto.

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ROMANA

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«I due mondi del titolo sono l’acqua e il cielo (aria), gli elementi più leggeri ed eterei tra i quattro, quelli che meglio si accordano alle sottili facoltà della psiche. Nella mia opera, il secondo si riflette nella prima, quando, nella parte più tarda del pomeriggio, il calore del giorno inizia lentamente a stemperarsi nel freddo e nel mistero della notte. La gru non si sofferma, come avrebbe fatto magari al caldo sole del mezzogiorno, ma è tesa, nell’anima e nel corpo, al raggiungimento della propria meta. Il suo volo è elegante e maestoso, rapido ma non frenetico, la testa slanciata in avanti verso un misterioso obiettivo. Essa si muove proprio là, al confine tra i due mondi, come un’anima che sia in viaggio dall’arcano che ha contraddistinto la propria esistenza terrena (acqua), al sublime che la attende nel chiarore e nell’immensità del cielo. Dietro di sé non lascia che un riflesso: ora essa potrà essere completamente libera». ROBERTA

*** La comunità di Dardago dal profondo del suo cuore desidera ringraziarti. Grazie... per aver condiviso il dono della sensibilità, generosità ed intelligenza. Per la passione musicale e in particolare per l’amore che, giorno dopo giorno, hai nutrito per quest’angolo di Friuli sin dal lontano 1961, l’anno in cui incontrasti Cornelio Zambon Marìn, che divenne poi tuo marito. Attraverso i racconti e gli occhi azzurri di Cornelio hai conosciuto le nostre montagne, le case, le strade... la parlata della nostra comunità. Una parlata aspra e dura, come le crode del torrente Artugna, che ti divenne poi così familiare sino a ‘sposare’ la tua musica. Anche il pievano di allora, don Giovanni Perin, ti esortò a continuare per caratterizzare il repertorio canoro originario del Gruppo Artugna, Cantori e Danzerini del Friuli. Un repertorio ascoltato da platee italiane ed europee. Dal folklore alle filastrocche per bambini. Da ninne nanne ai poemi della letteratura. Da laudi brevi ai temi liturgici... numerose sono state le composizioni musicali che ci hai lasciato e regalato, come pure numerose sono state le tappe del tuo cammino: Brindisi (la città natale), Lecce, Roma per gli studi al Conservatorio ‘Santa Cecilia’ e poi ancora Brindisi, dove grazie ai tuoi insegnamenti si formarono buoni pianisti e concertisti. E poi Treviso. La tua vita è stata costantemente caratterizzata da sentimenti di passione musicale impregnati di gentilezza e amore... Sì, l’amore, questo era il sentimento che sempre traspariva dalle tue canzoni. L’amore per la vita, per Cornelio, per le figlie Romana e Roberta, per i nipoti, per il paese e, come spesso confidavi, per la tua ‘grande casa di pietra’, dentro la quale avevi trovato ispirazione e tranquillità per la composizione. Per salutarti ricordiamo le parole e le note di una tua melodia, quella che preferivi, quella che ti toccava il cuore e che, ascoltandola, destava in te un’intensa emozione: Torne a ciasa! Ciao Tina, ora sei tornata alla casa del Padre. CINZIA E VITTORIO


LA CRONACA DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA

Dhent dhovena ’n te la vecia lateria

Sassoli, esempio par duth

Paola Vedana, il nuovo gestore del Bar Bianco.

Il Comune ha affidato la nuova conduzione a Paola Vedana di Romano di Vigonovo che, a seguito di un’esperienza lavorativa positiva a Polcenigo, cercava spazi più ampi sia per la vendita al banco di prodotti alimentari tipici locali, sia per l’avvio di un bar. A quasi quattro mesi dall’apertura, Paola, accolta con manifestazioni di simpatia dalla comunità che definisce omogenea e tranquilla, si sente soddisfatta della scelta intrapresa; oltre alla clientela locale e ai turisti alla scoperta del paesaggio, continua ovviamente ad accogliere anche i suoi ‘vecchi’ avventori polcenighesi. Buona continuazione e tanti tanti auguri, Paola!

Una delle ultime immagini di David Maria Sassoli, Presidente del Parlamento europeo dal 2019, è stata ripresa allo Chalet Belvedere tra i titolari Giovanni e Carlo. Giornalista attento e rigoroso, stimato uomo del dialogo e politico appassionato, sembra sottrarsi con riservatezza, pur con il suo inconfondibile e cordiale sorriso, all’obiettivo fotografico in un momento difficile della sua vita in cui la gravissima malattia, che lo condurrà alla morte dopo qualche mese al CRO di Aviano, gli aveva segnato profondamente il fisico. A tutti rimarrà il ricordo di una grande ed apprezzata persona di elevata statura morale.

Campo parrocchiale a Tramonti L’8 febbraio, a noi cresimandi di Budoia, è arrivato da Don Davide un caloroso invito a partecipa-

re pochi giorni dopo a una serata in oratorio a Budoia assieme ad alcuni ragazzi di San Giovanni di Polcenigo. Noi fino alla sera del 10 febbraio non sapevamo cosa ci stava riservando Don Davide, però eravamo frementi di scoprirlo al più presto. Finalmente quella sera Don Davide assieme a Christian e tre ragazzi (animatori) di San Giovanni ci ha proposto di partecipare a un campo durante le vacanze di carnevale presso la casa della parrocchia di Roveredo in Piano a Tramonti di Sotto. Al campo fin da subito, grazie alle attività di conoscenza tra noi ragazzi si è creato un forte legame d’amicizia, permettendo così una maggiore fluidità nello svolgimento di momenti riflessivi sul tema delle emozioni, ambientazione del centro estivo di quest’anno organizzato dalle parrocchie. Durante i quattro giorni, grazie a dei simpatici giochi pensati dagli animatori, abbiamo stimolato le emozioni che tutti noi possediamo ma spesso nascondiamo interiormente, dalla felicità alla rabbia

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Prima di Natale, dopo una chiusura durata quasi un anno, l’ex latteria sociale di Budoia, il Bar Bianco, ha riaperto le imposte.

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la Camera dei Rappresentanti. La sua carriera politica iniziò nel 1974 quando fu eletto senatore dello Stato del Vermont, venendo riconfermato altre sette volte. Risulta il senatore americano (Democratico) da più tempo in carica e continua a resistere, merito dell’infaticabile tenacia friulano-irlandese.

Netón duth insieme

Il gruppo interparrocchiale dei giovani con don Davide.

fino alla tristezza. Ovviamente le giornate non erano dedicate interamente a spazi di riflessione, anzi, erano riempite da attività sportive, escursione fino alle Pozze Smeraldine, e da momenti di intrattenimento serale come cinema e Just Dance, che ci hanno molto dilettato. Il primo marzo purtroppo il soggiorno a Tramonti è terminato, ma penso ci abbia molto aiutato a comprendere l’importante funzione delle emozioni, come comportarci di fronte a una determinata circostanza e come non andare a influire e aggravando una situazione morale. Noi cresimandi di Budoia infine ringraziamo ancora una volta Don Davide e gli animatori per averci dato la possibilità di partecipare a questa meravigliosa e utilissima esperienza e speriamo di poterla nuovamente affrontare. IL GRUPPO DEI CRESIMANDI

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I am proud of my Friuli Soi fiero del me Friûl

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«Sono fiero del mio Friuli (leggasi di Dardago e Budoia in particolare!) e quando ci torno mi emoziono». Sono i forti sentimenti che vive

Patrick Joseph Leahy, senatore democratico statunitense, ogniqualvolta ritorna nei nostri paesi, perché sono qui le origini dardaghesi della madre Maria Zambon Vialmin, sposatasi con l’irlandese Howard Francis Leahy. Di lui e dei suoi rapporti parentali abbiamo parlato a lungo in altre edizioni del periodico, ma ora lo vogliamo ricordare come senatore al suo ottavo mandato in scadenza quest’anno, con l’intenzione di ricandidarsi ancora. È attualmente Presidente pro tempore del Senato degli Stati Uniti d’America (carica già coperta dal 2012 al 2015), quarta carica dello Stato e terzo nella linea di successione presidenziale dopo la vicepresidente e la speaker del-

Il senatore statunitense Patrick Joseph Leahy.

Anche quest’anno le comunità si sono ritrovate il 13 marzo per la pulizia dell’ambiente, uno degli eventi annuali fissi della Pro Loco di Budoia, organizzato con la collaborazione del Comune e delle associazioni locali. Impegnativo è stato il lavoro, perché la quantità di immondizie raccolte è stata abbondante, e ciò evidenzia purtroppo il perdurare del senso di inciviltà e della scarsa sensibilità ambientale da parte di tante persone che vivono o frequentano il nostro ambiente e che ancora non concepiscono la natura come bene collettivo da rispettare, conservare e contemplare. Il materiale, trattato secondo i criteri della raccolta differenziata, è stato trasportato al centro ecologico per lo smaltimento e... alle ore 12.45 pastasciutta finale in compagnia.


Sie nóve tovaie pa’ la glesia La primavera è la stagione del risveglio della natura e i suoi primi tepori ci regalano colori e profumi, fiori e teneri germogli. Anche nella nostra piccola comunità questo ‘risveglio’ – accompagnato dal desiderio di ‘nuovo’ – si avverte nelle strade, nelle case, nelle famiglie e la voglia di rinnovamento non coinvolge solo le cose

Artistici lavori ad uncinetto, eseguiti con maestria e precisione dalle due esperte volontarie.

Pasqua, dopo lo spoglio del Venerdì Santo, potranno essere riadornati con nuove tovaglie». Grazie, gentili signore, grazie alla vostra passione, al gusto artistico e... alle vostre mani di ‘fata’. Gli armadi della sagrestia ora potranno custodire i sei nuovi lini dalle dimensioni medie di circa tre metri

di lunghezza e ottanta-novanta centimetri di larghezza con gli orli ricamati ad ago e con la totale bordura eseguita all’uncinetto... un bel corredo artistico, ricamato soprattutto con fede, per abbellire la ‘mensa del Signore’.

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materiali, ma scende nel profondo dell’animo e dello spirito. Come per le nostre case, così anche per la Casa del Signore due mamme di Dardago (che desiderano mantenere l’anonimato) hanno deciso di donare sei artistiche tovaglie d’altare per incrementare e contribuire al rinnovo del corredo della parrocchia di Santa Maria Maggiore. «Per realizzare l’idea del nostro dono – hanno riferito le due signore – abbiamo lavorato e ricamato nelle ore dei nostri pomeriggi. Ora siamo contente: gli altari della nostra bella chiesa, per questa Santa

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L’ INNO ALLA VITA AUGURI DALLA REDAZIONE!

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Il 15 aprile 2021 è nata Adele, figlia di Chiara Ianna ed Alessandro Stefani (a sinistra). Il 16 novembre 2021 è nata Livia, figlia di Laura Ianna e Marco Tabaro (a destra). Domenica 20 marzo 2022 sono state battezzate entrambe nella chiesa di Sant’Andrea apostolo in Budoia. Congratulazioni vivissime.

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Sara Pujatti si è laureata con 110 e lode il 15 dicembre 2021 all’Università degli Studi di Milano, conseguendo la Laurea triennale in Comunicazione e Società, in soli due anni.

Battesimo di Gabriele Biasatti, figlio di Fabio e di Nicole Bonic, celebrato a Budoia nel giugno scorso da don Vito. Insieme ai genitori, la primogenita Gioia e la madrina Valentina Andreazza.


ACCOMPAGNANO LE OFFERTE Milano, 20 dicembre 2021

Aviano, 15 gennaio 2022

Lignano, 16 febbraio 2022

In memoria di Giussani Mario e delle sue origini.

La mia offerta per l’Artugna.

Grazie per il vostro impegno.

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GIULIANA GRASSI

ADELINA ARIET

Per l’Artugna. GIULIANO E GLORIA MOREAL

Per l’Artugna.

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EMANUELA FORT

Un saluto a tutti. Ogni qualvolta leggo l’Artugna rivivo momenti e ricordi di grande intensità. Grazie e un abbraccio da Worms.

Milano, 12 gennaio 2022 ANTONELLA ZAMBON

Per l’Artugna.

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Auguri! Buon Anno a tutti!

Tombolo, 28 dicembre 2021

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ELSA ROMANI

Milano, 13 gennaio 2022 Munsingen (Svizzera), gennaio 2022

A l’Artugna che ricevo sempre con molto piacere perché mi porta un po’ d’aria del mio paese. CARLA DEL MASCHIO

Auguri di Buon Anno a tutta la redazione con la speranza di superare al più presto questo difficile momento. Buon lavoro e cordiali saluti! DONATELLA ANGELIN

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CLELIA ZAMBON

Worms (Germania), 26 febbraio 2022

Trieste, 12 gennaio 2022 Roma, 23 dicembre 2021

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Ontario (Canada), 1 marzo 2022

Congratulazioni per il 50° de l’Artugna che riceviamo sempre con tanto piacere! Saluti. ANTENORE E GIACINTA NADIA BOCUS FRITH

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Milano, marzo 2022

Grazie per l’Artugna! ANGELO MICHELE CARLON

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Garbagnate, 7 gennaio 2022

Gattico-Veruno, 13 gennaio 2022

Buon 2022. Mandi.

Per l’Artugna! FABIO ZAMBON

DANIELA ZAMBON

IVO FORT

Un cordiale ringraziamento a tutti i nostri sostenitori.

IL BILANCIO NUMERO 154 Situazione economica del periodico l’Artugna Costo per la realizzazione Preconfezionamento e spedizione

uscite 3.815,00 360,00

Entrate dal 23.11.2021 al 23.03.2022

3.995,00

Totale

3.995,00

4.115,00

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entrate

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L’ANNO DEL CINQUANTESIMO

Un marchio per le nozze d’oro de l’Artugna con i suoi lettori Un tempo vissuto e trascorso all’insegna della speranza di Vittorio Janna Insieme abbiamo intrapreso un cammino... Insieme abbiamo scambiato pensieri, idee, incontri... Insieme per mezzo secolo ci avete aiutato a crescere, ci avete sostenuto... ci siamo tenuti per mano. Anche per questa Santa Pasqua, l’Artugna è arrivata... accompagnata sempre dal desiderio di contribuire ad informare. Venticinque anni fa, per le ‘nozze d’argento’, come segno fu scelto il bassorilievo scolpito sulle colonne del sagrato di Dardago. Per le ‘nozze d’oro’ è stato progettato un nuovo simbolo. Un marchio per identificare la ‘tappa’ raggiunta.

Per il ‘cinquantesimo’, nel rispetto della continuità, è stato utilizzato lo stesso bassorilievo, ma realizzato in modo ‘più marcato’. Visualizzato così assume maggiormente il significato di ‘zero’ e, per analogia, anche quello di ‘ruota’ con il suo naturale movimento. Il tutto poggia su una barra orizzontale, un’ipotetica strada e al suo interno il logo del periodico con le due date che indicano il tempo trascorso. La parte superiore del numero ‘cinque’ è sostituita da un segno gestuale tracciato velocemente.

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LA RECENSIONE

Un marchio... per esprimere dinamicità e desiderio di proseguire nel tempo!

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Le chiese di Budoia e Santa Lucia Grazie ad una meritevole iniziativa della Deputazione di Storia Patria per il Friuli, diretta dal prof. Giuseppe Bergamini, e della Fondazione Friuli è stata pubblicata una guida di storia ed arte delle parrocchie di Budoia e Santa Lucia, appartenente alla collana «Monumenti storici del Friuli» (numero 95). Numerose le fotografie che illustrano le opere d’arte delle chiese, la gran parte realizzate gratuitamente dal fotografo Paolo Burigana di Budoia, altre provenienti dagli archivi parrocchiali e dal Museo Diocesano di Arte Sacra di Pordenone-Ufficio Beni Culturali Diocesi di Concordia Pordenone. L’opuscolo, sintesi di anni di ricerca, è composto di 56 pagine con copertina di Paolo Burigana e testi di Fabrizio Fucile, per le chiese di Santa Lucia, e di Vittorina Carlon e Magda Carlon, per la chiesa di Budoia. Ringraziamo in modo particolare la Deputazione di Storia Patria e la Fondazione Friuli che hanno finanziato la pubblicazione e hanno donato 1000 copie dell’opera alle due parrocchie. Un grazie speciale ad Alberto Del Maschio, membro del Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia di Budoia, che ha sostenuto l’iniziativa. La guida è a disposizione nelle chiese parrocchiali di Budoia e di Santa Lucia, in cambio di un’offerta che sarà devoluta alle rispettive parrocchie.


ia uc L a nt Sa

SABATO 9 APRILE Sul Colle Ciastelàt

• Benedizione della Croce Votiva «’l Crist de ’l Ciastelàt»

10.00

18.00

11.00

10.00

17.00

18.00

17.00

18.00

17.00

18.00

20.30

15.00

20.30

In chiesa

• Santa Messa DOMENICA DELLE PALME 10 APRILE Ingresso di Gesù in Gerusalemme

• Benedizione dell’Ulivo (ognuno porti da casa il suo ramo di ulivo)

Santa Messa di Passione LUNEDÌ SANTO 11 APRILE • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)

• Santa Messa MARTEDÌ SANTO 12 APRILE • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)

• Santa Messa MERCOLEDÌ SANTO 13 APRILE • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)

• Santa Messa

SETTIMANA SANTA

ia do Bu

PROGRAMMA RELIGIOSO

o ag rd a D

GIOVEDÌ SANTO 14 APRILE Ultima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia e Sacerdozio

• Santa Messa Vespertina in «Coena Domini» Riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro Spogliazione degli Altari e adorazione VENERDÌ SANTO 15 APRILE Ricordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza

• Azione Liturgica della morte di Gesù Recita del Passio. Adorazione della Croce e Santa Comunione eucaristica • Via Crucis da Dardago verso Budoia (Piazza Vitt. Emanuele, vie Tarabìn, Parmesan, Brait, Dei Maschi, Lunga, Casale, Bianco, Pozzi, Piazza Umberto I)

In caso di pioggia solo in chiesa a Budoia

don Davide, don Vito, diacono Lorenzo, diacono Silvano

SABATO SANTO 16 APRILE Vigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione

• Veglia Pasquale. Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale Liturgia Battesimale. Santa Messa di Risurrezione

21.00

18.00

11.00

9.45

11.00

18.00

9.45

DOMENICA DI PASQUA 17 APRILE Alleluja, Cristo è risorto, alleluja

• Santa Messa Solenne LUNEDÌ DI PASQUA 18 APRILE • Santa Messa

Buona e Santa Pasqua


Esempio di land art Realizzata dalle famiglie di Jean Luc Zambon e Marzio Zanchetta, è la croce, ottenuta con elementi naturali del nostro territorio, che si veste d’ulivo la Domenica delle Palme, con la corona di spine il Venerdì Santo e di fiori la Domenica di Risurrezione di Gesù. [ foto di Mario Povoledo]


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