Cent'anni dalla Grande Guerra (10)

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Rientrammo in città e nel frattempo esplose un tremendo bombardamento; gli austro- tedeschi avevano anche disposto dei reticolati al centro delle strade, così dovemmo ritornare indietro e ci rifugiammo nei pressi di un ospedale. Mettemmo i cavalli vicino a un muro, riparati un po’ alla buona e passammo l’intera notte lì. Il mattino seguente, vedemmo alcuni cavalli morti, uccisi dalle pallottole. Nell’ospedale erano probabilmente nascoste delle spie nemiche che ci avevano individuato. Stavamo, infatti, dando da bere e la biada ai cavalli, quando una bomba, lì vicino a me, provocò un’enorme buca che trascinò quattro soldati e due cavalli. Per lo spostamento d’aria ci trovammo tutti a terra. In quel momento pensai intensamente ai miei famigliari. Rimanemmo otto giorni a Gorizia, poi raggiungemmo San Pietro di Gorizia per sfondare in questi due chilometri che dividevano i due centri, intanto i tedeschi continuavano a sparare e lì, però, ci fermarono; ritornammo indietro e più di qualcuno morì. Si tornò alla postazione precedente. Si fece un altro tentativo di conquista: da Gorizia a Opacchiasella, sui monti. Il tenente principe Manfredi Lanza di Trabia, che governava la mia pattuglia composta di cinque persone, tra cui il pordenonese Forniz, che poi morì e, il sacilese Brieda e Populin da Cecchini, ricevette l’ordine di avanzare, mentre gli altri rimasero fermi. Chissà cosa ci succederà! Pensai. Quando iniziammo la salita su un tracciato ben preciso, perché non c’erano sentieri, cercammo di rimanere ben uniti; davanti si tro10°

vava il tenente Lanza. A un tratto una mitragliatrice si scaricò addosso a noi. «A terra e si salvi chi può!». Ridiscendemmo, trascinandoci i cavalli. Nessuno rimase ferito, ma lo spavento fu indescrivibile. Al ritorno tutti chiedevano com’era andata e il tenente rispondeva: «Bene, bene!» Solo perché eravamo tutti riusciti a salvarci. I ponti erano demoliti e noi eravamo i primi a constatarlo. Avevamo sete, ma i nostri superiori ci avevano allertato di non bere acqua per timore che fosse avvelenata. A Gorizia c’era ancora una pasticceria sotterranea (le osterie e gli altri esercizi pubblici erano stati abbattuti o chiusi) e lì riuscimmo a bere un po’ d’acqua. I ponti in qualche modo vennero ristabiliti e, perciò, ci giungevano anche le vivande. Non riuscimmo a conquistare altri territori, oltre a Gorizia, così ritornammo ad Ajello. Nell’arco di due mesi vi si svolsero altre tre battaglie dell’Isonzo, con modesti guadagni territoriali italiani: la settima (14-17 settembre 1916), l’ottava (10-12 ottobre) e la nona (1-14 novembre 1916). Il Piemonte Reale combatté sul Carso e resistette ai furiosi contrattacchi nemici.

Da Ajello raggiunsi un’infermeria a Palmanova, perché un cavallo non stava bene, aveva la schiena bruciata e non poteva essere ‘insellato’. Il compito mi fu assegnato dal mio superiore che si fidava di me. In sella a Tom e con l’altro cavallo ferito raggiunsi Palmanova che dista da Ajello circa quattro chilometri. Dopo aver consegnato il cavallo in infermeria, chiesi dove avrei trovato la Brigata Re, perché volevo salutare Toni Angelin Perut e mi indicarono che stava vicino

8 febbraio 1918. Una foto inviata ai famigliari.

ad un corso d’acqua a lavare gli indumenti. Lo trovai e insieme andammo in una cantina a bere. Ritornato ad Aiello, rimasi per due mesi circa, poi fui trasferito a San Daniele del Friuli. Nel frattempo ricevetti la licenza di salutare i miei famigliari. Così raggiunsi Budoia in bicicletta. Arrivato a casa, piansi la morte di mio padre e appresi da mia madre l’angosciosa attesa della sorte (rivelatasi poi nefasta) di mio fratello Enrico, maggiore di tre anni, disperso sul Carso. Al rientro a San Daniele non trovai più il mio reggimento e un maresciallo m’indicò di andar a Sandrigo, in provincia di Vicenza. Presi il treno, giunsi a Vicenza e proseguii a piedi per raggiungere Sandrigo e lì trovai anche Piero Fort con il quale scambiai frettolosamente alcune parole. Tra la primavera e l’estate 1917 una parte del Piemonte Reale partecipò alle offensive estive sul Monte Her-

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