Artribune #74

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Le conseguenze del cambiamento climatico sul patrimonio artistico +

Non solo banche: tutta l’arte e il design di Zurigo +

Come TikTok sta facendo evolvere il mondo della cultura

N. 74 L SETTEMBRE –OTTOBRE 2023 L ANNO XIII centro/00826/06.2015 18.06.2015 ISSN 2280-8817
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SETTEMBRE L OTTOBRE 2023 www.artribune.com

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Giulia Pezzoli

I nuovi vichinghi

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Maria Teresa Salvati & Maria Pansini

Giro d’Italia: Bari

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Saverio Verini Studio Visit: Anouk Chambaz

NEWS

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IED – Istituto Europeo di Design La copertina "Fluvoxamina" di Gaia Invernizzi

20

Marta Atzeni L’agopuntura urbana di Rashid Ali Architects

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Ferruccio Giromini Emma Stern: desideri in 3d

22

Dario Moalli (a cura di) Libri: Lo stato dell'arte/Rizomi

25

Cristina Masturzo Top 10 lots.

Le migliori aggiudicazioni del primo semestre 2023 per gli artisti nati tra il 1945 e il 1974

26

Roberta Vanali

Skan: l'eclettico

28

Claudia Giraud

Brixia Sonora: la capitale italiana della cultura in musica

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Valentina Tanni (a cura di)

Cose: uno sguardo surreale

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Elisabetta Roncati

Christina Quarles: contorsioni e paradossi + Necrology

34

Dario Moalli (a cura di)

Gaia Bobò: la curatela come spazio relazionale

STORIES

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Desirée Maida

CAMBIAMENTI CLIMATICI E PATRIMONIO CULTURALE. QUALI CONSEGUENZE?

I beni artistici italiani (e non solo) sono minacciati dalla crescente frequenza e violenza degli eventi climatici. Come tutelarli?

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Livia Montagnoli

L’ALTRA ZURIGO: CITTÀ D’ARTE E DI DESIGN

La “città delle banche” rivela origini antiche e un’anima contemporanea. Oltre ad essere la patria del Dadaismo

60

Giulia Giaume

TIKTOK

ERA IL SOCIAL DEI BALLETTI, OGGI STA CAMBIANDO IL PANORAMA CULTURALE

Libri, musica, musei, divulgazione artistica e scientifica: la cultura su TikTok è più viva che mai

Alice Milani Short novel: It goes boys!

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Massimiliano Tonelli

Una legge del 110% per i cinema?

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Christian Caliandro Il contenuto

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Irene Sanesi Credito con merito. Per una nuova cultura finanziaria delle imprese culturali

92

Fabio Severino L'industria turistica italiana ha dimostrato di nuovo il suo complesso d'inferiorità

93

Marcello Faletra L'arte o la vita?

94

Marco Senaldi 1975

GRANDI MOSTRE #36

70

Stefano Castelli (a cura di) Un campo di fiori sul mare: Ars Botanica al Castello di Miramare

72

Angela Madesani Ritrarre l’America e le sue contraddizioni: Dorothea Lange

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Livia Montagnoli La Grande Onda e altre storie sull’acqua. A Genova rivive il periodo Edo

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Fausto Politino Matisse lo scultore a Nuoro

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Marta Santacatterina

Tiziano, l’anno della svolta

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Alberto Villa Mario Nigro. L’arte totale

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Marta Santacatterina

Come nasce una grande mostra: le assicurazioni

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Grandi Mostre in Italia in queste settimane

OPENING
artribunetv
artribune ENDING
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#74

GIRO D'ITALIA: BARI

a cura di EMILIA GIORGI

MARIA TERESA SALVATI fondatrice e direttrice di Everythingisconnected.eu [testo] & MARIA PANSINI [foto]

Bari è la mia città adottiva da oltre dieci anni. Mi ha accolta con un bagliore attrattivo che portava con sé lo spirito della Puglia, il sud, la bellezza, la vita lenta, il mare, il pensiero meridiano così come il grande fermento delle energie di ritorno, dopo le esplorazioni in giro per il mondo.

Vivendola dal mio angolo riservato con vista mare, nel quartiere Madonnella, vedo il capoluogo pugliese come un’adolescente consapevole della sua energia seduttiva e ne avverto al contempo le storture, nonché la tendenza a frequentare ‘cattive compagnie’, pronte a condurla sulla cattiva strada. È una città in rapida evoluzione, spinta dalla smania di fare tutto in nome dell’abbaglio del breve termine, della speculazione edilizia e della tendenza a copiare dai ‘grandi’. Un atteggiamento che lascia trasparire quel certo complesso di inferiorità e insicurezza, tipici della pubertà.

Maria Pansini, Santi, ladri e marinai , Bari, 2016-2022, courtesy l’autrice

Nuovi edifici, cantieri sparsi per la città, bar che pullulano, eventi culturali, b&b in ogni angolo. Esattamente come su un corpo, emergono cambiamenti radicali della città, sia dal punto di vista fisico, che immateriale, culturale. Una città in espansione, in cui le lingue di tutta Europa (se non del mondo) risuonano insieme alle voci delle signore di Bari Vecchia che preparano orecchiette per strada e benedicono matrimoni. Insomma, una Bari in fermento che, incerta, sta ancora cercando la sua posizione nel mondo.

Nel frattempo sembra essere diventata un trending topic: una cartolina per Instagram che vede uomini giocare a carte nei vicoletti della città vecchia, pescatori che sbattono il polpo a ‘N-dèrre la lanze’, la focaccia e la Peroni, le sgagliozze e le popizze fritte in piazza Mercantile.

Alcune zone sono ormai gentrificate, penso a Madonnella, ma anche alla stessa Bari Vecchia, mentre tutti scommettono su Libertà – un quartiere popolare, che accoglie progetti culturali e di rigenerazione urbana. Qui sorgerà la nuova sede del CNR all’interno dell’ex Manifattura Tabacchi, mentre le abitazioni si trasformano in residenze per turisti. Sono tanti gli interventi architettonici previsti che vedranno cambiare il suo volto per sempre. Penso al progetto del Nodo Verde, progettato dallo studio Fuksas per unire le zone Murat e Carrassi e al Bosco Verticale di Stefano Boeri, tra gli altri.

Anche l’arte fa la sua parte nel calderone del fermento barese. Tanta è l’offerta che strizza l’occhio alle masse, alternata a un’offerta culturale e artistica più ricercata: il Bari International Gender Festival, il progetto di arte

contemporanea VOGA, alcune iniziative proposte dallo Spazio Murat, il progetto Bari Non Ha Il Mare lanciato da Imago Plus e infine Il mattino ha Lory in bocca, un ancora imperfetto ma potente esperimento di arte pubblica sui balconi del quartiere Madonnella.  Chissà se questa crescita ambiziosa, insieme al nocciolo duro delle radici che resistono, troveranno un equilibrio stabile che renderà la città una presenza solida, cosmopolita, fonte di benessere per tutti, dal centro alle periferie.

Io, nel frattempo, mi sento un pochino al centro del mondo. Osservo queste dinamiche e immagino una Bari proiettata al futuro. Un luogo capace di mantenere salda la sua identità di città del sud, portatrice di un pensiero meridiano legato alla sua storia, al mare, alla cura. Una città capace di puntare sull'innovazione, sull’estensione delle aree verdi, sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Bari accogliente per tutti e orgogliosa delle sue radici.

San Nicola ne sarebbe fiero.

STUDIO VISIT ANOUK CHAMBAZ

Hanno qualcosa di ipnotico, le opere di Anouk Chambaz. Che si tratti di video lunghi o di breve durata, l’artista riesce a penetrare lo sguardo dell’osservatore, ad attrarlo verso di sé con primi piani intensi sui volti delle persone, oppure con campi larghi che lasciano parlare il paesaggio. La purezza quasi naïf di alcune produzioni riesce a risultare sempre credibile, grazie al sofisticato istinto delle soluzioni registiche e alla capacità di presentare l’opera nello spazio. La presenza della camera da presa è spesso percepibile, quasi si trattasse di un oggetto dal “peso” scultoreo. L’apparente diversità dei suoi video testimonia la libertà di una ricerca in continua evoluzione, costantemente alimentata da uno sguardo carico di stupore.

Trovo che in alcune delle tue opere tenda a sottolineare la “materialità” del video e dei dispositivi che ruotano attorno a esso. Mi ha molto colpito, per esempio, un lavoro in cui – con un carrello per le riprese – giri incessantemente attorno a una strada della periferia di Palermo, una specie di anello, catturando tutto ciò che accade: il passaggio di persone e automobili, voci, le attività quotidiane di quel luogo. L’ho trovato un lavoro molto fisico e performativo, nel suo mettere in evidenza un semplice “strumento” come il carrello per le riprese, la cui presenza e il cui movimento mi sembrano alla base dell’opera.

Ho studiato regia alla scuola di cinema, gli strumenti della cinematografia mi sono molto cari. È il mio linguaggio, la mia grammatica. È da qua che sono nati film di solo primi piani come Le Sentinelle, o altri (ad esempio Marica) in cui utilizzo una lente molto particolare come la probe lens Il lavoro che hai citato, Danisinni!, è una collaborazione con Filippo Foscarini. A due passi del centro di Palermo, i Danisinni è un quartiere costruito interamente intorno a una scuola abbandonata, un anello dove vivono insieme persone, cavalli, galline. Non ci sono vie di uscita, puoi solo girarci in tondo. Ci è sembrato naturale seguire la geografia del luogo, sentimentale e fisica, producendo delle carrellate all’indietro. È un film-dipinto, come Cézanne che ha prodotto decine di quadri della montagna Sainte-Victoire. Noi abbiamo ripreso i Danisinni all’alba, al crepuscolo, a mezzogiorno. Piano piano gli abitanti si sono abituati a noi. Ci hanno soprannominato “i pazzi”: come mai due persone girano così?

All’inizio pensavano che fossimo la polizia. Poi uno di loro ha riassunto il nostro lavoro nel miglior modo possi-

Sono attratta dalle figure dell’alterità: la donna, il bambino, la periferia, la natura

bile: “È come una mela che sbucciate piano piano, per arrivare al nocciolo”. Danisinni! è un lavoro ancora incompiuto, e spero che presto lo concluderemo. Ci sono molto affezionata.

La tua ultima produzione, Mon rire est cascade, vede un gruppo di sette donne incarnare altrettante figure chiave del femminismo come Angela Davis e Carla Lonzi colte nell’atto di ridere. Trovo sia un’opera capace di unire densità e leggerezza; un’opera politica, ma in modo quasi scanzonato. Mon rire est cascade nasce da una conversazione con l’artista Giulia Mangoni, con cui mi confronto e collaboro spesso. È un’opera pensata per la Biennale di Gubbio, che inaugurerà il 15 ottobre. Ludovico Pratesi e Marco Bassan, i curatori, mi hanno chiesto di lavorare negli appartamenti delle donne di Palazzo Ducale. Queste stanze sono ricoperte di quadri che raffigurano uomini illustri, così ho risposto proponendo un video di donne che ridono. La risata delle donne, spesso ridotta a battibecchi e chiacchiere, qui si fa scambio interpersonale, conoscenza condivisa, coscienza di gruppo. Nel video ci sono sette attiviste, di cui tre hanno fondato l’associazione romana Donne X Strada: rappresentano sette femministe storiche degli Anni Settanta, la cui eredità è essenziale. Volevo fare un’opera inclusiva, irreverente, giocosa: la risata è contagiosa, coinvolge il corpo della spettatrice. È liberatoria.

bioUna cosa che mi incuriosisce della tua pratica è il passaggio disinvolto da contesti naturali a scenari urbani, così come l’attenzione che rivolgi, allo stesso modo, a tutte le forme di vita, umane, animali, vegetali. Qual è il trait d’union della tua ricerca?

Anouk Chambaz è nata a Losanna, in Svizzera, nel 1993. Laureata in cinema e in filosofia a Losanna e Roma, si specializza con un master in immagini in movimento a Venezia. Nel 2022 ha partecipato al programma di residenze Prender-si cura al Mattatoio, a Roma, ed è stata finalista di ArteVisione LAB, promosso da Careof, a Milano. Nello stesso anno è vincitrice della sezione video del premio Combat. Le sue opere sono state esposte in diverse istituzioni e rassegne, tra cui: straperetana VII - Ultramoderne, Pereto (2023) Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2023); Lago Film Festival, Lago Revine (2023); Museo Novecento e Palazzo Vecchio, Firenze (2022); Südtiroler Kunstlerbund, Bolzano (2022); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2021); Macro, Roma (2021); Auditorium Parco della Musica, Roma (2019); Vilnius Film Festival, Vilnius (2017); Contemporary Jewish Museum, San Francisco (2016); Newark Museum, Newark (2016).

Forse sono attratta dalle figure dell’alterità: la donna, il bambino, la periferia, la natura. Un mio lavoro audio si intitola Istabsir – un’attitudine di contemplazione attiva. Forse è questo atteggiamento il comune denominatore di tutti i miei lavori.

I tuoi progetti sono sempre piuttosto ambiziosi, nelle modalità di realizzazione, così come nel tempo che dedichi alla ricerca teorica che ne sta alla base. Quali sono le difficoltà – o magari gli aspetti positivi – che tempi di lavorazione così lunghi richiedono?

Dopo aver lasciato la scuola di cinema, mi sono confrontata con la mancanza di strumenti teorici, la difficoltà di organizzare un pensiero. Così ho studiato filosofia per tre anni. Estetica, biologia, antropologia, filosofia del linguaggio: Levinas, Bateson, Wittgen-

STUDIO VISIT
a cura di SAVERIO VERINI 74 15
Anouk Chambaz, Le Sentinelle, 2022, 7’, proiezione video su tessuto semi-trasparente, electronic timer e macchina del vento artificiale. Courtesy l’artista e Rasoir Bouée Anouk Chambaz, Marica , 2022, video, 10’. Courtesy l’artista e Rasoir Bouée Anouk Chambaz, Mon rire est cascade , 2023, video, 3’. CCourtesy l’artista e Rasoir Bouée

NEI NUMERI PRECEDENTI

#58 Mattia Pajè

#59 Stefania Carlotti

#61 Lucia Cantò

#62 Giovanni de Cataldo

#63 Giulia Poppi

#64 Leonardo Pellicanò

#65 Ambra Castagnetti

#67 Marco Vitale

#68 Paolo Bufalini

#69 Giuliana Rosso

#70 Alessandro Manfrin

#71 Carmela De Falco

#72 Daniele Di Girolamo

#73 Jacopo Martinotti

stein, Haraway, Beauvoir, costituiscono ora le fondamenta del mio lavoro artistico. Posso realizzare opere in apparenza molto semplici, ma che cercano di reggersi su fondamenta teoriche che ritengo salde. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, ho diverse esigenze, che però non affronto mai da sola. Sono abbastanza fortunata nell’avere collaboratori di cui mi fido completamente, tra cui la direttrice della fotografia Saskia Scorselo, che mi ha accompagnato nei progetti di questi ultimi tre anni.

Sei nata in Svizzera, dove ti sei formata, ma vivi da diversi anni tra Roma e Venezia. Che idea ti sei fatta della scena artistica italiana?

L’Italia è il paese che mi ha accolta in quanto artista, che mi ha permesso di definirmi tale. In particolare, devo molto alla mia permanenza negli spazi di Castro Projects, a Roma, un’iniziativa di Gaia Di Lorenzo. Roma mi ha dato questo: un senso di comunità, di casa, dei compagni di viaggio. Sì, va detto, è ovvio: la situazione economica

è un disastro. Però ci sono delle persone, che ho imparato a conoscere, che dimostrano una generosità, un’ingegnosità e una sensibilità eccezionali. Forse, venendo da un paese considerato freddo, questo calore umano rappresenta per me una melodia che rende la vita più lieve.

A cosa stai lavorando in questo momento?

Sto lavorando sulle azioni irriverenti, rivoluzionarie e solidali delle donne, collegando figure storiche a questioni contemporanee. Parallelamente, sto preparando diverse mostre, tra cui la Biennale di Gubbio e il progetto Mind the Gap, curato da Lorenzo Lazzari e Giada Centazzo a Udine. A inizio 2024 parteciperò alla Biennale Minus20degree, dove sperimenterò con delle proiezioni sulla neve; nello stesso periodo inaugurerà la mia prima mostra in galleria, da Eugenia Delfini a Roma. Per quell’occasione ho il desiderio di creare anche degli oggetti fisici. Sto decisamente uscendo dalla mia zona di comfort, e questo mi entusiasma molto!

STUDIO VISIT
Posso realizzare opere in apparenza molto semplici, ma che cercano di reggersi su fondamenta teoriche che ritengo salde
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Anouk Chambaz & Filippo Foscarini, Danisinni! , opera in post-produzione, 45’. Courtesy gli artisti

LA COPERTINA

FLUVOXAMINA

di Gaia Invernizzi

La nuova copertina di Artribune Magazine prende le mosse da documenta 15, la manifestazione svoltasi la scorsa estate a Kassel e curata da ruangrupa: il collettivo di artisti con sede a Jakarta che ha costruito le fondamenta della loro esposizione sui valori e le idee fondamentali di lumbung (termine indonesiano per un granaio di riso comune). Il lumbung come modello artistico ed economico è radicato in principi come la collettività, la condivisione delle risorse comuni e l’allocazione equa, ed è incarnato in tutte le parti della collaborazione e della mostra. L’artista visiva internazionale Lucy Orta ha guidato un gruppo di otto studenti di Fashion Design (selezionati dalle sedi del Gruppo IED) per realizzare l’installazione collettiva TRANSITIONS, presentata da IED durante l’ultima edizione di Pitti Uomo a Firenze. Orta è nota per il suo talento nell’unire disegno, scultura, tessile, fotografia, cinema, performance e nell’affrontare temi che riguardano il contemporaneo con un linguaggio innovativo di co-creazione. Attraverso l’uso di materiali ed elementi formali ricorrenti, si è voluto creare un campo comune dentro il quale il concept di TRANSITIONS è stato interpretato: ogni transizione è un passaggio che ripensa le forme dell’umano dal punto

di vista sociale, ecologico, tecnologico.

Per la copertina di Artribune #74, tra i progetti partecipanti, è stato scelto Fluvoxamina, performance di interazione libera con capsule collection di Gaia Invernizzi –IED Milano. Attraverso la costante ricerca del difetto – anche quando inesistente – l’individuo si trova a vivere in un continuo stato di transizione tra reale e percepito, arrivando al punto di non distinguere la realtà dalla finzione, sentendosi bloccato in una continua autocritica. La performance porta a conoscere se stessi grazie all’interazione con i capi: questi non seguiranno le linee e le forme del corpo esistente ma ne creeranno uno nuovo. L’immagine scelta è un dettaglio delle manipolazioni tessili realizzate per i tessuti della collezione: la prospettiva ravvicinata restituisce un’immagine simbolo di una collettività di individui connessi da molteplici relazioni. Scopri i dettagli del progetto seguendo il QR code qui a fianco.

IED x ARTRIBUNE

Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studentesse, studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. Per il secondo anno di collaborazione abbiamo scelto di affidarci ai temi delle più importanti manifestazioni di arte e design, prendere in prestito spunti di riflessione e restituire immagini fragili ma potenti. Superfici sottili che racchiudono complessi punti di vista. Le biennali (triennali – quadriennali – quinquennali) sono l’occasione per artisti e designer di riflettere sugli argomenti centrali della contemporaneità. Partendo da manifestazioni del recente passato e tenendo in considerazione le tematiche delle prossime, cercheremo collegamenti espliciti o implicite contrapposizioni e ci interrogheremo proponendo un punto di vista inedito: quello di giovani persone che si affacciano sul futuro.

DA ALBRECHT DÜRER A ANDY WARHOL

LE

MOSTRE A LUGANO

Fino al 7 gennaio 2024

MASI Sede LAC − Piazza Bernardino Luini 6

Oltre 300 capolavori della Graphische Sammlung ETH Zürich, la più estesa collezione di arte grafica in Svizzera, per un confronto eccezionale tra gli antichi maestri e le creazioni più contemporanee che fa emergere curiosità sulle origini, le funzioni e l’importanza delle opere attraverso i secoli. masilugano.ch

GIACOMO BALLA E PIERO DORAZIO

Dal 24 settembre 2023 al 14 gennaio 2024

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati − Riva Caccia 1

Il tema del confronto tra i due maestri dell’arte italiana del Novecento è la luce, quintessenza della vita, ma anche sfida perenne degli artisti, che con essa da sempre hanno dovuto misurare le proprie capacità espressive. In mostra presso questo spazio del circuito MASI, 47 capolavori senza tempo. masilugano.ch

THOMAS HUBER

Dall’8 ottobre 2023 al 28 gennaio 2024

MASI Sede Lac − Piazza Bernardino Luini 6 Prende il nome dalla serie di dipinti dell’artista svizzero e berlinese d’adozione, la mostra Lago Maggiore, che presenta al pubblico 70 opere tra grandi tele a olio e acquerelli. Un ritorno a casa, ai paesaggi della Svizzera che, come in un diario visivo, ha dipinto ogni giorno, dal suo studio. masilugano.ch

LagodiLugano LagodiLugano
Riva Vincenzo Vela Riva Antonio Caccia Via Antonio Adamini LAC Lugano Arte e Cultura Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

LA TORRE DI PISA COMPIE 850 ANNI. TUTTI GLI EVENTI FINO AL 2024

Un cantiere lungo oltre cento anni: tanto si protrasse, tra XII e XIV secolo, la costruzione della Torre di Pisa – campanile che porta la firma dell’architetto, scultore e bronzista Bonanno Pisano, cui fecero seguito Giovanni di Simone e Giovanni Pisano – che nel 2023 festeggia l’850esimo anniversario della posa della prima pietra (nel 1173). Ed è corposa la programmazione di eventi in calendario per i prossimi mesi, con una serie di iniziative articolate fino ad agosto 2024. Tutte pensate per omaggiare la storia del simbolo della città – la torre pendente svettante in piazza del Duomo, con i suoi 58 metri di altezza – diventato icona di fama planetaria.

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LA GIORNATA DI STUDI

Nel corso del 2024, l’Opera della Primaziale Pisana organizzerà una giornata di studi per presentare lo stato di salute del Campanile e l’andamento delle attività di monitoraggio (terrestre e satellitare).

LE PROIEZIONI “ IL CINEMA E LA TORRE”

Al Cinema Arsenale, un cartellone dedicato ai film in cui compare il Campanile.

AL MUSEO DELLA GRAFICA

Un percorso espositivo a cura di Alessandro Tosi proporrà studi sulla città ideale e sul valore del Campanile e della Piazza del Duomo di Pisa.

ALL’UNIVERSITÀ DI PISA

L’istituzione ospita l’esposizione degli oggetti inerenti la Torre di Pisa provenienti dalla collezione Malcov, a cura Gabriella Garzella e Chiara Bodei.

“L’AMICA RISANATA. LE MOLTE VITE DEL CAMPANILE DI PISA”

A giugno 2024 inaugura all’interno del Campanile la mostra ideata per raccontare la storia secolare della Torre attraverso opere, immagini, restauri, stampe, fotografie e riprese televisive e cinematografiche.

GIULIA GIAUME L Riprende il volume edito da Multhipla/Giancarlo Politi nel 1975 la mostra Pittura italiana oggi che apre il 25 ottobre 2023 in Triennale Milano. L’esposizione, aperta fino all’11 febbraio 2024, è dedicata alla pittura italiana contemporanea e riunisce il lavoro di 120 tra i più interessanti artisti e artiste italiani nati tra gli anni Sessanta e i Duemila. La mostra, a cura di Damiano Gullì con progetto di allestimento di Italo Rota, cade nell’anno delle celebrazioni del centenario di Triennale Milano, ricollegandosi idealmente alla storia dell’istituzione: rivivono qui le suggestioni delle mostre della pittura murale organizzate dal 1933 e quelle dell’allestimento per la 9ª Esposizione Internazionale del 1951. Un approfondimento, quindi, che va a ricordare come la pittura sia oggetto di analisi, in Triennale, sin dalla sua fondazione. Non solo, il progetto sarà arricchito anche da speciali commissioni di opere site-specific. Il percorso espositivo – che non è cronologico, ma incentrato su una narrazione che guarda agli scambi tra figurazione e astrazione – evidenzia ricchezza e complessità della pittura italiana in tutte le sue declinazioni, dalla “pittura pittura” alle contaminazioni e slittamenti disciplinari, dalla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione fino a una “pittura espansa” che va al di là del supporto/tela per “invadere” spazi e superfici. “Questa mostra nasce da anni di ricerche, studio visit e incontri, umani e professionali, con artiste e artisti in tutta Italia”, ha sottolineato Gullì. “Trovo importante che Triennale accetti la sfida di presentarla nella sua complessità e offra l’occasione per una analisi di tale scena con l’obiettivo di promuoverla e valorizzarla nel nostro Paese e nel mondo”.

DIRETTORE

Massimiliano Tonelli

DIREZIONE

Santa Nastro [vicedirettrice]

Desirée Maida [caporedattrice]

COORDINAMENTO MAGAZINE

Alberto Villa

Giulia Giaume [Grandi Mostre]

REDAZIONE

Irene Fanizza | Claudia Giraud

Livia Montagnoli | Valentina Muzi

Roberta Pisa | Emma Sedini

Valentina Silvestrini

Alex Urso | Gloria Vergani

PROGETTI SPECIALI Margherita Cuccia

PROGETTO GRAFICO

Alessandro Naldi

PUBBLICITÀ

Cristiana Margiacchi | 393 6586637 Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com

EXTRASETTORE

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COPERTINA ARTRIBUNE

Gaia Invernizzi Fluvoxamina, 2023 manipolazioni tessili e fotografia Courtesy IED - Istituto Europeo di Design

COPERTINA GRANDI MOSTRE

Philodendron Jmbe, Johann Peyritsch. Aroideae Maximilianae. Die auf der Reise Sr. Majestät des Kaisers Maximilian I. nach Brasilien gesammelten Arongewächse, Wien 1879

STAMPA

CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Cuccia

EDITORE & REDAZIONE

Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011

Chiuso in redazione il 12 settembre 2023

RiciclatoPEFC

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NEWS
I pittori e le pittrici più interessanti d’Italia in mostra alla Triennale Milano
74 19 a cura
Boisi Lorenza, Divertissement Estival , 2023
di DESIRÉE MAIDA

ARCHUNTER

L’AGOPUNTURA URBANA DI RASHID ALI ARCHITECTS

Tra le tante storie fuori dall’ordinario con cui la Biennale Architettura 2023 amplia il racconto oltre il nord del mondo, c’è anche quella di Rashid Ali. Nato nel 1978 in Somaliland e formatosi nel Regno Unito, a soli 33 anni fonda il suo studio nella capitale britannica: “In poco tempo”, racconta il progettista, “ci siamo trovati a lavorare su tipologie e scale differenti: dagli allestimenti, come quello di 1:54 Contemporary Arts Fair alla Somerset House di Londra e a New York, a case private e edifici culturali, come il V&A, di cui abbiamo disegnato il main shop, fino a ricerche sulle strategie di pianificazione nelle città africane e latinoamericane”. Nonostante la carriera ben avviata, nel 2018 Ali decide di cambiare: “Dopo anni passati a realizzare progetti su misura”, spiega, “abbiamo capito che il nostro lavoro avrebbe avuto un impatto maggiore in una regione come l’Africa orientale, in cui la professione dell’architetto non esiste propriamente, né gioca un ruolo nella produzione degli spazi”. Il progettista torna dunque in Somaliland, apre un ufficio a Hargeisa e vi trasferisce la maggior parte delle sue attività. Di fronte alla scarsità di professionalità e risorse, l’architetto ripensa radicalmente la sua pratica: “Lavorare in questo contesto ci ha permesso di reimmaginare il modo in cui realizzare edifici che rispondono alle esigenze delle comunità in cui viviamo e dei clienti con cui lavoriamo. Questo”, sottolinea, “ha introdotto nel nostro approccio una forma di advocacy, che consiste nell’implementare direttamente i nostri progetti, attraverso la mobilitazione dei finanziamenti necessari per la loro realizzazione e l’impegno diretto nella loro produzione”. Collaborando con istituzioni, università, produttori locali, professionisti e studenti, Rashid Ali Architects avvia a Hargeisa un processo di agopuntura urbana per fronteggiare la carenza di spazi pubblici: la corte del municipio accoglie una sala di attesa e ricreazione per visitatori e personale; un vuoto urbano è occupato da un padiglione con un’ampia copertura sotto la quale i passanti sostano e socializzano; in un giardino privato, dallo scorso agosto, una struttura in legno è usata dai proprietari come sala da tè e dalle donne del quartiere come sede per laboratori. “Al momento stiamo costruendo un ospedale e una scuola; la sede londinese è invece impegnata a Leicester nella conversione di un edificio industriale in centro comunitario. Nonostante il successo in entrambe le regioni”, conclude Ali, “vorremmo rimanere relativamente piccoli: nel Regno Unito siamo interessati a progetti educativi e culturali, mentre in Somaliland ci piacerebbe far rivivere tecniche di costruzione tradizionali attraverso la sperimentazione con materiali locali”.

@rashidaliarchitects

L’Europa si apre ai Musei delle Donne

GIULIA GIAUME L Emancipare le donne della storia dell’arte dal semplice ruolo di modelle, figure simboliche e muse ispiratrici, riportando al centro la loro autorialità e il loro talento. Questo lo scopo del MIDA –Museo Internazionale delle Donne Artiste, primo museo del suo genere che trova sede nella seicentesca chiesa (ancora consacrata) della Madonna dei Prati a Ceresole d’Alba. Il progetto, inaugurato lo scorso 28 maggio nell’Alto Cuneese con la direzione artistica del critico d’arte Vincenzo Sanfo, ha rappresentato un unicum non solo in Italia, ma nel continente. Per alcuni mesi. Ad agosto è stato infatti annunciato al pubblico il progetto per il Femmes Artistes du Musée de Mougins. Situata nel piccolo comune francese di Mougins, in Costa Azzurra, l’istituzione sorgerà dalle ceneri del Museo d’Arte Classica dell’ex manager inglese Christian Levett, appena chiuso, e che riaprirà l’anno prossimo con opere di Joan Mitchell, Lee Krasner, Elaine de Kooning, Howardena Pindell, Cecily e Nancy Graves.

Nicolas Berggruen compra Venezia. L’imprenditore parigino acquista anche Palazzo Malipiero

VALENTINA MUZI L È Palazzo Malipiero il nuovo immobile che entra nel patrimonio di Nicolas Berggruen (Parigi, 1961), imprenditore e filantropo francese che negli ultimi anni ha deciso di puntare sulla città di Venezia, trasformandola in una fucina creativa. Dopo aver acquistato la Casa dei Tre Oci sull’isola della Giudecca (oggi sede del Berggruen Institute) e Palazzo Diedo (sede dell’hub polifunzionale Berggruen Art & Culture che ha fatto un primo debutto negli scorsi mesi e che avrà un restauro robustissimo), ora tocca a una porzione significativa di Palazzo Malipiero (nel sestiere di San Marco, in prossimità di Palazzo Grassi e affacciato sul Canal Grande), acquisito dall’imprenditrice e gallerista Francesca Barnabò, ex moglie dell’ex ministro Gianni De Michelis. Ma a differenza dei primi due, l’imprenditore non ha in mente di trasformare il palazzo risalente al X-XI secolo in un centro culturale, bensì di farne la propria abitazione personale nel cuore della Laguna.

Riapre dopo 15 anni lo storico Cinema Modernissimo di Bologna

LIVIA MONTAGNOLI L In centro città, il cinematografo sotterraneo ricavato in uno dei primi edifici in cemento armato del capoluogo emiliano è nato nel 1915. Chiuso negli Anni Duemila, dopo 8 anni di cantiere la Cineteca di Bologna lo restituisce ai bolognesi. Si deve infatti al piano urbanistico che all’inizio del XX secolo ridisegnò l’area intorno a piazza Maggiore la nascita del Cinema Modernissimo di Palazzo Ronzani, avveniristica costruzione progettata dall’ingegner Pontoni, eretta al posto del medievale Palazzo Lambertini. Nel 1955, l’ampliamento degli spazi permette di raddoppiare le sale: all’originale con accesso da piazza Re Enzo, si affianca il Cinema Centrale di via Rizzoli 3; solo uno dei due resterà attivo fino al 2007, con il nome di Cinema Arcobaleno. Poi un periodo di occupazione e la chiusura definitiva. Con 3,5 milioni di euro è stato finanziato il cantiere per la rinascita, coinvolgendo lo scenografo cinematografico Giancarlo Basili. La sala riaprirà al pubblico il 21 novembre.

MARTA ATZENI
Rashid Ali Architects, Courtyard Pavilion, Hargeisa, Somaliland. Photo © Lyndon Douglas

LORENZO BALBI

Alla guida del MAMbo di Bologna e del network dei musei della città dal 2017, Balbi è inoltre il direttore artistico di ART CITY Bologna.

ILARIA BONACOSSA

Già curatrice alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, direttrice del Museo di Villa Croce a Genova e della fiera Artissima, Bonacossa sarà la direttrice del futuro Museo Nazionale di Arte Digitale di Milano.

LUCA CERIZZA

Il critico e storico dell’arte, autore della monografia Le mappe di Alighiero e Boetti, vive tra l’Italia e Berlino. Nel 2017 ha curato la Biennale di Pune in India.

LUCREZIA CIPPITELLI

Ricercatrice su tematiche sociopedagogiche e teorie postcoloniali e decoloniali, Cippitelli si candida alla curatela del Padiglione Italia con Davide Quadrio, direttore del Museo d’Arte Orientale di Torino.

JACOPO CRIVELLI VISCONTI

Curatore in passato dei Padiglione di Cipro e Brasile alla Biennale Arte di Venezia e della Biennale di San Paolo, Crivelli Visconti presenta un progetto in collaborazione con Marcella Beccaria, Giovanni Carmine, Alfredo Cramerotti e Arturo Galansino

ILARIA GIANNI

Direttrice artistica e curatrice della Nomas Foundation a Roma e fondatrice del Magic Lantern Film Festival, Gianni ha curato mostre e progetti per musei e istituzioni artistiche italiani e internazionali.

LUIGIA LONARDELLI

Dal 2010 è curatrice al MAXXI, dove ha curato tra le altre le mostre di Marisa Merz, Alighiero Boetti e Maria Lai.

LUCA LO PINTO

Già nel team curatoriale della Kunsthalle di Vienna e fondatore della rivista e casa editrice NERO, Lo Pinto è il direttore del Macro di Roma.

MATTEO LUCCHETTI

Già curatore per “Exhibitions and Public Program” al BAK di Utrecht, Lucchetti è curatore per le arti e culture contemporanee del Museo delle Civiltà di Roma.

PAOLA NICOLIN

Storica dell’arte e dell’architettura, Nicolin è docente e curatrice. È direttrice di XNL Arte, sezione di XNL Piacenza - Centro d’arte contemporanea, cinema, teatro e musica.

DESIRÉE MAIDA

OPERA SEXY

EMMA STERN: DESIDERI IN 3D

Emma Stern, Blossom + Fang (dusk) , 2021

Nuovi incroci. Arte è anche mettere a contatto approcci distanti, sperimentare connubi, sparigliare le carte, no? E non è detto che i risultati debbano sempre essere ineccepibili, di gusto rotondo; l’importante è aprire varchi, suggerire orizzonti inediti, avventurarsi su terreni anche infidi. È quel che fa per esempio la trentenne di Brooklyn Emma Stern (New York, 1992), impavida. Lei guarda a figure femminili stereotipe, come quelle create senza neppure molta fantasia dagli sviluppatori di videogame – perciò giovani bianche, bionde lungocrinite, volti regolarissimi, labbra carnosette, espressioni un po’ imbronciate, cosce forti, petto importante, insomma lo spicciolo ideale middle-american –e ne fa le protagoniste delle sue opere. Potrebbe essere il massimo della prevedibilità; invece la ragazza decolora le sue girls, le porcellanizza (o le plasticizza, come volete) ben lisce e lustre, le veste (poco) con paramenti ora western e ora fantasy, le tinge di colori pastello e soprattutto – questo non ce lo aspettavamo – le dipinge su tela con oli. Una buona fetta dell’arte nordamericana si concentra dunque qui: l’erotismo untuoso del lolitismo, lo spettacolarismo pop in chiave Lowbrow, i riferimenti ludici alla cultura dell’avventura, la tecnica certosina della rappresentazione iperrealista. E va detto che il mercato (non solo americano) risponde contento.

Si direbbe un’operazione di interesse maggiormente sociologico che estetico, anche perché si rivolge a un comparto di pubblico essenzialmente giovanile, diciamo appena postadolescenziale, abituato a sognare corpi finti, di maniera zuccherina; e ciò accade tanto nel settore maschile di base nerd quanto nel settore femminile che insegue modelli corporei e di comportamento fortemente standardizzati, addirittura più da software 3D che realmente umani. L’avatar vince sulla realtà, ancora e anche qui. Mutano gli immaginari, mutano gli oggetti di desiderio (per gli uni) e i soggetti di desiderio (per le altre).

Nel lavoro di enfatizzazione di Emma Stern, in realtà, non risulta del tutto chiaro il confine tra adesione e denuncia di tale temperie immaginativa. Le sue dichiarazioni non ci aiutano: “Ciò che spinge la mia attività artistica è in parte l’opportunità di ricontestualizzare quel che trovo in qualche angolino nascosto di Internet. Una centaura in bikini con belle tette può non essere considerata arte se viene postata su una bacheca di messaggistica erotica in 3D, ma quando viene dipinta a olio su tela e appesa sulla parete di una galleria immediatamente entra nel contesto della storia dell’arte e della ritrattistica, e quindi automaticamente ne nasce tutt’intorno un discorso. È questo che mi interessa”. È femminismo o il suo contrario? Peraltro non è questo l’unico caso ambiguo, di questi tempi. Chi la vede in un modo, chi all’opposto. Dove sta oggi l’erotismo? Di qua dallo schermo/tela, o al di là della tela/schermo? lava_baby

NEWS
FERRUCCIO GIROMINI
I
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PADIGLIONE
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BIENNALE ARTE 2024.
10 FINALISTI CHE SI CONTENDONO LA
DEL
ITALIA

SETTE DONNE PER LETIZIA BATTAGLIA

Letizia Battaglia. Senza fine è una mostra ma è anche è soprattutto un libro che, come accade raramente, supera in completezza e ampiezza l’esposizione al quale è legato. In questo volume, edito da Electa, il lavoro dei due curatori, Paolo Falcone e Sabrina Pisu è stato quello di ampliare il numero delle opere presenti all’esposizione realizzata presso le Terme di Caracalla, visibile fino al 5 novembre, alternando capolavori conosciuti a immagini meno note della fotografa siciliana. Questo lavoro vuole mettere in evidenza tutte le componenti, le sfaccettature che abitavano dentro Letizia Battaglia: fotografa, attivista, editrice, volontaria, politica e provocatrice. Per fare questo sono state coinvolte sette donne, scrittrici e autrici che in modo o nell’altro hanno avuto un contatto, una connessione più o meno concreta con la fotografa, e ne ha scritto o descritto l’aspetto per loro più rilevante, più sentito. Un modo questo per dare valore a tutto ciò che Letizia Battaglia ha rappresentato per diverse generazioni e per diversi modi di intendere la fotografia, restituendo una polifonia di opposti, come affermava lei stessa del suo lavoro. “Faccio questo: costruisco una realtà, aggiungo a una foto di morte una di vita. Un progetto riuscito? Non è riuscito? Io ci ho provato”.

Letizia Battaglia

Senza fine pag. 224, € 32 Electa

Imparare a guardare. Dispacci dal mondo dell’arte del filosofo

Alva Noë accompagna il lettore attraverso letture di contesti e di opere in un approccio molto concreto. Tutto è guidato da un’idea che il nostro impiego giornaliero, il nostro approccio alle cose sia organizzato e che pratiche riorganizzative, quali la poesia, la coreografia o la pittura scardinano e mettono in discussione. Ma queste attività, nella fase di ricezione e rielaborazione, non sono e non possono essere solitarie, ma devono essere collettive:

“l’opera d’arte non è un innesco, l’esperienza estetica non è una semplice attivazione di eventi interni. Incontrare un’opera d’arte ci ricorda che non siamo soli nell’incontrare il mondo”.

Alva Noë

Imparare a guardare. Dispacci dal mondo dell’arte pag. 182, postmedia books

Tullio Pericoli, fra i più importanti disegnatori italiani, con Ritratti di Ritratti edito da Adelphi ha aperto i cassetti del suo archivio, o meglio, del suo processo creativo. Emerge uno sguardo inedito su qualcosa che sta prima dell’opera compiuta e che nel frattempo è diventato altro, come afferma lo stesso autore: “la convivenza per tanti anni con gli schizzi, gli studi, le prove e gli errori e le prove e gli sforzi che avevano preceduto la forma compiuta li aveva contagiati – trasformati". Il lettore si trova così di fronte agli stessi volti, più volte ripetuti, cogliendo ogni volta un approccio diverso, un pensiero diverso.

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Se volessimo condensare l’opera di Chiara Camoni in una manciata di immagini, queste sarebbero almeno quattro. Sorellanza, come la complicità orizzontale che unisce le sue Ninesse e Sorelle. Rito, come i riti arcani evocati nelle sue opere, ma anche la ritualità con cui Camoni lavora, coinvolgendo amici e colleghi. La deperibilità delle sue creature, fatte di pietra e ceramica ma anche di fuoco, fiori e cibo, come quello consumato nei tentacolari piatti-sculture. E infine l’afflato tellurico e primordiale dei miasmi dei Campi Flegrei o dei ghigni delle sue figure. Firma il catalogo per la GAM di Torino (completo e ben documentato) Elena Volpato.

Tullio Pericoli

Ritratti di ritratti

pag. 920, € 45

Adelphi

Chiara Camoni

Serpentesse pag. 256, € 40

A+MBookstore

LO STATO DELL’ARTE

Il design visto non come la progettazione, il disegno, l’ideazione di qualcosa di utile o utilizzabile dall’uomo, ma come pratica relazionale, come antropologia: è questo il punto di vista adottato da Loredana La Fortuna nel suo saggio È una questione di design, edito da Meltemi. Un punto di vista più umanistico, politico, che parte proprio dall’idea di “cose” e di “oggetti” per capirne il significato più profondo. Il saggio si rivela un processo di scarnificazione di tutto ciò che ci sta attorno per arrivare all’osso della questione: l’impatto sociale che il design determina e a volte impone.

Loredana La Fortuna

È una questione di design pag. 192, € 16,00

Meltemi

RIZOMI

MEDITERRANEO: CONFINE O CROCEVIA?

Il Mar Mediterraneo ha assunto due connotazioni ben precise: luogo di vacanze o linea di confine. Solo per noi che siamo al di qua è un posto dove andare in ferie d’estate, invece la connotazione di frontiera vale sia per chi abita le coste europee, in senso di respingimento, sia per chi proviene dall’Africa che, invece, quella frontiera tenta di valicare. Ma non è sempre stato così: “storicamente, il Mediterraneo è prima di tutto uno spazio di incontro, attraversamento, contaminazione tra realtà differenti”. Oggi i soggetti che abitano il Mediterraneo sono molto diversi tra loro, troviamo migranti in transito, pescatori, marinai, guardiacoste, funzionari delle forze dell’ordine e delle agenzie europee, umanitari, solidali: una microsocietà specifica di questo mare. Crocevia Mediterraneo è la restituzione di quello che ha visto, studiato e analizzato un gruppo di scienziati sociali che per la prima volta è salito a bordo di un’imbarcazione è ha percorso le principali rotte di migrazioni e i principali nodi del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta. Un libro collettivo che restituisce in ordine cronologico, come un diario di viaggio, le tappe di un percorso complesso a cui si sommano punti di vista diversi, confronti e una metodologia costruita sul campo. Crocevia Mediterraneo ridefinisce quello spazio di confine al fine di farlo tornare uno spazio plurale, abitato e di contaminazione.

Equipaggio della Tanimar

Crocevia Mediterraneo pag. 152, € 17,00 Elèuthera

Berlino era la città, e forse, in parte lo è ancora: per chi nei primi vent’anni del XXI secolo era giovane c’era solo una capitale europea che aveva una forza attrattiva davvero unica soprattutto se si aveva una qualsiasi velleità creativa. Dall’Italia, Berlino sembrava una città vitale, aperta a ogni cosa ma allo stesso tempo underground, con mille nicchie, sottoculture e sfaccettature. Vincenzo

Latronico con La chiave di Berlino racconta proprio questo: l’adrenalina di questa città così variegata, con la sua storia e il suo fascino, soprattutto per la generazione dei Millennials, dagli Anni Zero fino ai giorni d’oggi, dove gentrificazione e speculazione edilizia ne stanno modificando radicalmente l’aspetto.

Vincenzo Latronico

La chiave di Berlino

pag. 152, € 17,50 Einaudi

Esiste un legame spirituale tra l’uomo e la natura? In che modo questo tipo di relazione può entrare in gioco nel dibattito ecologico? Lo spiega il filosofo Jean-Yves Leloup che nel suo saggio Per un’ecologia integrale introduce il concetto di ecosofia, che poggia su quattro “sguardi” da cui è possibile interpretare o approcciarsi all’ecologia: scientifico, sacro, sciamanico e contemplativo. L’unione di questi quattro approcci dà vita all’ecosofia, un sistema composito e complesso che permette all’uomo di inglobare ogni approccio positivo e armonico rivolto alla natura che l’uomo ha adottato nel corso del suo percorso sulla terra.

Jean-Yves Leloup Per un’ecologia integrale pag. 80, € 12 Edizioni Lindau

LIBRI a cura di DARIO MOALLI
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32° EAST UGANDAN ARTS TRUST • ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI • ARGOS CENTRE FOR AUDIOVISUAL ARTS

• ARKKITEHTUURIMUSEO - MUSEUM OF FINNISH ARCHITECTURE • ART DAYS - NAPOLI CAMPANIA • ART GALLERY OF NEW SOUTH WALES • ASIA CULTURE CENTER • CASTELLO DI RIVOLI • CENTRE POMPIDOU • CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI • CERTOSA E MUSEO DI SAN MARTINO • CHILDREN’S

MUSEUM SINGAPORE • CHIOSTRO DEL BRAMANTE • CITTADELLARTE - FONDAZIONE PISTOLETTO • COLLEZIONE

PEGGY GUGGENHEIM • COMPLESSO

MONUMENTALE SANT’ANNA DEI

LOMBARDI • CONTEMPORARY

ART MUSEUM OF ESTONIA - EKKM • COOPERATIVA

LAZZARELLE • DEDALUS - COOPERATIVA SOCIALE • FOAM MUSEUM

AMSTERDAM • FONDAZIONE CRT • FONDAZIONE MORRA GRECO • FONDAZIONE

SANDRETTO RE REBAUDENGO • GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA

GALLERIE D’ITALIA

HABLARENARTE • HAMBURGER BAHNHOF - NATIONALGALERIE DER GEGENWART • HAUS

DER KUNST • IKON GALLERY • IMMA - IRISH MUSEUM OF MODERN ART • J. PAUL GETTY

MUSEUM • KUNSTHALLE BASEL • KUNSTHALLE ZÜRICH • KW INSTITUTE FOR CONTEMPORARY ART • LAAGENCIA – OFICINA DE PROYECTOS DE ARTE • LOUISIANA MUSEUM OF MODERN ART • LUMA ARLES • MACRO • MADRE - DONNAREGINA CONTEMPORARY ART

MUSEUM • MAPA DAS IDEIAS • MAXXI • MEET DIGITAL CULTURE CENTER •

METALAB AT HARVARD & FU BERLIN • MODERNA MUSEET • MOMA • MORI ART MUSEUM • MUMOK • MUSEION • MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI PONTECAGNANO • MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA - MAMBO • MUSEO E REAL BOSCO DI CAPODIMONTE • MUSEO NACIONAL CENTRO DE ARTE REINA

SOFÍA • MUSEO TATTILE STATALE OMERO • MUSEUM

BOIJMANS VAN BEUNINGEN • MUZEUM SZTUKI

NOWOCZESNEJ W WARSZAWIE / MUSEUM OF MODERN ART IN WARSAW •

NATIONAL ARCHAEOLOGICAL MUSEUM OF NAPLES - MANN • NATIONAL GALLERY

SINGAPORE • NATURAL HISTORY MUSEUM • NIKOLA TESLA TECHNICAL MUSEUM •

OSCAM – OPEN SPACE CONTEMPORARY ART MUSEUM • PALAZZO GRASSI - PUNTA DELLA

DOGANA - PINAULT COLLECTION • PALAZZO MAGNANI • PALAZZO REALE DI NAPOLI • PEDAGOGÍAS

INVISIBLES: PROYECTOS DE ARTE + EDUCACIÓN • PISTOIA MUSEI • RAW MATERIAL COMPANY • ROYAL ACADEMY OF ARTS • SALZBURGER KUNSTVEREIN • SCIENTIFIC MUSEUMS OF THE UNIVERSITY OF NAPLES FEDERICO II • SMAK • STEDELIJK MUSEUM AMSTERDAM • TATE MODERN • THE PHILLIPS COLLECTION

WELLBEING SOCIALCHANGE SUSTAINABILITY DIGITALHUMANITIES

• UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA CAMPANIA LUIGI VANVITELLI • UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II • UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA

BENINCASA • VAN ABBEMUSEUM • VICTORIA AND ALBERT MUSEUM • WIELS • ZEITZ MOCAA

24 - 27

OCTOBER 2023

NAPLES - ITALY

www.ediglobalforum.org

An international symposium by Fondazione Morra Greco connecting arts and culture experts from all over the world to explore themes of educational innovation in art.

UNIONE EUROPEA

TOP 10 LOTS

LE MIGLIORI AGGIUDICAZIONI DEL PRIMO SEMESTRE 2023 PER GLI

ARTISTI NATI TRA IL 1945 E IL 1974

Sulla Luna arrivano 30mila opere d’arte

GLORIA VERGANI L Luna Codex è il titolo del progetto ideato dal fisico e autore di fantascienza Samuel Peralta, che rinsalda il legame del satellite terrestre con l’arte (sulla Luna la prima opera arrivò già nel 1969, con la targa in ceramica del Moon Museum). A Peralta si dovrà presto l’invio sulla superficie lunare di circa 30mila opere d’arte, tra cui testi letterari, musica, opere teatrali, spot televisivi e podcast, che arriveranno nello spazio a bordo di tre moduli di atterraggio programmati per decollare tra novembre 2023 e novembre 2024. “Un messaggio in bottiglia per il futuro”, inscritto su minuscole NanoFiche, forma di archiviazione leggera e sviluppata per resistere a temperature estreme e alle radiazioni elettromagnetiche: “La nostra speranza è che i futuri viaggiatori che troveranno queste capsule del tempo potranno scoprire alcune delle ricchezze del mondo di oggi”.

Jean-Michel Basquiat, El Gran Espectaculo (The Nile), 1983

$67,110,000

Christie’s, 21st Century Art Evening Sale, New York, 15 maggio 2023

Jean-Michel Basquiat, Now’s the Time, 1985

$28,634,000

Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, New York, 18 maggio 2023

Yoshitomo Nara, In the Milky Lake, 2012

$12,809,391

Sotheby’s, 50th Anniversary Contemporary Evening Auction, Hong Kong, 5 aprile 2023

Jean-Michel Basquiat, Moon View, 1984

$10,790,400

Sotheby’s, The Mo Ostin Collection Evening Auction, New York, 16 maggio 2023

Yoshitomo Nara, Lookin’ for a Treasure, 1995

$10,681,665

Phillips, 20th Century & Contemporary Art Evening Sale, Hong Kong, 30 marzo 2023

Christopher Wool, Untitled, 1993

$10,070,000

Christie’s, A Century of Art: The Gerald Fineberg Collection Part I, New York, 17 maggio 2023

Banksy, Banksquiat. Boy and Dog in Stop and Search, 2018

$9,724,500

Phillips, 20th Century & Contemporary Art Evening Sale, New York, 17 maggio 2023

Christopher Wool, Untitled, 1988

$8,377,500

Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, New York, 18 maggio 2023

Cecily Brown, Free Games for May, 2015

$6,711,450

Sotheby’s, The Mo Ostin Collection Evening Auction, New York, 16 maggio 2023

Cecily Brown, Untitled (The Beautiful and Damned), 2013

$6,705,000

Christie’s, 21st Century Evening Sale, New York, 15 maggio 2023

CRISTINA MASTURZO

Fonte dati:

Artnet Intelligence Report Mid-Year Review 2023

Artnet Price Database

Ad Ancona si restaura il Museo Archeologico Nazionale

GIULIA GIAUME L Cinque milioni di euro e quattro anni per far rinascere il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, con un intervento radicale che sarà sia di restauro architettonico sia di riallestimento. L’istituzione anconetana, che raccoglie e custodisce la più ricca collezione di reperti dal Paleolitico all’età romana della regione, va incontro a un’operazione atta a “restituire il fascino originale alla sede museale, migliorandone la sicurezza in chiave sismica, e per riconfigurare l’esperienza di visita ponendo al centro il visitatore e le sue esigenze”. A cominciare dal primo grande intervento, il restauro dello scalone monumentale disegnato da Luigi Vanvitelli a metà del Settecento. Nel 2024 saranno resi accessibili i depositi a studiosi e visitatori, con annessa sala studio e spazio per la manutenzione, con tutti gli interventi da concludersi entro il 2026, senza chiusure.

DESIRÉE MAIDA L Trova collocazione permanente la Pietà di Francesco Vezzoli (Brescia, 1971), opera protagonista, tra il 2021 e il 2022, di un intervento site specific pensato per Piazza della Signoria a Firenze (nell’ambito del progetto promosso dal Comune che vede artisti contemporanei entrare in contatto con lo storico spazio pubblico), e che adesso trova casa a Palazzo Vecchio. Si tratta di un leone rampante novecentesco installato su un basamento antico, su cui giace una statua di figura togata romana acefala; la testa della statua (del II secolo d.C.) è tra le fauci del leone. L’opera, che faceva parte del progetto espositivo Francesco Vezzoli in Florence – a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti –, è stata collocata all’interno del terzo cortile. “Grazie a Francesco Vezzoli per questo dono che rimarrà con noi per sempre ad arricchire questo cortile”, ha dichiarato il sindaco Dario Nardella.

Expo 2025 a Osaka: il Padiglione Italia sarà una “Città Ideale” di Mario Cucinella

GIULIA GIAUME L Sarà il raggruppamento guidato dall’archistar Mario Cucinella a progettare e costruire il Padiglione italiano alla prossima Esposizione Universale, che si aprirà il 13 aprile 2025 a Osaka, nella regione giapponese del Kansai, e durerà fino al 13 ottobre 2025. Tenuto conto del tema dell’Expo di Osaka – Designing Future Societies for our lives –, il Padiglione Italia rappresenterà una versione moderna della “Città Ideale”, immagine simbolo del Rinascimento italiano: per farlo, il progetto capitanato da Cucinella intende restituire “una visione italiana dello spazio sociale basato su integrazione, inclusività e su una cultura del ‘fare’ fondata su rapporti e interazioni reali, ben rappresentati da concetti profondamente radicati nella nostra tradizione di ‘piazza’, ‘teatro’ e ‘giardino’”.

NEWS
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Jean-Michel Basquiat, El Gran Espectaculo (The Nile) , 1983. Courtesy of Christie’s Images Ltd
La “Pietà” di Francesco Vezzoli sarà per sempre nel cortile di Palazzo Vecchio a Firenze
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NEI NUMERI PRECEDENTI

#46 Filippo Vannoni

#47 Andrea Casciu

#48 Monica Alletto

#49 Giulia Masia

#50 Elisabetta Bianchi

#51 Sara Paglia

#52 Kiki Skipi

#53 Sabeth

#54 Walter Larteri

#56 Shut Up Claudia

#57 Viola Gesmundo

#58 Daniela Spoto

#59 Federica Emili

#61 Maria Francesca Melis

#63 Mariuska

#64 Chiara Zarmati #65 Marjani

#67 Vito Ansaldi

#68 Matilde Chizzola

#69 Susanna Gentili

#70 Giovanni Gastaldi

#71 Luca Soncini

#72 Chiara Lanzieri

#73 Giulia Neri

SKAN, al secolo Emanuele Boi, nasce nel 1988 a Cagliari,

dove vive

e lavora.

Il

è

approccio eclettico in grado di spaziare dalla pittura al muralismo, dall’illustrazione alla grafica con una cifra stilistica inconfondibile che rivela un’approfondita conoscenza dell’anatomia umana.

Definisci la tua ricerca con tre aggettivi. Introspettiva, esorcizzante, mutevole.

Qual è la tua formazione e quali gli artisti a cui guardi?

Dopo il diploma al Liceo Artistico ho conseguito il diploma all’Accademia di Belle Arti di Milano in Design del prodotto, ma già durante gli studi ho presto perso l’interesse per quella disciplina e ho iniziato a dedicarmi alla pittura da autodidatta. Da sempre gli artisti a cui sono interessato sono i pittori delle avanguardie del Novecento come Picasso e Matisse, ma con un amore particolare (in ordine sparso) anche per Twombly, Bacon, Monet. Anche la cultura dei graffiti è stata fondamentale per la mia formazione.

Pittore, street artist e illustratore. Quale tecnica ti è più congeniale e perché?

Non mi definirei street artist, forse il termine più appropriato per me è muralista. L’approccio sulla parete è quello che trovo più congeniale perché più coerente con il mio linguaggio, legato ad una gestualità che trova la totale libertà espressiva solo su una grande superficie.

Quali sono le fasi del processo creativo delle tue illustrazioni?

Lavoro tanto sullo sketchbook, disegno idee senza nessun obiettivo: parto quasi sempre da un’idea che nasce da un bozzetto, successivamente realizzo il progetto definitivo utilizzando spesso delle foto con dei modelli.

La tua cifra stilistica è inconfondibile: un insieme di tratti somatici, spesso racchiusi in spazi circo-

lari, che si moltiplicano e sovrappongono deformandosi. Da cosa deriva?

È frutto di una lenta ricerca estetica e formale legata all’interesse per la memoria, intesa come i nostri ricordi personali come il sogno, ma anche l’astronomia, di cui non sono certamente un esperto ma ne rimango affascinato; trovo che tutti e tre questi elementi siano soggetti alla relazione tra spazio e tempo.

I tuoi gusti in merito a cinema e musica. Sono attratto dai film che trattano argomenti distopici e di fantascienza ma non solo.

Ho un forte legame con la musica, l’interesse è forte tanto quanto per la pittura anche se solo da ascoltatore. Ascolto tanti sottogeneri legati al rock e al metal.

La richiesta più singolare ricevuta. Nel lavoro ancora niente di così singolare da impressionarmi.

Qual è il tuo concetto di bellezza?

Qualsiasi cosa sia appagante per i sensi, la si può trovare in tutto. Personalmente sono attratto dalla bellezza che trovo nella pittura, nella musica ma soprattutto in natura.

Mi parli dei tuoi progetti futuri?

Probabilmente una mostra personale, non mi ci dedico da parecchio tempo.

SKAN L'ECLETTICO
suo
un
LABORATORIO ILLUSTRATORI a cura di ROBERTA VANALI © Skan per Artribune Magazine 74 27

ART MUSIC

BRIXIA SONORA: LA CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA IN MUSICA

LE GRANDI MOSTRE DELL’AUTUNNO IN ITALIA

Non c’è solo arte nella Brescia Capitale italiana della Cultura 2023 (insieme a Bergamo), ma anche una scena musicale ricchissima che, penalizzata da un certo isolamento, ha trovato negli anni poco spazio all’interno dei suoi confini per crescere ed evolversi. Da qui l’idea dell’etichetta indipendente bresciana di musica elettronica Rebirth Records di produrre un disco tributo, in vinile e in digitale: a giugno è uscito, così, Brixia Sonora, con brani inediti dei suoi musicisti più rappresentativi, tra cui Giovanni Battagliola, Cattaneo, Chris Benoit, Eke, Luca Formentini, Kick, Alessandro Pedretti, Corrado Saija & Giorgio Presti, Maniscalco, Materie, Matteo Gamba, Mattia Fontana. “Al di là della musica, uno degli aspetti più belli e stimolanti nella realizzazione di questo progetto, è stato quello di fare da collante”, ci racconta il titolare della label, Daniele ‘Shield’ Contrini, “e far dialogare tra di loro questi produttori validi, ma frammentati, ognuno dei quali aveva un proprio percorso musicale indipendente”. In un cortocircuito di universi sonori noise, minimalisti, glitch e organici, jazz, house e indie rock alternativo. “Abbiamo anche prodotto un docu-video, per supportare la release sulla scena musicale bresciana, e lo abbiamo girato nei luoghi più belli e caratteristici della città: il Castello di Brescia, il Museo Santa Giulia, il Centro Storico della città, il Conservatorio Luca Marenzio di Brescia, la Metropolitana dove si trova l’opera di Isgrò”. Proprio il simbolo della brescianità di epoca romana, la Vittoria Alata, rivisitata da Emilio Isgrò in chiave di arte pubblica con la sagoma del capolavoro antico che emerge dalle cancellature tipiche del suo linguaggio espressivo, è diventata la cover dell’album. “Abbiamo contattato il Maestro che fin da subito, in accordo con Fondazione Brescia Musei, ha dato la sua approvazione all’idea. Successivamente abbiamo fotografato l’installazione, che poi è stata rielaborata graficamente in modo perfetto da Marta Beatrice Soro, che ha ricreato fedelmente l’opera per la copertina”. Non solo un intervento grafico, ma una comunanza di intenti. Perché, come Isgrò che, con il suo gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione, cancellando, dona nuova vita a un reperto archeologico, lo stesso succede in questa operazione discografica, nata già in prospettiva evolutiva.

“In ottobre pubblicheremo Brixia Sonora Remixed che includerà alcune versioni remix dei brani, ad opera di nomi come Fango, Map. Ache, Bruise, Fred P, Casino Times, Dazzle Drums, Kaval, SH”.

rebirthrecordings.bandcamp.com

CLAUDIA GIRAUD

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TINA MODOTTI A PALAZZO ROVERELLA ROVIGO

La mostra ripercorre il lavoro della leggendaria fotografa con oltre 300 scatti, molti mai visti in Italia. Dalle foto che raccontano la società e il lavoro nel Messico degli Anni Venti, alla ricostruzione dell’unica esposizione del 1929 a lei dedicata e da lei organizzata, dal 22 settembre al 28 gennaio si viaggia nella sua poetica. fondazionecariparo.it

ROBERT MAPPLETHORPE

AL MUSEO NOVECENTO FIRENZE

40 anni dopo la grande mostra del 1983, che lo fece conoscere proprio a Firenze, tornano dal 23 settembre al 30 novembre le immagini del celebre fotografo newyorkese in un confronto inedito con gli scatti di Wilhelm von Gloeden e una selezione di fotografie dall’archivio Alinari. museonovecento.it

KEITH HARING A PALAZZO TARASCONI PARMA

Dal 17 settembre al 4 febbraio, oltre 100 opere del celebre artista pop degli Anni Ottanta, provenienti da una collezione privata, ne raccontano la carriera. Tra i disegni in metropolitana e la street art, le mostre nelle più famose gallerie di New York, il Pop Shop e il suo lavoro commerciale. palazzotarasconi.it

TIZIANO ALLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA

VENEZIA

Dal 9 settembre al 3 dicembre, la mostra racconta l’arte del maestro attraverso 17 opere autografe e una decina di confronti con dipinti, incisioni e disegni di autori a lui contemporanei come Giorgione, Sebastiano del Piombo, Albrecht Dürer e Francesco Vecellio. gallerieaccademia.it

VINCENT VAN GOGH AL MUDEC MILANO

Ribalta lo stereotipo dell’artista a noi noto la mostra in programma dal 21 settembre al 28 gennaio: un van Gogh meno outsider e più aggiornato sul dibattito culturale del suo tempo. Come l’interesse per i libri e la fascinazione per il Giappone alimentata dall’amore per le stampe orientali, da lui collezionate. mudec.it

HAYEZ ALLA GAM TORINO

Dal 17 ottobre al 1° aprile, un percorso originale pone a confronto dipinti e disegni che si trovavano nello studio del pittore romantico, per 40 anni professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, con oltre 100 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, come la stessa GAM. gamtorino.it

ARTEMISIA GENTILESCHI

A PALAZZO DUCALE GENOVA

Una mostra di capolavori, visitabile dal 16 novembre al 1° aprile, con un’attenzione particolare al travagliato rapporto con il padre Orazio Gentileschi –illustre pittore dell’epoca, amico di Caravaggio e maestro di Artemisia – sfociato poi in una vera e propria rivalità. palazzoducale.genova.it

CLAUDIA GIRAUD

Il Museo del Mediterraneo di Reggio Calabria di Zaha Hadid si fa davvero

GIULIA GIAUME L Era il 2009 quando l’archistar angloirachena Zaha Hadid vinse il concorso internazionale Regium Waterfront indetto dal Comune di Reggio Calabria per realizzare un grande complesso architettonico sul lungomare. Dopo tanti stop & go il progetto si farà davvero grazie a oltre 120 milioni. Merito dei fondi del PNRR, che ne hanno permesso il finanziamento come “Grande Attrattore Culturale” nel contesto del Recovery Plan della Cultura (che porta 61 milioni di euro) e del programma di intervento Pon Metro Plus per il 2021-2027 (con altri 60 milioni): così è stato possibile affidare in via ufficiale il progetto esecutivo allo studio Zaha Hadid Architects, il cui direttore Filippo Innocenti ha partecipato alla formalizzazione dell’atto lo scorso marzo insieme a Paolo Brunetti, sindaco facente funzioni di Reggio Calabria, e Francesco Barreca, dirigente dei Lavori Pubblici.

Roma investe quasi 75 milioni di euro nel nuovo Museo della Scienza

VALENTINA SILVESTRINI L “Auguro a Roma di costruire il museo il più rapidamente possibile”. Questo l’auspicio con cui l’architetto Daniel Libeskind si è congedato da presidente della giuria del concorso per il Museo della Scienza, che si insedierà nell’ex Stabilimento Militare al Flaminio. Su oltre 70 proposte, a imporsi è stata quella sviluppata da ADAT Studio, fondato a Roma nel 2022 dagli architetti Antonio Atripaldi e Andrea Debilio (entrambi con esperienze internazionali all’attivo). Per la commissione, i punti di forza di Science Forest sono il suo “grande spazio aperto al pubblico, che è contemporaneamente una piazza coperta e uno spazio domestico da frequentare anche durante gli orari di chiusura” e “l’ampia diversificazione tipologica e dimensionale degli spazi espositivi”. Spera in tempi rapidi anche il sindaco Gualtieri, che punta ad avviare il cantiere entro il 2025. museoscienza.competitionarchitecturenetwork.it

Stefano Raimondi è il nuovo direttore del MAC di Lissone

DESIRÉE MAIDA L “Felice di iniziare questa avventura come direttore artistico del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone”. Commenta così il curatore e promotore d’arte Stefano Raimondi la notizia del nuovo incarico di direttore al MAC di Lissone, andando così a sostituire Francesca Guerisoli, nominata a settembre 2021. Già curatore alla GAMeC di Bergamo, direttore della fiera ArtVerona e del network culturale The Blank Contemporary Art (con cui organizza annualmente il Festival d’Arte Contemporanea ArtDate), Raimondi è stato selezionato attraverso un bando pubblico lanciato dall’amministrazione comunale di Lissone, che ha valutato curriculum e progetto espositivo dei candidati. Una commissione presieduta dalla dirigente Angela Levatino con gli esterni Anna Detheridge e Renato Diez ha selezionato la cinquina di finalisti, da cui poi è stato scelto il profilo di Raimondi.

Nel 2024 nel torinese le Cartiere Burgo di Niemeyer rinascono come Argotec Space Park

CLAUDIA GIRAUD L Ben presto le Cartiere Burgo di San Mauro Torinese, gioiello architettonico del Premio Pritzker Oscar Niemeyer, torneranno a nuova vita come sede della Argotec, space company italiana con base a Torino e una sede in Maryland (USA) che produce micro e nano satelliti. A marzo 2024 l’azienda sposterà tutta la produzione in quello che si chiamerà Argotec Space Park, con apertura definitiva prevista per l’autunno dello stesso anno: sorgerà su 11.500 mq di superficie dello storico stabilimento di carta ristrutturato, all’interno di 17mila mq di spazi verdi aperti al pubblico. Si tratta di una struttura in cemento armato a pianta circolare, come una navicella spaziale a più piani circondata in origine dall’acqua, ed è uno dei quattro edifici in Italia a firma dell’architetto brasiliano.

LOST IN DISTRIBUTION

I NUOVI VICHINGHI

Nel goffo e originale tentativo di superare la classica ‘crisi di mezza età’, Martin, marito e padre, scappa dalla civiltà e dai propri obblighi famigliari per rifugiarsi nelle selvagge foreste norvegesi.

Armato di arco e frecce e vestito di pelli animali, l’uomo tenta di sopravvivere come un cacciatore/raccoglitore vichingo, ma fatica a procurarsi il minimo sostentamento. L’incontro con Musa, corriere della droga ferito e in fuga, lo catapulterà in un viaggio rocambolesco attraverso i fiordi, inseguito da polizia, trafficanti e dalla sua stessa famiglia.

È un film ironico e stravagante quello del giovane regista danese Thomas Daneskov, un film che gioca con trama e archi narrativi secondari per restituire allo spettatore una satira acuta e spietata del disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo. Attraverso paesaggi mozzafiato e momenti comici che omaggiano il cinema dei fratelli Coen, Wild Men naviga tra i generi, bilanciando con delicatezza road e buddy movie con thriller e commedia. Brillante interpretazione quella del protagonista Rasmus Bjerg, nei panni, o forse meglio dire nelle pelli, dell’insoddisfatto e tormentato Martin, un personaggio che incarna le grottesche e pericolose contraddizioni di una modernità altamente connessa e, allo stesso tempo, profondamente alienante. Al centro di questa pellicola divertente e ben confezionata, Daneskov pone l’amara consapevolezza della crisi di ruolo dell’uomo contemporaneo e dei dogmi sociali ad esso correlati. Il crollo emozionale di Martin, sul quale pesa in modo insopportabile quella stereotipia di genere tradizionalista che lo esige forte e silenzioso, stoico e supportivo, si manifesta in un volontario abbandono sociale, in un ascetismo difensivo che verrà interrotto solo con l’arrivo di Musa, un giovane sconosciuto e in difficoltà. Grazie a lui, Martin inizierà ad aprirsi, comunicando con sincerità e abbandonando quell’immagine di sé che non gli corrisponde più, o che, forse, non gli è mai corrisposta.

GIULIA PEZZOLI

Titolo originale: Wild Men – Fuga dalla civiltà

Origine: Danimarca, 2021

Genere: commedia

Regia: Thomas Daneskov

Sceneggiatura: Thomas Daneskov, Morten Pape

Cast: Rasmus Bjerg, Zaki Youssef, Bjørn Sundquist, Sofie Gråbøl, Marco Ilsø, Jonas Bergen Rahmanzadeh, Håkon T. Nielsen, Tommy Karlsen

Durata: 104 min

NEWS
Museo della Scienza,
Roma, render. Courtesy ADAT Studio 74 29 Comune di Roma

UNO SGUARDO SURREALE

“Questa esclusiva collezione di occhiali è un’ode alla poesia, all’umorismo e alla curiosità”. Così i designer del brand francese IZIPIZI hanno commentato il lancio della loro ultima capsule collection. L’occasione è la celebrazione dei 125 anni dalla nascita di René Magritte (18981967), a cui è dedicata una nuova serie di lenti da lettura e da sole. I primi tre modelli, lanciati la scorsa estate, riprendono una delle montature più amate dell’azienda, la #C, e la decorano con motivi ispirati all’estetica e allo stile del pittore belga. La versione Brown Pipe riprende la tonalità di marrone dell’iconica pipa, il modello Clouds propone le famose nuvole su cielo azzurro, mentre Dark Wood è un occhiale bicolore che combina una parte trasparente con una fantasia effetto legno. Altri tre modelli, pensati in modo specifico per la lettura, saranno disponibili in autunno, tra cui uno contrassegnato dal simbolo più riconoscibile dell’opera di Magritte: l’inconfondibile bombetta. IZIPIZI, che fonda la propria mission su valori come la sostenibilità e l’accessibilità, ha deciso di utilizzare una speciale bioplastica a base di olio di ricino e di fissare il prezzo a soli 40 €. L’obiettivo, spiegano, è “far sorridere il maggior numero di persone possibile”.

€ 40 izipizi.com

TORCE BENEFICHE

Lo studio di design Pentagram, in collaborazione con l’impresa sociale Ambessa Play, ha realizzato una torcia elettrica fai-da-te da inviare ai bambini che vivono nei campi profughi. Per ogni kit acquistato, uno viene donato in beneficenza.

GIOCATTOLI POST-PUNK

Il sito Super7 ha messo in vendita una divertente action-figure dedicata a Mark Mothersbaugh, frontman dei Devo, leggendaria band post-punk americana. La bambola indossa l’iconico cappello a cupola rosso ed è equipaggiata con una frusta e una ciotola di panna montata, un riferimento al videoclip Whip it.

super7.com

FORMINE IN 3D

Un gioco educativo e divertente per bambini tecnologici. La collezione Print & Play Construction Company contiene una serie di modelli da usare con la stampante 3D. Con l’aiuto dei genitori, i più piccoli potranno produrre in casa i propri giochi, dal mini-martello alle formine per la sabbia.

download gratuito enable-3d.com

MUCCHE AL FRESCO

“Perché scegliere tra una mucca e un frigorifero, se puoi avere entrambi?”. È così che i designer di Atypyk, vulcanico marchio di design francese, presentano Cowstick, un set di adesivi pensato per decorare frigoriferi anonimi con fantasie muccate.

€ 17 atypyk.com

ANALOGICO O DIGITALE?

A prima vista, la macchinetta fotografica Flashback sembra un modello tradizionale a pellicola: ha il mi rino, il caricatore e un flash vecchio stile. Tuttavia, dietro al design analogico si nasconde un sistema di gitale. Pur non avendo un rullino, infatti, consente di scattare soltanto 27 immagini alla volta.

€ 80

joinflashback.co

UNA LUCE PERPETUA

Lo studio sudcoreano ilsangisang ha ideato questa simpatica mensola con dispositivo di illuminazione integrato. La forma originale del supporto fa in modo che la superficie sembri sempre illuminata, anche quando la lampadina è spenta. Può essere montata a parete oppure appoggiata su una superficie.

$ 60 ilsangisang.com

DECANTER D’ARTISTA

L’artista americano James Turrell ha disegnato un decanter in vetro in edizione limitata. Realizzato in collaborazione il marchio francese di cristalleria Lalique, si chiama Eight Decades e ha un’estetica ispirata all’Antico Egitto. La bottiglia, disponibile in soli 80 esemplari, viene venduta con all’interno del pregiato whisky Glenturret.

£ 80,000 lalique.com

RACCHETTE POP

L’estetica, inconfondibile, è quella di Roy Lichtenstein, l’artista pop che ha portato il retinato dei fumetti sulla tela. Questa coppia di racchette da pingpong con pallina incorporata disegnate da Hi Art sono un regalo perfetto per gli amanti dell’arte e dello sport.

$ 25

thirddrawerdown.com

Si dice che gli animali domestici tendano a replicare i comportamenti dei propri compagni umani. Se lavorate molto al computer, quindi, magari il vostro gatto potrebbe gradire questo tiragraffi a forma di laptop. Ovviamente il mouse è un topolino di peluche.

£ 20 suck.uk.com

COSE a cura di VALENTINA TANNI
74 31

NECROLOGY

MARC BOHAN (22 agosto 1926 – 6 settembre 2023)

L GIULIANO MONTALDO (22 febbraio 1930 – 6 settembre 2023)

L RAYMOND MORIYAMA (11 ottobre 1929 – 1 settembre 2023)

L PASQUALE LECCESE (3 settembre 1957 – 30 agosto 2023)

L LUCA MARIA PATELLA (1934 – 25 agosto 2023)

L LUCIA ROMUALDI (24 agosto 2023)

L GIUSTO PURI PURINI (1 gennaio 1944 – 21 agosto 2023)

L MARCO ALTAVILLA (1974 – 19 agosto 2023)

L FRANCESCO ALBERONI (31 dicembre 1929 – 14 agosto 2023)

L MICHELA MURGIA (3 giugno 1972 – 10 agosto 2023)

L BRICE MARDEN (15 ottobre 1938 – 9 agosto 2023)

L JAMIE REID (16 gennaio 1947 – 8 agosto 2023)

L SIXTO RODRIGUEZ (10 luglio 1942 – 8 agosto 2023)

L GIUSEPPE MONTANARI (26 novembre 1936 – 5 agosto 2023)

L HÉLÈNE CARRÈRE D'ENCAUSSE (6 luglio 1929 – 5 agosto 2023)

L SINÉAD O’CONNOR (8 dicembre 1966 – 26 luglio 2023)

L TONY BENNETT (3 agosto 1926 – 21 luglio 2023)

L JOSEPHINE CHAPLIN (28 marzo 1949 – 13 luglio 2023)

L MILAN KUNDERA (1 aprile 1929 – 11 luglio 2023)

L MICHELE JOCCA (6 ottobre 1925 – 9 luglio 2023)

QUEERSPECTIVES

CHRISTINA QUARLES: CONTORSIONI E PARADOSSI

Recentemente protagonista di una mostra personale all’Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart di Berlino, prima retrospettiva istituzionale in Germania, nelle sue opere Christina Quarles condensa e riappiana molteplici contraddizioni. Opposizioni che lei stessa ha vissuto, in quanto persona queer e cisgender figlia di una madre single e di un padre afrodiscendente.

Hauser & Wirth and Pilar Corrias, London

© Christina Quarles. Courtesy the artist,

Christina Quarles, For Whom Tha Sunsets Free , 2019

Nata a Chicago nel 1985 e cresciuta a Los Angeles, l’artista dimostra, fin dalla tenera età, una dote particolare per il disegno, iniziando a prendere lezioni a dodici anni. La resa della muscolatura corporea l’affascina da sempre e all’università sceglie di affrontare un doppio percorso di studi, in filosofia ed in arte, laureandosi nel 2007 all’Hampshire College. Prosegue poi la sua istruzione alla Yale University ed alla Skowhegan School of Painting and Sculpture. Quindi intraprende la professione di graphic designer con lo sguardo sempre però rivolto alla pura creazione artistica, affrontata in tutte le forme espressive possibili. Come ben si evinceva in Collapsed Time all’Hamburger Bahnhof, grazie ad un percorso di visita, curato da Sam Bardaouil e Till Fellrath, che conduceva il visitatore tra dipinti e opere su carta di Quarles, in dialogo con alcuni lavori della collezione permanente del museo. Da sempre la pratica dell’artista si confronta con i limiti oggettivi del linguaggio nella trattazione della complessità dei corpi caratterizzati da una molteplicità di sfumature in quanto ad etnia, identità di genere ed orientamento sessuale. Piani prospettici che frammentano gli esseri umani e definizioni identitarie culturalmente imposte che, da mezzo di esclusione , diventano strumento di rivalsa. Così le sue tele si caricano di una sovrabbondanza di gesti resi materialmente attraverso colature di colore, abrasioni, dripping, rapidi colpi di pennello, stencil, tagli laser e manipolazioni digitali. Un complesso mixed media che contribuisce alla resa contorta delle figure sulla tela. La loro unione evoca un senso di intimità e fluidità reso ancora più significativo dall’impossibilità di delineare con precisione i tratti somatici dei soggetti.

La tecnica creativa di Christina Quarles non segue una composizione determinata a priori: l’artista traccia segni sulla superficie che man mano si evolvono in parti corporee. Fotografa quindi il lavoro e utilizza Adobe Illustrator per disegnare gli sfondi che circonderanno le figure. Quindi, in un capovolgimento dei metodi tradizionali, i soggetti dell’artista precedono l’ambiente in cui si inseriscono, determinandolo. Ottenuta digitalmente la composizione, la dipinge sulla tela grazie a stencil spesso creati a mano.

Se da sempre ha considerato l’umano come suo soggetto d’elezione, nei primi lavori l’artista inseriva anche giochi di parole che puntavano all’ambiguità. Successivamente tali enigmi vengono inclusi nei titoli dei quadri, ispirati a frasi ascoltate per caso, canzoni e poesie. Oltre al vissuto personale, nelle sue tele si rintracciano rimandi a figure della storia dell’arte quali, tra gli altri, David Hockney e Philip Guston.

L’esperienza quotidiana di Christina Quarles con l’ambiguità la spinge a cercare di smantellare i presupposti culturali di una soggettività fissa, obbligando lo spettatore a confrontarsi visivamente con un fisico disorganizzato. La differenza che si percepisce tra l’interno di un’opera e il suo limite, dato dalla cornice, è la stessa che sperimenta il corpo.

ELISABETTA RONCATI

FORTUNATO

CLAVEL
DEPERO GILBERT
Sperimentazione ARTOPOLI
espositivo 23 ottobre 2023 –7 aprile 2024 a cura di Luigi Sansone Nicoletta Ossanna Cavadini
grafica Carmina Burana di Giuliano Collina
espositivo 1° ottobre 2023 –3 dicembre 2023 a cura di Roberto Borghi Nicoletta Ossanna Cavadini m.a.x. museo Via Dante Alighieri 6 CH–6830 Chiasso T +41 (0)58 122 42 52 info@maxmuseo.ch www.centroculturalechiasso.ch martedì–domenica ore 10.00–12.00 / 14.00–18.00 lunedì chiuso a cura di Daniela Ferrari 15.09.2023 - 04.02.2024 venerdì, sabato e domenica 10 - 18 Modena, Via Scudari 9
Solennità e tormento. ingresso libero e gratuito lagalleriabper.it
Futurismo =
periodo
L’opera
periodo
Mario Sironi.

GAIA BOBÒ

LA CURATELA COME SPAZIO RELAZIONALE

fatta di relazioni e oblio

Mi trovo spesso a definire la curatela come “mestiere”, intendendola come esercizio quotidiano di relazioni, in primo luogo con le artiste e gli artisti, e di pratiche che si consolidano nel tempo con lo scopo di costituire architetture non solo funzionali, ma anche, e soprattutto, ospitali. Nel mio percorso, la progettazione espositiva è stata in assoluto il banco di prova per verificare la solidità di questo approccio relazionale. Spesso frutto di innamoramenti e intuizioni improvvise, le idee curatoriali sarebbero infatti rimaste forma vuota senza la fiducia delle artiste e degli artisti, la cui visione ha permesso di dare struttura a degli spazi comuni. Provando a sistematizzare la mia ricerca alla luce dei suoi esiti più recenti, credo che questa possa essere letta come un riverbero del pensiero intrusivo della dispersione. Mi interessa infatti l’esperienza della perdita come processo dinamico: la mancata trasmissione di informazioni, la dissipazione dei flussi di energia, o ancora lo scarto semantico che caratterizza la transizione tra diversi linguaggi. Ciò deriva probabilmente dai miei studi legati al patrimonio culturale, e in particolare alla sua declinazione immateriale, che mi hanno portata a diffidare di una lettura della storia e del patrimonio come entità statiche, inducendomi piuttosto a considerarle come residui di un titanico e vertiginoso “non pervenuto”. Nella curatela del progetto ICH – Intangible Cultural Heritage (2018), ad Amburgo, la ricerca ha riguardato le dinamiche di trasmissione del patrimonio immateriale nell’ottica di una costante tensione verso l’oblio, esplorando il possibile ruolo degli artisti nella riflessione critica su questa fragilità. Ancora, il potenziale dello scarto semantico e del rimosso è stato il campo d’indagine della mostra A Word That Troubles (2020), in cui mi sono interessata alle zone d’ombra tra parola e immagine incarnate dal disegno, dalla traduzione, dalla scrittura asemica, dall’incantesimo e dall’ekphrasis. Non è casuale che una costante della mia ricerca sia il rapporto con la Poesia Visiva, sostanziato nelle curatele dei progetti monografici dell’artista Lamberto Pignotti e alle collaborazioni con Tomaso Binga e Lucia Marcucci – in particolare nella sua doppia mostra personale con l’artista statunitense Angela Washko, tenutasi presso la Temple University Rome.

La mostra Porta Portese (2021) curata presso SPAZIOMENSA, realtà indipendente di Roma da me co-fon-

NEI NUMERI PRECEDENTI

#46 Marta Cereda

#47 Vasco Forconi

#49 Greta Scarpa

#50 Federico Montagna

#52 Pierre Dupont

#54 Giovanni Paolin

#58 Arianna Desideri

#61 Marta Orsola Sironi

#63 Caterina Avataneo

#65 Giuliana Benassi

#68 Erinni

#71 Collettivo Amigdala

#72 Caterina Angelucci

data, si è posta come interrogazione poetica sullo spazio culturale del mercato, inteso come luogo di transito votato alla circolazione e delocalizzazione della cultura materiale, nonché come espressione culturale non-monumentale che si autodefinisce nella costante dispersione, contrapponendosi a una logica accumulativa e conservativa.

Il mio ultimo progetto Dinamica di assestamento e mancata stasi (2023) – il cui titolo è mutuato da un dipinto di Voltolino Fontani del 1948 – è stato sviluppato per la Fondazione La Quadriennale di Roma attraverso un saggio e in una mostra. Quest’ultima presentava un Uragano di Donato Piccolo e tre Autoritratti di paesaggio di Luca Vitone. La dispersione è stata qui declinata come fenomeno materico ed energetico, indagato tramite la messa in campo dei concetti di erosione e autodistruzione come chiavi di lettura dei processi artistici dell’arte italiana del XXI secolo Concludo introducendo il visual essay, che intendo come una ‘lista dei desideri’ per i prossimi progetti da realizzare con tre artiste e collaboratrici incredibilmente talentuose: Agnieszka Mastalerz (Łódź, PL, 1991), Auriea Harvey (Indianapolis, US, 1971) e Sofia Mascate (Abrantes, PT, 1995).

Curatrice e co-fondatrice della realtà indipendente romana SPAZIOMENSA (ne abbiamo parlato nello scorso numero #73), Gaia Bobò si racconta: una ricerca curatoriale
Gaia Bobò. Photo © Angelo Cricchi
OSSERVATORIO CURATORI a cura di DARIO MOALLI 74 35
OSSERVATORIO CURATORI 74 37
SPETTACOLO Direzione Generale Con il sostegno di auditorium.com seguici su scopri tutta la programmazione su

CAMBIAMENTI CLIMATI E PATRIMONIO CULTURA QUALI CONSEGUENZE?

Il Parco Archeologico di Segesta dopo l'incendio

CI LE.

DESIRÉE

MAIDA

Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi che era il Vesuvio): nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma… Talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé terra o cenere… La cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco… Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e la cui luce erano messi in risalto dal buio della notte”. Sono alcuni passi della lettera che Plinio il Giovane scrisse a Tacito, nell’intento di descrivergli l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. Nonostante lo stile rigoroso e la precisione di Plinio, ciò che risalta dal testo è lo stupore, e a un certo punto anche il terrore. Dell’impatto di questo drammatico evento geologico rimane testimonianza nei resti di Pompei, Ercolano e Stabia.

L’eruzione del Vesuvio è uno dei più noti casi di eventi pericolosi di origine naturale – per la precisione “endogeni”, ovvero legati ad attività interne alla crosta terrestre, tra cui si annoverano anche i terremoti. A questi si aggiungono anche i fenomeni di natura “esogena”, che hanno origine sulla superficie terrestre come alluvioni, valanghe e frane. Di questa seconda tipologia di eventi, negli ultimi anni, si parla con maggiore frequenza: la loro manifestazione è sempre più legata ai cambiamenti climatici, i cui effetti si palesano anche attraverso eventi meteorologici estremi. Per comprendere meglio la natura della relazione che lega questi due concetti, ci affidiamo alle indicazioni pubblicate sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite: “per ‘cambiamenti climatici’ si intendono i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Questi cambiamenti possono avvenire in maniera naturale, ad esempio tramite variazioni del ciclo solare. Tuttavia, a partire dal XIX secolo, le attività umane sono state il fattore principale all’origine dei cambiamenti climatici, imputabili essenzialmente alla combustione di combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas. Quando le emissioni di gas serra ricoprono la Terra, intrappolano il calore del sole, causando il fenomeno del riscaldamento globale e del cambiamento clima-

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
I sempre più violenti (e frequenti) eventi climatici che stanno colpendo l’Italia e il pianeta pongono un interrogativo fondamentale: come tutelare i nostri beni culturali dall’innalzamento delle temperature e delle acque?
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tico”, continuiamo a leggere. “Il pianeta si sta riscaldando più velocemente che in qualsiasi altro momento registrato della storia”. Tra le conseguenze dei cambiamenti climatici sono infatti le temperature più elevate – che “negli ultimi anni stanno mutando i modelli meteorologici e sconvolgendo gli equilibri naturali” –, le tempeste più violente, l’aumento della siccità, il riscaldamento e l’innalzamento degli oceani.

CAMBIAMENTI CLIMATICI ED EVENTI

METEOROLOGICI ESTREMI. I FATTI PIÙ

RECENTI ACCADUTI IN ITALIA E I DANNI AL PATRIMONIO CULTURALE

TV, web e giornali raccontano di eventi meteorologici estremi con vittime e danni ingenti a paesaggi naturali e città, impattando enormemente su dinamiche sociali, economiche e politiche. Una realtà che non risparmia nemmeno il nostro Paese: lo scorso maggio 2023, abbiamo assistito alle alluvioni che hanno messo in ginocchio l’Emilia Romagna, mentre a luglio l’Italia è stata divisa “a metà” dai nubifragi che si sono abbattuti a Nord (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e di nuovo l’Emilia Romagna) e dall’ondata di caldo estremo a Sud – con picchi che hanno raggiunto anche i 48°C – che ha favorito il proliferare di violenti incendi. Proprio questi recenti eventi ci hanno messo dinanzi a un’altra drammatica verità: i cambiamenti climatici non risparmiano il settore culturale e il patriomonio artistico e architettonico.

Lo scorso maggio, in Emilia Romagna, le alluvioni hanno danneggiato o recato criticità alla Biblioteca Malatestiana di Cesena, all’Abbazia del Monte, alla Casa dell’Upupa (già studio dell’artista Ilario Fioravanti); e poi, il Parco del Cardello – Casa Oriani, sulle colline di Casole Valsenio, il Fulgor di Rimini, la Casa Fellini di Gambettola, il Teatro Rossini a Lugo; a Faenza si sono allagati il Museo Tramonti e la Chiesa di San Francesco, mentre sono stati colpiti dal fango la Biblioteca Manfrediana e il Museo Carlo Zauli, tra le più importanti istituzioni dedicate alla ceramica contemporanea. Non meno disastrosi sono stati gli accadimenti del mese di luglio: a Milano, a causa dei violenti nubifragi e delle forti raffiche di vento, molte istituzioni culturali sono state chiuse al pubblico per valutare le condizioni delle strutture: “gli eventi meteorologici straordinari della scorsa notte hanno causato danni significativi in città. Questa mattina alcuni istituti hanno dovuto chiudere temporaneamente le loro sedi per una verifica delle condizioni di sicurezza”, scriveva l’assessore alla cultura, Tommaso Sacchi, lo scorso 25 luglio sulla sua pagina Facebook. “Tra gli istituti al momento chiusi, il Civico Planetario Hoepli e il Museo di Storia Naturale, a causa della chiusura dei Giardini di Porta Venezia, e il Castello Sforzesco, dove sono in corso verifiche sulle conseguenze del violento nubifragio che si è abbattuto sulla città. Ad apertura parziale Palazzo Reale, il Museo Archeologico e la GAM - Galleria d’Arte Moderna”

In Sicilia sono stati ingenti i danni provocati dagli incendi, il cui spegnimento è stato fortemente rallentato dal vento di scirocco: a Palermo è andata distrutta la Chiesa del Convento di Santa Maria di Gesù, gioiello quattrocentesco che custodiva al suo interno le reliquie – tratte in salvo – di San Benedetto il Moro, tra i santi patroni della città. Le fiamme non hanno risparmiato nemmeno il Parco Archeologico di Segesta, di cui sono andati distrutti “il punto di ristoro, il corpo di

GREEN LINE A FIRENZE E IL FORUM SU CAMBIAMENTI

CLIMATICI E PATRIMONIO CULTURALE

Tenutosi a Firenze dal 7 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023, Green Line è il nuovo corso di F-Light, festival che durante il periodo natalizio accende strade e piazze del capoluogo toscano con luci e videoproiezioni. Un cambio di nome e anche di prospettiva, che nella sua edizione “ribattezzata” ha portato la rassegna a riflettere su ecologia, cambiamento climatico, sostenibilità e risparmio energetico. Temi, questi, protagonisti del Forum ospitato il 15 dicembre a Palazzo Vecchio dal titolo Climate change and heritage, con la direzione artistica di Sergio Risaliti “Il convegno ha messo a confronto diverse professionalità – del restauro, di climatologia, di architettura, rappresentanti di istituzioni governative e culturali, direttori di musei, imprenditori e artisti – su un tema che sta diventando sempre più urgente”, ci spiega il critico d’arte e direttore del Museo Novecento di Firenze. “Nel giro di pochi mesi, aumenteranno i problemi causati dai cambiamenti climatici, ai quali vanno aggiunti quelli (collegati) della crisi energetica. Per quanto riguarda i musei, penso che sarà necessario riflettere sull’impatto del condizionamento e rivedere il programma di apertura e chiusura. Cambiamenti climatici non significa solo caldo estremo, ma anche bombe d’acqua e grandinate, tutte cose che mettono in pericolo esternamente e internamente il nostro patrimonio”. In questo scenario, secondo Risaliti, per proteggere il patrimonio sarà sempre più necessario parlare di manutenzione e tutela, come emerso anche durante il Forum. “Credo che adesso non si possa non considerare l’interconnessione tra i ministeri della Cultura, dell’Ambiente e del Turismo: andrebbe creata una task force, un centro di controllo di sviluppo di buone pratiche e idee per affrontare l’urgenza”. Risaliti termina le sue riflessioni con un invito rivolto al governo: “io candiderei di nuovo Firenze a sede di un secondo incontro su questi temi, e invito i tre Ministri a organizzare con noi il Forum”

La Chiesa di San Francesco a Faenza

EVENTI

MILANO 24-25

FIRENZE 4 novembre 1966

VENEZIA 1966 e 2019

EMILIA ROMAGNA

2-3 e 15-17 maggio 2023

UMBRIA E MARCHE 26 settembre 1997

CENTRO ITALIA 24 agosto 2016

L’AQUILA 6 aprile 2009

Collemaggio. Danneggiato anche Palazzo Ardinghelli, dove nel 2021 viene inaugurata la sede distaccata del MAXXI.

CENTRO ITALIA

24 agosto 2016

VALLE DEL BELICE 14-15 gennaio 1968

MESSINA terremoto del 28 dicembre 1908

Considerato tra gli eventi sismici più tragici del XX secolo, il terremoto (che oltre Messina colpisce anche Reggio Calabria) distrugge gran parte del patrimonio architettonico della città (e non più ricostruito), tra cui la Chiesa di San Filippo Neri attribuita a Guarino Guarini, il Convento di San Francesco e numerosi palazzi settecenteschi.

FIRENZE alluvione del 4 novembre 1966

Giovani volontari, chiamati “angeli del fango”, aiutano la popolazione e traggono in salvo opere d’arte e libri da musei e biblioteche (soprattutto quelli della Biblioteca Nazionale Centrale). L’alluvione in questi giorni colpisce anche Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige.

VENEZIA acqua alta del 1966 e del 2019

Nel 1966, negli stessi giorni dell’alluvione di Firenze, Venezia viene colpita dall’“acqua granda”, causata dalle abbon-

SICILIA 24-25

danti piogge e da un innalzamento della marea che raggiunge 192 centimetri. Palazzo Ducale, a Piazza San Marco, viene inondata da un metro e mezzo di acqua; scompare sotto le ondate di 4 metri l’isola di Sant’Erasmo, mentre a Murano vengono distrutte le vetrerie. Di 187 centimetri è l’altezza della marea raggiunta tra il 12 e il 19 novembre 2019: la Basilica di San Marco è invasa da 110 centimetri d’acqua, e vengono sommerse anche la Chiesa di San Moisè, il Teatro la Fenice, la Fondazione Querini Stampalia, l’Università Ca’ Foscari; per motivi di sicurezza chiudono la Biennale d’Arte e numerosi musei della città.

VALLE DEL BELICE terremoto del 14-15 gennaio 1968 Montevago, Salaparuta, Poggioreale e Gibellina sono alcuni dei Comuni più colpiti dal sisma. Negli anni Ottanta sul vecchio centro di Gibellina, andato distrutto, Alberto Burri realizza il Grande Cretto. La costruzione di “Gibellina Nuova”, su visione del

MESSINA 28 dicembre 1908

sindaco Ludovico Corrao, viene affidata ad artisti e architetti di fama mondiale, tra cui Pietro Consagra, Ludovico Quaroni e Franco Purini.

UMBRIA E MARCHE

terremoto del 26 settembre 1997

Quella del 26 settembre è tra le scosse più violente del lungo sciame sismico che, in questa occasione, arreca gravi danni alla Basilica di San Francesco d’Assisi: danneggiati gli affreschi di Cimabue e Giotto e, durante un sopralluogo per accertarsi delle condizioni della Chiesa, muoiono quattro persone.

L’AQUILA terremoto del 6 aprile 2009

Alle ore 3:32 una fortissima scossa colpisce L’Aquila e il territorio circostante, provocando la morte di oltre 300 persone. Colpito anche il patrimonio storico-artistico: nel capoluogo abruzzese, crollano il campanile della Chiesa di San Bernardino, parti del Duomo, della Chiesa delle Anime Sante e della Basilica di Santa Maria di

Nell’agosto 2016, una violenta “sequenza sismica” (definita poi “Amatrice-Norcia-Visso”) colpisce il Centro Italia: la prima scossa ha come epicentro Accumoli, per poi propagarsi verso altre regioni. A Norcia il terremoto travolge la Basilica di San Benedetto, la Chiesa di Santa Maria Argentea, ad Amatrice la Torre Civica e la Chiesa di Sant’Agostino. L’effetto delle scosse arriva anche a Roma, lesionando la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza di Borromini.

EMILIA ROMAGNA

alluvioni del 2-3

e del 15-17 maggio 2023

44 i comuni colpiti, in particolare nelle province di Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Modena e Reggio Emilia. Tra i siti danneggiati da acqua e fango, la Biblioteca Malatestiana di Cesena, il Fulgor di Rimini, la Biblioteca Manfrediana e il Museo Carlo Zauli a Faenza.

SICILIA

incendi del 24-25 luglio 2023

L’ondata di caldo estremo, con picchi che hanno spesso superato i 45 gradi, ha agevolato il proliferarsi di violenti incendi, colpendo le aree verdi del palermitano e distruggendo la Chiesa del Convento di Santa Maria di Gesù. A fuoco anche il Parco Archeologico di Segesta, di cui sono andate distrutte diverse aree.

MILANO nubifragio

del 24-25 luglio 2023

Violenti temporali, grandine, raffiche di vento fino a 110km/h e raggiunti i 40 millimetri di acqua in 10 minuti (quanta ne cade di solito in un mese): sono questi i numeri del nubifragio che ha colpito il capoluogo lombardo, portando alla chiusura di numerosi musei e biblioteche, tra cui il Museo di Storia naturale, il Planetario, il Castello Sforzesco, il PAC e il Museo del fumetto.

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
METEOROLOGICI, IDROGEOLOGICI E TERREMOTI DEL NOVECENTO CHE HANNO DANNEGGIATO IL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO ITALIANO
luglio 2023
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luglio 2023

guardia e il deposito vicino al tempio, il blocco dei bagni nei pressi dell’antiquarium e la tettoia delle case rupestri”, spiegava in quei giorni Francesco Paolo Scarpinato, assessore ai Beni Culturali e all'Identità siciliana. “Quasi tutta la staccionata protettiva della strada che conduce al teatro e le recinzioni di sicurezza sono state ridotte in cenere, così come i cavi elettrici e i corpi illuminanti nei pressi del teatro”. Il tempio e il teatro per fortuna sono rimasti illesi.

CAMBIAMENTI CLIMATICI. QUALI GLI EFFETTI TANGIBILI SULLA FRUIZIONE DEL PATRIMONIO?

Gli effetti dei cambiamenti climatici e dei fenomeni meteorologici avversi non rappresentano un rischio solo per la conservazione del patrimonio, ma anche per la sua fruizione. Tornando allo scorso luglio, durante le settimane di caldo estremo, le autorità greche hanno deciso di chiudere l’Acropoli di Atene durante le ore più torride; in quei giorni la Croce Rossa ha presidiato il sito, distribuendo ai turisti oltre 50mila bottigliette d’acqua e pronta a intervenire in caso di malesseri accusati dai turisti. Una procedura simile è stata attuata anche in Italia, al Parco Archeologico di Pompei, dove al pubblico sono stati suggeriti itinerari di visita “anti afa”, ovvero percorsi in cui sono state messe in evidenza le zone d’ombra e le domus coperte.

A mettere in risalto come le alte temperature possano gravemente inibire viaggiatori e appassionati a visitare il patrimonio storico-artistico italiano è stato, sempre lo scorso luglio, un turista d’eccezione: il Ministro della Sanità tedesco Karl Lauterbach che, in vacanza nel nostro Paese, ha condiviso su Twitter una riflessione che ha sollevato non poche polemiche:

VENEZIA: PATRIMONIO IN PERICOLO SÌ O NO?

Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco dal 1987, Venezia periodicamente torna al centro delle attenzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (OCSE). A destare preoccupazione è lo stato di salute della città e del suo straordinario e allo stesso tempo fragile patrimonio architettonico e storico-artistico: “il continuo sviluppo, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa rischiano di provocare cambiamenti irreversibili all’eccezionale valore universale di Venezia”, ha affermato di recente il World Heritage Centre dell’Unesco, raccomandando inoltre di inserire la città lagunare nella lista del Patrimonio in pericolo, detta anche “black list”. L’iscrizione alla lista è stata già sventata nel 2021, quando il tema è stato discusso nell’ambito della 44esima Sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale Unesco, tenutasi in modalità remota a Fuzhou, in Cina. Le grandi navi, l’acqua alta, la gestione del turismo, la necessità di preservare l’equilibrio dell’ecosistema lagunare sono stati gli argomenti trattati nel corso del dibattimento; l’Italia ha risposto esponendo i provvedimenti presi per contrastare le problematiche, tra tutti il Decreto-legge sulle grandi navi e il MOSE, sistema di dighe mobili che consentono alla città di difendersi dall’acqua alta. In quella occasione l’Italia è riuscita a evitare l’iscrizione di Venezia alla temuta lista, ma il tema verrà nuovamente dibattuto dal 10 al 25 settembre a Riyad (Arabia Saudita), nel corso della 45a Sessione Estesa del Comitato del Patrimonio Mondiale Unesco. Quale destino attende Venezia?

whc.unesco.org

Venezia. Photo Irene Fanizza

“l’ondata di caldo qui è impressionante. Se le cose continuano così, queste mete di vacanza non avranno futuro. Il cambiamento climatico sta distruggendo l’Europa meridionale. Un’era volge al termine”. In un altro tweet, con una foto della Basilica di San Francesco a Siena, fornisce alcuni suggerimenti: “bella architettura medievale, ma anche cella frigorifera. Le chiese dovrebbero essere aperte durante le ondate di caldo come stanze fredde dove ripararsi durante il giorno”

Il cambiamento di rotta del turismo causato dai cambiamenti climatici e ipotizzato da Lauterbach sembrerebbe essere confermato dai dati elaborati dalla European Travel Commission: stando all’associazione di organizzazioni turistiche nazionali con sede a Bruxelles, rispetto allo scorso anno le destinazioni del Mediterraneo hanno registrato un calo di visitatori del 10%. Si è invece incrementato il turismo in altri Paesi, come la Repubblica Ceca, la Bulgaria, l’Irlanda e la Danimarca, probabilmente perché i viaggiatori “cercano destinazioni meno affollate e temperature più miti”.

Quella appena descritta è una realtà alla quale assisteremo sempre più spesso, stando alle previsioni di scienziati ed esperti. Alla luce di tali accadimenti, ci poniamo – e proveremo a rispondere – a una domanda: quanto e come il cambiamento climatico e i fenomeni metereologici estremi condizionano la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio storico-artistico?

I CAMBIAMENTI CLIMATICI SONO UN PROBLEMA POLITICO E CULTURALE. L’IMPEGNO DELL’ONU E DELL’UNESCO

Per avviare una riflessione sul tema è cruciale comprendere come, a livello politico, il problema dei cambiamenti climatici sia affrontato su scala internazionale. Risale al 2015 l’Accordo di Parigi, trattato stipulato tra gli Stati membri della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici circa la riduzione di emissione di gas serra. I Paesi firmatari dell’Accordo si impegnano attraverso di esso a “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C”, leggiamo sul sito web del Consiglio dell’Unione Europea. Nello stesso anno viene sottoscritta l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, trattato che tra i suoi 17 goals prevede anche la lotta ai cambiamenti climatici indicando diversi “target e strumenti di attuazione”, tra cui “rafforzare gli impegni per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo”

CON L’INTENSIFICARSI DEGLI

EFFETTI DEI CAMBIAMENTI

CLIMATICI, SI SONO INTENSIFICATI ANCHE GLI INTERVENTI DELL’UNESCO IN MATERIA

In tempi (forse) ancora non sospetti, a lanciare uno dei primi segnali d’allarme è stata l’UNESCO: nel novembre 1972 viene ratificata la World Heritage Convention, ovvero la Convezione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell’Umanità. Obiettivo dell’accordo è “la salvaguardia del Patrimonio Mondiale, affinché possa essere trasmesso alle generazioni future. Il Patrimonio culturale e naturale è soggetto a fenomeni di degradazione spontanea (fenomeni climatici, metereologici, di alterazione do-

vuta al passare del tempo), di degradazione naturale (inquinamento ambientale, aggressioni biologiche, agenti geologici e idrogeologici) o di alterazione o distruzione direttamente causati dall’uomo. La degradazione o la sparizione di un bene del Patrimonio Mondiale significa la perdita di una testimonianza Eccezionale (e pertanto unica) e Universale (ovvero importante per tutti i popoli del mondo)”. Un passo importante della Convenzione è dedicato alla definizione di tipologia dei “Siti naturali o culturali che possono essere iscritti nella Lista del patrimonio mondiale e i doveri degli Stati Parte nell’identificare i potenziali siti, così come il loro ruolo nella protezione e salvaguardia dei Siti stessi… Le nazioni che firmano la Convenzione si impegnano a tutelare i beni culturali e naturali presenti sul proprio territorio, con particolare riferimento ai beni inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale, la cui perdita rappresenterebbe un danno irrecuperabile per tutta l’umanità”

Con l’intensificarsi degli effetti dei cambiamenti climatici, si sono intensificati anche gli interventi dell’UNESCO in materia, soprattutto negli ultimi anni: sono numerose le relazioni adottate dal Comitato del Patrimonio Mondiale, come Prevedere e Gestire gli Effetti dei Cambiamenti Climatici sul Patrimonio Mondiale e Strategia per Aiutare gli Stati Parte della Convenzione ad Attuare Risposte Gestionali Appropriate”, entrambe del 2006. Nello stesso anno, viene stilato il Documento di policy sull’Impatto dei

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
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I libri della Biblioteca Manfrediana di Faenza coperti dal fango

IL PUNTO DI VISTA DEL CNR RISPONDE ALESSANDRA

Dal punto di vita scientifico, che tipo di ricerche vengono effettuate per studiare il fenomeno?

Questo è un settore di studi abbastanza recente (circa una ventina d’anni). È iniziato facendo soprattutto valutazioni degli impatti delle variazioni graduali dei parametri climatici, ovvero cambiamenti dei millimetri di pioggia o della radiazione solare con il conseguente riscaldamento delle superfici dei materiali (ma anche il loro raffreddamento, portando a una tensione dei materiali stessi).

A queste variazioni graduali si aggiungono anche gli eventi estremi… Gli eventi estremi possono essere più o meno legati ai cambiamenti climatici; diciamo però che la frequenza di questi eventi è aumentata proprio in seguito a questi. L’impatto di un evento estremo è sicuramente più percepibile degli effetti di tipo graduale: questi ultimi si vedono a lungo termine, a volte dopo anni, al contrario di grandinate, alte temperature e siccità.

In che modo studiate le variazioni graduali?

Quello fatto finora in termini di ricerca è stato concentrarsi sulle variazioni graduali, utilizzando gli output della modellistica climatica (i famosi scenari di cui si sente parlare che danno indicazioni su come cambieranno pioggia e temperatura) per fare valutazioni specifiche sui beni culturali, in particolare i materiali da costruzione come marmo e calcare, e usare questi dati elaborandoli in funzioni di danno appositamente messe a punto. Ad esempio, c’è una funzione di danno che quantifica la perdita di materiale in marmo per effetto della pioggia. Una parte del lavoro consiste nella caratterizzazione dei componenti e dei materiali di costruzione e il loro degrado; poi si accoppiano questi studi con i dati della modellistica climatica, le funzioni di danno e i dati provenienti dal monitoraggio ambientale, come le centraline in sito e la tecnologia satellitare.

Questi dati sono quindi funzionali per “prevedere” il futuro?

Questi dati sono fondamentali per mettere in piedi adeguate strategie di gestione. Negli ultimi 5-6 anni ha acquisito sempre più importanza la protezione del patrimonio dagli eventi estremi. Penso che ci siano maggiori sensibilità e consapevolezza da parte della cittadinanza, dei gestori, dei politici circa il fatto che il patrimonio necessita sostegno perché anche esso è impattato dagli effetti dei cambiamenti climatici.

Queste attività di studio vengono fatte in collaborazione anche con altre istituzioni?

Sì, noi adesso stiamo lavorando con la Direzione Generale della Sicurezza Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura, e siamo all’interno di un progetto che prevede la collaborazione con altri enti, come Università e ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale. Stiamo utilizzando i dati provenienti dalle centraline di monitoraggio e dal programma Copernicus (parlando di tecnologia satellitare) e dalla modellistica climatica per mettere il più possibile a supporto di chi fa gestione strumenti utili a fare prevenzione sui beni culturali in Italia. C’è già una Carta del Rischio, stiamo la -

vorando per valutare la vulnerabilità di diversi siti italiani censiti. È un lavoro multidisciplinare, che coinvolge gli attori che sono preposti alla gestione e le istituzioni: questa è una chiave importantissima.

Alla luce degli studi che state conducendo, da qui ai prossimi dieci anni come potrebbe cambiare lo scenario? Senza dubbio i siti monumentali e archeologici delle coste italiane continueranno a essere più a rischio, a causa di problematiche legate al cambiamento del livello del mare.

Ovvero?

Siti archeologici che sono parzialmente sommersi potrebbero essere sempre di più sott’acqua o anche il contrario; avendo diverse oscillazioni del livello di “sommersione”, possono subentrare problematiche relative al biodegrado. La crescita biologica è una delle forme di “degrado” più frequenti in questi casi, ed è legata a condizioni come la temperatura dell’acqua, la salinità, la luce; è chiaro che al mutare di queste condizioni, muta anche l’equilibrio delle specie biologiche che attaccano il bene. O anche, problemi di cristallizzazione di sali, quindi di coesione e fratturazione in seguito a variazioni in termini di contenuti di sali nei materiali porosi come il calcare. Questo avviene anche in caso di inondazioni: l’acqua assorbita dai materiali non è “pura”, ma è composta di sali e altri componenti che possono provocare queste problematiche.

E il patrimonio che si trova nelle città e nei centri storici? Eventi di precipitazioni estreme e alte temperature hanno di sicuro il loro effetto, ma anche l’inquinamento non è da trascurare, è un altro agente di stress per il patrimonio, e soprattutto la combinazione simultanea di tutti questi fattori: per esempio, la pioggia è acida per via dell’inquinamento, e può provocare la dissoluzione dei materiali a composizione carbonatica. La presenza di particolato – soprattutto causato dal traffico veicolare – causa l’annerimento delle superfici dei monumenti, oltre a provocare il degrado chimico dei materiali.

In generale, quali sono i rischi cui incorre il patrimonio monumentale italiano?

Sicuramente il Mediterraneo è un hotspot climatico in cui questi eventi estremi sono sempre più frequenti, e l’Italia ne è al centro. Le zone costiere, i centri storici e i piccoli borghi dell’entroterra possono essere più a rischio se non c’è una gestione tale da supportare la loro “resilienza”.

Un monumento “trascurato” in caso di fenomeno avverso potrebbe essere più vulnerabile, quindi…

La gestione di un bene culturale è fondamentale: una manutenzione ordinaria – invece di sporadici interventi conservativi – aiuta il più possibile a mantenere il monumento.

PRIMO RICERCATORE CNR – ISTITUTO DI SCIENZE DELL’ATMOSFERA E DEL CLIMA
BONAZZA

IL PUNTO DI VISTA DELL’ISPRA

RISPONDE RAFFAELA GADDI DI ISPRA

ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE E LA RICERCA AMBIENTALE Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale

Quali sono gli effetti dell’inquinamento atmosferico sui materiali che costituiscono il patrimonio culturale?

Esistono forme di degrado diverse a seconda del materiale. Noi ci occupiamo prevalentemente di materiali lapidei. La deposizione di inquinanti sia gassosi sia sotto forma di particolato danno origine a forme di degrado come la recessione superficiale, ovvero perdita di materiale, dovuta alla deposizione di acido nitrico e biossido di zolfo. Il particolato è il principale responsabile dell’annerimento delle superficie di monumenti e architetture.

Quali sono le origini di questi fenomeni?

Hanno origine sia antropica sia naturale. Anche se negli ultimi anni, per quanto riguarda l’inquinamento, stiamo assistendo a un lieve miglioramento della qualità dell’aria, ci sono però alcuni inquinanti che mantengono concentrazioni elevate e superano frequentemente le soglie europee e quindi vanno monitorati per la protezione della salute umana e per la conservazione del patrimonio storico-artistico.

Gli eventi estremi che tipo di impatto possono avere sul patrimonio? Gli eventi estremi come precipitazioni intense e alluvioni possono causare danni di tipo strutturale agli edifici e ai loro elementi decorativi. L’acqua in particolare è causa di processi di alterazione legati ai cicli di gelo-disgelo, alla formazione di sali che accelerano i processi di disgregazione dei materiali e alla crescita di microrganismi sulle superfici lapidee.

Cambiamenti Climatici sui siti del Patrimonio Mondiale, poi aggiornato nel 2016 per via del numero sempre più crescente di siti UNESCO interessati dal problema: nella nuova redazione, vengono stabiliti una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2030 per “prevenire, evitare o ridurre al minimo i danni, utilizzando le risorse in modo efficiente, promuovendo la resilienza climatica e la gestione delle emissioni di gas a effetto serra nel settore del Patrimonio”

Nel novembre 2019, in occasione del Forum dei Ministri della Cultura alla 40esima sessione della Conferenza Generale UNESCO

a Parigi, l’allora Ministro dei Beni Culturali ita-

liano Dario Franceschini

solleva una riflessione, all’indomani della violenta alluvione che aveva

colpito Venezia: “quello che è accaduto a Venezia

ci ha ricordato ancora

È EVIDENTE QUANTO PER I

GOVERNI DEBBA ESSERE DI PRIORITARIA IMPORTANZA LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO

CULTURALE, ATTRAVERSO PIANI

CHE ANNOVERINO MISURE DI NATURA PREVENTIVA

una volta quanto siamo fragili di fronte ai disastri naturali e al cambiamento climatico. Questa tragedia può divenire un’opportunità per trovare soluzioni e prevenire altri danni: dobbiamo poter reagire prontamente, servono azioni internazionali, coordinate e guidate dall’UNESCO. Dobbiamo prepararci ai rischi che verranno prodotti dal cambiamento climatico e dobbiamo proteggere le vite e la cultura dei nostri popoli. Per questo motivo devono essere rafforzate le iniziative come i caschi blu della cultura, per prevenire e reagire pronta-

mente a seguito dei disastri naturali. Per rispondere a questi pericoli abbiamo bisogno di un action plan per proteggere il patrimonio culturale dal cambiamento climatico”. Sempre nel 2019, a dicembre, nell’ambito dell’UN Climate Change Conference COP 25 tenutasi a Madrid (la prossima è in programma a Dubai, dal 30 novembre al 12 dicembre 2023), è stato lanciato il primo Action Plan del Climate Heritage Network, rete internazionale composta da organizzazioni, università e imprese del settore culturale, riunite con il fine di adempiere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

E IN ITALIA?

Negli stessi giorni, in Italia, l’allora Ministero dei Beni Culturali dà vita alla Direzione Generale per la Sicurezza del Patrimonio Culturale, con lo scopo di assicurare “la programmazione, il coordinamento, l’attuazione e il monitoraggio di tutte le iniziative in materia di prevenzione dei rischi e sicurezza del patrimonio culturale e di coordinamento degli interventi conseguenti a emergenze nazionali e internazionali, anche in collaborazione con le altre amministrazioni competenti”. La Direzione si articola in due uffici, “Sicurezza degli istituti e dei luoghi della cultura” e “Emergenze e ricostruzioni”. Questa linea operativa ha guidato i lavori de La complessità della ricostruzione post-sismica: sicurezza, sviluppo e tutela, prima giornata di studi dedicata alla sicurezza e alla conservazione del patrimonio culturale tenutasi il 5 dicembre 2022 alla Biblioteca Centrale di Roma. Nel corso del convegno, si è parlato inoltre dell’ipotesi di realizzare depositi che possano custodire le opere d’arte in caso di calamità naturali e di “tecniche di costruzione innovative per la prevenzione del rischio”.

Uno strumento di cui dispone il nostro Paese per monitorare e prevenire i danni al patrimonio è la Carta del Rischio, sistema informativo territoriale costantemente aggiornato in cui sono consultabili i dati sulla vulnerabilità di siti, edifici e monumenti, in modo da pianificare eventuali lavori di manutenzione. Nata negli anni Novanta come progetto dell’Istituto Centrale per il Restauro, oggi la Carta del Rischio è gestita dalla Direzione Generale Sicurezza del Patrimonio Culturale, e “permette una particolare modalità di applicazione delle indagini scientifiche, del controllo microclimatico ambientale e delle prove non distruttive, per la conservazione programmata dei beni culturali. Questa metodologia di lavoro propone di sviluppare, attraverso interventi sistematici di conservazione e manutenzione dei beni, una strategia basata sulla prevenzione del danno”.

CAMBIAMENTI CLIMATICI, ANTROPIZZAZIONE E PATRIMONIO CULTURALE. LA RISPOSTA È LA TUTELA

Non si può prevedere cosa accadrà in futuro, sebbene la scienza fornisca ipotesi di possibili scenari, ma è evidente quanto per i governi debba essere di prioritaria importanza la salvaguardia del patrimonio culturale, attraverso piani che annoverino misure di natura preventiva. E non solo per tutelare i beni dai cambiamenti climatici e dagli eventi meteorologici estremi, ma anche dagli interventi di trasformazione e alterazione che gli esseri umani attuano sull’ambiente. Di questi temi, abbiamo parlato con Franco Bernabè, Presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO: “queste sono tra le ragioni che

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
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I CAMBIAMENTI CLIMATICI E L’ARTE. LA MOSTRA ALLA FONDAZIONE PRADA DI VENEZIA

Il tempo meteorologico e le sue manifestazioni – e il modo in cui gli esseri umani si rapportano a essi – sono al centro della mostra in corso fino al 26 novembre 2023 alla Fondazione Prada di Venezia. Everybody Talks About the Weather interseca ricerca scientifica e linguaggi dell’arte, per un racconto visivo finalizzato a innescare una riflessione sui cambiamenti climatici. “Il progetto è nato con l’idea di prendere il tempo atmosferico come punto di partenza per evidenziare l’urgenza del cambiamento climatico, stabilendo un’equazione empirica tra meteorologia e climatologia, utilizzando insieme gli strumenti

hanno portato l’UNESCO a impegnarsi a favore del patrimonio culturale. L’organizzazione è stata fondata a Londra all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per promuovere l’educazione, la scienza e la cultura, ritenute strumenti per evitare nuove guerre. Negli Anni Cinquanta e Sessanta, accadono due avvenimenti, uno di natura antropica l’altro di natura climatica: la costruzione della diga di Aswan in Egitto e il conseguente smontaggio e rimontaggio del Tempio di Abu Simbel, e l’alluvione che nel 1966 ha colpito Venezia. Partono così campagne di tutela su scala internazionale finalizzate alla preservazione dell’eredità storico-culturale del mondo, e nel 1972 viene ratificata la Convenzione del Patrimonio Mondiale, che istituisce la Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO”

Temi su cui oggi si dibatte quotidianamente, sessant’anni fa erano già considerati urgenti dall’Organizzazione. “Nel tempo si è poi arricchita di importanti strumenti di tutela giuridicamente definita: nel momento in cui un bene raggiunge lo status di Patrimonio dell’Umanità, ci sono misure di salvaguardia che devono essere implementate dai soggetti che sono responsabili di quel bene”. E i cambiamenti climatici? “Sono un problema che riguarda le politiche di intervento che un governo decide di adottare per la salvaguardia del clima”, risponde Bernabè. “Ci sono fenomeni umani che hanno un’incidenza spesso superiore: l’eccesso di antropizzazione, il turismo di massa, la mancanza di interventi di salvaguardia”. Qualsiasi sia la causa che possa mettere in pericolo il Patrimonio, “vanno rafforzati gli strumenti di tutela e di salvaguardia di cui dispongono tutti i Paesi”

dell’arte e della scienza”, sottolinea Miuccia Prada, Presidente della Fondazione. Il titolo dell’esposizione prende ispirazione dallo slogan ideato dal 1968 dall’Unione Studentesca Socialista Tedesca “Alle reden vom Wetter. Wir nicht” ( “Tutti parlano del tempo. Noi no”), riportato su un manifesto che ritraeva Karl Marx, Friedrich Engels e Vladimir Lenin. Nel 2019, il manifesto è stato ripreso dall’artista tedesca Anne-Christine Klarmann, che lo ha “reinventato” raffigurando Judith Ellens, Carola Rackete e Greta Thunberg, e modificando lo slogan in “Alle reden vom Wetter. Wir auch” (“Tutti parlano del tempo. Anche noi”). “‘Tutti parlano del tempo’ – o tutti dovrebbero parlare del tempo –per la semplice ragione che l’attuale crisi climatica potrebbe essere la più grande minaccia esistenziale che l’umanità abbia mai dovuto affrontare nei suoi 100mila anni di storia – e come tale è sulla buona strada per diventare l’unica cosa di cui si parla ancora”, spiega il curatore Dieter Roelstraete. “Tuttavia il cambiamento climatico rimane un argomento stranamente assente nell’ampio spettro delle questioni che attirano l’attenzione del mondo dell’arte mainstream”. La mostra mette in dialogo opere del passato – con dipinti allegorici e en plein air – con lavori contemporanei, accompagnati da immagini e grafici scientifici; tra gli autori in mostra, Gustave Courbet, Katsushika Hokusai, Plinio Nomellini, Carlo Francesco Nuvolone, Giorgio Andreotta Calò, Theaster Gates, Beate Geissler & Oliver Sann, Antony Gormley, Raqs Media Collective, Gerhard Richter.

0 1 0 20 -20 -40 -60 40 60 -1 2 3 +3,09° -54% 221,7 mm (ca. 67 km3) minimo storico dal 1951 di risorse idriche -62% +69% GIUGNO GENNAIO OTTOBRE AGOSTO ESTATE +2,18° AUTUNNO +1,38° INVERNO +0,58° -39% AL NORD -15% AL CENTRO -13% SUD E ISOLE LUGLIO OTTOBRE DICEMBRE CAMBIAMENTI CLIMATICI ED EVENTI METEOROLOGICI ESTREMI 2022 2022 -50%
più
dal 1961
1991 2020 2018 2021 +1,23° +1° +0,58°
Everybody Talks About the Weather , installation view at Fondazione Prada, Venezia. Photo Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada
Per l’Italia, il 2022 è stato l’anno
caldo
Per l’Italia, Il 2022 è stato l’anno meno piovoso dal 1961
Fonte: Rapporto SNPA – Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, “Il clima in Italia nel 2022

3 OPERE D’ARTE CONTEMPORANEA CHE PARLANO DI CAMBIAMENTI CLIMATICI

OLAFUR ELIASSON Ice Watch

24 enormi blocchi di ghiaccio, provenienti dal fiordo di Nuup Kangerlua in Groenlandia, disposti l’11 dicembre 2018 all’esterno della Tate Modern di Londra: è questa la terza versione di Ice Watch, opera nata dalla collaborazione tra l’artista danese Olafur Elissson e il geologo Minik Rosing, e dedicata al tema dei cambiamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacciai. In quella occasione, altri sei blocchi di ghiaccio sono stati installati fuori dagli uffici europei di Bloomberg (che ha supportato il progetto), e sono rimasti lì fino al loro completo scioglimento. La prima versione di Ice Watch è stata inaugurata nel 2014 davanti al Municipio di Copenaghen, in occasione della pubblicazione da parte dell’IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change del quinto rapporto di valutazione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; la seconda invece è del 2015, in Place du Panthéon a Parigi, e si è tenuta negli stessi giorni in cui la capitale francese ha ospitato la COP21, nell’ambito della quale è stato stipulato l’Accordo di Parigi.

icewatch.london

SUPERFLEX Flooded McDonald’s

Il trio danese fondato nel 1993 da Bjørnstjerne Reuter Christiansen Bor, Jakob Fenger e Rasmus Nielsen affronta, con l’ironia e l’irriverenza tipiche della loro arte, il tema del cambiamento climatico simulando in un film di 21 minuti l’allagamento di un McDonald’s a causa di un’inondazione. Tavoli, sedie, vassoi, bicchieri, mobili e oggetti di altro tipo via via vengono sommersi dalle acque, per un’opera concepita come un documentario sebbene i fatti rappresentati non siano mai realmente accaduti. Ma potrebbero accadere: Flooded McDonald’s è un monito lanciato alle multinazionali affinché rivedano le loro politiche in materia di impatto ambientale, ma anche una sorta di memento mori contemporaneo e sui generis. Il video è stato presentato per la prima volta nel 2009 alla South London Gallery.

superflex.net

REFIK ANADOL MRI of the Earth

Rientra nell’ambito di Heartbeat of the Earth – progetto sviluppato da Google Arts & Culture in collaborazione con l’UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che coinvolge 10 artisti invitati a “convertire” in opere digitali i dati scientifici sul clima forniti dall’IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, la National Oceanic and Atmospheric Administration e l’Organizzazione meteorologica mondiale – l’opera di Refik Anadol dal titolo MRI of the Earth. Una “risonanza magnetica” che l’artista effettua sul pianeta, concepito come un corpo, di cui vengono messi in evidenza i danni causati dai cambiamenti climatici. L’opera si presenta come un sito web in cui l’Intelligenza Artificiale ha elaborato più di 200milioni di immagini di paesaggi fornite dalle Nazioni Unite, un database di memorie per non dimenticare la bellezza della Natura e l’importanza di mantenerla in vita.

artsexperiments.withgoogle.com/mri-of-the-earth/

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
Olafur Eliasson and Minik Rosing, Ice Watch . Supported by Bloomberg. Installation at Bankside, outside Tate Modern, 2018. © 2018 Olafur Eliasson Superflex, Flooded McDonald's , 2009. RED, 21 min. Still image.
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Photo SUPERFLEX
Refik Anadol and Google Arts & Culture, MRI of the Earth

L’IMPATTO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI SULLA CULTURA. COME TUTELARE

IL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO?

Fenomeni meteorologici estremi con sempre maggiore frequenza colpiscono il nostro Paese, mettendone alla prova il paesaggio e il territorio antropizzato. Alla luce degli avvenimenti recentemente accaduti in Italia, in che modo è possibile salvaguardare il patrimonio storico-artistico e garantirne la pubblica fruizione anche in casi di calamità climatiche? Quali le principali problematiche e quali le soluzioni da adottare nel breve e medio-lungo termine? Ecco cosa ci hanno risposto presidenti e direttori di alcune istituzioni museali italiane.

Le istituzioni culturali hanno il compito di distribuire consapevolezza sulla situazione generale del cambiamento climatico e del surriscaldamento globale, sui rischi che comportano e sulle forme con cui si può cercare di invertire questa tendenza drammatica. C’è poi un tema di protezione dei beni culturali, da affidare senza dubbio non solo alle soprintendenze ma anche a una rete più diffusa. Esattamente come applicato per la prevenzione dei disastri sulle infrastrutture è quindi fondamentale agire nello stesso modo anche sui beni culturali. Un buon inizio potrebbe essere il coinvolgimento delle facoltà di architettura (estendibile poi a quelle di beni culturali, estetica, lettere, design e tutte le altre) attraverso programmi e corsi per attività di monitoraggio e prevenzione mirate a valutare le condizioni strutturali di salute degli edifici di valore architettonico e storico, per provare a prevenire i danni causati da fenomeni atmosferici estremi.

ALFONSINA RUSSO

Parco Archeologico del Colosseo

Il Parco Archeologico del Colosseo ha messo a punto un progetto strategico di monitoraggio e manutenzione programmata per lo sviluppo di strategie

di salvaguardia del patrimonio culturale, insidiato, con frequenza crescente, dagli effetti dei cambiamenti climatici che stanno investendo il nostro pianeta. Il progetto prevede una piattaforma web, sviluppata con l’Agenzia Spaziale Italiana e con il Politecnico di Milano e che, mediante l’impiego di un sistema integrato di monitoraggio satellitare (con immagini acquisite dal satellite COSMOSkyMed nell’ambito della missione dell’ASIMinistero della Difesa), da drone e da terra, è in grado di elaborare una valutazione della vulnerabilità del sito e di consentire la messa a punto di un cronoprogramma degli interventi necessari a garantire una tutela efficace.

VALENTINO NIZZO Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

Di fronte al cambiamento climatico in atto, non è semplice proporre soluzioni conciliabili con l’esigenza prioritaria di conservare l’originario carattere di siti archeologici o edifici storici nati in condizioni diverse da quelle attuali. Il problema è evidente per complessi architettonici di grande rilievo come Villa Giulia. Solo con una attenta e periodica manutenzione si può sperare di evitare gli sprechi dovuti alle emergenze e garantire la conservazione del patrimonio: la cura del verde, quella degli impianti, la razionalizzazione degli spazi e degli sprechi sono alcune delle parole d’ordine che stanno quotidianamente cercando di perseguire, sin dal mio insediamento, l’ufficio tecnico guidato dal giovane architetto Angela Laganà e il servizio per la conservazione guidato dalla restauratrice Miriam Lamonaca. Un patrimonio da curare e monitorare con grande attenzione, che potrà beneficiare nei prossimi anni dei fondi del PNRR in buona parte destinati all’efficientamento energetico e al controllo microclimatico della struttura.

ANDREA BRUCIATI

Villa Adriana e Villa d’Este

Cambiamenti climatici e crisi energetica ci obbligano a riconsiderare i paradigmi e gli strumenti a nostra disposizione per affrontare preservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio con sensibilità nuova. Le VILLÆ sono un organismo vivente, che rappresenta la summa delle caratteristiche dell’intero territorio tiburtino in tema di vegetazione, geomorfologia, idrografia e cultura. In sintesi esse sono paesaggio, una risorsa imprescindibile e non delocalizzabile, condivisa con la comunità residente per un progetto di sviluppo circolare e sostenibile. In questa prospettiva, il paesaggio è spesso al centro dell’azione attiva e dei progetti di sensibilizzazione che l’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este esplica, promuovendo le peculiarità territoriali, la gestione responsabile delle risorse e i prodotti locali. Le VILLÆ non riescono nell’immediato ad agire sui fenomeni climatici in se stessi, ma preservare un territorio significa renderlo pronto per eventuali emergenze e ridurne l’impatto, mentre diffondere la cultura del risparmio energetico e dello sviluppo sostenibile può alla lunga incidere anche su un contesto più ampio.

KAROLE P. B. VAIL Collezione Peggy Guggenheim

La Collezione Peggy Guggenheim è un museo unico nel suo genere, non solo perché conserva la collezione d’arte della mecenate Peggy Guggenheim in quella che è stata per trent’anni la sua abitazione, Palazzo Venier dei Leoni, ma anche perché si trova affacciato sul Canal Grande, e questo lo porta a confrontarsi con le problematiche conservative imposte dall’esposizione a clima marino, salinità e umidità. Per questo motivo, il continuo monitoraggio dello stato di salute della collezione e la conservazione preventiva hanno assunto negli anni un aspetto fondamentale per

STEFANO BOERI Triennale Milano

il nostro museo. Indubbiamente, gli effetti recenti del cambiamento climatico costituiscono un rischio, ma anche una sfida, per la salvaguardia del patrimonio artistico. Oggi più che mai la prevenzione, il monitoraggio e la manutenzione quotidiana sono fondamentali per affrontare i continui cambiamenti climatici ai quali le opere sono esposte. Un esempio: a seguito dei recenti fenomeni di piogge intense e grandine, abbiamo deciso di proteggere le opere più delicate e fragili esposte nel giardino delle sculture, coprendole durante l’orario di chiusura al pubblico con idonei rivestimenti protettivi.

LUIGI BIONDO

Parco Archeologico di Segesta

Il tema dei fenomeni meteo sempre più imprevedibili e sempre più disastrosi per i monumenti e il paesaggio antropizzato è antichissimo, ma solo da poco si riesce a comprenderlo nella sua interezza, grazie a una maggiore sensibilità per i beni culturali. Sicuramente si possono mettere in atto operazioni importanti: da restauratore incallito, quale io sono, e operatore da oltre trent’anni, penso che la manutenzione continua sia la ricetta migliore, con il monitoraggio. Un altro rischio da tenere sotto osservazione è il carico antropico, ovvero l’eccessiva presenza di visitatori

nei siti, spesso con percorsi e fruizione sbagliati. L’idea del numero chiuso, che nel resto d’Europa è già in atto, in Italia viene invece osteggiata. Io penso serva orientare i flussi, destagionalizzare, tenendo sempre al centro il monumento, e non i visitatori. O i bilanci.

GABRIEL ZUCHTRIEGEL CON IL PROF. LUIGI PETTI (Università degli Studi di Salerno) Parco Archeologico di Pompei

Per far fronte ai cambiamenti climatici è necessario ripensare alla gestione della manutenzione: non più interventi volti a risolvere criticità oramai manifeste, ma piani di gestione in grado di attuare con un processo con tinuo ed ordinario interventi manutentivi tesi ad evitare il manifestarsi di criticità. Nel caso del contesto complesso del Parco Archeologico di Pompei sono stati sviluppati approcci innovativi e sistemi di monitoraggio delle condizioni di fatto che consentono di valutare le reali condizioni di sicurezza con cadenza mensile, sulla base di rilievi speditivi condotti sia con droni che da equipe costituite da personale esperto. I dati raccolti confluiscono nel sistema informativo del Parco e sono elaborati, anche per mezzo di tecniche di intelligenza artificiale, per restituire una foto rappresentativa delle condizioni di fatto, per mezzo di indici e rappresentazioni grafiche. In tal modo è possibile sviluppare previsioni sull’evoluzione delle potenziali condizioni di degrado che potreb-

bero interessare il patrimonio e programmare, quindi, attività di manutenzione ordinaria tese a ripristinare o risanare le condizioni di fatto in modo sostenibile.

DIEGO FERRETTI

Mart, museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Il Mart ha il compito di tutelare e conservare una collezione di circa 20mila opere, migliaia di documenti, materiale d’archivio e bibliografico. Si tratta di un patrimonio custodito in spazi chiusi, in ottemperanza a standard internazionali di sicurezza, clima, luce, tempi di esposizione, etc. Dal punto di vista strutturale, la sede di Rovereto, inaugurata nel 2002, consente di rispondere ai repentini cambiamenti climatici in atto, garantendo la sicurezza e la conservazione del patrimonio museale. Gli ampi spazi del museo, il grande foyer d’ingresso e la piazza coperta accolgono il pubblico proteggendolo dalle intemperie. All’interno del museo la temperatura è impostata per garantire il rispetto degli standard di conservazione delle opere, sono presenti aree di sosta, sedute e il Baby Mart: uno spazio pensato per il relax delle famiglie con bambini. È possibile sostare nel Giardino delle Sculture o nel Bistrot (che comprende un dehors coperto). Il Mart dispone inoltre di un grande parcheggio coperto.

GLI ATTIVISTI PER IL CLIMA E LE PROTESTE “SULLE” OPERE D’ARTE

I Girasoli di van Gogh, La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, le Maja di Goya, Morte e Vita di Klimt, sono solo alcune delle tantissime opere che negli ultimi anni sono state prese di mira dagli attivisti per il clima, spesso facenti parte di movimenti come Just Stop Oil e Ultima Generazione. Entrano nei musei di tutto il mondo, si dirigono dinanzi alle opere più note e riversano su di esse vernici, zuppe o colla (spesso attaccandosi alle cornici dei dipinti), chiedendo ai governi di rivedere le proprie posizioni in materia di approvvi -

gionamento di fonti di energia (tra tutti il petrolio) e di impatto sull’ambiente. Queste azioni plateali – non finalizzate al danneggiamento di dipinti e sculture, dato che gli attivisti “colpiscono” quelli protette da vetri – hanno l’obiettivo di attirare l’attenzione di pubblico e media. E il messaggio pare chiaro: in un mondo destinato alla distruzione, non potranno sopravvivere nemmeno le opere d’arte. Una temperie, questa, sicuramente nata sulla scia dell’attivismo di Greta Thunberg e del movimento Fridays for Future, e che ha tro -

vato nel format “protesta al museo” la sua cifra caratteristica. Le istituzioni museali di tutto il mondo però non la pensano allo stesso modo: alcune mostrano solidarietà, altre sono convinte che dovrebbero essere prese misure adeguate per evitare che accadano ancora simili episodi. E la comunità internazionale si divide: versare vernici, zuppe e colla sui più noti capolavori della storia può essere uno strumento in grado di smuovere le coscienze, o si tratta di mero imbrattamento del patrimonio artistico?

STORIES CAMBIAMENTI CLIMATICI
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L’ALTRA ZURIGO: CITTÀ D’ARTE E DI DESIGN

del Dadaismo

LIVIA MONTAGNOLI

Zurigo ha conquistato sul campo il ruolo di capitale finanziaria della Svizzera, polo di rilevanza internazionale che conferma e rinnova il suo primato nel presente. Ma la città più cosmopolita della Confederazione Elvetica – che con i suoi 440mila abitanti ne è anche il centro più popoloso –ha fin troppo a lungo “subìto” la sua fama, imprigionata, nell’immaginario comune, nello stereotipo di grigia (e dorata) città delle banche. Invece? Invece è epicentro culturale prolifico, proiettato ben oltre la storia secolare che si manifesta nel cuore medievale dell’abitato, attraversato dal fiume Limmat.

Ancor prima di raccogliere testimonianze che avvalorino la tesi – muovendoci tra esemplari progetti di riqualificazione urbanistica, modelli residenziali innovativi fondati sulla cura del bene comune, spazi culturali indipendenti, musei pubblici e privati (se ne contano una sessantina, su un’estensione territoriale di circa 90 chilometri quadrati: una densità “museale” decisamente confortante per una superficie di poco inferiore a quella di Firenze) e un vivace sistema di gallerie di arte contemporanea – è la storia del Novecento a rivelare l’anima sperimentale e anticonformista di Zurigo.

ZURIGO, IL CABARET VOLTAIRE E IL DADAISMO

All’inizio del febbraio 1916, proprio Zurigo battezzava le attività del nascente Cabaret Voltaire: esperienza breve – il cabaret-laboratorio di Spiegelgasse resterà in vita solo per cinque mesi (in un primo momento ne raccoglierà l’eredità la Galerie Dada, in Bahnhofstrasse 19) – ma intensa, condensata in un locale d’intrattenimento con intenzioni artistiche e politiche alternative, fondato dal regista teatrale Hugo Ball con Emmy Hennings. Meglio noto per essere stato culla del Dadaismo, fu luogo di aggregazione di giovani artisti e intellettuali in fuga dagli orrori della Prima Guerra Mondiale, cui la Svizzera stava assistendo in posizione neutrale, come “una gabbietta per gli uccellini circondata da leoni ruggenti”, ebbe a dire Ball. Dunque, il Cabaret Voltaire accolse rifugiati e obiettori di coscienza, e Zurigo fu terreno fertile perché maturassero istanze moderne e rivoluzionarie, non necessariamente rispondenti a un piano predefinito, e anzi provocatorie e dissacranti, caotiche e brutali. Erano gli albori fiammeggianti di un movimento di rottura e rinnovamento delle logiche tradizionali dell’arte, di un’avanguardia che sul palco del Cabaret vide esibirsi, tra gli altri, Tristan Tzara, Hans Harp, Marcel Janco. Un alternarsi di performance, danze,

STORIES ZURIGO
La “città delle banche” rivela origini antiche e un’anima contemporanea, con tanto di Biennale e Design Week. Oltre a essere la patria
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Landesmuseum, Zurigo. Photo IerichtiPhilipp Heer. Courtesy Zürich Tourismus

musica, letture poetiche, mostre di artisti sperimentali (destinati a lasciare il segno, da Klee a Kandinsky ed Ernst), volte a presentare la cultura e le arti come un programma di “varietà”. Il 14 luglio del 1916 vedeva la luce in questo contesto il primo manifesto Dada; presto il movimento diventò un fenomeno internazionale, e già nel ’17 il Cabaret Voltaire aveva perso il suo ruolo propulsore. All’inizio degli Anni Duemila, un gruppo di Neodadaisti occupò per qualche mese il palazzo di Spiegelgasse per riaccendere la scintilla Dada: oggi il Cabaret, opportunamente restaurato, organizza mostre, eventi, letture, vanta una biblioteca Dada e un bookshop. E nel 2016

EPICENTRO CULTURALE PROLIFICO, PROIETTATO BEN OLTRE LA STORIA

SECOLARE CHE SI MANIFESTA NEL CUORE MEDIEVALE DELL’ABITATO

Zurigo ha onorato con molteplici iniziative il centenario di un’esperienza tanto significativa per la storia dell’arte europea e globale.

Ma non è certo la rievocazione nostalgica la miglior qualità di una città che, negli ultimi trent’anni, ha saputo investire su trasformazioni urbanistiche e riqualificazioni architettoniche per diventare una capitale attraente, soprattutto per le nuove generazioni che raggiungono Zurigo – polo tecnologico e universitario all’avanguardia – per formazione e ricerca, e finiscono per stabilirvisi definitivamente. Efficiente e vitale, più volte insignita del titolo di “città con la miglior qualità di vita al mondo” (fonte Mercer), è la Zurigo contemporanea, favorita anche dalla sua posi-

a sinistra: Augusto Giacometti, Stazione di Polizia, Zurigo. Courtesy siehe Quelle

Henry Moore, Sheep Piece 1972, Lago di Zurigo. Photo Gian Vaitl. Courtesy Zürich Tourismus

a destra: Niki de Saint Phalle, Bahnhofhalle , photo Andreas Omvik. Courtesy Zürich Tourismus

zione geografica, con l’abitato storico che si distende sulle sponde settentrionali dell’omonimo lago, estensione naturale della vita cittadina: il sistema dell’acqua che attraversa e lambisce la città è navigabile e balneabile, valorizzato da parchi, giardini, pedane e arredi urbani; in primavera ed estate è un tripudio di spiagge cittadine, sport acquatici, pause pranzo con i piedi nell’acqua, barbecue al tramonto sul lago, attività all’aria aperta.

LA CITTÀ CHE CAMBIA. DA ZURICH

WEST AL FERMENTO DEI NUOVI

QUARTIERI

Proprio una piacevole passeggiata lungo il fiume, a ovest del parco Platzspitz, dove le acque del Limmat incontrano quelle del Sihl, conduce al quartiere di Zürich West, distretto dell’arte nato sulle ceneri di un’area industriale prospicente la ferrovia, un tempo adibita alla fabbricazione di navi e locomotive. Tra gli Anni Settanta e Ottanta molte delle fabbriche locali subirono la crisi dell’industria pesante, chiudendo battenti; e già dalla metà degli Ottanta alcune gallerie d’arte pioniere stabilirono negli edifici abbandonati la propria sede. L’intervento del City Building Council, volto a scoraggiare la speculazione edilizia, avrebbe contribuito in seguito alla crescita di un sistema integrato di musei, spazi pubblici, attività commerciali e ricettive, fondato sulla pianificazione cooperativa. Sono nati così il centro culturale Schiffbau, dal recupero dell’edificio in mattoni dove si fabbricavano i battelli per il lago, e nel 2014 la sede distaccata presso

ZURIGO E IL DESIGN. LA STORIA E GLI EVENTI

A Zurigo, un museo dedicato al design e alla comunicazione visiva esiste dal 1875. Un’istituzione prossima a celebrare i 150 anni che raccoglie oltre mezzo milione di oggetti, tra cui creazioni svizzere che hanno fatto il giro del mondo, dall’orologio Mondaine (1944), onnipresente nelle stazioni ferroviarie, all’essenziale pelapatate Rex, ideato proprio a Zurigo nel 1947, da Alfred Neweczerzal, tra le produzioni di design più leggere ed economiche della storia (se ne vendono ancora 50 milioni di esemplari nel mondo). Ma alla Scuola di Zurigo, nel XX secolo, si deve anche l’evoluzione del graphic design e della tipografia, grazie alle codificazioni dei Concretisti zurighesi, direttamente legati all’arte concreta di Theo van Doesburg (De Stijl). Per questo il Museum für Gestaltung – con le sue due sedi e l’appendice del sorprendente Pavillon Le Corbusier sul lago, riaperto nel 2019 dopo accurato restauro –custodisce anche un’importante collezione di poster e manifesti. E affianca all’attività di conservazione un dialogo costante con l’Università delle Arti di Zurigo, per la ricerca. Ma solo nel 2017 la città si è dotata di una Biennale del Design (quest’anno dal primo al 19 settembre), pur riscontrando un successo crescente di pubblico: “Zurigo è una città molto creativa, ci sono molti architetti e designer, e un solido polo di design industriale. Ma tutto ciò non è molto visibile, succede tutto a porte chiuse, e questo trasmette un’idea sbagliata all’esterno. Non siamo semplicemente la città delle banche!”. A parlare è Gabriela Chicherio, curatrice delle Zurich Design Weeks battezzate nel 2022, che per la prima volta, a settembre 2023, si svolgeranno in contemporanea con la Biennale, dopo il buon riscontro della prima edizione: “Qui prevalgono i piccoli eventi indipendenti, che spesso si parlano tra loro, però senza un coordinamento centrale che possa generare un impatto evidente sulla città. Per questo sono nate la Biennale e le Settimane del design, che tra l’altro abbracciano altre iniziative di richiamo, come il Digital Festi-

il Toni-Areal del Museum für Gestaltung (Museo del Design, oggi articolato in tre sedi: la centrale nell’edificio modernista Anni Trenta di Adolf Steger e Karl Egender, in Ausstellungsstrasse). Emblema di questo processo, tra la fine degli Anni Novanta e i Duemila è l’apertura della Löwenbräu Areal: la riqualificazione del birrificio dismesso della Löwenbräu, costata due anni di lavori – inizialmente finanziati da privati, poi sposati dall’amministrazione cittadina –, è stata completata nel 1996 su progetto dello studio Gigon/Guyer et WW. Oggi lo spazio espositivo Löwenbräukunst, inaugurato nel 2012, riunisce la Kunsthalle, il Museo Migros per l’arte contemporanea, la Luma Foundation, numerose gallerie (da Hauser&Wirth a Francesca Pia e Gregor Staiger), l’editore d’arte JRP, una caffetteria e un bistrot vegano. Con l’intuizione di far dialogare, sotto uno stesso tetto, musei e gallerie, in una città che –vedremo tra poco – piace molto al mercato dell’arte: se il numero delle gallerie (svizzere e internazionali) è andato crescendo esponenzialmente a partire dagli Anni Novanta, già durante la Seconda guerra mondiale molti mercanti d’arte si rifugiarono a Zurigo, vivacizzando la piazza locale e avviando una tradizione destinata a rinnovarsi nei decenni a seguire. Sempre nel distretto di Zürich West è nato nel 2021 il LichtHalle MAAG, primo museo permanente di arti

val, le giornate del design con l’apertura di studi e showroom, la prima edizione della Kyiv Design Week, per accogliere i designer ucraini costretti a fuggire in Europa. La nostra forza è la multidisciplinarietà: tocchiamo il fashion e il furniture design, ma anche il game design e l’innovazione digitale”. La parola chiave del 2023 è “transizione”, tra cambiamento climatico, upcycling, circolarità, innovazione dei materiali, consumo di energia e cibo. Quartier generale lo storico Giardino botanico in centro città, sede di una Biennale en plein air, ma tanti sono gli appuntamenti diffusi che interessano le sedi del Museo del Design, gli atelier, gli off space, gli spazi pubblici (anche con la campagna di affissioni Poster Safari).

designbiennalezurich.ch designweeks.ch

immersive in Svizzera; mentre la riqualificazione del viadotto ferroviario di fine Ottocento che taglia l’area si apprezza curiosando tra negozi di design, boutique, ristorantini, torrefazioni e atelier che hanno trovato spazio sotto le 38 arcate dell’infrastruttura, ribattezzata Im Viadukt, dov’è anche un moderno mercato gastronomico. Non distante si segnala la torre di container colorati (si può visitare) di Freitag, brand nato a Zurigo e oggi celebre in tutto il mondo, grazie all’idea di riciclare tessuti industriali e camere d’aria di biciclette per creare borse e accessori.

Incubatore di startup creative, la città è anche attrattore di grandi società internazionali, come Google, che ha stabilito i suoi uffici nel moderno quartiere di  Europaallee, ulteriore esempio di lungimirante progettazione urbanistica, nell’area che dalla stazione centrale si sviluppa verso Langstrasse (ex quartiere a luci rosse della città), correndo lungo i binari, in un’alternanza di concept store, laboratori di design, edifici progettati da noti studi di architettura.

MUSEI E GALLERIE A ZURIGO

Del resto, investire in opere pubbliche, privilegiando il settore culturale, è una strategia intrapresa a largo spettro in città. E a beneficiarne è anche il sistema museale, in un contesto nazionale che – accanto alla valorizzazione della ricerca e della didattica, e allo sviluppo di programmi di inclusione – persegue il continuo adeguamento degli edifici atti a ospitare le collezioni d’arte. Casi di scuola, che poggiano sull’in-

STORIES ZURIGO
EFFICIENTE E VITALE, PIÙ VOLTE INSIGNITA DEL TITOLO DI “CITTÀ CON LA MIGLIOR QUALITÀ DI VITA AL MONDO”
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Zurich Design Weeks. Photo Marion Nitsch

LE MOSTRE DA VEDERE A ZURIGO NELL’AUTUNNO-INVERNO 2023-2024

ZURICH BIENNALE

KÄTHE KOLLWITZ

E MONA HATOUM Taking a stand

Kunsthalle dal 7/10 al 21/01/2024

Kunsthaus fino al 12/11

tervento di affermati studi di architettura, sono a Zurigo il LandesMuseum e la Kunsthaus. Il primo, Museo Nazionale svizzero, nasce alla fine dell’Ottocento nell’edificio in stile eclettico progettato da Gustav Gull, che all’epoca fonde elementi mutuati dall’architettura medievale con suggestioni coeve; data invece al 2016 l’ampliamento affidato agli architetti svizzeri Christ & Gantenbein, per ospitare nuovi spazi espositivi, una biblioteca e un auditorium nel padiglione dalle linee spezzate contraddistinto da aperture a forma di oblò, che crea un ricercato contrasto con l’edificio originale, proiettando la struttura verso il Limmat.

Più suggestiva è l’evoluzione della Kunsthaus, che nel 2021 ha raddoppiato i suoi spazi con l’ampliamento firmato da David Chipperfield, diventando il museo d’arte più grande della Svizzera. Il parallelepipedo creato dal progettista inglese fronteggia l’edificio storico di inizio Novecento progettato da Karl Moser su Heimplatz, collegato alla nuova ala da una galleria che corre sotterranea. Il più antico istituto d’arte svizzero si è costituito per volontà di artisti e mecenati e grazie all’ultima “estensione” ha modo di esporre a rotazione il 20% della sua collezione permanente, che annovera i capolavori impressionisti della collezione Bührle, ma anche la più grande collezione di Munch al di fuori della Norvegia, e la più vasta esposizione di opere di Alberto Giacometti al mondo. In un arco temporale che spazia dai maestri medievali e rinascimentali all’arte contemporanea, passando dal Romanticismo alla Pop Art. Soprattutto grazie alle donazioni, il patrimonio del museo cresce ogni anno. E dal 2016 l’ala Chipperfield accoglie anche la foresta di pixel (Turicum Pixelwald) di Pipilotti Rist, installazione ambientale rimasta a testimoniare la personale Your Saliva is my Diving Suit in the Ocean of Pain dell’artista svizzera (sua anche la colorata Tastende Lichter che movimenta la piazza), e diventata una delle principali attrazioni del museo.

TIME from Dürer to Bonvicini

Kunsthaus dal 22/09 al 14/01/2024

UNA CITTÀ CHE PIACE

MOLTO AL MERCATO

DELL'ARTE: IL NUMERO

DELLE GALLERIE È

ANDATO CRESCENDO

ESPONENZIALMENTE

A PARTIRE DAGLI ANNI NOVANTA

THE MODULOR Measure and Proportion

VISUAL POETRY Contemporary Posters from Iran

ESPERIMENTI RESIDENZIALI DI COMUNITÀ, TRA DESIGN, SOSTENIBILITÀ E IMPRESA

Già prima dell’ampliamento, la presenza della Kunsthaus ha determinato il concentrarsi di un distretto dell’arte rappresentato dall’immagine del “miglio delle gallerie”, articolato lungo Rämistrasse, arteria che dal quartiere universitario scende verso il centro città, lambendo Heimplatz. Oggi è qui che si concentrano realtà storiche come la svizzera Mai 36 o filiali di gallerie internazionali come Hauser & Wirth, arrivata più di recente. E ancora Ziegler, Peter Kilchmann, Maria Bernheim, lange + pult, Haas Zürich

All’avanguardia nella sperimentazione di nuove forme di socialità urbana, Zurigo è una delle capitali internazionali dall’abitare condiviso. Con l’idea di contrastare la gentrificazione e l’alienazione sociale, ma anche di ridurre l’impatto ambientale dell’abitare, negli ultimi trent’anni le cooperative d’abitazione di Zurigo si sono evolute verso modelli sempre più solidali, efficienti ed ecologici, favoriti da una progettazione architettonica ad hoc e da un’organizzazione di spazi e ruoli che alimenta la quotidianità di comunità urbane autogestite. C’è dietro il ricordo delle utopie abitative ottocentesche, come pure la spinta del movimento cooperativistico sorto nel passaggio al XX secolo, ma lo sguardo è rivolto al futuro, con una forte propensione all’innovazione, che interessa l’evoluzione degli stili di vita, la rigenerazione urbanistica, il perfezionamento di nuove soluzioni abitative (come gli appartamenti cluster, con spazi semi-privati e comuni accanto a spazi privati), commerciali, di condivisione dello spazio pubblico. Ne è esempio la cooperativa Kalkbreite, che nel 2014 ha inaugurato il suo primo complesso, e più di recente ha raddoppiato con il progetto Zollhaus, non solo agglomerato residenziale, ma anche distretto commerciale, spazio creativo e culturale, con progetti di comunità aperti alla città (laboratori di design, co-working, cucine che sostengono i produttori locali, attività artigianali, aree espositive). Analogamente ha lavorato nella periferia dell’Hunzikerareal, a nord della città, la cooperativa Mehr Als Wohnen, per creare un nuovo quartiere orientato al vivere e lavorare secondo criteri ecologici e sociali.

kalkbreite.net

Hunzikerareal , progetto. Photo Adrian Bretscher Pavillon Le Corbusier fino al 26/11 Museum fur Gestaltung Toni-Areal, fino al 29/10

INTERDEPENDENCIES

Migros Museum

al Lowerbraukunst

dal 7/10 al 21/01/2024

FABIO MAURI

Amore Mio

Hauser & Wirth al Lowerbraukunst dal 30/9 al 23/12

MARGUERITE HERSBERGER Giving the Space Space Haus Konstruktiv dal 26/10 al 14/1/2024

L’ECOSISTEMA ARTISTICO CITTADINO, TRA INIZIATIVE MULTIDISCIPLINARI E ARTE PUBBLICA

Tutte protagoniste, insieme a musei, istituzioni culturali, università, centri di ricerca e spazi non profit della città, dello Zurigo Art Weekend, rassegna diffusa che dal 2018 lancia la staffetta ad Art Basel. Una preview che vuole riflettere “la vivacità dell’ecosistema artistico zurighese, riunendo artisti affermati ed emergenti, creativi, ricercatori, scienziati, collezionisti, stampa”, spiega Charlotte von Stotzingen, direttrice della manifestazione. L’ultima edizione, lo scorso giugno, ha coinvolto 73 luoghi della città, offrendo un programma di oltre 80 mostre e più di 100 appuntamenti gratuiti, rivolti tanto agli addetti ai lavori quanto al pubblico di amatori: “La manifestazione in questi anni ha aiutato la scena artistica di Zurigo a crescere, perché ha messo in comunicazione le diverse realtà che operano in città – gallerie, fondazioni, musei, off space, università – non più in competizione, ma alleate tra loro”. Ma se il sistema dell’arte cittadino è cresciuto, “il merito è anche di un solido e diffuso mecenatismo”. Per la fine di settembre 2023 è attesa anche la seconda edizione dell’Art Salon Zürich, giovane fiera dedicata all’arte moderna e contemporanea ospitata negli spazi della Werkstadt Zürich, sotto la direzione di Fabian J. Walter e  Sven Eisenhut. Un appuntamento che tasta il polso del mercato dell’arte, con ambizioni internazionali, ma radicata a livello regionale (30 gallerie rappresentate, da 8 Paesi: quasi due terzi sono svizzere). Ma settembre 2023 a Zurigo sarà soprattutto il mese del design, riunendo per la prima volta la Design Biennale e la programmazione delle Zürich Design Weeks. Per godere del rapporto che quotidianamente la città intrattiene con l’arte, però, è sufficiente esplorare Zurigo in cerca delle oltre 1.300 opere di public art dislocate tra vie, piazze, parchi urbani, selezionate e collocate sotto la supervisione della commissione KiöR (Kunst im öffentlichen Raum). Si scoprirà così, sulle sponde del lago, la grande macchina cinetica realizzata da Jean Tinguely in occasione dell’Expo di Losanna, nel 1964 (Heureka), azionata due volte al giorno; non distante lo Sheep Piece (1972) di Henry Moore. O la Nana di Niki di Saint Phalle che giganteggia alla stazione dei treni. E ancora la Pavillon-Skulptur (1938) di Max Bill in Bahnhofstrasse, il monumento al lavoro (1952-1957) di Karl Geiser collocato in Helvetiaplatz, l’enorme fionda-altalena (Y, 2011) di Sisley Xhafa a Zürich West. Sul tetto dello Zurich SBB, a Europaallee, invece, l’installazione Always a Way di Brigitte Kowanz svetta dal 2021.

LIFE HAPPENS Musée Visionnaire fino al 23/12

KIMONO Kyoto to Catwalk

Rietberg Museum fino al 7/1/24

RITA MCBRIDE E GLEN RUBSAMEN Daily Echo Free Mirror Galleria Mai 36 fino al 14/10

LA CULTURA DI ZURIGO, IN NUMERI

39.000 11%

gli impiegati nell’industria creativa degli occupati complessivi a Zurigo

SE IL SISTEMA DELL’ARTE CITTADINO È CRESCIUTO, IL MERITO È ANCHE DI UN SOLIDO E DIFFUSO MECENATISMO

eirellagel d ’ a r t e r iunitenell’associazioneDi e Zü r c reh neirelaG

47 1300

opere di arte urbana dislocate nel territorio cittadino

120 artisti 130 eventi 73 sedi

+80

mostre per lo Zurich Art Weekend 2023

STORIES ZURIGO
Prime Tower, Zurigo. Courtesy Zürich Tourismus
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UNA GIORNATA NELLA STORIA DELLA CITTÀ

Sviluppato all’estremità settentrionale del lago di Zurigo, l’abitato odierno ha origine da primi insediamenti risalenti a 5mila anni fa; nel 43 a.C. i Romani ne fanno un centro doganale verso la Raetia, assegnandoli il nome di Turicum. All’epoca risale la fortificazione di Lindenhof, da cui può iniziare un tour (a piedi e in bici) alla scoperta della storia di Zurigo, agilmente articolato nell’arco di una giornata.

1 La piazza-terrazza panoramica di Lindenhof deve il suo nome ai 52 alberi di tiglio che la rendono uno dei luoghi di aggregazione prediletti dagli abitanti di Zurigo. Conserva i resti della prima fortificazione romana, ma anche la memoria della residenza regia di Carlo Magno. Nel 1798 qui si tenne il giuramento sulla Costituzione elvetica.

2 Il fermento del periodo medievale si respira passeggiando tra i vicoli pedonali del Niederdorf o alzando gli occhi per apprezzare i bovindi dipinti di Augustinergasse. Così si raggiunge la Sankt Peter Kirche, la chiesa più antica di Zurigo, fondata nel IX secolo. Sul campanile spicca il quadrante d’orologio ecclesiastico più grande d’Europa.

3 La visita prosegue all’interno della chiesa di Fraümunster, ciò che resta del convento femminile fondato da Ludovico il Germanico (853), ristrutturata all’inizio del Novecento. L’attrazione principale sono le vetrate del coro e del rosone del transetto meridionale, realizzate su disegno di Marc Chagall.

4 Attraversando il fiume sul Münsterbrucke, la tardogotica Wasserkirche si rivela a stento. Oggi è anche spazio culturale e custodisce uno dei lavori a tema sacro più originali della città: le vetrate del coro disegnate da Augusto Giacometti, che mettono a confronto la vita di Cristo con quella di un uomo moderno.

5 Risalendo qualche gradino, giungiamo al cospetto di Grossemünster, la cattedrale di Zurigo, sorta secondo leggenda sulle tombe dei patroni Felix e Regula, per volontà di Carlo Magno. Da qui, nel XVI prese le mosse la Riforma protestante svizzero-tedesca, come pure il primo nucleo dell’Università cittadina.

6 Prima di riattraversare il fiume – stavolta utilizzando il Rathausbrücke, ponte-piazza sede di un colorato mercato mattutino di fiori e ortaggi – una deviazione da Münstergasse conduce a scoprire la sede fondativa del Cabaret Voltaire.

7 Nuovamente al di là del Limmat, è il momento di una pausa ristoro, approfittando per scoprire il primo ristorante vegetariano del mondo, Haus Hiltl, fondato nel 1898 e oggi articolato palazzetto di delizie, che contraddice i luoghi comuni sui buffet, presentando una nutrita selezione giornaliera di pietanze vegetali e plant based

8 Rifocillati, si raggiunge l’antico Giardino botanico, fondato nel 1837 e circondato dal torrente Schanzengraben, lungo il quale si scopre l’affascinante struttura dello stabilimento balneare per soli uomini costruito nel 1864 (è così tutt’oggi, salvo di sera, quanto lo spazio si trasforma nel Rimini Bar, aperto a tutti).

9 Da qui, il tour può proseguire approfittando del servizio di bike sharing cittadino, per raggiungere il Frauenbad, stabilimento fluviale per sole donne, nato negli Anni Trenta dell’Ottocento e ristrutturato in stile Liberty nel 1888.

10 Sempre in sella alla bici si procede oltre il punto panoramico sul Quaibrücke, per entrare nel parco che costeggia il lago, superando l’Operahaus in direzione del Pavillon Le Corbusier. La promenade è punteggiata di opere d’arte pubblica e conduce a un’attrazione inaspettata (e gratuita): un giardino cinese riprodotto con autenticità da maestranze cinesi, tra gazebi e pagode in legno intarsiato e dipinto, piante esotiche e angoli devozionali.

3 5 6 7 8 7 8 Rentenwiese Belvoipark ENGE 500m CITY LANGSTRASSE GEWERBESCHULE LETTEN
superficie 91,88 km² densità 4728,3 ab/km²
abitanti 434.436
Zurigo

1 KUNSTHAUS

Il più grande museo svizzero di belle arti si compone di due volumi affrontati su Heimplatz, collegati da un corridoio sotterraneo e corredati da un giardino dell’arte.

kunsthaus.ch

2 LANDESMUSEUM

Il Museo Nazionale Svizzero svetta con le sue fattezze da castelletto medievale. La collezione permanente riunisce testimonianze di cultura materiale e oggetti d’artigianato, ripercorrendo la storia di Zurigo e della Svizzera.

landesmuseum.ch

3 MUSEUM FÜR GESTALTUNG

Quattro collezioni – design, grafica, arti decorative e manifesti – e più di mezzo milione di oggetti distribuiti tra due sedi. Frequenti le esposizioni temporanee.

museum-gestaltung.ch

4 PAVILLON LE CORBUSIER

L’unico edificio completamente in vetro e acciaio di Le Corbusier, terminato nel 1967, sempre nel segno del sistema Modulor. Dopo il restauro, il padiglione si visita da aprile e novembre. pavillon-le-corbusier.ch

5 KUNSTHALLE

All’interno del complesso Lowenbraükunst, un centro di arte contemporanea impegnato a promuovere gli artisti emergenti, accanto ai nomi più celebri.

kunsthallezurich.ch

6 MUSEO MIGROS

Ancora all’interno dell’ex birrificio Lowenbraü, il museo è una piattaforma che incentiva la ricerca contemporanea, come testimonia la collezione d’arte riunita dalla nota catena di supermercati. migrosmuseum.ch

7 HAUS KONSTRUKTIV

Dedicato all’arte costruttivista-concreta e concettuale, il museo è ospitato all’interno dell’ex Unterwerk Selnau, espressione del movimento architettonico Neues Bauen. Custodisce anche la Rockfeller Dining Room di Fritz Glarner. hauskonstruktiv.ch

8 RIETBERG MUSEUM

Circondato da un parco lussureggiante, che digrada verso il lago, il museo riunisce testimonianze di arte extra-europea in rappresentanza di tutto il mondo, partendo dal primo nucleo raccolto da Eduard von der Heydt. rietberg.ch

9 MUSÉE VISIONNAIRE

Con due mostre temporanee all’anno, il museo dà spazio alle forme d’arte non convenzionali, ricercando le proprie fonti in archivi, atelier misconosciuti, istituti psichiatrici, valorizzando gli outsider e gli artisti ai margini.

museevisionnaire.ch

10 FOTOZENTRUM – WINTERTHUR

A mezz’ora d’auto dalla città, il Centro per la tutela e ricerca sulla fotografia del XX secolo e contemporanea si articola in due ex edifici industriali, ripensati nel 2002 da Wolfram Leschke, per ospitare anche una biblioteca specialistica. fotomuseum.ch

STORIES ZURIGO 1 1 2 10 9 4 2 3 4 5 6 9 10 Quaibrücke LagodiZurigo Limmat Platzspitz ALTSTADT
9 MUSEI + 1 DA NON PERDERE IN CITTÀ 74 59

ERA IL SOCIAL DEI BALLETTI, OGGI STA CAMBIANDO IL PANORAMA CULTURALE

Provare per credere: su TikTok si trova di tutto, anche (a sorpresa di molti) la cultura. Libri, musica, divulgazione artistica e scientifica, rigorosamente in formato 9:16

Farò qualcosa che di solito non si fa in questo spazio. Parlerò di cultura”. Sono bastate poche, mal guidate parole a Carlo Calenda per far naufragare il proprio sbarco su TikTok all’alba delle scorse elezioni: se per i novizi del social cinese era un modo di dire come un altro, per centinaia di migliaia di giovani utenti si è manifestato invece un pregiudizio di assoluta ignoranza. Che TikTok non sia più il “social dei balletti” sono mesi, se non anni, se non da sempre. Dunque ben prima delle scorse elezioni italiane. Perché la sua genesi dal cadavere del vecchio Musical.ly non ne ha mai impedito il precoce sviluppo fino alla formulazione di un ambiente socialmente (o meglio, para-socialmente) molto avanzato, che di ingenuo ha davvero poco.

Parliamo non solo di una piattaforma per la creazione dei contenuti di video brevi e brevissimi (meno di un minuto è il formato consigliato), ma di uno straordinario selezionatore di informazioni che funge da incentivo all’interazione positiva e porta alla creazione di nuove idee e mercati di alto valore anche educativo e culturale. Tutto questo sia dal basso sia tramite sfide calate dall’alto e investimenti volti a dimostrare l’esistenza di un ambiente sano a genitori e legislatori. Come #ImparaConTikTok, hashtag su cui la piattaforma ha investito al punto da superare i 40 miliardi di visualizzazioni solo in Italia nel giro di un paio d’anni. Tanto persino per TikTok, che all’estate 2023 vanta circa 1,5 miliardi di utenti mensili attivi.

Certo, esattamente come IRL (cioè In Real Life, nella vita reale) devi fortemente volere questo tipo di engagement “impegnato” senza farti trascinare unicamente dai contenuti più frivoli, dal trash più sfrenato e dalle dinamiche tossiche di battibecchi e litigate. Il rischio di rimanere storditi dal veloce ricambio o ancora peggio di finire “sul lato sbagliato” dell’app –quello delle sfide pericolose, delle persecuzioni sessiste e del bullismo dichiarato – non è inesistente,

soprattutto per un pubblico che (nonostante i divieti) può anche avere meno di 14 anni, e che viene introdotto all’app in alcuni casi anche in tenerissima età da genitori ambiziosi. Ma questo è il pericolo di tutti i social network, e TikTok, rispetto ad altre piattaforme, può vantare, un po’ come faceva il vecchio Reddit, un pregio che lo mette in una lega più competitiva, in gara diretta con i motori di ricerca: questo è il posto dove trovare quello che cerchi, ancora prima di sapere della sua esistenza. Ovvi pensieri distopici e tardo-capitalistici a parte, si parla anche di contenuti di alto livello: tra compilation di musica d’opera, classifiche dei libri da recuperare nei mesi tematici (che sia il Pride Month, il Disability Month o il Black History Month), così come tecniche di applicazione della teoria del colore all’interno delle opere d’arte, analisi di quadri meno noti e improvvisazioni musicali jazz a più mani, Millennial e GenZ (e pure qualche boomer, quando bravi) hanno creato un ambiente che ha molto da offrire agli amanti della cultura.

UN NUOVO

PUBBLICO DI LETTORI

Dopotutto, è una questione di sopravvivenza: che si tratti di industria del libro, della cultura museale o della musica, TikTok permette di accedere a particolari e ambite fette di pubblico, cioè Gen Z (1996-2010) e ormai anche la ben più giovane Gen Alpha (20102020s), che non si fanno convincere da pubblicità cartacea e televisiva banalmente perché non accedono a queste modalità comunicative. E la cosa funziona. Fa storia il caso del libro Stone Maidens: la figlia dell’autore Lloyd Devereux Richards ha promosso sull’applicazione cinese il suo volume a febbraio 2023, anni dopo la sfortunata pubblicazione dello stesso una decina d’anni fa. Il video, che raccontava come il padre avesse impiegato 14 anni per scrivere il romanzo, è diventato talmente virale che il libro ha scalato la vetta delle vendite online in pochissimi giorni arrivando primo su Amazon. Guadagnando anche delle traduzioni, come quella in italiano pubblicata lo scorso luglio per i tipi di Piemme con il titolo Anime di pietra

TIKTOK
GIULIA GIAUME

IL MIRACOLO DI BOOKTOK: NUMERI DI UN FENOMENO

138mld

le visualizzazioni di #BookTok a livello globale

+16%

la crescita del mercato editoriale italiano nel 2021 rispetto al 2020 anche per merito di TikTok

+53% +48%

+9%

le percentuali di utenti americani e canadesi che nel 2023 sta leggendo di più grazie a #BookTok

CHE SI TRATTI DI INDUSTRIA DEL LIBRO, DELLA CULTURA

MUSEALE O DELLA MUSICA, TIKTOK PERMETTE DI ACCEDERE A PARTICOLARI E AMBITE FETTE DI PUBBLICO

Come altri media giant prima, e meglio, TikTok ha singolarmente cambiato il modo in cui operano intere industrie, influenzando come viviamo, mangiamo e acquistiamo anche se non usiamo l’app, visto che moltissimi altri la usano (la media italiana è di 280 ore all’anno, quasi un giorno intero al mese). In campo culturale, una delle manifestazioni economiche più potenti di questo effetto è #BookTok, l’hashtag sotto il quale si raccolgono consigli letterari in forma di video con recensioni, compilation e piccole “recite”. Qui potrebbe capitarvi di sentire una confessione e poi scoprire alla fine del video che si tratta della trama di un libro appena uscito, o di avere a pronta disposizione una lista dei piccoli capolavori queer pubblicati negli ultimi anni, o persino di conoscere “di persona” gli autori che presentano la propria opera con costumi o letture a voce alta. Questo iper-passaparola ha alterato l’industria letteraria italiana e mondiale, portandola spesso a basare la propria sopravvivenza sui romanzi YA – cioè destinati a un pubblico di “Young Adult”, Giovani Adulti – spesso romantici, fantasy o per un pubblico marcatamente femminile (che compra e legge di più). E non si parla certo solo di piccole case editrici: TikTok è stato media partner dello stesso Salone del Libro 2023, sui cui espositori era presente l’ubiquo hashtag per i lettori più giovani, che in questa edizione hanno rappresentato una significativa porzione di acquirenti.

la crescita delle vendite di libri negli USA attribuibile a TikTok

L'angolo BookTok al Salone del Libro di Torino 2023 © SalTo

E sono molte le case editrici che si impegnano sul social network per attirare nuovi lettori, anche assumendo booktoker come testimonial o chiedendo ai propri autori di raccontare le trame o i pezzi forti delle nuove uscite. Esempi di ottimi editori italiani che fanno questo lavoro di promozione sono Laterza (25mila follower), che con le sue “Lezioni di Storia”

STORIES TIK TOK
2mld
in Italia
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TROPPO IMPOPOLARE PER TIKTOK: IL CASO BRITISH MUSEUM

Se alcuni musei non hanno tempo, voglia o personale adatto per coltivare un proprio profilo TikTok, altri proprio non possono farlo, perché sarebbero sottoposti a un brutale linciaggio popolare. Questo è il caso, più unico che raro, del British Museum di Londra. Sì Perché... tutti odiano il British Museum su TikTok: gli unici video che troverete, a parte alcune guide agili per turisti di massa, sono quelli che elencano i motivi per cui il museo dovrebbe restituire i propri manufatti ai loro proprietari e, nel peggiore dei casi, chiudere per sempre. “Oggi sono al British Museum per vedere i manufatti del mio Paese”, commentano gli utenti arrabbiati da tutto il mondo, dall’Africa al Sudamerica fino al Sudest Asiatico, oppure “Cercavo qualcosa di ‘British’ al British Museum, ma non c’è”, o “Perché non cambiare il nome in ‘Museo degli artefatti rubati’?”, o ancora “Davvero avete privato il mio Paese di quest’opera perché ‘Non la conservava correttamente’ e adesso la esponete così male?”. Queste sono opinioni molto simili a quelle degli archeologi e storici dell’arte che rivendicano la restituzione di manufatti celebri come i Bronzi del Benin, la Stele di Rosetta, la statuaria precolombiana e i 6mila “human remains” da tutto il mondo che, collettivamente, compongono solo una minima parte degli 8 milioni di reperti qui archiviati e (circa l’1%) esposti, che coprono circa 2 milioni di anni di storia umana. Apoteosi della compenetrazione realtà-meme, è il video di una utente che fa una panoramica dei marmi del Partenone e della statuaria egizia con il remix dei “borseggiatori” e la collettiva ripresa del tweet di David Van Wyk del 2021 che dice: “La sola ragione per cui le piramidi sono ancora in Egitto è che sono troppo pesanti per essere portate al British Museum” Celebre anche la citazione del conduttore britannico John Olivier del 2022 che sostiene come “l’intero British Museum sia una scena del crimine” Certo, ovviamente non è il solo il British ad avere manufatti sottratti con la forza: qualche mese fa aveva fatto molto scalpore il caso della donna cambogiana Sophiline Cheam-Shapiro cacciata dal Met perché stava performando una danza rituale davanti a dei manufatti rubati alla sua comunità raffiguranti delle divinità. Eppure il museo londinese, sia per la sconfinata capienza dei suoi depositi sia per il pervicace rifiuto di intavolare dei (veri) dialoghi di rimpatrio, è diventato il collettore di un comune sentimento di rivendicazione anti-coloniale. E per questo si tiene ben alla larga dal social network, dove gli hashtag in trend non lasciano proprio alcun dubbio.

offre piccoli brani (molto) pop dal proprio catalogo –con curiosità che spaziano dal “Perché agli italiani piace così tanto l’amaro” alle “Cinque persone che non conosci che hanno fatto l’Europa” –, e ancora Mondadori, che ai suoi 18mila follower offre letture per l’estate, aggiornamenti sul Premio Strega o letture ad alta voce (fornite dai propri seller dai negozi ufficiali), o ancora la Sellerio, che ai suoi 14mila seguaci mostra i propri autori italiani e non, e alcune curiosità su di loro.

LA DIVULGAZIONE SCIENTIFICA SU TIKTOK

Quando si parla di pillole di conoscenza, però, i libri arrivano secondi: ad arrivare per prima è la cultura scientifica. I creator delle materie STEM – Science, Technology, Engineering and Mathematics – hanno coinvolto infatti milioni di persone in un apprendimento per immagini e concetti base rendendo argomenti anche molto complessi facilmente digeribili. Spettacolare il caso di Hank Green, forse il divulgatore più amato d’America e sicuramente il più noto nel mondo digitale. L’energico Hank, autore, vlogger, musicista e producer nonché fratello dell’altrettanto famoso autore di romanzi John (con cui ha realizzato

delle interessanti produzioni YouTube), spiega ai suoi 7,8 milioni di follower lezioni di biologia – esilarante la serie “Ecco perché dovete smettere di mangiare l’erba/ Per l’amore del cielo non so più come dirvelo, smettete di mangiare l’erba” –, e ancora astrofisica, logica, ingegneria, medicina, musica e media studies (è un eccellente creatore di meme e utilizzatore di funzionalità sconosciute ai suoi pari accademici). Hank è la persona che tutti taggano quando un fatto apparentemente inspiegabile compare nel flusso dei video, o quando una spiegazione suona un po’ sospetta: è un debunker sempre a portata di tag. A metà tra lo zio di tutti e il professore cool di scienze (quello che ti lascia fare gli esperimenti col fuoco e l’elettricità, senza rimanerci), Hank Green è così tanto addentro al proprio ruolo di guida da aver aperto al pubblico mondiale il

L’IDEA È QUELLA DI DIVENTARE UN PUNTO DI RIFERIMENTO DA CUI ACCEDERE A CONTENUTI AFFIDABILI E DIVERTENTI, CONTRASTANDO IL FENOMENO DELLA DISINFORMAZIONE
Great Court, British Museum © British Museum

LE GALLERIE DEGLI UFFIZI: UN TALENTO NATIVO

Se c’è un profilo culturale italiano che merita di essere analizzato con maggiore attenzione è quello delle Gallerie degli Uffizi. Parliamo di un raro esempio museale nostrano che, pur essendo di altissimo livello (o forse proprio per questo), è disposto a mettersi in gioco in modo radicale e scanzonato, e a farlo nel modo più “nativo” possibile. Questo perché, sin dall’apertura dell’account nel 2020, gli Uffizi rappresentano uno dei pochissimi esempi istituzionali di musei che fanno del linguaggio di TikTok il proprio pane, creando sketch, partecipando a trend e intavolando collaborazioni proprie del social cinese senza produrre contenuti in serie per tutte le piattaforme, magari leggermente rimaneggiati (fidatevi, se un video è stato pensato per i Reel e viene duplicato si vede). “Abbiamo deciso di sbarcare su TikTok a inizio pandemia, l’intenzione era quella di avere un accesso diretto ai più giovani, attivando la loro curiosità senza che venissero portati dai genitori o con la classe”, ci racconta Alejandra Micheli, social media manager degli Uffizi. “Per questo volevamo utilizzare il loro linguaggio. È stata una sfida, ci siamo detti: ‘Proviamo a parlare come loro e vediamo se rispondono, facciamo scendere dal piedistallo le opere’. Sin da subito siamo andati alla grande, con like e commenti che non erano solo ‘Grandi!’ o ‘Che ridere’, ma anche ‘Dov’è quel quadro?’. Poi quando Chiara Ferragni è venuta in galleria le abbiamo chiesto di partecipare, e abbiamo avuto un’altra esplosione”. La maggiore novità del momento sono le collaborazioni dirette con i content creator: “Ora ci sono Rey Sciutto, con cui collaboriamo almeno ogni due mesi, Matto Varini, Benedetta Artefacile, Sasy Cacciatore, e ne arriveranno altri. Vediamo che ci aiutano molto a parlare con i ragazzi: noi non diamo loro nessuna indicazione, e (sempre nel rispetto di minimi termini) ognuno parla come crede senza intermezzi e distorsioni. La proposta che facciamo a tutti questi tiktoker è: ‘Hai voglia di venire agli Uffizi e raccontarci nel tuo stile?’. Alcuni video durano pochissimo, come nel caso della Medusa di Caravaggio, ma spaccano. E magari nei commenti i ragazzi chiedono delle opere e del loro significato. È il segno che questo modo di stare sulla piattaforma funziona”. Un modo coraggioso, non condiviso dagli altri musei (europei e non) con un grosso seguito, come Prado e National Gallery: “Noi, che non parliamo spagnolo né inglese, abbiamo comunque successo distaccandoci dal loro modello, che è propriamente didascalico, e optando per scelte molto più informali e giovani. Seguiamo i trend almeno una volta a settimana, e TikTok ci apprezza molto per questo: gli facciamo da spalla”.

proprio viaggio per uscire dal linfoma diagnosticatogli da qualche mese, con tanto di motto: “Piss out cancer!”, che illustra come la chemioterapia porti alla deiezione delle cellule cancerogene letteralmente... andando in bagno.

Se pure il più ubiquo e il più amato (provate a non affezionarvi al suo linguaggio ricco ma semplice e la sua effervescente energia vitale), Hank non è certo l’unico. L’efficacissima Clio Abrams, i giovani ironici di Asap Science, il multiforme dottor Glaucomflecken ma anche la “nostra” astronauta “Astrosamantha” Cristoforetti e la dolcissima drag queen della matematica e della logica Kyne fanno della divulgazione scientifica il proprio pane quotidiano, raccogliendo decine di milioni di like e svariati milioni di follower ciascuno. E in Italia, anche se con meno follower, abbiamo la chimica “casalinga” di Dario Bressanini e quella trasgressiva di Chimicazza, la cosmesi di Beatrice Mautino, l’informatica di Matteo Albrizio e la scienza (dal laboratorio alla casa) con Marco Martinelli.

Cospicuo lato divulgazione l’investimento della compagnia madre, la ByteDance, che crede in questo filone più di tutti gli altri messi assieme: proprio in

questi mesi TikTok sta pensando di aggiungere ai due feed esistenti – cioè le due categorie in cui si possono scorrere video, Following e For You – un terzo feed dedicato esclusivamente a questo tipo di contenuti, a cui fornirebbe una ulteriore moderazione prima di inserirli nel flusso. L’idea è quella di diventare un punto di riferimento da cui accedere a contenuti affidabili e divertenti, contrastando il fenomeno della disinformazione che ha interessato (soprattutto dopo la pandemia) la scienza e la salute.

C’è solo un rischio: quello di pensare di aver capito un argomento quando in realtà lo si ha solamente ascoltato e, nel peggiore dei casi, provare a divulgare a propria volta le mezze idee acquisite per ottenere almeno uno di quei famosi quindici minuti di notorietà. Questo è quello che in psicologia viene chiamato “l’effetto Dunning-Kruger”, un pregiudizio cognitivo secondo cui le persone sopravvalutano erroneamente la propria conoscenza di uno o più argomenti per via di una mancanza di consapevolezza (che paradossalmente andrebbe creata prima della conoscenza stessa). Un po’ a dire: bene imparare su TikTok, ma lo spirito critico bisognerebbe già averlo acquisito a scuola e a casa. O su altre fonti un po’ più autorevoli.

STORIES TIK TOK
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Alejandra Micheli, social media manager delle Gallerie degli Uffizi

I RISCHI DELLA VELOCITÀ E DELLE ABBUFFATE DI INFORMAZIONI

Questo tema ci ricollega a un più ampio rischio della piattaforma. Le dimensioni e la portata del tamtam di TikTok – insieme alla natura fulminea dei suoi contenuti e al suo algoritmo in continua regolazione (e miglioramento, con buona pace di chi guarda i Reel di Instagram e pensa siano la stessa cosa!) – fanno la loro parte nel contribuire alla natura effimera delle tendenze digitali, che stimola quelli che vengono chiamati non trend ma addirittura “ trend”, che a parlarne si sta già tradendo un’estra neità al sistema. Rischio che corre parallelo alla selezione di TikTok dei contenuti da far girare e della censura che colpisce chi si occupa di temi scot tanti (come il caso degli Uiguri di Cina) o ha un aspetto diverso da quello promosso dalla piattaforma (per esempio i corpi disabili o grassi). La collina della popolarità è un po’ più difficile da scalare se non sei bianco, grazioso e normopeso, proprio come nella vita reale. Allo stesso modo, la tendenza a divulgare può scivolare nei vecchi vizi mediatici che ricercano il gossip malevolo, sfruttano il sensazionalismo o ri cadono proprio nella disinformazione più becera delle fake news, che viaggiando tramite la giovane età del pubblico può passare inosservata a lungo prima di essere intercettata da utenti o giornali. Quando anche non così grave, e quindi biased tosa, la tendenza ad abbuffarsi di contenuti digitali ha comunque degli effetti collaterali, e se eccessiva può portare all’information overload (o infoxication) e al temibile doomscrolling, cioè lo scorrimento all’infinito lungo il feed. Questo è, stando agli psicologi clinici, “una malsana tecnica di evitamento cognitivo utilizzata per far fronte all’ansia” che finisce per derubare i giovani di sonno, interazioni sociali e hobby. E quindi porta a un circolo vizioso. Questo vale anche per le “pillole” di apprendimento, il microlearning che stando al report Digital Learning

LA TENDENZA AD ABBUFFARSI

DI CONTENUTI DIGITALI HA

COMUNQUE DEGLI EFFETTI

COLLATERALI, E SE ECCESSIVA

PUÒ PORTARE ALL’INFORMATION

OVERLOAD (O INFOXICATION)

porta. In senso positivo, è il caso di Driver’s License di Olivia Rodrigo, che grazie a TikTok è stata la canzone più ascoltata del 2021 con oltre 1 miliardo di stream ed è diventata il primo singolo di un album di estremo successo che ha portato la sua autrice a diventare un nome talmente grande della cultura pop statunitense da essere convocata dalla Casa Bianca per fare divulgazione sull’importanza dei vaccini. La viralità può così diventare una scorciatoia per gli artisti che cercano di entrare nel mainstream, ma i critici sostengono che la qualità della musica pop sia in declino anche perché influenzata dalla cosiddetta “formula musicale di TikTok”, al punto che oggi bastano pochi secondi orecchiabili perché una canzone diventi un successo. Questo declino crea quindi una reazione a catena su tutto il comparto e il mercato relativo: le maggiori piattaforme, Spotify in testa, si sono tarate molto velocemente sulle segnalazioni di TikTok creando costantemente nuove playlist con le ultime uscite delle micro-celebrità del momento per non diventare irrilevanti. Questo influenza anche le tournée, spesso l’unico modo rimasto ai musicisti di fare davvero dei soldi. Anche perché il pubblico ha una gran fame post-pandemica per la musica dal vivo: l’isteria generale che perdura da tutto il 2023 per ottenere i biglietti per l’Eras Tour mondiale di Taylor Swift lo conferma. Oltre a fare di TikTok una fonte di informa-

I MUSEI PIÙ AMATI DEL MONDO IN NUMERI

Trends 2023 di Thinkific vedrà un enorme impulso proprio quest’anno: la tendenza a imparare costantemente (anche involontariamente, una volta finiti nel flusso) cela possibili effetti negativi sul lungo termine, con sintomi depressivi e burnout per le troppe informazioni.

LA COMPLETA ALTERAZIONE DEL MERCATO MUSICALE

Altro lato ambiguo della cultura su TikTok è quella che riguarda l’industria della musica. È ormai la norma che siano rilasciate piccole anteprime con tanto di video coreografati e challenge ben prima dell’effettiva pubblicazione dei brani sulle principali piattaforme di streaming. Anzi, spesso e volentieri queste anticipazioni diventano delle vere e proprie audizioni, perché o gli artisti più piccoli cercano di uscire dall’anonimato con una canzone-tormentone oppure cantanti e musicisti già affermati sono costretti a passare al vaglio del popolo le proprie creazioni, con tutti i rischi e i possibili vantaggi che questo coinvolgimento popolare (spesso banalmente dettato dalle mode) com-

PRADO @museodelprado

NATIONAL GALLERY @nationalgallerylondon

MADRID LONDRA NEW YORK

MET @metmuseum

RIJKSMUSEUM @rijksmuseum

GALLERIE DEGLI UFFIZI @uffizigalleries

AMSTERDAM FIRENZE LONDRA

VICTORIA & ALBERT MUSEUM @vamuseum

Olivia Rodrigo. Photo Larissa Hofmann

zioni per capire dove reperire questo pubblico dal vivo, i musicisti più o meno affermati pensano i propri spettacoli apposta per la piattaforma, perché aumenti l’hype e crei un circolo virtuoso di visualizzazioni, stream e richiesta di nuove date fisiche. Esempio perfetto sono i concerti degli ultimi mesi e anni, sempre più TikTok-friendly: per il tour di Motomami di Rosalía i giganteschi schermi verticali su ciascun lato del palco andavano proprio a imitare l’interfaccia dell’app, con telefoni posizionati intorno a musicisti e ballerini. E cosa dire delle riprese altrettanto ad hoc dell’ultimo tour di Beyoncé, accompagnata dalla figlia Blue Ivy con tanto di outfit a sorpresa? E ancora, la performance di Rihanna allo scorso Super Bowl non è stata forse amplificata dal fatto che i suoi ballerini giovanissimi – rinominati “marshmallows” per i voluminosi piumini targati Fenty che hanno caratterizzato lo spettacolo – hanno potuto tenere i memorabilia e pavoneggiarsi su TikTok? Un ritorno in grande stile per la miliardaria barbadoregna.

I MUSEI CHE CI SONO E NON CI SONO

In un’ottica di creazione di nuovi mercati, non possiamo dimenticare che TikTok è uno spazio economico a sé stante, anche in senso culturale: adottando il corretto linguaggio (in evoluzione) e cogliendo trend e sfide che interessano il proprio pubblico di riferimento, i creator possono determinare il successo di un’istituzione culturale o anche solo di sé stessi diventando (e questo è da leggersi con il tono di Chiara Fer-

POP

ragni) “imprenditori digitali”. In questo senso è esemplare il caso di Treccani, che ha avviato nell’estate 2023 un corso online per imparare a raccontare la cultura sul social: in collaborazione con la divisione italiana del social e attraverso la piattaforma di e-learning edulia, Treccani ha infatti sviluppato un corso su cui 9 creator insegnano gratuitamente come fare divulgazione sul social network, guardando a modelli di successo come quelli delle Gallerie degli Uffizi (la cui prima curatrice è inclusa nel progetto). In questo senso, una parola la meritano proprio i musei, a partire dagli stessi Uffizi. Tra audio virali e il coinvolgimento di volti amati dai giovani, come il napoletano Sasy Cacciatore, l’account TikTok delle Gallerie degli Uffizi conta più di 160mila follower: scenette scanzonate, brani di vita delle persone che ne curano l’immagine e commenti ironici hanno portato il museo italiano (già arrivato in cima alla lista delle migliori istituzioni al mondo di Time Out) a diventare estremamente popolare online. Una mossa che rappresenta una significativa opportunità d’accesso alla storia dell’arte, oltre che una forte occasione commerciale: nel 2022 le Gallerie hanno avuto più del doppio dei visitatori dell’anno precedente (che, certo, è stato un anno pandemico), toccando quota 4 milioni.

I risultati italiani – messi in ombra solo all’estero da grandi e intuitive istituzioni come il Prado o il Rijksmuseum – sono notevoli, soprattutto se si pensa che non sono poi molti i musei d’arte del mondo disposti a mettersi in gioco su TikTok. Stando al report per il 2023 di Aimee Dawson realizzato con i dati di Chinma Johnson-Nwosu, infatti, solo 21 dei 100 musei più visitati del mondo sono sulla piattaforma, e solo 6 di questi hanno più di centomila follower. Eppure il traffico portato dai grandi nomi della content creation o in alcuni casi anche solo dai curatori interni al museo è davvero intenso: perché più istituzioni non si cimentano? La risposta, in alcuni casi, è tecnicamente politica – non vedrete alcun museo russo sull’app –, in altri molto più semplicemente dispendiosa: “È una piattaforma complicata”, ha commentato detto a Blooloop Javier Sainz de los Terreros, responsabile della comunicazione digitale del Prado, aggiungendo che però “dà tante soddisfazioni”. Una delle cose più difficili da gestire, suggeriscono gli esperti, è la sua qualità informale, molto lontana dalle produzioni seriose e raffinate a cui sono abituati i professionisti dell’arte.

IL TURISMO CULTURALE TARGATO TIKTOK

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Altra nicchia che dimostra di poter essere variamente interpretata dagli utenti della piattaforma, che sia in modo ingenuo oppure con una forte coscienza di classe e razza, è quella del turismo culturale. Grazie ai video che riprendono i luoghi più interessanti e il cibo di un Paese o di una città viene stimolata infatti una nuova curiosità che riesce a sfondare i pregiudizi e ridare linfa all’interesse nel viaggiare verso una meta specifica. È quello che si augurano città come Napoli, che secondo un recente studio della Fondazione Città identitarie ha collezionato da sola 17 miliardi di visualizzazioni da tutto il mondo. L’unico rischio, dicono alcuni, è quello della banalizzazione delle città d’arte e del passaggio a un “turismo tossico”: è il caso della Venere della campagna Open to Meraviglia del Ministero del Turismo (e dei suoi follower comprati su Instagram). Questo tipo di turismo,

STORIES TIK TOK
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DECLINO ANCHE PERCHÉ SIA INFLUENZATA DALLA COSIDDETTA ‘FORMULA MUSICALE DI TIKTOK
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I CRITICI SOSTENGONO CHE LA QUALITÀ DELLA MUSICA
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che possiamo ritrovare nelle lunghe code in giro per le città italiane, crea un ambiente faticoso e insostenibile per turisti e cittadini. Che TikTok, con i suoi numeri colossali e isterici, possa aggravare la cosa?

Ci sono però utenti che si occupano di parlare di città in modo diverso e proficuo. Uno di questi è Joris Lechêne, Equality, Diversity and Inclusion Advisor che ai suoi 307mila e passa follower spiega attraverso esempi pratici l’aspetto e le conseguenze della gentrificazione, dell’architettura ostile e razzista, valorizzando invece gli esempi positivi stimolati a livello locale dalle comunità. I suoi video riguardano soprattutto Londra: camminando per la città, Joris mostra gli esempi più negativi della sperequazione –come nel caso della ex-City Hall progettata dallo studio di Norman Foster, oggi ceduta al Kuwait per l’innalzamento dell’affitto del terreno oltre le sue possibilità –, del razzismo – come nel caso del Barbican Centre e del trattamento riservato ai membri del Resolve Collective – e del classismo – si vedano i giardini privati delle case di alto bordo, in posti come Belgravia. Ci sono però anche esperimenti positivi, come il caso dell’Alexandra Road Estate, l’esperimento di housing sociale creato dall’architetto Neave Brown, o ancora l’esperimento di “reverse gentrification” del

QUANDO LA PERFORMANCE DIVENTA SOCIAL

Sono quasi quindici anni ormai che si parla di performatività in relazione al mondo dei meme e dei contenuti social. Ossia grosso modo dai tempi del planking, azione virale salita alla ribalta intorno al 2009 che consisteva nello stendersi a pancia sotto, dritti come una tavola, su superfici improbabili, spesso nello spazio pubblico. Un po’ come facevano Bruce Nauman e Charles Ray negli Anni Sessanta e Settanta. Da allora, i casi di studio sono stati innumerevoli: dalla ASL Ice Bucket Challenge, che univa la pratica dadaista del gesto inutile (rovesciarsi un secchio d’acqua gelata sulla testa) con lo scopo benefico della raccolta fondi (2014), al trend lanciato accidentalmente nel 2020 da Nathan Apodaca, conosciuto su TikTok con lo username 420doggface208, che ha portato migliaia di persone a cavalcare uno skateboard bevendo succo di mirtillo e canticchiando un vecchio brano dei Fleetwood Mac. Le potenzialità di auto-racconto offerte dalle piattaforme social, in congiunzione con la diffusione di massa di webcam, smartphone e connessioni veloci hanno generato uno tsunami di performatività amatoriale. Accanto a selfie, balletti e fit-check, sono infatti emersi anche numerosi esempi di uso artistico del video online, in qualche caso dichiaratamente ispirati all’opera di grandi artisti - come Marina Abramović, Yoko Ono, Vito Acconci o Allan Kaprow - ma molto più spesso frutto di un processo di esplorazione spontanea, del corpo e del medium. Su TikTok questo genere di performance ha trovato il suo palcoscenico ideale: sfruttando l’immediatezza del formato e capitalizzando su funzioni specifiche della app, come ad esempio quella del duetto, che permette la creazione di catene collaborative anche lunghissime, utenti di ogni parte del mondo hanno messo in scena la propria creatività davanti all’obiettivo. È il caso, ad esempio, dell’americana Savanah Moss, che dal 2021 pubblica sul suo account sketch surreali e inquietanti, la cui atmosfera assurda e onirica appassiona milioni di follower. Più di recente, oltre al famosissimo trend degli NPC (Non Player Character), di cui è regina indiscussa la canadese Pinkydoll, è diventata virale la performance art seriale della losangelina Vita Kari, che ha invaso la piattaforma con il suo slogan “the craziest thing about being creative”, frase che apre tutti i video, intrisi di ironia e incentrati sull’effetto sorpresa.

VALENTINA

Branch Hill Estate. Lato turismo, ha pubblicato di recente un contenuto dedicato alle critiche rivolte a Parigi, definita sporca e piena di graffiti, difendendo l’identità multietnica della città ed esortando a vederla con occhi meno occidentalizzati: i suoi video sono la dimostrazione che trattare gli utenti come adulti anche su temi “pop” come il turismo potrebbe creare un ambiente più sano anche nella vita reale.

LA CULTURA “DI” TIKTOK: UN MONDO A PARTE

Come altre piattaforme e modalità comunicative –viene facile il paragone con Tumblr, padrino del social in tanti sensi, ma ci sono molti elementi propri anche di YouTube – TikTok è un social talmente vasto e ben oliato da diventare autoreferenziale, creando nuovi “prodotti” autonomi. Questo tocca anche la cultura. Esempio cardine di questa tendenza che unisce elementi di pop culture e modalità di racconto coinvolgenti e informali per creare qualcosa di terzo è il caso del musical di Ratatouille. Tutto è cominciato durante la pandemia, quando un’insegnante di 26 anni di una cittadina dello stato di New York, Emily Jacobsen, ha cantato sulla piattaforma una canzone in lode del protagonista dell’omonimo film Pixar, il ratto chef Remy. La ballata, che Jacobsen ha composto mentre puliva il suo appartamento, è diventata virale e a partire da questa prima idea, è stata duettata sulla piattaforma migliaia di volte. Non solo, gli utenti da tutto il mondo si sono coalizzati nella creazione di un vero e proprio musical con più canzoni originali, coreografie, manifesti, campagne pubblicitarie ad hoc e video promozionali. Tutto gratis, tutto di livello professionale. Il progetto è piaciuto così tanto e ha raggiunto una qualità collettiva così alta da aver spinto la Disney e la Seaview Productions, nel dicembre 2020, a creare una produzione visibile temporaneamente in streaming con artisti veterani di Broadway finalizzata ad aiutare gli attori durante la pandemia. Il titolo? Ratatouille: The TikTok Musical

Altro esempio diventato celebre è quello del film Goncharov. Parliamo del capolavoro di Martin Scorsese del 1973, la cui storia incentrata sul potere corrotto e l’amore (anche omoerotico) in una Sicilia di mafia ha fatto appassionare negli scorsi mesi migliaia di utenti, che hanno reinterpretato le sue scene cult, suonato la colonna sonora e realizzato opere di fan art. Peccato che Goncharov non esista. È un’invenzione della comunità di utenti di Tumblr, che hanno riproposto lo “scherzo” – o l’omaggio? – sulla piattaforma targata ByteDance con una serietà tale da coinvolgere milioni di utenti in un revival che ha fatto propri i metodi di diffusione di TikTok. E ha raggiunto Scorsese stesso, la cui figlia ha un account piuttosto seguito e che spesso fa da tramite tra i fan e il padre.

Il cuore di questa auto-produzione interna al social network sono però i meme: celebri sono stati per esempio i gatti che per alcune settimane hanno offerto agli utenti dei “dabloon” (dobloni) creando un’economia che ha portato alla speculazione e al crack; o il martellante grido “attenzione borseggiatrici” mutuato dalla veneziana Monica Poli dei Cittadini Non Distratti e remixato anche da dj internazionali in tutte

PUÒ FARSI
NON ADDIRITTURA POLITICA
TANNI LA CULTURA DI TIKTOK
SOCIALE, QUANDO

le salse. I meme a loro volta hanno influenzato il linguaggio fino a renderlo incomprensibile e imperscrutabile dall’esterno, tra un utilizzo completamente diverso delle emoji e nuove espressioni come no cap, fax, vibe e period (spesso influenzate dalla cultura nera e queer), mentre in Italia sono comparsi gli appellativi di stima come “Mio Padre, mia sorella, mia madre”, commento diventato recentemente famoso perché Zerocalcare, al lancio della nuova serie Questo mondo non mi renderà cattivo, si è detto turbato da questo passaggio che a suo dire lo inchioda nella posizione di vecchio venerabile. E non ha torto, non tanto perché il commento del “padre” corrisponda a un’età, ma quanto più perché il linguaggio sancisce, con crudele precisione, chi è dentro e chi no, e di conseguenza, chi è “ancora giovane”.

COMUNISMO E CULTURA ECOLOGICA SU TIKTOK

E chi è giovane cerca un nuovo stile di vita? Sono tanti a inneggiare a una vita più semplice, quella che vede la cosiddetta girl moss sostituire l’ormai vecchia girl boss È così che vengono proposti stili di vita più lenti, sia nella quotidianità, sia nel turismo, sia nel consumo. Che in molti casi viene proprio osteggiato in toto. E qui TikTok torna a manifestare la sua dualità. Il paragone è bruciante: da un lato abbiamo gli haul – i saccheggi – che giovani uomini e donne fanno comprando da siti di moda fast fashion come Shein o Zara, con pacchi su pacchi che vengono scartati e commentati in mondovisione. Dall’altro gli utenti, sempre giovani uomini e donne, che duettano questi video esortando ad astenersi dalle ondate di acquisto sfrenato, ricordando i costi umani, ecologici ed economici della moda veloce. E ancora, da un lato abbiamo i rivenditori di oggettistica di poco valore, dall’altro le persone che li denunciano per dropshipping, cioè per il fatto di comprare questi oggetti su siti cinesi come Aliexpress (sottoposti alle stesse logiche di sfruttamento e creazione di materiale da discarica) e rivenderli a un prezzo molto maggiorato in Occidente. E infine, da un lato vediamo l’apice del consumismo consolatorio –che fa il paio con i vecchi video di mukbang, in cui la gente si abbuffava (a volte fino a morire) – e dall’altro una nuova cultura ecologista, che sposta la responsabilità dagli acquirenti sulle compagnie che li irretiscono. In questo senso la cultura di TikTok può farsi sociale, quando non addirittura politica, e non parliamo solo di istanze ecologiste, ma proprio di una piccola “rivoluzione comunista” di cui dobbiamo ancora osservare gli sviluppi. Che però si prospettano come interessanti: dalle più semplici (e semplificate) esortazioni alla redistribuzione del patrimonio al grido di “Eat the rich” fino a vere e proprie analisi marxiste delle ragioni dietro la necessità del “sequestro dei mezzi di produzione”, si arriva fino a vere e proprie proiezioni di comuni anti-capitaliste. Gli utenti adolescenti (ma pure ventenni e trentenni) usano la piattaforma anche per scoprire le alternative allo sfruttamento che gli viene propinato fin da una giovanissima età. Questo slittamento si allinea, negli Stati Uniti, con le proteste politiche, prime tra tutte MeToo e BlackLivesMatter, con gli scioperi di interi settori (come quello degli autori, e ancora prima dei lavoratori atipici) e la crescente popolarità di personaggi come Alexandra Ocasio Cortez, affiancato dallo schieramento politico di personaggi pubblici che si occupano di tutt’altro (come nel caso dei divulgatori scientifici di cui sopra) e che si mettono in primo piano nella lotta al caro affitti o al caro medicinali. Che sia ecologista, comunitaria o anti-capitalistica, l’ottica di TikTok è sempre la stessa: l’abbandono della moderazione, la cui promessa di benessere –soprattutto per i Millennial, che hanno già vissuto qualcosa come tre “once in a lifetime crisis” (crisi economiche che capitano una volta nella vita) – è stata ampiamente tradita. Ora non resta che lasciare libero campo a quello che verrà dopo.

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Un apprezzato video della Royal Opera House con la Regina della Notte
36 ARS BOTANICA • LANGE • HOKUSAI • MATISSE • TIZIANO • NIGRO DIETRO LE QUINTE DELLE GRANDI MOSTRE • LA MAPPA DELLE GRANDI MOSTRE

Un campo di fiori sul mare: Ars Botanica al Castello di Miramare

a cura di Stefano Castelli

Un luogo storico, quasi proverbiale, che negli ultimi anni ha dovuto rigenerarsi: il Castello (oggi museo storico) e il Parco di Miramare tra restauri realizzati, studi botanici, mostre temporanee e progetti futuri. Incontro con la direttrice Andreina Contessa sul presente e futuro del museo, e sulla grande mostra Ars Botanica

Come sono cambiati Parco e Museo sotto la sua direzione?

I cambiamenti durante questi cinque anni di mandato sono stati ingenti: hanno comportato un progetto complessivo di riqualificazione di ogni parte del parco, che era molto in sofferenza quando sono arrivata. Era un “luogo del cuore” dei triestini, ma la città era in subbuglio contro la sua gestione.

Come mai questo distacco?

Si sentiva la mancanza di una visione complessiva per questo parco incredibilmente bello e interessante — il giardino mediterraneo più a nord dell’Europa e quello più a sud del mondo continentale. Fu concepito per contenere diverse concezioni di giardino e una collezione botanica proveniente da tutto il mondo, inclusi i frutti delle spedizioni scientifiche alle quali partecipava il fondatore Massimiliano d’Asburgo. E doveva anche contenere tutti gli alberi che avrebbero potuto rimboschire il Carso. Dunque sono

state riaperte anno dopo anno le zone chiuse al pubblico, pericolose o invalicabili. Prima, l’assioma era Miramare=degrado. Ora si può invece definire un luogo aperto, dinamico, dove si fa attività di studio e di ricerca.

E per quanto riguarda l’interno? Cosa è cambiato?

Bisogna tenere conto che due anni dei cinque del mio mandato sono stati segnati dal Covid. In quel periodo ho preso una decisione drastica, ovvero sospendere le mostre

Fino al 31 gennaio 2024 ARS BOTANICA. GIARDINI DI CARTA a cura di Andreina Contessa Museo storico e Parco del Castello di Miramare Viale Miramare – Trieste miramare.cultura.gov.it

temporanee e lavorare su qualcosa che potesse rimanere. Dunque si è proceduto a riqualificare l’ala novecentesca del castello, l’ala degli appartamenti privati del duca d’Aosta, si è investito sulle cucine, restaurato e aperto per la prima volta il bagno ducale, la torretta… Nella riqualificazione di quest’anno delle cucine sono state per la prima volta esposte tutte le porcellane, che prima erano ammassate in qualche modo nei depositi. Ora stiamo restaurando le serre antiche, ma abbiamo già proceduto con le serre nuove dove abbiamo creato una orangerie: era uno dei sogni non realizzati di Massimiliano d’Asburgo, che voleva un giardino mediterraneo, ma gli aranci morirono tutti per il freddo della bora. Ora ci siamo riusciti approntando delle serre come ricovero invernale per le piante. Nell’altra serra nuova c’è poi il Miralab, spazio didattico per ragazzi e bambini. Si spazia… Conta la fruizione, il luogo deve essere aperto al pubblico.

A che pubblico vi rivolgete in prima battuta?

Locale, nazionale, internazionale?

Il nostro pubblico è variegato. Ne arriva molto anche dall’estero, dal confine Est: Austria, Germania… Ma ultimamente cominciamo a sentire altre lingue come francese e inglese, oltre al tedesco. I visitatori del parco, invece, sono in grandissima parte cittadini che vengono quasi ogni giorno per fare una passeggiata o leggere su una panchina, in un luogo molto poetico, romantico e utile a risollevare lo spirito.

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in alto da sinistra a destra : Camellia Palmers Cavandesu, Collection de cent espèces du genre camellia, peintes d’après la nature, lithographié es et coloriè es, Bruxelles 1845 Bromelia Ananas, Pierre-Joseph Redouté. Les lilliacées, Paris 1802-1816 Rosa Gallica Pontiana, Pierre- Joseph Redouté. Les roses, Paris 1817 - 1824
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a destra: Museo storico e il Parco del Castello di Miramare. Foto Federico Valente

Diversi musei puntano su mostre di “cassetta”. Qui sembra esserci un lavoro di segno opposto. Va detto che nel periodo del Coronavirus il nostro concessionario ci ha lasciato; in questi giorni viene assegnata la nuova gestione di mostre, biglietterie e bookshop. Da settembre avremo dunque un concessionario che si farà carico delle mostre e così non avremo solo esposizioni organizzate internamente. Io però sarò sempre contraria a iniziative puramente commerciali, esiste anche un commerciale di qualità che attrae senza svendere i siti e i musei: questa sarà la linea mia e del mio piccolo team. E continueremo comunque a proporre anche piccole mostre di ricerca, con un lavoro interno che tenda a far conoscere la collezione. Prima il racconto di Miramare veniva impostato solo in senso biografico e storico, ma abbiamo una raccolta con pezzi interessanti che vanno riscoperti e studiati.

Per esempio?

Qualche tempo fa ho iniziato a esplorare la biblioteca, alla ricerca di notizie sulla nascita del parco. E ho trovato un tesoro di ars botanica, libri bellissimi che nessuno aveva mai aperto né sfogliato e dei quali non si sapeva assolutamente nulla…

L’attuale mostra intitolata proprio Ars botanica. Giardini di carta nasce dunque da questa ricerca?

La mostra ha come cuore questa biblioteca dell’Ottocento con oltre settemila volumi - era una biblioteca d’uso, e non da collezione: ci dà un quadro di quella che era la cultura del tempo, degli interessi degli abitanti di questa magione. Ho cercato libri di botanica per capire come era nato il parco. E lì ho scoperto un mondo. Dai tantissimi libri dedicati a fiori e piante si evince che chi viveva qui conosceva molto bene i giardini d’Europa e le diverse concezioni

di giardino dominanti e discusse in quell’epoca. Non a caso, uscendo dalla biblioteca, troviamo un giardino eclettico con una parte formale all’italiana, una parte paesaggistica e così via.

Cosa ha portato a galla questo studio?

Una delle scoperte principali è stato il ruolo di Carlotta, la consorte di Massimiliano d'Asburgo, figura sempre un po’ in ombra di cui si sa molto poco tranne quel che si racconta (non sempre positivo). Molti dei libri di botanica erano suoi e portano il suo monogramma. Alcuni dei volumi che abbiamo sono considerabili esemplari unici, stampati in cinque copie delle quali una è in nostro possesso: le uniche cinque copie ritoccate a matita e acquerello. Di tutto questo nulla si sapeva ed è stata una rivelazione.

Come si struttura la mostra?

Le immagini dell’ars botanica sono esteticamente bellissime. Tanto che è difficile scegliere la pagina sulla quale aprire i volumi: ogni due mesi cambiamo la pagina, adattandoci a quello che c’è all’esterno, ai fiori che si trovano nel giardino. L’idea è di costruire un ponte tra il giardino vivente che sta all’esterno e il giardino di carta che sta nella biblioteca e di capire quanto uno abbia ispirato l’altro e quanto uno sia stato fonte per l’altro. Volevamo comprendere lo spiritus loci: c’è un cuore vegetale che emerge molto bene comparando giardino vivente e giardino di carta. Poi c’è una parte dell’esposizione dedicata ai libri sui giardini, una piccola introduzione all’illustrazione botanica…

Lato scientifico e lato estetico in questo campo vanno di pari passo. In mostra prevale la temperie culturale/scientifica dell’epoca oppure prende il sopravvento lo stile dei singoli illustratori?

In mostra, ad esempio, ci sono anche alcuni

3 COSE

DA VEDERE NEI DINTORNI

A Ponziana ha appena aperto un FAMU – FAke Museum, il percorso museale open air curato da Invasioni Creative APS e realizzato dagli abitanti delle periferie di mezza Italia attraverso un laboratorio di Esplorazione e Hacking Urbano

A ottobre riaprirà, dopo un restauro di quattro mesi, la cosiddetta ‘sala gialla’ del Palazzo Revoltella, finora interdetta alle visite per le precarie condizioni di conservazione

Il Museo postale e telegrafico della Mitteleuropea, costruito alla fine del XIX secolo e ospitato nello storico Palazzo delle Poste di Trieste

dei libri relativi alla spedizione scientifica di Massimiliano d’Asburgo in Brasile. Come risultato volle un libro grandioso, enorme e dotato di grandi immagini a colori, delle quali abbiamo anche le prove di stampa. Le illustrazioni sono bellissime dal punto di vista estetico ma è forte anche la componente scientifica - tutte le parti dei fiori sono sezionate, ingrandite e studiate. Quest’opera esemplifica bene il fatto che studio ed estetica andavano di pari passo: è nella nostra mentalità odierna che l’arte e la scienza non vanno insieme, anticamente non era così. Non ci si può “esimere” dalla bellezza quando si parla dell’anima vegetale delle piante. E un’altra cosa che emerge da questi libri è l’idea illuminista ancor prima che romantica di dare uno statuto, un valore e un rispetto al mondo vegetale, cosa che prima non esisteva. Un approccio molto moderno.

Quali sono i prossimi progetti in cantiere?

Stiamo preparando per dicembre una mostra sulle spedizioni scientifiche, in particolare su una spedizione di circumnavigazione del globo “sponsorizzata” da Massimiliano d’Asburgo, per la quale riunì a bordo della Novara, la sua nave preferita, un gruppo importante di studiosi di tutti gli ambiti. Per quanto riguarda le altre mostre a venire, inizieremo a breve il dialogo con il concessionario. E poi c’è il recupero dell’antica carrozzabile che univa le scuderie alla stazione ferroviaria detta “di Massimiliano”, che esiste tuttora… Il lavoro è tanto. In questi anni il bilancio è diventato quasi sei volte più grande, ma la squadra di lavoro è sempre la stessa.

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Miramare

Ritrarre l’America e le sue contraddizioni: Dorothea Lange

Dorothea Lange. Racconti di vita e di lavoro è il titolo della mostra ospitata dal centro espositivo Camera Centro Italiano per la Fotografia di Torino. Si tratta di un’ampia rassegna composta da 200 fotografie, incentrata in particolar modo sui due principali lavori della grande autrice.

Il primo è quello realizzato per il progetto di studio e documentazione fotografica Farm Security Administration, nato a metà degli anni Trenta e rimasto attivo fino al 1943. A causa della terribile crisi economica del 1929, uno degli ambiti più colpiti era quello agricolo, e metà del decennio successivo il governo statunitense incaricò alcuni fotografi di documentare la situazione del Paese: nasce così la gigantesca missione fotografica. Tra gli organizzatori della missione è anche Paul Taylor, secondo marito di Lange. Lei è una delle punte di diamante dell’operazione, che racconta con le sue pulite ed eleganti foto in bianco e nero, le drammatiche condizioni di vita di parte della popolazione, in particolare nel sud della California. Le sue fotografie pongono in evidenza la capacità di Dorothea, che per ognuna delle sue immagini scrive lunghe didascalie di spiegazione, di entrare in un rapporto empatico con i propri soggetti. Lange si serve di macchine con mirino a pozzetto, non puntando direttamente l’obiettivo negli occhi dei suoi soggetti e mettendoli in sicuro imbarazzo.

LO STUDIO DELLA POPOLAZIONE

La mostra – accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli editore, con i testi dei curatori – prende il via con le immagini di alcuni dei protagonisti della missione fra i quali Walker Evan e Ben Shahn. Le prime foto in mostra di Lange sono dedicate alla città e alle fasce più povere della popolazione urbana. Prosegue quindi con il grande esodo. Una foto, tra le sue più famose, ritrae un grande manifesto pubblicitario che recita: “La prossima volta prova il treno”: un po’ difficile per una popolazione completamente al verde. Chi aveva un’auto si spostava con quella, ma nella maggior parte dei casi non c’erano soldi per benzina e manutenzione e l’auto diventava un ricovero. I migranti, spesso, percorrevano a piedi centinaia di chilometri. Fra il 1934 e il 1939, più di 300mila persone hanno abbandonato la propria casa e la propria terra per cercare un futuro migliore altrove. Dorothea racconta dei loro accampamenti di fortuna. Tra le sue immagini più

famose quella della Migrant Mother, una sorta di Madonna laica, una donna di trentadue anni che aveva venduto gli pneumatici della sua auto e i cui figli andavano a caccia di uccelli e si sfamavano con le verdure congelate dei campi. Per ripararsi avevano messo insieme delle strutture d’emergenza, in cui la povera donna si ricoverava per allattare l’ultimo nato.

I due ultimi gruppi di scatti della prima sezione sono dedicati ai personaggi in cammino e alla nascita delle cooperative agricole e dei primi stanziamenti governativi per la sistemazione della popolazione nei prefabbricati.

LANGE E L’ANTICONFORMISMO

La seconda parte della mostra, che trova posto nel corridoio, è incentrata sul lavoro che la fotografa ha realizzato dal 1942, sempre su committenza governativa, sulla popolazione

americana di origine nipponica. In seguito al bombardamento di Pearl Harbor, alla fine del 1941, infatti, gli Stati Uniti entrano in guerra e il governo decide di internare nei campi di prigionia quella parte di popolazione, a tutti gli effetti americana: un’operazione ingiusta e crudele di cui poco ancora oggi si parla. Lange viene incaricata di documentare tale iniqua vicenda, ma guardando con attenzione i suoi lavori e soprattutto leggendo i testi di accompagnamento, si vede che la fotografa coglie appieno il dramma di quelle povere persone costrette ad abbandonare la propria casa, la propria attività, le proprie abitudini.

Le immagini in mostra provengono dagli archivi della Library of Congress di Washington e dalla Public Library di New York, dove sono conservati i materiali delle due campagne fotografiche.

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INTERVISTA A MONICA POGGI

Abbiamo chiesto a Monica Poggi, curatrice della mostra insieme a Walter Guadagnini, qual è il senso di un’ulteriore rassegna sulla nota fotografa americana e la modernità del lavoro della stessa. È quello di riscoprire vari autori della storia della fotografia attraverso una lettura contemporanea. Camera lo ha già fatto con Robert Doisneau e con Eve Arnold. In questo momento la mostra di Dorothea Lange è particolarmente attuale. Il tema fondamentale del suo lavoro per la FSA è stato quello del cambio di clima negli Usa: come non pensare, in tal senso, all’oggi? La nostra è una delle estati più siccitose degli ultimi anni. Fino a non molto tempo fa Lange è stata vista come una grande documentarista, oggi, invece, siamo in grado di sottolineare la sua capacità di utilizzare l’estetica modernista per dare più enfasi ad alcuni soggetti. Aveva un grande senso dell’ironia, anche nei confronti dei suoi committenti. Una foto intitolata Blue Eagle propone un’aquila morta, colpita dalle scosse dei fili elettrici: Blue Eagle era un’iniziativa del 1933 promossa per ravvivare il consenso nei confronti di Roosevelt dopo i primi 100 giorni del New Deal, fase in cui stava scemando l’entusiasmo iniziale. L’ Aquila azzurra era figlia della National Recovery Administration ed era finalizzata al risollevamento dell’economia americana distrutta dalla crisi del 1929. L’animale doveva essere sfoggiato da qualsiasi americano si sentisse sostenitore di tale politica. Il suo atteggiamento ironico talvolta le provoca qualche problema con Roy Stryker, il capo della divisone informazione della FSA. Ma Dorothea non demorde.

Il nuovo spazio OttoFinestre, ex farmacia con otto vetrine al pianterreno di un edificio anni ’60 adibito a casa privata in zona San Salvario

La mostra di Mimmo Jodice “Senza tempo” alle Gallerie d’Italia, nuovo capitolo del progetto dedicato a “La Grande Fotografia Italiana”

Le visite guidate gratuite al cantiere di restauro e consolidamento della facciata juvarriana di Palazzo Madama

La sua è una posizione molto libera anche nel lavoro che le viene commissionato nel 1942, sui giapponesi dopo Pearl Harbour. Mi pare di poterla tranquillamente definire dalla parte dei prigionieri nipponici.

Lì lo fa in maniera esplicita, cercando di scavalcare la censura attraverso una serie di escamotage molto interessanti, come l’utilizzo di didascalie in cui racconta la vita di quelle persone, dei diversi individui e del loro precedente inserimento nella società.

Aspetto che sottolinea l’ingiustizia perpetrata dagli americani. Lange aveva un intenso impegno politico.

Sì certamente, ma ragionava sempre con la sua testa. Per la FSA aveva totalmente sposato il progetto. Nel lavoro sui giapponesi, nonostante il committente fosse lo stesso, si trova in posizioni di disaccordo.

Non è mai stata un’artista di propaganda. Del resto Roosevelt stesso, con la FSA, commissiona un’inchiesta fotografica per comprendere le reali condizioni del Paese che stava governando. Le foto sono ristampe?

Sì, si tratta di ristampe contemporanee, realizzate cercando di tenere in considerazione, nel modo più meticoloso possibile, le scelte di Lange. Nel corso degli anni, infatti, le sue opere sono state inquadrate e ritagliate in differenti modalità dai vari curatori o da lei stessa. Una sua foto con un proprietario terriero e dei mezzadri neri alle spalle è stata tagliata in un libro, in modo che questi ultimi non si vedano. Nella pagina a fronte del libro è infatti pubblicata una poesia che esalta lo spirito libertario del popolo americano: un’azione che travisa completamente le intenzioni della fotografa.

Quanto ha contato il suo essere donna?

Quello che ha contato più che l’essere donna

Dorothea nasce a Hoboken nello stato del New Jersey, come Dorothea Margaretta Nutzhorn, adotta in seguito il cognome della madre, Lange

Viene colpita dalla poliomielite

Si avvicina alla fotografia. La sua maestra alla Columbia University è la pittorialista Clarence H. White

Apre il suo primo studio di ritrattistica a San Francisco

Si unisce alla Farm Security Administration (FSA)

Ottiene un Guggenheim Fellowship

Entra nella redazione di Life e si dedica all’insegnamento presso l’Art Institute di San Francisco

Muore, a pochi mesi dall’inaugurazione della sua mostra personale al Museum of Modern Art di New York

è stata la sua esperienza biografica. Suo padre aveva abbandonato la famiglia quando lei aveva solo 12 anni e il suo rapporto con la madre era stato da una parte conflittuale e dall’altra simbiotico. Sua madre era la persona dalla quale avrebbe voluto affrancarsi, ma non ci è mai riuscita e la madre, a sua volta, si appoggiava molto a lei. Lange ritrae tantissime madri nelle sue foto. Molti dei suoi uomini sono inermi nei confronti della storia, fermi ad aspettare che succeda qualcosa.

Dalle sue foto viene fuori una società più matriarcale che patriarcale.

Certo. Era una logica promossa internamente dalla FSA e Stryker dava indicazioni in tal senso. Non a caso in una foto che accompagna la campagna presidenziale del 1938, tra i candidati c’è una donna. Da noi in quell’anno le donne non avevano neanche il diritto di voto.

fino all’8 ottobre

DOROTHEA LANGE.

RACCONTI DI VITA E LAVORO

a cura di Walter Guadagnini, Giangavino Pazzola, Monica Poggi

Camera Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18 – Torino

camera.to

a sinistra: Dorothea Lange, Un nonno attende il bus per l’evacuazione, California. 1942

The New York Public Library | Library of Congress

Prints and Photographs Division Washington

in alto: Dorothea Lange, Madre migrante. California.

1936, The New York Public Library | Library of Congress

Prints and Photographs Division Washington

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DOROTHEA LANGE / TORINO
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DA VEDERE NEI DINTORNI Camera N
COSE
1895 1902 1915 1919 1935 1941 1950 1965

La Grande Onda e altre storie sull’acqua. A Genova rivive il periodo Edo

Oltre 60 stampe  ukiyo-e a tema acquatico, dai paesaggi con mari, laghi, fiumi e cascate ai significati simbolici assunti dall’acqua nel buddismo e nello Shinto. Il Museo Edoardo Chiossone di Genova, tra i più importanti istituti di conservazione e valorizzazione di Arte Orientale in Italia, si è presentato all’appuntamento con la riapertura dei suoi spazi – dopo un cantiere di ristrutturazione protrattosi per quasi due anni – con l’idea di mettere in luce l’eccezionalità della collezione di arte giapponese più grande e importante d’Italia, raccolta dall’artista e incisore genovese Edoardo Chiossone durante il lungo periodo trascorso in Giappone alla fine del XIX secolo. Nelle gallerie al secondo piano della Villetta Di Negro, architettura razionalista che nel 1953 l’architetto Mario Labò ripensò all’interno del parco storico arroccato nel quartiere Castelletto (e che dal 1971 ospita il museo), dunque, ci si muove tra i capolavori dei maestri del periodo Edo (1603-1868), dai paesaggi di Hiroshige alle scene di vita di città di Kunisada e Yoshitoshi, ai soggetti fantastici di Kuniyoshi Mentre è Oki Izumi a firmare il confronto con l’arte contemporanea, presentando due sculture in vetro che si interrogano sui significati dell’acqua, dialogando con i pezzi storici della collezione genovese.

Grande protagonista della mostra, curata dalla direttrice del museo Aurora Canepari, è però La Grande Onda di Hokusai, di cui il Chiossone conserva un esemplare in ottimo stato di conservazione (uno dei cento sopravvissuti al tempo, dei circa 8mila stampati in origine): l’opera, che ha superato qualsiasi altra immagine esistente per numero di riproduzioni e iconicità, ben si presta a raccontare il rapporto ambivalente del Giappone con l’acqua, da un lato presenza familiare e salvifica (per pesca e agricoltura), dall’altro minaccia imprevedibile, che si manifesta con la forza dell’oceano o delle alluvioni. Tecnicamente, nella stampa xilografica di fine Ottocento, rappresentare l’acqua significava poter utilizzare il pigmento sintetico blu di Prussia, reperibile in Giappone dagli Anni Trenta del XIX secolo, dando sfoggio di una raffinatezza cromatica di grande tendenza all’epoca. Proprio come dimostra il successo del capolavoro più noto di Katsushika Hokusai (1760 – 1849), che presto divenne opera di grande interesse per il collezionismo occidentale, e

Fino al 24 settembre LA GRANDE ONDA. L’IMPORTANZA DELL’ACQUA NELLA CULTURA GIAPPONESE a cura di Aurora Canepari Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone Piazzale Giuseppe Mazzini 4 – Genova museidigenova.it

KATSUSHIKA HOKUSAI: LA STAMPA XILOGRAFICA, LA NATURA, I MANGA

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influenzò il fenomeno del Giapponismo in Europa. La stampa riproduce “il cavo d’onda al largo di Kanagawa”, pubblicato nella serie Le Trentasei vedute del Monte Fuji, con scrupolo estremo da parte dell’autore nel definire il luogo e il tipo di onda rappresentata. Un’onda di tempesta, alta oltre 10 metri, formatasi tre chilometri al largo di Kanagawa, nella baia di Tokyo, che sovrasta tre imbarcazioni poste al centro della scena, dette oshiokuribune. In lontananza si erge il sacro monte Fuji, la vetta più alta

Il suo capolavoro più celebre, La Grande Onda, ha fatto registrare nel 2023 la cifra record di $2,760,000 per una vendita all’asta, battuta alla vendita  Japanese and Korean Art di Christie’s a New York, nel mese di marzo. Quando la realizzò, all’inizio degli Anni Trenta dell’800, Hokusai attraversava un momento molto difficile, per la perdita della moglie nel 1828, pressanti problemi economici e una figlia da accudire (cui è dedicato il film di animazione Miss Hokusai, 2015). Ma il pittore e incisore giapponese, maestro della tecnica ukiyo-e, dedicò tutta la sua arte, nell’arco di una carriera protrattasi per sessant’anni, a interpretare una profonda connessione con la natura orientale, culminata nelle serie paesaggistiche che lo resero celebre. Fu però affascinato anche dal teatro, poeta e autore di manuali di disegno “semplificato”, considerati d’ispirazione per la scuola del fumetto giapponese, all’origine del successo planetario dei Manga.

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del Giappone: al tempo di Hokusai, rappresentarlo era ritenuta una manifestazione divina e di valore benaugurale. in alto: Katsushika Hokusai, La grande onda di Kanagawa, 1830-31. Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone; Courtesy Comune di Genova destra: Tsukioka Yoshitoshi, Genji e le pescatrici ama, 1864. Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone Courtesy Comune di Genova

LA RINASCITA DEL MUSEO CHIOSSONE. INTERVISTA AD AURORA CANEPARI

Genova ha vissuto anni difficili, ne ha risentito anche il sistema culturale cittadino. Da qualche tempo, però, sembra esserci una nuova spinta, che sta favorendo un rilancio. Come si colloca la riapertura del Museo Chiossone in questo quadro?

ll Museo Chiossone ha vissuto una doppia sofferenza, chiudendo prima per covid, poi riaprendo per un breve periodo con le limitazioni sanitarie del caso, prima di chiudere nuovamente a settembre 2021, per l’inizio dei lavori di ristrutturazione. Ma erano molti anni che attendevamo questa opportunità, resa possibile dalla Fondazione Compagnia di San Paolo: i lavori erano necessari per mettere in sicurezza le opere e facilitarne la fruizione. Certo, avremmo dovuto riaprire all’inizio del 2023, e invece i tempi si sono protratti fino al mese di giugno. Però l’amministrazione cittadina ha saputo sostenere la necessità di ripartire in tempo per l’estate, e questo ci ha premiato.

Che risposta avete avuto dal pubblico?

L’evento di riapertura è andato oltre ogni nostra aspettativa, abbiamo ricevuto moltissimo pubblico cittadino e locale: i genovesi hanno manifestato l’attesa, ci hanno fatto sentire il loro affetto. E abbiamo ricevuto anche quella platea che siamo riusciti a conquistare durante il periodo di chiusura del museo, attivandoci online (la nostra pagina Fb è molto seguita) per presentare la nostra collezione straordinaria: un nuovo target che ora ci raggiunge con curiosità, non solo dalla città, ma anche da fuori regione.

Molti, soprattutto gli stranieri, arrivano attratti dal parco in cui si trova il museo Genova, fortunatamente, riveste un interesse molto internazionale, e la sede del museo, nella Villetta Dinegro, circondata dal suo

parco storico, ha un valore molto scenografico. Siamo un presidio culturale importante, abbiamo voluto investire su una più efficace gestione del parco, mai così valorizzato come ora per il suo valore storico, paesaggistico e panoramico: ci siamo impegnati per ottenere un ordinamento del parco e una cartellinatura botanica, anche per le specie giapponesi presenti sin dalle origini.

E anche il percorso interno al museo può contare su una bella novità… Quando sono arrivata, nel 2015, mi dicevano che la terrazza della villa era inagibile e irrecuperabile. Abbiamo approfittato del cantiere per metterla a norma: ora abbiamo un nuovo spazio per realizzare attività culturali, ma soprattutto una finestra sulla città che conclude il percorso di visita permettendo di godere del panorama, ritornando

Il nuovo MAIIIIM, Media Art III Millennium, dedicato a opere d’arte contemporanea che incorporano la tecnologia per intercettare e far sviluppare il “futuro dell’arte”

La mostra Highlights. Maestri dal ‘500 al ‘700 dai Musei Nazionali di Genova allestita, fino al 24 settembre 2023, nel Teatro del Falcone di Palazzo Reale

Le panchine illuminate di Salita degli Embriaci, parte di un più ampio progetto di rigenerazione urbana che utilizza la luce e il design per rendere più piacevole e sicuro il centro della città

all’idea pensata dall’architetto Mario Labò alla metà del Novecento, con l’obiettivo di mettere in collegamento il museo con Genova. Per il resto, tra le sale, il percorso permanente è rimasto invariato: l’ordinamento è quello originale voluto da Labò e curato da Grossi Bianchi nel 1971. Nel primo salone abbiamo la grande statuaria buddista, poi iniziano le gallerie, dall’archeologia ai samurai, per le arti applicate e i confronti tra Giappone e Cina, per la collezione di armature samurai. Le due gallerie al piano superiore sono dedicate alle mostre temporanee, che nascono con l’intento di esporre le opere del nostro patrimonio di oltre 15mila pezzi, con nuove vetrine apposite per consentire la rotazione in sicurezza. E abbiamo anche rinnovato didascalie e pannelli didattici.

Ha aiutato ripartire con una mostra che prende le mosse da La Grande Onda di Hokusai. La mostra è tematica e non difficile da avvicinare, rivolta a un pubblico ampio, è stata pensata per il periodo estivo e per il pubblico turistico che ci raggiunge nei mesi di luglio e agosto. Avevamo l’obbligo morale di esporre La Grande Onda, di cui il museo conserva un ottimo esemplare, per il primo evento di riapertura, e abbiamo pensato a una mostra che ci desse l’occasione di contestualizzare l’opera nel panorama artistico in cui è nata, approfittando anche per proporre altre categorie di stampe legate al tema dell’acqua. La qualità delle opere esposte avvalora, però, anche il carattere scientifico del progetto, focalizzato sulle delicate stampe xilografiche ukiyo-e, di cui il Chiossone vanta una collezione senza eguali in Italia, tra le più importanti d’Europa. A ottobre, si aprirà invece la mostra su Edoardo Chiossone, in occasione del 190esimo anniversario della nascita di colui che ha dato impulso al museo.

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COSE
VEDERE NEI DINTORNI
3
DA

Matisse lo scultore a Nuoro

Fausto Politino

AAl grande pubblico Henri Matisse è noto soprattutto come pittore. Eppure è anche un importante scultore del Novecento. Il materiale che sceglie per comunicare? Il bronzo. Sosteneva che per esprimere la forma, talvolta si dedicava alla scultura, che gli permetteva di girare intorno all’oggetto per conoscerlo meglio. Eludendo la staticità di fronte ad una superficie piana. La ricerca sui linguaggi del contemporaneo, dalla nascita fino ad oggi, connota la politica culturale del Man di Nuoro tramite un’indagine degli ambiti meno eclatanti, meno analizzati degli artisti moderni, che fa emergere sfumature impreviste rispetto ai percorsi codificati e a volte ripetitivi. È accaduto con le fonti arcaiche di Giacometti. Con il rigore e la fantasia di Klee. Con la genesi di Guernica di Picasso. Ora è la volta di Matisse. Non il pittore de La danza, il Ritratto di madame Ma tisse o La stanza rossa tore. Quello meno noto al grande pubblico.

LA SCELTA DEL BRONZO

Per ovviare alla scarsa conoscenza di questo aspetto della sua produzione crea tiva, Chiara Gatti cura la mostra tamorfosi al Man di Nuoro novembre 2023. Presentando, la prima in Italia, tutte le opere in bronzo dell’artista. Nello specifico 30 sculture e una ventina fra disegni, incisioni, oltre a fotografie d’e poca e pellicole originali.

Ed è proprio mediante il bronzo che esprime la sua passione per la scultura. In questo me tallo intravede notevoli potenzialità espres sive, sviscerate non incrementando i det tagli, lo stesso Matisse era solito dire che “diminuiscono la purezza delle linee, danneggiano l’intensità emotiva”, ma adottando il procedimento del levare, del sottrarre. Me todo che Matisse ricono sce a Michelangelo. Ma dal quale si libera rie laborandolo per arri vare ad uno stile tutto suo. La notiamo con i nostri occhi questa poetica. Questa ridu zione plastica che si incarna nelle sculture, nei disegni, nei dipinti, nelle innovative découpés. In tal modo ri esce a plasmare creazioni che vanno oltre

l’immobilità della statua, trasformandole in qualcosa di palpitante.

Dal 1894 Matisse si appropria della scultura con un preciso obiettivo: sentire, toccare con mano il senso del volume. Era solito dire che per esprimere la forma, "talvolta mi dedico alla scultura, che mi consente di muovermi intorno all’oggetto per conoscerlo meglio, invece di rimanere di fronte a una superficie piana". L’artista sente la necessità di toccare la materialità del reale. Per incrementare la visione attraverso l’appagamento del tatto. Palpare il corpo per saturare le mani di quelle forme.

I NUDI SCULTOREI DI MATISSE

Il vivo, il palpitante appena accennato lo si riscontra nel Nu assis, bras sur la tête (Nudo seduto con le braccia sulla testa) del 1904. Ad una rapida occhiata nel bronzo si potrebbe vedere una ragazza intorpidita che si distende con lenti movimenti. Ma se si osserva con attenzione il corpo, non c’è immobilità. Sembra in preda ad una sorta di vibrante tremolio. Di agitazione per l’allungarsi dei muscoli. Prevale l’alternarsi di prominenze e risucchi del bronzo. La scultura in altre parole si caratterizza per il movimento che l’invade. Anticipando di qualche anno, 1910, la nascita del Nu couché II (Nudo coricato) del 1927 non bisogna leggere un appello a lasciarsi andare. La donna non è infatti rilassata. Fa forza su di un solo braccio per reggere il corpo. Mantenendolo sollevato dalla vita in su. Matisse opta per una posa poco naturale. A cosa si deve la scelta? Alla salvaguardia del ritmo della configurazione. Che ottiene inglobando nella scultura una frazione di vuoto. Lo stesso che s’incunea tra la testa e il braccio. Ciò che gli preme è la dinamicità della figura.

MATISSE A NUORO: LE METAMORFOSI

I bronzi dell’artista francese si possono dividere sommariamente in due categorie. Alcune figure, come ad esempio Grand nu assis o Le tiaré sono irripetibili. Collegate tra loro per alcune specifiche peculiarità: “La prospettiva multiangolare, la verticalità o la struttura a forma di S”. Altre figure, invece, Matisse le riprende. In tempi diversi. Privilegiando un approccio concettuale nel rispetto di una “progressione formale”. Le sue figure, per una specie di metamorfosi, si modificano: da forma naturale in forma d’arte indipendente.

Il nuovo Museo della Ceramica di Nuoro, con un percorso che valorizza l’arte ceramista e gli artisti sardi del Novecento: Francesco Ciusa, Salvatore Fancello, Federico Melis ed Edina Altara

Lo Spazio Illisso, centro espositivo nato dalla casa editrice omonima per condividere l’esperienza di 35 anni di ricerca, produzione editoriale e mostre d’arte

La casa museo di Grazia Deledda, nel rione San Pietro, dove si conservano manoscritti, foto e oggetti appartenuti all’autrice che nel 1926 fu insignita del Nobel per la letteratura

fino al 12 novembre

MATISSE. METAMORFOSI

a cura di Chiara Gatti. Da un progetto di Sandra Gianfreda, Kunsthaus Zürich con Claudine Grammont, Musée Matisse, Nizza MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro Via Sebastiano Satta 27 – Nuoro museoman.it

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Henri Matisse, Nu assis bras sur la tête, 1904, bronzo, Musée d’Orsay Paris © Succession H. Matisse, by SIAE 2023
3 COSE DA VEDERE NEI DINTORNI MAN

apita talvolta che, nella carriera di un artista, un particolare anno venga ad assumere un’importanza cruciale. Lo si può definire l’anno della svolta e, secondo i curatori della mostra in corso alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il 1508 fu per Tiziano un vero e proprio spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. Accogliendo infatti quanto scrisse Giorgio Vasari a proposito della datazione dell’Arcangelo Raffaele e Tobia – e cioè che il Vecellio lo dipinse verso il 1508 – si sono radunati circa 30 dipinti, disegni e incisioni, tra cui 17 di mano del cadorino e gli altri, di Giorgione, Sebastiano del Piombo, Albrecht Dürer e Francesco Vecellio, funzionali a verificare le componenti culturali del giovane pittore.

UNA NUOVA PISTA

C

3 COSE DA VEDERE

La mostra di Matteo Vettorello

Tuning space nella Galleria 10 & zero uno, che invita i fruitori a coordinare il proprio vocalizzo, inspirando ed espirando, su dei microfoni posti all’eterno dello spazio espositivo

L’esterno della Palazzina Masieri, riprogettata da Frank Lloyd Wright e poi da Carlo Scarpa, in attesa della fine dei lavori sugli interni (in tempo per la prossima Biennale Arte)

NEI DINTORNI TIZIANO

“La scintilla che ha dato il via alla mostra è stata la proposta avanzata al museo da due giovani ricercatori: Sarah Ferrari e Antonio Mazzotta”, ha dichiarato ad Artribune Roberta Battaglia, vicedirettrice delle Gallerie dell’Accademia. “L’idea iniziale verteva su una mostra dossier attorno al dipinto con Tobia, anche per viaggio in Italia, tra 1505 e 1507, dell’artista tedesco, che raggiunse Venezia sia per studio sia per trovare un nuovo mercato editoriale in cui collocare disegni e incisioni. La sua presenza ebbe sicuramente una ricaduta sui pittori veneziani, Tiziano compreso. Ad esempio l’idea del cadorino di realizzare la lunga xilografia con il Trionfo di Cristo (1508-1509), come se fosse un fregio e scegliendo uno dei mezzi privilegiati di Dürer, è una prova di questo contatto. Del resto anche nella già citata Fuga in Egitto è evidente un’indagine puntuale sulla natura che verosimilmente Tiziano ha assimilato da Dürer”. In mostra si incontrerà inoltre l’Angelo con tamburello della Galleria Doria Pamphilij di Roma, del quale viene ipotizzata l’originale appartenenza a una pala della chiesa dei Servi di Ferrara e di cui si sono individuati altri possibili frammenti.

dal 9 settembre al 3 dicembre

TIZIANO 1508. AGLI ESORDI

DI UNA LUMINOSA CARRIERA

a cura di Roberta Battaglia, Sarah Ferrari e Antonio Mazzotta

Gallerie dell’Accademia

TIZIANO E DÜRER

Gallerie dell’Accademia

Campo della Carità, Dorsoduro 1050 – Venezia gallerieaccademia.it

Tiziano Vecellio, Arcangelo Raffaele e Tobia (part.), 1508, Venezia, Gallerie dell’Accademia

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Le Stanze della Fotografia sull’Isola di San Giorgio, 1850 metri quadrati riqualificati dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la collaborazione del Gran Teatro La Fenice di Venezia / VENEZIA
Tiziano, l’anno della svolta
Marta Santacatterina restituirgli una valorizzazione opportuna, poi però il progetto si è ampliato al fine di ragionare sulla possibilità che quest’opera sia davvero di un Tiziano allora ventenne”. L’ipotesi critica è corroborata in primo luogo dalla Giuditta proveniente dal Fondaco dei Tedeschi. L’affresco staccato è testimonianza della prima impresa pubblica di Tiziano, che decorò l’edificio assieme al suo maestro Giorgione proprio nel 1508: “Si pensa che Tiziano sia arrivato a Venezia molto giovane, attorno al 1500”, racconta la vicedirettrice. “Nel 1506 sappiamo che dipinge ‘La fuga in Egitto’ per palazzo Loredan e che quindi può contare già su delle committenze notevoli. Studiare il Fondaco dei Tedeschi è invece un’impresa disperata perché sono rimasti pochissimi lacerti, tuttavia si può notare come il Vecellio esca da una costola di Giorgione, ma faccia anche un passo avanti verso un’armonia e un classicismo assimilati da stimoli provenienti dal Centro Italia, probabilmente dalle opere fiorentine di Michelangelo”. Tra le interpretazioni dei curatori vi è infatti la possibilità che Tiziano abbia conosciuto il cartone per la Battaglia di Cascina del Buonarroti, non tanto per via diretta ma tramite stampe e disegni.
A proposito di stampe e disegni, l’esposizione convoca un altro assoluto protagonista dei primi decenni del XVI secolo: Albrecht Dürer Roberta Battaglia ne spiega le ragioni: “È noto il

Mario Nigro. L’arte totale

Alberto Villa

on poteva che essere Milano ad ospitare la più grande mostra mai dedicata a Mario Nigro (Pistoia, 1917 – Livorno, 1992). Fu qui che, sul finire degli Anni Cinquanta, Nigro si trasferì, rinunciando alla sua attività di farmacista e abbracciando definitivamente la pittura; e fu qui che, trent’anni or sono, subì la sua ultima (e postuma) ferita: tra le vittime della strage di via Palestro, architettata da Cosa Nostra a Milano nel 1993, ci furono anche alcune sue opere, allora conservate al PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea. La mostra, curata da Antonella Soldaini ed Elena Tettamanti, si configura come una raccolta ragionata di oltre 140 opere, distribuite nelle sale di Palazzo Reale e Museo del Novecento. Per Mario Nigro, il tempo e lo spazio sono più che dimensioni fisiche: sono costanti estetiche la cui mediazione è affidata alle componenti musicali del ritmo e della composizione

In questo senso l’opera di Nigro può essere interpretata come l’incontro fra le istanze concretiste del De Stijl (che trovano conferma nell’aderenza al MAC – Movimento d’Arte Concreta) e quelle personali legate allo studio della musica, sua grande passione sin dall’infanzia.

Il Cinema della Fondazione

Prada, appena dedicato a Godard, e vedere uno dei molti film del maestro della Nouvelle Vague in programmazione da settembre a dicembre

Il giardino della Fondazione

Rovati, a Palestro, dove passeggiare e da cui visitare il museo tra arte etrusca e contemporanea aperto l’anno scorso

A pochi passi da Sant’Ambrogio, la leggendaria Colonna del Diavolo, che si suppone appartenesse al palazzo imperiale romano di Milano costruito da Massimiano nell’epoca in cui Mediolanum divenne capitale dell’Impero romano d’Occidente

fino al 17 settembre (Palazzo Reale) fino al 5 novembre (Museo del Novecento)

MARIO NIGRO. OPERE 1947-1992 a cura di Antonella Soldaini e Elena Tettamanti

Palazzo Reale e Museo del Novecento Piazza Duomo – Milano palazzorealemilano.it museodelnovecento.org

Un approccio assolutamente metodico e antiretorico quello di Nigro, eppure disinteressato a uno strutturalismo privo di voce, lui che, a causa di una palatoschisi, conosceva bene il significato della difficoltà di esprimersi.

La mostra milanese, per l’antologia di tante e diverse configurazioni pittoriche, risulta non solo una completa esposizione monografica, ma anche un compendio delle evoluzioni dell’astrazione postbellica.

A partire dai dipinti e dalle opere su legno dell’innovativa serie Spazio Totale (1953-1965 ca.), che approccia – e talvolta anticipa – soluzioni formali e cromatiche di natura optical e che all’epoca passò inosservata: “Esiste un ritardo da parte della critica italiana degli Anni Cinquanta nel segnalare l’opera di Nigro” spiegano le curatrici. “Ne è prova lo scarto notevole tra il testo di Gillo Dorfles per la sua mostra personale del 1951 alla Galleria del Salto a Milano e quello di

Franco Russoli, nel 1959. L’unico che parlerà di questo ciclo in quegli anni non è altri che l’artista stesso in tre importanti testi, risalenti al 1955 e al 1964”. La mostra prosegue con l’esplosione di quella griglia tanto novecentesca e il suo farsi caleidoscopica nelle Vibrazioni simultanee (1961-64), fino al minimalismo della serie Tempo Totale (primi Anni Settanta) e alla sua ulteriore riduzione in quella che egli chiama Metafisica del Colore: vaste cromie pastello in cui la linea figura verticale, obliqua, orizzontale, spezzata, portata a termine, lasciata a metà. A chiudere il ciclo espositivo di Palazzo Reale, gli ultimi lavori di Nigro: le tempeste pittoriche che sono i Ritratti, i Dipinti satanici e infine le Strutture. È il ritorno terminale della griglia, nel suo continuo giocare a nascondersi e farsi scoprire. Pittore, certo, ma anche disegnatore e progettista: l’attività di Nigro si rivela in profondità nelle sale del Museo del Novecento, dove la cronistoria lascia spazio alla ricerca, al metodo e ai lavori cosiddetti “minori”, che poi minori non sono. Importanti opere su carta (ipnotici i Ritratti in acquerello) e una vasta selezione di documenti testimoniano lo studio, la progettualità e la coerenza che l’hanno accompagnato per tutta la sua carriera. La verità di Mario Nigro si cela nelle retrovie del suo lavoro, nei disegni preparatori e rivelatori, come sottolineano le curatrici, di un “carattere esigente, che lo portava, in modo naturale, a rispettare una legge interiore fatta di rigore e, allo stesso tempo, di libertà di espressione”.

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MARIO NIGRO / MILANO
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Mario Nigro, Dallo spazio totale, 1954, Museo del Novecento, Milano; © Archivio Mario Nigro, Milano
3 COSE
DA VEDERE NEI DINTORNI
Palazzo Reale Museo del Novecento

Come nasce una grande mostra: le assicurazioni

Quali sinistri copre l’assicurazione?

In generale si sceglie una polizza definita “da chiodo a chiodo”, che assicura l’opera dal momento in cui viene staccata dal punto in cui è conservata, coprendo poi l’imballaggio, il trasporto, il disimballaggio, l’allestimento, l’imballaggio a fine mostra, il rientro, fino alla ricollocazione al “chiodo” di origine. Le polizze sono tutte all risk, cioè coprono ogni tipo di danno.

Esistono anche estensioni particolari a fronte di fattori specifici?

Sì, ultimamente si considerano i problemi legati al cambiamento climatico e si può prevedere il Disaster recovery: se la Protezione Civile emana un’allerta meteo, tutto ciò che si può fare per mettere in sicurezza le opere viene risarcito. Questa garanzia è stata pensata all’epoca del terremoto in Emilia Romagna.

Come si giunge a formulare una polizza assicurativa ideale per ogni mostra?

Quali sono le valutazioni più significative nella determinazione del premio?

Grande rilevanza hanno la provenienza delle opere e la tipologia di prestatore: un museo pubblico dà più serenità rispetto a un prestatore privato, perché non ha interesse a guadagnare da un eventuale sinistro.

Parliamo dei premi assicurativi. Che cifre toccano?

Dipende dalla mostra: un’esposizione di 50 dipinti di Van Gogh può costare 300mila euro, mentre una di dipinti d’arte italiana del Novecento può limitarsi a 30mila. A parità di numero di opere, tipologia, grandezza e rischio, il premio può essere molto diverso e dipende dal valore di mercato delle opere. Il tasso si esprime sul capitale assicurato e si aggira tra lo 0,04 e lo 0,06%; quindi se assicuro un patrimonio che vale 1 miliardo di euro, il premio sarà di 400mila euro.

Nella sua esperienza, si è mai verificato qualche danneggiamento clamoroso?

Dipinti, sculture, oggetti preziosi, disegni, installazioni: è ciò che si incontra nelle esposizioni temporanee. Ma dall’idea al vernissage chi organizza le mostre deve occuparsi di numerosi e complessi passaggi finalizzati a garantire al pubblico un’esperienza appagante, istruttiva e piacevole, e alle opere la massima sicurezza. A tal proposito le assicurazioni costituiscono un fattore indispensabile, a cui difficilmente si pensa nel momento in cui si percorrono le sale ammirando i capolavori: invece, senza una polizza che risarcisca gli eventuali sinistri, nessun proprietario si sognerebbe mai di prestare i pezzi della propria collezione. Per svelare quest’aspetto poco noto abbiamo intervistato Massimo Maggio, uno dei più importanti broker italiani che si occupa di assicurazioni dal 1990 e che attualmente collabora anche con Arthemisia, azienda leader nell’organizzazione delle mostre.

Quali sono le caratteristiche principali delle polizze assicurative dedicate alle mostre?

Esistono due tipi di polizze: la principale è la copertura assicurativa dei danni che potrebbero subire le opere. Nel momento in cui un’istituzione riceve in prestito un’opera, diventa responsabile al 100% nei confronti dei proprietari, anche nel caso di danni fortuiti come la caduta di un fulmine. Poi esiste la polizza di responsabilità civile che riguarda sia danni che possono subire i visitatori, ad esempio cadendo dalle scale, sia quelli causati loro dalle opere esposte.

Il primo passo è la raccolta delle informazioni, e ogni mostra prevede un diverso piano assicurativo: assicurare dei disegni rinascimentali prevede una particolare attenzione alle luci, mentre per un’esposizione di gioielli antichi, come un tesoro di una cattedrale, si devono considerare sia il valore storico sia quello intrinseco dei manufatti, quindi il rischio di furto sarà forte.

Sì, un caso curioso è stato il danno provocato dalle protezioni poste davanti alle opere proprio per non farle danneggiare! Un visitatore ipovedente è inciampato in un distanziatore ed è caduto addosso al dipinto di grande valore con tutta la struttura, provocando un taglio di 30 cm… Tra l’altro pochi sanno che chi causa un danno, anche se l’opera è assicurata, lo deve poi risarcire.

PER ERLICH SI SONO SCELTE LE GENERALI

Per Oltre la soglia di Leandro Erlich, in corso fino al 4 ottobre negli spazi di Palazzo Reale di Milano, Arthemisia si è avvalsa della consulenza di Massimo Maggio e la polizza assicurativa è stata stipulata con Generali, compagnia che è tra i principali sponsor della mostra e che ha un rapporto di partnership

continuativo la società che ha prodotto l’evento. “La mostra di Erlich è importante e sta attraendo tantissimi visitatori, ma dal punto di vista assicurativo il costo è modesto poiché i valori delle installazioni – che non sono destinate alla vendita - sono molto bassi”, racconta il broker. “Se per trasporti e allestimento i costi sono stati notevoli, il premio assicurativo per Oltre la soglia è inferiore ai 10mila euro”. Le installazioni di Erlich prevedono l’interazione del pubblico: questo aspetto ha influito sulla copertura assicurativa?

“Non sono state inserite clausole particolari – spiega Maggio – perché una delle condizioni di polizza stabilisce che il pubblico non possa toccarle”.

Leandro Erlich, Infinite staircase, 2005

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INTERVISTA A MASSIMO
MAGGIO
Marta Santacatterina

AOSTA

fino al 24 settembre

ROBERT CAPA

GRANDI MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE

DOMODOSSOLA

fino al 7 Gennaio

IL GRAN TEATRO DELLA LUCE

Musei Civici Gian Giacomo Galletti museicivicidomodossola.it

L’opera, L’œuvre 1932-1954

Centro Saint-Bénin regione.vda.it

MILANO

fino al 17 settembre (Palazzo Reale); fino al 5 novembre (Museo del Novecento)

MARIO NIGRO

Opere 1947-1992

Palazzo Reale e Museo del Novecento palazzorealemilano.it museodelnovecento.org

dal 28 settembre al 28 gennaio

MORANDI 1890-1964

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

dal 21 settembre al 28 gennaio

VINCENT VAN GOGH

Pittore Colto

Mudec mudec.it

TORINO

dal 17 ottobre al 1° aprile

HAYEZ E L’OFFICINA

DEL PITTORE ROMANTICO

GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea gamtorino.it

fino all’8 ottobre

DOROTHEA LANGE.

Racconti di vita e lavoro

Camera Centro Italiano per la Fotografia camera.to

FIRENZE

fino al 18 settembre

LIU BOLIN

Hiding in Florence

Palazzo Vecchio comune.fi.it

fino all’8 ottobre

NICO VASCELLARI. MELMA

Forte Belvedere musefirenze.it

dal 7 ottobre al 4 febbraio

ANISH KAPOOR. Untrue unreal

Palazzo Strozzi palazzostrozzi.org

MOMBELLO

fino all’8 ottobre

UN CENTENARIO E CENTO PEZZI: Richard-Ginori e Gio Ponti in una collezione lavenese

MIDeC - Museo Internazionale Design Ceramico midec.org

GENOVA

fino al 24 settembre

LA GRANDE ONDA

L’importanza dell’acqua nella cultura giapponese Museo Chiossone museidigenova.it

NUORO

fino al 12 dicembre

MATISSE. Metamorfosi

MAN - Museo d’arte della Provincia di Nuoro museoman.it

PALERMO

fino al 24 settembre

MARIO MERZ

My home’s wind

ZAC – Zisa Arti Contemporanee comune.palermo.it

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ROVERETO

fino al 5 novembre 2023

LEONOR FINI FABRIZIO CLERICI Insomnia

Museo MART - Rovereto mart.tn.it

GRANDI MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE

VENEZIA

fino al 7 gennaio 2024

CHRONORAMA

Tesori fotografici

del 20° secolo

Palazzo Grassi pinaultcollection.com

fino al 3 dicembre 2023

TIZIANO 1508

Agli esordi di una luminosa carriera

Gallerie dell’Accademia gallerieaccademia.it

FERRARA

fino al 1 ottobre

GUIDO HARARI. INCONTRI 50 anni di fotografie e racconti Palazzo dei Diamanti palazzodiamanti.it

PERUGIA

fino al 2 ottobre

NERO PERUGINO BURRI

Palazzo Baldeschi fondazionecariperugiaarte.it

fino al 7 gennaio 2024

PAOLO PELLEGRIN

L’orizzonte degli eventi

Le Stanze della Fotografia lestanzedellafotografia.it

FOLIGNO

fino all’8 ottobre

ITALIA METAFISICA

Ciac – Centro Italiano Arte Contemporanea museifoligno.it

ROMA

fino al 5 novembre

PICASSO METAMORFICO

Galleria Nazionale lagallerianazionale.com

fino al 24 settembre

ENZO CUCCHI

Il poeta e il mago

MAXXI www.maxxi.art

NAPOLI

fino al 9 ottobre

KAZUKO MIYAMOTO

Museo Madre madrenapoli.it

fino al 29 ottobre

MARIO SCHIFANO: il nuovo immaginario.

Gallerie d’Italia gallerieditalia.com

1960-1990

REGGIO CALABRIA

fino al 26 novembre

I BRONZI DI RIACE

Cinquanta anni di storia

Museo Archeologico Nazionale museoarcheologicoreggiocalabria.it

81 #36
Dosso e Battista Dossi nella biblioteca di Bernardo Cles T. +39 0461 233770 info@buonconsiglio.it www.buonconsiglio.it 1 LUGLIO - 22 OTTOBRE 2023 TRENTO - CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Assessorato alla Cultura Castello del Buonconsiglio castellodelbuonconsiglio Elyma ORGANIZZAZIONE TICKET
I VOLTI DELLA SAPIENZA

October

20 - 22, 2023

Grand Palais Éphémère

SHORT NOVEL a cura di ALEX URSO
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Inquadra il QR per leggere l'intervista con l'artista

BIENNALE SON FIRST EDITION

SEPTEMBER 16 - OCTOBER 29 2023

SAÂDANE AFIF / SHATHA AFIFY / AGUS NUR AMAL / MICOL ASSAËL / FÉLICIA

ATKINSON / ALEXANDRE BABEL / BARBEZAT-VILLETARD / ÉRIC BAUDELAIRE / FRANCIS BAUDEVIN / DOMINIQUE BLAIS / CÉLESTE BOURSIER-MOUGENOT & ARIANE MICHEL / ULLA VON BRANDENBURG / GAVIN BRYARS / VALENTIN

CARRON / JULIAN CHARRIÈRE / ANTOINE CHESSEX / CHAOS CLAY / CLÉMENT

COGITORE / CRYS COLE / COLLECTIF FACTEUR / AXEL CRETTENAND / ALVIN

CURRAN / MANON DE BOER / CATERINA DE NICOLA / MARCELLINE DELBECQ / DIANITA / EASTLEY, BUTCHER, BERESFORD / LATIFA ECHAKHCH / EKLEKTO / CLAIRE FRACHEBOURG / MARINO FORMENTI / EVA FRAPICCINI / JOHN

GIORNO / ISABELLE GIOVACCHINI / DOMINIQUE GONZALEZ-FOERSTER / ROMAIN

IANNONE / JUDITH HAMANN & JAMES RUSHFORD / DEBORAH-JOYCE HOLMAN / DAVID HORVITZ / KASSEL JAEGER / TOM JOHNSON / DOMINIQUE KOCH / TOBIAS KOCH / NINA LAISNÉ / ISABEL LEWIS / CHRISTIAN MARCLAY / AUGUSTIN MAURS / ANGELICA MESITI / HAROON MIRZA / ADRIEN MISSIKA / LAURA MORIER-GENOUD / MAX NEUHAUS / CAMILLE NORMENT & DAVID TOOP / KATIE PATERSON / HANNAH RICKARDS / MARINA ROSENFELD / SÉBASTIEN ROUX / ANRI SALA / ROMAN SIGNER / GEORGINA STARR / CATHERINE SULLIVAN / SHIMABUKU / THE YOUNG GODS & MUSIQUE DE LANDWEHR FRIBOURG / DAFNE

VICENTE-SANDOVAL & CHARLES CURTIS / WHIRLED MUSIC

VALAIS SWITZERLAND

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UNA LEGGE DEL 110% PER I CINEMA?

Eparliamo ancora di cinema. Lo facciamo perché l’estate che si è conclusa da qualche settimana si è caratterizzata proprio come un’estate del cinema come non se ne vedevano da tempo. Sia per l’uscita di nuovi importanti lungometraggi che si sono susseguiti durante la stagione; sia per le rumorose proteste delle maestranze dell’industria del cinema – specie in America – legittimamente preoccupate dall’avanzare delle intelligenze artificiali; sia per i risultati al botteghino in Italia.

Eccolo un ambito in cui il Governo potrebbe intervenire: sostenere i profondi

contemporanei

Il nostro Paese ha totalizzato dei numeri record circa lo sbigliettamento nei mesi di giugno, luglio e agosto 2023. Dati che non si vedevano da tempo, numeri eccellenti non solo in relazione ai magri risultati degli anni pandemici (2020 e 2021), ma anche se raffrontati ai normalissimi 2017, 2018 o 2019. Cosa è successo? Investimenti. Investimenti pubblici. Quelli che un annetto fa chiedevamo a gran voce in un nostro editoriale sul sito di Artribune (lo ritrovate facilmente).

Preoccupato dalla grande crisi delle sale, sollecitato dagli esercenti e da tutta la filiera, impegnato a contrastare lo strapotere delle piattaforme che convincono milioni di potenziali spettatori a fruire il cinema comodamente da casa, il Governo italiano ha fatto investimenti. Decine di milioni di euro in campagne di comunicazione, sostegni alle sale e abbattimento del costo del biglietto che per mesi è venuto a costare soltanto 3,5 euro. L’impegno ha avuto esito positivo e la svolta c’è stata eccome.

Tutto bene allora? Non tutto in realtà. Proprio l’uscita in sala delle grandi produzioni di queste settimane ha portato al pettine alcuni nodi infrastrutturali di questo settore che riguardano le

90MLN

2019 2017-19

13MLN +13,6% +40% +21,8% +52,8%

condizioni delle nostre sale. Sale che sono l’infrastruttura, l’hardware di tutta questa industry. Il film Oppenheimer, ad esempio, è stato girato per essere goduto in formato IMAX70. Ebbene, nessuna sala in Italia supporta il formato IMAX70. Nessuna, zero. Una buona alternativa è il formato 70mm: sapete quante sale in Italia possono offrire questa tipologia di proiezione? Tre. Tre di numero: una nell’hinterland di Milano, una a Roma, una a Bologna. Fine. Guarda caso nelle sale dotate di 70mm vedere Oppenheimer ha significato sottoporsi a liste d’attesa e prenotazioni, altro che sale vuote, altro che crisi del cinema, altro che giovani disinteressati. Nonostante biglietti a 14 euro. Solo 3 sale tecnologicamente adeguate alle nuove megaproduzioni di Hollywood su oltre 3000 sale italiane. L’uno per mille! Questo dato deve raccontarci qualcosa sugli scarsi investimenti che sono stati fatti nel settore in questi sfiancanti decenni di crisi. E allora eccolo un ambito in cui il Governo potrebbe intervenire: sostenere i profondi investimenti necessari per trasformare i cinematografi in luoghi autenticamente con-

temporanei, dove trovare librerie, auditorium, presentazioni di libri, eventi e festival, ristorazione di qualità, il tutto attorno a sale cinematografiche tecnologicamente avanzate. Coi dovuti distinguo e con le opportune correzioni rispetto alle storture viste per i condomini, ci vorrebbe una norma del 110% per i cinema che vogliono rinnovarsi e attrezzarsi al futuro.

I cinema – nonostante i successi di iniziative come quella di questa estate –sono comunque destinati ancora a ridursi di numero; occorre fare in modo che ne rimangano pochi ma buoni e che diventino presidi culturali a tutto tondo, luoghi dove vivere un’esperienza coinvolgente e concorrenziale con le piattaforme visualizzabili dal divano. Oggi come oggi, alcune sale cinematografiche hanno un livello di comfort inaccettabile e schermi meno performanti di quelli di un salotto. Poi non ci dobbiamo sorprendere che restino vuote. Ecco perché occorrono investimenti e, siccome gli imprenditori del settore non ce la faranno mai da soli, occorrono investimenti pubblici.

EDITORIALI
investimenti necessari per trasformare i cinematografi in luoghi autenticamente
MASSIMILIANO TONELLI
CINEMA IN ITALIA: I NUMERI DELL’ESTATE 2023
Fonte: Cinetel
74 89
GIUGNO — AGOSTO

IL CONTENUTO

Da un po’ di tempo – e sarebbe interessante quantificare più o meno esattamente quanto tempo – il concetto di contenuto ha fatto la sua comparsa in ambito artistico e culturale. Questo termine non è affatto neutro, dal momento che nel corso dell’ultimo decennio almeno è arrivato di fatto a sostituire quello di opera.

L’opera è di per sé impegnativa, autorevole. Presuppone, oltre a un autore, uno spettatore che sia in grado di completarla e di arricchirla. Che cosa è invece il contenuto?

Il contenuto è di per sé più leggero, più disimpegnato: è orientato a una fruizione che si vuole distratta anche se e quando, paradossalmente, è concentrata. Si presuppone che possiamo sospendere questa fruizione, per poi riprenderla quando vogliamo; il contenuto si può mettere in pausa, l’opera no

Il contenuto è in funzione innanzitutto – e in via assolutamente prioritaria –del contenitore a cui si riferisce, e al quale è destinato. Dunque, la piattaforma nel caso del cinema; o, allargando il discorso all’arte contemporanea, potremmo dire la mostra/fiera/ evento.

Il contenitore è del tutto indifferente al contenuto e ai contenuti che vengono inseriti al suo interno, che quindi sono tendenzialmente equivalenti e intercambiabili: la prova è che lo spazio dedicato a ognuno di essi è esattamente identico a quello di tutti gli altri (sempre nel caso della piattaforma, i rettangolini delle locandine nella nostra wishlist, sempre impossibilmente e mostruosamente lunga: sono i contenuti che vorremmo vedere, che vorremmo fruire, ma non avremo mai il tempo, e forse la voglia...).

Questa indifferenza del contenitore, se ci pensiamo bene, si spinge persino un po’ oltre rispetto a questo punto: vale a dire, al contenitore interessa innanzitutto che noi spettatori passiamo comunque un bel po’ di tempo lì sopra e

lì dentro. E questo potrebbe intanto cominciare a dirci qualcosa rispetto alla durata dei film attuali: perché infatti da qualche anno devono essere minimo di due ore, spesso di due e mezzo, a volte come in questo caso di tre?). Tale interesse va necessariamente, da un certo punto in poi, a discapito di un nostro interesse più profondo... Mi spiego meglio: al contenitore, così come è progettato, la qualità dei contenuti quasi non importa. Ci avviciniamo dunque a una delle grandi contraddizioni della nostra epoca: dato che l’obiettivo principale del contenitore è e resta la conquista del nostro tempo, in un contesto del genere diventa di fatto sempre più difficile coltivare la natura sperimentale delle opere. Perché tra opera e contenuto permane comunque una relazione oppositiva. Essi si escludono a vicenda: il contenuto è per molti versi il contrario dell’opera. Il che non impedisce ovviamente ad alcune o a molte opere di valore di essere veicolate come contenuti, ma è inevitabile che la natura stessa del contenuto risponda a un insieme di esigenze, a un intero sistema di valori, che non ha bisogno dell’opera e che la esclude dal proprio orizzonte. Così come infatti consumo ed esperienza sono due dimensioni incommensurabili, così il contenuto è giunto tra di noi come una specie di ultracorpo, di simulacro, che assume le fattezze dell’opera per poi negarla dall’interno. Il contenuto deve essere infatti facilmente comunicabile e incasellabile; non può essere troppo stratifi-

cato, o addirittura sfuggente; il contenuto per essere consumato velocemente deve stare al suo posto, e quindi tendenzialmente è escluso che possa essere un intero mondo alternativo in cui immergersi (persino le opere del passato, una volta trasformate in contenuti, perdono livelli di lettura come strati di pelle).

Il contenuto, inoltre, per tutte queste ragioni porta con sé una serie di ipersemplificazioni, di banalizzazioni, di riduzioni: al suo interno e al suo esterno non c’è spazio, dunque per le sfumature e le ambiguità, e anche quando qualche sfumatura di senso è ammessa, essa deve essere classificabile e riconoscibile, assimilabile cioè all’aspetto di qualche altro contenuto. Anche la complessità del contenuto, una volta considerata da vicino, si rivela scoraggiante perché non più tale.

E, soprattutto, il contenuto – anche quello apparentemente più brillante – si rivela di un’ottusità disarmante. Questa ottusità è necessaria all’efficienza e alla performatività che è richiesta al contenuto: per essere consumato dal maggior numero di persone, infatti, non si può permettere di andare troppo per il sottile. Significherebbe negare la sua natura – e (ri)avvicinarsi pericolosamente alla condizione di opera.

Ciò vuol dire che siamo entrati da un po’ nel regno del contenuto, ma non ce l’hanno detto perché l’opera conserva ancora un suo residuo prestigio.

Il contenuto è giunto tra di noi come una specie di ultracorpo, di simulacro, che assume le fattezze dell’opera per poi negarla dall’interno
Cillian Murphy in Oppenheimer di Christopher Nolan, 2023

CREDITO CON MERITO. PER UNA NUOVA CULTURA FINANZIARIA DELLE IMPRESE CULTURALI

a cultura cresce anche grazie all’effetto leva che possono rappresentare i finanziamenti e i bandi. Si pensi a quelli del Ministero, del PNRR o a quelli europei. Un effetto “leva nella leva” può concretizzarsi grazie ad una adeguata pianificazione finanziaria che punti all’utilizzo di un misurato e sostenibile accesso al credito. Bancario e non solo.

Non sono poche le banche che hanno sviluppato negli anni una divisione Terzo settore. In pochi sanno, per esempio, che il Credito Sportivo, che è una banca pubblica, ha una divisione destinata alla cultura, o che vi sono piattaforme create da istituti bancari che promuovono raccolte fondi per sostenere la parte di interessi da corrispondere, piuttosto che la restituzione di un prestito o di un finanziamento. Il problema semmai è un altro: la cultura è riuscita a stare al passo delle innovazioni sul piano finanziario in un’ottica di programmazione e di investimento per lo sviluppo? Sicuramente i virtuosismi si attivano quando i fondi esterni, in primis pubblici, riescono ad arrivare con regolarità. Questo, però, non esclude che un’impresa e un’istituzione culturale possano e debbano dotarsi, nella cassetta degli attrezzi, di strumenti di pianificazione che divengono mezzi per attingere ad un addendum di risorse, anche queste esterne (provenienti dal mondo della finanza). Risorse che possono rivelarsi vitali nel consentire, per esempio, il rispetto dei tempi: dagli stati avanzamento lavori (pensate a quanto hanno potuto o possono ancora inficiare, nell’incremento dei costi, ritardi nei pagamenti nei cantieri di lavoro di restauro, manutenzione, ristrutturazione), alle rendicontazioni di progetto.

Approcciare il mondo della finanza in maniera adeguata significa verificare preventivamente il proprio merito creditizio. In altre parole: un istituto di credito, per decidere se siamo finanziabili, non valuterà (sol)tanto la qualità delle nostre attività culturali o quanto sia benemerita la nostra missione. Certo, servirà anche una relazione che illustri tutto ciò, ma poi si affiderà ad un algoritmo che con una serie di parametri deciderà se concederci o meno un prestito o un finanziamento, e questo indipendente-

mente dalle garanzie prestate. Sono ormai lontani i tempi in cui un’ipoteca, garanzia reale per eccellenza, aveva l’effetto automatico di attivare una linea di credito. Ci troviamo in un contesto tale per cui una banca verifica preventivamente se l’ente è meritevole e affidabile in termini economico-finanziari e quindi di restituzione del debito e, conseguentemente, determina il tasso di interesse da applicare sul debito concesso.

Quentin Massys, Il Cambiavalute e sua moglie , 1514, Musée du Louvre

informazioni creditizie, dei “cattivi pagatori”). Altri parametri sono il livello di indebitamento e la stabilità dei flussi di entrata. A questo proposito il mondo della cultura parte sicuramente facilitato avendo come vantaggi competitivi, rispetto ad altri settori, un ridottissimo accesso al credito (come modus operandi) e una rendicontazione prevalentemente finanziaria (e non economica).

Non si può però pensare di giocare la partita basandosi sul vantaggio della arretratezza: non accedere al credito significa anche non fare investimenti, e quindi minare lo sviluppo delle imprese culturali. Una rendicontazione solo finanziaria fornisce i dati sui flussi di cassa ma non tutte le informazioni utili e necessarie per fare programmazione e controllo (per cui necessitano anche rendicontazioni economiche e patrimoniali).

Entra così in gioco la classe di rating di appartenenza ed è consuetudine (perché manca una cultura della pianificazione finanziaria) che l’istituzione culturale scopra il suo rating in sede di richiesta del finanziamento, quando, a volte, potrebbe essere tardi per aggiustare il tiro.

Gli esami non finiscono mai. Il merito creditizio viene in genere calcolato sulla base della solvibilità, puntualità e regolarità del pagamento dei debiti (non a caso vi è una lista del CRIFun’azienda specializzata in sistemi di

Due paroline anche per il mondo bancario: non è pensabile approcciare un’impresa o un’istituzione culturale come un’azienda for profit qualsiasi. È necessario un decoder per tradurre il valore di asset spesso intangibili e immateriali con cui il sistema Italia sta continuando a competere su scala mondiale, anche grazie alla miriade di enti che nello Stivale promuovono arte, musica, teatro, cinema e cultura nelle sue varie forme e linguaggi. Orientamento e formazione su come funziona il mondo della cultura, con i suoi glossari e le sue regole non scritte. Strumenti finanziari su misura, un po’ come i sustainability loan che premiano le imprese che raggiungono performance di sostenibilità facendo scendere il costo del tasso di interesse. Le soluzioni si possono trovare, e anche inventare. Come nella grande fabbrica delle parole di Agnès de Lestrade, non è la quantità che conta ma la qualità. E la semplicità. Anche gli algoritmi lo capiranno.

EDITORIALI
L
Non accedere al credito significa anche non fare investimenti, e quindi minare lo sviluppo delle imprese culturali
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IRENE SANESI

L'INDUSTRIA TURISTICA ITALIANA HA DIMOSTRATO DI NUOVO IL SUO COMPLESSO D'INFERIORITË

L'estate sta volgendo al termine e non si può non parlare di turismo. Non solo perché è quella materia di tutti – siamo tutti turisti –, ma anche perché è intorno a tutti noi. L’Italia è una nazione turistica che ci piaccia o meno. Quante battute piccate ho sentito nel tempo: l’industria, l’hi-tech e la finanza se ne vanno, siamo destinati a diventare un popolo di camerieri e di receptionist d’albergo…

Ma l’Italia è oggettivamente un Paese bellissimo e unico, pieno di storia, di natura, di tradizioni che tutti, chiunque nel mondo possa permettersi di viaggiare al di là dei propri confini nazionali, vogliono vedere. E allora, perché non sfruttare questo “talento” naturale? Come i Paesi da sempre sono ricchi o poveri secondo la disponibilità domestica di materie prime, anche meteo, mare, coste, cultura, cibo sono materie prime. Sfruttiamole. Senza piccarci che lavorare per il divertimento e l’intrattenimento di qualcuno sia meno nobile di costruirgli una tv, un’auto, un farmaco o conservargli i soldi.

IL PESO DELL’INFLAZIONE SULLE VACANZE DEGLI ITALIANI

cani, russi e arabi influenzano la nostra politica.

ha deciso di ridurre le spese per l’estate 2023 rispetto all’anno precedente

L’esplosione delle ricettività nelle case private in Italia è dovuta anche a un’oggettiva mancanza di offerta alberghiera di qualità. Ci sono capoluoghi di regione, non farò nomi per eleganza, che non hanno un hotel decente. Parlo di città con centinaia di migliaia di abitanti e quindi turismo dodici mesi l’anno. Il mondo del turismo chiede regole anche per le case vacanza, sacrosante, ma basta veramente imporre che chi affitta casa per più di un tot di giorni/anno, ovvero sistematicamente, lo faccia con partita IVA e codice ATECO dedicati. Non ci vuole Keynes. Bisogna competere sulla qualità

ha ridotto la durata del viaggio per risparmiare

non è andato in vacanza questa estate

Perché questa permalosità io la percepisco in tante manifestazioni. Una di queste è la trascuratezza alberghiera nella cura dei propri ambienti. È strapieno di hotel orribili, spesso (ahimè) con personale, se non sgarbato, di sicuro demotivato anche perché lavora in posti brutti.

Nella ritrosia degli imprenditori alberghieri a rinnovare i luoghi che gli producono reddito io vedo una supponenza (frutto di un complesso d’inferiorità): io sono l’Italia, la gente viene e verrà nonostante tutto, nonostante la tratti male, abbia prezzi alti, li sottoponga a disservizi, li accolga in luoghi fatiscenti. Il complesso d’inferiorità invece è: io non sono servitore di nessuno. Forse ascrivibile all’essere stati un Paese oggetto di colonizzazioni territoriali da tutti i vicini fino a poco più di centocinquanta anni fa? E che lo è tutt’oggi, in forme e modalità moderne: cinesi e francesi hanno comprato il grosso dell’industria italiana; ameri-

di chi non è partito ha preso questa decisioneper motivi economici

+7% +50%

gli italiani che hanno scelto destinazioni extra-UE

Nel 2023 il turismo è diminuito in tutte le destinazioni balneari. Gli italiani hanno ripreso ad andare all’estero, gli stranieri non hanno colmato il gap. Perché? I costi dei biglietti aerei sono aumentati. Andare a Palermo, Olbia, Brindisi costava come Parigi, Istanbul, Barcellona, Ibiza, Lisbona… quindi si è scelto l’esotico e la novità. E poi i servizi sono cari e spesso scadenti. A fronte di un estero che si combatte con i denti fino all’ultimo turista. Perché hanno meno, non c’è dubbio, ma noi sprechiamo il nostro vantaggio competitivo (e perdiamo…). Ritorniamo alla partenza, come nel gioco dell’oca. La supponenza che tanto l’Italia è unica e ci si viene lo stesso. Io ti tratto male, non investo e ti do il meno possibile, perché nutro quel senso d’inferiorità del “non sono servo di nessuno, tu sei qui perché costruisci automobili o computer, io perché ti sparecchio la tavola o ti rifaccio la stanza”. Problemi culturali, sempre problemi culturali.

FABIO SEVERINO
Anche meteo, mare, coste, cultura, cibo sono materie prime. Sfruttiamole
32%
13% 12% 48,2%
Fonti: Federalberghi, Osservatorio Findomestic/Eumetra gli italiani che hanno scelto destinazioni europee

Pomodoro sui Girasoli di Van Gogh; mani incollate su un dipinto di Picasso; le Campbell’s Soup Cans di Warhol imbrattate con pennarelli blu; un Monet è imbrattato con purè di patate. I casi abbondano. Due giovani intervistati dal Guardian affermano: “cosa vale di più l’arte o la vita?”. Di eventi “provocatori” ne abbiamo visti molti. Eppure questi episodi che mettono il valore della vita – la salvaguardia del pianeta – di fronte al valore di importanti opere d’arte, hanno qualcosa della performance. Ma, a differenza delle performance ormai ben integrate nel sistema dell’arte, queste si caratterizzano in quanto debordano ogni cornice estetica e museale. Potrebbero far parte – con le dovute differenze – di quegli “slittamenti della performance” di cui parla Teresa Macrì in un suo recente libro, poiché mettono la pratica della performance alla stregua di un’azione politica. Gesti di insubordinazione, che rievocano l’anti-arte dei dadaisti e delle seconde avanguardie degli Anni Sessanta del secolo scorso. Ieri l’artista come semplice cittadino poteva scegliere di ridefinire i limiti del proprio ruolo nella società. In queste azioni di insubordinazione, il valore attribuito alle opere è preso in ostaggio per segnalare la violenza fatta alla natura.

Ora, nel caso del rapporto arte/vita posto da queste performance, si tratta certo di violenza, ma di una violenza simbolica, dovuta al fatto che tutte le opere “offese”, erano protette dal vetro. Questa strategia è elementare: ci dice che al valore cultuale e feticistico dell’opera fa da contraltare il valore assoluto della sopravvivenza del pianeta. In sostanza, gli eco-attivisti mettono le nostre responsabilità di fronte ai sogni che tradiamo, di cui la natura è lo scenario mitologico, paesaggistico e narrativo. Tutti elementi di cui l’arte si è sempre nutrita. Così, d’un colpo, il museo si trasforma in una brutta sorpresa. Cosa scegliere? La risposta emotivamente è semplice: punire gli artefici di questi gesti vandalici. Certo, uno choc, che investe la percezione dell’arte come oggetto di venerazione. Eppure queste azioni-performance non program-

mate, involontariamente rilanciano l’espressione di Adorno per il quale “l’arte oggi non è quasi più pensabile altrimenti che come la forma di reazione che anticipa l’apocalisse”. Ma di choc l’arte moderna e contemporanea ne ha conosciuti molti. Nel Manifesto del futurismo si legge: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo”. Che dire di queste parole pubblicate nel 1909? Istigazione a delinquere? Se dovessimo giudicare molti eventi della storia dell’arte, o a lato di essa, con le lenti del moralismo, non vi sarebbe più né arte né storia dell’arte, ma propaganda al servizio del potere di turno. I disperati sforzi di questi giovani nel sollecitare l’attenzione del pubblico, somigliano a una forma di resistenza post-situazionista contro l’indifferenza collettiva di fronte alle catastrofi ambientali.

Per ritornare alla questione di fondo posta da queste azioni, credo che la domanda “l’arte o la vita?”, sia posta male. E dal momento che l’arte non è necessariamente tutta quella che entra in un museo, vale la pena riportare alcune parole di Duchamp in merito, che in una intervista osservava: “Per quanto mi riguarda la storia dell’arte è ciò che rimane di un’epoca in un museo, ma non è necessariamente ciò che di meglio c’era in quest’epoca, e in fondo, è perfino, probabilmente, l’espressione della mediocrità dell’epoca perché le cose belle sono

sparite”. Secondo la filosofa Judith Butler “chiedere se l’arte è più importante della vita significa dare per scontato che l’arte non sia la vita, o che comunque non si interroghi sulla relazione tra arte e vita”. E dal momento che “l’attacco” alle opere è stato limitato a quelle protette dal vetro, questo dettaglio dà la misura cautelare del gesto: si è trattato di simulazioni d’attacco. L’integrità delle opere in fondo non è stata compromessa. L’esibizione di un barattolo di conserva in uno spazio museale non ci dice nulla della vita dell’operaio che l’ha prodotto, né sul consumatore. Imbrattarlo, allora, non fa che aumentare il valore estetico che si attribuisce a questo oggetto banale elevato a icona di culto estetico. Perché si colpisce ciò che si ritiene simbolicamente pregnante, come è accaduto alle Torri Gemelle nel 2001, effige del sistema capitalistico. Solo che in quel caso l’attacco è stato reale, non simulato. Se questi artisti involontari fossero stati davvero dei veri vandali, avrebbero rotto i vetri di protezione e distrutto le opere. Ma il clamore che i loro gesti hanno suscitato non è nulla in confronto ai crimini ambientali provocati dalla sete di profitto perseguito da persone a capo di compagnie petrolifere, complessi industriali e multinazionali con i loro portavoce politici, i quali come osserva il subcomandante Marcos “vestono le firme più prestigiose, portano cravatta e lavorano in uffici arredati da illustri designer in palazzi firmati dai più grandi architetti”.

EDITORIALI
L'ARTE O LA VITA?
Al valore cultuale e feticistico dell’opera fa da contraltare il valore assoluto della sopravvivenza del pianeta
MARCELLO FALETRA
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I Girasoli di Vincent Van Gogh imbrattati da due ecoattiviste, National Gallery, Londra

Tutti sanno benissimo che la teoria dello Spirito hegeliano è tra le più derise di tutta la storia della filosofia – a pari merito, forse, con il dualismo cartesiano, su cui persino l’ultimo dei tiktoker è capace di fare battute da caserma.

“Ma tu credi veramente che esista (?) una specie di Super-Forza che tiene le fila dei destini umani (e non), non solo a dispetto dei voleri dei singoli, ma con il loro attivo contributo – e che però non è Dio?

Ma dai – è inaudito!” risponde uno.

“Ma poi, di cosa andiamo cianciando – fa un altro – nell’epoca dell’ipercultura, dell’intertwingularity, e della strutturalità decentrata, andiamo ancora a ripescare concetti vaghi vecchi di secoli, per cortesia!”… “Senza contare – fa un terzo – l’avvento dei Big Data e conseguentemente dell’intelligenza artificiale, che in pochi secondi ti riassume tutto il Sapere del mondo, altro che Hegel!”.

Eh, sì – dico io – mi sa che avete ragione. Ma quale Forza e super-Forza, ma quale Spirito e spirito! Però... No, dico, mi rimane un dubbio. Un’inezia, a dire il vero. Un nonnulla. Per esempio, il 1975. “Ah, perché, sentiamo un po’, dai – cosa sarebbe successo nel 1975?”. Beh, parecchie cose. Non sono i fatti storici in senso stretto a impensierirmi, ma due eventi misteriosamente legati fra loro.

Il primo è l’uscita nel giugno di quell’anno del celebre film Jaws – Lo squalo di un giovanissimo Steven Spielberg che da allora si è andato a collocare tra i massimi registi di blockbuster di sempre. Il secondo evento è l’uscita, sempre in quell’anno, ma a gennaio, di Horcynus Orca, l’incredibile capolavoro letterario di Stefano D’Arrigo. Ora, tra questi due prodotti diciamo culturali, non vi è in apparenza nessuna relazione. Anzi, vi è una asimmetria spettatoriale clamorosa. Il film, vincitore di tre premi Oscar, fu record di incassi per oltre due anni e a tutt’oggi è fra i film che hanno incassato di più nella storia del cinema. Inoltre, ebbe tre sequel direttamente ispirati all’originale,

ma anche una impressionante serie di imitazioni, tra cui alcune tutte italiane, come L’ultimo squalo di Enzo G. Castellari (1981), e persino un film il cui titolo sembra quasi citare il romanzo di D’Arrigo, L’orca assassina (Orca: The Killer Whale), del 1977.

Il romanzo per parte sua, invece, vuoi per la lunghezza, vuoi per il linguaggio impervio, suscitò infinite polemiche letterarie, e poi finì nel dimenticatoio. All’epoca ero un teenager, quindi ho ricordi di prima mano di alcuni episodi a dire il vero sconcertanti. Invece di prenderne le difese, i migliori intellettuali italiani, con poche notevoli eccezioni, tra cui Pasolini e Consolo, prima sollevarono un polverone incredibile intorno al libro (che non avevano letto) e poi, dopo stroncature più o meno plateali, se lo dimenticarono – oblio nel quale giace praticamente ancor oggi. Già, perché a leggerle oggi, le sue oltre 1200 pagine (nella prima edizione Mondadori) stillano una tale stratificazione linguistica e culturale da lasciare esterrefatti, e fanno domandare perché questo romanzo non sia di diritto nel novero dei classici italiani, non quelli sperimentali dico, ma quelli che si imparano a scuola. Ma, al di là dell’orrendo malcostume italico, della nostra patologica, demenziale e temo incurabile ossessione di inferiorità, la cosa davvero sorprendente è la sincronicità tra il film, che si incentra sulla mostruosità dello squalo gigante, e il protagonista del romanzo, l’Orcaferone, che terrorizza le menti e i sogni dei pescatori mediterranei.

Mondi interi, civiltà, linguaggi e ispirazioni dividono questi due capolavori, però i temi della paura, del viaggio e della morte sembrano misteriosamente avvicinare l’esordio di un giovane regista americano come Spielberg all’esito di oltre vent’anni di scritture e riscritture di un maturo romanziere come D’Arrigo. Chissà. Dev’essere stato un caso.

O forse… non è che qui – sempre per caso eh! –spunti fuori lo zampino di un certo qual Zeitgeist che, vai a sapere perché, proprio in quell’anno fatidico si coagula, si personifica insomma nella “fera” marina (squalo bianco o orca assassina che sia)? O forse non solo lo zampino, ma tutto intero con tanto di fauci e chiostra di dentoni, pronto a fare un sol boccone dei nostri destini individuali?

I tre amici mi guardano con compatimento. Ma stanotte so che non dormiranno sonni tranquilli.

IN FONDO IN FONDO
1975
MARCO SENALDI
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Non è che qui spunti fuori lo zampino di un certo qual Zeitgeist che proprio in quell’anno fatidico si coagula, si personifica insomma nella “fera” marina?
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MASI Lugano. Foto: Luca Meneghel
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