Grandi Mostre 46

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Tra perdono, redenzione e amore sublime. Maria Maddalena protagonista di una mostra a Treviso

Patrona dei penitenti, Maria Maddalena

(chiamata anche Maria di Magdala in riferimento all’omonimo villaggio sulla riva occidentale del lago di Tiberiade a nord d’Israele) è una figura di grande rilievo del Nuovo Testamento della Bibbia e, nel tempo, è stata oggetto di una ricchissima narrazione letteraria, teologica e artistica. Ed è proprio su questo ultimo punto che pone l’attenzione La Maddalena e la Croce. Amore sublime, la mostra ospitata negli spazi del Museo Civico di Santa Caterina a Treviso

Curato dal direttore dei Musei Civici Fabrizio Malachin, il progetto espositivo affronta temi universali quali passione, sofferenza, devozione, redenzione e amore rivolto verso Cristo attraverso opere che spaziano dal Duecento al Novecento.

LA SANTA E LA PECCATRICE

Più di ogni altro personaggio femminile evangelico, Maria Maddalena ha incarnato le contraddizioni, le tensioni e le speranze dell’essere umano, soprattutto nella cultura visiva occidentale. È stata peccatrice e santa, amante e apostola, corpo desiderato e spirito elevato.

Proprio per questo, continua a essere una figura attuale capace di educare l’uomo alle emozioni, “riconoscerle, gestirle, dominarle e comunicarle”, sottolinea il curatore Malachin.

LA MOSTRA

Nelle dodici sale del Museo trevigiano sono riunite oltre cento opere tra miniature, dipinti, sculture, manufatti di oreficeria e tessile, provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private, nazionali ed europee.

Tra i lavori in mostra spiccano le opere tedesche dal XIV al XVIII Secolo (per la prima volta esposte in Italia) provenienti dal Museo tedesco di

Fino al 13 luglio 2025 LA MADDALENA E LA CROCE AMORE SUBLIME

A cura di Fabrizio Malachin

Museo Civico di Santa Caterina Piazzetta Botter Mario 1, Treviso museicivicitreviso.it

a sinistra: Giuseppe di Guido (Maestro di Fontanarosa), Maddalena penitente, olio su tela, 1620-25 circa, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

a destra: Jan Polack, Maddalena orante (part.), 1505 ca., Freising, Diözesanmuseum Freising in basso: Matteo Loves, Cristo morto, olio su tela, 1640 ca., Cento, Pinacoteca Civica il Guercino

Freising, e altre provenienti dalla Gypsotheca di Possagno, dalla Pinacoteca Martini di Oderzo, dal Museo Diocesano di Treviso e dalle chiese della provincia. Un racconto fatto per immagini che inizia con il momento della Crocefissione dove, assieme alla Madonna e a Giovanni, Maddalena esprime una disperazione del tutto umana.

Nella trasposizione di grandi maestri, la croce è la naturale protagonista della successiva sezione, declinata nel suo valore simbolico e identitario. Altri capolavori si fanno portavoce del dolore “urlato” di Maddalena di fronte al Cristo deposto dalla Croce. Ne è un esempio la grande tavola bifacciale di Jan Polack raffigurante la Deposizione (sul fronte) e la Decapitazione di San Paolo (sul retro), posta al centro della sala espositiva dove le morbide luci accentuano il pathos della scena. In quest’opera Maddalena è raffigurata avvolta in un mantello verde e con una veste rossa foderata di pelliccia, con la parte superiore del petto scoperta, ricordando la sua precedente vita.

LA REDENZIONE

La Maddalena pentita è una iconografia che ha visto diverse interpretazioni dopo il Concilio di Trento, diventando un simbolo universale della redenzione.

Nell’Ottocento diventa archetipo di una spiritualità universale che supera il puro credo,

facendo anche sparire (a volte) i simboli religiosi che la contraddistinguono come il vaso di unguenti, il teschio, il libro, i capelli lunghi e sciolti, la croce e lo sguardo estatico (si veda la versione della Penitente di Canova), puntando l’attenzione verso la femminilità della Santa. Infatti, superata la caduta e compiuta la sua assoluzione, Maddalena viene ritratta anche senza veli e in momenti di abbandono, dove il pietismo religioso e la carnalità si uniscono dando vita a opere dalle sfumature romantiche.

TRA PASSATO E PRESENTE

Il rapporto che lega Maria Maddalena a Cristo è evidenziato anche durante la Via Crucis, tema che pone a confronto due artisti trevigiani, Alberto e Arturo Martini, il più importante pittore simbolista italiano e l’ultimo grande scultore, i quali aprono una delle sezioni della mostra. I loro lavori gettano un ponte tra l’Ottocento e il contemporaneo, fino alla prima opera realizzata con l’intelligenza artificiale presente in una mostra. Infine, in una sezione curata da Carlo Sala, sono proposte alcune originali interpretazioni di artisti contemporanei.

IL SACRO E PROFANO NELLA FIGURA DI MARIA MADDALENA

“Una mostra coinvolgente, emozionante, accattivante. Un percorso pensato per offrire novità e curiosità artistiche e scientifiche ma soprattutto per regalare suggestioni positive: quella della Maddalena è una vita ricca di emozioni forti, un atlante che diventa per noi una guida per l’educazione ai sentimenti. Gli ambienti sono poi allestiti per rendere coprotagonista il visitatore che, quasi in palcoscenici teatrali, si ritroverà catapultato nelle sale come fossero scene dedicate agli ultimi momenti della vita di Cristo”, spiega il curatore Fabrizio Malachin. “E poi la bellezza sensuale dei nudi di raffinata spiritualità, una vera e propria galleria di Maddalene che incanta. Un viaggio che stupisce perché condotto sulla linea sottile tra sacro e profano, perché investe i sensi (la vista, ma anche l’udito - diverse musiche accompagnano il visitatore nei tre piani di mostra), perché Maddalena peccatrice, caduta e con la forza di redimersi, è un po’ tutti noi bisognosi di esempi di speranza, perdono e amore”.

L’acqua e il segreto della grande onda di Hokusai in mostra a Treviso

Il progetto espositivo ospitato al Museo Luigi Bailo racconta l’artista nipponico vissuto tra la fine del Settecento e gran parte dell’Ottocento, indagandone i rapporti non solo con la natura giapponese, ma anche con l’arte europea e rinascimentale. Obiettivo della mostra è quello di “immergere il visitatore nel metodo creativo dell’artista, nella sua personalità, nella sua ossessione per la perfezione artistica; specialmente nei confronti degli incisori quando cambiano la posizione dei minimi dettagli”, spiega il curatore Paolo Linetti, analizzandone “gli studi e le influenze che hanno determinato il suo stile e approfondire il suo legame con l’acqua, tema ricorrente nella sua produzione”.

LA MOSTRA

Maestro indiscusso della corrente dell’Ukiyoe (letteralmente “immagini del mondo fluttuante” un genere di stampa artistica giapponese impressa su carta con matrici di legno, nata e sviluppatasi durante il periodo Edo tra il 1603 e il 1868), Katsushika Hokusai è il protagonista di HOKUSAI - L’acqua e il SEGRETO della grande onda.

Con oltre 150 opere, la mostra privilegia il metodo attraverso il quale l’artista ha realizzato i suoi lavori più celebri, dove in controluce si possono intravedere l’acqua che rimanda alla

nascita, il mare all’inconscio e le presenze subliminali che si rifanno ad alcuni maestri rinascimentali. Ed è per questo che il percorso espositivo, indaga sia la sua resa grafica confrontandola con opere di autori a lui contemporanei come Kunisada, Utamaro, Kuniyoshi, sia le fonti d’ispirazione europee che hanno influenzato Hokusai: dalle incisioni di Albrecht Dürer all’ arte fiamminga. Un altro aspetto da non trascurare è l’influenza, con la moda del Japonisme, che Hokusai ha esercitato su grandi artisti come Vincent Van Gogh, Claude Monet ed Henry Toulouse-Lautrec. “Quello che invidio ai giapponesi è l’estrema limpidezza che ogni elemento ha nelle loro opere […].”, così scriveva Van Gogh “Le loro opere sono semplici come un respiro e riescono a creare una figura con pochi, ma decisi tratti, con la stessa facilità con la quale ci abbottoniamo il gilet. Ah, devo riuscire anche io a creare delle figure con pochi tratti”.

LE OPERE

Oltre a ripercorrere lo studio cronologico delle diverse prove che portarono all’onda perfetta, la mostra per la prima volta si sofferma sul segreto che si cela dietro la Grande onda, l’opera iconica di Hokusai, che appartiene alla serie di dipinti 36 vedute del Monte Fuji. L’immagine ha un andamento impressionante mentre fa emergere l’antitesi tra la caducità della vita e la grandiosità della natura.

Emblema di una produzione artistica in cui l’acqua ricopre un ruolo centrale. Fluida, dinamica, impetuosa, l’artista ne ha rappresentato ogni sfumatura, ogni movimento: dal boato frastagliato delle cascate alla caduta delle onde.

A partire dal 1814, Hokusai inizia la pubblicazione dei volumi degli album di disegni dal vero. Il secondo della serie contiene una xilografia a doppia pagina che descrive una spaventosa caccia a una balena vista dalla spiaggia. L’immagine è caratterizzata da una fune in tensione, come a rimarcare il contrasto tra la forza della balena e quella dei pescatori. Una sorta di duello fra due onde in contrasto. Sulla sinistra quella che rimanda a Il battello in mezzo alle onde (1805), l’altra per forma e spuma, anticipa quella che diverrà celebre come L’onda di Kanagawa

A tutt’altra visione rimanda la xilografia Il Fuji visto dal mare, dove la grande quantità d’acqua termina in una schiuma che si disintegra in particelle. L’acqua assume una dimensione monumentale, ma non violenta. L’onda, che avanza da sinistra verso destra, abbandona l’aggressività della sua celebre controparte di Kanagawa, scoraggiando in chi guarda ogni tensione emotiva. Se la Grande onda è il simbolo della potenza distruttiva, quella del Fuji visto dal mare si configura come un’energia costruttiva. Le due rappresentazioni sono le due facce di una stessa medaglia: la prima rimanda alla potenza spietata della natura. La seconda celebra la sua armoniosa bellezza.

Fino al 28 settembre 2025

HOKUSAI

L’ACQUA E IL SEGRETO DELLA GRANDE ONDA

A cura di Paolo Linetti, in collaborazione con Associazione Mnemosyne Museo Bailo

Borgo Cavour, 24 - Treviso museicivicitreviso.it

Scopri tutte le mostre da vedere a Treviso su Artribune

Katsushika Hokusai, La grande onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji,1830-1832 circa, Silografia policroma

VIEIRA DA SILVA/

Le mille e una Vieira da Silva. In mostra a Venezia

Vieira, Multiple et Une”. Così il poeta René Char definisce la pittrice Maria Helena Vieira da Silva, sua cara amica. E la nuova mostra della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia non gli dà torto: nelle sale espositive di Palazzo Venier dei Leoni, Flavia Frigeri ha curato un prezioso affondo nell'opera di un’artista ancora troppo sottovalutata, ma capace di declinare una ricerca estetica e spaziale non del tutto incasellabile, mutevole eppure estremamente coerente. Cominciata a Lisbona nel 1908 e conclusasi a Parigi nel 1992, la vita di Vieira da Silva ha coperto tutto il Novecento, negli stravolgimenti e nelle tragedie che ne hanno caratterizzato la proverbiale “brevità”. Sempre muovendosi con libertà sulla soglia tra figuratività e astrazione, le opere di Vieira da Silva sono testimoni di un’importante sensibilità artistica, in grado di interpretare il Modernismo senza mai cristallizzarsi o ripetersi, a partire dai primi dipinti, fino a un utilizzo sempre più libero della griglia, che caratterizza gli ultimi decenni della sua pratica.

TRA SPAZIO E ANATOMIA

Già dalle prime sale, appare chiara la scelta di intitolare questa necessaria retrospettiva Anatomia di uno spazio: la modalità con cui Vieira da Silva decide di rappresentare il suo mondo, è quella della frammentazione in piani che si incastrano, come le tessere di un mosaico, senza gerarchie di sorta. Se infatti è lo spazio il protagonista evidente di questa dissezione, Vieira da Silva tratta nel medesimo modo tanto gli oggetti, quanto la figura umana.

Due attitudini, quella anatomica e quella spaziale, la cui origine è da ricercare anche nella formazione accademica di Vieira da Silva: più volte ricorderà quelle folgoranti lezioni di anatomia alla Escolas de Belas Artes, e le numerose ossa che si dilettava a disegnare; l’attenzione per lo spazio, invece, è riconducibile agli studi di scultura a Parigi, dove si trasferì nel 1928, prima di dedicarsi del tutto alla pittura, e trasformare il tridimensionale in bidimensionale. Così che tutto diventa spazio, e tutto appare e scompare costantemente all’interno di vortici caleidoscopici. È il caso del vivace dipinto Il gioco delle carte (1937) – mutuato dal celebre dipinto di Cézanne, che anticipava già una scomposizione cubista da cui Vieira da Silva attinge – o del più inquietante La Scala o Gli occhi (1937), che sembra prefigurare la celebre e occhiuta scenografia di Dalí per il film Io ti salverò di Hitchcock (1945).

IL BRASILE E LA GUERRA ETERNA

Ma è durante la Seconda Guerra Mondiale che Maria Helena Vieira da Silva dipinge alcuni dei suoi quadri più belli e struggenti. Una guerra che, nelle sue opere, non appare mai nella sua contingenza, ma come tragedia universale, come dramma umano senza tempo. Già nel 1938, con il dipinto Gli annegati, Vieira da Silva consegna a ventri gonfi, corpi scheletrici e pennellate allungate il compito di raccontare un clima sempre più difficile nella città che da dieci anni l’aveva accolta. L’anno seguente, la minaccia tedesca la spinge quindi a lasciare Parigi insieme a suo marito Arpad Szenes, pittore ungherese di origini ebraiche, per fare ritorno nel natìo Portogallo. Una tappa intermedia, prima della destinazione finale: Rio de Janeiro. È da qui che Vieira da Silva seguirà lo svolgersi della guerra: al sicuro, certo, ma dolorosamente lontana dalla sua casa. La distanza,

Fino al 15 settembre

MARIA HELENA VIEIRA DA SILVA. ANATOMIA DI UNO SPAZIO

A cura di Flavia Frigerio

Collezione Peggy Guggenheim

Palazzo Venier dei Leoni

Dorsoduro 701, Venezia guggenheim-venice.it

in basso: Maria

©

a destra: Maria

(Autoportrait),

Comité

Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio, Peggy Guggenheim Collection
Photo Matteo De Fina
Helena Vieira da Silva, Autoritratto
1930, Olio su tela, 54 x 46 cm, Parigi,
Arpad Szenes – Vieira da Silva, © Maria Helena Vieira da Silva, by SIAE 2025

l’apprensione e un clima mal sopportato le rendono il Brasile estremamente grave, tanto da portarla a una profonda depressione e a un tentato suicidio. Ma, come spesso accade, non sono necessari i dettagli biografici per capire quanto questo periodo sia stato difficile per Vieira da Silva: i dipinti parlano più delle parole, con quelle figure filiformi che diventano tragicamente una cosa sola con le fiamme (L’incendio I e II, 1944) o con le lance (Il disastro, 1943), in una rilettura profondamente novecentesca di un già modernissimo Paolo Uccello, ammirato probabilmente durante il Grand Tour italiano che l’artista ha compiuto nel 1928. Nel confronto con le opere del passato, la rappresentazione che Vieira da Silva fa della guerra supera l’attualità e diventa astorica, esistenziale e drammaticamente eterna.

DI CITTÀ E DI GRIGLIE. VIEIRA DA

SILVA NEL SECONDO NOVECENTO

La fine del conflitto e il ritorno dei due coniugi in Europa segna l’inizio di un nuovo periodo per Vieira da Silva, a livello sia privato sia lavorativo. Arrivano le prime monografie, le sempre più numerose esposizioni e soprattutto le due partecipazioni alla Biennale di Venezia, nel 1950 all’interno del padiglione portoghese e nel 1954 in

quello francese. Nel 1959 espone alla seconda edizione di documenta a Kassel, dove tornerà per l’edizione successiva, nel 1964. Sono anni di grandi riconoscimenti internazionali per Vieira da Silva, che torna prepotentemente sulla frammentazione dello spazio, questa volta esplicitamente urbano. Le opere che realizza nel dopoguerra, infatti, si caratterizzano come vedute cittadine come sempre talmente esplose da essere appena riconoscibili. Vieira da Silva percorre così la strada di una personalissima astrazione, interpretando in mille modi quella griglia che nel 1979, sulle pagine di October, la critica d’arte Rosalind Krauss assurge a manifesto ultimo dell’arte moderna. Quella stessa griglia che trova le sue radici nell’archetipo della finestra, per poi rivelarsi in Mondrian e confluire in Agnes Martin, Vieira da Silva la fa sua, la stravolge, lo afferma e la nega, fino alla fine.

UNA RETROSPETTIVA NELLA

RETROSPETTIVA

Si chiude con una chicca questa mostra veneziana, che poi viaggerà a Bilbao per aprire

in autunno nella sede spagnola dell’impero Guggenheim: l’ultima sala, per citare la curatrice, è una “ retrospettiva nella retrospettiva ”. Riunite in un unico ambiente, opere di diversi periodi cronologici e stilistici dell’artista danno vita ad una soddisfacente antologia, ma con una peculiarità: tutte le opere sono modulate sulle variazioni del bianco, il colore preferito di Vieira da Silva. Una chiusura armonica e completa, capace di raccontare ed elevare tutte le multiple anime di una pittrice piacevolmente (ri)scoperta.

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Tra sesso e solitudine.

La prima mostra istituzionale di Tracey Emin a Firenze

anni di opere di Tracey Emin (Croydon, 1963) sono in mostra a Palazzo Strozzi, per la prima volta in un’istituzione italiana. Sulla facciata esterna del museo campeggia al neon il titolo della mostra come uno statement, Sex and solitude (2025), andando ad aprire quella che non è una retrospettiva, ma un’esposizione affrontata in maniera non cronologica, bensì tematica. Nel cortile centrale un grande bronzo, I followed you to the end (2024), nelle sale opere nuove (due delle quali provenienti dalla personale presso la Galleria White Cube, realizzata nel 2024) e alcune storicizzate che non si vedevano da tempo, a ripercorrere la carriera dell’artista fin dagli Anni Novanta.

LA MOSTRA

L’esposizione Sex and Solitude ha avuto una gestazione di quattro anni e una pianificazione mutata nel tempo, giungendo a un progetto che contempla passato, presente e futuro, con l’obiettivo di creare “per Firenze qualcosa di speciale”. Percorrendo le sale emerge tra le opere l’influenza, peraltro spesso dichiarata, di artisti come Egon Schiele ed Edvard Munch e naturalmente di Louise Bourgeois, con la quale negli anni ha anche collaborato. Il dato biografico emerge prepotente nella sua ricerca: le violenze subite a 13 anni, gli aborti

traumatici, l’amore e il sesso presente o negato (I wanted you to fuck me so much. I couldn’t paint anymore, 2020, oppure Not fuckable, 2024), il sacrificio (Those who suffer LOVE 2009), la passione, la solitudine, il recente cancro, la forza della vita e la bellezza di esserci, il senso di solitudine (Thriving on solitude, 2020) che tuttavia dà linfa al lavoro e che riecheggia nel titolo. Tra le opere più importanti in mostra c’è Exorcism of the last painting I ever made, che - documentando la ritrovata relazione con la pittura dell’artista, dopo una crisi di sei anni in seguito a un aborto nel 1990 - ricostruisce il display di una performance realizzata nel 1996, dipingendo e disegnando nuda per tre settimane e mezzo (la durata del periodo tra un ciclo mestruale e l’altro) sotto lo sguardo del pubblico. La tensione emotiva emerge, inoltre, con forza nelle opere pittoriche in mostra (The end of the day, Like the moon. You rolled across my back, I never felt like this, etc. tutte del 2022), in una sorta di autoconfessione. “Io sono me stessa e sono estremamente onesta”, racconta Emin, “e non è un gioco è quello che faccio, quello che creo. Le mie opere non vengono fuori come merda, vomito, sperma. È la mia arte, in questo è magica l’arte, è spirituale. Io ne sono canale, passa attraverso me e poi viene fuori. A volte ho un controllo, a volte no ma se non fossi sincera l’arte per me non avrebbe senso, mentre per me ha un valore massimo. È il mio lavoro, è la mia vocazione”.

ARTURO GALANSINO

FESTEGGIA 10 ANNI ALLA GUIDA DI PALAZZO STROZZI. INTERVISTA AL DIRETTORE

Palazzo Strozzi ha inaugurato a marzo la mostra dedicata a Tracey Emin. Come si inserisce nella linea seguita fino ad oggi dall’istituzione? Negli ultimi anni abbiamo sviluppato un programma espositivo di ampio respiro, in cui l’arte contemporanea ha rappresentato un asse fondamentale. Abbiamo accolto a Palazzo Strozzi alcune tra le figure più significative della scena artistica internazionale, e Tracey Emin si inserisce a pieno titolo in questo percorso. La mostra attualmente in corso è la più ampia mai dedicata all’artista in Italia e la prima in un contesto istituzionale nel nostro Paese. L’esposizione attraversa l’intera carriera di Emin e ne valorizza la molteplicità espressiva, costituendo un prologo ideale alla grande retrospettiva che sarà ospitata alla Tate Modern di Londra nel 2026. La stessa artista ha definito la mostra di Palazzo Strozzi come una delle più significative della sua carriera.

E la programmazione sull’antico?

Abbiamo portato avanti importanti progetti di ricerca sul Rinascimento, dando vita a mostre che oggi sono considerate punti di riferimento nel panorama internazionale, come le grandi

Santa Nastro

mostre dedicate a Verrocchio o a Donatello. Questi progetti si sono distinti per le prestigiose collaborazioni istituzionali e per la possibilità di mettere in dialogo opere mai confrontate prima. Abbiamo inoltre promosso rilevanti campagne di restauro, rese possibili dal prezioso sostegno di partner e mecenati privati, contribuendo in modo concreto e duraturo alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio. Questa linea prosegue con la mostra su Beato Angelico, in programma dal 26 settembre 2025.

Quest’anno festeggia 10 anni di direzione di Palazzo Strozzi. Se la sente di tirare un bilancio?

Dieci anni sono trascorsi rapidamente, anche grazie alla passione che ha contraddistinto il nostro lavoro. Abbiamo trasformato il ruolo di Palazzo Strozzi, contribuendo a ridefinire l’immagine di Firenze: da città legata esclusivamente alla memoria del passato a centro attivo nella produzione culturale contemporanea. È stato un cambiamento profondo, una sorta di rivoluzione copernicana che ha saputo valorizzare la tradizione come motore di nuove visioni e idee.

E a livello gestionale?

La Fondazione Palazzo Strozzi rappresenta oggi un modello di gestione riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Il nostro

impatto sulla città è significativo sul piano culturale, sociale ed economico. Abbiamo costruito un bilancio sostenibile e sempre meno dipendente da risorse pubbliche. Il “caso Palazzo Strozzi” è ormai oggetto di studio in diverse università, come esempio virtuoso di gestione culturale.

Molto spesso lei viene definito manager, anche se la sua formazione è quella di storico dell’arte. La disturba questa definizione? No, al contrario. Ho avuto esperienze in istituzioni internazionali dove la figura del direttore unisce competenze scientifiche e capacità gestionali. Ritengo superata l’idea che questi due aspetti debbano essere separati: il contenuto culturale e la sua gestione sono strettamente interconnessi. Conoscere a fondo un progetto artistico consente di presentarlo efficacemente a partner e sponsor, rappresentarlo in prima persona con consapevolezza, rigore e visione. Ma tutto parte dalla qualità dei contenuti e dalla solidità della ricerca.

A partire da maggio Palazzo Strozzi inaugura un’area project…

Con questo nuovo spazio intendiamo instaurare un dialogo continuativo con le voci emergenti della scena contemporanea, attraverso una progettualità agile e sperimentale che possa creare dentro il palazzo un luogo di scoperta sui linguaggi e i temi più attuali.

Certo, la prima mostra non sarà proprio con una esordiente. Giulia Cenci è rappresentata da Massimo De Carlo e sta partecipando a molti progetti importanti…

Abbiamo scelto Giulia Cenci per inaugurare il nuovo progetto non solo per la sua riconosciuta rilevanza internazionale, ma anche per le sue radici toscane, in omaggio allo spirito del

genius loci. Anche gli artisti che seguiranno saranno figure già attive e riconosciute. Questo spazio è pensato per interventi site-specific, con l’obiettivo di continuare a portare a Firenze esperienze nuove e rilevanti.

Come saranno i prossimi dieci anni?

Si vede ancora a Palazzo Strozzi?

Sì, il programma ha dei punti fermi importanti, in particolare alcuni grandi progetti su cui stiamo già lavorando. Le sfide che ci attendono sono stimolanti. L’entusiasmo non è venuto meno, anzi, si rinnova ogni giorno con il lavoro del nostro team. L’obiettivo è proseguire nella direzione intrapresa, consolidando quanto costruito e aprendoci a nuove prospettive e progettualità.

Fino al 20 luglio 2025 TRACEY EMIN SEX AND SOLITUDE

A cura di Arturo Galansino

Palazzo Strozzi

Piazza degli Strozzi - Firenze palazzostrozzi.org

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025. a sinistra in basso: Arturo Galansino, foto Ludovica Arcero

Caravaggio 2025, Roma celebra Michelangelo Merisi

Nata a Roma, Francesca Cappelletti è una voce di riferimento nello studio del collezionismo e del Barocco italiano: dopo la laurea dedicata al tardo Quattrocento romano e le ricerche al Warburg Institute di Londra, ha ricostruito filologicamente capolavori come La cattura di Cristo di Caravaggio restituendo nuova luce alla sua produzione. Dal 2020 guida la Galleria Borghese a Roma e ora, in qualità di co-curatrice, insieme a Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, firma Caravaggio 2025, una mostra “pura” fatta con 24 capolavori in prestito dai più prestigiosi musei nazionali e internazionali, in occasione del Giubileo. In quattro sezioni si concentrano i quindici anni di carriera del Merisi, dal suo arrivo a Roma intorno al 1595 fino alla morte a Porto Ercole nel 1610. La mostra include opere rare o mai viste in Italia – dal Ritratto di Maffeo Barberini, appena svelato al pubblico, all’Ecce Homo riscoperto a Madrid nel 2021, nonché gemme del collezionismo privato, come la primissima versione su tavola della Conversione di Saulo

Caravaggio è un pittore rivoluzionario, ma anche una personalità provocatoria, un James Dean barocco. È genio e sregolatezza o qualcos’altro?

Non so se riusciremo mai a capirlo fino in fondo nella sua dimensione umana. Abbiamo tante testimonianze anche contemporanee ma non del tutto obiettive. Anche le sue dichiarazioni sono rese in circostanze difficili, per esempio nel processo del 1603 quando fa un elenco dei “valentuomini” per dimostrare che alla fine apprezza quasi tutti i pittori di Roma. Non sappiamo se gli venisse dal cuore. Tra i biografi coevi c’è chi ne fa un eroe del naturalismo e chi un eroe negativo. Da storici, serve capire l’angolazione di chi parla. Ad esempio alcuni affermano che lui detestava copiare gli antichi maestri, poi però troviamo citazioni non soltanto da Michelangelo ma addirittura da Raffaello, il che prova quanto gli rimanesse impresso quel che guardava e che poi trasformava all’interno della sua concezione.

Ha un rapporto anche con la pittura di Annibale Carracci.

Certamente, come nel Mondafrutto, un giovane in camicia bianca che compie un gesto quotidiano. L’opera apre l’esposizione per mostrare gli esordi di Caravaggio che sono complessi. Questa invenzione ha avuto una fortuna inspiegabile, esistono versioni apprezzabili e molte copie dopo

Fino al 6 luglio 2025 CARAVAGGIO 2025

A cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon Palazzo Barberini

Via delle Quattro Fontane, 13 - Roma barberinicorsini.org

in alto: Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1598-1602, olio su tela; 145x195 cm, Roma (IT), Gallerie Nazionali di Arte Antica –Palazzo Barberini, Crediti:Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma (MiC)-Bibliotheca Hertziana, Istituto Max Planck per la storia dell'arte/Enrico Fontolan in basso e a destra: installation view, photo Alberto Novelli & Alessio Panunzi

Beyond Caravaggio, a Londra nel 2017, le nuove analisi fanno convergere su questa versione il maggior numero di studiosi. Fa parte delle collezioni reali inglesi dalla seconda metà del Seicento.

Lo avete messo vicino al Bacchino malato, come lo battezza Roberto Longhi: un autoritratto dell’artista che si ammalò a Roma. Mostra la fiducia che riponeva in sé stesso, ritraendosi come Bacco, il dio dell’ispirazione poetica. Ma è la natura morta presente nei due quadri che li accomuna. Caravaggio arriva a Roma senza un committente né una commissione,

quindi lavora nelle botteghe, più o meno importanti, a volte anche a giornata, facendo la vita degli altri pittori. Eppure inventa la natura morta.

Ma perché Caravaggio, che è morto così giovane e ha lavorato così poco, è studiato così tanto?

La sua riscoperta è ancora molto recente. Nel catalogo di Longhi, che ha aperto gli studi su Caravaggio, e nella mostra del 1951 vediamo inclusi dei dipinti che oggi nessuno attribuisce più al Merisi. Comunque, già negli Anni Venti del XX

Secolo, c’è una nuova attenzione, quasi una sorpresa davanti ai suoi dipinti. Si comincia a notare una qualità che non era stata apprezzata prima. L’immobilità dei soggetti, che vengono inchiodati dalla luce ad un momento della loro vita e che sono come estratti dal fondo nero, che mette in pieno rilievo i corpi. Venne stigmatizzata come mancanza d’azione, ma proprio questa fissità te li fa ricordare per sempre. In questi, Caravaggio costruisce intellettualmente lo spazio e l’azione, da pittore colto.

Come nella celebre decapitazione di Oloferne presente in mostra.

Con il sangue in primo piano e con lo sguardo abbassato di Giuditta, la cui fronte è appena increspata, e con questa tenda rossa che ci sembra, con gli occhi di chi ha visto il Barocco, una tenda teatrale, anche se in realtà era probabilmente soltanto parte della tenda di Oloferne.

Proiettiamo su Caravaggio quello che abbiamo visto e che lui non sapeva?

Tendiamo a vedere solo quello che conosciamo e il Novecento, attraverso la fotografia ed il cinema, ci ha dato la capacità di vedere ed apprezzare in Caravaggio la forza delle sue “istantanee”.

Si può tornare indietro, eliminare tutti i sedimenti della storia e della critica e vedere Caravaggio come lui vedeva se stesso?

Caravaggio è il campione del naturalismo nel Seicento, ha però una luce che è completamente metafisica, che non viene mai da un punto individuabile del quadro. Lui decide di puntarla sui dettagli della scena e delle figure che considera importanti, e ci fa capire che la realtà del pittore possiede un che di soprannaturale.

Lei è una accreditata studiosa del Merisi, quali sono ad oggi gli elementi stilistici che permettono di riconoscere un suo quadro?

Non credo che ci sia una ricetta precisa, per me vale più la sintassi che la grammatica. È vero, lui

magari faceva le unghie sporche e sbagliava la posizione dell’orecchio. Usava preparazioni diverse quando faceva il cinquecentesco oppure quando, successivamente, “ingagliardisce gli scuri”. Bisogna conoscerlo a partire dai quadri certi, come quelli della “rivoluzione” della Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, che la nostra mostra invita a visitare. Dopo il cromatismo ed il tonalismo veneziani, un principio essenziale è quello del rapporto fra la luce e l’ombra. Già i biografi dell’epoca dissero che fosse uno stile facilissimo da imitare.

Tra le opere in mostra spicca anche il Ritratto di Maffeo Barberini...

Quello che Longhi chiamava “il vero Maffeo”. È ritornato da poco a essere visto, e mostra l’immediatezza che Caravaggio ha nei confronti del ritrattato: è un dipinto molto importante per gli studiosi, un punto fermo. L’artista ha eseguito tantissimi ritratti di amici, di chi lo ospitava o lo aiutava. Non li abbiamo più o, forse, non li sappiamo riconoscere fra i ritratti esistenti.

Ma noi sappiamo quante opere del Caravaggio siano rimaste?

Molte attribuzioni non sono condivise. Nelle monografie si va da sessanta a ottantacinque opere; è difficile agganciare i documenti romani ai quadri esistenti, c’è sempre molto da studiare e da lavorare.

Qual era il suo rapporto col disegno? È una bella domanda, sicuramente aveva imparato a disegnare, perché da giovane la madre lo manda in bottega da Simone Peterzano a Milano, un pittore di cui c’è un fondo ricchissimo di disegni nella raccolta del Castello Sforzesco Di un suo disegno di sibilla, Caravaggio si ricorderà ancora per la posa del suo Bacchino malato, ma lui non pratica il disegno in senso tradizionale, non ci sono disegni attribuibili a lui. Probabilmente faceva un disegno colorato già direttamente sulla tela e poi eseguiva il dipinto, riaggiustando alcuni dettagli.

Lei ha scritto un saggio sui quadri perduti, cosa manca ancora?

Le fonti dicono che a Roma, nella collezione di Scipione Borghese c’erano molti quadri di Caravaggio. C’era questa famosa Trinità dipinta dal Merisi di cui abbiamo documenti, ma forse non consegnò il dipinto: è citata almeno fino al 1725. I due quadri del marchese Vincenzo Giustiniani si considerano perduti nell’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino nel 1945, ma è una storia molto strana, perché comunque gli alleati erano già entrati a Berlino e uno dei Monuments men dice che prima dell’incendio, davanti alla torre c’era una folla di personaggi e di soldati. Quindi, chissà.

Robert Mapplethorpe: a Venezia va in scena il primo atto di una trilogia

Marta Santacatterina

Sull’isola di San Giorgio, nei locali delle Stanze della Fotografia, è in corso l’ampia retrospettiva Robert Mapplethorpe. Le forme del classico che celebra, grazie a circa 200 scatti, il noto fotografo statunitense. Perfezionista, provocatorio, talvolta addirittura pornografico, Mapplethorpe non è nuovo a Venezia: già nel 1983 infatti le sue foto furono esposte a Palazzo Fortuny, per tornare nella stessa sede nel 1992 con la curatela di Germano Celant. Ora va in scena la prima puntata – dedicata al rapporto del fotografo con la classicità – di una trilogia: seguiranno infatti, nel 2026, una tappa a Milano, con focus sulla rappresentazione del desiderio, e una a Roma che vedrà come protagonista l’ideale di bellezza.

UN PERCORSO EDULCORATO

Chi si aspetta le fotografie più “hard” di Mapplethorpe potrebbe rimanere deluso dalla selezione edulcorata operata dal curatore Denis

Fino al 6 gennaio 2026

ROBERT MAPPLETHORPE LE FORME DEL CLASSICO

A cura di Denis Curtis

Le Stanze della Fotografia

Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia lestanzedellafotografia.it

in

, Orchid, 1989 © Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission.

Curti il quale pur scrive, in catalogo, “Il sesso è il motore che anima gli ingranaggi della sua produzione creativa”: una scelta motivata per tenere alta l’attenzione sul carattere classicheggiante della ricerca stilistica del fotografo (qualche immagine più esplicita sarà presente a Milano). Scelta assolutamente legittima e funzionale a proporre una nuova lettura del suo lavoro, e lo dimostra un percorso coerente, ricco

e assai piacevole anche grazie a un allestimento colorato, morbido e capace di accompagnare il visitatore scatto dopo scatto. Fa tuttavia un po’ sorridere incontrare una versione patinata di Mapplethorpe proprio nella città che in passato fu un rifugio sicuro per libertini, eretici & co. Apre la mostra un curioso nucleo di collage datati alla fine degli Anni Sessanta, periodo in cui

– spiega Curti – Mapplethorpe non aveva ancora deciso quale medium sarebbe stato perfetto per esprimere la sua creatività. Si tratta di objets trouvés, diorami delicati che sembrano altarini religiosi e solo a uno sguardo più approfondito svelano la provenienza dei ritagli da riviste omoerotiche. A seguire si ammirano tante stampe – tutte vintage – da cui emerge sguardo amorevole e complice rivolto all’amante, compagna e amica Patty Smith: una coppia formidabile, unita da un legame duraturo raccontato dalla poetessa in Just Kids

BODY BUILDERS E ISPIRAZIONI MARMOREE

Ben diverso l’approccio di Mapplethorpe al fisico scolpito della body builder Lisa Lyon, atteggiato in pose che evidenziano la tonicità muscolare. Quasi un preludio alle serie sui nudi maschili, una selezione dei quali è affiancata da riprese di sculture da cui il fotografo ha tratto ispirazione, procedendo poi con un autentico casting per individuare il modello più adatto per reinterpretare a modo suo la classicità e la statuaria antica. Ampia e splendida la sezione sui ritratti e sugli autoritratti, mentre dal nucleo sui fiori spiccano alcune potenti stampe di grande formato. Una chicca: sbirciando in una cassettiera si osservano preziosi documenti, come due audiocassette originali di Patti Smith, riviste, lettere manoscritte di Mapplethorpe al suo mentore e amante, provini a contatto e altre “reliquie” originali.

alto: Robert Mapplethorpe, Italian Vogue, 1984 © Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. a destra: Robert Mapplethorpe

Indagine sulla nuova architettura giapponese al Teatro dell’Architettura Mendrisio, in Svizzera

Nell’anno di Expo 2025 Osaka, il Teatro dell’architettura Mendrisio (TAM) dell’USI indaga l’architettura giapponese contemporanea con una mostra sulla generazione di architetti e urbanisti attiva da dopo il 2011. Progettisti nati tra la metà degli Anni Settanta e la metà degli Anni Novanta che si sono misurati con il terremoto del Tōhoku, il disastro di Fukushima e le loro conseguenze. Con un percorso espositivo scandito in due sezioni (e un ciclo di incontri sul canale Vimeo dell’Accademia di architettura), la mostra a cura di Yuma Shinohara evidenzia le traiettorie progettuali e concettuali che attraversano il Paese asiatico, solido protagonista dell’architettura globale anche grazie al rilevante numero di progettisti insigniti del Pritzker Prize

UNA CONTINUITÀ PROGETTUALE

“Tutti i giovani architetti con cui ho parlato esprimono profondo rispetto per i loro predecessori – molti dei quali sono stati anche loro maestri – e considerano il proprio lavoro come il frutto di una storia architettonica stratificata”, spiega Yuma Shinohara, che sulla relazione tra la generazione in mostra e quella precedente si esprime in termini di “notevole continuità”. Pur venendo meno il modello dell’architetto-autore, “molti architetti contemporanei stanno infatti rivisitando i metodi sviluppati dai giovani architetti degli Anni Novanta, un periodo in cui anche il Giappone stava attraversando una crisi economica. Inoltre, si potrebbe sostenere che gli emergenti di oggi stiano proseguendo lo spirito sperimentale nella progettazione spaziale che aveva caratterizzato la generazione precedente, seppur con nuovi strumenti e approcci”, prosegue.

CONTEMPLARE LA DIMENSIONE DELL’ADATTAMENTO

Lo scenario attuale e le prospettive future indirizzano i progettisti in mostra a contemplare la dimensione dell’adattamento: alle risorse limitate, ai materiali già disponibili, al patrimonio edilizio esistente. Un atteggiamento che lascia margini di espressione all’inedito concetto di “imperfezione”, concepito nell’immaginario collettivo come distante dal contesto giapponese. Tra le sfide imminenti rientra poi quella delle case sfitte: potrebbero essere il 30% del totale entro il 2038. Si tratta di “un problema

serio sia nelle aree urbane che in quelle rurali” indica il curatore, che ha le idee chiare su una potenziale collaborazione tra Italia e Giappone nell’affrontare le comuni criticità legate a denatalità, sismicità e alta aspettativa di vita. “Il primo passo è consentire un maggiore scambio di informazioni. A causa della persistente

barriera linguistica, molto di ciò che accade e di cui si discute in Giappone rimane in gran parte inaccessibile all’Europa, e viceversa. Credo che mostre come questa e istituzioni come musei e università abbiano ancora un ruolo importante – e di fatto una responsabilità – nel facilitare questo scambio, invitando gli architetti a presentare il loro lavoro in altri contesti e svolgendo l’attento lavoro di traduzione (sia in senso letterale che concettuale) in modo che ciò che hanno da dire emerga chiaramente”.

Fino al 5 ottobre 2025 MAKE DO WITH NOW NUOVI ORIENTAMENTI DELL’ARCHITETTURA GIAPPONESE

A cura di Yuma Shinohara Mostra promossa dall’Accademia di architettura dell’USI, prodotta da S AM Swiss Architecture Museum. Teatro dell’architettura Mendrisio (TAM) dell’Università della Svizzera italiana (USI) Via Turconi 25, Mendrisio tam.usi.ch

in alto: GROUP + Yui Kiyohara + Arata Mino, Study

drawing for Ebina Art Freeway, © GROUP a sinistra: GROUP + Yui Kiyohara + Arata Mino, Ebina Art Freeway, Ebina, 2021, © Yurika Kono

LA NATURA della MADRE

The Chanting Mothers

Un percorso d’arte diffuso nel borgo di Malcesine (Lago di Garda), in occasione del rientro della scultura ‘Madonna con Bambino’ , attribuita alla scuola rinascimentale di Donatello.

A widespread art tour in the village of Malcesine on the occasion of the return of the sculpture ‘Madonna con Bambino’ attributed to the Renaissance school of Donatello.

Ideazione a cura di: Claudia Zanfi

OPENING:

Sabato 26 Aprile ore 16.30, Palazzo dei Capitani.

MOSTRA: dal 27 Aprile al 30 Ottobre 2025 Orari 9.30/18.30

Comune di Malcesine

Piazza Statuto, 1 - Malcesine VR Tel. 045 6589111 www.comunemalcesine.it

Opere di: Studio Azzurro

Testi a cura di: Matteo Chincarini

Tutte le mostre da vedere nella Roma del Giubileo. La mappa

SOMETHING IN THE WATER

MAXXI

Fino al 21 settembre, il MAXXI espone il progetto curato dall’artista americano Oscar Tuazon, che esplorando il tema dell’acqua come elemento in grado di resistere a ogni tentativo di essere modellato si insinua nella riflessione sulle politiche ambientali. Rivendicando il ruolo militante dell’arte.

NIKAS SAFRONOV

Città del Vaticano

L’arte contemporanea come strumento per avvicinarsi alla fede. Le opere dell’artista russo appartenenti alla collezione privata di Papa Francesco – che da Safronov è stato anche ritratto – sono esposte durante l’estate presso l’Aula Paolo VI. Un’occasione per vedere da vicino il dipinto inviato nello spazio nel 2022, con la Basilica di San José de Flores di Buenos Aires, dove Jorge Mario Bergoglio iniziò il suo percorso spirituale.

FLOWERS. DAL RINASCIMENTO ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Chiostro del Bramante

Prosegue per tutta l’estate (fino al 14 settembre) la mostra che prende in esame la rappresentazione dei fiori nei secoli per costruire un percorso tra arte, scienza e tecnologia. Dalle nature morte di Jan Brueghel alle creazioni digitali contemporanee.

FRANCO FONTANA. RETROSPECTIVE

Museo dell’Ara Pacis

Franco Fontana, che nel 2023 ha raggiunto il traguardo dei 90 anni, è uno degli autori più amati e imitati della fotografia italiana soprattutto per la sua ricerca sul colore. L’Ara Pacis gli dedica un’ampia retrospettiva, curata da Jean-Luc Monterosso. Fino al 31 agosto.

FRIGIDAIRE STORIA E IMMAGINI

DELLA PIÙ RIVOLUZIONARIA

RIVISTA D’ARTE DEL MONDO

Museo di Roma in Trastevere

Fino al 29 giugno, la mostra omaggio alla rivista d’arte che ha segnato un’epoca, tra gli Anni Settanta e Novanta. Tra poster, fotografie e video.

PICASSO LO STRANIERO

Museo del Corso

Fino al 29 giugno, Palazzo Cipolla indaga nella produzione di Picasso da una prospettiva particolare, fotografando l’artista nella sua “identità” da immigrato in Francia. Con una sezione dedicata alla primavera romana del 1917, trascorsa da Picasso con Jean Cocteau, Erik Satie, Sergej Djaghilev e Leonid Massine.

TRA MITO E SACRO.

OPERE DALLE COLLEZIONI

CAPITOLINE DI ARTE

CONTEMPORANEA

Museo Carlo Bilotti

Una mostra collettiva dalle collezioni capitoline esplora il linguaggio del sacro nell’arte contemporanea, da Mario Ceroli a Sidival Fila. Fino al 14 settembre.

WANGECHI MUTU

POEMI DELLA TERRA NERA

Galleria Borghese

Dal 10 giugno al 14 settembre, la Galleria Borghese ospita, per la prima volta nella residenza del Cardinal Scipione, una mostra dell’artista keniota e americana Wangechi Mutu. Un intervento site-specific sul tema della poesia, sviluppato tra sospensioni, forme frammentate e nuove mitologie.

OMAGGIO A CARLO LEVI. L’AMICIZIA CON PIERO MARTINA

E I SENTIERI DEL

COLLEZIONISMO

Galleria Arte Moderna È la storia di una profonda amicizia e sintonia tra due artisti – Carlo Levi e Piero Martina – a orientare il percorso proposto alla GAM, che copre un arco temporale esteso dagli Anni Venti ai Sessanta mettendo a confronto i loro lavori. In mostra fino al 14 settembre.

MARIO GIACOMELLI. IL FOTOGRAFO E L’ARTISTA Palazzo delle Esposizioni

Dal 20 maggio al 3 agosto, l’Archivio Giacomelli coinvolge il Palazzo delle Esposizioni nel progetto diffuso che celebra il centenario della nascita del fotografo e pittore marchigiano. Qui con oltre 300 stampe originali di Giacomelli, molte inedite e mai esposte e un focus sulle sue relazioni con le arti visive contemporanee.

BAROCCO GLOBALE. IL MONDO

A ROMA NEL SECOLO DI BERNINI

Scuderie del Quirinale

Nel Seicento, Roma è centro catalizzatore di esperienze artistiche e culturali capaci di lasciare il segno nei secoli a venire. Cento opere dei più grandi artisti del Barocco restituiscono questa temperie, raccontando l’influenza della scena culturale cittadina sulle arti dell’epoca. Fino al 13 luglio.

CARAVAGGIO 2025

Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini

C’è tempo fino al 6 luglio per visitare la mostra più chiacchierata dell’Anno Giubilare. Una passeggiata tra capolavori e opere meno note di Michelangelo Merisi, con importanti prestiti internazionali, per comprendere la rivoluzione del linguaggio caravaggesco.

SALVADOR DALÌ.

TRA ARTE E MITO

Museo Storico della Fanteria

Disegni, sculture, ceramiche, boccette di profumo, incisioni, litografie, documenti, libri, fotografie. Tutto contribuisce a calarsi nel mondo surrealista di Salvador Dalì, di cui sono riunite a Roma circa 80 opere, provenienti da collezioni private di Belgio e Italia. Fino al 27 luglio.

MILANO

Fino al 18 maggio

GEORGE HOYNINGEN – HUENE

Glamour e Avanguardia

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

fino all’8 giugno

SHIRIN NESHAT

Body of Evidence

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea pacmilano.it

Fino al 22 giugno

LEONOR FINI

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

Fino al 29 giugno

CASORATI

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

TORINO

Fino al 2 giugno

HENRI CARTIER

Bresson e l’Italia

Camera Centro italiano per la Fotografia camera.to

fino al 25 agosto

VISITATE L'ITALIA!

Promozione e pubblicità turistica 1900-1950

Palazzo Madama - Museo Civico d'Arte Antica di Torino palazzomadamatorino.it

Fino al 7 settembre

CARRIE MAE WEEMS

The heart of the matter

Gallerie d'Italia gallerieditalia.com

PIACENZA

fino al 29 giugno

GIOVANNI FATTORI 1825 – 1908

Il ‘genio’ dei Macchiaioli XNL Piacenza xnlpiacenza.it

BRESCIA

Fino al 15 giugno

LA BELLE ÉPOQUE

L’arte nella Parigi di Boldini e De Nittis

Palazzo Martinengo mostrabelleepoque.it

fino al 24 agosto

JOEL MEYEROWITZ - A Sense of Wonder

Museo di Santa Giulia bresciamusei.com

GENOVA

fino al 13 luglio 2025

GIORGIO GRIFFA. DIPINGERE

L’INVISIBILE

Fino al 19 luglio 2025

VAN DYCK L'EUROPEO. Il viaggio di un genio da Anversa a Genova a Londra Palazzo Ducale palazzoducale.genova.it

FIRENZE

fino al 20 luglio

TRACEY EMIN

SEX AND SOLITUDE

Palazzo Strozzi palazzostrozzi.org

Fino al 14 settembre 2025

THOMAS J PRINCE MARION BARUCH

Museo Novecento museonovecento.it

NAPOLI

fino al 22 luglio

TOMASO BINGA. EUFORIA

Museo Madre madrenapoli.it

Fino al 30 settembre 2025

TESORI RITROVATI: storie di crimini e di reperti trafugati

MANN – Museo Archeologico Nazionale museoarcheologiconapoli.it

ROVIGO

Fino al 29 giugno

HAMMERSHØI E I PITTORI

DEL SILENZIO TRA IL NORD

EUROPA E L’ITALIA

Palazzo Roverella palazzoroverella.com

VENEZIA

fino al 31 agosto

ARTE SALVATA Capolavori oltre la guerra

dal MuMa di Le Havre

M9 – Museo del ‘900 (Mestre) m9museum.it

fino al 15 settembre

MARIA HELENA VIEIRA DA SILVA

Anatomia di uno spazio

Peggy Guggenheim guggenheim-venice.it

fino al 23 novembre

THOMAS SCHÜTTE Genealogies

Punta della Dogana pinaultcollection.com/palazzograssi

fino al 4 gennaio 2026

TATIANA TROUVÉ

La strana vita delle cose

Palazzo Grassi pinaultcollection.com/palazzograssi

Fino al 6 gennaio 2026

ROBERT MAPPLETHORPE

MAURIZIO GALIMBERTI

Le Stanze della Fotografia lestanzedellafotografia.it

FORLÌ

Fino al 29 giugno

IL RITRATTO DELL'ARTISTA

Museo Civico San Domenico mostremuseisandomenico.it

Fino al 4 maggio

CELEBRATING PICASSO

Palazzo Reale  federicosecondo.org

BOLOGNA

Fino al 30 giugno 2025

CHE GUEVARA TÙ Y TODOS

Museo Civico Archeologico museibologna.it

Fino al 15 giugno 2025

ANTONIO LIGABUE La grande mostra Palazzo Albergati palazzoalbergati.com

Fino al 7 settembre

FACILE IRONIA. L'ironia nell'arte italiana tra XX e il XXI Secolo

MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna museibologna.it

Fino al 4 maggio

TONY CRAGG

Infinite forme e bellissime

Terme di Diocleziano  museonazionaleromano.beniculturali.it

Fino all’11 maggio

BRANCUSI: SCOLPIRE IL VOLO

UCCELLIERE FARNESIANE

Parco Archeologico del Colosseo colosseo.it

Fino al 6 luglio

CARAVAGGIO 2025

Palazzo Barberini barberinicorsini.org

Fino al 31 agosto

L’ARTE DEI PAPI.

Da Perugino a Barocci

Castel Sant’Angelo direzionemuseiroma.cultura.gov.it

ROMA
PALERMO

M E T A G A L L E R Y L’ARTE NELL’ERA D IGITAL E

A NCON A T EA TRO D E LL E MU S E

Comune di Ancona

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