Artribune Magazine #46

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OSSERVATORIO ILLUSTRATORI

NEWS

NOVEMBRE L DICEMBRE 2018

#46

ROBERTA VANALI [ critica d’arte e curatrice ]

FILIPPO VANNONI filippovannoni.portfoliobox.net

Classe 1990, bolognese residente a Cattolica, Filippo Vannoni inaugura questa rubrica realizzando per Artribune Magazine tre illustrazioni, una che trovate qui sopra e altre due per le rubriche Duralex e Gestionalia. Ha esordito illustrando tavole da skate per poi cimentarsi nel disegno su carta e successivamente nella grafica digitale. Le sue sono visioni fatte di incubi. Di atmosfere oscure, stranianti e deliranti. Trasgressivo e disincantato, dà sfogo ai suoi deliri tramite un alter ego, con un work in progress su Instagram. L Chi è Filippo Vannoni? Un illustratore e graphic designer appassionato del suo lavoro, alla continua ricerca della controcultura e dell’estremismo. Come nasce la tua passione per l’illustrazione? Fin da bambino, disegnare è sempre stata l’unica cosa che sapevo fare bene. Penso che il momento di start sia stato appassionarmi di skate e delle copertine dei dischi punk. Le grafiche delle tavole da skate erano per me qualcosa di eccezionale. Compravo la rivista 6:00 am dove, oltre interviste e foto, c’erano le grafiche che ricopiavo fino allo sfinimento. L’altro passaggio fondamentale è stato andare al fiume ogni giorno a guardare i murales di enko4 e della CLA crew, che fotografavo con la macchina usa e getta per poi cimentarmi a disegnare i miei pezzi. Non so se la passione possa essere nata tra questi due passaggi, ma sicuramente hanno alimentato il mio stimolo nel disegnare. Cosa cattura la tua attenzione nel mondo che ti circonda? Di casa esco poco e niente di giorno. Alla notte mi piace uscire in bici e cercare storie. Adoro il disagio fuori dalle discoteche della riviera, le risse nei bar tra gli avanzi di cervelli dei cosiddetti anni d’oro. Ma il fascino maggiore lo esercitano gli edifici abbandonati, dove mi piace entrare a curiosare per trovare muri sui quali fare graffiti o stanze dove organizzare party.

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Da dove provengono le visioni che riporti su carta? Dagli incubi che la mia psiche partorisce e mi mostra su carta. Difficilmente parto a disegnare se non ho un modello. Nella maggior parte dei casi il modello

è un altro genere che ascolto durante il processo creativo. Per quanto riguarda l’illustrazione, il mio occhio casca sul mondo del tatuaggio e dell’autoproduzione principalmente, o almeno su artisti che hanno mantenuto un segno non digeribile da tutti, tipo 108, Alfano, Dottor Pira, MOMO, Goatfuker, Céline Guichard, Cane Morto, Murdo, Eterno, David Shrigley, Piet Du Congo e altri. Il cinema non è la mia passione ma grande ispirazione mi è data dal cinema horror, del quale apprezzo i film di bassissima lega. Per me la Troma è la miglior casa di produzione cinematografica.

Filippo Vannoni per Artribune Magazine © Filippo Vannoni

base è una o più sovrapposizioni di macchie – possono essere inchiostro, tempera, acrilico, spray o altro – ma quello che in quel momento la mia testa interpreta di quella macchia lo disegno sopra. Ne escono sempre disegni abbastanza mostruosi e oscuri. Descrivi il processo creativo che ti conduce a un’illustrazione. Per quanto riguarda il digitale, spesso il processo “creativo” è quello di trovare una foto su una piattaforma social online, salvarla e modificarla il più possibile. Il processo di mutazione spesso segue una strada abbastanza delineata. A volte lo stesso procedimento può essere svolto con i miei disegni manuali scansionati. Anche l’illustrazione manuale ha un suo rituale, che consiste nel far del dripping su fogli da acrilico. L’ispirazione nasce dalle macchie e la mia interpretazione ne è il risultato finale. Qual è il tuo sogno? Avere successo con quello che faccio e che mi rappresenta mantenendo la mia identità, senza dover cambiare e mercificarmi per il volere di terzi. Quali sono tuoi modelli per quanto riguarda illustrazione, cinema e musica? La musica è fondamentale quando lavoro. Adoro il genere noise, un genere super sperimentale dove spesso gli strumenti sono “do it yourself”. I live spesso sono vere e proprie performance. Sulla stessa scia sperimentale, la breakcore

Oltre alle matite ti affidi anche alla grafica digitale. Quale ti è più congeniale? Il computer è il mio laboratorio portatile, una sorta di fabbrica dei mostri, mi fa sentire un alchimista digitale. Ma, nonostante sia una sperimentazione e mi affidi a quello che si forma dal glitch o dal crash, il risultato è abbastanza calcolato. Perché, a differenza dell’opera manuale, il programma è più macchinoso da piegare al mio volere e mi approccio con idee chiare su cosa dovrà uscire. Il processo creativo è sempre comunque un divenire, però ecco, sono variazioni che non stravolgono totalmente l’idea dalla quale si parte e alla quale si vuole arrivare. Oggi, per non perdere la manualità nel disegno, ma per non perdere nemmeno le nozioni imparate per i programmi digitali, mi piace fare un bel mix tra digitale e analogico. Aggiungo frammenti digitali a disegni analogici o glitcho il disegno manuale e poi lo faccio diventare talmente astratto che diventa una texture su un’immagine per un flyer, per esempio. A quale progetto lavori attualmente e quali sono quelli futuri? Sto lavorando a Goro. È il lavoro infinito del mio alter ego Oleg Kuru, per Instagram. Nasce nel 2017 come sfogo, poi ha iniziato a prendere forma come diario fotografico e video-documentario. Goro si sviluppa in edifici abbandonati o in costruzione, sotto i ponti e sui binari delle stazioni. Non tratta politica né temi “importanti”, non deve valorizzare i muri che segna, è nato in maniera violenta e illegale e così rimarrà: quella è la sua natura. Per quanto riguarda il futuro, ho in mente un brand che vada dal magazine al vestiario. Ma il futuro al momento è lontano.


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