Artribune Magazine 22

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PAOLA ANGELINI

La mia ricerca pittorica si è sempre interfacciata con la crisi, non subendola ma inglobandola, perché faccio parte di una generazione che non ha mai conosciuto alternative. Il mio lavoro e la

crisi economica non sono due realtà che camminano parallele, ma sono l’una dentro l’altra: il mio atteg-

giamento verso il lavoro è frutto del contesto. Non voglio credere agli alti e bassi di un sistema che ti accetta o ti tiene fuori. All’incirca cinque anni fa sono tornata nel paese in cui sono nata, San Benedetto del Tronto, e per necessità ho iniziato a dipingere in un garage vicino casa. Per bisogno e poi per scelta ho ritrovato la concentrazione e una possibilità nuova. Fino a scegliere di condividere lo studio con altri amici pittori e creare da un’iniziale difficoltà un luogo di lavoro e di condivisione che sono stati determinanti. Nella crisi è emersa la reale necessità di continuare ad agire al di fuori di regole prestabilite.

ANDREA MASTROVITO

Quando la crisi iniziò, qualcuno mi disse che sarebbe stata una sorta di “igiene del mondo”, ovvero avrebbe eliminato la fuffa e lasciato in piedi solo i migliori e i più meritevoli. Oggi possiamo dire che in realtà la crisi non ha favorito i migliori, ma i più ricchi, e l’Italia, in questo momento, non fa certo parte della categoria dei “ricchi”. Forse neanche dei migliori, ma questo è ancora tutto da dimostrare. Una cosa, comunque, non manca agli artisti italiani: l’intraprendenza. In assenza di uno Stato forte, di istituzioni museali forti, di gallerie forti, negli ultimi anni molti artisti hanno deciso di prendere l’iniziativa e portare avanti il loro discorso al di fuori del classico schema artista + curatore + galleria = mostra = soldi, ormai crollato. La loro risposta alla crisi è stata non tanto strategica quanto strutturale all’opera: una riduzione del linguaggio ai mi-

nimi termini per poter partire a ricostruire, poi, dalle macerie.

Penso a Marinella Senatore che apre una scuola. A Giuseppe Stampone e ai suoi alfabeti. Ad Alessandro Bulgini e ai suoi disegni con i gessetti per strada, ad Alice Cattaneo e alle sue sculture che scavano l’assenza, o ancora a Tosatti che riporta alla vita i luoghi abbandonati nelle città, a Vascellari che stabilisce Vittorio Veneto come campo base e ci porta tutto il mondo. O ad Adrian Paci che scava letteralmente le radici della nostra cultura. In fondo anche il mio ritorno al disegno, e alla strada, è una risposta naturale alla crisi.

LUCA POZZI

La ricerca di percorsi alternativi è una prerogativa di questo stile di vita. Se non credessi nella possibilità di fare le cose diversamente, lavorerei alle poste. Il mio rapporto con il mercato nasce parallelamente alla crisi, quindi è difficile scorgere le differenze del prima e del dopo; per me sono stati anni generalmente euforici. Ho iniziato la mia ricerca in un clima di fiducia inaspettata, un periodo in cui ho conosciuto collezionisti, che poi sono diventati buoni amici, ho collaborato con aziende, che mi hanno dato opportunità produttive inaspettate, ho esposto in re-

altà di mercato internazionali, notando un pragmatismo e una determinazione maggiori rispetto al contesto italiano.

Quello che sembra essere paradossale è il rapporto con i musei, ma non so se sia da imputare o meno alla crisi. La volontà di realizzare progetti esiste, ma la capacità di produrli non va di pari passo. Io proprio non riesco a fare mostre a costo zero e per quanto le gallerie con cui lavoro siano di sostegno, non si può versare acqua nel latte del gatto.

GOLDSCHMIED & CHIARI

Siamo abituate alle crisi e pensiamo che la difficoltà sia un elemento vitale e necessario. Abbiamo sempre lavorato con il minimo indispensabile. Il rifiuto e il rimosso sovente diventano opera nel nostro lavoro. A nostro parere la mancanza di fondi per le istituzioni diventa risorsa e creatività solo nella misura in cui le stesse hanno la possibilità di essere flessibili e sono guidate da visioni utopiche e forti. Nella maggior parte dei casi resta un grande limite, soprattutto in strutture costose e spettacolari. Infon-

dere linfa vitale, suggerendo strategie di sopravvivenza e rinnovamento, è una responsabilità di noi artisti. Tra questi percorsi alternativi possiamo citare la mostra There is no place like home, durata tre giorni e tre notti, organizzata da un gruppo di artisti in un cantiere alla periferia di Roma e sostenuta da pochi sponsor. In quell’occasione il cantiere è diventato un luogo simbolico di incompiutezza e costruzione di senso, dove l’arte è vitale, libera. Pura esperienza.

H.H. LIM

Non posso dire di aver sentito un grande cambiamento in questo periodo. Penso di avere sempre seguito percorsi alternativi, visto che una parte dei miei guadagni deriva da lavori commissionati, sia da enti pubblici che da collezionisti privati, in modo diretto oppure attraverso l’intermediazione di gallerie o musei. Credo quindi di avere una relazione piuttosto particolare con tutti i diversi referenti che, prima ancora che per acquistare una singola opera, si rivolgono a me per un’analisi, una riflessione su una particolare realtà.

In passato il mercato esaltava un artista sempre dopo una lunga esperienza di ricerca. Invece oggi ha rovesciato questa visione, creando un nuovo punto di vista che condiziona l’artista, spingendolo a falsificare la propria creazione per inseguire il successo economico. Per un artista è importante avere un valore ma, quando questo valore diventa un condizionamento, rischia di portare una falsa testimonianza del nostro tempo verso il futuro. È chiaro che per vivere e per produrre c’è bisogno di denaro, però il mercato non può essere l’unico strapotere che domina il mondo dell’arte. La parola crisi, che in questi ultimi tempi ci siamo abituati a sentire quotidianamente, è per un artista il pane quotidiano. L’artista per la società equivale a una persona disoccupata, non ha mai avuto il diritto istituzionale di fare pratiche burocratiche e perfino la banca non riconosce il suo ruolo. È impossibile avere un prestito per chi fa un mestiere come quello dell’artista visivo. Sospetto quindi che la crisi sia una

che relazioni così privilegiate non nascono tutti i giorni, ma quando accadono generano una ricchezza inestimabile.

pulire il nostro corpo, avvelenato da migliaia di virus che stanno uccidendo anche la nostra morale. Non sappiamo da dove iniziare ma sappiamo che così non possiamo andare avanti. Cominciare con la testa smontata è sempre meglio di essere montato di testa.

GEA CASOLARO

Questa analisi solo in un secondo tempo, dopo una permanenza sul territorio, diventa un’opera, ogni volta diversa e personalizzata, che nasce dalla relazione con la specificità del committente. È chiaro

novità per tutti gli altri, perché noi artisti ci conviviamo da sempre. La crisi, comunque, è un’opportunità per

TALK SHOW 35


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