Supplemento n° 2 al freepress Le Periferie a cura dell’Ass. Cult. Arrivo APS
Dopo 15 numeri del freepress Le Periferie, abbiamo ritenuto opportuno proporvi una selezione di poesie frutto di una raccolta settimanale dove, ogni domenica, l’attore e regista Daniele Timpano ci inviava un brano. Quello che andiamo a presentare è un filotto di 11 poesie, ricevuto in ordine cronologico. Vorremmo, nel nostro intento, ridare un posto centrale alla poesia, relegata troppo spesso ai margini, o troppo spesso abusata. Il poeta, si sa, è colui che da due punti distinti riesce a vederne uno solo, capace cioè di coniugare lo spazio e il tempo personale con quello eterno, grazie alla parola fermata, perché scritta.
Poesia in periferia è stata una rubrica che ci ha accompagnato per i primi dieci numeri del freepress. Abbiamo ritenuto opportuno riprenderla, ampliarla, darle voce e, in qualche modo, centralizzarla, pur costituendo un supplemento, come giusto che sia qui, ora. Questo è il secondo numero!
Lanciamo un appello: spediteci le vostre opinioni, i vostri pensieri, le vostre composizioni letterarie per crescere insieme e dare voce a chi ne ha poca e roca, cercando di rendere visibile l’invisibile, per una volta. Usciamo dall’isolamento e con delicatezza lasciamoci andare, cooperiamo e sosteniamoci a vicenda. Insieme è meglio.
Noi non abbiamo certezze, non proponiamo sicurezze. Mettiamo la passione, la voglia, il tempo, l’energia per emozionarci per un no, per andare avanti, per farci contagiare dall’innominabile, dall’impensabile, dal non programmato, non aspettato. La sorpresa sta dietro l’angolo, va colta, mangiata e digerita.
E frutta un verbo, essere.

Vedo la spina con la rosa
In questo fiore che mi offrite
La rosa è il vostro complimento, La spina, nel ringraziamento.
Sono i miei versi così poca cosa
Di fronte alla bontà che mi elargite
Onde natura accuso, ed il destino,
Al lauro che le fronti illustri sposa
D'essere alieno; e con tremore,
Oh, quale immeritato onore,
D'ambito accesso al bel giardino
L'insegna colgo, in una rosa.
Maximilien de Robespierre, Je vois l'épine avec la rose, 1780 (Traduzione di Federico Zardi)
Aveva alle guance le grinze di una poltrona di cuoio dopo che si è alzata una grassa mercantessa tempie ventose e rospi ai timpani nuca rósa dai gatti e gola tagliata alle orecchie guanti vuoti in vece di mani con lo sguardo cieco guardava dentro pupille illuminate dal fosforo dell'orrore che gli accendeva la spina si mungeva da solo e succhiava le proprie mammelle con un'unghia nell'ombelico grattava l'intestino accecato sostituiva i fanali spenti con teste vuote incendiate piazzava a frangitraffico il suo nero sesso eretto...
Visitando necropoli con donne viene l'ora del tè: già il pomeriggio
è andato. E s'avvicina l'ora di cominciare un nuovo amore e insieme l'ora di finirlo.
Così passa l'età. Chissà se un segno lasceremo, magari senza accorgercene: una pietra squadrata tra le pietre dell'enorme piramide, o una spoglia d'ossa in un loculo.
Italo Calvino, 1962
Dall'ombre che hanno invaso il piano giungono voci confuse di una folla d'una gran folla che leva in alto una selva di mani mani tristi e impure, mani che hanno tracce di sangue, mani adunche e violente, mani che han maledetto, che han percosso e tradito che conobbero tutte le vergogne.
Pace, pace per un istante prima che la notte venga, bieca dei tristi fantasmi del rimorso e degli orridi segni.
Pace per un attimo solo prima che si spenga il sole
Archita Valente, 1906
Strega d’agosto, luna, girarrosto o sega arruginita o moneta fallita di falso argento!
Senza denti, dentiera, tu balli nella bocca nera della notte stracotta al grasso di lagune!… Lanciami una fune, luna!
Non offesa da te, ma sospesa a te, sarò alata amata
dal vento con sentimento.
Filippo Tommaso Marinetti, Canzone dell’impiccata dilettante, da "Il tamburo di fuoco", 1920)
se vinci nel mondo vince il mondo vince l'immondo siete divinità che si accontentano del fumo e se ci lascerete la polpa non sapremo cosa farcene impegnati come siamo a guardare verso l'alto a guardarvi senza vedere nient'altro che le nostre offerte votive diradarsi nell'atmosfera nell'attimo dove la spera alta gira e la testa può perdersi ancora per il profumo remoto poi verranno altre abitudini a sottrarci all'illusione di aver dimenticato la strada la direzione la differenza sottile tra lo stare sotto e il sottostare
Dario Tomasello, da Cronicario, 2023
Chi dice che Mazzini è in Alemagna, chi dice ch’è tornato in Inghilterra, chi lo pone a Ginevra e chi in Ispagna, chi lo vuol sugli altari e chi sotterra.
Ditemi un po’, grulloni in cappa magna, quanti Mazzini c’è sopra la terra?
Se volete saper dov’è Mazzini, domandatelo all’Alpi e agli Appennini.
Mazzini è in ogni loco ove si trema che giunga a’ traditor l’ora suprema.
Mazzini è in ogni loco ove si spera versar il sangue per l’Italia intera.
Francesco Dall'Ongaro, Mazzini è in ogni loco, 1851 (Addì 10 marzo 2024, 154° anniversario della morte)
In vita ero ’na nota cravattara, ner senzo che prestavo sòrdi a strozzo, e ancora mó me resta appesa ar gozzo ’sta fama buja, ar bujo de la bara.
Vivevo proprio ’n fonno a la Lungara dentro a ’na casa scura come ’n pozzo a ricontà ’ggni giorno er montarozzo dei sòrdi de la gente ch’è somara.
Ma ’n giorno du’ fijacci de mignotta me so’ ’mboccati ch’ero appennicata: se so’ fregati tutto… aho, che botta!
E allora co’ ’na corda, disperata, ciò fatto ’na cravatta bella ciotta l’ho appesa a ’n trave e me ce so’ ’mpiccata.
Graziano Graziani, La cravattara, da "Er Corvaccio e li morti", 2022
Nel dormiveglia
vedevo
un essere duplice
Sdraiato lui
e lei in piedi uniti
così che
solo con i piedi della donna
ai suoi piedi
l'uomo
si sarebbe sollevato
e lei pur ritta
avrebbe potuto camminare
solo con i piedi dell'uomo
Restavano dunque immobili
Christa Wolf, Colpevole, 1987
È cinto da un muro ch'è alto tre spanne, la via lo circonda.
Di fuori si vedon le frutta mature.
Son alberi grandi che piegano i rami dal peso possente dei pomi.
I pomi maturi riluciono al giorno.
Nel mezzo dell'orto v'è un mucchio di sassi, di pietre ruinate:
v'è sotto sepolta la vecchia padrona dell'orto.
Aveva cent'anni la vecchia viveva nell'orto, viveva di frutti, soltanto di frutti.
La gente al narrarlo fa il segno di croce.
Nessuno à mai colto quei frutti nessuno à varcato quel muro.
Soltanto alla sera
vi ridon civette a migliaia.
E cadono e cadono i frutti maturi, s'ammassano ai piedi dei tronchi robusti s'ammassan s'ammassan mandando profumi soavi.
Aldo Palazzeschi, L'orto dei veleni, 1905
Fossi soltanto un cacciatore nei boschi, o per lo meno un soldato, anche soltanto un po' uomo, il cielo mi darebbe consiglio;
Invece siedo serena e quieta, come un bambino bene educato, e solo nascosta sciolgo i capelli e li faccio volare nel vento!
Annette von Droste-Hülshoff, 1841-1842
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Redazione: Nicola Castellini; Chiara Dionigi (Cesvol Perugia)
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