Gioca Estate 4 - Narrativa

Page 1

Rosa Dattolico

Amici delL’ambiente

ARDEA

QUASI UN GIALlO 4


LA PARTENZA “Niente di nuovo all’orizzonte. Sarà la solita estate”, mi ripetevo. Intanto, tutti i miei amici erano già partiti per le vacanze e io mi annoiavo sognando ad occhi aperti terre lontane, mari sconfinati e... un sacco di avventure. A peggiorare la mia condizione era stata la visione di un film di pirati in cui la protagonista, una ragazzina della mia età, riusciva a tener testa a una ciurma di marinai, dei poco di buono. «Martina, dai un’occhiata a Daniele, cerca di non farlo cadere, gioca un po’ con lui e raccontagli qualche storiella divertente. Di te mi posso fidare perché sei molto giudiziosa!». Avrei voluto rispondere alla mamma che il giudizio l’avevo perso e che non avevo intenzione di cercarlo e, intanto, per calmare la piccola peste, ero costretta ogni volta a inventare spaventosissime storie che avevano un effetto sorprendente sul mio fratellino riuscendo miracolosamente a calmarlo all'istante.

2


3


E così trascorrevo le giornate. Alcuni giorni mi svegliavo con la voglia di riaddormentarmi, a volte capitava che per sollevarmi il morale scrivessi una pagina di diario, l'unico cui potessi confidare le mie pene. Ma una mattina la mamma mi tirò giù da letto. – Di là c’è la tua compagna Camilla con la sua mamma, datti una mossa e non farle aspettare. Ancora assonnata, le raggiunsi in salotto raggiante di gioia. Camilla mi venne incontro e mi abbracciò. – Tua madre ha detto di sì e anche tuo padre è d'accordo. Per noi due sarà un’estate piena di avventure, ne sono convinta. I miei partiranno e noi resteremo al castello – mi disse spalancando gli occhi. Rimasi frastornata da quelle parole: «d’accordo su cosa?!» – Corri in camera e prepara la valigia – mi esortò la mamma. “La valigia?! Forse è una scusa... vogliono mandarmi in collegio dalle suore... Camilla sta recitando bene la sua parte... ma io in collegio non ci andrò mai, nemmeno se mi costringeranno. Le suore non vedranno mai la mia faccia!”.

4


Rimasi seduta sulla sponda del letto riflettendo a lungo sulle parole della mia amica e, a dire il vero, tutto mi sembrava molto confuso e strano. La mamma entrò in camera, mi guardò come se fossi un frutto andato a male e incominciò a preparare la valigia. – Ringrazia la mamma della tua compagna e cerca di essere gentile, è una signora così a modo. Vestiti, perché loro hanno fretta – mi disse a denti stretti – ma prima lavati senza risparmio. Dopo appena pochi secondi salutai la mamma e mio fratello, ringraziai con un sorriso Camilla e partimmo. – La mamma ci accompagnerà in un antico castello dove conoscerai mio nonno, mia zia Caterina Giovanna Maria Cristalda e il suo cane Velen. Mio nonno soffre di passeggiate notturne. – Perché gli piace il buio, vero? – No, perché deve raggiungere il bagno, odia il pannolone, ne ha una montagna. Il medico ha insistito affinché lo indossasse, mia zia era quasi riuscita a convincerlo, ma lui ancora oggi si ostina a non metterlo. «Sembro un paggetto e ciò mi rende ridicolo»

5


dice; e così preferisce vagare di notte come un fantasma in pena. E poi ti avviso che mio nonno ha sempre un occhio rivolto verso est. – Forse gli piace vedere l’alba e il sorgere del sole. – Macché! L’ultimo infarto gli ha lasciato la bocca un po’ storta e l’occhio destro che strizza spaventosamente quando è particolarmente nervoso. “È proprio ridotto male, poveraccio”, pensai. “Mi fa una grande pena”. Una volta ho chiesto a mio nonno se mi comprava la Barbie subacquea e lui mi ha risposto che ero abbastanza grande e che era ridicolo giocare con le bambole. – Ma con chi dovrei giocare? – gli ho chiesto, – considerando che non ho né un fratello né una sorella e, poi, francamente mi piacerebbe perdere un po’ di tempo con dei giochi da bambini visto che ho appena otto anni. – E lui cosa ti ha risposto? – Mi ha detto che l’età non conta e che lui a otto anni era già un uomo pronto a sfidare le avversità della vita. Ci credo poco dato che una volta, mentre eravamo nel bosco, si allontanò a gambe levate appena sentì strisciare qualcosa

6


tra il fogliame. – E tu cosa facesti? – Rimasi lì finché non arrivò mio padre, che mi riportò al castello. – E tuo nonno cosa disse appena ti vide? «Sei viva? Sia ringraziato il cielo! Ero convinto che una vipera mi avrebbe morso e tu non avresti più potuto riabbracciare il tuo nonnino. Finalmente sei qui, mio piccolo raggio di sole».

7


IL CASTELLO Durante il viaggio pensavo al nonno di Camilla; vi fu una pausa di silenzio. La mia compagna guardava dal finestrino gli alberi che si intrecciavano e ogni tanto sbuffava. – Ancora pochi chilometri e raggiungeremo il castello – disse sospirando la mamma della mia amica. Mentre continuavamo a salire, una curva dopo l’altra, osservavo dal finestrino la campagna: sembrava che friggesse per il caldo e il frinire incessante delle cicale. – Ci siamo quasi – disse Camilla, puntando l’indice verso i merli di mattoni. – Quella lassù è la banderuola di ferro. Dopo qualche minuto eravamo all’ingresso del castello. – Ma è bellissimo! – esclamai, guardando la mia amica. Lei fece una risatina: – È un castello con lunghe gallerie sotterranee, io non le ho mai visitate ma un giorno ci andremo. Ci accompagneranno il giardiniere Attilio e Velen il cane di mia zia – disse convinta.

8


9


Intanto, rimasi con il naso all’insù: “È stupendo!”, mi ripetevo osservando le alte mura del castello. Ci accolse la cameriera Ilde vestita di nero che somigliava a un piccolo merlo. Era minuta e molto sveglia, prese la mia valigia per portarla di sopra. Mi chiamò “signorina”, mettendomi in soggezione. Subito dopo apparve un signore secco secco e tutto naso. Mi trattenni dal ridere quando scoprii i suoi baffetti di sorcio spelacchiato e i capelli impomatati e saldamente incollati alla testa. “Sembra finto... quasi di plastica”, pensai dandogli un’ultima occhiata. – Lui è il cuoco-cameriere, è molto bravo nel preparare certe brodaglie “sonore” che piacciono tanto a mia zia, ma che io e il nonno detestiamo. Si chiama Remigio. Lui, mio nonno, non mastica, beve solo intrugli aspirandoli con la cannuccia. Più tardi conobbi la zia di Camilla, mentre scendeva le scale: il tic tic tic dei suoi sandali col tacco mi fece salire il cuore in gola, l’attesa mi sembrò interminabile. Finalmente feci la sua conoscenza con una stretta di mano:

10


– Mi fa tanto piacere conoscerla, signora – dissi con un sorriso. – Sono la zia di Camilla e mi chiamo Caterina Giovanna Maria Cristalda e lui è il mio fidato Velen – e, così dicendo, gli fece una interminabile carezza dalla testa alla coda. Dico interminabile perché il cane in questione era grande quanto un asino con l’espressione attenta di una guardia del corpo. Rimasi senza respiro quando mi puntò addosso gli occhi e, mentre mi mostrava la lingua, rimasi accecata dai suoi denti affilati come coltelli da macellaio.

11


Ebbi un tuffo al cuore. Lo sentii battere in gola, forse fra le tonsille, e subito dopo cadere con un tonfo giù e andare a finire chissà dove. – Sei di sicuro l’amica del cuore di mia nipote – disse con tono sostenuto e aggiunse: – In questa casa vengono rispettate alcune regole che ben presto conoscerai – e si allontanò, seguita da Velen. Subito dopo io e Camilla fummo affidate alle cure di una governante, la signora Penelope che, su richiesta della zia di Camilla, ci fece indossare due buffi vestiti a quadri con un grande colletto bianco e raccogliere i capelli in due trecce che sembravano code di topo. – Sono ridicola! – dissi specchiandomi. – Se mi vedessero i miei, non mi riconoscerebbero. – I miei genitori mi ripetono di non contraddire la zia e di accettare le sue strane idee, ma io mi vesto sempre come voglio. L’indomani, a colazione eravamo tutti a tavola. C’era anche il nonno, il signor Ottavio che, nonostante il suo strabismo forzato, ci guardava con un'espressione compassionevole, a differenza della zia Caterina Giovanna Maria Cristalda che ci lanciava di tanto in

12


tanto occhiatine di ammirazione e ripeteva, sorseggiando il tè, parole sconclusionate:

– Ordine e compostezza. La compostezza è segno di buona educazione. Il disordine può sfociare in una sciatteria confusionaria. Dove regna l’ordine, ogni strada che si profila all’orizzonte è la via da seguire. Dove c’è ordine lì ci sono pace e decoro. – Fingi di ascoltarla, ma non farci caso. Di buon mattino, a colazione, fa sempre così, ma a pranzo e a cena rimane di solito in silenzio, più muta di un pesce. Povero nonno! Anche lui si è abituato alla predica del mattino, ma gli costa fatica zittirla in quanto le parole gli escono con difficoltà. L’unico che ascoltava senza dare segni di insofferenza era Velen, che osservava ogni nostro movimento, persino il tragitto della forchetta dal piatto alla bocca. Quando la zia si allontanò con la sua guardia del corpo, che scodinzolava al suo fianco felice, mi venne spontaneo chiedere: – Credo che tua zia abbia le valvole del cer-

13


vello un po' fuse, non credi? In quel momento, nonno Ottavio fece su e giù con la testa, come fanno gli asini, per dire che sua figlia di valvole nel cervello ne aveva pochissime. A noi due scappò da ridere. – Comunque, tuo nonno è molto simpatico – affermai. – E quando parla dice sempre cose sensate anche se spesso le parole gli escono di bocca un po’ distorte, ma io lo capisco ugualmente. Gli voglio un mondo di bene e prima che si addormenti gli do sempre il bacio della buonanotte. La sua salute è peggiorata dopo la morte della nonna, insieme formavano una coppia perfetta – concluse Camilla. Quella mattina, dopo aver fatto colazione, indossammo i nostri vestiti, poi Camilla salì in camera sua e, poco dopo, mi raggiunse con una torcia: – Andiamo! – mi disse. – Ma dove? – le chiesi. – In cima alla torre e poi scenderemo nella galleria. Sbrighiamoci! Se ci scoprono, per punizione resteremo chiuse in camera per una settimana o forse due. Arrivammo in cima alla torre, dalla quale si

14


poteva godere di una vista mozzafiato: vidi gli alberi del bosco e più giù il fiume, che scorreva placido. Uno spettacolo fantastico che difficilmente riuscirò a dimenticare.

15


ESPLORAZIONI E SCOPERTE – Di qua, muoviti, lumaca! – e via di corsa verso nuove scale. Man mano che scendevamo si sentiva un freddo da catacomba. Provai una strana sensazione, un formicolio nella pancia e un brivido lungo la schiena. – Sei mai venuta quaggiù? Ma la galleria dov’è? – Ci sono prima le cantine e più giù imboccheremo la galleria, che ci porterà nei pressi dell’abitazione del signor Benedetto Tibullo. – Lo conosci? – L’ho visto più volte nello studio del nonno, mentre cercava di convincerlo a firmare delle carte, ma il nonno è stato irremovibile. – In che senso? – Nel senso che non le ha mai firmate. – Perché? – Vorrei saperlo anch’io – mi rispose Camilla. – Prima o poi lo scoprirò. Le cantine furono una grande delusione.

16


17


C’erano bottiglie impolverate, vecchi giornali sparsi sul pavimento e tanti piccoli oggetti, un vero guazzabuglio. In fondo alla stanza, però, c’era un vecchio armadio senza ante leggermente inclinato, all’interno del quale vidi una scatola, che attirò la mia attenzione. Istintivamente, io e Camilla intuimmo che conteneva dei documenti importanti, ma non riuscivamo a spiegarci perché si trovassero lì. – Chissà chi li avrà dimenticati – disse la mia amica. – Oppure chi li ha volutamente lasciati qui a marcire – aggiunsi io. – Ci conviene nasconderli nella mia cameretta e leggerli attentamente – concluse la mia compagna. Odore di umidità e di muffa regnava ovunque. Nella seconda cantina trovammo ancora cianfrusaglie: casse, setacci rotti, vecchie sedie e una finestrella protetta da una grata piena di ragnatele. Nella terza e ultima cantina c'erano vecchi mobili che arrivavano fino al soffitto. C’erano anche soprammobili, secchi, lampade,

18


vecchie stufe e una lunga cassapanca di legno scuro. Ogni cosa era ricoperta da uno spesso strato di polvere; persino la lampadina, che emanava una luce fioca e a stento riusciva a illuminare la stanza. Camilla, facendo la voce lugubre forse per impressionarmi, mi fece cenno di controllare cosa ci fosse nella cassapanca. – Può darsi che ci sia uno scheletro desideroso di conoscerci. Di sicuro è lì dentro bello e disteso con la voglia pazza di sgranchirsi un po’ le gambe e di prendere una boccata d’aria. – Smettila, non fare questi discorsi! – Perché? Hai paura? – Non proprio, ma in questo luogo non mi fa piacere ascoltarli. – Credevo che tu fossi più coraggiosa di me e invece mi sbagliavo. Sei una pappamolle – e cominciò a ridere, rischiando di strozzarsi. Quelle parole sortirono su di me un effetto davvero micidiale. Mi avvicinai alla cassapanca, ma mi arrestai di colpo, perché la paura aveva preso di nuovo il sopravvento.

19


– E allora? Ti decidi?! Sollevai il coperchio della cassapanca… altro che scheletro! C’erano il vestito da sposa della nonna di Camilla tempestato di perline e una foto delle nozze. Gli occhi di Camilla si inumidirono e, per l’emozione, passò improvvisamente dalla risata al pianto. Guardò il vestito con stupore, lo accarezzò poi osservò attentamente la foto che ritraeva i suoi nonni. Erano davvero belli. Nonno Ottavio aveva i capelli neri e gli occhi che sprigionavano felicità, mentre nonna Chiara aveva una bellissima treccia bionda raccolta sulla nuca e un sorriso radioso. Camilla prese la foto e la mise nella scatola dove c’erano i documenti. – La mostrerò a nonno Ottavio. Sarà senza dubbio una sorpresa inaspettata. Mi auguro, però, che non gli venga un altro infarto. – Spesso le forti emozioni sono catastrofiche – le dissi e le raccontai brevemente un episodio che era successo nella mia famiglia pochi giorni prima che io partissi: – Mia zia Isabella, la sorella di mia madre, aveva conosciuto un ingegnere, si erano innamorati

20


e avevano deciso di sposarsi, ma due giorni prima delle nozze lo sposo fu costretto a partire per non so dove. Insomma, dopo quattro anni è ritornato in Italia e si è presentato a casa di mia zia con un fascio di rose rosse. Capisci che tragedia? Per fortuna c’eravamo tutti noi. L’ex promesso sposo, mia zia, mio nonno e mia nonna sono diventati improvvisamente come di gesso, sembravano delle statuine. Paralizzati da quella inaspettata presenza sono rimasti senza parole per un bel po’. Mio padre e mia madre non sono riusciti a smuoverli e quindi hanno chiamato il medico di famiglia.

21


– Come è andata a finire? – Che finalmente si sposeranno e questa volta per davvero! – Credo che sia ora di rientrare, se ci cercano e non ci trovano potrebbero insospettirsi. Infatti, ad attenderci c’era la zia di Camilla con una espressione che non prometteva niente di buono: sembrava avesse dissotterrato l’ascia di guerra. Ci squadrò dalla testa ai piedi diventando verde menta tanto era arrabbiata. – Da dove venite? – ci chiese a bruciapelo. – Di là! – rispose con prontezza Camilla, indicando il giardino. – Ho mandato in giardino Velen a cercarvi e... – ma non fece in tempo a completare la frase che apparve il grosso quadrupede. Era trafelato con la lingua fuori a penzoloni e la coda che gli girava in tondo come la ruota di un mulino. Una cosa mai vista. L’effetto era comico. – Finalmente vi ho trovate – sembrava volerci dire, puntandoci gli occhi addosso. Camilla sapeva come farsi perdonare. Appena la zia si fu allontanata, estrasse dalla tasca alcuni biscotti per cani:

22


– Sono per te, d’ora in poi sarai la nostra guardia del corpo e giurami che non farai mai la spia! – gli sussurrò all’orecchio, porgendoglieli. Velen sembrò apprezzare il gesto, mandò giù i biscotti in un baleno e mi guardò sperando che gli offrissi anch’io qualcosa. E fu così che gli tappai la bocca con l’ultimo biscotto. Velen apprezzò moltissimo tanto che io e Camilla ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere.

23


ALLE GROTTE Camilla lasciò la scatola nella sua cameretta, poi mi disse che l’indomani saremmo andate nel bosco. – Lo conosco come le mie tasche e con Velen al nostro fianco non correremo nessun pericolo. Subito ci precipitammo nella sala da pranzo dove c’erano il nonno e la zia che ci attendevano con impazienza. Appena la zia ci vide, alzò gli occhi al cielo e sospirò, mentre il nonno ci sorrise. Il cuoco nonché cameriere ci servì la pasta al pomodoro, mentre nel piatto del nonno versò la solita brodaglia, più acquosa che mai. In superficie galleggiavano piccoli crostini, che scomparvero all’istante, affondando precipitosamente sul fondo del piatto. – Che delizioso profumino! – esclamò la zia, dilatando le narici. – Grazie, signorina Caterina Giovanna Maria Cristalda – rispose arrossendo il cameriere Remigio, e timidamente abbassò lo sguardo nella zuppiera per non incrociare quello della zia.

24


25


Poi si dileguò in un attimo. Il nonno affondò lo sguardo nel suo piatto, fece una smorfia di disgusto e poi scosse più volte la testa. La zia di Camilla fissò il padre da sopra gli occhiali, sbatté più volte le palpebre e si allontanò, martellando i nostri timpani con il tic tic tic tremendo dei suoi tacchi a spillo. – Sono stufo di questa robaccia – disse sillabando il nonno. – Hai ragione – esclamò Camilla. – In cambio della tua brodaglia ti offro il mio piatto di pasta al pomodoro. Il nonno sorrise e l’unico occhio ancora normale si illuminò come un faro nella notte. Abbandonò la cannuccia, impugnò finalmente la forchetta e mangiò il primo boccone, dopo un po’ ne mangiò un altro e un altro ancora; poi, masticando lentamente, svuotò il piatto. Quando la zia ritornò nella sala da pranzo, impettita come il cocchiere di una carrozza, e vide i nostri piatti puliti, le scappò da ridere. Il nonno ci lanciò un’occhiata di intesa e anche l’altro occhio, quello offeso, si ingrandì di colpo. L’indomani, di buon mattino, facemmo in

26


fretta colazione, ma quando uscimmo il sole era già alto nel cielo e illuminava gli alberi. Salutammo il nonno e la zia e, con Velen alle calcagna, ci avviammo verso il bosco. – Tornate per l’ora di pranzo, non più tardi! E abbiate cura del mio cucciolo – ci raccomandò la zia di Camilla. L’aria era pura e fresca e intorno a noi volavano le farfalle. Nascosti tra le foglie gli uccelli cantavano. Che meraviglia e che pace! Avevamo preso gli zainetti e messo qualche panino, alcune bottigliette d’acqua e dei biscotti per Velen.

27


Camminammo lungo un sentiero fiancheggiato da alberi altissimi dove il sole faticava a penetrarvi. Ad un certo punto, ci trovammo davanti a un ruscello. Per attraversarlo dovemmo saltare da una pietra all’altra. Per fortuna, però, questo gioco pericoloso, a cui aveva partecipato anche Velen, durò poco. – Le grotte sono laggiù oltre il prato – disse la mia amica, puntando l’indice in quella direzione. – Sono profonde? – Non essere impaziente, ora le vedrai. Sono tre, ne ho visitate solo due; l’altra la esplorerò per la prima volta oggi con te. – Scopriremo un forziere pieno di gioielli o di monete d’oro? Chissà! – scherzai io. Di tanto in tanto Velen abbaiava e, per tranquillizzarlo, la mia amica gli dava qualche biscotto. Continuavo a farmi tante domande finché non raggiungemmo le grotte. La prima, grande ma poco profonda, era piena di cespugli e di erba; tutt’intorno stavano delle statue di pietra molto deteriorate. Ce n’era una in particolare che catturò la mia attenzione: si trattava di un cavallo senza testa nell’at-

28


teggiamento di rapida corsa, affiancato da un elefantino senza coda e senza proboscide. Camilla mi spiegò che in quel luogo, prima del castello sorgeva una villa maestosa impreziosita da una grande fontana con giochi di acqua e da tante statue. Osservando più attentamente, scoprii dei tronconi di personaggi, come una dama senza testa e un cavaliere senza naso e senza braccia, coricato sotto un manto d’erba. A tenergli compagnia c’erano tante formiche frettolose, che andavano su e giù senza tregua e pigre lucertole. Velen si avvicinò alla statua del cavaliere e rimase per lungo tempo ad osservare l'andirivieni di quegli operosi insetti ma, quando una lucertola guizzò tra le sue zampe, indietreggiò bruscamente agitando la coda e abbaiando per lo spavento. Camilla riuscì a tranquillizzarlo subito, offrendogli un altro biscotto. – Accipicchia! Funziona davvero! – esclamai, osservando il quadrupede appagato da quella inaspettata dolcezza. La seconda grotta, lunga e buia, era abitata da molti pipistrelli.

29


– Mi fanno impressione – disse Camilla, facendo una smorfia di ribrezzo. – A me non tanto, non sono così pericolosi e, poi, di giorno sono innocui perché dormono; è necessario far piano per non svegliarli – le dissi per rassicurarla. Poi la presi per mano e insieme, un passo dopo l’altro, voltammo le spalle al chiarore dell’entrata. Chiudeva la fila il coraggioso Velen. Mi accorsi che i muri della grotta erano scivolosi per l’umidità. C’era odore di umido, di muffa e di terra marcia che ci fece tossire e lacrimare. Ad un tratto, sentii un tocco leggero e appiccicaticcio sulla faccia che mi fece trasalire: era una ragnatela! Con risolutezza proseguimmo, illuminando il nostro cammino con la torcia. Ci arrestammo davanti a una grande pozza d’acqua nera come il catrame e, aguzzando la vista, riuscimmo a vedere sulla parete in fondo una specie di porticina. – Se non ci fosse tutta quest’acqua di mezzo potremmo andare a vedere! – dissi. – Torneremo domani! – asserì la mia compagna e così visitammo la terza grotta.

30


C’era un po’ di tutto: vecchi mobili abbandonati, casse, bottiglie rotte e vetri sparsi ovunque. In quell'ambiente qualche topo o qualche piccolo animaletto la faceva da padrone. Fu una vera delusione!

31


UNA VISITA INASPETTATA Ci avviammo verso il castello e affrettammo il passo quando ci accorgemmo che il sole era scomparso e il cielo era avvolto da nuvole basse e scure. Una raffica di vento ci investì. – Il temporale! Corriamo! – esclamò Camilla. In quell’attimo il cielo si riempì di tanta luce per via dei lampi, seguiti dalla cupa voce dei tuoni, che rimbombava tra le nuvole minacciose. Non avevo mai visto un temporale così spaventoso. Lampi, tuoni, raffiche di vento. Appena giungemmo nei pressi del castello, fummo investiti da una pioggia fitta fitta. La pioggia continuò a cadere per ore e ore. Nel castello, a parte il nonno, tutti brontolavano: Remigio, Penelope e il giardiniere Attilio guardavano i vetri bagnati e sospiravano per l'insofferenza. L’acqua continuò a venir giù sempre più copiosa con un rumore insopportabile. Ad un tratto sentii un lamentoso miagolio.

32


33


– Qualcuno si sta lamentando, sarà forse un povero gatto – dissi a Camilla che, si precipitò fuori dal castello, rientrando dopo pochi minuti con un piccolo batuffolo bianco inzuppato di pioggia. – Quanto è grazioso! – esclamai. Camilla salì le scale a rotta di collo, io la raggiunsi subito nella sua cameretta. Il poverino aprì gli occhi e ci guardò timoroso, poi incominciò a tremare. La mia amica lo accarezzò e lo avvolse in una sciarpa. – La tua visita inaspettata mi ha riempito il cuore di gioia, sei il più bel regalo che abbia mai ricevuto – disse Camilla. – Ti chiamerò Micetto. Il gattino si acciambellò tra le sue braccia, sembrava una candida palla di pelo. Era proprio bello, così bello da sembrare finto. Aveva gli occhi verde smeraldo, il nasino rosa confetto, una boccuccia graziosa e, quando miagolava, sembrava che recitasse una poesia. E, intanto, continuava a diluviare. Poi si sollevò un vento terribile che a poco a poco aumentò di intensità.

34


Finalmente, verso sera, la pioggia cessò di cadere e il vento passò via dopo aver ululato per ore tra gli alberi. Velen era rimasto per tutto il pomeriggio accanto al nonno e non aveva toccato cibo: forse il rumore assordante dei tuoni lo aveva profondamente spaventato a tal punto che gli si era chiuso lo stomaco. – Domani tornerà il sole – ripeteva poco convinta la zia di Camilla, scrutando il cielo nero come l’inchiostro. All'improvviso, Velen ci raggiunse in camera scodinzolando forse perché il peggio era passato, ma si arrestò di colpo quando scoprì il grazioso ospite. In quel momento subì un nuovo turbamento, ma meno angosciante di quello precedente. Micetto, alla vista del grosso quadrupede, non si mostrò per nulla spaventato dalla sua imponenza: gli andò incontro e, in segno di saluto, miagolò così dolcemente da commuoverlo. Velen inspiegabilmente abbassò le orecchie e si afflosciò sul pavimento con lo sguardo perso nel vuoto.

35


In quel momento, il dolce gattino spiccò un salto e si sistemò sul dorso del cane, che si drizzò subito sulle zampe come se fosse stato punto da uno spillo. Velen, con passo da parata, fece la sua bella apparizione in salotto sotto lo sguardo meravigliato dei presenti. Tutti cacciarono un OOOOH di stupore, che ruppe il silenzio e superò il rumore della pioggia, che aveva ripreso a cadere sempre più violenta. – Non credo ai miei occhi! Il mio cucciolo porta a spasso un bellissimo fiocco di neve: da dove spunta fuori questa meraviglia? – esclamò la zia della mia amica. – E, mentre tutti si complimentavano con Velen e Micetto, un tuono più potente degli gli altri ci fece sobbalzare. Ilde abbracciò istintivamente Remigio, mentre il giardiniere Attilio trovò rifugio tra le braccia della governante Penelope. La zia di Camilla corse a sedersi sul divano, seguita da Velen e Micetto, che si accucciarono tremanti al suo fianco sperando di ricevere una carezza rassicurante. Io e Camilla, invece, ci stringemmo vicino a nonno Ottavio che, in preda al terrore, co-

36


minciò a balbettare parole incomprensibili e a strizzare nervosamente il suo occhio malato. Le carezze e i baci di Camilla riuscirono, però, a tranquillizzarlo subito. A peggiorare la situazione ci pensò il buio che si impossessò del castello, la luce andò via e con essa anche il buon umore. Il giardiniere si ricordò di avere in tasca una torcia e col cono di luce riuscì a trovarne, insieme alla zia, altre due, che ci consentirono di muoverci con più disinvoltura. Il tempo era passato senza che ce ne accorgessimo, fuori era buio pesto. – Andiamo a letto – disse la mia amica che nel frattempo era riuscita a recuperare due candele, una delle quali anche per me. Percorremmo a piccoli passi il corridoio e poi con molta prudenza salimmo la scala un gradino alla volta. – Sembriamo due fantasmi – dissi a Camilla. – Ci sono abituata, da noi i temporali durano un giorno ma sono spaventosi. – Da mia nonna, in campagna, durano poche ore e non va mai via la luce – risposi e intanto mentre continuavamo a salire io die-

37


38


tro alla mia amica, mi sentivo osservata da grandi ombre rese più fluttuanti dal modesto luccichio della candela. – Stanotte dormiamo insieme – dissi a Camilla – se non mi trovi nel letto starò nell’armadio. – Appesa alla gruccia con gli altri vestiti? Vieni nella mia cameretta, il letto è più grande, il materasso più soffice e staremo più comode. Vedrai che ci addormenteremo presto. Le parole di Camilla mi diedero un immediato conforto, ma mi sentii ancora meglio quando vidi, nel corridoio accanto alla stanza del nonno, Velen e Micetto diventati ormai inseparabili. Per fare un po’ più di luce alla camera del nonno, Ilde e Remigio l’avevano illuminata con le candele e quando vi entrammo per dargli la buona notte, il poverino ci fece impressione: era immobile nel suo letto e aveva la faccia più bianca di una mozzarella.

39


UNA RIVELAZIONE SCONCERTANTE L’indomani mattina, il sole inondò di luce il castello e, dopo l’interminabile giornata di pioggia, tutti erano di buon umore. Durante la notte non avevo chiuso occhio. Mentre Camilla dormiva saporitamente, io sbucavo di volta in volta da sotto le lenzuola attratta dalla luce della candela che nonno Ottavio reggeva, dai suoi passi strascicati per raggiungere il bagno e dal rumore dello sciacquone, che chiudeva in bellezza le sue brevi passeggiate notturne. L’indomani, nonno Ottavio pregò Remigio, Ilde e Attilio di andare nelle cantine: – La pioggia sarà entrata dalle finestrelle, calzate gli stivaloni di gomma e fatemi sapere – concluse con aria preoccupata. – Seguiamoli! – esclamò Camilla. E così ritornammo nelle cantine, ma di acqua non ce n’era neppure una goccia, ma i tre ne approfittarono per mettere un po’ di ordine.

40


41


Questa volta, io e la mia amica imboccammo la galleria e camminammo per un bel po’, ci arrestammo di colpo davanti a una stretta scala a chiocciola. – Vediamo dove ci porta – mi disse sottovoce Camilla, e così incominciammo a salire con prudenza gli scalini, stando attente a non far troppo rumore. Arrivate in cima c’era una porticina. L’aprimmo cautamente e ci trovammo di fronte a una soffitta grande e buia. In alto c’erano le travi del tetto; in fondo, una piccola finestra, da cui filtrava poca luce, e fitte amache di ragnatele, che si muovevano avanti e indietro nella corrente d’aria. Nella stanza, a ben guardare, regnava un certo ordine. C’erano pochi oggetti e una vecchia libreria. Tutto, però, era coperto da uno spesso strato di polvere. Faticavamo a respirare. Ad un tratto, udimmo il rumore di una chiave che girava in una grossa serratura e una voce gracchiante, che ci fece trasalire. – È lui, Benedetto Tibullo! – mormorammo ad una voce e, indietreggiando a piccoli

42


passi, scendemmo la scala, ripercorremmo la galleria, passammo davanti alle cantine e raggiungemmo finalmente il castello con un triste presentimento. Al castello nessuno osava pronunciare il nome di quell’uomo. Una volta a cena la zia di Camilla se lo lasciò sfuggire e il nonno rimase sconcertato, come spaventato da una improvvisa apparizione. La sera di quello stesso giorno, io e la mia amica decidemmo di conoscere il signor Tibullo. Dopo cena, raggiungemmo la sua abitazione, che era poco distante dal castello. Era una vecchia casa recintata da filo spinato, chiusa da un cancello arrugginito e circondata da un giardino incolto e pieno di erbacce. Per raggiungere la casa bisognava percorrere un vialetto acciottolato. Afferrammo le sbarre del cancello e lo spingemmo con forza, l’asse cadde all’indietro, io e Camilla ci contorcemmo finché non riuscimmo a passare. Ci nascondemmo dietro la siepe e quando fu buio ci avvicinammo, camminando carponi, ad una finestra che si affacciava sul giardino.

43


44


Ad un tratto sentimmo un rumore. Trattenemmo il respiro e, a causa dell’oscurità, stavamo attente ad ogni movimento per evitare che qualcuno ci scoprisse. La camera si illuminò. Sentivamo i passi pesanti e cadenzati del signor Tibullo: quel modo di incedere pesante, cadenzato, cupo, ci fece venire i brividi. "Chissà che aspetto avrà" ci chiedemmo e, dopo qualche minuto, scorgemmo un uomo alto, dalle spalle larghe, con una testa piccola e calva che pareva reggersi in precario equilibrio sul collo rugoso. Gli occhi erano scuri e pungenti, incorniciati da sopracciglia cespugliose e scure; un naso grosso trionfava nel bel mezzo della faccia. Aveva grandi orecchie a sventola e per giunta rosse. Facevano senso le sue mani nodose e pelose. Sentimmo la sua voce: parlava gesticolando e sibilando come un serpente e di tanto in tanto rideva in modo stridulo. Ci mancò il respiro. Stappò una bottiglia di vino e, quando il tappo uscì dal vetro, produsse un rumore insolitamente forte come un colpo di pistola.

45


Fu allora che i nostri cuori si fermarono sopraffatti dal terrore. – Sto bevendo uno dei migliori vini – disse con la sua voce gracchiante. – Questo brindisi è di buon auspicio. Sono certo che li troverai, altrimenti farai la fine che ti meriti. Fruga ovunque, in ogni angolo del castello. Ho bisogno subito di quei documenti! L'interlocutore era Remigio che sollevato da terra da due brutti ceffi, ciondolava tristemente come un burattino. – Il bosco, le grotte, il castello erano di mio padre. Ora li rivoglio altrimenti distruggerò il bosco – disse a muso duro Benedetto Tibullo. Poi fece un altro brindisi e mandò giù ancora un bicchiere di vino. – Mollatelo! – esclamò, rivolgendosi ai due che reggevano Remigio tenendolo per le spalle. – Le mie carte sono in ordine, portami domani a quest’ora quelle del vecchio Ottavio altrimenti il bosco prenderà fuoco. Resteranno solo puzza di bruciato, devastazione e silenzio. Il povero Remigio, più pallido di un fantasma, cadde sul pavimento come un frutto maturo.

46


Molto provato da quelle minacce, faticò non poco per rialzarsi e per reggersi in piedi. Lo vedemmo dapprima barcollare e poi, riavutosi dallo spavento, precipitarsi a raggiungere, con passo spedito, il castello. A noi le gambe continuavano a tremare. Rimanemmo lì finché non vedemmo andare via le due brutte facce che avevano trattenuto il povero Remigio. Poi, ci sollevammo un po’ e spiammo dai vetri della finestra i movimenti di Benedetto Tibullo. Lo vedemmo avvicinarsi a un quadro che ritraeva un signore distinto. Era nientemeno che suo padre, ma non gli somigliava affatto. – Sarò io il padrone di questo angolo di paradiso. Rimedierò all’errore da te commesso – ripeté a voce alta e poi chiuse a chiave, in un cassetto della scrivania, un foglio po’ ingiallito. Subito dopo nascose la chiave in una piccola anfora panciuta. Spense la luce e andò via.

47


FIUTO DA DETECTIVE Inaspettatamente Benedetto Tibullo tornò nella camera, si piazzò davanti al ritratto del padre e, con la mano sul petto, fece un giuramento. Le sue parole arrivarono nitide alle nostre orecchie: – Basterà lasciare distrattamente un mozzicone di sigaretta, dapprima apparirà un piccolo soffio di fumo e poi serpeggeranno da ogni parte lingue di fuoco e divamperà l’incendio. Detto ciò, spense la luce e andò via. “Quest’uomo è completamente pazzo!”, pensammo. Raggiungemmo velocemente il castello. Il cancello era stato aperto per Remigio pochi attimi prima. Ci dirigemmo nella cameretta di Camilla: – La scatola! Il segreto è racchiuso in questi documenti! – esclamò la mia amica. – Dobbiamo consegnarla al nonno e riferire l’accaduto anche a mia zia. Remigio quella sera servì la cena, sforzandosi di mascherare la tensione e l’angoscia che lo attanagliavano. Non gli dicemmo nulla per

48


49


evitare che il cuore gli finisse nella zuppiera e, intanto, a noi due ogni boccone si fermava in gola. Ci preparammo per andare a dormire, col proposito che avremmo chiarito ogni cosa. Il nonno era ancora sveglio, sentimmo che scambiava qualche parola con Velen e con Micetto; si trattava di affettuose raccomandazioni. – Abbi cura del piccolino – diceva – e tu – rivolgendosi a Micetto, – non approfittare del buon cuore di Velen. Puntualmente il primo rispondeva abbaiando e il secondo miagolando, poi si accucciarono sul tappeto e si addormentarono. Velen, per via del suo aspetto, incuteva a tutti una gran paura, invece aveva un cuore d’oro, pensate che accompagnava il nonno durante le passeggiate notturne per paura che potesse succedergli qualcosa. Per schiarirci le idee l’indomani tornammo nel bosco e ci vennero i capelli dritti quando scorgemmo il signor Tibullo in compagnia di tre uomini vestiti di tutto punto. Avevano in mano alcune carte che si rivelarono essere piantine catastali.

50


51


– C’è aria di pericolo! – esclamò preoccupata Camilla. Gli uomini prendevano misure con i loro strumenti. Tutti parlavano e discutevano animatamente; il signor Tibullo, invece, gesticolava come una marionetta alzando il tono di voce: – Abbattete tutti gli alberi, altrimenti li brucerò io! Costruite la strada, gli alberghi e poi distruggete anche quel castello laggiù! – concluse, gracchiando come un corvaccio. Quelle parole ci fecero raggelare. Camilla scoppiò in lacrime, pianse così tanto che consumò anche tutti i miei fazzoletti. – Cerca di calmarti. È il momento di parlare con Remigio, col nonno e con tua zia. Andiamo, non disperare! La mia compagna, di tanto in tanto, tirava su col naso e, quando arrivammo al castello, era stravolta. Aveva gli occhi gonfi e, mentre tratteneva a stento i singhiozzi, cercammo Remigio in ogni stanza del castello. – Qui non c’è, qui neppure. Ma dove si sarà cacciato? – ci chiedevamo perlustrando ovunque. Dopo una estenuante ricerca, lo trovammo

52


nello studio in compagnia del nonno e della zia di Camilla, cui cercava di spiegare, ma in maniera confusa, quello che gli era capitato la sera precedente. – Stavo spazzando il viale... due brutti ceffi... a casa di Benedetto Tibullo... sospeso come un salame e... due bicchieri di vino... Il poveraccio continuava a farfugliare, nonno Ottavio faceva sì e no con la testa, mentre la zia di Camilla, facendo finta di capire, interrompeva di tanto in tanto Remigio esclamando “Perbacco!”, “Santo cielo!” oppure “Maria Vergine!”, e cominciava a stare abbastanza sulle spine, facendo la faccia tutta a punta. Dopo un po’, calò un silenzio da affettare col coltello. Remigio riprese a passarsi nervosamente le mani nei capelli, sperando che qualcuno gli suggerisse qualcosa sul da farsi e intanto aspettava mordendosi le labbra.

53


LA SCATOLA PREZIOSA Camilla salì in camera sua e ci raggiunse nello studio tenendo la scatola stretta tra le mani. – Ecco! Forse quel tizio vuole questi documenti. Remigio guardò Camilla come se fosse stata la sedia a mettersi a parlare e per di più a rivelare un segreto a dir poco SEGRETISSIMO. Quando il nonno riconobbe la scatola, scosse la testa. – Dove l’hai trovata? L’ho cercata per anni e anni inutilmente – disse aprendola. Nella scatola c’era anche la foto del suo matrimonio, la guardò amorevolmente, emozionandosi tantissimo. Camilla, poi, raccontò la scena a cui avevamo assistito la sera precedente spiando dalla finestra e riferì con precisione le parole pronunciate da Benedetto Tibullo. Ora sembrava tutto chiaro. Remigio, riavutosi dallo spavento, intervenne: – Se non consegnerò stasera questi documenti, quel tizio me la farà pagare molto cara.

54


55


– In che senso? – domandò la zia di Camilla. – Nel senso che non potrò più essere al vostro servizio. – Ti licenzierai?! – chiese incredula. – No, il tizio ha detto che mi toglierà di mezzo. La zia, sopraffatta dall’ansia e dalla paura, si fece piccola piccola quasi a voler scomparire nel pavimento. – Dobbiamo fare qualcosa e anche presto prima che faccia buio – disse dopo aver letto i documenti, che attestavano il regolare acquisto da parte di nonno Ottavio di alcune proprietà del padre del signor Tibullo. – Ora bisogna capire cosa c’è scritto sul foglio che Benedetto Tibullo conserva sotto chiave – intervenne Camilla. Intanto, sua zia sembrava essere diventata una statua. Remigio, un po’ più sereno, era tornato in cucina. L'indomani mattina, col proposito di schiarirci le idee facendo una passeggiata all'aria fresca, io e Camilla tornammo nel bosco. Vi trovammo geometri e ingegneri e con loro c’era anche Benedetto Tibullo. – Possiamo agire adesso – dissi a Camilla.

56


– In che modo? – mi chiese con aria interrogativa la mia amica. – Intrufolandoci nella sua abitazione e prendendo quel foglio che ha messo sotto chiave. Approfittiamo, visto che lui è impegnato con questi signori. Fu così che ci avviammo verso la casa del signor Tibullo. La porta di servizio era socchiusa. – Qualcuno è entrato prima di noi – mormorai a denti stretti. Avanzammo in punta di piedi, cercando di non fare il benché minimo rumore, seguiti da Velen e dall’inseparabile Micetto. Strattonai la mia amica e, con un cenno delle sopracciglia, le feci notare che la porta dello studio non era chiusa e che dentro c’era qualcuno che come noi aveva avuto la stessa idea. Di botto mi venne un pensiero terribile e cioè che probabilmente erano entrati nello studio i due brutti ceffi, che avevano spaventato il povero Remigio. Con molta cautela allungammo lo sguardo e, chino dietro la scrivania, c’era nientemeno che Remigio. – Che ci fai qui? Pensavo che fossi in cucina

57


a preparare il pranzo! – gli disse Camilla. Il poveraccio, travolto dallo spavento, si accasciò sulla poltrona e un attimo dopo scattò in piedi come se avesse preso la scossa. – Il foglio, il foglio... dobbiamo trovare il foglio, credo che sia qui! – continuava a ripetere Remigio come un disco che si era incantato. – Già! È proprio qui sotto il tuo naso! – esclamò la mia amica prendendo la chiave dall’anfora e aprendo il cassetto. Dopo un po’, sentimmo rumore di passi nel corridoio e alcune voci. – Quanta gente in casa mia! C’è per caso una festa a sorpresa?! – chiese Benedetto Tibullo, incenerendoci con lo sguardo. Gli uomini, che lo seguivano e che avevamo appena visto nel bosco, erano ignari di quanto stesse succedendo. Essi, infatti, ci regalarono radiosi sorrisi e strette di mano, ma noi eravamo molto scossi da quella improvvisa e inaspettata apparizione che a stento ricambiammo i loro convenevoli. Lanciai una occhiata furtiva a Remigio, che aveva l’espressione di un pesce lesso. Mi fece talmente impressione che gli andai vicino e gli dissi a voce alta che non aveva

58


nulla da temere perché io e Camilla potevamo testimoniare su quanto avevamo visto e sentito la sera precedente poiché avevamo assistito alla scena da dietro la finestra. Benedetto Tibullo sgranò gli occhi più che mai: sembravano uova al tegamino col bianco tutto intorno. Dopo qualche minuto, il cuore mi fece una capriola quando vidi con la coda dell’occhio

59


la zia di Camilla seguita dal maresciallo dei carabinieri e da due uomini in divisa. – Ancora ospiti? E quando inizia la festa? – chiese un ingegnere, guardandoci negli occhi. Benedetto Tibullo rispose con una smorfia simile a quella che potrebbe fare un serpente in procinto di mordere la sua vittima. La zia di Camilla stringeva la scatola nella quale erano custoditi i documenti e incenerì Benedetto Tibullo. Poi, a terrorizzarlo completamente ci pensarono prima Velen, ringhiando e mostrandogli i denti, e poi Micetto che, con un salto acrobatico, si piazzò sulla testa graffiandogli la pelata. – La festa si svolgerà altrove – disse il maresciallo. – Seguitemi! – aggiunse con tono deciso. Prima di allontanarci, presi la chiave dall’anfora e aprii il cassetto: – Questo foglio potrebbe servirci nel caso tentasse di imbrogliare tuo nonno – puntualizzai porgendolo a Camilla. Tibullo e i tre tecnici presero posto nelle auto dei pubblici ufficiali. Io, Camilla, sua zia, Velen e Micetto, invece,

60


raggiungemmo con l’auto del nonno, guidata da Remigio, il comando dei carabinieri dove facemmo una grande scoperta. Il nonno di Camilla aveva regolarmente acquistato dal suo amico, padre di Benedetto Tibullo, il castello e il bosco con la promessa di proteggerli impedendo a chiunque di sfruttarli e danneggiarli. Benedetto Tibullo quando sentì quelle parole e riconobbe il foglio che teneva sotto chiave, incominciò a farfugliare, a negare, a scusarsi, manifestando una forte agitazione, si muoveva come se avesse un sacco di pulci addosso, strinse la mascella, scattò in piedi e uscì sbattendo la porta. Che scena! Pare che Benedetto Tibullo sia scomparso, sopraffatto dai rimorsi, ma gli auguriamo che voglia ravvedersi.

61


DENTRO LA STORIA Segna con una X le affermazioni corrette. Martina trascorre le vacanze estive al castello con la sua amica Camilla. Martina conosce i parenti della sua amica. Il cane della zia di Camilla è piccolo e grazioso. Il nonno di Camilla si chiama Francesco. Le due amiche visitano le grotte. Durante un forte temporale Martina scopre un gattino. Micetto e Velen diventano amici inseparabili. Remigio viene minacciato dalle parole di due brutti ceffi. Le due amiche trovano dei documenti molto importanti. Martina e Camilla smascherano il piano di Benedetto Tibullo. La storia ha un lieto fine. Descrivi brevemente il personaggio della storia che ti ha maggiormente colpito. ............................................................................................... ............................................................................................... ............................................................................................... ............................................................................................... ............................................................................................... ...............................................................................................

62


AMICI DELL’AMBIENTE

SEI UN BRAVO AMBIENTALISTA? È importante:

• Rispe ttare il nostro piane ta e volergli bene come se fosse il nostro migliore amico. • Pens are in modo ecologico nella vita di ogni giorno compiendo piccoli ma important i gesti nei vari ambienti.

Immagina di fare con la tua famiglia un picnic nel bosco. Quali regole bisogna osservare? Completa. 1. Accendere i fuochi solo nelle aree attrezzate. 2.

.......................................................................................... ..........................................................................................

3.

.......................................................................................... ..........................................................................................

4.

.......................................................................................... ..........................................................................................

5.

.......................................................................................... ..........................................................................................

63


LABORATORIO Leggi la poesia e illustrala nel riquadro con la tecnica pittorica che preferisci.

NEL BOSCO Nel bosco ogni vecchio gigante, sia abete, sia quercia, sia pino, ha intorno, ai suoi piedi, un giardino di piccole piante. Son muschi, son felci, son fiori, e fragole rosse e lichene cui l’albero antico vuol bene, suoi teneri amori. E mentre le fronde superbe protende più su verso i cieli, ei pensa a quegli umili steli nell’ombra, tra l’erbe. Lina Schwarz

64


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.