VVF volontari a rischio estinzione

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corpi volontariato speciali

L’Italia è fanalino di coda d’Europa in merito a diffusione di presidi di Vigili del Fuoco: un pompiere ogni 1.760 abitanti. In Belgio uno ogni 625, in Francia uno ogni 273 ma, a voler ben vedere, in Germania c’è un pompiere ogni 60 abitanti e in Trentino Alto Adige (Regione Autonoma) uno per 57 cittadini. Prima della fila la Slovenia con un pompiere ogni 34 abitanti. In Italia i sindacati di categoria dei Vigili del Fuoco cavalcano questa teoria e, sostenendo che gli standard europei prevedano almeno un Vigile ogni mille abitanti, non fanno che chiedere nuove assunzioni. Dimenticano però che in Europa questi numeri sono garantiti grazie a una presenza massiccia di pompieri volontari che in Italia sono ormai una specie in via d’estinzione ■ di Antonio Ascanio Mangano* foto di Michele Blasi (VF volontario)

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na volta chiamati soltanto pompieri, gli attuali vigili del fuoco volontari italiani sono i precursori del Corpo Nazionale, di generazione in generazione si sono tramandati il dovere e la passione, tanto che circa la metà dei 250 Distaccamenti volontari operativi in Italia ha più di 100 anni di attività. Da sempre i Distaccamenti volontari sono ben radicati nel tessuto sociale e hanno una profonda conoscenza del territorio in cui sono comandati ad operare perché è lo stesso in cui il proprio personale vive e lavora. A differenza delle altre nazioni, nelle quali i VVF sono strutturati in corpi municipali, l’Italia “vanta” un unico Corpo Nazionale, cosa che non aveva nemmeno l’ex URSS. Prima e dopo Cristo Quest’abitudine a “centralizzare” sembra avere radici antichissime. Nella Roma del 509 avanti Cristo, in un contesto urbano disorganico e disordinato con largo ricorso all’uso di legname per la costruzione di abitazioni, stipate d’ogni mercanzia, viene delineata la traccia preliminare di quella che costituirà in seguito un’organizzazione

civile per difendere la città dai pericoli di calamità quali il fuoco e le inondazioni del Tevere. I “tres viri nocturni” erano dei magistrati che tra i vari compiti avevano anche l’incombenza di vigilare sugli incendi e avevano alle dipendenze servi pubblici e veri e propri agenti di polizia addestrati allo spegnimento. Nel 22 a.C. l’imperatore Ottaviano (cui

fu dato il titolo di Augusto) riorganizzò l’organizzazione antincendio nell’Urbe e, in seguito, suddivise il Corpo in Compagnie o Brigate ripartite in quattordici regioni urbane con a capo un prefetto. Nel 6 d.C. venne costituita la Militia Vigilum con a capo il Praefectus Vigilum. Il Corpo dei Vigiles di stampo augusteo rimase per almeno 5 secoli

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Vigili del Fuoco volontari italiani a rischio d’estinzione

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pressoché inalterato.(1) Ancora oggi, a capo del Dipartimento dei vigili del fuoco è posto un prefetto.

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â–  Antonio Ascanio Mangano, giornalista, Capo Squadra Volontario del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco e autore dell'articolo

in quanto vecchia parola contraria allo spirito della nuova organizzazione dei servizi antincendi. Nella corrispondenza ufficiale si dovrà utilizzare il solo appellativo di “vigile del fuoco”. (2) Il confronto con la Francia e le eccellenze di casa nostra Una nazione simile all’Italia per determinati aspetti è la vicina Francia, si pensi che l’intero paese conta 38.700 sapeurs pompiers profes-

Lo smantellamento di un servizio fatto di cittadini E pensare che il Regio Decreto 16 Marzo 1942 stabiliva la forza organica dei Corpi VVF: 3.121 vigili permanenti e 22.478 volontari. Negli anni seguenti il secondo dopoguerra, mentre negli altri Paesi europei il personale professionista veniva concentrato solo nelle zone altamente urbanizzate o a rischio industriale, lasciando ai volontari il resto del territorio, da noi si provvedeva al graduale smantellamento delle sedi volontarie anche dai piccoli centri con il risultato di ridurle, in una nazione con 60 milioni di abitanti, ad una consistenza numerica inferiore anche allo Zambia ed al Mozambico. Viva le pompe dei pompieri di Viggiù Fu così che, in pochi anni, distaccamenti con tradizioni e attività risalenti a 100, 150 e talvolta 200 anni prima furono smantellati, non sempre per far spazio a sedi permanenti. Talvolta, fatti sparire senza alcun motivo, togliendo loro ogni sussistenza economica, materiale e soprattutto ostacolando l’arruolamento di nuovi cittadini volenterosi. Un esempio per tutti quello del Corpo Civici Pompieri di Viggiù, piccolo paese in provincia di Varese a ridosso del confine svizzero. Il maestro Fragna, milanese sfollato a Viggiù durante la seconda guerra mondiale, vi dedicò quell’orecchiabile motivo: “Viva i pompieri di Viggiù, che quando passano i cuori infiammano…”. Durante il fascismo i volontari perdono la loro autonomia e vengono inquadrati quale distaccamento dell’88° Corpo Provinciale di Varese (medesima sorte tocca anche a tutti gli altri corpi volontari della penisola, inclusi quelli delle province autonome che però, a conflitto terminato, l’autonomia se la riprendono). Con fatica a Viggiù i pompieri arrivano al 1962 facendo servizio con un camion FIAT 514 del 1930. Nel 1964 non si trovano i fondi per la ristrutturazione della casermetta e il Ministero dell’Interno fa orecchie da mercante sino ad un anno più

Vigili del Fuoco per numero abitanti in Europa(4)

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Dai Corpi Comunali al Corpo Nazionale, sarà stato un bene? Escluse le grandi cittadine, anche in Italia i corpi di pompieri nacquero su base comunale, retti da volontari, erano i Civici Pompieri, diffusi soprattutto a nord della penisola. Vi sono Corpi, nati nei primi anni dell’ottocento, che sono attivi ancora ai nostri giorni molti invece, con l’avvento del Corpo Nazionale, fecero una brutta fine. Infatti, con Regio Decreto Legge del 27 Febbraio 1939, poi convertito in Legge 1570 del 27 Dicembre 1941, nacque il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco chiamato inizialmente “a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi…”. Sessantacinque anni più tardi, con D.Lg. 139 dell’8 marzo 2006, si riconferma l’esclusività del CNVVF in merito a “prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale”. Nell’aprile del 1939, il prefetto Giombini emanò addirittura una circolare per vietare l’uso del termine “pompiere”,

sionelles e nella città di Parigi questi sono inquadrati secondo un sistema militare. In Italia il numero dei vigili del fuoco “permanenti” (così è chiamato il personale di ruolo del Corpo) ha una quantità numerica inferiore a quella francese (25mila) ma c’è una differenza. In Francia i “professionisti” si trovano solo nelle grosse città industrializzate e tutta la provincia è servita da circa 200mila sapeurs pompiers volontaires. In Italia i vigili del fuoco volontari (inquadrati nel Corpo Nazionale) sono appena 6mila, da questo conteggio sono esclusi i colleghi delle regioni e province autonome che dispongono di una propria organizzazione antincendi. Si pensi che la sola Provincia Autonoma di Trento ha lo stesso numero di pompieri volontari dell’Italia tutta e vi sono presidii in tutti i comuni del comprensorio (239). In provincia di Bolzano i Freiwillige Feuerwehr sono circa 16mila e vi sono caserme anche nelle frazioni. La Regione Autonoma Valle d’Aosta è dotata sì di un Corpo di professionisti (sono appena 213 uomini) ma la capillarità d’intervento è garantita anche grazie al contributo di 1.600 vigili volontari (76 caserme in 73 comuni).

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Oggi in Italia ci sono 6mila vigili del fuoco volontari in forza al Corpo nazionale, che operano in circa 250 distaccamenti dislocati per la maggioranza nelle regioni del Nord Italia e operativamente rispondono ai Comandi provinciali del Corpo nazionale tardi quando il servizio viene soppresso (per volere di Roma), nonostante accese proteste degli abitanti della zona; le poche attrezzature vengono “sequestrate” dal Comando di Varese e i volontari congedati. Dei pompieri di Viggiù restano oggi: una bandiera, qualche cimelio e una taverna che ha cavalcato la popolarità data dal motivetto anche per produrre e vendere liquori “del pompiere”. I vigili del fuoco volontari oggi Oggi i sopravvissuti allo smantella-

mento sono circa 6mila vigili del fuoco volontari in forza al Corpo nazionale che operano in circa 250 distaccamenti dislocati per la maggioranza nelle regioni del Nord Italia e operativamente rispondono ai Comandi provinciali del Corpo nazionale. Le loro squadre sono a disposizione nelle 24 ore dei 365 giorni all’anno e spesso intervengono entro un massimo di dieci minuti dalla chiamata di soccorso. Il personale volontario gode delle qualifiche di agente o ufficiale di polizia giudiziaria che gli conferisce gli stessi doveri e responsabilità del personale permanente. In caso d’intervento congiunto (squadra volontaria e squadra permanente), il volontario è subordinato al “permanente” di pari grado (il “capo squadra permanente” è superiore al pari grado volontario ma il “vigile permanente” no). In merito a diritti e previdenza le cose sono invece un po’ diverse: a causa della mancata emanazione dei DD.LL. l’equiparazione, in merito a trattamento “pensionistico” in caso d’infortunio/ morte, è andata a farsi benedire. Ad oggi al volontario deceduto (o rimasto permanentemente inabile) in attività di soccorso s’applica la norma sulle


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vittime del dovere (speciale elargizione di 200mila euro). Se il volontario dovesse invece malauguratamente infortunarsi gravemente o morire durante addestramento o manutenzione/movimentazione automezzi, l’unica copertura sarebbe quella prevista dall’assicurazione: es. alla vedova di VF volontario con due figli minori spetterebbero ca. 37mila euro. I vigili volontari ricevono un rimborso spese solo per le sole ore impiegate nell’intervento di soccorso, importo spesso (anche se non in tutte le caserme) devoluto alla cassa del Distaccamento per l’acquisto e mantenimento di nuovi automezzi e attrezzature. Beni che essi sono poi costretti a donare (o cedere in comodato d’uso) allo Stato; il tutto anche con l’aiuto di fondazioni bancarie, Regioni, Province, Comuni, altre Autonomie locali, altri Enti pubblici e privati e Onlus appositamente costituite dagli stessi volontari. Detto soldo servirebbe, di fatto, a rimborsare le ore di lavoro perdute dal suono

dell’allarme al rientro in caserma (e di conseguenza sul posto di lavoro). Si tratta d’una modalità di rimborso simile a quella in uso per il volontariato di Protezione civile e per il CNSAS; per questi ultimi il trattamento economico (per il periodo di calamità o soccorso) viene mantenuto da parte dei datori di lavoro che vengono poi rimborsati dallo Stato. Per il VF volontario il datore di lavoro è invece tenuto a mantenere il solo posto di lavoro ma non la paga. Sulla legittimità del “soldo” ai VVF volontari s’espresse anche il Consiglio di Stato (parere 640/01 18-07-2001) che ritenne il “volontariato VVF” non assimilabile a quello dei componenti delle associazioni di volontariato (legge 383/2000). I vigili volontari sono reclutati fra coloro che ne facciano domanda presso i comandi provinciali, dopo che sia stata verificata l’idoneità psicofisica da apposite strutture del Servizio Sanitario Nazionale (solo recentemente detti accertamenti sanitari sono tornati a

La formazione e le difficoltà Il corso d’ingresso iniziale consta di 120 ore teorico/pratiche organizzate, di norma, presso i comandi provinciali e tenute da istruttori professionali permanenti. Stesse modalità sono previste per i corsi d’abilitazione alla guida dei mezzi targati VF e i corsi di “specializzazione” come NBCR, SAF, ATP (Autoprotezione in ambiente acquatico), TPSS (Tecniche di Primo Soccorso Sanitario). Non sempre detti corsi sono organizzati in orari confacenti alle esigenze dei VVFV che, di norma, un lavoro ce l’hanno. Ad esempio, per ottenere la patente di III categoria che abilita alla guida delle autopompe in soccorso (dispositivi supplementari d’allarme in funzione) occorre un corso di 4 settimane diurne/feriali e ben 144 ore (in Trentino ai VVF volontari è richiesto un impegno di 40 ore serali e/o festive per ottenere medesima autorizzazione, NdR). Comprensibile che con dette modalità non sia proprio semplicissimo frequentare gli addestramenti, fatto salvo quello mensile obbligatorio (5 ore) che viene svolto, di norma, presso gli stessi distaccamenti volontari. Le ripercussioni sono ovviamente sul servizio: reclutamenti bloccati e mancanza d’autisti non possono che inficiare l’operatività delle caserme che, in diversi casi, sono ormai operative a singhiozzo e i cittadini devono attendere l’arrivo di squadre da più lontano in caso di sinistro. L’anomalia: da “volontari” a “precari da stabilizzare” Nei medesimi elenchi dei VVF volontari risultano iscritti coloro che hanno svolto gli obblighi di leva (prima che

La sola Provincia Autonoma di Trento ha lo stesso numero di pompieri volontari dell’Italia tutta e vi sono presidii in tutti i comuni del comprensorio (239). In provincia di Bolzano i Freiwillige Feuerwehr sono circa 16mila e vi sono caserme anche nelle frazioni si arrivasse al solo esercito professionale) nel CNVVF e quei cittadini – che ne facciano domanda - e che possono venir richiamati, per esigenze dei comandi provinciali, di venti giorni in venti giorni (una sorta di lavoro parttime da svolgersi per un massimo di 6 mesi all’anno). Una delle passate leggi finanziarie attribuì – ahinoi – la qualifica di “precari” a tutti i “vigili volontari” con susseguente impennata nelle richieste di reclutamento, da parte soprattutto di pseudo-volontari che puntavano ad accumulare un certo numero di “giorni di richiamo” intravedendo in questo il miraggio del “posto fisso” nella Pubblica Amministrazione. Tra questa miriade di “domande” rimangono in giacenza (addirittura per anni) quelle richieste di reclutamento da parte di cittadini che intendono contribuire alla difesa delle proprie collettività e a tutela dei propri territori, entrando a operare in un distaccamento di vigili del fuoco volontari. A detta delle associazioni di categoria dei “discontinui” questi ultimi, negli anni, sarebbero diventati circa 60mila, anche se non si conosce il numero preciso, e i reclutamenti – a causa di quest’intasamento - sono restati, di fatto, dapprima bloccati e successivamente “contingentati” col risultato di avere caserme di VVF volontari con organici ridotti all’osso e operatività a singhiozzo. Il cambio di passo dell’Amministrazione Ad essere ridotti all’osso sono oggi (anche) i “richiami” in servizio tempo-

raneo. A causa dei tagli l’Amministrazione ha dovuto limitare al minimo l’utilizzo di questo strumento e, con parte dei “risparmi” è stato aumentato l’organico dei VVF permanenti d’un migliaio d’unità; un nuovo concorso, si vocifera, verrà emanato nel 2017 ma di “stabilizzazioni” non si parla più. Anche la recente circolare sull’equiparazione della formazione del VFV (incluso il personale “discontinuo”) a quella dell’Addetto Antincendio di “Alto Rischio” pare essere stato un modo carino per dire alle migliaia di

ex richiamati: “Trovatevi un lavoro!”. La nota positiva è una circolare a firma Gioacchino Giomi (Capo del CNVVF) con la quale il Dirigente comunica d’aver dettato indirizzi alle direzioni regionali VVF per incrementare l’attività di formazione del personale VVF in servizio presso le sedi volontarie, privilegiando la formazione iniziale a carattere teorico-pratico e, al fine di disporre di più autisti e capi partenza, la formazione per il conseguimento delle patenti di guida e i passaggi di qualifica a capo squadra volontario.

I Vigili del Fuoco nei paesi occidentali(3)

La top ten dei volontari

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carico dell’amministrazione; prima l’aspirante vigile volontario. doveva sborsare ca. 400 euro, NdR). Ottenuta l’iscrizione negli “Elenchi del Personale Volontario”, gli aspiranti vigili devono seguire un corso di formazione di base di 120 ore presso i comandi provinciali, prima di poter venir impiegati nei servizi di soccorso.

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L’ultimo corso per CSV risale infatti ormai a 10 anni fa e – dal momento che la composizione della squadra minima prevedrebbe 4 uomini più un qualificato – capita che le partenze di volontari non vengano impiegate in soccorso proprio per via della mancanza di questa figura. Restano dei dubbi sull’applicazione di detta circolare perché - mentre i direttori regionali possono intimare ai comandanti provinciali l’organizzazione di corsi d’ingresso e patenti – per indire un concorso/ corso a C.Sq. Volontario occorre una ricognizione e un Decreto Ministeriale; questo al Viminale non lo sanno? Sembrerebbero finalmente sbloccati anche i reclutamenti, emanato infatti il piano programmatico 2015/2017 (siamo oltre la metà del 2016…) con circolari diramate a fine giugno, si stabiliscono modalità d’ingresso di nuove reclute previa formazione di base (120 ore) a chi risulta già iscritto. Stabilito però anche un tetto massimo che, su base nazionale, si assesta a 5.534 ingressi e si tratterebbe di reclute solo (o quasi, dal momento che sono ancora previsti organici “volontari” anche per il funzionamento degli uffici delle Direzioni Regionali) per l’operatività dei distaccamenti volontari e non per

l’alimentazione del ventigiornismo che sarebbe ormai al tramonto. I tempi di risposta della macchina “Corpo Nazionale Vigili del Fuoco” E’ ormai naufragata l’iniziativa promossa dal Governo Berlusconi nel 2003 per favorire lo sviluppo del volontariato con il progetto “SOCCORSO ITALIA IN 20 MINUTI”. Allora furono identificate le cittadine ideali per l’apertura entro 5 anni di circa 300 nuovi Distaccamenti di vigili del fuoco volontari in modo da portare, con costi realmente contenuti, il soccorso tecnico urgente a tutta la popolazione entro venti minuti dalla richiesta di soccorso (venti minuti!). Purtroppo le “lentezze di mutamento culturale” da parte di alcuni Comandanti provinciali, abbinate a resistenze di natura corporativa all’interno del Corpo nazionale hanno fatto in modo che solo il 12 % del programma venisse attuato. Questo a prescindere dal colore politico del Governo in carica. Con questo lento ritmo, per costituire le 296 sedi oggetto del programma, occorrerebbero circa 42 anni. Nel frattempo i cittadini di circa 2mila Comuni con oltre 1.000 abitanti, per

un totale di 11 milioni di persone, non riescono ancora a ricevere un soccorso dai Vigili del Fuoco entro i 20 minuti “standard”. I costi Per il fatto di essere retribuiti nelle sole ore d’intervento e con spese di mantenimento delle sedi e del personale estremamente ridotte, alla collettività il costo dell’intervento effettuato dalla squadra volontaria è di almeno dieci volte inferiore rispetto a quello espletato dalla squadra di “permanenti” (il mantenimento di una struttura H24 con personale dipendente costa alla collettività, in media, un milione di euro; il presidio di volontari circa 50mila). Questo è il motivo perché in Europa da anni si è deciso di potenziare il soccorso tecnico urgente quasi esclusivamente con il volontariato, la cui economicità permette un dispiegamento capillare di sedi anche in quei luoghi non raggiungibili dal personale “professionista” in tempi ragionevoli. Le calamità nazionali e i pompieri volontari comunali di Zamberletti In seguito al terremoto che colpì l’Abruzzo e che ha visto il concorso di diverse forze giunte da tutta la peni-

mattino dopo il sisma erano già in viaggio per L’Aquila – i vigili dell’unico (allora) distaccamento volontario aquilano (quello di Ovindoli) venivano cacciati dalla zona d’operazioni da un ufficiale permanente dei VVF. Per “riabilitarli” si rese necessaria una denuncia alla Procura della Repubblica da parte del Sindaco. A volte “omesse attivazioni” anche nel soccorso ordinario L’essere un unico corpo nazionale dovrebbe avere diversi vantaggi, soprattutto in merito a uniformità addestrativa e modalità d’impiego/ attivazione delle squadre. In alcune realtà, però, l’allertamento delle caserme volontarie è lasciato alla discrezione dei capi turno di sala operativa (115) se non addirittura dei singoli operatori telefonici. Situazioni dove i volontari non verrebbero attivati nemmeno per interventi in comuni confinanti con quello della caserma. Distaccamenti ritenuti “non abilitati” agli interventi su incidente stradale pur essendo attrezzati e formati. Disposizioni di servizio scritte (Sic!)

di alcuni comandanti provinciali che prevedrebbero allarmi differiti in maniera tale da far giungere le squadre volontarie solo contestualmente al personale di ruolo, mai prima! Ciò a dispetto dell’ovvio criterio di prossimità oltre che al semplice buon senso. Le proposte e le corporazioni A proporre un cambio di passo fu anche Lorenzo Dellai che intervistai quand’era Presidente della Provincia Autonoma di Trento: «Bisogna arrivare all’obbligo di un Corpo di Vigili del Fuoco Volontari per ogni comune – com’è qui da noi in Trentino – certo ci vorranno 10/20 anni; non si cambia dalla sera alla mattina, ma mai si parte mai si arriva. I VVF volontari italiani dovranno dipendere dal proprio sindaco, ovviamente in sinergia con le regioni, ecco perché auspico un Corpo Regionale di Vigili». I primi passi da muovere? «Nessuna riforma si fa con un decreto, ovviamente; si potrebbe iniziare con una sperimentazione in una regione “capofila”, il Trentino potrebbe mettere a disposizione il proprio background.

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«L’Italia dovrebbe poter disporre di almeno 200 mila vigili del fuoco volontari, da affiancare a quelli professionisti, per assicurare una buona copertura antincendi e anticalamità in genere, a un paese come il nostro, che presenta una geografia tormentata e una notevole dispersione degli insediamenti abitativi». (Giuseppe Zamberletti, 1980)

sola, Giuseppe Zamberletti - fondatore della moderna Protezione civile in Italia - dichiarò in un’intervista televisiva: «Grazie al cielo abbiamo un’area ristretta ma se fosse stata molto vasta? Non abbiamo più i 40mila militari di leva in campo; dobbiamo ritornare ai Corpi Comunali dei Pompieri con una catena di comando che possa radunarli in caso d’emergenza, come in Alto Adige. Sono molto importanti perché conoscono il territorio, possono guidare le squadre giunte in rinforzo nella ricerca dei dispersi e dei sepolti. Questo è uno sforzo che il Paese deve fare!». Ma Zamberletti - Commissario Straordinario di Governo nel Friuli 1976; Commissario Straordinario in Campania e Basilicata dopo il terremoto del 23 novembre 1980 - già trent’anni fa dichiarava: «L’Italia dovrebbe poter disporre di almeno 200 mila vigili del fuoco volontari, da affiancare a quelli professionisti, per assicurare una buona copertura antincendi e anticalamità in genere, a un paese come il nostro, che presenta una geografia tormentata e una notevole dispersione degli insediamenti abitativi». Suggerimenti inascoltati per anni ma addirittura si escludono, ancora oggi, dai soccorsi quei seimila vigili del fuoco volontari che tutto l’hanno garantiscono il “soccorso tecnico urgente” - spesso in piena autonomia - nelle proprie zone operative di competenza. Un clamoroso esempio di esclusione dai soccorsi dei vigili del fuoco volontari lo abbiamo avuto nell’ultimo terremoto in Abruzzo durante il quale a fronte di migliaia di VVF permanenti intervenuti, s’è data la possibilità di contribuire solo ad un centinaio (totale dei vari avvicendamenti) di “equivalenti” volontari, utilizzati per lo più in compiti di logistica e vettovagliamento. E dire che i VVF volontari sarebbero richiamabili (da DPR che li regola) proprio in caso di catastrofe o calamità e destinati in qualsiasi località. Addirittura – mentre i colleghi volontari delle regioni e province autonome il

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Antincendio Boschivo), in diversi casi ragazzi molto preparati che, in fondo, sono dei pompieri “mancati” (cioè, se nel proprio paese ci fossero stati i VVF volontari si sarebbero aggregati a questi gruppi fin da subito)». Anche Raffaele De Col, quand’era a capo della Protezione Civile trentina provò a fare un’analisi sul sistema STU italiano e sulle difficoltà d’esportazione del “sistema trentino” nel resto della Penisola. «Perché la struttura Nazionale», disse l’Ingegnere, «è basata sulla distinzione tra “Soccorso Tecnico” (Stato) e “Protezione Civile” (volontari comunali). I nostri VVF volontari non dipendono funzionalmente dai “Professionisti”, semplicemente: dove non arrivano i volontari, arrivano i permanenti. Già, non viceversa. Sono nato e ho vissuto ad Agordo (BL): nel Bellunese e in Friuli negli anni ’60 si forzò la chiusura dei Corpi Comunali dei pompieri. Se si fosse stati meno miopi, oggi vi sarebbero forse VVF volontari ben distribuiti (regolati da norme chiare ispirate a principi d’autonomia e sussidiarietà). Ritengo che, sul “Soccorso Tecnico Urgente”, il ricorso al volontariato pompieristico sarà una tappa obbligata. Questo il CNVVF lo ben sa (ho avuto modo di parlare con persone preparate e lungimiranti); il Corpo Nazionale sarà di gran supporto per sviluppare il volontariato, una risorsa per il futuro».

*Giornalista, Capo Squadra Volontario del CNVVF, già Direttore Responsabile della rivista “VFV Tecnica Antincendio e Protezione Civile” organo ufficiale dell’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco Volontari Fonti: (1) Libro “Roma Città del Fuoco”, edito dal Comando Provinciale dei vigili del fuoco di Roma (2002). (2) Libro “Uniformi e distintivi dei vigili del fuoco 1900-1965 ”, Alessandro Mella - Ed. Marvia (3) Ing. Natalia Restuccia “Obiettivo Sicurezza”, già Rivista Ufficiale del CNVVF (4) “I costi del personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco”, edito dall’Ente Morale ANVVFV

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Per lavorare a questo disegno occorre una volontà politica forte capace di stoppare le “spinte corporative”, vincere le paure. Sa che non so mica se tutti i sindaci italiani sono d’accordo…ma la strategia è questa». Nell’Italia a statuto ordinario i sindaci hanno già i Gruppi Comunali di Protezione Civile, un po’ un succedaneo dei pompieri comunali che chiedeva Zamberletti. «Il sindaco è Autorità di Protezione Civile sul territorio comunale, il Corpo VVFV deve essere l’organo tecnico di ProCiv del sindaco. E’ assurdo che il primo cittadino debba chiamare il prefetto e chiedere: “Per favore mi mette a disposizione i pompieri?”». Anche per Alberto Flaim (presidente della Federazione Corpi VVF Volontari del Trentino) il sistema è esportabile, certo non dalla sera alla mattina. «Il sistema che vedi», mi disse, «con le casermette in tutti i comuni della provincia - è una realtà che ci siamo ritrovati, non abbiamo inventato nulla di nuovo. Bene hanno fatto i nostri padri e noi facciamo “solo” in modo di non disperdere questo patrimonio. Sulla “esportabilità” sono scettico, non puoi cambiare il modo di pensare della gente dalla sera alla mattina; quantomeno non lo vedo come un progetto a breve termine, la strada è tutta in salita. Anche se, nell’ottica d’uno sviluppo del volontariato VVF, “pescherei” dagli A.I.B. (Volontari

Già la annosa dicotomia STU/ProCiv: perché un sindaco è la massima autorità di Protezione Civile nel suo municipio (e risponde anche penalmente) ma se brucia un’abitazione o un’automobilista resta intrappolato in auto non deve occuparsene? Perché i VAB possono (per legge) occuparsi d’incendi di bosco, appunto, ma non d’un cassonetto di spazzatura o d’una autovettura? Con onestà intellettuale – mettendo da parte i corporativismi del genere “[+] VVF [–] ProCiv”, una riflessione va fatta. Abbiamo un milione di volontari di PC inquadrati nei GPC comunali no? Abbiamo i VAB a presidio delle zone boscate montane no? Non si tratterebbe d’un cambio di cappello (o di elmetto) tout court per carità! Ma, rivista la norma, perché chi 1) lo desidera; 2) supera gli accertamenti psico-fisici previsti per i VVFV; 3) si sottopone a medesima formazione del VFV…non può – di fatto – diventare un VF volontario a presidio del proprio territorio? Certo poi l’impegno sarebbe diverso, un VF volontario è, pressoché, operativo H24 e non può permettersi tempi d’attivazione da calamità (10’ sarebbero già troppi). Già, uno sforzo che il Paese deve fare, soprattutto uno sforzo mentale. Perché – come scrisse qualche settimana fa Dario Di Vico sul Corriere in merito alla diatriba TAXI/UBER – «Attenzione, una volta proteggere le corporazioni portava consenso, oggi non è detto che sia ancora così».

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