Venezia. La biblioteca di tutte le biblioteche
Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work
Collana a cura di Sara Marini, Massimiliano Condotta, Università Iuav di Venezia
Comitato scientifico
Caterina Balletti, Università Iuav di Venezia
Alessandra Bosco, Università Iuav di Venezia
Maurizio Carlin, Padiglione Venezia
Michele Casarin, Accademia di Belle Arti di Venezia
Alessandro Costa, Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità
Giovanni Dell’Olivo, Fondazione di Venezia
Giovanni Marras, Università Iuav di Venezia
Progetto grafico
Centro Editoria Pard / Egidio Cutillo, Andrea Pastorello
Venezia. La biblioteca di tutte le biblioteche a cura di Sara Marini, Egidio Cutillo, Andrea Pastorello
ISBN 979-12-5953-152-0
Prima edizione: aprile 2025
Immagine di copertina
Biblioteca Iuav. Ph. Gabriele Bortoluzzi, 2025
Anteferma Edizioni Srl, via Asolo 12, Conegliano, TV
Stampa: Grafiche Antiga, Crocetta del Montello, TV
Copyright: Opera distribuita con licenza CC BY-NC-ND 4.0 internazionale
Volume edito nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia all’interno del progetto Iuav at Work quale estensione nel territorio cittadino del Padiglione Venezia.
Volume realizzato con i fondi relativi all’attività di collaborazione fra Fondazione Iuav, Università Iuav di Venezia, Fondazione di Venezia, Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità ed ESU Venezia.
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Premessa. Il progetto di una Rete Novissima
Benno Albrecht
6 I nomi delle serenissime rose. Biblioteche, libri, città
Sara Marini
14 Biblioteche e trasformazione digitale
Caterina Balletti
20 Venezia, i libri, le biblioteche
Antonella Agnoli
I. Cartografie
36 Mappe e abachi di una città-biblioteca
Camila Burgos Vargas, Egidio Cutillo, Andrea Pastorello
II. Indagini
156 D’oro, di fango e di carta. Venezia bibliopolis
Egidio Cutillo
164 Le biblioteche di Venezia. La missione della conservazione e trasmissione della memoria e della cultura
Davide Gabriele
180 Riscrivere lo spazio della biblioteca. Nuovi valori per la città
Camila Burgos Vargas
190 Un milione di voci. Venezia e gli abitanti di carta
Andrea Pastorello
199 Bibliografia
Sara Marini
I nomi delle serenissime rose. Biblioteche, libri, città
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. — B. Cluniacense, De contemptu mundi, 952
Nel 1980 è edito Il nome della rosa di Umberto Eco: romanzo d’invenzione, libro di storia che rimette al centro il Medioevo, racconto di un viaggio fisico e della formazione di un novizio, giallo con alcuni aspetti horror e una narrazione che sottolinea diversi diritti assenti di generi e parti della società. Il libro ha come protagonista una biblioteca e segna, con la costruzione dell’effimera Strada Novissima voluta, sempre nel 1980, da Paolo Portoghesi dentro le Corderie dell’Arsenale di Venezia, l’avvento della postmodernità declinata nelle vie nazionali. Da un lato una biblioteca che ha un nesso evidente con gli oggetti che custodisce, una funzione chiara di conservazione di un patrimonio e di accessibilità allo stesso, dall’altro la strada, ovvero lo spazio della città attraversato da sconosciuti che possono incrociarsi casualmente. Ma la distanza tra le due figure è solo apparente in un movimento come quello postmoderno che coniuga gli opposti: in entrambe le opere la biblioteca da un lato e la strada dall’altro sono luoghi desiderabili, dell’ignoto e della nuova possibile conoscenza, sono gli spazi dove si costruiscono le trame della vita e dell’immaginario. Il nome della rosa apre alla commistione di generi, alla convivenza di più storie e alla resurrezione della Storia in una vertigine di immagini che ha al centro uno spazio labirintico di libri. Se l’architettura-arca che ospita il sapere nell’abbazia è fiera, alta e inespugnabile nella sua solidità formale e costruttiva, dentro il suo cuore è fatto di scale di legno intrecciate come in una foresta e di oggetti di carta la cui collocazione è a sua volta una mappa inestricabile di conoscenza e segreti. Eco costruisce una narrazione pop e sofisticata, punteggiata da numerosissime citazioni 1 sul mito della biblioteca come insieme infinito di volumi e
1 «E lo stesso testo di Eco, tra l’altro, che è immaginato come citazione totale di un libro che riproduce fedelmente un manoscritto, non è che un gioco straordinario intorno alla allusione, poiché essa è la forma stessa del linguaggio, la natura vera della parola, cioè della Biblioteca, che illude di contenere il sapere, il quale è invece dis-perso in segni la cui relazione reciproca è incomprensibile». E.L. Francalanci, Del ludico. Dopo il sorriso
del luogo che li costudisce. Il testo è scritto mentre è già nata l’ennesima rivoluzione della comunicazione, ovvero l’avvento della grande biblioteca digitale, che sembra decretare la morte del racconto su carta e l’inutilità della sua “cassaforte” architettonica. La biblioteca alla fine del romanzo brucia: quel che rimane è, come recita l’ultima frase del romanzo, qui riportata in esergo, solo un nome. Nella realtà però resta un gorgo di libri: uno che rimanda all’altro in una catena infinita e avventurosa. Del romanzo di Eco sono state vendute più di cinquanta milioni di copie, il testo è stato tradotto in oltre quaranta lingue, già solo questi numeri sconfessano il rogo della biblioteca a chiusura del racconto e il suo possibile proporsi come una premonizione.
Dal romanzo emergono due figure che guidano quanto verrà detto successivamente: la prima è quella dell’infinito, oltre la forma finita di ogni biblioteca si estende la conoscenza moltiplicata senza fine da rimbalzi e nessi possibili, la seconda è quella del labirinto desumibile dall’organizzazione piranesiana delle scale della biblioteca, ma anche dal succedersi dei fatti nel romanzo che appunto fanno continuamente cambiare strada al lettore da un genere all’altro, da una trama a un’altra imprevista. Queste due figure guidano il progetto qui proposto atto a definire una biblioteca di tutte le biblioteche veneziane, un unico arcipelago di spazi che insiste, con le dovute e preziose differenze, nello stesso ambiente. Un insieme unificato qui svelato e messo in valore per essere digitalmente connesso, ovvero dando corpo a un catalogo virtuale unificato, e fisicamente accessibile in un medesimo modo: con un’auspicabile sola “tessera”. L’obiettivo perseguito è duplice: da un lato moltiplicare quegli echi tra una collezione e l’altra, ricomporre idealmente i milioni di volumi custoditi e quelli che verranno, dall’altro insistere sulle diverse biblioteche come brani e baluardi della città. Il territorio veneziano per forma del proprio centro storico, per accezione geografica e per morfologia urbana delle sue diverse parti già si propone come un labirinto, forma manifesto della conoscenza.
delle avanguardie, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1982, pp. 24-25.
reali presentano nessi ancora più evidenti tra le cose tangibili e le immagini del mondo. Le biblioteche di fondazioni ed enti pubblici e privati sono luoghi che custodiscono oggetti che attendono di essere animati, consultati, dimenticati per essere poi riscoperti, di essere oggetto di discussione tra conoscenti o sconosciuti. A differenza del mondo virtuale, che certo oggi accompagna e in buona parte potenzia quello reale, la scena che si presenta al visitatore è molteplice ma finita, esplode solo se si aprono i volumi. Quindi tornare a parlare di biblioteche in relazione al destino di una città come Venezia, ma come esempio per tutte le città, equivale a ricucire quel nesso tra la cruda realtà e le possibilità che vi si possono costruire, a rimettere in valore il seme della speranza di un riscatto sociale che passa dai libri e dalla conoscenza.
L’immagine che guida la possibile “somma” di tutte le biblioteche veneziane è tratta dal progetto di Federico Soriano per il New Taipei City Museum of Art; nel 2011 l’architetto spagnolo immagina la nuova architettura come una collezione piranesiana di frammenti museali esistenti e distanti tra loro raccolti a definire un unico e molteplice ambiente. La biblioteca di tutte le biblioteche è un’immagine ideale tratteggiata per inseguire concrete cadute nella realtà: la messa in rete di tutte le biblioteche di una città di laguna e di terra equivale a dilatare ogni singolo punto e a connetterlo con l’altro, certo in termini di accesso e di servizi ma anche come presenze reali nel territorio. Il progetto prevede in primis un raccordo dei servizi digitali ai quali consegue anche l’accesso agli spazi e poi, in prospettiva, la definizione di laboratori di restauro del libro e depositi in comunione. Mentre i documenti virtuali e cartacei continuano ad aumentare, gli spazi sono finiti, questo problema di tipo matematico chiede risoluzioni che sono affrontabili unendo le forze, inventando forme di depositi capaci di partecipare al disegno della città, ragionando sulle connivenze che possono sussistere tra salvaguardia e abitabilità dei patrimoni. In pratica questo volume si propone come una guida alternativa del territorio veneziano, ma anche quale primo capitolo della riedizione di un’idea della città fondata sulla cultura del libro e di conseguenza anche dei mestieri a esso connessi. Come nella Venezia del 1500 nella quale lavorava Aldo Manuzio, la città
attuale può rifondarsi su realtà in buona parte già presenti, tutto sta a vederle, della produzione, della cura, della catalogazione, della conservazione, della diffusione del libro.
L’immagine dell’arcipelago e delle diverse biblioteche che punteggiano il territorio con diverse densità rimanda di nuovo alla figura dell’infinito. Non è qui sottolineato un singolo punto ma il valore dell’insieme e anche quello delle distanze tra uno spazio e l’altro che sono difformi, a volte definite da pochi minuti, in altri casi da un viaggio in vaporetto o in autobus. Si ottiene così una mappa che può essere ulteriormente dilatata, ma che racconta luoghi diversi, diverse collezioni, di cui molte dedicate all’arte e all’architettura, a costruire un’ulteriore specchiatura con la città. Un mondo diffuso alternativo all’unico grande contenitore urbano, un insieme di biblioteche insediate in luoghi centrali o marginali, tutte necessarie come avamposti.
Nel labirinto veneziano
Il centro storico di Venezia è facilmente associabile a un labirinto per la sua forma e struttura urbana anti cartesiana, ma anche la laguna che lo ospita con la trama dei suoi canali propone continue deviazioni percorribili o meno in base alle maree. Ogni realtà del territorio metropolitano presenta storie, disegni, tempi diversi, questa diversità caratterizza anche le biblioteche e i tragitti istantanei o meno che le separano. Quindi “abitare” la grande biblioteca veneziana equivale a scoprire luoghi differenti, attraversare i secoli, uscire e percorrere le calli del centro storico, i canali della laguna, le piazze, i parchi, le strade e i viali della città di terraferma. L’avventura presente dentro ogni biblioteca qui interessa anche gli spazi tra l’una e l’altra5. La vertigine della conoscenza rimbalza
5 «Non resta che leggere o gironzolare a caso, due cose che più o meno si equivalgono, perché di notte queste stradine di pietra sono come i camminamenti tra gli scaffali di qualche immensa biblioteca dimenticata, e sono altrettanto tranquille. Tutti i “libri” sono ermeticamente chiusi, e puoi capire di che cosa trattano solo guardando i nomi sul loro dorso, sotto il campanello. Oh sì, può succederti di trovare lì i tuoi Donizetti e Rossini, i tuoi Lulli e Frescobaldi! Magari persino un Mozart, magari persino un Haydn». I. Brodskij, Fondamenta degli
quindi dalle storie di carta o virtuali alla realtà e viceversa, così come le storie di vita che si possono incontrare sono molteplici. Molte delle biblioteche veneziane, qui rilevate, non sono nate come tali, sono frutto di insediamenti e trasformazioni nel tempo. Non sempre evidenti per chi le cerca, sono brani di città che coinvolgono spazi aperti, giardini, chiostri, ingressi in cui sostare en plein air. Queste osservazioni sul labirinto veneziano propongono una questione per il progetto contemporaneo. Le nuove architetture della biblioteca che si stanno costruendo nel mondo proseguono in buona parte l’esempio della Seattle Central Library realizzata da Oma nel 2004: sono oggetti chiaramente riconoscibili, dal perimetro e dalla forma certi, progettati su una ottimizzazione della gestione e degli usi degli spazi interni. Il modello si sta progressivamente evolvendo dando sempre più spazio, oltre alla conservazione e allo studio, a luoghi per il tempo libero, dove incontrarsi e svolgere diverse attività. Nel 2010 Sou Fujimoto conclude a Tokyo la Musashino Art University impostata su una pianta a forma di labirinto e nella quale gli scaffali dei libri coincidono con i muri, nella Tianjin Binhai Library realizzata in Cina nel 2017 da MVRDV scale e muri ospitano i libri per fare spazio a una grande agorà. In sostanza dentro le nuove grandi biblioteche che si stanno realizzando nelle metropoli del pianeta sono raccolti brani di città. L’insieme delle biblioteche veneziane per propria storia è diffuso e molteplice, comprende in molti casi spazi aperti e un’appartenenza al disegno urbano che ne può inficiare la riconoscibilità ma anche ne testimonia la partecipazione alla struttura e all’idea della città6 . In pratica se nelle grandi realtà il modello architettonico che si
Incurabili (1989), Adelphi, Milano 1991, p. 85. 6 «Venice, in other words, is unique and yet is hidden everywhere there is a city fraught with the contradictions – or even paradoxes – of urban imagination. Taking the cue from Calvino’s insight, and going beyond the idea of a literary city, in this essay I ask myself a specular question: what narratives does Venice hide? Or, said with the vocabulary of material ecocriticism: what do we see in Venice, if we read it as a text?», S. Iovino, Reading the Bodies of Venice. Journeys across the Lagoon’s Storied Materialities, «Vesper. Rivista di architettura, arti e teoria | Journal of Architecture, Arts & Theory», 1 (Supervenice), 2019, p. 142.
Caterina Balletti
Biblioteche e trasformazione digitale
L’innovazione tecnologica ha profondamente trasformato le modalità di fruizione e diffusione della cultura. Basti pensare a internet, alle diverse piattaforme digitali e agli strumenti informatici che ogni giorno ridefiniscono continuamente il modo in cui le persone interagiscono, creando nuovi scenari di condivisione e partecipazione, rafforzando il legame tra individui e cultura, aprendo la strada a nuove forme di esperienza e interpretazione. Oggi, nell’era della trasformazione digitale, le biblioteche, luoghi con un ruolo chiave per la memoria culturale attraverso la conservazione e valorizzazione del patrimonio bibliografico, stanno abbracciando nuove tecnologie per rimanere rilevanti e servire meglio le loro comunità. L’adozione di strumenti e procedure digitali, insieme alla condivisione di standard tecnici e descrittivi e di linee guida riconosciuti anche in ambito internazionale, favorisce non solo la visibilità delle biblioteche, ma anche ne garantisce la loro accessibilità e soprattutto lo sviluppo di reti.
Quello delle biblioteche è stato il primo settore a promuovere il ricorso alle nuove tecnologie (si pensi, per fare un esempio storicamente lontano, all’introduzione della stampa a caratteri mobili), non solo nell’attività quotidiana degli uffici o per offrire al pubblico un servizio più efficiente, ma anche per ottenere un posto di grande prestigio nel settore del digitale. L’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU)1, che per missione istituzionale rappresenta tutte le biblioteche, indipendentemente dalla loro tipologia funzionale o appartenenza amministrativa, ha interpretato il ruolo di capofila nell’ingresso dei beni culturali nel mondo del digitale.
Il tema della digitalizzazione del patrimonio bibliotecario o il concetto di biblioteca digitale, che ha rivoluzionato la condivisione dei contenuti, superando le sfide iniziali legate alla creazione di
1 L’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le informazioni bibliografiche coordina la rete informatizzata di servizi bibliografici nazionali con lo scopo di fornire un vero e proprio portale delle biblioteche e degli istituti culturali italiani offerto alla cittadinanza, uno strumento di visibilità nazionale del lavoro trentennale svolto da tutte le istituzioni bibliotecarie aderenti al Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN). Catalogo disponibile online (www.iccu.sbn.it/it).
sistemi indipendenti con contenuti e software sviluppati da zero, non è assolutamente nuovo. Negli anni ’90, si diffonde l’idea di riutilizzare archivi esistenti, sottolineando l’importanza dell’interoperabilità tra sistemi diversi. Proprio nel 1999 nasce l’Open Archives Initiative (OAI) che ha introdotto il protocollo OAI-PMH per facilitare l’integrazione tra fornitori di dati (ossia coloro che depositano e rendono accessibili i metadati) e i fornitori di servizi (coloro che raccolgono e organizzano questi dati per offrire strumenti di ricerca)2 .
Maurizio Messina, nel 2001, evidenzia lo stretto rapporto tra catalogazione e digitalizzazione nella promozione della diversità culturale e nell’accesso pubblico al patrimonio conservato in biblioteche, archivi e musei. Messina sottolinea quindi come non si tratti solo di una questione tecnica, ma anche culturale e strategica. Un altro principio fondamentale della biblioteca digitale è che non esiste senza un modello di servizi. Due aspetti chiave sono l’organizzazione dell’accesso ai contenuti e il mantenimento dell’accessibilità nel tempo. Le biblioteche devono migliorare l’usabilità delle collezioni per gli utenti e senza registrazioni catalografiche standardizzate pubblicate su OPAC la digitalizzazione rischia di non essere efficace3. Basandosi sulla cooperazione tra fornitori di contenuti, rappresentano una strategia fondamentale per ridurre i costi di digitalizzazione e gestione delle risorse informative. Tuttavia, proprio per la varietà di modelli proprietari e ontologie, la piena integrazione risulta molto complessa, anche se molti progetti di ricerca (ad esempio il progetto europeo Europeana4 , oppure quello italiano Biblioteca digitale italiana BDI5) stanno lavorando per sviluppare soluzioni che rendano le biblioteche digitali sempre più accessibili ed efficienti.
2 Cfr. «DigItalia. Rivista del digitale nei beni culturali», IV, 2, 2009.
3 L’intervento di Maurizio Messina, Fra catalogazione e digitalizzazione: il progetto ADMV, presentato in occasione del “Seminario sulla Biblioteca Digitale Italiana”, tenutosi a Firenze, presso la Biblioteca Nazionale Centrale è disponibile online (www.aib.it/aib/sezioni/ emr/bibtime/num-v-1/messina.htm).
4 Cfr. il sito disponibile online (www.europeana.eu).
5 Cfr. il sito disponibile online (www.internetculturale.it/it/1038/ biblioteca-digitale-italiana).
Caterina Balletti
ricerca e all’istruzione: le collezioni digitali, facilmente consultabili, offrono accesso immediato a una vasta gamma di risorse, facilitando l’impiego di strumenti avanzati come l’analisi del testo e il data mining. Infine, la digitalizzazione migliora l’efficienza operativa, poiché l’adozione di strumenti tecnologici può sicuramente migliorare la catalogazione e la gestione amministrativa, consentendo al personale di concentrarsi su attività più strategiche e di valore aggiunto. Il PND fornisce gli strumenti operativi che supportano la pianificazione e l’esecuzione delle attività di trasformazione digitale dei patrimoni, dei luoghi e degli istituti della cultura, attraverso delle linee guida che si articolano in diverse aree fondamentali. Un primo ambito riguarda le procedure per la creazione e archiviazione di oggetti o repliche digitali8 derivati da beni analogici, con particolare attenzione alla definizione dei metadati necessari per garantire un’organizzazione strutturata e accessibile delle informazioni. I metadati, infatti, rappresentano un elemento essenziale per gestire le informazioni all’interno delle biblioteche e possono essere attribuiti a diversi tipi di contenuti, come libri, immagini, siti web, database, ma anche a soggetti o enti. A seconda del loro scopo, si suddividono in metadati descrittivi, strutturali e amministrativi, ciascuno con funzioni specifiche come la regolamentazione delle risorse e dei diritti di proprietà intellettuale, l’autenticazione e l’autorizzazione, la personalizzazione e la localizzazione dei servizi9 . Un altro aspetto affrontato nel PND riguarda la redazione del piano di gestione dei dati; questo garantisce una maggiore interoperabilità tra le istituzioni e una direzione efficace delle risorse. Per ultimo le linee guida forniscono un quadro normativo di riferimento e strumenti pratici per comprendere le finalità di utilizzo
8 La replica digitale consiste nella conversione di materiali fisici, come libri, manoscritti, documenti storici, immagini e supporti audiovisivi, in formato digitale. Questo processo implica l’uso di strumentazioni diverse quali scanner, fotocamere digitali e software di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) per trasformare i contenuti analogici in file digitali accessibili tramite computer, tablet o smartphone.
9 Cfr. M. Carmelina, Biblioteche digitali, un patrimonio in crescita: cosa sono e quali sono le più utili, disponibile online (www.agendadigitale. eu/cultura-digitale/biblioteche-digitali-un-patrimonio-in-crescita-cosa-sono-e-quali-sono-le-piu-utili).
delle riproduzioni digitali e i vincoli legati ai diritti d’autore, con lo scopo di aiutare istituzioni e utenti a distinguere chiaramente i limiti e le possibilità di riuso delle immagini disponibili online. L’obiettivo finale è assicurare che i processi di digitalizzazione condotti dai singoli istituti possano essere svolti in modo strutturato ed efficace, garantendo la produzione di dati di alta qualità, conformi ai più recenti standard. Le risorse devono essere condivisibili e quindi interoperabili e durevoli nel tempo, mediante metadati strutturati allineati a standard internazionali che le rendano facilmente riutilizzabili da diverse comunità di ricerca e utenti. Il modello OAIS (Open Archival Information System), ad esempio, è il più importante standard di riferimento. La sua implementazione permette la creazione di repository strutturati che facilitano l’interoperabilità tra sistemi e il recupero delle informazioni nel lungo periodo, assicurando che i contenuti siano utilizzabili anche con le evoluzioni tecnologiche future. Un ultimo aspetto nell’ambito della trasformazione digitale, molto attuale e presente dall’Agenda Digitale, riguarda il ruolo cruciale dell’Intelligenza Artificiale (IA) nella società contemporanea e i benefici sociali ed economici previsti in tutti i settori. Il rapido progresso delle tecnologie IA impone anche alle biblioteche di adeguarsi, ma molte sono ancora le variabili che rappresentano sia opportunità che sfide. Risulta sempre più necessario sviluppare competenze specifiche, regolamentare l’uso dell’IA e promuovere un’implementazione consapevole, per garantire che le biblioteche rimangano centri di innovazione e accesso equo alla conoscenza, per sviluppare strategie che consentano l’adozione di queste nuove tecnologie in modo etico, assicurando il loro ruolo nella trasformazione della società10. «Il digitale è un mezzo, e non il fine, per creare una nuova forma di cultura: la priorità è rappresentata dall’obiettivo da raggiungere, ed è dunque questo che deve essere messo al centro della discussione, non lo strumento grazie al quale verrà realizzato»11 .
10 A.M. Tammaro, F. Zanichelli, S. Del Carlo, IA in biblioteca: quale impatto? I risultati di un’indagine in Italia, «Biblioteche Oggi», 8, 2024, pp. 3-14.
11 S. Buttò, Patrimonio bibliografico e culturale: l’ICCU per una nuova cultura del digitale, disponibile online (www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/patrimonio-bibliografico-e-culturale-liccu-per-una-nuova-cultura-del-digitale).
Antonella Agnoli
Venezia, i libri, le biblioteche
Antonella Agnoli
Amazon di sapere sempre dove siamo e cosa facciamo, oltre che di arricchirsi in maniera smisurata.
Malgrado tutto, le biblioteche non solo non scompariranno ma saranno sempre più necessarie: già nel 2018 il sociologo americano Eric Klinenberg, nel suo libro Palaces for the people. How Social Infrastructure Can Help Fight Inequality, Polarization, and the Decline of Civic Life2, spiegava come il futuro delle società democratiche non si basa semplicemente su valori condivisi, ma su spazi condivisi: le biblioteche, gli asili nido, i parchi luoghi dove si formano connessioni cruciali. Klinenberg afferma che l’infrastruttura sociale che definisce gli spazi fisici che modellano le nostre interazioni, svolge un ruolo essenziale ma non apprezzato nelle società moderne, generando disuguaglianze in materia di salute, istruzione, criminalità, vulnerabilità climatica e sociale.
Negli anni, architetti e bibliotecari hanno molto ragionato sulle differenti tipologie degli edifici pensiamo a Seattle e alla sua famosa spirale, oppure agli edifici simili ai grandi magazzini, senza confini interni tra i libri e le varie altre funzioni: dall’antesignana Rotterdam alla più recente Deichmann. Oggi possiamo ammirare alcune biblioteche che non assomigliano a nessuna forma conosciuta e sono solo stupefacenti come Oodi a Helsinki o Tianjin in Cina. Nel nostro paese è raro trovare architetture audaci per le biblioteche: forse non ci sono mai state le risorse, la volontà o le ambizioni. Chissà se oggi possiamo ancora permetterci di investire in edifici grandi e impegnativi da sostenere. Forse i tempi sono superati, le condizioni economiche, sociali, culturali che stiamo vivendo richiedono servizi più diffusi e più vicini ai cittadini, ci sono però esempi europei recenti che fanno ben sperare.
Una delle biblioteche più belle costruite negli ultimi anni è la Oodi di Helsinki, su cui molto si è scritto perché è veramente uno spazio sorprendente: ci si potrebbero passare giorni interi senza sentire il bisogno di uscire, tante sono le attività, gli scorci sulla
2 E. Klinenberg, Palaces for the people. How Social Infrastructure Can Help Fight Inequality, Polarization, and the Decline of Civic Life, Crown, New York 2018; trad. it. Costruzioni per le persone. Come le infrastrutture sociali possono aiutare a combattere le disuguaglianze, la polarizzazione sociale e il declino del senso civico, Ledizioni, Milano 2019.
città, gli angoli in cui stare. Un ottimo ristorante al piano terra, un caffè vicino alla grande terrazza, al terzo livello il “paradiso dei libri”, una sorta di grande salotto sospeso sulla città, un cinema, un livello intermedio dedicato al fare, agli hobby, con macchine da cucire, plotter, stampanti di tutti i tipi, salette dove giocare ma anche realizzare videogiochi, dove creare musica o video, uffici, salette riunioni, il laboratorio urbano e tanto altro. Un edificio che è diventato il vero orgoglio di Helsinki, città in cui le biblioteche rappresentano la seconda voce di investimento pubblico in servizi: ogni quartiere ne ha una, sono tutte accoglienti, curate, molto frequentate. Non scordiamoci che i finlandesi leggono in media 40 libri l’anno e vanno in biblioteca una media di dieci volte l’anno. Il sindaco Helsinki Jan Vapaavuori ha raccontato in un’intervista:
Ho trascorso in biblioteca gran parte del mio tempo dai 6 ai 16 anni. E per me non era un’opzione […]. Così oggi a chi mi chiede come mai abbiamo costruito una biblioteca nell’area più pregiata della città, rispondo che siamo un Paese povero che ha investito in risorse umane. Oodi è il simbolo di questa politica ma anche dell’eguaglianza, della trasparenza, della democrazia, valori in cui crediamo profondamente e che oggi è importante riaffermare.3
Un altro esempio importante è la Deichmann di Oslo: situata di fronte alla stazione ferroviaria è un grande edificio di vetro, abbastanza regolare, con vari ingressi che connettono tre diversi punti dell’isolato. All’interno un grande spazio, una sorta di città verticale; piani sfalsati connessi da un intreccio di scale mobili che collegano i vari livelli, un soffitto fonoassorbente fatto a nido d’ape. Un’opera d’arte fatta di tubi al neon che formano una rete di linee luminose attraversa il quadrato centrale dell’edificio. All’interno scopriamo percorsi e strade laterali che offrono spazi appartati, stanze, nicchie colorate attorno alle torri librarie, terrazze interne ed esterne. Si incrociano
3 S. Banti, Helsinki. Ode alla biblioteca, «Abitare», 28 febbraio 2019, disponibile online (www.abitare.it/it/architettura/progetti/2019/ 02/28/ala-architects-biblioteca-oodi-helsinki).
Antonella Agnoli
servizi inaspettati, pozzi di luce, scorci fantastici sul fiordo di Oslo e sull’edificio dell’Opera progettato dallo studio Snøhetta. Ogni angolo dell’edificio è accessibile e percorribile, con affacci sugli spazi interni, ma soprattutto sull’esterno, è un luogo rilassante, tranquillo, pieno di gente che dà l’impressione di sentirsi a proprio agio. La biblioteca non è progettata per avere spazi rigidi per età o funzioni: sono gli arredi che li definiscono, grazie a quello che vi è esposto, alle tecnologie, alle attrezzature, alla collocazione, o semplicemente a quello che vi accade. La Deichman è piena di opere d’arte e di progetti artistici, alcuni permanenti altri temporanei, a cominciare dall’esterno dove una scultura organica alta sette metri, che rappresenta una strana creatura, contrasta con le linee dell’edificio. Ancora più sorprendente la Future Library, collocata all’ultimo piano, che durerà fino al 2114: ogni anno un autore è invitato a scrivere un testo che verrà conservato in una stanza fatta di centinaia di pezzi di legno impilati a formare una sorta di grotta. Dentro ci sono 100 cassetti luminosi che conterranno i 100 manoscritti. I cassetti verranno aperti tutti insieme nel 2114! Tutto è molto luminoso, anche gli angoli più appartati, tutto è accogliente, pieno di attenzioni e cura; l’area dei bambini si è rivelata troppo piccola, nel primo pomeriggio il parcheggio delle carrozzine è al completo. Lo spazio più bello in assoluto è all’ultimo piano dove l’edificio si allunga verso l’esterno, il grande piano inclinato interno fatto a gradinata domina la città e il fiordo. La Deichmann offre la sensazione di essere in una piccola città: bambini di tutte le taglie, famiglie, scolaresche, ragazzi che studiano, altri che giocano, ascoltano musica, suonano. C’è sempre chi legge il giornale e chi dorme, chi gattona e chi gioca a nascondino: i più grandi si sbaciucchiano, cincischiano con il telefonino o con la stampante 3D. Un posto dove accade di tutto, dove ogni persona sceglie il suo piccolo spazio vitale, ed è talmente naturale il modo di vivere questa biblioteca che ai cittadini sembra davvero l’estensione della propria casa. Uno spazio contemporaneamente pubblico e privato. Le nuove biblioteche possono essere quel luogo che concilia i due spazi. Nel primo anno di apertura della Deichman sono entrati 3,1 milioni di persone (la città di Oslo ha circa 700.000 abitanti e 20 biblioteche di quartiere) e oggi sono tutti convinti che abbia contribuito a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Antonella Agnoli
Spostiamoci adesso a Tilburg, in Olanda. La città (200.000 abitanti) aveva già una sua moderna biblioteca nel centro cittadino, non recente ma nemmeno così vecchia da richiedere un nuovo edificio. Il nuovo progetto è partito dall’idea di riqualificare un vecchio deposito e di innescare lo sviluppo di un’area marginale della città. Coraggio e visione che si sono trasformati in una storia di successo. L’amministrazione ha investito 34,5 milioni di euro per il recupero di un’ex sala locomotive del 1932. Progetto super premiato, aperto nel 2019, definito l’edificio con il “maggior valore aggiunto per gli utenti e per la società”, vissuto fin dal primo giorno come il luogo di incontro più importante in città. LocHal è un edificio di 11.200 metri quadri su tre piani, contiene la biblioteca pubblica Midden-Brabant (Brabant è il nome della regione), il centro regionale di conoscenza e acquisizione di competenze nell’arte Kunstloc Brabant, un fondo regionale per la cultura e l’industria creativa Brabant C, insieme a svariati spazi di co-working e sedi di altri istituti come il museo del cinema e il centro per l’Architettura e l’Urbanistica. Il progetto è il risultato di un felice rapporto tra gli architetti del Comune di Tilburg, lo studio Braaksma & Roos Architectenbureau che ha curato il restauro, la designer paesaggista Petra Blaisse che ha lavorato agli interni, compreso il progetto e l’ideazione degli straordinari tendaggi, realizzati nel museo tessile della città (Tilburg una volta era un importante centro dell’industria tessile). Tendaggi che rendono lo spazio estremamente flessibile; dice Petra Blaisse: «È come essere di fronte a una grande architettura tattile […], abbiamo creato un paesaggio di scale con sei cascate di tende»4; l’immagine non potrebbe essere più azzeccata. Mentre il design complessivo della biblioteca, dei laboratori, della caffetteria sono stati curati dello studio Mecanoo, la consulenza ingegneristica, compresi aspetti come la sostenibilità, il riutilizzo e la progettazione acustica sono di Arup. Un pool straordinario di professionisti che ha lavorato con grande sintonia e con lo stesso desiderio di creare qualcosa di veramente nuovo, interpretando creativamente i desideri dei cittadini.
4 J. Sternheim, B. Brruijnzeels, Imagination and Participation. Next Steps in Public Library Architecture, nai010, Rotterdam 2021, p. 26.
Il risultato è che sono ancora presenti le tracce dell’ex rimessa di locomotive, compresi i binari. È stato conservato il volume dell’ex edificio industriale ma con una incredibile capacità di introdurre elementi di trasformazione, a partire dalla grande piazza coperta con tre grandi tavoli su ruote posati appunto sui vecchi binari. I tre tavoli possono diventare un’unica struttura, prolungamento del caffè oppure, se accostati tra loro, un palcoscenico o una passerella di fronte alle scale/tribuna, vicino allo spazio lettura con molte riviste e allo spazio espositivo Kunstloc. Uno spazio immenso, dove il lavoro fatto dal gruppo di progettazione ha reso immediatamente comprensibile e attraente il luogo. Malgrado le dimensioni, il LocHal non intimorisce, non ti senti minuscolo come nelle immense cattedrali delle città europee: al contrario la grande scalinata, il caffè, i tavoloni creano un’interfaccia umana, amichevole. Un’esperienza sensoriale piacevole e completa.
L’obiettivo di queste nuove architetture, non solo bibliotecarie, è come creare spazi che riducano le disuguaglianze e le discriminazioni, spazi che aiutino le persone a vivere meglio e non solo a sopravvivere. Sappiamo che è necessario mettere insieme differenti competenze ma soprattutto è necessario cambiare il rapporto tra chi progetta, chi realizza e chi questi posti li vive o li dovrebbe vivere. Non possiamo permetterci di costruire architetture autoreferenziali, luoghi che non siano fortemente aperti alla società e alle sue esigenze. L’estetica, le belle architetture non servono se non partono dal benessere delle persone.
Luoghi come la Deichman a Oslo, Oodi a Helsinki e Dook1 a Aarhus, LocHal a Tilburg sono servizi pubblici contemporanei che possono aiutarci a capire come potrebbero/dovrebbero essere le città in futuro. Luoghi che creano nuove forme di comunità, nuovi laboratori di cittadinanza. Non vedo molti altri servizi culturali in grado di offrire contemporaneamente tutto questo. Possiamo trarre qualche insegnamento da questi coraggiosi progetti?
Partiamo dal fatto che, se tutti i 6.000.000 di volumi che stanno nelle biblioteche veneziane fossero portati in piazza San Marco e messi uno accanto all’altro non solo coprirebbero tutta la piazza, dalla basilica all’Ala Napoleonica, ma le Bibbie di
Venezia, i libri, le biblioteche
Una metropoli, come scrive Ezio Manzini, in cui «le persone abbiano più opportunità di incontrarsi, sostenersi a vicenda, avere cura reciproca e dell’ambiente, collaborare per raggiungere assieme degli obiettivi. In definitiva, una città costruita a partire dalla vita dei cittadini e da un’idea di prossimità abitabile» 5. Così è stata Venezia per secoli, così sarebbe ancora se non fosse invasa, calpestata, digerita da un turismo mordi-e-fuggi.
Quelle in cui viviamo oggi sono aggregazioni urbane basate su una continua, frenetica, mobilità di cose e di persone. Ciò di cui abbiamo bisogno, invece, è la città delle prossimità, caratterizzata da istituzioni, servizi, relazioni lente e amichevoli. Manzini ce ne indica gli elementi fondamentali: prima di tutto gli abitanti dei quartieri devono avere un facile accesso a beni e servizi, in particolare ai generi alimentari, ai cibi freschi, all’assistenza sanitaria, ai servizi culturali. In secondo luogo, ogni quartiere deve avere una varietà di tipologie di alloggi, di diverse dimensioni e accessibilità economica, in modo da poter accogliere ogni tipo di famiglie e consentire alla maggioranza di vivere più vicino a dove lavorano. Infine, i residenti di ogni quartiere devono poter respirare aria pulita e priva di inquinanti atmosferici, oltre che godere di spazi verdi, o spiagge, accessibili a tutti. Venezia era veramente così e potrebbe diventare il modello della città del futuro. Per il momento guardiamola come un laboratorio: un luogo capace di connettere immaginazione ed esperienza.
Questo libro esamina un patrimonio straordinariamente ricco per quantità e preziosità, offrendo una prima mappa di luoghi spesso sconosciuti, nascosti, non connessi tra di loro. Creare un unico catalogo, una digitalizzazione condivisa sarebbe un lavoro enorme, estremamente impegnativo, ma anche di grandissima importanza perché renderebbe il patrimonio accessibile agli studiosi di tutto il mondo. Ma questo lavoro dovrebbe procedere in parallelo a un’altra fondamentale iniziativa. Come abbiamo visto, a Nord delle Alpi tutti sanno che quando parliamo di biblioteche non intendiamo solo luoghi legati alla consultazione e allo studio.
5 E. Manzini, Abitare la prossimità. Idee per la città dei 15 minuti, Egea, Milano 2021, p. 10.
Antonella Agnoli
Le biblioteche di conservazione, quelle universitarie, gli archivi pubblici e privati sono solo un pezzo del mondo del libro e toccano solo una piccola parte della popolazione. L’Italia è un paese dove i lettori abituali diminuiscono, i fruitori di luoghi culturali e di spettacolo coincidono con la fascia di popolazione più istruita, contemporaneamente aumentano le povertà e l’abbandono scolastico, cresce la solitudine e diminuisce il tempo libero fuori dal lavoro e dagli impegni familiari. Senza contare il fatto che gran parte di quello che ci rimane viene inghiottito dall’uso del cellulare. Occorre una visione differente non solo della città ma anche della “buona vita”, pensando che ogni famiglia vorrebbe vivere in uno spazio urbano dove i servizi, i presìdi sociali e culturali sono vicini. Non possiamo rinunciare a luoghi di welfare culturale dove la biblioteca sia parte di una politica capace di generare benessere, un luogo capace di accogliere, curare, rafforzare una comunità di cittadini (Civitas) sempre più fragile. Nelle città divorate dalle auto e dalla fretta occorre ricreare spazi democratici di connessione sociale e di crescita della consapevolezza critica. Centri civici dove il libro sia parte di mille altre attività culturali e sociali, luoghi capaci di generare fiducia: ogni comunità ha bisogno di un minimo di fiducia reciproca fra i cittadini per funzionare. Dovrebbe essere ovvio ma apparentemente molti lo dimenticano: gli atti più semplici, come andare a fare la spesa, portare i figli a scuola, consultare il medico si basano su una lunga serie di presupposti impliciti: che le strade siano sicure, che la scuola si prenda cura dei bambini, che il medico o il farmacista siano competenti e disponibili. Viviamo in una permanente dialettica di costruzione/distruzione della fiducia dove ogni piccolo passo avanti nella fiducia tra estranei viene spesso rapidamente annullato. Infatti, la fiducia nelle istituzioni è difficile da costruire e facile da perdere: gli apparati burocratici che dovrebbero essere tutti al servizio dei cittadini, spesso non prendono sul serio i nostri bisogni individuali, mentre la sempre più spinta digitalizzazione dei servizi pubblici e privati ha portato alla sostanziale sparizione degli sportelli ai cittadini sconvolgendo la vita di molti anziani, spesso soli.
La vita quotidiana di tutti noi dipende sempre più dalla tecnologia. Navigando sui social, ci illudiamo di far parte di una
Venezia, i libri, le biblioteche
comunità, di “amici” che troviamo a migliaia su Instagram, TikTok e Facebook, confondendo turbinio di messaggi con la comunicazione autentica. Ma questo stato di connessione permanente produce solo una nuova solitudine perché le interazioni attraverso le piattaforme mettono gravemente in crisi le nostre vite emotive. Basato su centinaia di interviste raccolte in anni di ricerche sul campo, il libro Insieme ma soli descrive le preoccupanti trasformazioni dei nostri rapporti con amici, persone amate, genitori e figli6. Ci mostra tutta la precarietà delle nostre certezze relative a privacy e comunità, intimità e solitudine. Un libro fondamentale per comprendere anche la violenza del linguaggio e la perdita di fiducia nelle istituzioni. Ricostruire la fiducia nelle nostre città è il primo passo per affrontare i problemi che dobbiamo risolvere, ma per farlo abbiamo bisogno di molte cose, prima di tutto una cittadinanza attiva: senza l’interesse e l’impegno diretto dei cittadini nulla è possibile.
Possiamo però lavorare per una città che offra loro sostegno per la crescita personale e l’azione. Luoghi dove si possano trovare beni culturali di ogni tipo e si possa anche partecipare ad esperienze creative (corsi, laboratori, progetti). Luoghi non commerciali, attraenti, aperti a tutti; luoghi di scambio, di confronto e di uguaglianza, altra parola chiave. Luoghi dove si possano fare anche incontri casuali e non programmati, luoghi neutrali, com’è la loro tradizione secolare. In questo senso biblioteche di nuova generazione possono diventare centri propulsori delle attività culturali perché sono presidi presenti sul territorio, dove i primi interlocutori devono essere i nuovi operatori della cultura che si sono moltiplicati in questi anni, una generazione di giovani intellettuali, creativi, con nuove competenze che raramente hanno trovato posto nelle istituzioni pubbliche (università, musei, teatri stabili, assessorati alla cultura) ma hanno creato dal nulla gruppi cinematografici, teatrali e musicali, biblioteche, giornali on line, associazioni di volontariato. Venezia offre molteplici possibilità in questa direzione.
6 S. Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre piú dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Einaudi, Torino 2019.
privatizzando, tavolini, panchine sottratte, in altre città le macchine, lo spazio pubblico è sempre più risicato. In Salaborsa si può leggere o ascoltare leggere, fare e ascoltare musica, vedere un film, partecipare a un torneo di scacchi o di giochi di ruolo, utilizzare una stampante 3D o frequentare un corso di fumetti e mille altre cose spesso frutto di sollecitazioni che vengono dagli stessi cittadini, da giovani creativi che non attendono altro che mettersi in gioco. Tutto questo, naturalmente, gratuitamente. Un valore quello della gratuità da difendere con cura, così come vogliamo difendere un’istruzione, una sanità di qualità gratuita e per tutti, in particolare per chi ne ha più bisogno.
Salaborsa sta in piazza Maggiore a Bologna ma anche a Venezia ci sarebbe un posto altrettanto centrale: il Fondaco dei tedeschi, trasformato in sede delle Poste e poi in vetrina commerciale di lusso. Quest’ultimo esperimento è fallito: la società proprietaria ne ha annunciato la chiusura pochi mesi fa. Forse sarebbe il momento di prendere atto della sconfitta del privato e pensare a un uso pubblico del palazzo, che ha una meravigliosa terrazza affacciata sul ponte di Rialto.
Tutto questo è difficile in tempi come i nostri ma nulla è impossibile: questo libro vuole essere un invito a pensare diversamente le sorti della città e dei suoi cittadini, una proposta di considerare Venezia un possibile simbolo non del passato ma dell’avvenire.
I. Cartografie
Mappe e abachi di una città-biblioteca
La sezione seguente si occupa di restituire attraverso una cartografia di segni e di numeri il dato che struttura Venezia quale città-biblioteca: 6.000.000 di volumi e 30.000 testate di periodici sono custoditi in 104 biblioteche attive in 93 luoghi della città. Questi ultimi, uniti in un insieme come tessere di un puzzle, ricoprono l’area di un sestiere: i 93 luoghi delle biblioteche veneziane compongono allora un nuovo e settimo sestiere imploso nella città, quello del libro. Considerando l’intero territorio comunale – qui diviso in tre ambiti territoriali: città d’acqua (1-71), città di laguna (72-79) e città di terra (80-104) – in un’area di circa 156 km2 (acque escluse) per 252.300 abitanti si distribuiscono all’incirca una biblioteca per chilometro quadro, 37 volumi per metro quadro e 23 volumi per abitante. La densità aumenta prendendo in esame solo la città d’acqua (le isole di Venezia, della Giudecca e di San Giorgio): 71 biblioteche si addensano in circa 8 km2 per 49.000 abitanti con una concentrazione di quasi 9 biblioteche per chilometro quadro, 643 volumi per metro quadro e quasi 105 volumi per abitante. Allo stato attuale altre biblioteche, almeno 20, sono fantasmi inattivi che popolano la città di Venezia e custodiscono un ricco patrimonio librario – difficilmente stimabile, ma nell’ordine di circa 150.000 volumi – che attende di essere rimesso a disposizione dei lettori.
All’interno dei tre ambiti territoriali, il groviglio di biblioteche sottende dunque densità spaziali e distanze temporali diverse, più o meno dilatate: un raggio di un chilometro (che corrisponde a circa 15 minuti di percorrenza pedonale) misura un’ipotetica circonferenza che si irradia da ciascuna biblioteca della città d’acqua, mentre un raggio di dieci chilometri (che corrisponde a circa 60 minuti di percorrenza con i mezzi di trasporto pubblico) si irradia da ciascuna biblioteca delle città di terra e di laguna. La mappa e l’abaco sono dunque gli strumenti qui utilizzati per raccontare la geografia del pulviscolo di biblioteche veneziane. Alcune fotografie, invece, scandiscono l’attraversamento dell’abaco – in cui sono riportati i dati essenziali, verificati, dove possibile, direttamente con le singole istituzioni oppure attinti dall’Anagrafe delle Biblioteche Italiane – e rivelano gli spazi e i luoghi del libro all’interno del serenissimo arcipelago di carta, dove il dato quantitativo si impasta con l’immaginario.
Venezia. Una città-biblioteca
Biblioteche nel territorio comunale
Territorio comunale
156,85 km2 (acque escluse) 252.340 abitanti
104 biblioteche attive in 93 luoghi
5.834.890 volumi
0,7 biblioteche/km2
23,1 volumi/abitante 37 volumi/m2
Città d’acqua
7,98 km2 (acque escluse) 49.129 abitanti
71 biblioteche
5.125.545 volumi
8,9 biblioteche/km2
104,3 volumi/abitante 643 volumi/m2
Città di laguna
18,82 km2 (acque escluse) 26.264 abitanti
— 8 biblioteche
250.485 volumi
0,4 biblioteche/km2
9,5 volumi/abitante 13 volumi/m2
Città di terra
130,04 km2 (acque escluse) 176.947 abitanti
25 biblioteche
458.860 volumi
0,2 biblioteche/km2
2,6 volumi/abitante 3 volumi/m2
Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work
La serie di volumi della collana Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work è edita nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, all’interno del progetto Iuav at Work, quale estensione nel territorio cittadino del Padiglione Venezia. L’elenco dei volumi pubblicati è presente al link accessibile dal seguente QR code.