Giulia Bersani
In retroazione. Earth Protector
Forse è anche possibile usare l’ambiente per insegnare il mutamento anziché la stabilità, per mostrare come il mondo cambia continuamente nel contesto del passato immediato, quali cambiamenti sono stati positivi e quali no, come si può determinare il mutamento dall’esterno, come dovrebbe avvenire il cambiamento in futuro. — K. Lynch, Il tempo dello spazio, 1977.
Da A a B e viceversa1
Attraverso un dialogo tra due figure note come A e B il libro pubblicato nel 1975 – La filosofia di Andy Warhol – proietta il lettore in un’autobiografia scientifica2 dell’artista. Si tratta di due voci che assumono significati e accezioni differenti in ognuna delle differenti sezioni del libro. Tuttavia, è possibile, in linea generale, identificare la figura di A come l’espressione del punto di vista tradizionale dell’arte, al contrario B si avvicina maggiormente al pensiero di Warhol, alla sua discontinuità e al suo aspetto informe. Analogamente in questo testo le due entità vengono prese a prestito per strutturare e raccontare il processo di revisione continua che mette in atto il fenomeno della retroazione che, spostato dalla pratica informatica e metereologica, viene qui trasferito e innestato in architettura per impostare il nuovo orizzonte della post sostenibilità.
AL’Heliolux è uno strumento che permette di rappresentare gli effetti della posizione del sole al suolo in qualsiasi giorno, ora e latitudine. Si tratta di un sistema che, tramite un sostegno in alluminio, proietta la luce di un sole artificiale, di iodio e quarzo, su una piattaforma mobile di quaranta centimetri per lato. Sotto questo supporto un meccanismo permette di impostarne l’altezza, l’inclinazione e la rotazione per calcolare e simulare l’esatto angolo di
1 Cfr. A. Warhol, The Philosophy of Andy Warhol (From A to B and Back Again), Harcourt Brace Jovanovich, San Diego 1975; trad. it. La filosofia di Andy Warhol. Da A a B e viceversa , Edizioni costa & nolan, Genova 1983.
2 Cfr. A. Rossi, A Scientific Autobiography, The MIT Press, Cambridge Mass. 1981.
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inclinazione dei raggi solari in base alla posizione e all’ora del giorno in questione. A dimostrazione del funzionamento modelli di città, architetture e paesaggi vengono disposti sulla piattaforma e orientati nel tempo e nello spazio prestabilito. Colpite da un sole di 650 watt, le sagome dei plastici proiettano alla base la traccia delle loro ombre, potenzialmente nell’arco di un anno intero3 . Strumenti analoghi, progettati per riprodurre e simulare la luce, il campo d’azione e i percorsi del sole, vengono spesso utilizzati in architettura soprattutto per misurare l’esposizione, la radiazione e l’irraggiamento in situ. Dalla geometria descritta dai diagrammi solari agli algoritmi di simulazione utilizzati dai software di renderizzazione e di modellazione BIM, la costruzione del sole viene spesso utilizzata per individuare e registrare misurazioni astratte sulla base di dati raccolti in un determinato periodo di tempo. Calcoli di questo genere focalizzano l’osservazione sullo studio diretto del sole e dell’energia solare, ad esempio per verificarne come il comportamento e il raggio d’azione possano incidere sullo stato termico di un edificio e sulla qualità dell’orientamento in base all’esposizione. Tutte misurazioni che più o meno precisamente si soffermano sull’osservazione del sole come causa e agente di un cambiamento. Ma lo strumento progettato da Edward Clifford Potter, in collaborazione con il gruppo Tepper & Steinhilber Associated, per simulare il sole, ne determina e verifica l’ombra. Invece di rilevare il percorso e l’intensità della luce artificiale, il dispositivo verifica le tracce e il disegno di ciò che il sole non illumina, lo spazio dove le sagome del progetto restano indistinte anche durante le ore meridiane. In questo senso la costruzione del sole, a differenza degli altri strumenti, serve da
3 In diverse riviste internazionali pubblicate negli anni Settanta, tra cui «Casabella» e «Progressive Architecture», compare l’inserto pubblicitario dell’Heliolux, un sole artificiale capace di tracciare le ombre sugli edifici. Il dispositivo progettato da Edward Clifford Potter non è unico nel suo genere, ma è il primo strumento di misurazione solare portatile ed economico e per questo largamente utilizzato dal pubblico. Heliolux, «Casabella», 34, 347, 1970, p. 8; Heliolux. Tepper & Steinhilber Associates, Inc., «Progressive Architecture», 355, 1975, p. 102; Artificial Sun Plots Shadows About Building, «Hollywood Sun-Taller», 36, 18, p. 12.
presupposto necessario allo studio dinamico dell’ombra. Si tratta di impostare e variare il meccanismo di messa a punto della latitudine e dell’inclinazione della luce artificiale in base a come si proietta a terra l’ombra prodotta dal modello. Indifferente al calcolo dell’intensità e dell’energia solare, ciò che il dispositivo verifica e misura è il disegno della proiezione bidimensionale di una figura a tre dimensioni. Una traccia che si manifesta solo nel processo della sua realizzazione, quando la traiettoria del sole individua il movimento delle ombre, che allungandosi, ritirandosi, cambiando direzione e dimensione, definiscono l’invisibile passaggio del tempo. Di conseguenza l’operazione messa in atto dall’Heliolux individua un sovvertimento del processo progettuale che consiste nell’avvertire quel perimetro d’ombra esattamente come un effetto, una distanza, un intervallo, una zona d’assenza e di sospensione, mobile e animata, che agisce però come una causa per ampliare o ridurre la risposta iniziale. Sembra cioè che sia il disegno della proiezione d’ombra a guidare la configurazione spaziale del progetto.
B
Lo scarto che individua questo approccio è lo stesso descritto in un passaggio del Libro d’ombra, dove Junichiro Tanizaki riconduce la differenza tra la concezione di casa orientale e occidentale all’impostazione del tetto. Se nel primo caso è possibile assimilare la copertura alla figura di un parasole, secondo la necessità di marcare sul terreno un perimetro d’ombra, dove poi collocare la propria casa, diversamente le abitazioni occidentali hanno «un tetto, che tuttavia non sembra tanto destinato a schermare la luce solare, quanto a proteggere dalle intemperie. Si cerca di ridurre il carico d’ombra, e si studia, per ogni locale, l’esposizione migliore ai raggi del sole. Questa volontà è evidente; basta guardarne l’esterno, per rendersene conto. Se il tetto giapponese può essere paragonato a un parasole, quello occidentale è un copricapo privo di falda. Essa è stata quasi completamente asportata perché anche le finestre più alte potessero ricevere la luce solare»4 .
4 J. Tanizaki, Libro d’ombra (1935), a cura di G. Mariotti, Bompiani, Milano 1982, p. 40.
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In una lettura speculativa, se il dispositivo solare di riproduzione d’ombra e la casa giapponese definiscono i propri meccanismi in base alla prefigurazione degli effetti che l’oggetto architettonico produrrebbe in una certa condizione, se quindi, in altri termini, ciò che si studia e manifesta è l’effetto di un’ombra invece che l’oggetto che la produce, il processo descritto può essere assimilabile a ciò che nel linguaggio tecnico e scientifico equivale alla retroazione. Un’espressione, indicata con il termine inglese feedback, che designa un meccanismo per cui l’effetto risultante dell’azione di un sistema si riflette sul sistema stesso per variarne o correggerne opportunamente il funzionamento. La retroazione è in questo senso un meccanismo di funzionamento avente lo scopo di aggiustare continuamente l’azione esercitata sul processo in base all’informazione sull’andamento del processo stesso, in modo da ottenere gli effetti desiderati5 .
Al di là degli aspetti automatici e fisici che il processo mette in atto, la retroazione invita il progetto a operare partendo dagli effetti prodotti dal corpo dell’architettura sulla città e sul territorio. In tal senso l’azione retroattiva procede al rovescio rispetto al consueto iter progettuale, o meglio: inizia dalla fine. Il progetto retroattivo, infatti, non definisce le proprie logiche in base a un’idea calata sulla realtà, ma deriva dalla prefigurazione degli effetti. In altri termini, emerge dall’ombra di un corpo ancora assente. A interessare questo tipo di progettazione è un nuovo modo di pensare la contemporaneità, in termini di abbondanza piuttosto che di mancanza, dove il surplus è una realtà permanente che richiede di essere consapevolmente spesa prima che provochi distruzioni catastrofiche. Di fronte a dei cambiamenti climatici inevitabili che lo sviluppo sostenibile non ha saputo invertire, concentrandosi principalmente sulla verifica, sul controllo e mitigazione delle cause, ciò che rimane è l’impronta di un eccesso, uno scarto di energia di cui sono quantificabili solamente gli effetti. Al fallimento della retorica sostenibile si potrebbe affermare che la direzione dello sguardo si è invertita: non si riferisce
5 Cfr. Voce retroazione, in Vocabolario Treccani, www.treccani.it, consultato il 18 marzo 2025.
più alla determinazione delle cause di fenomeni ormai diventati incontrollabili, quanto alla progettazione degli effetti nello spazio che ne risulta. In questo senso la responsabilità del post volge le spalle all’ormai inadeguato e rassicurante scenario sostenibile, per esplorare la possibilità di dare un nome a ciò che rimane, per progettare lo spazio di questo eccesso6. In prospettiva le speculazioni teoriche di Georges Bataille, di cui non si riconosce «alcun luogo di reale consistenza: nessun luogo in cui potessero riconoscersi in modo decisivo»7, trovano la loro ricaduta in una contemporaneità che affonda le proprie radici nel tramontato carattere dell’utile. Si tratta, in poche parole, di rovesciare il principio di mitigazione per impostare un nuovo tipo di teoria ecologica che trova la sua immagine retroattivamente dall’effetto che produce.
b
Un possibile esempio di questa attitudine teorica e progettuale scaturisce dalle monumentali superfici architettoniche immaginate da Tom Wiscombe, le quali, come in un castello di carte a scala urbana, assediano e sovrastano la città di Los Angeles. A dispetto delle colossali dimensioni di queste Supersuperfici8 , la compagine retroattiva di Earth Protector9 deriva dalle speculazioni dell’architetto americano sull’ombra che diparte da queste megastrutture. Nel libro edito nel 2022, Objects, Models, Worlds Abridged, ad aprire la presentazione del progetto è l’immagine dell’ombra che un addensamento di nubi proietta sul terreno10. Ripresa da uno sguardo obliquo11, posto all’altezza insolita e in attesa dell’at-
6 Cfr. A. Stoekl, Bataille’s Peak: Energy, Religion and Postsustainability, University of Minnesota Press, Minneapolis 2007.
7 F. Rella, Lo sguardo ulteriore della bellezza, in G. Bataille, La parte maledetta, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. XI.
8 Cfr. G. Mastrigli (a cura di), Superstudio. Opere: 1966-1978, Quodlibet, Macerata 2016.
9 Cfr. T. Wiscombe, Objects, Models, Worlds, AADCU Publishers, Los Angeles 2021.
10 Ivi, pp. 152-153.
11 «Nel corpus del New Italian Epic si riscontra un’intensa esplorazione di punti di vista inattesi e inconsueti, compresi quelli di animali, oggetti, luoghi e addirittura flussi immateriali. Si può dire che vengano presi
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mosfera, l’inquadratura mostra come le figure delle nuvole imprimono sulla superficie irregolare del paesaggio il disegno alterato della loro impronta. Zone chiare e scure si alternano all’intensità dei cumuli e del vento, indifferenti alle divisioni politiche e fisiche che attraversano. A differenza dell’impossibile atlante cromatico del cielo progettato da Luigi Ghirri nel 1974 per tentare di fissare e tradurre l’immagine imprevedibile della natura12, l’immagine inseguita da Wiscombe tratteggia la possibilità di individuare l’ombra di queste figure, il doppio che cammina con loro. Si tratta di un’image de pensée13 capace di guardare il cielo, l’atmosfera e le nubi a partire dal suolo; un rovesciamento che presuppone e spinge il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un’immagine catturata da uno specchio. Come una spessa coltre di nubi, infatti, il progetto di Wiscombe proietta sui grattacieli della metropoli americana un’ombra tanto monumentale quanto onnipervasiva. E proprio dal disegno di quest’ombra, che funge da palcoscenico alla vita sociale e politica della città, l’architettura articola la propria configurazione spaziale. In tal senso la retroattività di Earth Protector origina direttamente dal processo progettuale attraverso cui Wiscombe
a riferimento – in contesti differenti e con diverse scelte espressive – esperimenti già tentati da Italo Calvino nei racconti cosmicomici o in Palomar. […] È lo sguardo di uno sguardo. Cala giù in picchiata verso una città, raggiunge il tetto di un edificio, lo penetra, cade a piombo attraverso tutti i piani, fora l’ultimo pavimento, raggiunge le fondamenta, tocca un ordigno esplosivo potentissimo e si dissolve al momento dello scoppio». Si veda il capitolo Sguardo obliquo. Azzardo del punto di vista, in Wu Ming I, New Italian Epic. Narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, Torino 2009, pp. 26-32.
12 «Quando ho deciso di fotografare il cielo per un anno intero, una volta al giorno, ho voluto anche sottolineare questa impossibilità di tradurre i segni-naturali. In Infinito, la sequenza temporale di un anno per un totale di 365 fotografie è così anch’essa insufficiente per ridare un’immagine del cielo. Neanche un linguaggio fotografico, iterazione, ripetizione progettata, sequenza temporale, è sufficiente a fissare l’immagine di un aspetto naturale. Infinito diventa così un impossibile atlante cromatico del cielo; 365 possibili cieli». L. Ghirri, Infinito, Meltemi, Roma 2001, p. VII.
13 Cfr. M.H. Caraës, N. Marchand-Zanartu, Images de pensée , Rmn Éditions, Paris 2011.
organizza la disposizione delle superfici architettoniche che, in sintesi, derivano retroattivamente dall’effetto che producono. Ma alla sagoma di un’ombra possono corrispondere diverse figure; se il progetto proietta un’ombra sulla città, ed è proprio il suo disegno a determinarne la forma, non sempre la traccia a terra coincide all’oggetto che la produce. Difatti alle ombre monumentali di Earth Protector, che travalicano edifici, strade e piazze, corrispondono The Flat out Large (FOL), volumi che possono essere assimilabili a carte da gioco, sviluppati in lunghezza e altezza, ma dall’impronta e profondità esigue. Queste lastre «possono essere spostate, ruotate, copiate e ridimensionate, ma non deformate o trasformate o altrimenti danneggiate. Si impilano liberamente, si appoggiano l’una sull’altra obliquamente o sembrano sostenersi delicatamente come un castello di carte»14. In questo senso alla massima proiezione a terra corrisponde la minima impronta: Earth Protector progetta l’ombra di edifici che atterrano sulla terra anziché emergerne, disegnando nuove potenti sagome contro il cielo. Sfidando la città estrusa e gravitazionale del ventesimo secolo, The Flat out Large cadono dall’alto, costruendo una città sopra l’esistente, un’ipercittà15. Dove atterrano, le lastre liberamente composte racchiudono lo spazio non solo funzionando come tetti e pareti ma anche come un perimetro d’ombra che si estende uniformemente sul territorio. a
La figura delle nuvole non rappresenta solamente un riferimento visivo per l’architetto americano ma anche un processo che figura
14 «They can be moved, rotated, copied, and scaled, but not deformed or transformed or otherwise damaged. They stack loosely, lean on one another obliquely, or appear to delicately support one another like a house of cards». T. Wiscombe, Objects, Models, Worlds, cit., p. 154. Traduzione dell’autore.
15 «My architect friend Tom Wiscombe who teaches at SCI-Arc in Los Angeles has a great idea. How come we always think that the grounds are under our feet? How come we can’t imagine another whole city above our heads? It might make a lot of sense, all that shade and all those services in a much larger, hypercity structure». Timothy Morton citato in T. Wiscombe, Objects, Models, Worlds, cit., p. 153.
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nel significato che Walter Benjamin affida al termine denkbild16. In questa accezione l’immagine di pensiero acquisisce il dinamismo del linguaggio figurale, capace di modificare la realtà rendendola struttura stessa del lavoro. Si tratta quindi di un dispositivo in cui lo spazio e l’architettura diventano pratica conoscitiva e indagine trasformativa del reale. In questo senso le nuvole non individuano solo un immaginario figurativo verso il quale il progetto tende per indirizzare il processo progettuale a operare partendo dagli effetti, ma anche un fenomeno retroattivo nella regolazione della temperatura del pianeta. Difatti le nuvole mantengono e bilanciano l’equilibrio climatico tramite due effetti complementari e contraddittori: l’effetto albedo, ovvero la capacità di riflettere la luce solare nello spazio, e l’effetto serra, che intrappola il calore irradiato dalla superficie terrestre. Avendo un’alta percentuale di riflettività, le nubi hanno la capacità di riverberare bene la luce solare. Generalmente, si pensa che con l’aumento della nuvolosità si produca subito un raffreddamento della superficie terrestre ma, allo stesso tempo, le nubi bloccano anche la radiazione infrarossa, mantenendo una temperatura mite nell’atmosfera. L’incrocio tra questi due fenomeni contraddittori è essenziale al bilancio termico, soprattutto nell’incertezza climatica dovuta all’innalzamento della temperatura media globale. Tuttavia, il surriscaldamento della superfice terrestre determina un aumento significativo dell’evaporazione marina, la quale, a sua volta, libera nell’etere una grande quantità di vapore acqueo. La conseguente umidificazione dell’atmosfera da un lato contribuisce all’assorbimento di una maggiore percentuale dello spettro infrarosso, e quindi all’incremento della temperatura globale; dall’altro lato, però, il vapore acqueo contribuisce alla formazione di nubi, le quali, riflettendo verso lo spazio aperto una grande quantità di raggi ultravioletti, determinano un abbassamento della temperatura globale17. In questo
16 Cfr. W. Benjamin, Denkbilder, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1974; Idem, Opere complete. IX. I «passages» di Parigi (1982), a cura di R. Tiedemann, Einaudi, Torino 2000; F. Rella, Pensare per figure. Freud, Platone, Kafka, il postumano, Fazi, Roma 2004; Idem, Metamorfosi. Immagini del pensiero, Feltrinelli, Milano 1984.
17 R. Kandel, L’incertezza del clima, Einaudi, Torino 1999, p. 50.
senso al cambiamento di un agente atmosferico le nuvole hanno la capacità di tenere conto dei risultati del sistema per modificare le caratteristiche del sistema stesso 18. In climatologia questo fenomeno costituisce il principale meccanismo di autoregolazione del sistema terrestre. Come afferma Robert Kandel, già direttore del centro di ricerca del CNRS, «se si identifica una perturbazione determinata dall’uomo (per esempio l’aumento di CO2 che intensifica l’effetto serra) o dalla natura (per esempio una variazione del Sole) come causa di cambiamento (una forzatura nel gergo degli specialisti), la retroazione è un effetto che a sua volta agisce come causa ampliando (retroazione positiva) o riducendo (retroazione negativa) la risposta alla forzatura inziale» 19. Analogamente le lastre di Earth Protector, se nell’attacco a terra progettano un perimetro d’ombra, nell’attacco al cielo si trasformano in centrali solari. «Alimentando sé stessi e la città che ospitano al di sotto, gli edifici FOL sono energeticamente discreti e fanno parte di un nuovo modo di pensare all’energia oggi, in termini di abbondanza piuttosto che di mancanza»20. Di conseguenza, come un giano bifronte, il progetto emula l’azione delle nuvole, immagazzinando e assorbendo l’energia solare da un lato, e dall’altro fornendone un riparo disegnando un perimetro d’ombra sopra la città.
In conclusione, si tratta, quindi, di impostare una nuova teoria architettonica che fondi la propria immagine nei rivolgimenti e nei mutamenti che percorrono e scuotono l’intero sistema planetario; un sistema dove il surplus e l’eccesso costituiscono una realtà permanente che richiede di essere consapevolmente spesa, o meglio dissipata.
18 Voce retroazione, in Vocabolario Treccani, www.treccani.it, consultato il 23 marzo 2025.
19 R. Kandel, L’incertezza del clima, cit., p. 50.
20 «Powering themselves as well as the city they house below, EP buildings are energy-discrete and part of a new way of thinking about energy today – in terms of plentitude rather than lack». T. Wiscombe, Objects, Models, Worlds, cit., p. 154. Traduzione dell’autore.
14:30am
6:45 am 7:10 pm
Giulia Bersani, Funzioni d’ombra. Los Angeles, Financial District, 2025. Rielaborazione grafica di Earth Protector, progettato da Tom Wiscombe (2021).
Giulia Bersani
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We might suggest that a field condition would be any formal or spatial matrix capable of unifying diverse elements while respecting the identity of each. Field configurations are loosely bounded aggregates characterized by porosity and local interconnectivity. The internal regulations of the parts are decisive; overall shape and extent are highly fluid. Field conditions are bottom-up phenomena: defined not by overarching geometrical schemas but by intricate local connections. Form matters, but not so much the forms of things as the forms between things. — S. Allen, From Object to Field, 1997.
I (x,y) – II
Due sostantivi, o meglio due modalità di organizzazione del pensiero1 e dello spazio, indirizzano l’impalcatura narrativa, le metodologie di ricerca, le strategie progettuali e le speculazioni teoriche di questo testo: la giustapposizione [I] e la ridondanza [II]. Il primo termine [I], nella definizione riportata dal vocabolario Treccani, invita a «mettere accanto, accostare due o più elementi, senza che essi si uniscano strettamente o si fondano insieme»2, sia nella loro compagine materiale che nel loro apparato concettuale. Il secondo sostantivo [II], invece, rimanda alle «caratteristiche proprie di un impianto o di un’apparecchiatura nella quale, per aumentarne l’affidabilità, si sono disposti svariati elementi in grado di svolgere la medesima funzione»3, a formare un organismo capace di resistere al danneggiamento o alla dissoluzione di parte delle sue componenti. Inseguendo il compito4 affidato a questi
1 Cfr. M.-H. Caraës, N. Marchand-Zanartu, Images de pensée, Rmn Éditions, Paris 2011.
2 Voce giustapporre, in Vocabolario Treccani, www.treccani.it, consultato il 10 marzo 2025.
3 O ancora, nella teoria delle telecomunicazioni: «si ricorre alla ridondanza per aumentare la probabilità di un’esatta ricostruzione del messaggio anche in presenza di disturbi o rumori». Voce ridondanza, in Vocabolario Treccani, www.treccani.it, consultato il 10 marzo 2025.
4 Come sostiene Georges Bataille nel Dictionnaire critique della rivista «Documents»: «Un dizionario dovrebbe cominciare nel momento in cui non offrisse più il senso, ma il lavoro (les besognes) delle parole». G. Bataille, voce informe, in «Documents», 7, 1929, pp. 382-383.
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termini i seguenti paragrafi avvicinano [I] i princìpi e i teoremi derivanti dalla formalizzazione matematica delle traiettorie di volo degli storni [x] – descrivibili mediante funzioni di campo – alle strutture spaziali di un progetto, di un’immagine di città5 costituita dall’accumulo e dall’accatastamento di un catalogo di figure urbane e tipologie architettoniche precisamente categorizzate, iterative e tra loro interdipendenti [y]. In particolare, le teorie di campo [x] che emergono dagli studi sulla complessità del premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi (2021) giustappongono [I] i propri enunciati e i propri assiomi a una peculiare “piastra di Petri” [y] progettata da Hiroshi Hara nel 1992 – il 500Mx500Mx500M Cube – senza tuttavia presupporre alcuna correlazione diretta tra i due fattori dell’equazione. Tra le ragioni fondative del progetto [y] e l’interpretazione delle stesse traguardate attraverso le coreografie aeree degli storni [x], infatti, non sussiste alcuna corrispondenza stringente, nessuna dipendenza logica; si afferma piuttosto un rapporto di tipo interpretativo, per certi versi tendenzioso, sicuramente analogico6 [I]. In altri termini tra gli effetti di campo [x] e i disegni dell’architetto giapponese [y] intercorre una distanza critica nella quale trovano posto innumerevoli ipotesi, congetture e speculazioni anti-descrittive e potenziali; una moltitudine di riflessioni indipendenti dalle intenzioni originarie e dall’orizzonte storico-culturale del progetto. Dalla collisione, o più precisamente dalla giustapposizione [I] di questi due immaginari [x-y], derivano le strutture e le figure di pensiero7 che il seguente testo assume al contempo come princìpi teorici e come strategie operative per indagare il ruolo del progetto all’interno del paradigma della post sostenibilità. D’altronde, imparare dagli stormi8
5 Cfr. W. Benjamin, Immagini di città (1955), Einaudi, Torino 1971.
6 Cfr. E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, il Mulino, Bologna 1968.
7 Cfr. F. Rella, Pensare per figure. Freud, Platone, Kafka, il postumano, Fazi, Roma 2004.
8 «The flock is clearly a field phenomenon, defined by precise and simple local conditions, and relatively indifferent to overall form and extent. Because the rules are defined locally, obstructions are not catastrophic to the whole. Variations and obstacles in the environment are accommodated by fluid adjustment. A small flock and a
significa immaginare la possibilità di un’architettura ridondante e ripetitiva, definita da unità elementari e da logiche locali che, se considerate nel loro insieme, influenzano e modificano il comportamento generale dell’intero sistema; e ancora, significa riflettere su un (tutto è) architettura9 dove il tutto è maggiore della somma delle parti10. In tal senso, l’architettura ridondante invita il progetto a riflettere sia sul proprio statuto disciplinare che sull’evenienza di una sua trasfigurazione, di una sua distruzione, nella consapevolezza che le pratiche mitigatrici promosse dal pensiero sostenibile11 risultino ormai inefficaci per operare in un pianeta irrimediabilmente compromesso. Per abitare il delirante tempo della post sostenibilità, infatti, l’architettura deve abbandonare le logiche conservative e misurate dello sviluppo sostenibile per fondare le proprie ragioni nella moltiplicazione delle prospettive e dei punti di vista, e quindi nella schizofrenia della ridondanza. [y]
Un reticolo cristallino formato da 1000 celle elementari ripartite in 10 piani a loro volta suddivisi in 100 maglie a base quadrata, costituisce il campo d’azione, il “vetrino portaoggetti” progettato da Hiroshi Hara per verificare le potenzialità latenti e i mutevoli destini di una teoria urbana multistrato 12. Dodici disegni
large flock display fundamentally the same structure. Over many iterations, patterns emerge. Without repeating exactly, flock behaviors tend toward roughly similar configurations, not as a fixed type, but as the cumulative result of localized behavior patterns». S. Allen, From Object to Field, «AD», 127, (Architecture After Geometry), 1997, p. 29.
9 In questo testo architettura non designa esclusivamente le volumetrie e i confini fisici dell’edificio, ma accoglie la definizione che Hans Hollein, nel suo celebre manifesto, affida al termine: “Alles Ist Architektur”. Cfr. H. Hollein, Alles Ist Architektur, «Bau», 1-2, 1968, pp. 1-32.
10 Cfr. M. Mitchell Waldrop, Complexity: The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos, Simon & Schuster | Touchstone, New York 1992; trad. it. Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar Libri, Torino 1996.
11 Cfr. B. Albrecht, Conservare il futuro. Il pensiero della sostenibilità in architettura, Il Poligrafo, Padova 2012.
12 «This immense 500Mx500Mx500M cubic structure is a Pandora’s box of urban possibilities. I plan to continue developing this cubic,
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diagrammatici, organizzati in una serie lineare di riquadri giustapposti e corredati da brevi didascalie traducono i 1331 nodi che articolano la geometria interna di un volume isotropico in una sequenza cronologicamente ordinata di fermo immagine, di rappresentazioni processuali raffiguranti la nascita, lo sviluppo e il declino di un’ipotetica città per 100.000 abitanti13. In tal senso, l’architettura di carta progettata dall’architetto giapponese accoglie tra le maglie della propria griglia molteplici paradigmi metropolitani, numerose visioni di città14 afferenti alle teorie e alle speculazioni urbanistiche del Novecento 15. Nel progetto
or mid-air city, and publish our progress from time to time. The panels here, illustrate one possible variant of the Cube entitled “500Mx500Mx500M Cube”. This is a conceptual experiment concerning the qualitative potential of the Cube rather than its quantitative aspects». H. Hara, 500Mx500Mx500M Cube, «GA Architect», 13, (Hiroshi Hara), 1993, p. 240.
13 «The two conceptual devices employed are “burst” and “repair”, which occur within the context of a “frame”. Here there are many means of developing diversity. However, for this conceptual exercise I reexamined urban and spatial models of the last hundred years and tried to superimpose some of their images». Ibidem.
14 Cfr. P. Perulli, Visioni di città. Le forme del mondo spaziale, Einaudi, Torino 2009.
15 «Now, the story of urbanism in the twentieth century goes something like this: Despite the advancement of such theories as relativity, this century began with a simple nature worship, in contrast with the later machine aesthetic. People were concerned with industrialization and community-building, giving rise to a number of declarations and isms. The Modernist concept of homogeneous space was introduced as an all-encompassing spatial solution, but ironically the fundamentals principles of this “universal” modernist device shares certain aspects of Fascist planning. After the “burst” of the World War II, the concept of homogenous space was applied to city planning around the world. But subcultures began to undermine these cities, giving rise to unease about the coexistence of heterogeneous elements within the homogeneous spatial pattern (precisely my aim in the 500Mx500Mx500M Cube). To alleviate such anxiety, architecture railed behind the tents of Postmodernism freeing itself from Modernism, but thus far nothing better than a sort of cumulative multi-layered structure has resulted. Meanwhile, the machine age gave way to the electronic age. Electronics in as operational technology with power to infiltrate the city – a silent invader that has so far been unable to modify architectural form». H. Hara, 500Mx500Mx500M Cube – 1992, cit., p. 240.
critico di Hara, infatti, architetture razionaliste e grattacieli di matrice koolhaassiana, infrastrutture e sistemi viari, sottoservizi e reti digitali, ma anche arredi urbani, macchine sceniche, tecnologie aereospaziali e flussi di dati, o ancora frammenti di paesaggi, ecosistemi artificiali, fenomeni atmosferici e catastrofi naturali tratteggiano i contorni di una città in perenne mutamento, in evoluzione continua. D’altronde l’accumulazione, l’accostamento e la compenetrazione di questi differenti orizzonti di pensiero – che a partire dai primi anni del secolo breve traversano la storia dell’architettura e della pianificazione urbana fino alle porte del nuovo millennio – derivano le proprie modalità operative direttamente dalla struttura spaziale della città immaginata da Hara. Il ciclo vitale del progetto, articolato in una successione periodica di fasi di accrescimento e fasi di annichilimento, scardina le logiche costruttive del reticolo cartesiano disegnato dall’architetto giapponese proprio attraverso la giustapposizione di sistemi d’ordine autonomi e indipendenti. Come in un effetto moiré16 a scala urbana, infatti, l’innesco del processo trasfigurativo del 500Mx500Mx500M Cube non dipende dal sovvertimento, dalla negazione o dalla dissoluzione della griglia, quanto piuttosto dalla sovrapposizione di un ulteriore apparato di elementi ricorrenti al reticolo preesistente. In tal senso, la città progettata da Hara accoglie le potenzialità generative della ridondanza, le variazioni nell’iterazione, le differenze della ripetizione17. Non è nella tabula rasa18, nello stato d’eccezione o nell’invenzione sfre-
16 «A moiré is a figural effect produced by the superposition of two regular fields. Unexpected effects, exhibiting complex and apparently irregular behaviours result from the combination of elements that are in and of themselves repetitive and regular. But moiré effects are not random. They shift abruptly in scale and repeat according to complex mathematical rules. Moiré effects are often used to measure hidden stresses in continuous fields, or to map complex figural forms. In either case there is an uncanny coexistence of a regular field and emergent figure». S. Allen, From Object to Field, cit., p. 28.
17 Cfr. G. Deleuze, Différence et répétition, Presses Universitaires de France, Paris 1968.
18 Cfr. R. Koolhaas, Singapore Songlines. Ritratto di una metropoli Potemkin. O trent’anni di tabula rasa (1995), Quodlibet, Macerata 2010.
Davide Zaupa
nata e senza limiti, infatti, che l’architetto giapponese individua la radice trasformativa del suo progetto, ma nelle misurate alterazioni dell’uguale, nelle minute interferenze dell’identico, negli inevitabili slittamenti del copia-incolla. La città-processo pianificata da Hara, tuttavia, non si limita ad assumere la ridondanza come strategia operativa astratta e generica – progettata a priori, mediante una serie di princìpi e criteri universali e sovraimposti – ma interpreta la stessa come una peculiare funzione di prossimità, ovvero come un meccanismo di ripetizione strettamente dipendente dalle condizioni a contorno. D’altronde la città metabolista19 ideata dall’architetto giapponese non evolve attraverso la reiterazione e la giustapposizione di modelli urbani archetipici e precostituiti, ma replica le strutture spaziali e le tipologie architettoniche di una specifica sezione del reticolo cartesiano nelle maglie della griglia ad esso confinanti. In altri termini e in analogia alle teorie sugli schemi di volo degli stormi – come proveremo a dimostrare nel prossimo paragrafo – 500Mx500Mx500M Cube inscrive le proprie logiche e le proprie nature in un sistema ridondante di prossimità, in un dispositivo di iterazione locale capace di progettare estensioni di spazio globali replicando sé stesso.
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Tre coppie di macchine fotografiche ad alta risoluzione, un intricato sistema di cablaggi, una rudimentale scheda elettronica e numerosi dispositivi di immagazzinamento dati abitano la copertura di Palazzo Massimo alle Terme tra i mesi di dicembre 2005 e febbraio 2006. Le sei fotocamere, sorrette da alti cavalletti stabilizzatori, raggruppate a due a due e posizionate a venticinque metri di distanza una coppia dall’altra, triangolano la porzione di cielo che affaccia su Piazza dei Cinquecento: uno tra i più estesi ricoveri serali occupati dagli storni durante il loro stagionale soggiorno romano: il periodo di svernamento. Dieci volte al secondo, da tre punti di osservazione distinti, le sei macchine fotografiche registrano, in una sequenza di istantanee, i volteggi, le danze e le
19 Cfr. R. Koolhaas, H.U. Obrist, Project Japan: Metabolism Talks…, Taschen, Köln 2011.
traiettorie ascensionali di migliaia d’uccelli, i quali «una mezz’oretta dopo il tramonto, quando la luce ormai scompare, si gettano all’improvviso sugli alberi del dormitorio che li assorbono quasi come un inghiottitoio»20. La moltitudine di fotografie scattate da questo apparato sperimentale costituisce il sostrato documentale, o meglio il corpus empirico dal quale derivano i modelli matematici e le proiezioni probabilistiche che descrivono i movimenti collettivi di uno stormo di storni. Attraverso una serie di articolati processi di analisi statistica e di elaborazione algoritmica rivolti a estrapolare e definire precisamente la posizione, la velocità e l’orientamento di ogni singolo uccello, l’enorme mole di immagini statiche e bidimensionali archiviata dal gruppo di ricerca guidato da Giorgio Parisi, tramuta in una nuvola di punti tridimensionale; in una simulazione digitale e parametrizzata capace di descrivere le logiche posizionali e le rotte aeree dell’intero gruppo di storni21 . Dalla traduzione di questa caotica ragnatela di movimenti in un grafo, in una costellazione di elementi interconnessi e distribuiti nello spazio virtuale del modello, emerge un particolare meccanismo iterativo che descrive, al contempo, l’organizzazione interna dello stormo e, più in generale, le sue possibili derive progettuali. Come sostiene il fisico italiano, infatti:
l’interazione tra gli storni non dipende tanto dalla distanza tra loro, ma dalla connessione tra gli uccelli più vicini. Sembra molto naturale: se faccio una corsa con gli amici e mi giro a destra per non perdere il passo, la mia attenzione si concentra sull’amico più vicino (che stia a un metro o a due metri di distanza), e non me ne importa quasi niente di quello che fa un amico più distante.22
20 G. Parisi, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi, Rizzoli, Milano 2021, p. 12.
21 Per una disamina dettagliata ed esaustiva sulle premesse teoriche, sulle metodologie operative e sui risultati ottenuti dell’esperimento coordinato – tra gli altri – dai fisici Giorgio Parisi e Nicola Cabibbo, gli ornitologi EnricoAlleva e Claudio Carere e l’economista Marcello De Cecco, si veda: Ibidem
22 Ivi, pp. 17-18. Il corsivo è dell’autore.
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D’altronde, traslando le riflessioni di Parisi dalle teorie della fisica alle teorie dell’architettura, il reticolo cartesiano di 500Mx500Mx500M Cube trasforma le proprie logiche spaziali proprio attraverso la reiterazione di frammenti metropolitani e di arcipelaghi architettonici tra loro adiacenti, e non tramite l’applicazione di modelli urbani archetipici, ideali o pianificati a priori. In altri termini, parafrasando il corollario del premio Nobel italiano: l’i(n)terazione tra le maglie dalla griglia progettata da Hiroshi Hara, non dipende tanto dalla distanza (somiglianza) – dimensionale, figurativa e concettuale – tra le architetture e i progetti urbani ospitati nel reticolo e una collezione di immagini di città precostituite, quanto piuttosto dall’imitazione e dalla ripetizione delle proprietà caratteristiche di una maglia nell’altra, ovvero da una serie di operazioni reiterative di prossimità. Le tattiche e le modalità d’intervento che scaturiscono da 500Mx500Mx500M Cube – come tratteggiato brevemente nel paragrafo precedente – orientano il progetto verso pratiche e procedure afferenti all’orizzonte teorico della ridondanza, la quale, a sua volta si inscrive tra le possibili strategie operative, tra le possibili immagini di pensiero della post sostenibilità. La moltiplicazione ossessiva di una tipologia architettonica, di un ambiente naturale e artificiale, di una condizione spaziale o di un modello urbano, d’altronde, costituisce una potenziale forma di resistenza all’incedere distruttivo della crisi climatica; una possibile contromisura alle perturbazioni e agli sconvolgimenti che interessano l’intero pianeta. La ridondanza, d’altronde, appartiene per statuto teorico alle figure dell’eccesso23, a quelle machines à penser24 caratterizzate da una sovrapproduzione di progetto, da una sovrabbondanza di idee e di materia. In concerto al sistema di assunti che caratterizza il paradigma della post sostenibilità, di conseguenza, la ridondanza non proietta i propri princìpi tra i meccanismi di conservazione e di mitigazione tipici del pensiero sostenibile, ma
23 Cfr. G. Bataille, La limite de l’utile (fragments), Gallimard, Paris 1976; trad. it. Il limite dell’utile, a cura di F.C. Papparo, Adelphi, Milano 2000.
24 Cfr. D. Roelstraete (a cura di), Machines à penser, catalogo della mostra (Venezia, Fondazione Prada, 26 maggio 2018 – 25 novembre 2018), Fondazione Prada, Milano 2018.
capovolge il campo d’azione dello stesso rispondendo alla perdita con un rilancio. Se la progettazione sostenibile, infatti, mira alla riduzione del danno, all’attenuazione degli effetti e alla perimetrazione dei fattori di rischio, la progettazione post sostenibile, e in particolare le strategie della ridondanza, agiscono in un contesto già irrimediabilmente compromesso; accolgono e abitano le conseguenze del cambiamento climatico, sociale, politico ed economico. In tal senso, l’architettura ridondante compensa alla distruzione parziale di alcune sue parti mediante la replicazione dei suoi elementi costitutivi, sopravvive all’azione annichilente degli eventi estremi, anche se privata di alcune sue componenti o di intere sezioni. Analogamente alla città immaginata da Hara, l’architettura ridondante rinuncia all’indipendenza del singolo edificio, del fatto urbano25; rifiuta l’autonomia della megastruttura26 e del progetto totale, dell’enclave; ma, al contempo, non si limita a registrare e a descrivere l’estensione della città generica, ovvero il prodotto di una modernità debole e diffusa27. Imparando dagli stormi, l’architettura ridondante progetta un sistema mutevole e in perenne evoluzione, formato da unità replicabili uniformemente distribuite nello spazio, le quali, nel loro insieme, compongono un apparato adattivo e resistente, capace di accogliere la propria distruzione e la propria rinascita senza cristallizzare in una configurazione rigida e immutabile.
25 Cfr. A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padova 1966.
26 Cfr. K. Frampton, Megaform as Urban Landscape, University of Michigan Press, Ann Arbor 1999.
27 Cfr. A. Branzi, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Skira, Milano 2006.
Davide Zaupa, 2031. Effetti di campo, 2025.
Davide Zaupa
Davide Zaupa, 2041. Effetti di campo, 2025.
Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work
La serie di volumi della collana Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work è edita nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, all’interno del progetto Iuav at Work, quale estensione nel territorio cittadino del Padiglione Venezia. L’elenco dei volumi pubblicati è presente al link accessibile dal seguente QR code.
The Appalachian Trail
14:30am 7:10 pm am
500Mx500Mx500M Cube
Dall’ombra del pensiero sostenibile emergono quattro posizioni che riconoscono, in altrettanti progetti, degli avvistamenti sulla post sostenibilità. In retroazione, In ridondanza, In-sieme e In processo registrano l’eco e il portato teorico di quattro strategie operative, a tratteggiare i rapporti di visualizzazione di un futuro caratterizzato da un stato d’eccezione costante.