New Akropolis in Miami

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Elena Sofia Moretti
Quaderni Iuav. Ricerche

Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work

Collana a cura di Sara Marini, Massimiliano Condotta, Università Iuav di Venezia

Comitato scientifico

Caterina Balletti, Università Iuav di Venezia

Alessandra Bosco, Università Iuav di Venezia

Maurizio Carlin, Padiglione Venezia

Michele Casarin, Accademia di Belle Arti di Venezia

Alessandro Costa, Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità

Giovanni Dell’Olivo, Fondazione di Venezia

Giovanni Marras, Università Iuav di Venezia

Progetto grafico

Centro Editoria Pard / Egidio Cutillo, Andrea Pastorello

New Akropolis in Miami. La School of Architecure di Aldo Rossi (1986-1996)

Elena Sofia Moretti

ISBN 979-12-5953-168-1

Prima edizione: aprile 2025

Immagine di copertina

Rosario Marquardt, R&R Studios, Aldo Rossi Arriving to Miami, 1986. Matita colorata su carta, 21 × 15 pollici. Courtesy Rosario Marquardt, R&R Studios

Anteferma Edizioni Srl, via Asolo 12, Conegliano, TV

Stampa: Grafiche Antiga, Crocetta del Montello, TV

Copyright: Opera distribuita con licenza CC BY-NC-ND 4.0 internazionale

Volume edito nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia all’interno del progetto Iuav at Work quale estensione nel territorio cittadino del Padiglione Venezia.

Volume realizzato con i fondi relativi all’attività di collaborazione fra Fondazione Iuav, Università Iuav di Venezia, Fondazione di Venezia e Fondazione Venezia

Capitale Mondiale della Sostenibilità.

La School of Architecture di Miami, progettata da Aldo Rossi a partire dal 1986 e mai realizzata, rappresenta il primo incarico ottenuto dall’architetto milanese negli Stati Uniti. Il progetto, rimasto sin ora privo di un’indagine approfondita, costituisce un’opportunità di studio particolarmente significativa poiché si colloca in una fase cruciale della carriera di Rossi, caratterizzata da un’espansione progressiva della sua attività oltre i confini europei e dal confronto diretto con un contesto architettonico e culturale profondamente diverso da quello in cui aveva operato sino a quel momento. Il panorama americano, che Rossi aveva iniziato a frequentare già dalla metà degli anni Settanta grazie a numerosi inviti presso prestigiose università, alla partecipazione a conferenze e al crescente interesse del mercato dell’arte per i suoi disegni, si configura progressivamente come un ambito di riflessione e sperimentazione, contribuendo all’evoluzione e alla ridefinizione dei suoi temi progettuali. Il progetto della Scuola di Architettura di Miami, in particolare, sembra rappresentare per Rossi un’occasione per riaffermare alcuni principi fondativi della sua ricerca, rileggendoli alla luce di un orizzonte culturale nuovo che stimola un continuo dialogo tra passato e presente, tra Europa, Stati Uniti e mondo latino.

Sebbene la documentazione relativa al progetto sia limitata e frammentaria, l’accesso a fonti primarie conservate presso tre istituzioni – il MAXXI di Roma, il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Toronto e l’Architecture Research Center della University of Miami – ha reso possibile una prima ricostruzione delle diverse fasi del processo progettuale.

Questa ricerca, dunque, raccoglie e organizza le principali tracce relative al progetto, mettendo a disposizione materiali inediti e proponendo un primo ordinamento cronologico di alcuni disegni, soprattutto in merito alle fasi iniziali dell’iter progettuale seguito dall’architetto. L’obiettivo è quello di offrire non solo una ricostruzione preliminare dell’evoluzione dell’idea architettonica e di collocare l’intervento di Rossi nel più ampio contesto della sua attività negli Stati Uniti ma anche di porre le basi per ulteriori linee di ricerca. 5

Da

Milano agli States

Aldo Rossi è stato una figura chiave nel dialogo architettonico tra Europa e America. Se fino alla metà degli anni Settanta la sua attività progettuale si era svolta prevalentemente in Italia, da quel momento l’architetto avvia un’intensa fase di viaggi e collaborazioni internazionali, arrivando in Spagna, Portogallo, Germania, Svizzera, Francia, America Larina e in particolare, negli Stati Uniti1. Proprio oltreoceano Rossi ottiene alcuni dei primi e più importanti riconoscimenti della sua opera, come lui stesso ricorderà in occasione della vittoria del Pritzker Architecture Prize nel 19902 . Come evidenziato da Sebastiano Fabbrini, la generazione di Rossi è stata profondamente influenzata dall’immaginario dell’America veicolato da Americana di Elio Vittorini3. Questa antologia di letteratura statunitense, spesso citata dall’architetto nei suoi quaderni, contribuì a delineare una visione mitica del paese, influenzando la cultura architettonica italiana del dopoguerra4 .

Drexel Turner osserva come molti architetti europei, da Adolf Loos a Le Corbusier, abbiano trovato negli Stati Uniti elementi di fascino e ispirazione, siano essi infrastrutture tecniche, come impianti idraulici e silos per cereali, o suggestioni stilistiche, come il revival rinascimentale di Lower Manhattan5. Rossi non sembra fare eccezione: nella sua Autobiografia scientifica attribuisce par-

1 È in questo periodo che l’attività progettuale di Rossi inizia a valicare i confini nazionali. Tra le prime committenze internazionali è possibile menzionare il progetto per il restauro del Corral del Conde a Siviglia (1973-1977) e l’Unità residenziale a Setùbal (1976).

2 «And I’d like to say a special thank you to America – the first country to recognize my work – and all the young students who filled the American universities during my lectures, and the American press, like the New York Times and Time, which published a lot of beautiful articles». A. Rossi, Ceremony Acceptance Speech, 1990 (The Pritzker Architecture Prize Archive).

3 S. Fabbrini, The State of Architecture, PhD thesis, University of California, Los Angeles 2018, p. 64. Cfr. anche: E. Vittorini, Americana, Bompiani, Milano 1941.

4 Le foto di Rossi che attraversa il l’America a bordo di una Mercedes Benz bianca decappottabile rimandano direttamente a questo immaginario. Il set di fotografie del viaggio di Rossi negli Stati Uniti è conservato nell’archivio del MAXXI di Roma.

5 Cfr. D. Turner, Aldo Rossi Coming to America, «Cite», 40, 1997-98.

ticolare rilevanza al progetto di Loos per il concorso del Chicago Tribune, considerandolo non come un mero esercizio stilistico ispirato all’architettura viennese ma come una rilettura critica e personale dell’identità americana6 .

In realtà, il rapporto di Aldo Rossi con gli Stati Uniti precede il suo primo viaggio oltreoceano. Già nel 1973, in occasione della mostra Architettura-città, allestita nell’ambito della sezione di Architettura della XV Triennale di Milano da lui curata, emerge la presenza del gruppo dei “New York Five”—Peter Eisenman, Michael Graves, Charles Gwathmey, John Hejduk e Richard Meier7. Questo evento segue il primo incontro tra Rossi e Hejduk, avvenuto alla fine del 1972 presso l’ETH di Zurigo, dove Rossi aveva iniziato a insegnare dopo il suo allontanamento dal Politecnico di Milano8 .

Gli architetti coinvolti da Rossi nella mostra milanese sono quelli che egli sente più affini alla sua linea culturale e che, da questo momento in poi, verrà sempre più identificata con il termine “Tendenza”9. Sebbene con approcci differenti, la mostra mette in luce principi metodologici comuni tra le figure invitate, con l’obiettivo di indagare un metodo progettuale basato su criteri razionali, scientifici e, dunque, trasmissibili. L’architettura è

6 A. Rossi, Autobiografia scientifica, Pratiche Editrice, Parma 1990, p. 94.

7 È Kenneth Frampton, nel 1969, in occasione del meeting organizzato dalla Conference of Architects for the Study of Enviroment (CASA group) al MoMA di New York, ad evidenziare le connessioni interne di quelli che presenta come i New York Five. Cfr. anche: P. Eisenman, Five Architects, Wittenborn & Co., New York 1972.

8 Otto docenti del politecnico di Milano, compreso Rossi, vengono sospesi dall’insegnamento dopo aver avvallato l’occupazione di alcune famiglie senzatetto nei locali dell’Università. Cfr. M. Biraghi, Università. La facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (1963-1974), in M. Biraghi et al. (a cura di), Italia 60/70. Una stagione dell’architettura, Il poligrafo, Padova 2010, pp. 87-97. Cfr. anche: A. Florencia, Architettura insegnata. Aldo Rossi, Giorgio Grassi e l’insegnamento della progettazione architettonica (1946-1979), tesi di dottorato, Università degli Studi di Bologna, a.a. 2014-15.

9 Cfr. in particolare: M. Scolari, Avanguardia e Nuova Architettura, in E. Bonfanti et al. (a cura di), Architettura razionale , Franco Angeli, Milano 1973, pp. 153-187.

presentata come un fatto logico e autonomo e la disciplina viene affrontata attraverso gli strumenti specifici dell’architetto10. Così infatti chiarisce Rossi :

Crediamo che l’insieme di queste opere esposte, così come il carattere architettonico dell’allestimento, possa configurare un unico grande progetto; un progetto che non rifiuta le contraddizioni della cultura architettonica contemporanea, ma che, all’interno di essa, seleziona quelle più propositive.11

In seguito della sua partecipazione alla XV Triennale, Peter Eisenman e l’Institute for Architecture and Urban Studies (Iaus) hanno un peso fondamentale nell’introduzione e diffusione delle teorie di Rossi e della cosiddetta “Tendenza” nel contesto architettonico statunitense12. L’interesse per Rossi non nasce in maniera episodica ma si sviluppa all’interno di un più vasto processo di scambio intellettuale tra Europa e Stati Uniti, avviatosi già a partire dall’inizio degli anni Sessanta. Nel 1971, ad esempio, lo Iaus cura un numero monografico della rivista «Casabella» intitolato The City as an Artifact che rappresenta il tentativo di stabilire un primo dialogo con le esperienze teoriche italiane13 .

10 Sul dibattito intorno al tema dell’autonomia disciplinare cfr. E.S. Moretti, Generazione «Controspazio». Il ruolo di un progetto culturale nel dibattito architettonico italiano (1969-1981), tesi di dottorato, Università Iuv di Venezia, 2023.

11 A. Rossi, Architettura-città, in Quindicesima Triennale di Milano, catalogo della mostra (Milano, Palazzo dell’Arte, 20 settembre – 20 novembre 1973), Centro Di, Firenze, 1973, pp. 37-38. Cfr. anche: E. Bonfat et. al., Architettura Razionale, Franco Angeli, Milano 1973.

12 Cfr. P. Eisenman, Post-Functionalism, «Oppositions», 6, 1976, pp. 236239. Cfr. anche: F. Vannucci, A Disciplinary Mechanism: The Milan Triennale, 1964-1973, PhD Thesis, Princeton University, 2019, p. 188.

13 The City as an Artifact (numero monografico), «Casabella», 359-360, 1971. Cfr. anche: E. Ramon Rispoli, Ponti sull’Atlantico. L’institute for Architecture and Urban Studies e le relazioni Italia-America (19671985), Quodlibet, Macerata 2012, p. 235. Come per la “Tendenza” in Italia, anche il gruppo dei Five Architects non può essere considerato un movimento coeso, ma piuttosto un insieme di figure che operano all’interno di un comune indirizzo di ricerca basato su una logica formale che tiene insieme il disegno e lo studio analitico.

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In questo contesto anche la rivista «Oppositions», pubblicata dall’Istituto americano tra il 1973 e il 1984, gioca un ruolo cruciale nel promuovere la linea culturale di Rossi14. Un esempio significativo è il numero 5 del 1976, in cui Rafael Moneo presenta il Cimitero di Modena, esplorando il progetto rossiano come espressione paradigmatica del suo lavoro ed evidenziando il modo in cui egli opera un confronto tra architettura struttura della città15. È Eisenman a introdurre lo scritto attraverso alcune note in cui riconosce all’architetto milanese la capacità di aver codificato la nozione di “architettura autonoma” nella forma della “tendenza neo-razionalista”16. Rossi, dunque, appare come il principale esponente della “Tendenza” e, al contempo, anche come uno dei pochi architetti italiani in grado di alimentare una riflessione critica di ampio respiro capace di superare i confini nazionali inserendosi in un contesto più vasto.

Un’ulteriore testimonianza dell’interesse della cultura architettonica statunitense per l’architetto milanese emerge anche in uno scambio con Manfredo Tafuri. In una lettera del 1974 conservata presso l’Archivio del MAXXI di Roma, lo storico informa Rossi dell’attenzione crescente che il gruppo dei Five sta riservando al suo lavoro17 . Nel 1986 Tafuri arriva a definire Rossi un “caso” e, più precisamente:

14 Cfr. G. Durbiano, Il Movimento della Tendenza e l’invenzione dell’autonomia disciplinare, in F.B. Filippi, L. Gibello, M. di Robilant (a cura di), 19702000. Episodi e temi di storia dell’architettura, Celid, Torino 2006, pp. 21-26. Sulla rivista «Oppositions» cfr. anche: G. Zuliani, Oppositions 19731984, «FAM», 43, pp. 79-96. È utile rilevare che anche il pensiero di Tafuri sarà elemento di interesse per la rivista americana. È emblematico al proposito l’articolo: L’Architecture dans le Boudoir, successivamente incluso ne La sfera e il labirinto (M. Tafuri, L’Architecture dans le Boudoir: the language of criticism and the criticism of language, «Oppositions», 3, 1974, pp. 37-62; M. Tafuri, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980).

15 R. Moneo, Aldo Rossi: The Idea of Architecture and the Modena Cemetery, «Oppositions», 5, 1976, pp. 1-30.

16 P. Eisenman, [Introduction], «Oppositions», 5, 1976, p. 1.

17 La corrispondenza è conservata presso il Museo MAXXI di Roma. Nella stessa lettera, lo storico suggerisce inoltre che Rossi potrebbe essere coinvolto in una collaborazione accademica presso la Princeton University per l’anno successivo (Su Tafuri in America cfr. A. Canclini, Andate e ritorno tra Venezia e Manhattan. Le prime esperienze americane di Manfredo Tafuri, in G. Postiglione, R. Rizzi, The Italian Presence in Postwar America, 1949, 1 vol., Mimesis, Milano 2023, pp. 247-276).

soggiorno a Los Angeles, l’architetto giunge infine a New York per prendere parte alla prima esposizione dedicata al suo lavoro. La mostra, intitolata Aldo Rossi: An Exhibition of Drawings, è tenuta nella sede dello Iaus a Mahnhattan dal 25 marzo al 14 aprile. Il catalogo, con un testo di Peter Eisenman, è pubblicato durante la seconda edizione dell’esposizione nel 197923 . In questo periodo, infatti, si assiste a una significativa espansione del mercato dedicato ai disegni di architettura negli Stati Uniti, un fenomeno favorito anche dal ruolo del Museum of Modern Art (MoMA) sotto la direzione di Philip Johnson24. Jordan Kauffman osserva come, tra gli anni Settanta e Ottanta, il disegno architettonico abbia progressivamente acquisito un valore autonomo emancipandosi dalla sua funzione strettamente strumentale per essere riconosciuto sempre più come opera d’arte a sé stante25. Tale cambiamento non è determinato esclusivamente da ciò che gli architetti intendevano esprimere attraverso i loro elaborati grafici ma anche dalle interpretazioni e dalle aspettative che il contesto culturale e il mercato dell’arte attribuivano a queste opere. Il «Wall Street Journal» sintetizzava efficacemente questo fenomeno con un’osservazione emblematica: «Oh, gli edifici possono essere belli, ma i collezionisti e altri vogliono i disegni, e pagheranno»26. Non è un caso che l’articolo fosse corredato da un disegno di Rossi. In questo contesto, l’architetto milanese assume una posizione privilegiata, poiché i suoi disegni diventano rapidamente tra le opere più ricercate nelle gallerie d’arte americane27 .

approfondite nel quaderno: 10/28 [marzo]. USA. Ithaca/Los Angeles/ New York. Cfr. F. Dal Co (a cura di), I quaderni Azzurri, 1968/1992, 47 voll., Electa, Milano 1999.

23 A. Rossi, K. Frampton, Aldo Rossi in America: 1976 to 1979, catalogo della mostra (New York, Institute for Architecture and Urban Studies, 25 March – 14 April, 1976), 1979.

24 S. Fabbrini, The State of Architecture, cit., p. 115.

25 J. Kauffman, Drawing on Architecture: The Socioaesthetics of Architectural Drawings, 1970-1990, PhD dissertation, Massachusetts Institute of Technology, Chicago 2015.

26 «Oh, Buildings May Be Pretty, ButCollectors And Others Want Drawings, Will Pay» (traduzione a cura dell’autrice). J. Carberry, Some People Prefer Architects’ Sketches To Their Buildings: , «The Wall Street Journal», 18, October 1979.

27 «Students who have neither read his works […] nor seen his few

A questa prima esposizione presso lo Iaus seguono molte altre, sia personali che collettive, organizzate principalmente in istituzioni accademiche e culturali, oltre che in gallerie private, come ad esempio la Leo Castelli e la Max Proecht, che si caratterizzano per un particolare interesse nei confronti dell’architettura28. A queste si aggiunge anche la collezione della Gilman Paper Company, una delle più vaste raccolte di disegni architettonici del mondo, riunita alla fine degli anni Settanta29. È utile, inoltre, sottolineare che tutte queste istituzioni non operano come isole nella città; al contrario hanno legami molto forti tra loro e appartengono alla stessa rete che comprende anche il Museum of Modern Art, il Drawing Center e la Cooper Union30 .

Dopo il suo debutto ufficiale negli Stati Uniti nel 1976, Rossi quindi viene rapidamente integrato in una rete consolidata di relazioni, all’interno della quale un ristretto gruppo di individui opera trasversalmente tra diverse istituzioni, contribuendo a ridefinire i confini tradizionali tra musei, mercato dell’arte e accademia31 . Infatti, oltre ad esporre il suo lavoro e i suoi disegni, l’architetto inizia parallelamente una serie di collaborazioni con diverse

buildings have found his drawings […] a fascinating source of form and invention» (P. Eisenman, My Designs and the Analogous City, in A. Rossi, K. Frampton, Aldo Rossi in America: 1976 to 1979, cit., pp. 4-14). Cfr. anche: E. Ramon Rispoli, Ponti sull’Atlantico. L’institute for Architecture and Urban Studies e le relazioni Italia-America (1967-1985), cit., p. 146.

28 Il 22 ottobre 1979, la galleria Leo Castelli inaugura la mostra Architecture I, che include, oltre a Rossi, architetti come Raimund Abraham, Emilio Ambasz, Richard Meier, Walter Pichler, James Stirling e Venturi & Rauch, poi successivamente trasferita, nello stesso anno, negli spazi espositivi della University of Pennsylvania a Philadelphia. Sulla Galleria cfr. A. Cohen-Solal, Leo and his Circle: The Life of Leo Castelli, Alfred Knopf, New York 2010. Parallelamente, la galleria Max Protetch inizia a esporre regolarmente i disegni di Rossi, proseguendo questa attività per tutti gli anni Ottanta. Al proposito cfr. G. Celant, Aldo Rossi Drawings, Skira, Milano 2008, pp. 299-300.

29 S. Fabbrini, The State of Architecture, cit., p. 114-117. Cfr. anche: T. Riley (ed. by), The Changing of the Avant-Garde: Visionary Architectural Drawings from the Howard Gilman Collection, Museum of Modern Art, New York 2002.

30 S. Fabbrini, The State of Architecture, cit., p. 113.

31 Ivi, p. 114.

università della costa orientale. È significativo notare che la maggior parte degli architetti europei giunge in America principalmente su invito di istituti di ricerca o università. Tra questi, spiccano i casi di Mies van der Rohe all’IIT di Chicago, Alvar Aalto all’MIT, Le Corbusier ad Harvard e James Stirling con Wilford Rice alla Cornell32. Nel marzo del 1976 la prima istituzione a invitare Rossi è la Cornell University su iniziativa di Oswald Mathias Ungers, docente presso la stessa università e che conosce l’architetto milanese dall’inizio degli anni Sessanta33. Successivamente, nella primavera del 1977, nell’ambito della Mellon Professorship, Rossi viene invitato a insegnare negli studi del quinto anno della Cooper Union School of Architecture, insieme al poeta John Ashbery, al critico letterario Jay Fellows, al regista Robert Freeman, al romanziere John Hawkes e allo storico Joseph Rykwert. Il suo rapporto con la Cooper Union si consolida ulteriormente negli anni successivi: già nel 1978, ad esempio, l’architetto milanese vi fa ritorno in qualità di Visiting Professor in Architectural Design.

A questo punto risulta opportuno anche osservare la simultanea pubblicazione in lingua inglese di due opere teoriche fondamentali di Rossi: L’architettura della città (1982) e l’Autobiografia scientifica (1982), edite da MIT Press all’interno della collana “Opposition Books” diretta da Peter Eisenman e Kenneth Frampton34. In particolare l’Autobiografia scientifica, scritta in forma di appunti a partire presumibilmente dal 1971 – l’anno in cui l’architetto completa il Cimitero di Modena – viene pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti, un fatto che ne comporta l’dentificazione come il “libro americano di Rossi”. Successivamente, infatti, l’opera viene tradotta e distribuita in Spagna, Giappone,

32 D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, «Zodiac», 3, 1990, p. 190.

33 Cfr. anche: A. Rossi, Un giovane architetto tedesco: Oswald Mathias Ungers, «Casabella-continuità», 244, 1960, pp. 22-35.

34 A. Rossi, A Scientific Autobiography, MIT, Cambridge 1981; A. Rossi, The Architecture of the City, MIT, Cambridge 1982. Inizialmente, a farsi carico del progetto editoriale, sono due giovani studiosi dello Iaus Thomas Schumacher e Victor Caliandro (Cfr. V. Sainz Gutiérrez, Aldo Rossi y Sevilla. El significado de unos viajes, Editorial Universidad de Sevilla, Sevilla 2019, p. 225).

Germania e Francia, ma non in Italia, nonostante la stesura originale in italiano costituisca il riferimento per tutte le edizioni straniere; qui, infatti, avviene soltanto nel 199035 . Entrambe le edizioni statunitensi dei libri di Rossi vengono corredate da saggi critici, in linea con l’impostazione della collana editoriale, che prevede che al testo originale sia affiancato un breve testo volto a facilitarne la comprensione per il lettore americano. The Architecture of the City è accompagnato da un’introduzione di Eisenman, scritta in un periodo cruciale della sua carriera, mentre si prepara a entrare ad Harvard, dopo aver recentemente fondato il proprio studio a New York e concluso l’esperienza decennale dello Iaus36 . A Scientific Autobiography, invece, include una postfazione di Vincent Scully, storico dell’architettura di Yale, intitolata Ideology in Form37. L’intento iniziale è di pubblicare le due opere in sequenza ravvicinata, rispettando la cronologia della loro stesura. Tuttavia, il ritardo nella traduzione de L’architettura della città comporta un’inversione nell’ordine di pubblicazione38 . Nella sua introduzione, Eisenman non si limita a un’analisi del testo, ma sviluppa una lettura critica del primo libro di Rossi

35 A. Rossi, Autobiografia scientifica, cit. Cfr. anche: G. Poletti, Tempo e memoria dell’autobiografia scientifica di Aldo Rossi, in A. Trentini (a cura di), La lezione di Aldo Rossi, Bologna University Press, Bologna 2008, pp. 181-182; M. Trisciuoglio, L’atlante. Per una rilettura dell’Autobiografia scientifica, in id., pp. 194-199.

36 P. Eisenman, The Houses of Memory: The Texts of Analogue, in A. Rossi, The Architectureof the City, cit., pp. 3-11. Sulla ricezione de L’architettura della città in America cfr. E. Vasumi Roveri, Aldo Rossi e L’architettura della città. Genesi e fortuna di un testo , Umberto Allemandi and C., Torino 2010. È utile altresì ricordare che il libro aveva già quattro edizioni in Italia. La traduzione fa riferimento all’edizione italiana del 1978, completamente rivisitata risulta invece la veste grafica. Rossi scrive una nuova introduzione: A. Rossi, Introduction to the first American Edition, in id., The Architecture of the City, cit., p. 13-19.

37 V. Scully, Postscript: Ideology in Form, in A. Rossi, A scientific autobiography, cit., pp. 111-116.

38 Rossi, in una nota datata marzo 1981, aveva scritto: «contratto per l’architettura della città e l’autobiografia scientifica, insieme. Il primo dovrebbe uscire a settembre, il secondo il 10 gennaio del 1981». Cfr. F. Dal Co (a cura di), I quaderni Azzurri, 1968/1992, cit.

basata sul secondo39. In questo senso, la sua introduzione rappresenta una sorta di “riscrittura analoga” delle idee dell’architetto milanese: un’operazione che riecheggia i suoi disegni di carattere analogico. Secondo Eisenman, infatti, anche i suoi scritti possono essere considerati strumenti di questo tipo, capaci di sovvertire sia il tempo sia i luoghi delle sue idee40. È per tale ragione, come sottolinea Sainz Gutiérrez, che l’architetto americano ha potuto servirsi di Rossi per costruire una lettura del tutto personale reinventando, e dunque costruendo ex novo, il pensiero dell’architetto milanese41. Questo carattere “collettivo” del libro era già stato sottolineato dallo stesso Rossi nel 1978, nella seconda edizione italiana de L’architettura della città:

Come un quadro, una costruzione o una novella, un libro si converte in un’opera collettiva, che ognuno può interpretare a suo modo, al di là delle intenzioni dell’autore.42

Diana Ghirardo, che si è occupata della traduzione del libro, osserva tuttavia come l’introduzione di Eisenman abbia dato origine a una serie di fraintendimenti in quanto il contesto culturale dove erano maturate le idee rossiane era profondamente diverso da quello americano43. Eisenman, secondo Ghirardo, ha tentato di ricondurre il concetto di analogia a una prospettiva teorica che,

39 P. Eisenman, The Houses of Memory: The Texts of Analogue, cit.

40 Ibid. Eisenman avverte inoltre che l’edizione americana de L’architettura della città non è una semplice traduzione letterale dell’originale, ma una versione rivista con l’intento di preservarne lo stile e l’essenza. Per questo motivo, sono stati eliminati alcuni passaggi retorici e ripetitivi.

41 V. Sainz Gutiérrez, Aldo Rossi y Sevilla. El significado de unos viajes, cit., p. 230. La lettura di Eisenman è personale e compiuta per «scoprire la propria architettura» – come egli esplicita (P. Eisenman, The Houses of Memory: The Texts of Analogue, cit.).

42 A. Rossi, L’architettura della città, Clup, Milano 1978 (ed. orig. 1966), p. 13.

43 D. Ghirardo, Aldo Rossi in the United States: a meditation on artifacts over time, in La città nuova. Proceedings of the 1999 ACSA International Conference in Rome, Washington, atti del convegno, ACSA Press, Roma 1999, pp. 3-6.

insieme a Toyota Horiguchi. Questo processo evidenzia come il suo lavoro negli Stati Uniti si inserisca in un più ampio momento di internazionalizzazione della sua figura. In particolare, l’ufficio newyorkese, avviato con il giovane architetto Morris Adjmi in qualità di associato, si inaugura pochi mesi prima dell’inizio della collaborazione con la Walt Disney Company e sembra rispondere proprio a una strategia mirata a consolidare la sua presenza nel mercato edilizio statunitense49. Come chiarito da Adjmi, lo studio americano assume rapidamente un ruolo centrale all’interno della sua produzione progettuale, fungendo da snodo operativo fondamentale in cui la maggior parte degli incarichi sviluppati negli anni successivi si strutturano lungo l’asse Milano-New York50. È proprio in questo periodo che, dopo quasi un decennio di conferenze ed esposizioni negli Stati Uniti, Rossi avvia i suoi primi due progetti sul suolo americano: la Scuola di Architettura dell’Università di Miami nel 1986 e l’Arco del Martedì Grasso a Galveston in Texas l’anno successivo.

49 S. Fabbrini, The State of Architecture, cit., p. 258.

50 Ivi, p. 13-14. Morris Adjmi descrive l’ufficio come caratterizzato da un “approccio americano”, evidenziando l’uso di tecnologie avanzate e un’organizzazione del lavoro diversa rispetto allo studio milanese. Esisteva, infatti, una netta distinzione tra i ruoli dei due studi: Milano si occupava principalmente degli schizzi preliminari e dei disegni di presentazione finali, mentre New York era responsabile della produzione dei disegni tecnici. Inoltre, a Milano veniva affidata la progettazione delle facciate, mentre a New York spettavano il dimensionamento e la logistica.

Rosario Marquardt, R&R Studios, Aldo Rossi Arriving to Miami, 1986. Matita colorata su carta, 21 × 15 pollici. Courtesy Rosario Marquardt, R&R Studios.
La ricerca di un effetto urbano

Oltre a ciò, tra i contatti documentati di Rossi a Miami emerge la figura dell’architetto e docente Gerardo Brown-Manrique. Una lettera conservata presso il Canadian Centre for Architecture (CCA), datata 21 luglio 1986, attesta che i due si erano conosciuti alla Cornell University nel 1977 grazie a Ungers4 . Trale relazioni ancora più significative dell’architetto milanese è possibile fare riferimento a Rosario Manrquardt e Roberto Behar 5. Quest’ultimo, in particolare, è una figura centrale per il materializzarsi delle condizioni che porteranno Rossi a ottenere l’incarico. Behar si laurea in Architettura presso l’Università pubblica di Rosario nel 1978, in un contesto che, in quel periodo, si dimostra particolarmente ricettivo nei confronti delle idee di Rossi. È opportuno ricordare che a partire dalla fine degli anni Settanta, Rossi intraprende una serie di viaggi in America Latina, dove vi era stata una ampia diffusione del suo pensiero architettonico favorito dalla pubblicazione de L’architettura della città in spagnolo con l’editore Gustavo Gili già nel 1971 6 . In questo contesto, Behar entra in contatto con l’Escuelita e con Anthony Díaz, interlocutori privilegiati nel panorama intellettuale dell’epoca, che favoriscono l’invito di Rossi in Argentina per una serie di conferenze7 .

4 Lettera di G. Brown-Manrique ad Aldo Rossi, Canadian Centre for Architecture (da ora CCA), Correspondence, building codes, architect’s report, Folder 142-0188 T, Toronto, Canada. Nella stessa lettera, Brown-Manrique richiede un incontro presso lo studio milanese di Rossi per discutere di una ricerca che sta conducendo sull’architettura ticinese e lombarda.

5 MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura, Fondo Aldo Rossi, 84, lettera manoscritta di Robertum Bahar ad Aldo Rossi. cfr. anche: V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, The Monacelli Press, New York 1996, p. 15.

6 Questa circostanza, ha consentito che il libro fosse disponibile in America Latina ancora prima delle edizioni francese e inglese, pubblicate rispettivamente nel 1981 e 1982.

7 Cfr. anche: H. Toorent, G. Barcelos de Souza, Letture di L’architettura della città in America latina: uno scambio tra argentini e cileni alla fine degli anni Settanta, in F. De Maio, A. Ferlenga, P. Montini Zimolo (a cura di), Aldo Rossi, la storia di un libro. «L’architettura della città», dal 1966 ad oggi, Il Poligrafo, Padova 2014, pp. 163-176.

Successivamente, nel 1982, Behar si trasferisce a New York per proseguire gli studi allo Iaus, luogo eletto dal giovane architetto come uno dei centri più interessanti del dibattito architettonico, attorno al quale gravitavano una serie di figure particolarmente vicine alla linea culturale rossiana8. Una volta completati gli studi, Behar si trasferisce a Miami, dove nel 1983 assume la direzione dell’Architectural Club. Questo incarico gli consente di strutturare una densa programmazione culturale, invitando numerosi esponenti del panorama architettonico nazionale e internazionale a tenere conferenze e lezioni, contribuendo così in modo significativo al dinamismo intellettuale della città. Tra gli ospiti del Club figurano, tra gli altri, Massimo Scolari, Arduino Cantafora, Anthony Diaz e Mario Gandelsonas.

Come anticipato, in questo periodo, il corpo docente della Scuola di Architettura si amplia con l’ingresso di una nuova generazione di accademici, molti dei quali coinvolti attivamente nell’Architectural Club. Tra questi, ad esempio, Teofilo Victoria che, insieme a Behar, svolge un ruolo determinante nel promuovere Rossi come protagonista della trasformazione del Campus di Miami. Come puntualizza infatti Behar, la decisione di coinvolgere l’architetto milanese nel progetto non si fonda solo sull’interesse per il suo lavoro, ma anche sul desiderio di proiettare la Scuola oltre i suoi confini, stabilendo un collegamento diretto con il panorama europeo. Miami, al proposito, si configura come un luogo strategico, fungendo da punto di intersezione privilegiato con l’America Latina, area di provenienza della maggior parte degli studenti. Secondo i due giovani architetti l’Università, dunque, deve assume un ruolo di ponte culturale tra il mondo latinoamericano e quello europeo, facilitando scambi e interconnessioni.

Behar, in particolare, stabilisce un parallelo tra Miami e Venezia non attraverso un confronto architettonico diretto, ma sulla base di condizioni geografiche e storiche analoghe, per usare un termine del lessico rossiano. Un elemento distintivo di tale

8 Le informazioni che seguono sono presenti nel capitolo In dialogo con Roberto Behar

relazione è individuato nel rapporto privilegiato che entrambe le città intrattengono con l’acqua. Inoltre, Miami, al pari di Venezia, si configura come un crocevia culturale, in cui si intrecciano influenze e tradizioni diverse. Questi presupposti dunque concorrono in maniera significativa alla scelta dell’architetto milanese per il progetto, come Behar sottolinea nella lettera in cui propone l’incarico all’architetto milanese. Da questo momento, il giovane architetto argentino diventa uno dei principali interlocutori di Rossi per il progetto, accompagnandolo nei suoi viaggi a Miami e orientandolo nella conoscenza del contesto urbano della città 9 .

Negli archivi del MAXXI di Roma è conservata una cartolina con un dipinto di Marquardt che rappresenta l’arrivo di Rossi a Miami10. L’architetto è raffigurato con un abito scuro, una cravatta rossa e una valigia in mano, fermo sulla soglia di una costruzione architettonica essenziale. 11. La cartolina, su cui si legge“A.R. Llegando a Miami”, ritrae Rossi in primo piano, mentre lo sfondo, dominato da un cielo sereno, nuvole sparse e un mare calmo, sembra costruire un’atmosfera quasi sospesa. Il contesto urbano circostante richiama l’immagine di un’architettura tradizionale, una sorta di borgo mediterraneo con edifici dai tetti rossi e mura bianche, che sembra rievocare un paesaggio italiano visibile, ad esempio, in un quadro quattrocentesco, come sottolinea Vincent Scully12. L’opera, al contempo, è concepita come una “città analoga”, una Miami analoga, in questo caso, attraverso una composizione che integra vari elementi e in cui la figura di Rossi, rappresentata con un abbigliamento quasi

9 Al MAXXI è conservata una lettera Lettera manoscritta di Roberto Bahar con allegata una foto e tre diapositive relative alla città. MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura, Fondo Aldo Rossi, 84, lettera manoscritta di Robertum Bahar ad Aldo Rossi.

10 MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura, Fondo Aldo Rossi, 84, F33499, “A.R. Llegando a Miami”, s.d., [Foto di opera d’arte di Rosario Marquardt].

11 V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, cit., p. 15.

12 V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, cit., p. 16.

sviluppo è stato, sin dalle origini, strettamente legato alla presenza dell’università.

Nel 1921 l’imprenditore immobiliare George Merrick ne aveva avviato l’urbanizzazione residenziale, pubblicizzandolo come una sorta di sobborgo universitario di Miami17. Tale visione venne poi ulteriormente sostenuta nel 1925, quando l’amministrazione cittadina ottenne uno statuto dalla Florida per la costruzione di una grande Università “Panamericana”18. Merrick riuscì a persuadere i membri fondatori della futura Università a insediarla proprio a Coral Gables, un complemento quasi ornamentale del nuovo e ricco sobborgo19. L’imprenditore donò così un’area di 1600 acri per la costruzione del Campus, che immaginò ispirato a un’architettura in stile neo-ispanico: «pomposa e iperpittoresca»20. Il campus sarebbe stato destinato a ospitare dodici facoltà, tra cui il College of Liberal and Applied Arts, che avrebbe avuto l’obiettivo di formare pittori, scultori e architetti. Il progetto, inoltre, prevedeva un sistema di canali, con tanto di gondole, una piscina “veneziana” alimentata da una sorgente ricavata da una cava di ghiaia, porte di ingresso alla città e la costruzione di un’intera cerchia di mura21 .

La conformazione generale venne messa a punto dagli architetti Paul Chalfin, uno dei progettisti di Viscaya, e dall’architetto Phineas Paist22. Il modello insediativo adottato è quello di una sorta di città giardino, con un’organizzazione spaziale che disponeva le strutture universitarie mediante una gerarchia funzionale attor-

17 D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, cit., p. 190. cfr. anche: V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, cit.

18 D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, cit., p. 191.

19 Ibid.

20 Ibid.

21 Cfr. anche: V. Robie, A Spanish City in Florida, «International Studio», 81, 1925, pp. 107-112; W.W. Wilkins, Coral Gables: 1920s, New Town, «Historic Preservation», 30, 1978, pp. 6-9, H. Hatton, Tropical Splendor: An Architectural History of Florida, Knopf, New York 1987, pp. 53, 60-63.

22 V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, cit., p. 11.

no a cortili porticati e aree verdi23. Il primo edificio, il Solomon G. Merrick Building, doveva affacciarsi sul lago dell’Università, il cui specchio d’acqua avrebbe riflesso una torre alta oltre 60 metri ispirata alla Giralda di Siviglia, un landmark che avrebbe segnalato anche visivamente la presenza dell’università24 .

La cerimonia di posa della prima pietra si tenne il 4 febbraio 1926, anche se l’Università affrontò ben presto alcune difficoltà. L’uragano del 18 settembre 1926 ne bloccò i piani di costruzione, aggravando una situazione economica già compromessa. Infatti, nello stesso anno il crollo del mercato immobiliare in Florida segnò una grave battuta d’arresto per lo sviluppo di Coral Gables, a cui si aggiunse, tre anni più tardi, l’impatto della Grande Depressione. Quest’ultima colpì duramente l’intera regione, mettendo in crisi la giovane comunità e la vicina Coconut Grove25 .

Merrick perse il controllo di Coral Gables e, di conseguenza, l’opportunità di realizzare il Campus, che aveva anche proposto di finanziare parzialmente, e che fu differita per mancanza di sponsor26. Di fronte a queste difficoltà la nuova università trovò posto temporaneamente nel vicino Biltmore Hotel, la cui torre, ispirata anch’essa alla Giralda di Siviglia, rappresentava una variante dello stile “neo-ispanico” che Merrick aveva immaginato per il complesso universitario27 .

Gli anni Quaranta segnarono un periodo di importanti trasformazioni per l’istituzione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il preside Ashe mise a disposizione dell’esercito degli Stati Uniti e della Royal Air Force britannica le strutture per l’addestramento

23 Le rappresentazioni visive del progetto furono affidate dall’artista Denman Fink (D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, cit., p. 191-192).

24 Ibid.

25 University of Miami, School of Architecture, Architecture Program , cit., p. 2.

26 V. Scully, Between Two Towers: The Drawings of the School of Miami, cit., p. 11.

27 Oltre al Biltmore Hotel, furono individuati ulteriori edifici preesistenti nelle vicinanze per ospitare alcune aree dell’università. L’istituzione rimase in queste strutture provvisorie per circa vent’anni (University of Miami, School of Architecture, Architecture Program, cit., p. 2).

del personale militare. La guerra fornì così all’Università l’opportunità di espandere le sue strutture: nel 1941 venne istituita la Scuola di Specializzazione, mentre nel 1943 fu ufficialmente fondato il Laboratorio Marino28 .

Nel 1946, il Campus tornò al suo sito originale con un corpo studentesco di circa 2000 iscritti, sostenuto da nuovi fondi per ospitare ed educare i veterani. Il nuovo piano generale della Scuola, come anticipato, venne progettato da Manley, la prima donna architetto di Miami, in collaborazione con Weed29. Considerazioni finanziarie e tendenze architettoniche del dopoguerra influenzarono fortemente la decisione di costruire edifici semplici, privi di dettagli tradizionali. Il Campus assunse così una configurazione caratterizzata da un assemblaggio razionale di strutture allungate e sottili, disposte ad angolo retto su un’area di 250 acri. Questa impostazione compositiva è stata interpretata da Turner come una “distillazione igienista” del percorso tracciato da Walter Gropius nei suoi progetti per il Black Mountain College a Lake Eden in North Carolina e per l’Harvard Graduate Center30. Il progetto attirò un’ampia attenzione a livello nazionale e internazionale, venendo pubblicato su riviste specializzate come, ad esempio, «Architectural Forum», che lo salutò come «l’unico insediamento educativo completamente nuovo e interamente contemporaneo del paese», sottolineando come il suo impianto progettuale fosse riuscito a «esorcizzare i fantasmi dei Grandi di Spagna», che avevano caratterizzato il modello architettonico originario31 . Nella fase iniziale della costruzione post-bellica venne anche creato il lago artificiale con il nome indiano Osceola, che trovò

28 Ibid.

29 Ibid.

30 D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, cit., p. 193.

31 University of Miami Moves Back to Boom-bought Campus and into First Unit of All-modern Educational Plant, «Architectural Forum», vol. 89, 1, 1948, pp. 75-82. Cfr. anche: Miami University Adds Two More Building Groups to itsBrand-new and Growing Campus, «The Architectural Forum», vol. 90, 6, 1949, pp. 69-75. Entrambi gli articoli sono illustrati in copertina con foto di Ezra Stoller, il primo includeva uno schizzo della prima proposta per uffici amministrativi in stile “neo-ispanico”.

spazio su un’ansa del canale che attraversa il Campus, dividendo l’area in due settori distinti, uno dedicato alle attività accademiche e didattiche, l’altro destinato alle residenze studentesche. Proprio accanto al bacino Rossi dovrà riconfigurare la Scuola di Architettura, conservando dunque diversi edifici che originariamente avevano ospitato le residenze degli studenti. Più precisamente, l’area prevista per ospitare il progetto si trova sulla sponda orientale del lago, delimitata a sud dalla US Higway 1 e a ovest dalla Eaton Hall, l’edificio più antico del complesso universitario32 .

Come anticipato, l’incarico per la progettazione della Scuola di Architettura segue la partecipazione di Rossi, in qualità di giurato, a un concorso indetto nello stesso anno per la riconfigurazione generale dell’Università33. Tale circostanza, fondamentale per l’avvio dei rapporti tra architetto e committenza, può essere interpretata anche come un’occasione per Rossi di familiarizzare con il contesto, consentendogli di rilevare già una serie di questioni che saranno la base sulla quale si svilupperà il suo progetto. Già in questa fase preliminare Rossi individua una criticità nell’organizzazione spaziale dell’università, vale a dire l’assenza di un centro riconoscibile, di un luogo rappresentativo che possa fungere da riferimento sia dal punto di vista urbano sia architettonico, a eccezione del lago artificiale Osceola34. Per Rossi l’assenza di una precisa identità del sito non rappresenta solo un limite, ma anche un’opportunità per innescare una trasformazione più ampia dell’area universitaria. Nella relazione di progetto, tale aspetto sembra essere sintetizzato sin dalle prime note:

32 Cfr. il piano del sito: Aldo Rossi Proposal for the New School of Architecture. Architecture Research Center, University of Miami Libraries, Coral Gables, Florida, id375089, 26/09/1986.

33 Cfr. R. Warburton, The Design Competition Strategy at the University of Miami, «Planning of Higher Education», vol. 17, 1, 1988-89, pp. 1-72.

34 L. Biemiller, Should We Move Lake Osceola?, «Chronicle of Higher Education», 1986, pp. 32-36. Cfr. anche: D. Turner, Tra due mari: la piccola città di Aldo Rossi in nordamerica, cit., p. 196 e la relazione progettuale di Rossi: MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura, Fondo Aldo Rossi, 84, relazione, s.d.

Aldo Rossi (con Morris Adjmi), Scuola di Architettura all’Università di Miami, schemi planimetrici, s.d. Courtesy MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI Architettura, Fondo Aldo Rossi / Eredi Aldo Rossi.

Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work

La serie di volumi della collana Quaderni Iuav. Ricerche Iuav at Work è edita nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, all’interno del progetto Iuav at Work, quale estensione nel territorio cittadino del Padiglione Venezia. L’elenco dei volumi pubblicati è presente al link accessibile dal seguente QR code.

«I nuovi edifici sono posti su uno zoccolo, su un terrapieno che rompe l’orizzontalità del territorio: esso è l’Akropolis, il santuario, il centro della comunità». Così Aldo Rossi descrive il suo progetto per la School of Architecture di Miami, immaginandola come una vera e propria cittadella pedagogica carica di significati simbolici e idealmente ponte tra diverse culture. Il saggio ricostruisce l’elaborazione progettuale del primo incarico americano dell’architetto milanese a partire dal 1986.

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