Architettura Urbanistica. Un secolo di professione

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ARCHITETTURA URBANISTICA

UN SECOLO DI PROFESSIONE

L’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI VENEZIA

DAL VENTESIMO SECOLO AD OGGI

KATIA MARTIGNAGO

Il volume raccoglie gli esiti di una ricerca promossa dall’Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia in occasione del centenario della promulgazione della legge che disponeva la costituzione degli Ordini professionali (Legge n. 1395 del 24 giugno 1923) con l’obiettivo di ricostruire le vicende storiche della stessa istituzione e comprendere come l’Ordine e le sue funzioni siano evolute in quasi cent’anni di storia. Privilegiando la documentazione ancor oggi conservata dall’Ordine e fornendo la testimonianza diretta di alcuni passati membri dei Consigli dell’Ordine, la narrazione prende avvio dal lungo processo di gestazione che porta alla nascita dell’Albo degli architetti della Venezia Euganea nel 1928.

Attraverso i cambi di denominazione dell’ente, il mutare dei suoi iscritti e i rapporti con le altre istituzioni operanti nel territorio veneziano, il racconto giunge fino alle più recenti iniziative del Consiglio per cedere poi la parola a un contributo corale che raccoglie le voci di professionisti, professioniste e docenti universitari sul presente e sul futuro di architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori.

Architettura Urbanistica. Un secolo di professione

L’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Venezia dal ventesimo secolo ad oggi

Martignago

Katia

Architettura Urbanistica. Un secolo di professione

L’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Venezia dal ventesimo secolo ad oggi

di Katia Martignago

ISBN 979-12-5953-129-2

Comitato scientifico borsa di studio “Architettura Urbanistica. Un secolo di professione”

Roberto Beraldo | Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Andrea Iorio | Università Iuav di Venezia Mauro Volpiano | Politecnico di Torino

Coordinamento editoriale

Roberto Beraldo | Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Copertina

Mattia Marzaro | Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Progetto grafico Anteferma Edizioni

Editore

Anteferma Edizioni Srl via Asolo 12, Conegliano (TV) edizioni@anteferma.it

prima edizione

marzo 2025

Copyright

dedicato a tutti i presidenti, vicepresidenti, segretari, tesorieri e consiglieri dell’Ordine, a tutti i presidenti, vicepresidenti, segretari, tesorieri e consiglieri della Fondazione dell’Ordine, a tutti coloro che hanno collaborato con Ordine e Fondazione, a tutto il personale di segreteria di Ordine e Fondazione, dall’epoca dell’istituzione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Venezia ad oggi.

Presentazione

Massimo Crusi | Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori

Premessa

Roberto Beraldo | Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Per una storia degli architetti. Dall’associazionismo scientifico e culturale agli ordini professionali

Mauro Volpiano | Politecnico di Torino

Architettura Urbanistica. Un secolo di professione

Katia Martignago

Introduzione

Capitolo 1

La nascita dell’Ordine: dai primi iscritti alla gestione in epoca fascista

Capitolo 2

Un’epoca di transizione: la ricostituzione dell’Ordine nel 1945

Capitolo 3

1955-1965: alla ricerca di una propria identità

Capitolo 4

La crescita degli iscritti negli anni Sessanta e i rapporti con la città di Venezia

Capitolo 5

L’Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia: apertura al dialogo

Capitolo 6

Difficoltà, trasformazioni e confronti: gli anni Novanta e i primi Duemila

Capitolo 7

Le riforme del nuovo millennio

Quasi cent’anni di storia

Apparati

L’archivio dell’Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Consigli dell’Ordine 1930-2023

Biografie dei presidenti

Gli ultimi decenni: in dialogo con Gianfranco Vecchiato e Anna Buzzacchi

Abbreviazioni

Fonti archivistiche

Bibliografia

Sitografia

La professione tra divulgazione e promozione culturale dell’Ordine di Venezia (1998-2013)

Claudio Aldegheri | OAPPC di Venezia

Cento anni dopo, e ora?

Tavola rotonda con:

Claudio Aldegheri | OAPPC Venezia

Roberto Beraldo | OAPPC Venezia

Michael Carlana | Università Iuav di Venezia

Valentina Fanti | OAPPC Venezia

Marco Ferrari | Università Iuav di Venezia

Simone Gobbo | Università Iuav di Venezia

Markus Hedorfer | European Council of Spatial Planners-Conseil européen des urbanistes

Andrea Iorio | Università Iuav di Venezia

Maura Manzelle | Università Iuav di Venezia

Francesco Trovò | Università Iuav di Venezia

Presentazione

Il Centenario della nascita dell’Ordine degli Architetti merita di essere celebrato con iniziative che diano valore all’azione durevole che questa Istituzione ha svolto nella storia del nostro Paese nell’ultimo secolo, fortemente caratterizzato da mutamenti politici, sociali e territoriali.

L’Ordine professionale è nato a garanzia e tutela dei cittadini, vigilando sulla correttezza nello svolgimento dell’attività professionale.

La nostra professione ha contribuito attivamente all’evoluzione delle città e allo sviluppo innovativo delle tecniche costruttive segnando importanti tappe nella storia dell’architettura e della vita sociale ed economica dei territori.

Il prossimo secolo ha già presentato nuove importanti sfide che dovranno vedere professionisti responsabili, impegnati come protagonisti nel determinare la qualità dei territori e il benessere della vita degli abitanti, con una visione etica del ruolo che le professioni di architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore devono mantenere.

La storia dell’evoluzione dell’istituzione ordinistica, affiancata alla storia del territorio, consente di ripercorrere vicende storiche complementari che giustificano il ruolo svolto dalla regolamentazione della professione che, oggi, alla luce delle trasformazioni avvenute nella società e nei territori e di quelle che sono in corso, non può che essere riconfermato a garanzia della collettività e a presidio dei territori. Tra le iniziative che gli Ordini territoriali degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori hanno messo in campo per celebrare il Centenario fa piacere presentare l’iniziativa dell’Ordine di Venezia con il finanziamento di una borsa di studio per una ricerca sulla storia della professione nel territorio di Venezia, sulla base dello studio della documentazione presente nell’archivio dell’Ordine stesso.

La ricerca testimonia come gli iscritti all’Ordine siano passati da poche decine a circa tremila e sofferma l’attenzione su alcune fasi particolarmente significative, e talvolta anche dolorose, della realtà del territorio veneziano nella sua evoluzione.

Ringraziando l’Ordine di Venezia per l’iniziativa, l’auspicio è che l’iniziativa possa trovare continuità in altre situazioni territoriali per poter comporre un quadro nazionale di conoscenza e consapevolezza della nostra storia, da trasmettere alle figure professionali che si stanno formando, alle quali è deputata la difesa di un ruolo professionale nella fase di trasformazione che stiamo vivendo.

Massimo Crusi

Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori

Premessa

È trascorso poco più di un secolo dall’ordinamento della nostra professione. Gli Ordini hanno infatti attraversato più di cento anni di storia, caratterizzati da articolate vicende culturali, politiche e sociali, durante i quali la ricerca tecnologica e la tecnica costruttiva hanno modificato le discipline del progetto.

Con la promulgazione della legge n. 1395 del 24 giugno 1923, che disponeva la costituzione degli ordini professionali per la “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”, e del successivo Regio Decreto del 23 giugno 1925 n. 2537, che emanava disposizioni di “Approvazione del regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto”, prende avvio il riconoscimento della professione “ordinata”.

Interrogarsi sul futuro della professione significa domandarsi quale sia stato, e quale potrà essere, il ruolo dei professionisti iscritti agli Ordini, che, da sempre, sono impegnati nella società civile sui temi del progetto, della pianificazione, del paesaggio e della conservazione del patrimonio.

Se il ventesimo secolo ha visto le professioni ordinistiche interessate da cambiamenti molteplici e rilevanti, verosimilmente il tempo a venire vedrà il sistema ordinistico impegnato in sfide altrettanto importanti.

Per immaginare il futuro della nostra professione e per riaffermare e rifondare il ruolo sociale di Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori nel presente sono di fondamentale importanza la conoscenza e la consapevolezza della nostra storia.

Nel 2023, in occasione del centenario della promulgazione della Legge 1395, l’Ordine di Venezia ha bandito e finanziato una borsa di studio per promuovere un’organica ricerca sulla secolare storia delle istituzioni ordinistiche e, nello specifico, di quella veneziana.

Il lavoro di ricerca di Katia Martignago ripercorre la storia dell’Ordine veneziano dall’epoca della sua fondazione, avvenuta nel 1926, ricostruendo le vicende storiche e politiche di cui l’istituzione, trasformandosi nei decenni, è stata parte.

Già nel 2009, con la pubblicazione dell’Albo illustrato, l’Ordine si era prefissato l’obiettivo di “rappresentare uno spaccato dello stato dell’arte della nostra professione” affiancando “al più istituzionale elenco degli iscritti” un’iniziativa editoriale finalizzata a rappresentare un’articolata ricostruzione, anche statistica, dello stato della professione.

Nel testo La storia dell’Ordine APPC Venezia. Esercitare il mestiere tra cronaca e storia (Albo Illustrato, p. 316), Gianfranco Vecchiato traccia una prima mappa dei temi che il presente lavoro di Katia Martignago sviluppa e implementa.

L’archivio storico dell’Ordine, come la maggioranza degli archivi degli Ordini italiani, non era mai stato oggetto di uno studio sistematico e pertanto il lavoro di ricerca è stato particolarmente laborioso e complesso. Il ritrovamento di numerosi documenti non classificati e la rilettura sistematica dei verbali manoscritti dei consigli, dal momento in cui sono stati conservati, ha consentito di ricostruire le relazioni tra l’istituzione e i suoi consiglieri, con gli iscritti, con la città e il contesto nazionale.

La nascita dell’Ordine nel ventennio fascista, le fasi di transizione del secondo dopoguerra in cui prende corpo l’identità dell’ordine, gli anni dello sviluppo economico con la crescita del numero degli iscritti, le vicende politiche relative alle trasformazioni urbane di Venezia e alla sua nuova dimensione, la crescita di una fitta rete di relazioni che conduce al dialogo con le altre realtà ordinistiche e con le istituzioni di governo del territorio, sono alcuni dei temi di cui il lavoro di ricerca tratta.

Parallelamente la ricerca dedica particolare attenzione ad alcune delle vicende notevoli che definiscono il contesto culturale in cui il sistema ordinistico veneziano consolida la propria struttura e organizzazione: dalle questioni di genere, alle conseguenze delle leggi razziali emanate nel 1938, al complesso rapporto con l’Università nella controversa vicenda dell’esercizio della professione di Carlo Scarpa.

L’impegno di Katia Martignago se, per un verso, ha ripercorso la storia quasi secolare dell’Ordine veneziano – il centenario ricorrerà nel 2026 – per l’altro ha delineato altri fronti di ricerca che potranno essere oggetto di attenzione in futuro, evidenziando anche la responsabilità archivistica del sistema ordinistico nei confronti della storia del Paese.

I contributi di Mauro Volpiano, Claudio Aldegheri e dei partecipanti al confronto Cento anni dopo, e ora? – Claudio Aldegheri, Roberto Beraldo, Michael Carlana, Valentina Fanti, Marco Ferrari, Simone Gobbo, Markus Hedorfer, Andrea Iorio, Maura Manzelle e Francesco Trovò – offrono spunti di riflessione sulle vicende storico culturali che hanno condotto alla fondazione degli Ordini, ma pongono anche interrogativi sui disequilibri del sistema ordinistico

italiano con uno sguardo attento verso un futuro sempre più complesso di relazioni sociali, etiche e politiche.

Il Consiglio in carica dell’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Venezia – Roberto Beraldo (Presidente), Valentina Fanti (consigliera Segretario), Ada Tambato (consigliera Tesoriere), Claudio Aldegheri, Alberta Baldin, Lara Bortoletto, Chiara Carrer, Federica Cusin, Marta Favero, Antonio Girello (vice Presidente), Mattia Marzaro, Simone Sfriso, Michele Tonero, Andrea Rumor, Riccardo Vallese – ha sostenuto con lungimiranza questo percorso di ricerca fin dal suo avvio.

Parimenti la Fondazione dell’Ordine di Venezia – Antonio Girello (Presidente), Chiara Carrer (consigliera Tesoriere), Marta Favero (consigliera Segretario), Roberto Nordio, Nicola Picco, Andrea Rumor, Francesco Trovò e il personale di segreteria Roberta Patron e Giulia Schenato – ha fattivamente sostenuto questo progetto.

Tuttavia la pubblicazione di questo prezioso lavoro di ricerca sulla storia identitaria dell’Ordine di Venezia non sarebbe stata possibile senza il supporto del personale di segreteria, Monia Terzo, Annamaria Miorin e Laura Mion, alle quali va un sentito ringraziamento per aver collaborato a rendere accessibile l’archivio.

Roberto Beraldo

Presidente dell’Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

Per una storia degli architetti.

Dall’associazionismo

scientifico e culturale agli ordini professionali

La storia degli ordini professionali è un segmento importante della più ampia storia degli architetti (e degli ingegneri) e, ancora più in generale, delle professioni liberali come si vanno sviluppando nel nostro paese a partire dagli anni postunitari sino ai decenni più recenti. Il sistema ordinistico costituisce, infatti, l’approdo legislativo e istituzionale di un lungo dibattito che prende corpo, non solo il Italia, nel corso del XIX secolo e del primo Novecento.

Le spinte della modernizzazione tecnologica dei processi edilizi in un cantiere in vertiginosa trasformazione; il mutare delle condizioni operative del mercato immobiliare, sempre più quantitativo e impersonale, dove il colto committente si è progressivamente tramutato in cliente; la volontà da parte della stessa comunità dei tecnici di riconoscersi in processi istituzionali legittimanti, talvolta anche per istinto corporativo, ma soprattutto per proteggere la qualità del proprio lavoro: sono queste alcune delle ragioni che in quegli anni rendono sempre più pressante la necessità di attuare e validare percorsi formativi che garantiscano le competenze (la scuola) e che stabiliscano l’accesso alla professione e le modalità del suo svolgimento, in termini pratici e deontologici, nonché l’aggiornamento culturale e tecnico (le società scientifiche e poi gli ordini).

Se si guarda a questi fenomeni, non è certamente un caso, ad esempio, che la questione del licensing, cioè dell’abilitazione professionale obbligatoria degli architetti, in America venga definita in primis in Illinois (1897), epicentro della scuola di Chicago, mentre pochi anni più tardi seguiranno gli altri stati più impegnati sul fronte architettonico e dell’espansione urbana, come quello di New York (1915). Questa periodizzazione aiuta anche a collocare le vicende ordinistiche italiane in un quadro internazionale.

Si tratta di una complessa e articolata traiettoria fatta di dibattiti, congressi, battaglie parlamentari che si avvia nel nostro paese già prima dell’Unità e che infine, come è ben noto, porterà ai disposti normativi del giugno 1923, presto modificati nell’ambito delle istituzioni fasciste e poi oggetto di ulteriore revisione nel quadro della nuova Italia repubblicana.

Fare la storia degli architetti, dunque, e non solo la storia dell’architettura, è un compito non marginale, che già un grande studioso inglese, Sir John Summerson, nell’ormai lontano 1947, metteva al centro del suo progetto storiografico dedicato al centenario dell’Architectural Association londinese. Infatti, ben prima della formazione degli ordini, gli architetti da lungo tempo avevano

sentito la necessità di riunirsi per scambiare esperienze e discutere della propria condizione professionale, anche per anticipare informalmente scelte che avrebbero poi trovato sostanza in altre sedi amministrative e politiche, e che era necessario ponderare, prima di prendere una posizione pubblica. Spesso si trattava di societés savantes, le prime sorte nel XVIII secolo sul modello illuminista, come l’elitario Architects Club londinese (1791). Alcune erano aperte non solo agli architetti e agli ingegneri (peraltro non ancora ben differenziati nei loro percorsi formativi), ma agli eruditi e cultori in senso accademico mentre altre, in direzione opposta, si configuravano come sodalizi impegnati nella risoluzione di questioni pratiche, e nell’aggiornamento tecnico, dunque volte più verso la dimensione pragmatica del costruire, come appare evidente dalle politiche di accesso delineate nelle carte costitutive: in questi casi i membri potevano anche essere impresari e capimastri, esperti di idraulica o meccanica, agronomi, militari, imprenditori. Altrove, queste libere associazioni si fondavano su principi solidaristici, come la veneziana Società di Mutuo Soccorso degli Ingegneri, Architetti e Periti Agrimensori delle Provincie Venete, finalizzata a soccorrere i propri membri “quando per vecchiaia, per malattia, per sventura, non potessero continuare nell’esercizio di loro professione”, ma anche “le vedove e gli orfani loro” (1858).

A cavallo dei due secoli, queste istituzioni approntarono in Italia ed Europa un tessuto ricchissimo di relazioni, rapporti locali, nazionali e internazionali, vivificato da conoscenze dirette tra soci, sviluppate in occasione di convegni, esposizioni, concorsi. Ad esempio, al congresso internazionale degli architetti di Bruxelles nel 1897, l’italiano Bettochi, incontrerà, tra i delegati delle altre nazioni, alcune delle figure più significative di quegli anni: l’urbanista tedesco Joseph Stübben, autore del primo esaustivo manuale di urbanistica europeo (1890) e capofila del movimento dell’arte urbana; l’americano William Le Baron Jenney, progettista dell’innovativo Home Insurance Building di Chicago (1885), senza dimenticare il delegato austriaco – in quell’occasione niente meno che Otto Wagner – o il presidente della Società francese Charles Garnier, padre dell’Opéra parigina.

Questi scambi vengono perseguiti anche con una vasta politica editoriale, attraverso l’invio e lo scambio di bollettini, riviste, monografie, in numero tale da fare quasi impallidire i nostri attuali sistemi bibliotecari specializzati: a fine XIX secolo, ricchi cabinets di lettura, come quello torinese della Società degli Ingegneri e Industriali (poi degli Architetti), mettono a disposizione dei soci un numero di testate tecniche in abbonamento, costantemente aggiornate, che può facilmente superare il centinaio, diverse edite in Europa e nelle Americhe. Si tratta dunque di notevoli raccolte che oggi meriterebbero mirati approfondimenti storiografici, purtroppo spesso disperse oppure trasferite, ma di cui sovente conserviamo tracce significative o almeno i cataloghi. In alcuni casi eccezionali, come quello del Collegio milanese degli ingegneri e degli architetti, gran parte della documentazione d’archivio e dei volumi a stampa, di notevole interesse, è tuttora perfettamente conservata.

In Italia, il tessuto associazionistico degli architetti si definisce già negli anni immediatamente precedenti l’Unità, anche con riferimento ai rinnovati

quadri istituzionali e legislativi, come quello dato dallo Statuto albertino nell’ambito del Regno Sardo, che favoriscono la libertà di associazione. Se alcuni collegi, come quello milanese, esistono già da secoli, è soprattutto in quel momento storico che la sociabilità degli architetti trova le proprie forme aggregative più compiute, definendo quel coacervo di questioni e interessi che porteranno a condividere, nell’arco di pochi decenni, l’idea di istituire un proprio ordine professionale, sulla scorta di quello degli avvocati, il primo regolato in Italia a partire del 1874 ed esplicitamente citato come riferimento dalla normativa del 1923. Alcuni dei dibattiti di quegli anni sulla qualità dell’architettura, il ruolo dei concorsi, la deontologia sono, riletti a distanza di così tanto tempo, ancora straordinariamente interessanti e, spesso, nel bene e nel male, tuttora attuali.

Ecco dunque fiorire sodalizi di ingegneri e architetti a Genova (1855), dove ve ne saranno due, uno dei quali con la specificità dell’ingegneria navale, a Venezia (1858), già citato, a Brescia (1860), a Milano (1861-65), a Torino (1866); per Torino e Milano vale anche la pena di ricordare la sostanziale coincidenza temporale con l’inaugurazione delle regie scuole di applicazione, definite sulla scorta della legge Casati del 1859, che riforma anche l’insegnamento universitario.

Lentamente, l’ondata di sociabilità organizzata degli architetti e degli ingegneri si espande verso Meridione, a completare un quadro che viene ben fotografato da una specifica inchiesta svolta tra il 1894 e il 1895 in occasione del congresso nazionale di Genova. In quel momento, l’associazione romana dichiara quasi 600 soci, quella milanese 317, mentre i napoletani sono 282 e i torinesi 220. I collegi sono ormai decine, distribuiti da Trieste a Catanzaro e Palermo (oltre 150 membri) e gli appartenenti superano ampiamente il migliaio.

Quantità e qualità dell’associazionismo organizzato degli architetti e degli ingegneri costituiscono pertanto due indicatori preziosi del ruolo e del peso che le nostre professioni hanno avuto nella costruzione e nella modernizzazione dello stato unitario e non va dimenticato che le associazioni e gli oltre cento ordini professionali sono tuttora soggetti produttori (anche in questo preciso istante!) e conservatori di patrimoni documentari di grande rilievo per ricostruire non solo una storia della professione, ma una storia dell’Italia tout court. La meritoria iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Venezia lo dimostra, con lo scandaglio utilissimo di questa ricerca di Katia Martignago che, pure nella lacunosità delle fonti, consente di ripercorrere vicende fondamentali complementari a quelle narrate dalle storie dell’architettura tradizionali. Vi si trovano, in quelle, i grandi protagonisti, le opere fondamentali. Qui, viceversa, emerge la vicenda corale di una comunità, che permette di cogliere l’ampliarsi della professione dalle poche decine di membri degli anni Venti del Novecento alle migliaia di oggi, le battaglie sociali per l’eguaglianza e l’inclusività, i momenti più drammatici dopo la promulgazione delle leggi razziali. Resta un lavoro complesso da fare alla scala nazionale, di ricognizione e di messa in rete di queste storie locali interrelate in una storia più grande. In alcuni casi, questo percorso di conoscenza e tutela dei patrimoni è già stato avviato, in molti altri attende ancora una prima definizione metodologica e operativa, alla quale questo lavoro può fornire utili sollecitazioni.

Architettura Urbanistica. Un secolo di professione

Katia Martignago

Introduzione

Il 24 giugno 2023 in molte parti di Italia si è festeggiato il centenario dell’entrata in vigore della Legge n. 1395 del 24 giugno 1923 che riconosce ufficialmente le professioni di architetto e ingegnere. In quest’occasione il Consiglio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Venezia ha promosso una ricerca storica con l’obiettivo di ricostruire la propria storia, dalla creazione delle istituzioni che lo hanno preceduto fino all’epoca contemporanea.

L’iniziativa si colloca un contesto storiografico poco battuto: le informazioni a disposizione sugli ordini degli architetti e più in generale sugli ordini professionali sono, infatti, scarne. Fanno eccezione alcuni studi sulla storia delle professioni liberali che hanno dedicato particolare attenzione allo sviluppo e alla nascita delle legislazioni che hanno inquadrato le professioni di architetto e ingegnere1. In questo panorama, tuttavia, gli archivi degli ordini giacciono spesso dimenticati e inutilizzabili. A fronte dei centocinque Ordini APPC oggi presenti sul territorio italiano, una ricerca nel Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze archivistiche fornisce informazioni soltanto sugli archivi istituzionali di tre enti, gli ordini di Ancona, Bari e Brindisi. Allargando la ricerca ai siti degli ordini stessi ci imbattiamo spesso in archivi storici che custodiscono la memoria degli iscritti – come nel caso di Bologna che custodisce cinque fondi storici di professionisti attivi tra la fine dell’Ottocento e il Novecento2 – ma non quella dell’ente stesso. Eccezione in questo panorama è l’archivio storico dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma –forse non a caso l’ordine italiano più numeroso – che una ventina di anni fa ha promosso un importante studio dei propri archivi culminato nel 2015 nella pubblicazione dei verbali dei consigli e delle assemblee del sindacato fascista degli architetti di Roma e provincia prodotti tra il 1926 e il 1956 3 .

La presente ricerca si è quindi deliberatamente concentrata sulla documentazione ancor oggi conservata dall’Ordine, che attende un riordinamento scientifico e della cui consistenza si fornisce una prima descrizione.

1 Sullo studio delle professioni liberali cfr. Malatesta 1996; Malatesta 2006; in particolare sugli architetti cfr. Tacchi 1994, pp. 177-216; Calabi 1996, pp. 337-375. Per una disamina delle prime forme associative cfr. Volpiano 2013, pp. 12-22.

2 www.archibo.it/archivio (ultima consultazione luglio 2024).

3 Mancuso 2015.

Come vedremo, si tratta di materiale eterogeneo, conservato in maniera discontinua. La sua natura, insieme all’ampio arco temporale trattato, ha quindi suggerito di focalizzare l’attenzione, oltre che su alcuni fenomeni generali relativi all’andamento delle iscrizioni e alla composizione degli iscritti, su alcuni episodi più noti o meglio documentati. L’operazione fornisce certamente uno sguardo limitato, ma permette di valorizzare l’Archivio dell’Ordine APPC di Venezia e si configura come uno strumento orientativo in un campo di ricerca poco battuto.

La narrazione si sviluppa in ordine cronologico e prende le mosse dal lungo processo di gestazione che porta alla nascita dell’Albo degli architetti della Venezia Euganea nel 1928, e la sua gestione prima a cura della Giunta per la tenuta dell’Albo e poi del Sindacato fascista degli architetti. La ricostruzione e la riorganizzazione dell’Ordine nel dopoguerra sono trattate nei due capitoli successivi, in cui si dà anche spazio alle note vicende che videro scontrarsi il Consiglio dell’Ordine con Carlo Scarpa. A partire dagli anni Settanta, lo sguardo si amplia ai rapporti intercorsi tra l’Ordine e le altre realtà territoriali, in primis il Comune di Venezia per questioni relative ai processi di trasformazione del patrimonio costruito in ambito lagunare. Il quinto e il sesto capitolo indagano invece i problemi professionali derivati dalla grande crescita del numero di laureati in architettura e in urbanistica e il nuovo ruolo culturale che l’Ordine va progressivamente assumendo a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. L’ultimo capitolo, infine, delinea i cambiamenti intercorsi nell’Ordine a partire dalla riforma delle professioni del 2001. Complementari alla narrazione sono gli apparati forniti in appendice. I primi due forniscono, nell’ottica di agevolare il reperimento di informazioni sui protagonisti dell’Ordine, un quadro sinottico dei Consigli degli organi preposti alla tenuta dell’albo dal 1930 a oggi e le biografie degli architetti che li hanno presieduti, mentre le due interviste, a passati presidenti dell’Ordine, si offrono quali strumenti utili a testimoniare la storia recente dell’istituzione.

CAPITOLO 1

La nascita dell’Ordine: dai primi iscritti alla gestione in epoca fascista

La legge n. 1395 del 24 giugno 1923 e la sua attuazione

Il 24 giugno 1923, con la legge n. 1395, vengono riconosciute le professioni di ingegnere e di architetto. Una legge di questo stampo, sebbene rientri tra i primi provvedimenti del governo fascista, veniva discussa in parlamento ormai da vent’anni, ed è la risposta a un riconoscimento della professione che le due categorie richiedevano da mezzo secolo1. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, infatti, in Italia si erano andati costituendo localmente numerosi sodalizi tra architetti e ingegneri, che riuniti nei Congressi nazionali degli ingegneri e degli architetti fin dal 1875 discutono la possibilità della creazione di un ordine per i professionisti del loro settore. I tempi non erano però ancora maturi e le istanze dei collegi locali non riuscivano a trovare un punto d’incontro2 .

La prima proposta di legge in tal senso arriva infatti in parlamento per iniziativa dell’ingegnere e onorevole Luigi De Seta soltanto nel giugno del 1904, ma questa, come i successivi provvedimenti presentati dall’onorevole Cesare Fani (1910) e dall’onorevole Camillo Finocchiaro Aprile (1914), non ebbe esito. La situazione evolve tra il 1921 e il 1922 quando un nuovo disegno di legge viene presentato da Anselmo Ciappi, già collaboratore di De Seta e come lui ingegnere. La proposta, che ottiene il favore della principale organizzazione di categoria, l’Associazione nazionale degli ingegneri italiani, venne sposata dal ministro di Giustizia e affari di culto Luigi Rossi, ma decadde per la fine della legislatura. Nel 1923, tuttavia, il progetto venne ripreso dal nuovo ministro Aldo Orviglio, arrivando così alla definitiva approvazione3 .

La legge decreta che i titoli di ingegnere e architetto spettino soltanto ai diplomati degli istituti di istruzione superiore, gli antenati delle facoltà universitarie di architettura istituite nello stesso 1923. Successivamente viene richiesto anche il superamento di un esame di stato4. Vengono inoltre approvate alcune norme transitorie volte a includere chi già praticava queste professioni: sono ammessi all’Albo i professionisti che dimostrino di essere attivi “lodevolmente”

1 Zucconi 1989, pp. 114-118; Tacchi 1994, pp. 177-216; Minesso 2005, pp. 59-71; Berta 2015, pp. 32-48. Una prima proposta di legge era stata presentata il 9 giugno 1904 dall’onorevole Luigi De Seta per la creazione di un ordine professionale unico per ingegneri e architetti.

2 Colleoni 1988; Minesso 1995, pp. 196-220.

3 Turi 1994, pp. 11-48.

4 Regio Decreto 31 dicembre 1923, n. 2909.

da almeno dieci anni o chi, avendo conseguito la licenza di professore di disegno architettonico presso un’accademia o un istituto di belle arti, lavori da minimo cinque anni (artt. 8-10). Nel 1923, l’iscrizione non è obbligatoria, ma requisito indispensabile per i liberi professionisti che vogliano ricevere incarichi dalle pubbliche amministrazioni (art. 4). Gli iscritti devono poi eleggere un proprio Consiglio dell’Ordine cui spetta la tenuta dell’Albo, la gestione del bilancio, la vigilanza e la tutela dell’esercizio professionale e che ha facoltà di esprimere pareri in merito agli onorari (art. 5).

L’emanazione della legge è tuttavia una vittoria illusoria e il percorso per gli architetti sarebbe stato ancora lungo e tortuoso. Si devono infatti attendere più di due anni affinché venga emanato il regolamento relativo alle professioni di ingegnere e architetto5 che stabilisce la costituzione in ogni provincia di un Ordine degli Ingegneri e degli Architetti, retto da un Consiglio incaricato della formazione dell’Albo; il provvedimento viene emendato già l’anno successivo quando i due albi vengono separati6. Ulteriori modifiche si ripresentano meno di un anno dopo: la legge n. 563 del 3 aprile 1926 sospende la costituzione degli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti e ne trasmette le relative funzioni temporaneamente al Presidente del Tribunale in attesa di regolarle presso i sindacati. La strada per la formazione degli ordini viene quindi nuovamente sbarrata e i lavori saranno rallentati dalla procedura prevista per l’ammissione stessa all’Albo, demandata a una Commissione centrale, nominata soltanto nel marzo del 19277, e ancora attiva nell’anno successivo8. Solo a cavallo tra il 1928 e il 1929 la situazione si stabilizza e le domande di iscrizione, depositate molto tempo prima, vengono finalmente prese in considerazione.

5 Regio Decreto 23 ottobre 1925, n. 2536.

6 Calabi 1996, p. 343.

7 La commissione era composta da professori delle scuole superiori di architettura e da liberi professionisti: Manfredo Manfredi – sostituito da Gustavo Giovannoni alla sua morte nell’ottobre del 1927 –, Giovan Battista Milani, Vincenzo Fasolo, Marcello Piacentini – nel 1928 sostituito da Pietro Aschieri –, Giuseppe Boni e Ulisse Stacchini (Berta 2015, pp. 32-48, in part. p. 46).

8 Il Regio Decreto 5 gennaio 1928, n. 13 aveva prorogato validità delle norme transitorie e ancora nel novembre del 1928 il direttorio nazionale e le segreterie regionali del sindacato, riunitisi a Roma, lamentavano la lentezza dei lavori e la conseguente mancata attivazione di alcune giunte sindacali (Convocazione 1928, pp. n.n.). Cfr. anche Calabi 1996, p. 342.

I primi iscritti a Venezia e in Veneto

Venezia 22-11-1926

Egregio Collega,

La prego di intervenire alla seduta che si terrà il giorno di domenica 28 corrente mese alle ore 11 al Circolo Artistico-Ponte della Paglia. Nessuno manchi perché saranno consegnati i formulari e le cartelle per l’iscrizione agli Albi.

Cordiali saluti

Il segretario

Prospero Battestini9

Nel novembre del 1926, il segretario del Sindacato architetti veneziano, Prospero Battestini, invita i suoi colleghi architetti a prendere parte a una riunione nel corso della quale sarebbero stati distribuiti i moduli necessari all’iscrizione dell’Albo10. Pochi mesi prima, infatti, il 24 agosto 1926 la Corte d’Appello di Venezia aveva costituito l’Albo degli architetti per la provincia di Venezia11, rendendo finalmente possibile l’avvio delle procedure di iscrizione.

Della registrazione degli iscritti all’Albo si occupa all’epoca il Sindacato interprovinciale fascista architetti di Venezia, costituitosi all’inizio del 192612 e incaricato dal 1927 (Regio Decreto 27 ottobre 1927, n. 2145) della custodia dell’Albo e della disciplina degli iscritti. A Venezia il sindacato si organizza intorno al Segretario provinciale Duilio Torres e agli altri membri del direttorio: il già citato Prospero Battestin, Giuseppe Colcerniani, Silvio Lorenzetti, Orfeo Rossato e Vittorio Invernizzi13

Il primo Albo degli iscritti a noi pervenuto, il cosiddetto Albo padre dell’Ordine14, reca infatti l’intitolazione “Sindacato interprovinciale fascista architetti con sede in Venezia” e registra le prime 401 matricole veneziane e non solo (fig. 01). All’albo per la provincia di Venezia, nel corso del 1928 e del 1929, vengono, infatti, aggregate, per disposizione dei rispettivi tribunali, anche le province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza15 che non raggiungono il

9 Venezia, Archivio Progetti, fondo Torres, atti/094, fasc. sindacato architetti 1925-34, circolare del 22 novembre 1926.

10 Battestin, di origine istriana, si diploma all’Accademia di Belle arti di Venezia nel 1912 e risulta iscritto all’Albo dal 30 dicembre 1928 (Albo 1934, pp. 6-7). Morto prematuramente nel 1934 il suo nominativo non compare nell’Albo padre – compilato dopo la sua morte – né si conserva il suo fascicolo personale.

11 Albo 1934, s.p.; Calabi 1996, p. 342.

12 Il sindacato si era costituito a Venezia all’inizio dell’anno (Venezia, Archivio Progetti, fondo Torres, atti/094, fasc. sindacato architetti 1925-34, lettera di Brenno del Giudice del 5 gennaio 1926).

13 Resoconto Venezia 1928, s.p.

14 Il registro, che riporta i dati delle prime 401 matricole dell’Ordine, fu compilato probabilmente intorno alla metà degli anni Trenta: fino al 1936 i nominativi sono infatti inseriti in ordine alfabetico (come prescritto dall’art. 2 del Regio Decreto 23 ottobre 1925, n. 2537) e successivamente in ordine di iscrizione fino al suo completamento nel 1969. Al riguardo si veda anche in appendice la descrizione dell’archivio dell’Ordine APPC di Venezia.

15 Per ordinanza dei Presidenti dei rispetti Tribunali vennero istituti l’Albo di Belluno in data 1° dicembre 1928, quello di Padova in data 8 dicembre 1928, quello di Rovigo in data 8 marzo 1929, quello di Treviso in data 15 marzo 1929, quello di Verona in data 19 maggio 1926 e quello di Vicenza in data 10 novembre 1928 (Albo 1934, s.p.)

01. Albo Padre (Archivio Ordine APPCVe, foto di Giorgia Rorato).

numero minimo di venticinque iscritti richiesto per aprire una sezione autonoma16. Viene così a costituirsi l’Ordine degli architetti regionale della “Venezia Euganea” comprendente tutte le province venete17 . Stando all’Albo padre, i primi iscritti all’Ordine regionale sono due veronesi: l’architetto ingegnere Aldo Goldschmidt e l’architetto civile Ettore Fagiuoli, entrambi laureatisi al Regio Istituto Superiore di Milano18. Le loro iscrizioni risalgono rispettivamente al 19 e al 20 maggio 1926 e sono contemporanee all’ordinanza dal Presidente del Tribunale di Verona che costituiva l’Albo di quella provincia in data 19 maggio 1926. L’informazione, a un’indagine più approfondita, non risulta però accurata. Il maggio del 1926 più che una data di iscrizione deve essere intesa come una data di presentazione delle domande: a quel tempo – come abbiamo visto – non esisteva ancora una commissione per l’ammissione all’Albo e il loro processo di formazione era ancora in corso. I primi iscritti della Venezia Euganea vengono infatti registrati soltanto il 1° luglio 1928. Si tratta di un gruppo di ingegneri residenti a Venezia e provincia: Gilberto Errera, Giulio Faido, Vittorio Umberto Fantucci, Alberto Magrini, Domenico Marchetti e Guglielmo Vason19. Tra novembre e dicembre dello stesso anno viene poi registrato un gruppo di architetti provenienti da tutta la Regione,

16 Regio Decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 2; ribadito dal Regio Decreto 31 ottobre 1929, n. 2083.

17 È questa la denominazione che appare sulla coperta dell’Albo del 1934.

18 Archivio OAPPCVe, Albo padre, matricole 77 e 74.

19 Archivio OAPPCVe, Albo padre, matricole 14, 15, 16, 26, 27, 41. Nell’Albo padre e nei successivi albi manoscritti Errera è registrato erroneamente con il nome di Giuseppe.

riconosciuti tali ai sensi delle norme transitorie sopra ricordate20. Si tratta dei veronesi Francesco Banterle e Antonio Gregoletto21; dei vicentini Mariano Chemollo, Fausto Franco e Giuseppe Morselletto22; del bellunese Riccardo Alfaré23; dei padovani Vincenzo Bonato, Giuseppe Contarello, Guido Fondelli, Guido Milani, Agostino Primo Miozzo, Gino Miozzo, Gino Peressutti, Angiolino Pisani, Luigi Polo, Ferdinando Tosato, Simone Treu e Antonio Zanivan24; e dei veneziani Prospero Battestin25, Pietro Bartorelli, Giuseppe Berti, Giulio Alessandri, Vittorio Calchera, Umberto Contardo, Brenno Del Giudice, Vittorio Invernizzi, Cesare Gastone Iscra, Agostino Jacuzzi, Silvio Lorenzetti, Ambrogio Narduzzi, Lorenzo Rinaldo, Orfeo Rossato, Giovanni Rubini, Guido Costante Sullam, Duilio Torres, Giuseppe Torres, Ermenegildo Valconi, Attilio Penzo26. Con la registrazione di queste domande è verosimile che possano essere state convalidate anche quelle di Goldschmidt e Fagiuoli. È infatti soltanto con le iscrizioni ufficializzate nel secondo semestre del 1928, che portano l’Albo a quota quarantatré iscritti, che possiamo ritenere concluso per Venezia il lungo iter di nascita dell’Albo, che era iniziato sul finire del 1926.

Le prime domande di iscrizione erano state depositate circa un mese dopo la sopracitata riunione convocata da Prospero Battestin. Il 29 dicembre 1926 vengono infatti protocollate dalla Corte di Appello di Venezia le domande di Giuseppe Berti, Vittorio Calchera, Tullio Ceschel, Umberto Contardo, Brenno Del Giudice, Vittorio Invernizzi, Agostino Jacuzzi, Silvio Lorenzetti, Ambrogio Narduzzi, Lorenzo Rinaldi, Orfeo Rossato e Duilio Torres, che ancora si conservano nei rispettivi fascicoli personali dell’archivio dell’Ordine (fig. 02)27. Con loro presentano domanda anche Girolamo D’Angelo, Tullio Ceschel, Gino De Valentini, Guido Pelizzari, Angelo Scattolin e Virgilio Vallot, ma le loro richieste risultano “escluse dalla commissione centrale” che non giudica i loro curricula sufficienti per l’assegnazione del titolo di architetto. I sette professionisti vengono infatti ammessi all’Albo solo successivamente, tra il 1929 e il 1931, avvalendosi chi della proroga della sanatoria, chi del titolo di dottore in architettura conseguito nel frattempo presso il Regio Istituto di Architettura di Venezia28

20 Regio Decreto 24 giugno 1924, n. 1395, art. 10.

21 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 72 e 78.

22 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 82, 83 e 84.

23 Archivio OAPPCVe, Albo padre, matricola 42.

24 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 44, 45, 47, 51, 52, 53, 55, 56, 58, 59, 60, 62.

25 Albo 1934, pp. 6-7.

26 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 36, 3, 4, 1, 6, 8, 13, 21, 22, 23, 25, 28, 31, 32, 33, 37, 38, 39, 54. Per l’iscrizione di Prospero Battestin cfr. Albo 1934, pp. 6-7.

27 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 4, 6, 8, 13, 21, 23, 25, 28, 31, 32, 37. Con loro vennero iscritti anche Costante Guido Sullam, Pietro Bartorelli, Giulio Alessandri, Cesare Gastone Iscra, Giovanni Rubini, Giuseppe Torres e Ermenegildo Valconi. Non possediamo informazioni sulla data di presentazione della domanda di quest’ultimi, ma è verosimile che possa essere stata ugualmente presentata nel dicembre del 1926.

28 Archivio OAPPCVe, Albo padre, rispettivamente matricole 10, 7, 12, 29, 34, 40. A titolo di esempio si consideri la domanda di Virgilio Vallot: nato a Venezia l’8 febbraio 1901, Virgilio Vallot, collabora nello studio dell’ingegnere Giovanni Sicher fin dal 1922, ma si laurea presso la Scuola Superiore di Architettura di Venezia soltanto nel 1928. Nello stesso anno supera l’esame di stato e dal 12 luglio 1931 risulta iscritto all’Albo (Albo 1934, pp.10-11; Massaro1998/99, pp.18, 100-104). Tra gli esclusi della commissione si può annoverare anche Carlo Scarpa a cui non venne riconosciuta la conversione del titolo e della cui domanda non c’è traccia nell’archivio dell’Ordine non essendo mai stato iscritto (Scarpa-Brun 1986, pp. 48-55; Sonego 2004, pp. 27-83).

02. Domanda di iscrizione all’Albo di Duilio Torres presentata alla Corte di Appello di Venezia il 29 dicembre 1926 (Archivio Ordine APPCVe, foto di Giorgia Rorato).

03. Frontespizio dell’Albo regionale degli architetti della Venezia Euganea, 1934 (Archivio Ordine APPCVe, foto di Giorgia Rorato).

Le Giunte per la tenuta dell’Albo

Finalizzate le operazioni di creazione dell’Albo, il Sindacato veneziano, adempiendo alle disposizioni del Regio Decreto 27 ottobre 1927, n. 2145, nomina un’apposita Giunta per la tenuta dell’Albo che ne decreta, a sette anni dalla prima legge in materia, il definitivo funzionamento29. La prima Giunta veneziana viene infatti rettificata con un decreto ministeriale del 29 luglio 1930 ed è formata da Guido Costante Sullam, che riveste il ruolo di presidente, affiancato da Giuseppe Berti, Ettore Fagiuoli, Guido Fondelli e Duilio Torres. A loro spetta la compilazione e la pubblicazione del primo Albo giunto fino a noi che risale al 1934 (fig. 03)30: l’associazione conta all’epoca ottantaquattro professionisti, di cui quaranta residenti nella provincia di Venezia, due in quella di Belluno, venti in quella di Padova, due in quella di Rovigo, sette in quella di Treviso, nove in quella di Verona e quattro in quella di Vicenza (fig. 04).

Più della metà degli iscritti si era formata nelle Accademie di Belle Arti o direttamente in studio (quarantasette professionisti) e aveva ottenuto il titolo di architetto grazie alle norme transitorie. Ventidue iscritti vantavano invece il titolo di “dottore architetto”, essendosi laureati presso i neonati Regi Istituti di Architettura, mentre quindici si erano formati come ingegneri (fig. 05). I dati restano invariati l’anno successivo quando un elenco degli iscritti viene pubblicato sulle pagine di Architettura. Supplemento sindacale della Rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti31 .

Quella degli architetti a quest’epoca è ancora un’associazione giovane e di dimensioni locali. Sintomo di ciò anche la mancanza di una sede istituzionale per la giunta, che stando all’intitolazione dell’Albo si riunisce presso Palazzo Fontana sul Canal Grande nel sestiere di Cannaregio, studio e residenza del presidente Sullam (fig. 06)32. La dimensione dell’Ordine appare, inoltre, squisitamente lagunare: se abbiamo già visto che la maggior parte degli iscritti – quaranta – afferisce al capoluogo, vale la pena di sottolineare che di questi ben trentasei risiedono nel centro storico di Venezia e nelle sue isole, mentre solo due abitano a Mestre e altrettanti a Chioggia.

Lo stesso dicasi per la nuova giunta eletta nell’ottobre del 1934. Il nuovo organo, presieduto da Duilio Torres e composto da Giuseppe Berti, Vincenzo Bonato, Ettore Fagiuoli e Virgilio Vallot, e dai membri supplenti Luigi Candiani e Angelo Scattolin, nel 1937 risulta insediato a Palazzo Condulmer (Santa Croce, Tolentini 251), abitazione del presidente Torres (figg. 07-08)33 . Questa seconda giunta si occupa di pubblicare un nuovo Albo che fornisce una fotografia dell’Ordine al 1937.

29 Statuto del sindacato nazionale 1929, s.p.

30 Sembra che un Albo fosse stato pubblicato anche nel 1933: in una circolare inviata nel 1934 dalla Giunta per l’Albo agli iscritti, che si conserva nell’archivio di Duilio Torres, “poiché è in corso di ristampa l’Albo” si richiede agli iscritti di comunicare eventuali variazioni riguardanti l’occupazione, la residenza e il numero di telefono che si siano occorse “rispetto all’Albo 1933” (Venezia, Archivio Progetti, fondo Torres, atti/094, comunicazione della Giunta per la tenuta dell’Albo n. 11, senza data).

31 Albi degli architetti italiani 1936, pp. 10-13.

32 Per Sullam si rimanda a Massaro 2019, pp. 123-143.

33 Per la sede della Giunta si veda il frontespizio dell’Albo 1937. Torres risulta risiedere a questo indirizzo almeno dallo stesso anno cfr. Annuario 1937, p. 180.

04. Iscritti all’Albo per provincia nel 1934.

05. Iscritti all’Albo per titolo nel 1934.

Venezia 40
Belluno 2
Rovigo 2
Treviso 7
Verona 9
Padova 20
Architetti 56%
Ingegneri 18%
Dottori Architetti 26%

Nel giro di circa tre anni gli iscritti sono cresciuti del 20% arrivando a quota centouno, così ripartiti: quarantaquattro a Venezia, quattro a Belluno, ventidue a Padova, due a Rovigo, nove a Treviso, quattordici a Verona e sei a Vicenza. La crescita è significativa, se si tiene in considerazione come essa si verifichi quando l’iscrizione è ancora opzionale.

L’iscrizione all’Albo diventa, infatti, requisito obbligatorio per l’esercizio della professione con l’emanazione della legge del 25 aprile 1938 n. 897: fino a quel momento, come abbiamo visto, era richiesta solo a quanti volessero ricoprire incarichi presso le pubbliche amministrazioni.

La stessa legge stabilisce, inoltre, l’abolizione delle Giunte per la tenuta dell’Albo e ne trasferisce le mansioni al Direttorio del sindacato: gli architetti passano così sotto il diretto controllo del Sindacato Fascista Architetti 34 . A Venezia, come ci informa il nuovo Segretario interprovinciale, l’architetto Piero De Marzi, il passaggio di consegne avviene il 3 gennaio 1939 35

34 De Marzi 1939, p. 116: lo scioglimento della Giunta era stato annunciato in occasione dell’assemblea ordinaria del sindacato del 18 giugno 1938.

35 Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante Sullam, b. 25, fasc. 288, circolare n.1 del 3 aprile 1939 inviata dal Sindacato Interprovinciale Architetti.

06. Venezia, Palazzo Fontana Rezzonico (Comune di Venezia, Area Sviluppo del Territorio e Città Sostenibile. Archivio Fotografico di Urbanistica, UF022122).

07. Venezia, Palazzo Condulmer (Comune di Venezia, Area Sviluppo del Territorio e Città Sostenibile. Archivio Fotografico di Urbanistica, UF031328).

08. Vittorio Umberto Fantucci e Giuseppe Torres nel cantiere del Tempio votivo al Lido di Venezia (Comune di Venezia, Archivio fotografico Giacomelli, GN002662).

L’Albo sotto la tenuta del Sindacato: gli architetti di religione ebraica e le architette

Il Direttorio del Sindacato Interprovinciale Fascista Architetti (…) ha deliberato di cancellare dall’Albo professionale degli Architetti, a datare dal 29 febbraio 1940

XVIII il: Dott. Ing. Sullam Costante Guido di Benedetto (…) di razza ebraica, discriminato con Decreto Ministeriale n°487/3382 in data 8/4/39/XVII, e di iscriverlo nello “Elenco Aggiunto” dell’Albo Interprovinciale Fascista degli Architetti di Venezia, a partire dal I° Marzo 1940 XVIII36

Il passaggio di consegne tra la Giunta e il Direttorio si apre con un momento buio nella storia dell’Ordine veneziano, quello dell’entrata in vigore delle leggi razziali: con il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1054 viene sancita la cancellazione degli architetti e degli altri professionisti di religione ebraica dai rispettivi albi.

A Venezia, a essere colpito da questi provvedimenti è anche una delle colonne portanti del Sindacato, Guido Costante Sullam, tra i primi iscritti all’Albo e già presidente della prima Giunta per la tenuta dell’Albo. La cancellazione dall’Albo gli viene notificata il 16 febbraio 1940 da un ufficiale giudiziario del Regio Tribunale di Venezia 37 e nei giorni successivi Sullam riceve anche la notizia della sua cancellazione dal Sindacato a decorrere dal 29 febbraio 1940 38 .

Oltre a Sullam, sono colpiti da queste norme altri tre iscritti all’Ordine interprovinciale degli architetti: il veronese Aldo Goldschmidt e i veneziani Daniele Calabi e Gilberto Errera, ma il loro destino è diverso.

Mentre Goldschmidt e Calabi vengono cancellati, Sullam e Errera 39, potendo vantare “meriti particolari verso la patria o verso il regime”, vengono discriminati e quindi in parte esonerati dai provvedimenti emanati nei confronti degli ebrei40. In base alla Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica 41, Errera e Sullam vengono iscritti in “elenchi aggiunti” e possono continuare l’esercizio della loro professione, fatto salvo il divieto di svolgere funzioni di pubblico ufficiale e attività per conto di enti pubblici e fondazioni.

Lo stesso decreto stabilisce inoltre la creazione di un elenco speciale per i professionisti cancellati che avrebbe permesso loro di continuare a lavorare per altri ebrei, ma per quanto ci è noto, in Veneto questo non venne predisposto:

36 Venezia, Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante , b. 25, fasc. 288, notifica del 16 febbraio 1940.

37 Venezia, Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante , b. 25, fasc. 288, notifica del 16 febbraio 1940.

38 Venezia, Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante, b. 25, fasc. 288, notifica del 1° marzo 1940. Pochi mesi prima gli era stata comunicata anche la decadenza dall’abilitazione alla libera docenza e la conseguente perdita della sua posizione di docente presso l’Istituto Superiore di Architettura di Venezia (Massaro 2021, pp. 39-81, in part. pp. 62-63).

39 Venezia, Archivio OAPPCVe, Albo padre, matricole 7, 36, 93, 14.L’Albo padre e gli albi manoscritti successivi riportano erroneamente il nome di Giuseppe. Il nome di Gilberto è confermato dall’Albo a stampa del 1934 e da quelli successivi.

40 Legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728: provvedimenti per la difesa della razza italiana. Le disposizioni nei confronti dei quattro iscritti sono segnalate a matite nella colonna“Annotazione” dell’Albo Padre alle rispettive voci.

41 R.D.L. 29 giugno 1939, n. 1054.

09. Nuove iscrizioni per il periodo 1934-1945.

all’entrata in vigore dei provvedimenti razziali Calabi decide di emigrare in Brasile42, mentre di Goldschmidt non abbiamo notizie43

Come testimonia il caso di Sullam, i provvedimenti entrano in vigore il 1° marzo 194044 e la loro attuazione trova conferma anche nella redazione di un Albo aggiornato al 1940 pubblicato a cura del Direttorio del Sindacato Interprovinciale degli architetti della Venezia Euganea, all’epoca presieduto dal segretario Piero De Marzi45. Qui i nominativi dei due professionisti discriminati, Sullam e Errera, figurano in una sezione apposita denominata “Albo aggiunto”46 .

L’Albo del 1940 è anche il primo a essere pubblicato dopo l’entrata in vigore dell’obbligo di iscrizione, ma malgrado questo il numero degli iscritti subisce una flessione negativa. Se l’Albo del 1937 annovera centouno iscritti, quello del 1940 ne conta una decina di meno, per la precisione ottantotto. La maggior parte degli iscritti, trentasei, risiede sempre a Venezia, mentre cresce il numero dei residenti a Padova e provincia (ventiquattro iscritti). Si contano poi undici architetti a Verona, otto a Treviso, quattro a Belluno, due a Vicenza e uno solo a Rovigo. Infatti, nel decennio 1934-1945 le nuove iscrizioni erano state sporadiche, soprattutto nel periodo 1938-1944 quando – complice probabilmente la chiamata al fronte di molti giovani – si rileva l’adesione di soli nove nuovi professionisti (fig. 09).

42 Zucconi 1992, pp. 47-62. Rientrato in Italia, Calabi, allora residente a Padova, si iscrisse all’Ordine di quella città per poi trasferirsi all’Ordine di Venezia nel 1962. All’atto della reiscrizione, a Calabi non viene riassegnata la vecchia matricola (93) come avviene di norma, ma una nuova (269).

43 Rainoldi 2019, pp. 211-227.

44 Venezia, Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante, b. 25, fasc. 288, notifica del 16 febbraio 1940. Nei giorni successivi a Sullam viene notificata anche la cancellazione dal Sindacato a partire dal 29 febbraio 1940 (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, fondo Sullam Guido Costante, b. 25, fasc. 288, notifica del 1° marzo 1940).

45 Albo 1940. De Marzi stesso riporta nel suo curriculum di essere stato presidente del Sindacato dal 1939 al 1943 (Archivio OAPPCVe, Convegni e attività varie, I riconoscimento Architetti per Venezia, curriculum di Piero De Marzi). Il Direttorio del sindacato era stato approvato nell’assemblea elettiva del sindacato del marzo 1940 ed era così formato: Piero de Marzi segretario; componenti: Virgilio Vallot, Angelo Scattolin, Brenno Del Giudice, Agostino Jacuzzi, Marino Meo; revisori: Guido Bonzio, Fernando Cazzaniga, Gino Miozzo (Vita sindacale 1940, p. 46).

46 Albo 1940, p. 15.

Ciononostante, l’Albo del 1940 registra anche un traguardo positivo nella storia dell’Ordine e cioè l’iscrizione, avvenuta l’anno precedente, della prima donna: Egle Renata Trincanato. Nata a Roma nel 1907 da genitori veneti, è la prima donna a laurearsi, il 12 novembre 1938, presso il Regio Istituto Superiore di Architettura di Venezia dove avrebbe svolto in seguito attività didattica e di ricerca47. Superato nel marzo del 1939 a Roma l’esame di stato, Egle Renata Trincanato presenta la domanda di iscrizione all’Albo il 19 aprile 1939 e viene regolarmente iscritta a decorrere dal 29 maggio dello stesso anno48 (fig. 10).

Altri tre anni sarebbero passati prima di registrare la seconda iscrizione femminile, quella di Giorgia Scattolin (1915-1992), la prima studentessa del Regio Istituto Superiore di Architettura di Venezia immatricolatasi nell’anno accademico 1933193449. Giorgia, in seguito docente universitaria, si laurea a Venezia nel 1939 e risulta iscritta all’Albo a partire dal 25 marzo 194250. Come vedremo, la presenza femminile sarebbe stata destinata a salire molto lentamente: tra il 1939 e il 1953 furono soltanto dieci le professioniste a iscriversi, e ancora nel 1959 si contavano soltanto dieci donne su centoquarantuno iscritti totali, poco più del 7%.

47 Per una biografia di Egle Renata Trincanato cfr. Scimemi 2008, pp. 107-131.

48 Archivio OAPPCVe, cartelle personali, matricola 107.

49 Zucconi 2002, pp. 1913-1924.

50 Archivio OAPPCVe, cartelle personali, matricola 131.

10. Giorgia Scattolin, Guido Cirilli, Egle Renata Trincanato e una compagna di viaggio non identificata davanti all’albergo Tripolitania, 1937 (Università Iuav di Venezia, Archivio Progetti-Fondo Egle Renata Trincanato).

Tavola rotonda Con:

Claudio Aldegheri, Roberto Beraldo, Michel Carlana, Valentina Fanti, Marco Ferrari, Simone Gobbo, Markus Hedorfer, Andrea Iorio, Maura Manzelle, Francesco Trovò

Cento anni dopo, e ora?

Sono passati oltre cento anni dalla fondazione del sistema ordinistico con la promulgazione della legge n. 1395 del 24 giugno 1923, Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti. Cento anni sono sempre un lasso di tempo piuttosto difficile da considerare: allo stesso tempo lungo, tale da permettere di valutare alcune vicende con una certa distanza critica; ma anche estremamente concentrato, soprattutto se gran parte di quel periodo si è svolto durante un secolo ‘breve’, ma intenso come il Novecento. Un secolo che in molti modi ha influito sulle dinamiche interne dell’istituzione e sulle sue relazioni con il mondo circostante, e che soprattutto non può dirsi del tutto chiuso per molti aspetti legati ai modi di intendere le discipline di cui ci si occupa. Il presente testo, che integra in forma quanto più possibile organica una serie di interventi raccolti in occasione di una tavola rotonda a cui si sono prestati i suoi autori, si colloca a chiusura del lavoro di ricerca svolto da Katia Martignago sui primi cento di professione anni in seno all’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (OAPPC) della provincia di Venezia che celebrerà il centenario della sua fondazione nel 2026. Eppure nei propositi di chi lo ha ideato, prima, e sviluppato, poi, non vi è alcun intento autocelebrativo, tantomeno la presunzione di poter dare per chiuse molte delle questioni che vi emergono e le tante altre che potrebbero aggiungersi. Al contrario le considerazioni riportate si basano tutte sull’idea che aprire sia l’unico modo per poter ragionevolmente pensare ai prossimi cento anni. Quella che segue, cioè, è da intendersi come una raccolta di riflessioni utili a ripensare – più che difendere – identità, ruolo e articolazione degli ordini professionali nel prossimo futuro: mettendo sul tavolo temi e problemi a partire da ciò che è stato, ma anche da ciò che si incontra quotidianamente nelle diverse forme del praticare l’architettura, la pianificazione, il paesaggio, la conservazione articolando le diverse ragioni e i punti di vista, senza fare finta che non vi siano frizioni e conflitti fra le posizioni, ma anche fiduciosi nel valore positivo dell’argomentazione e del dialogo all’interno dell’istituzione.

Nel corso di un secolo molte cose sono cambiate. È stato un secolo intenso per la nostra storia, caratterizzato da complesse vicende politiche, sociali, culturali, di costume, che hanno profondamente cambiato il mondo. E in questo tempo anche l’avanzamento della ricerca tecnologica e della tecnica costruttiva hanno da parte loro contribuito a cambiarlo non poco: non solo per quanto

riguarda il volto delle città, ma anche, e forse ancora più profondamente, per quanto riguarda i territori in senso lato. Il prossimo secolo vedrà i professionisti impegnati in sfide altrettanto importanti, che in parte avranno a che fare con il ruolo dei sistemi ordinistici nel ripensare i modi di operare futuri. Nella legge del 1923, all’art. 5, veniva dichiarato che il sistema ordinistico “vigila alla tutela dell’esercizio professionale”: sebbene ancora valida, quella dichiarazione di intenti oggi deve essere rivista alla luce di un tempo mutato. Nel secolo passato ci si riferiva alla tutela del cittadino che si accostava al progetto di architettura nel periodo in cui le istituzioni ordinistiche nascevano per fare chiarezza sui ruoli delle professioni tecniche. Oggi, quel concetto di tutela deve essere riletto in senso più esteso e dovrà essere rivolto alla rideterminazione del ruolo etico portante delle professioni di architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore nella società civile. Una sorta di “missione professionale” capace di perseguire una visione olistica del progetto, a cui i professionisti iscritti siano formati, che garantisca un futuro di sviluppo sostenibile, anche esplorando nuovi modelli di società, secondo criteri di responsabilità, equità e benessere in termini sociali, ambientali ed economici.

Una visione multidisciplinare e integrata, in altre parole, dovrà saper agire sulla gestione della tecnica, della tecnologia e della produzione economica, per far confluire i diversi interessi e ruoli di operatori e professionisti della filiera del progetto, e della sua costruzione, nonché dei processi di gestione e di pianificazione che producano qualità del costruito, dell’ambiente naturale e di quello antropizzato verso una reale sostenibilità nel senso più ampio. Allo stesso tempo, la comunità dei professionisti, assieme agli sviluppatori economici, dovrà ritrovare la capacità di generare margini di profitto sostenibili, eticamente accettabili, in termini economici, ma anche sociali e ambientali a lungo termine.

Nel secolo passato abbiamo assistito alla formazione e alla frammentazione delle professioni tecniche e al moltiplicarsi delle specializzazioni. Dopo il recente periodo pandemico, se da un lato abbiamo ritrovato la convinzione che gli spazi per l’individuo, privati e collettivi, debbano saper rispondere a una maggiore domanda di qualità dell’abitare, dall’altro si rileva che, oggi più che nei decenni passati, le professionalità e gli specialismi in gioco sono molti e troppo spesso rivendicano ognuno una propria autonomia operativa. Al contrario, i futuri professionisti coinvolti nei processi di gestione o trasformazione del territorio, inteso nelle sue varie espressioni e sfaccettature – da regionalismo al paesaggio, dal contesto rurale alla città, dall’ambiente costruito a quello naturale, includendo la dimensione socio-economica del tutto – dovranno saper dimostrare quella capacità di visione d’insieme che solo le competenze multidisciplinari consentono.

Le sfide dei prossimi cento anni impongono che il sistema di relazioni, dell’Ordine e dei suoi iscritti, si espanda in una dimensione globale, facilitando le collaborazioni tra diverse nazionalità e culture per progetti internazionali. E in questo senso le normative professionali dovranno diventare più omogenee tra i vari paesi, favorendo una maggiore integrazione, salvaguardando diversità e peculiarità delle culture.

Se un aspetto ha caratterizzato più di altri questi cento anni di vita del sistema ordinistico, esso sta probabilmente nel continuo processo di assestamento, dovuto a trasformazioni tanto nelle sue dimensioni e articolazioni quanto negli atteggiamenti nei confronti della professione, della ricerca e della formazione. Più che di un’istituzione ben definita e chiusa nel proprio perimetro operativo, dunque, questa storia è quella di un luogo animato da numerose discussioni, talvolta decisamente veementi, che ne hanno continuamente rimesso in gioco ruolo e competenze.

Tra i vari cambiamenti avvenuti probabilmente il più evidente riguarda la consistenza dell’istituzione in termini “quantitativi”: già scorrere questo tipo di dati, che costituiscono uno degli aspetti di interesse del lavoro presentato nel volume, offre non pochi spunti di riflessione, con evidenti ricadute in termini “qualitativi” sul ruolo e le modalità di chi si trova a operare nelle complesse trasformazioni delle città e dei territori contemporanei. Basti pensare al progressivo aumento, e poi alla più recente impennata, nel numero degli iscritti e a come ciò abbia influito sugli assetti degli studi e sulle modalità di aggiudicazione e svolgimento degli incarichi. O ancora, sebbene in modo diverso, a come lo abbia fatto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 5 giugno 2001, Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti : un passaggio significativo, che ha trasformato l’originario Ordine degli Architetti in un ordine pluriprofessionale, dove l’accoglimento di componenti fino a quel momento prive di collocazione ordinistica non ha solo allungato il nome dell’istituzione, ma fa piuttosto emergere quanto sia cambiato il contesto e le sensibilità entro cui si iscrive il suo ruolo.

La storia professionale di coloro che, a partire dai primi esami di stato nel 2002, si sono abilitati e poi entrati nel rinnovato ordine, inizia chiaramente molto prima. La professione di paesaggista nasce come professione autonoma in Italia, con grande ritardo su vari altri paesi, soltanto con il processo di Bologna, recepito dal Decreto Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) n. 509 del 3 novembre 1999, vale a dire poco più di un anno e mezzo prima della riforma dell’Ordine degli Architetti, prevedendo soltanto una laurea specialistica senza predisporre la possibilità di un percorso completo di tipo 3+2 anni. Diversa è la situazione dei conservatori dei beni architettonici e ambientali, che già avevano un percorso formativo universitario autonomo, quadriennale, istituito con un decreto MURST del 1993. Nel loro caso, il successivo decreto del 1999 ha rappresentato un passo indietro nel percorso di emancipazione professionale, in quanto dal ciclo completo quadriennale si è passati a una sola laurea specialistica biennale. Più accentuata ancora la storia dei pianificatori o, com’era la denominazione fino al 1983, urbanisti. La figura professionale dell’urbanista nasce al più tardi, anche qui con un certo ritardo su alcuni importanti paesi europei, quando viene istituita la laurea in urbanistica, con Decreto del Presidente della Repubblica n. 1009 del 14 ottobre 1970 ( Modificazioni allo statuto dell’Istituto universitario di architettura di Venezi a).

Quando i primi laureati lasciano l’università, ci si pone il problema del riconoscimento della nuova professione che, secondo il disegno di Giovanni Astengo (RAI, Urbanistica: nuovo corso di laurea, documentario, 1971), doveva collocarsi esclusivamente negli uffici comunali e delle regioni all’epoca di recente istituzione. La strada è stata lunga e costellata da battaglie legali che progressivamente hanno portato alla costituzione di un quadro giurisprudenziale favorevole alle istanze degli urbanisti – che con due decreti del 1982 e del 1993 diventano prima “pianificatori territoriali e urbanistici” e poi “pianificatori territoriali, urbanistici e ambientali” – riconoscendone la competenza professionale. L’atto chiave è rappresentato dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1087 del 12 marzo 1997 (depositata il successivo 8 ottobre). Questo percorso della giurisprudenza era accompagnato da iniziative esemplari di alcune Regioni tese a legiferare nel senso di un riconoscimento formale della professione di urbanista o pianificatore. Ben due iniziative legislative erano inoltre volte all’istituzione di un albo professionale proprio: un primo disegno di legge, di iniziativa governativa, presentato il 28 gennaio 1985 dai Ministri Martinazzoli e Falcucci recante l’Istituzione dell’albo professionale dei pianificatori urbanistici e territoriali, e poi, dodici anni più tardi, una proposta di legge d’iniziativa dei deputati Boato, Detomas, Olivieri e Schmid dal contenuto pressoché identico al DdL del 1985. Entrambe le iniziative furono fermate. A quel tempo, i rappresentanti dei laureati in urbanistica, Pianificazione Territoriale e Urbanistica e Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale, organizzati fin dal 1977 nell’Associazione Nazionale degli Urbanisti (ASSURB), partecipavano a numerosi colloqui a livello ministeriale al fine di ottenere un riconoscimento organico della propria professione attraverso la creazione per decreto di un proprio ordine o altra forma giuridicamente “robusta”. Il compromesso, alla fine, fu la predisposizione di un proprio settore, come per paesaggisti e conservatori, all’interno di un riformato Ordine degli Architetti. Da questo momento, dunque, la storia professionale degli urbanisti/pianificatori, iniziata in Italia nel 1970, così come quella dei conservatori, iniziata nel 1993, può considerarsi parte integrante della storia dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Rimane la questione della rappresentanza di pianificatori, paesaggisti e conservatori all’interno degli organismi di governo del Consiglio Nazionale APPC e gli Ordini APPC territoriali. Il problema della rappresentanza è duplice: interno ed esterno. Su un totale di 12.000 laureati in urbanistica/pianificazione in età lavorativa soltanto 1.800 risultano iscritti agli Ordini APPC, ponendo un forte interrogativo sulla capacità degli ordini di captare le esigenze professionali della categoria. Il profilo professionale del pianificatore è effettivamente molto più ampio rispetto all’oggetto dell’attività definito dal Decreto Presidenziale del 2001 e successivi atti legislativi, ponendo la questione dei cambiamenti dei profili professionali nel tempo. Quanto invece alla rappresentanza esterna, la fortissima preponderanza numerica degli architetti (circa il 98% degli iscritti) su pianificatori, paesaggisti e conservatori rende la rappresentanza delle istanze dei secondi un fatto spesso “dimenticato” o mal interpretato. Ne sono testimonianze le pochissime presenze di pianificatori nei Consigli degli Ordini territoriali, la totale assenza dai Consigli di paesaggisti e conservatori, così come la

totale assenza di queste tre figure professionali da tutti e cinque i mandati consiliari del Consiglio Nazionale Pianificatori Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) finora eletti a partire dalla riforma del 2001. L’assenza di meccanismi elettivi a garanzia di una rappresentanza minima di tutte le professioni dell’ordine, e pertanto l’assenza del diritto di voce e di voto nei suoi organismi, nonché di rappresentanza dell’ordine all’esterno per quanto riguarda i temi inerenti alle professioni specifiche, sono i principali motivi di scontentezza degli iscritti “minoritari” e di ridotto senso di appartenenza all’ente stesso. Non sarebbe possibile, a questo punto, non introdurre anche il tema delle pari opportunità e delle questioni di genere. L’articolo 37 della Costituzione Italiana chiarisce che: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Eppure, questa affermazione, che sancisce formalmente l’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro, fatica a trovare riscontro nella realtà odierna. Secondo i dati del CNAPPC del 2023, le donne iscritte agli ordini professionali in Italia sono 71.000, rappresentando il 45,1% del totale. Questo dato indica una crescita nella presenza femminile, ma non risolve il problema delle differenze retributive: le professioniste under 40 guadagnano mediamente il 37,3% in meno rispetto ai colleghi uomini, e il divario retributivo aumenta al 50% per le over 40. La questione economica è dunque una delle più evidenti, ma non è l’unica disparità presente. Il mondo dell’architettura ha infatti una lunga tradizione nel sottovalutare il contributo femminile. Nonostante sia da tempo assodato che figure come quelle di Marion Mahony Griffin, Charlotte Perriand, Aino Aalto e Lilly Reich hanno avuto ruoli decisamente rilevanti nel plasmare l’architettura moderna, i loro nomi vengono raramente citati nelle narrazioni ufficiali della disciplina. Questa “cancellazione” storica non solo ha impedito il riconoscimento del valore delle loro opere, ma ha anche privato le nuove generazioni di modelli femminili a cui ispirarsi. È necessario infatti, oltre a rivendicare un pari riconoscimento sia intellettuale che economico, anche chiedersi se il modo delle donne di svolgere questa professione sia portatore di un contenuto specifico, ossia se esista un modo “al femminile” di fare architettura, pianificazione, paesaggio e conservazione, con particolare sensibilità alla cura dei luoghi ad esempio.

Un segnale di cambiamento è arrivato dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Venezia, che nel 2021 ha raggiunto per la prima volta una parità di genere: 7 donne e 8 uomini rappresentano i professionisti iscritti all’ordine veneziano. Nel 2024, sulla scia dell’apertura da parte del CNAPPC di una commissione nazionale per le pari opportunità, anche l’Ordine di Venezia ha istituito una sua commissione, un passo importante per promuovere iniziative concrete volte a ridurre il divario di genere. Il CNAPPC, inoltre, al momento di questa tavola rotonda, sta lavorando a una regolamentazione dei procedimenti elettorali mirata a garantire un’effettiva parità di genere in tutti i consigli degli ordini professionali italiani. Si tratta di un’attenzione crescente, che fa sperare in un cambiamento culturale più ampio e profondo: non solo necessario a superare la disparità retributiva, ma teso a redistribuire equamente ruoli e responsabilità, riconoscendo il contributo femminile non solo nel presente, ma anche nel passato dell’architettura.

Mentre questo libro viene pubblicato è in corso di discussione nelle Commissioni parlamentari il DDL n. 1112, Disposizioni per la salvaguardia e la valorizzazione dell’architettura e altre disposizioni in materia di promozione della qualità architettonica e di disciplina della progettazione. Dopo anni di tentativi non andati a buon fine, e nonostante la proposta contenga ancora diversi aspetti oggetto di discussioni aperte, emerge una volta di più la necessità di un confronto su obiettivi di valorizzazione nel verso della qualità del progetto di architettura. Il contesto culturale europeo, in cui sono stati lanciati il New European Bauhaus e lo European Green Deal, ha contribuito a rimettere al centro del dibattito pubblico il ruolo del progetto di architettura rispetto ai temi della sostenibilità e della partecipazione. Attraverso il consolidamento del ruolo della formazione, e favorendo un generale processo di sensibilizzazione rispetto alla disciplina, il disegno di legge riconosce all’architettura un ruolo centrale per garantire un futuro delle città italiane, fermo restando la necessità di definire un quadro normativo efficace e integrato nelle politiche di transizione ecologica ed energetica, in cui qualità architettonica e paesaggistica vanno assumendo il ruolo di elementi di riferimento nei processi trasformativi.

Nel disegno di legge viene data significativa importanza al tema dei concorsi di architettura, da estendere a tutte le opere pubbliche: nei testi agli atti dei lavori della VII Commissione Permanente Senato si legge infatti che “i concorsi [...] dovranno essere banditi non solo per realizzare musei e biblioteche [...], ma anche per creare scuole, piazze, parchi all’interno di un mercato trasparente aperto ai giovani e capace di assicurare il consenso e la qualità degli spazi pubblici”.

Sul tema dei concorsi di architettura e di progettazione urbana in Italia, gli ordini sono impegnati da anni. Oltre a una questione legislativa non sempre favorevole spesso i concorsi non funzionano come dovrebbero per molteplici altri motivi: vi sono certamente difficoltà dovute a una ipertrofica burocrazia, e altri problemi legati alla trasparenza del processo. Ma soprattutto la scarsa efficacia deve essere messa in relazione alla scarsa frequenza e non sistematicità con cui sono banditi e alle troppe poche realizzazioni che seguono. Se la scarsità di finanziamenti, non sempre previsti per i concorsi, è sicuramente una delle ragioni, va sottolineata anche la questione legata alla tutela delle scelte operate dalle giurie: queste, che dovrebbero essere l’espressione della committenza, sono di fatto spesso contraddette dalle successive richieste e da aggiornamenti anche sostanziali delle indicazioni iniziali, aprendo a sgradevoli contenziosi e minando alla radice il senso stesso dello strumento di aggiudicazione. Va detto, ovviamente, che i casi virtuosi di committenze dalle idee chiare e di conseguenti concorsi dagli esiti chiari e fruttiferi ci sono. Ma la committenza in grado di svolgere un ruolo efficace in questo frangente non è facile a trovarsi: oltre alla determinazione nella volontà di realizzare l’opera, essa deve essere formata, con un alto grado di cultura unito a una forte sensibilità, in particolare nel rispetto dei ruoli, insieme a un chiaro valore etico e morale. Tra i vari cambiamenti in corso, lo scenario del futuro vedrà l’impegno dei professionisti a confrontarsi con nuovi strumenti, tra i quali l’intelligenza artificiale che, se governata, potrà essere un’importante alleata nell’ampliare capacità e riferimenti. Ma più in generale, la vera sfida sarà quella di saper

dare forma più nitida definizione al tema della formazione continua, affinché le competenze dei futuri iscritti sappiano tenere il passo dell’evolversi veloce della futura società digitale. E oltre a ciò, la formazione del futuro dovrà saper dirimere i rapporti ancora difficili tra i mondi professionale e accademico, nell’idea di garantire un flusso biunivoco di competenze. Perché, se le occasioni di confronto professionalizzante che arrivano dai mondi del “fare” consentono agli studenti di misurarsi con le molteplici sfide quotidiane dell’attività professionale sul campo, ugualmente un rapporto fecondo tra i due mondi è in grado di produrre un dialogo formativo a lungo termine anche per i professionisti, favorendo lo sviluppo di una complessità del pensiero, allargando gli orizzonti della conoscenza e la stessa capacità di tradurre in pratica il pensiero e le idee. Così come, nell’altro senso, permetterebbe di misurare e arricchire la ricerca e la didattica universitaria, troppo spesso estranee alle dinamiche del mondo, attraverso un fattivo confronto su occasioni reali.

Benché le attività di aggiornamento e sviluppo professionale costituiscano indubbiamente un elemento imprescindibile per garantire gli obiettivi posti all’origine della loro istituzione nel 2012, non mancano significativi elementi di criticità che, per essere contrastati in modo adeguato richiedono da parte degli ordini professionali un livello di attenzione vigile e costante. Esiste il rischio che l’obbligo della formazione continua, la cui violazione costituisce illecito disciplinare, non venga posta da chi la propone e assunta da coloro che ne usufruiscono con il sufficiente grado di consapevolezza. Un rischio che aumenta in modo esponenziale quando l’erogazione dei contenuti formativi avviene su piattaforme online, riducendone il contenuto alla mera rilevazione di presenze. Il contrasto a tale tendenza non avviene solo incentivando le attività in presenza, ma definendo dei contenuti di formazione professionale continua che sappiano cogliere le effettive esigenze della società civile, delle cui istanze gli architetti si fanno portatori. Lo stesso si può dire per pianificatori, paesaggisti e conservatori, con la difficoltà aggiunta del numero molto più ridotto di professionisti con esigenze formative concordanti. In particolare, per quanto riguarda la pianificazione territoriale, materia quasi del tutto regionalizzata in termini legislativi, subentra anche la difficoltà di reperire esperti, soprattutto in materia di giurisprudenza urbanistica, in grado di offrire servizi di trasferimento di conoscenza e di capacity building ai professionisti attivi sul campo. Cambiamenti di paradigmi culturali legati alla necessità di transizione digitale, energetica, ecologica, portano sulle scrivanie dei professionisti numerose istanze di aggiornamento, così come la continua evoluzione del contesto normativo che ne accompagna la professione: assume un ruolo sempre più decisivo per l’effettivo aggiornamento in termini di sicurezza e all’efficacia delle prestazioni, degli sviluppi di molteplici ambiti che riguardano la professione e dello scambio delle buone pratiche. Su questi temi l’Ordine di Venezia ha saputo distinguersi nel panorama nazionale, anche grazie all’attività della sua Fondazione che ne integra e complementa la selezione e la promozione delle attività formative.

Occorre pertanto garantire nel tempo e continuare a valorizzare la formazione continua per evitare che sia percepita come un’attività obbligatoria e “non

così utile”: le sezioni provinciali degli ordini devono saper intercettare le vere esigenze degli iscritti per definire efficaci programmi di formazione che possano fare la differenza nell’esercizio della pratica professionale. Un discorso che deriva inevitabilmente dal precedente riguarda i rapporti dell’Ordine con le università, non solo in termini di formazione, ma di più ampia presenza nelle trasformazioni del mondo contemporaneo. È opinione comune che, negli ultimi anni, la separazione tra professione e accademia si sia progressivamente ampliata, anche, e forse soprattutto, nei campi dell’architettura e della pianificazione. Ciò è certamente vero per alcuni aspetti particolari del rapporto tra questi due mondi indubbiamente diversi, ma forse non è del tutto vero in termini generali. Certamente è vero per quanto riguarda la figura e l’attività dei docenti che, com’è noto, a seguito dell’emanazione di specifiche normative (la cosiddetta Legge Gelmini, n. 240 del 30 dicembre 2010, Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario e, prima ancora, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dell’11 luglio 1980, Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica) trovano sempre maggiori impedimenti a svolgere contemporaneamente le due attività. Ed è chiaro come, indipendentemente dalla sua opportunità “etica”, tale scissione – unita alla progressiva estinzione della figura dei “maestri”, capaci di unire in una sintesi virtuosa dimensione pratica e dimensione teorica – rappresenti un problema tutt’altro che secondario: un problema che ha un ritorno sulla qualità della formazione con la quale i giovani laureati si affacciano al mondo della professione e muovono in essa i primi passi, ma, in definitiva, pure sulla qualità della professione futura.

Lasciando da parte la questione dei docenti, bisogna però riconoscere che un avvicinamento tra accademia e professione in altri ambiti c’è stato. Va certamente in questa direzione per esempio l’istituzionalizzazione della pratica del tirocinio curriculare che ha consentito agli studenti di confrontarsi direttamente, anche se ancora in modo troppo estemporaneo, con ciò che incontreranno una volta usciti dalle aule universitarie. E vanno ovviamente in questa direzione anche le varie iniziative di attivazione di tirocini post-curricolari che, in modi diversi, hanno contribuito ad assicurare un accesso alla professione comunque più strutturato che nel passato. Naturalmente si può discutere sulle forme che tali tirocini hanno assunto, tuttavia non vi è dubbio che essi rappresentino uno strumento potenzialmente decisivo per rafforzare quell’incontro tra teoria e pratica che appare, a tutti, tanto necessario; uno strumento che diverrà addirittura prioritario, anche se non certo di facile messa a punto, se troverà definitiva applicazione il progetto di trasformazione delle lauree in Architettura, Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale, Architettura del paesaggio e Conservazione dei beni architettonici e ambientali in lauree abilitanti.

Un altro tema di grande rilevanza e che va – o, meglio, potrebbe andare – in direzione opposta alla separazione tra mondo dell’accademia e mondo della professione è rappresentato dalla sempre più massiccia presenza nel mondo universitario delle attività ascrivibili all’ambito della cosiddetta “terza missione”.

Attività (conto terzi, consulenze, ricerche commissionate, iniziative varie di disseminazione della ricerca) attraverso le quali l’accademia dovrebbe trasferire competenze specifiche al territorio – e, va detto, anche in parte finanziarsi. Oggi tale campo di lavoro, soprattutto per quanto riguarda le consulenze e le ricerche commissionate, viene spesso letto come una forma, nemmeno troppo lecita, di concorrenza. Ma una volta giustamente chiarita l’ambiguità, emerge come questo sia proprio il luogo in cui università e mondo della professione potrebbero costruire un nuovo e più vivido rapporto. Un rapporto utile, in realtà, a entrambi: all’università, per arricchire e verificare sul campo i propri ambiti di ricerca teorica, che poi possono avere ricadute molteplici sul piano formativo e quindi, ancora una volta, sulla qualità dei futuri architetti; e alla professione, che potrebbe partecipare a questi progetti sia in un’ottica di arricchimento delle proprie pratiche istituzionalizzate di formazione continua, sia prendendovi parte attivamente con l’obiettivo di apportare specifiche competenze ad alcune professionalità che, allora sì, potrebbero ambire a una diretta ricaduta sulla trasformazione, gestione e governo dei nostri territori e delle nostre città. Naturalmente tutto ciò sembra aver maggior senso in relazione a estesi processi di scala urbana e territoriale, dove le competenze sono necessariamente molteplici e trasversali, ma non è escluso che possa essere utile anche alla piccola scala, per esempio negli ambiti della conservazione, del design, delle tecnologia dell’architettura e dei materiali.

Per chi sia a conoscenza delle complessità procedurali che riguardano questo tipo di esperienze, che coinvolgono università, enti territoriali, ordini professionali, associazioni e soggetti privati, queste ipotesi potrebbero sembrare oltremodo ottimistiche. Ma in ogni caso non vi è dubbio che solo unendo le forze (quelle dell’accademia e quelle della professione) si potrà sperare di raggiungere quegli obiettivi di crescita sostenibile dal punto di vista ambientale, economico ed etico-sociale che tutti ci auguriamo.

Ovviamente i temi legati al funzionamento dell’Ordine che si potrebbero sollevare sono numerosi, ma ve ne sono anche altri che riguardano l’approccio e una dimensione, per così dire, più teoretica. Se il contemporaneo ha posto ad ampio spettro il tema della costruzione e gestione di processi complessi, la disciplina stessa dell’architettura si trova pienamente immersa in una stagione di mutazioni inedite, non da ultimo connesse alle tensioni che stanno attraversando gli anni venti del nuovo secolo. Si tratta di una condizione che ha fortemente influenzato i processi progettuali, rimettendo in discussione elementi ritenuti storicamente fondamentali, ma anche rendendo sempre più difficile ogni tentativo di definizione di un profilo professionale, caratterizzato piuttosto da un crescente sentimento di disorientamento, che investe soprattutto le traiettorie biografiche delle nuove generazioni.

In una realtà particolare come quella italiana, l’instabilità della condizione professionale da un lato, e una scarsa propensione al confronto teorico sui temi della contemporaneità dall’altro, richiederebbero un ruolo di orientamento decisivo da parte degli ordini professionali e delle scuole di architettura. Al contrario, l’apparentemente inesorabile riduzione delle risorse investite e la sottrazione di strumenti di governo dei processi hanno progressivamente sortito

l’effetto di mettere sempre più in discussione il ruolo culturale del progetto, riducendo gli spazi di manovra delle azioni di indirizzo e di costruzione di una dimensione teorica e professionale delle competenze.

A fronte di tale situazione sembra emergere il ruolo sempre più rilevante assunta dalla dimensione temporale, con cui è inevitabile confrontarsi laddove si voglia pensare di operare nel mondo contemporaneo: appare significativa la possibilità di definire scenari temporali e punti di trasformazione dello spazio introducendo un nuovo potenziale di ricerca e di azione progettuale in grado di adattarsi e di impattare in modo positivo rispetto all’uso di risorse e alla qualità dei luoghi. Il ruolo della professione sta acquisendo forme e competenze relazionate alla gestione del tempo come materia attiva del progetto, questo suggerisce l’importanza delle forme di collaborazione interdisciplinari capaci di gestire la complessità derivata da ambiti e condizioni di programmazione altamente instabili.

In questo scenario sarà fondamentale l’attenzione ai processi e la messa in connessione di professione e formazione: teorie e trasformazioni dovranno necessariamente incontrarsi in territori comuni, in ricerche condivise dove gli attori saranno chiamati a collaborare secondo un’etica e un impegno capace di attraversare le criticità attuali. Resta fondamentale includere all’interno delle diverse realtà professionali e accademiche le nuove generazioni di progettisti e progettiste, aprire al coinvolgimento e al rinnovamento della nostra disciplina in modo coraggioso, immaginando processi realmente connessi con le fragilità e le attese del contemporaneo. Un progetto che impone inevitabilmente di assumere dei rischi e di incoraggiare un dialogo faticoso e talvolta dispersivo; ma allo stesso tempo un progetto fondamentale di riflessione e ripensamento dei metodi e dei processi utili ad affrontare una fase così complessa per i luoghi e le persone che li abitano.

Una riflessione finale che si potrebbe provare a tracciare, rispetto a quanto sollevato finora, è la messa in atto di un esercizio di astrazione, chiedendosi cosa in realtà i non addetti ai lavori pensino della categoria di cui facciamo parte. Il primo impatto potrebbe risultare molto brusco, poiché gran parte delle persone con cui – e per cui – il professionista ha a che fare ha una percezione incompleta di cosa l’architetto sia, così come, in modo via via sempre più accentuato, il pianificatore, il paesaggista e il conservatore. In altre parole, è facile riscontrare che non sussiste la sufficiente coscienza dei servizi che potrebbero essere forniti alla società civile dalla comunità dei professionisti iscritti agli ordini professionali. Questa parziale dissociazione riguarda tanto l’interlocutore privato quanto quello pubblico: non c’è da sorprendersi se la qualità sia difficile da riscontrare nei progetti, in tutte le loro forme e declinazioni, delle opere per la collettività e, soprattutto, nei temi dell’ordinario (che costellano la maggior parte dei territori in cui viviamo), così come nell’attività di pianificazione e, più in generale, gestione del territorio. Tra le motivazioni che possono spiegare questo fenomeno vi è probabilmente il perdurante stato di sofferenza della Pubblica Amministrazione a vari livelli, in molti casi rivelatasi incapace di garantire adeguati organici e competenze tecniche.

Va aggiunta la sostanziale inadeguatezza della legislazione a captare le esigenze di gestione e trasformazione dei territori e a fornire i relativi strumenti. Incombe per questi motivi un’ulteriore responsabilità per i professionisti, a livello individuale e di sistema ordinistico, volta a rendere il progetto di trasformazione e l’azione di pianificazione e gestione del nostro ambiente veicoli culturali e politici. Ricostruire la consapevolezza negli interlocutori, pubblici e privati, del ruolo sociale delle discipline ordinistiche offerte dai professionisti alla società civile, che hanno antiche radici, anche filantropiche, nella nostra storia, è un obiettivo primario.

ISBN 979-12-5953-129-2

Anteferma Edizioni 24,00 €

A un secolo dall’emanazione

della legge n. 1395 del 24 giugno 1923 che riconosce ufficialmente le professioni di architetto e ingegnere, l’Ordine Architetti

Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Venezia

ripercorre la propria storia in un volume che muove la narrazione dalla sua nascita e giunge ai giorni nostri, offrendo anche uno sguardo alle sfide che queste professioni dovranno affrontare nel futuro.

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