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editoriale / 2 Anno nuovo vecchie abitudini

L’inizio dell’anno, come di consueto, porta con sé novità, ma ci permette anche di tirare le somme e chiudere parentesi rimaste aperte troppo a lungo. Fra i capitoli più piacevoli di una storia da poco conclusa non posso esimermi dall’accennare alla firma dell’accordo fra Ance Brescia, i sindacati dei lavoratori e gli enti bilaterali per il rinnovo del contratto collettivo provinciale, apposta nella parte finale del 2022. Un rinnovo che mancava a livello provinciale da ben cinque anni e che è giunto dopo un lungo periodo di confronto. La versione definitiva dell’accordo apporta fattori modernizzanti come la lotta al dumping contrattuale attraverso la premialità delle imprese che rispettano il Ccnl, ma anche compensi economici per i lavoratori e uno spazio alla formazione con un occhio di riguardo ai giovani. Nonostante le criticità affrontate, la firma dell’accordo trasmette un messaggio di fiducia e di valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva, nel pieno rispetto di tutte quelle imprese che lo applicano correttamente.

Ma il nuovo anno è anche messaggero di novelle poco piacevoli. Nell’arco di tre mesi abbiamo assistito a tre decisive modifiche varate dal Governo, che impattano sull’intera filiera. Parlo ovviamente del decreto Aiuti quater, della riforma del Codice degli appalti e della Legge di bilancio 2023. Le misure hanno un minimo comun denominatore: non sono riuscite a dare una risposta alle vere necessità del settore. Le proposte di collaborazione da parte dell’Ance unitamente alle altre associazioni della filiera per la scrittura di normative utili a risolvere i gravi problemi in corso, sono state ignorate con la conseguenza di avere ad oggi testi legislativi claudicanti e contraddittori.

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Per l’ennesimo anno torniamo a parlare del “pasticcio”

Superbonus, perché se nella pubblicazione del decreto Aiuti quater non si è nemmeno presa in considerazione la criticità dei crediti “incagliati”, nella Legge di bilancio si è riusciti a fare di peggio. La soluzione proposta è permettere alle imprese di richiedere prestiti garantiti dalla Sace. Una situazione in sé para- dossale. Si propone alle imprese di contrarre debito — che comunque ha un costo finanziario — avendo crediti, sui cassetti fiscali, maggiori acquisiti sulla base di una norma dello Stato modificata in corsa. Crediti, in altre parole, la cui conversione in denaro è divenuta complicata per inefficienze dello Stato e non per sprovvedutezza dell’impresa. Chiaro come questa non si avvicini nemmeno lontanamente ad una soluzione plausibile, così facendo si allunga solo l’agonia di attività che vedono il capolinea sempre più vicino. A poco sono servite le richieste avanzate da Ance insieme all’Associazione Bancaria Italiana di intervenire su una situazione che si sta aggravando sempre di più. Le banche ormai incerte hanno chiuso i battenti e le imprese in crisi non riescono a pagare i lavoratori e i fornitori, gettando in difficoltà migliaia di famiglie. Una mossa sprovveduta e masochista che allontana gli obiettivi europei di efficientamento energetico e non solo. Mentre la soluzione avanzata di concerto tra Ance e Abi è rimasta inascoltata. Potenzialmente altrettanto gravi risultano essere le conseguenze della riforma del Codice degli appalti, in cui le associazioni di categoria non sono state minimamente interpellate. Come spesso accade si desidera fare il pane senza essere panettieri. Così il testo presenta contraddizioni evidenti che preannunciano già il fallimento. La riforma richiede correttivi indispensabili per evitare il ripetersi di un insuccesso come è stato già in precedenza con il Codice 50. La saggezza popolare dichiara che non si fanno i conti senza l’oste, allora perché ci si sente autorizzati a costruire normative senza interpellare chi le mette quotidianamente in pratica nella vita reale?