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Stati Uniti: l’uso e l’abuso della forza della Polizia

STATI UNITI: L’USO E L’ABUSO DELLA FORZA DELLA POLIZIA

di Chiara Casotti e Lorenzo Moro

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L’omicidio di George Floyd, avvenuto il 25 maggio 2020 nella città di Minneapolis, in Minnesota, ha squarciato il velo su un problema che nel tempo si è incancrenito nella società statunitense, il problema del razzismo in concomitanza all’uso eccessivo della forza da parte della polizia locale e federale. George Floyd è diventato, suo malgrado, un simbolo, che ha spinto migliaia di persone a scendere in strada per manifestare e cercare di mettere la parola fine a questo odioso fenomeno. E i fatti di Minneapolis sono solo la punta dell’iceberg di questo fenomeno.

Infatti, nei dati raccolti da ricerche di settore e investigazioni giornalistiche, si nota come, se da un lato ci sia una stretta correlazione tra i concetti di ordine pubblico e razzismo, dall’altro il fenomeno della violenza utilizzata dalla polizia sia ad ampio raggio e colpisca tutti i cittadini statunitensi.

Le vittime di violenze della polizia, in molti casi, non sono “criminali pericolosi”, ma persone che muoiono tra le mani degli agenti per motivi futili, come persone che potrebbero essere incriminate lecitamente per reati minori e fermate senza la necessità di utilizzare la forza.

Bisogna innanzitutto precisare che le forze dell’ordine statunitensi, sia locali che federali, hanno ampio margine di utilizzo della forza verso tutti i cittadini,

in situazioni anche non ritenute “pericolose”. C’è ad esempio un abuso dell’utilizzo del taser durante controlli stradali, come si abusa dell’uso di proiettili di gomma, lacrimogeni e altri strumenti di coercizione durante manifestazioni pacifiche.

Questo utilizzo eccessivo della forza è spesso velato dalla consapevolezza di agire nella totale impunità delle proprie azioni da parte degli agenti di polizia.

Il caso Floyd e le manifestazioni di strada del 2020 hanno nuovamente portato l’attenzione su un dibattito più ampio riguardo all’ordinamento statunitense e riferito alla cosidetta “qualified immunity”, cioè la disposizione giuridica che offre una speciale protezione ai pubblici ufficiali nei casi di violenza delle forze dell’ordine ai danni dei cittadini.

Nel 1871 col Civil Rights Act (conosciuto come Ku Klux Klan Act) il Congresso ha dato agli americani il diritto di citare in giudizio funzionari pubblici che violano i loro diritti, ad esempio attraverso un uso illegittimo della forza. Ma nel 1967 la Corte Suprema ha creato la teoria giuridica dell’immunità qualificata, inserendo il concetto di buona fede al comportamento delle forze dell’ordine che compiono atti in violazione di diritti fondamentali. Inoltre la Corte ha deciso che sarebbe spettato alla vittima l’onere della prova.

Una ricerca della Reuters ha analizzato 529 cause presenti nei tribunali federali dal 2005 al 2019, riguardati casi in cui agenti di polizia hanno sollevato come difesa il principio di immunità qualificata per il loro uso eccessivo della forza, e i dati raccolti hanno mostrato che per un poliziotto era 3,5 volte più probabile vincere una causa civile rispetto a un semplice cittadino.

A cio’ si deve aggiungere, da un lato, che negli Stati Uniti le legislazioni a tutela di queste tematiche sono carenti, sia nei singoli Stati sia a livello federale. (per i dati vedi scheda a fine articolo). Dall’altro, il periodo politico appena passato ha accentuato questi fenomeni di violenza delle forze dell’ordine, in una visione sempre piu’ militarizzata del concetto di “sicurezza nazionale”.

Bisogna fare riferimento, in particolare, agli ultimi 4-5 anni appena trascorsi: di fatto, da quanto Donald Trump si è candidato e successivamente è diventato presidente degli Stati Uniti per un mandato. L’attuale ex presidente si è distinto, durante tutto il mandato (e ancor oggi, con la sua ultima dichiarazione del 26- 27 giugno, riferita alla possibile caduta di Biden nel prossimo agosto, che ha allertato la National Security Guard...) per una serie di affermazioni irresponsabili, ammiccanti al suprematismo bianco e all’uso della forza militare verso i disordini e le manifestazioni di protesta. Lo sdoganamento di questi concetti, mette in capo a Trump una enorme responsabilità in questa situazione di violenza delle forze dell’ordine contro i manifestati e le minoranze.

Dal 26 maggio al 5 giugno 2020 Amnesty International ha monitorato quello che accadeva nelle piazze statunitensi, ha verificato filmati e raccolto testimonianze e ha così constatato numerosi casi di violazioni di diritti umani da parte delle forze dell’ordine: in 40 Stati, ovvero l’ 80% del territorio statunitense, ha registrato violazioni dei diritti umani legate all’uso della forza illegittima da parte della polizia: uso di granate, proiettili di gomma, e altri strumenti che denotato chiaramente un processo di militarizzazione e non semplicemente di attivita’ cosiddetta “di polizia”.

A ciò si somma il problema culturale e storico della profilazione razziale, definibile come «ogni azione di polizia che si basi sulla razza, l’etnia o l’origine nazionale di un individuo, piuttosto che sul suo comportamento oppure su informazioni che portino a identificarlo come coinvolto in attività criminali». è l’attitudine, ad esempio, di ritenere che un bianco con le mani in tasca abbia freddo, mentre un nero con le mani in tasca debba nascondere un coltello; si percepisce dunque sempre il nero come una minaccia.

I dati statistici mostrano che c’è un razzismo istituzionale, che attraverso il periodo-Trump è stato spinto ai più alti livelli delle istituzioni statunitensi, in violazione della stessa carta costituzionale su cui si fondano i diritti di questa nazione.

I numeri parlano chiaro (qui solo due esempi tra tanti):

● Sebbene metà delle persone colpite e uccise dalla polizia siano bianche, gli americani neri vengono colpiti a un ritmo sproporzionato. Rappresentano meno del 13 percento della popolazione degli Stati Uniti, ma vengono uccisi dalla polizia con una percentuale doppia rispetto agli americani bianchi.

● Uno studio di massa pubblicato nel maggio 2020 su 95 milioni di fermate del traffico da 56 agenzie di polizia tra il 2011 e il 2018 ha scoperto che mentre le persone di colore avevano molte più probabilità di essere fermate rispetto ai bianchi, la disparità diminuisce di notte, quando la polizia è meno in grado di distinguere il pilota.

La morte di George Floyd, come quella di altre vittime di questo sistema di violenza istituzionalizzato, è il risultato di una esecuzione extragiudiziale, ovvero di un’uccisione di un uomo disarmato (dunque non è legittima difesa) da parte di un pubblico ufficiale e non di una situazione sfuggita di mano, ma un’azione consapevole delle conseguenze (omicidio di primo grado).

I fatti documentati con video e testimonianze dimostrano anche che l’uso eccessivo della forza è in violazione delle norme internazionali, che troppo spesso gli Stati Uniti sono soliti “ignorare” colpevolmente.

Gli organi federali non sono disponibili ancora a intervenire, ma alcuni a livello locale si stanno muovendo (vedi Minneapolis); tuttavia le norme sono insufficienti, troppo permissive e senza il parametro di proporzionalità che necessiterebbe un sistema di giustizia solido.

Si auspica che il dibattito interno al paese si muova anche nella direzione, a prescindere dal tanto discusso “defund-the-police”, dell’inserimento dei codici identificativi degli agenti di polizia.

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STATI UNITI E USO DELLA FORZA DA PARTE DELLA POLIZIA

● 9 STATI E WASHINGTON-DC attualmente non hanno leggi sull’uso della forza letale da parte delle forze dell’ordine.

● 9 STATI consentono l’uso della forza letale per reprimere una rivolta.

● 13 STATI hanno leggi sull’uso della forza letale da parte delle forze dell’ordine, che non rispettano nemmeno il livello inferiore delle norme stabilite dalla legge costituzionale.

● 22 STATI consentono agli agenti delle forze dell’ordine di uccidere chi cerca di fuggire dai centri di detenzione.

● 20 STATI consentono ai cittadini privati ​di usare la forza letale se svolgono attività di contrasto al crimine.

● 42 STATI non richiedono un avvertimento prima di usare una forza letale.

● TUTTI E 50 GLI STATI e Washington-DC non rispettano le leggi e le norme internazionali che regolano l’uso della forza letale delle forze dell’ordine.

● 0 STATI richiedono l’uso della forza letale come ultima risorsa, anche se quello è lo standard internazionale.

● 0 STATI limitano l’uso della forza letale a situazioni di imminente minaccia alla vita o lesioni gravi all’ufficiale o ad altri, come richiesto dalle norme internazionali.

● 0 STATUTI sull’ “uso della forza letale” includono meccanismi di responsabilità, quali ad esempio il requisito di segnalazione obbligatoria per l’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine.

● GLI STATI UNITI NON SONO RIUSCITI A RISPETTARE E PROTEGGERE IL DIRITTO ALLA VITA, non garantendo la conformità della legislazione nazionale al diritto internazionale e ai diritti umani, nonche’ norme sull’uso della forza letale da parte delle forze dell’ordine.

● GLI STATI UNITI HANNO RATIFICATO IL PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI E LA CONVENZIONE INTERNAZIONALE SULL’ELIMINAZIONE DI TUTTE LE FORME DI DISCRIMINAZIONE RAZZIALE E PERTANTO HANNO L’OBBLIGO DI RISPETTARE E PROTEGGERE QUESTI DIRITTI.

● NESSUNO STATO ATTUALMENTE È CONFORME AGLI STANDARD STABILITI DA QUESTE CONVENZIONI.

Chiara Casotti e Lorenzo Moro - Coord. Nord America e Isole Caraibiche di Amnesty International Italia

IN EVIDENZA: DEADLY FORCE CONVERSATION TOOLKIT - Amnesty International USA https://www.amnestyusa.org/pdfs/DeadlyForceConversationToolkit.pdf

50 Stati non rispettano gli standard internazionali sulla forza letale da parte della polizia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

50 Stati non rispettano gli standard internazionali sulla forza letale da parte della polizia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

22 Stati consentono agli agenti delle forze dell’ordine di uccidere qualcuno che cerca di fuggire da una prigione o un carcere, indipendentemente dal fatto che rappresentino o meno una minaccia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

22 Stati consentono agli agenti delle forze dell’ordine di uccidere qualcuno che cerca di fuggire da una prigione o un carcere, indipendentemente dal fatto che rappresentino o meno una minaccia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

0 Stati includono meccanismi di responsabilità nelle loro leggi sulla forza letale / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

0 Stati includono meccanismi di responsabilità nelle loro leggi sulla forza letale / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

GLI AFROAMERICANI SONO COLPITI IN MODO SPROPORZIONATO DALLA POLIZIA Gli afroamericani rappresentano il 13,2% della popolazione degli Stati Uniti... ma rappresentano il 27,6% delle morti totali per mano della polizia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

GLI AFROAMERICANI SONO COLPITI IN MODO SPROPORZIONATO DALLA POLIZIA Gli afroamericani rappresentano il 13,2% della popolazione degli Stati Uniti... ma rappresentano il 27,6% delle morti totali per mano della polizia / infografica tratta da: Deadly Force Conversation Toolkit - Amnesty International USA

Manifestazione per chiedere giustizia per Trayvon Martin in Freedom Plaza, sabato 24 marzo 2012, a Washington D.C., USA - Foto: AP/Haraz N. Ghanbari -- Trayvon Martin, un ragazzo nero di 17 anni viene ucciso da George Zimmermann, 29 anni, vigilante volontario delle ronde di quartiere a Sanford in Florida, il 26 febbraio 2012. Nonostante Zimmerman abbia subito ammesso di aver sparato al diciassettenne afroamericano, la corte lo ha dichiarato non colpevole perché ha sparato per legittima difesa. Il caso ha suscitato molte proteste e ha toccato questioni che riguardano i pregiudizi razziali, il funzionamento della giustizia e le leggi sulla legittima difesa (in particolare quella basata sul principio del cosidetto Stand Your Ground law, che permette di sparare anche se ci si sente soltanto minacciati) e in generale sull’uso delle armi negli Stati Uniti.

Manifestazione per chiedere giustizia per Trayvon Martin in Freedom Plaza, sabato 24 marzo 2012, a Washington D.C., USA - Foto: AP/Haraz N. Ghanbari -- Trayvon Martin, un ragazzo nero di 17 anni viene ucciso da George Zimmermann, 29 anni, vigilante volontario delle ronde di quartiere a Sanford in Florida, il 26 febbraio 2012. Nonostante Zimmerman abbia subito ammesso di aver sparato al diciassettenne afroamericano, la corte lo ha dichiarato non colpevole perché ha sparato per legittima difesa. Il caso ha suscitato molte proteste e ha toccato questioni che riguardano i pregiudizi razziali, il funzionamento della giustizia e le leggi sulla legittima difesa (in particolare quella basata sul principio del cosidetto Stand Your Ground law, che permette di sparare anche se ci si sente soltanto minacciati) e in generale sull’uso delle armi negli Stati Uniti.

Murale in memoria di George Floyd, assassinato da un ufficiale di polizia negli Stati Uniti. Mauerpark, Berlino, 30 maggio 2020 - Foto di Leonhard Lenz

Murale in memoria di George Floyd, assassinato da un ufficiale di polizia negli Stati Uniti. Mauerpark, Berlino, 30 maggio 2020 - Foto di Leonhard Lenz