5 minute read

Diritti umani e sicurezza: un rapporto necessario

DIRITTI UMANI E SICUREZZA: UN RAPPORTO NECESSARIO

di Francesca Cesarotti

Advertisement

Quando mi si chiede di parlare del rapporto tra diritti umani e forze di polizia, che così tanto caratterizza il lavoro di noi attiviste e attivisti per i diritti umani, il mio pensiero torna subito indietro ad una delle immagini più iconiche di tutto il movimento per i diritti civili. Un’immagine forte, nonostante la giovanissima protagonista e l’apparente ordinarietà di quanto vi è ritratto: il tragitto verso la scuola di una bambina di sei anni.

Lei è Ruby Bridges, ha 6 anni quella mattina del 14 novembre 1960 mentre si dirige verso la Scuola Elementare William Frantz a New Orleans, e quella mattina Ruby – lo dirà spesso nel corso degli anni - non ha paura. Strano.

Quella mattina infatti di ragioni per avere paura ce ne sarebbero molte. Il tragitto verso scuola è accompagnato da una folla nervosa, lì per protestare contro l’idea che bambini e bambine come Ruby avrebbero imparato insieme ai bambini e alle bambine bianchi/e. Dai manifestanti, prima di correre a scuola per portare via i loro figli e figlie, piovono urla e oggetti di ogni tipo e c’è persino qualcuno che agita in direzione della bambina una bambola nera in una piccola bara. Un macabro regalo che tormenterà le notti di Ruby per parecchio tempo.

Ma quella mattina no, la bambina non ha paura. Non conosce davvero il significato di ciò che sta accadendo – racconterà poi che pensava si trattasse della parata del Martedì Grasso – e di certo non immagina come proprio lei diventerà una figura centrale del movimento per i diritti civili, ma quel giorno c’è dell’altro: non è sola. C’è la sua mamma e c’è la sua insegnante, Barbara Henry, che non smetterà mai di fare lezione con lei anche quando saranno solo in due in aula.

Ci sarà però anche un uomo che (con la superficialità di molti dei giornalisti che racconteranno questa storia negli anni) troverete quasi sempre nelle fotografie descritto come “Un uomo bianco che accompagna Ruby”. Quell’uomo è Charles Burks e quella mattina – assieme ai suoi colleghi William N. Darsey Sr., Jesse Grider, Jim Davis – non è la prima volta in cui affronta l’odio e il pericolo. Pilota durante la Seconda Guerra Mondiale, abbattuto nel 1944 e prigioniero di guerra in Germania; nel 1945 fugge e ritorna dietro alle linee americane. Dopo la guerra si unisce agli U.S. Marshals – un’agenzia federale statunitense, all’interno del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che garantisce, tra le altre cose, l’integrità della Costituzione – dove diviene parte di un’unità operativa speciale addestrata per occuparsi dell’integrazione scolastica. Burks aveva preso parte a più di una dozzina di operazioni di integrazione scolastica, comprese le università del Mississippi, dell’Alabama e della Georgia. Ha sempre detto che stava semplicemente facendo il suo lavoro di proteggere coloro che ne avevano bisogno in quel momento.

Nel caso di Ruby, la sua presenza fa decisamente la differenza, una presenza ordinaria che sa diventare straordinaria – come spesso accade nelle storie che raccontano i diritti umani – quando è necessario. Un esempio sicuramente importante, anche se l’imprescindibile necessità di un rapporto tra diritti umani e le istituzioni preposte alla sicurezza si afferma con forza ben prima degli eventi che abbiamo raccontato.

Sin dal 1941 quando Roosevelt nel suo famoso Discorso delle quattro libertà parla della “Libertà dalla Paura” e inizia a far riferimento ai diritti come componente necessaria per la sicurezza e la sicurezza come lo spazio necessario dove applicare i diritti; e poi naturalmente dal 10 dicembre 1948 quando, nell’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani, si ribadisce con forza che Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Significativamente, vivere in sicurezza – nel senso di vivere esenti da pericolo o paura, sicuri e protetti – riceve poi un preciso riconoscimento e nel Preambolo del Patto internazionale sui diritti civili e politici in cui si afferma che L’ideale dell’essere umano libero, che goda delle libertà civili e politiche e della libertà dal timore e dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni che permettano a ognuno di godere dei propri diritti civili e politici, nonché dei propri diritti economici, sociali e culturali; e una di queste condizioni è un ambiente sano e sicuro dove ci sia “ordine”. È infatti difficile immaginare una società veramente sicura senza che i diritti stessi vengano messi al centro delle politiche di sicurezza, essendo quest’ultima – appunto – presupposto imprescindibile del godimento dei diritti umani.

Se questo è sempre vero, a maggior ragione lo è nelle attuali società, sempre più complesse ed interconnesse. Ed è qui, tra le importanti presenze di gruppi vulnerabili e le spinte di noi attivisti e attiviste per il rispetto dei diritti, che “una buona attività di polizia […] dipende dall’instaurazione di un rapporto di fiducia e confidenza, costruito su una comunicazione regolare e una cooperazione pratica, tra la polizia e le minoranze. Tutte le parti ne beneficiano”. [1]

Le forze di polizia sono dunque attori-chiave nella protezione dei diritti umani in ogni Paese. E questo anche in Italia, Paese che sin dal 2010 si è dotato di uno strumento operativo interforze per la prevenzione e il contrasto dei reati di matrice discriminatoria. Istituito nell’ambito del dipartimento della Pubblica Sicurezza, per volontà dell’allora capo della Polizia, Antonio Manganelli, per ottimizzare l’azione di Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri: l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD). Gli obiettivi dell’Osservatorio sono quelli di agevolare le denunce relative ai crimini d’odio, contrastando il fenomeno del c.d. under-reporting (la scarsità di denunce, spesso dovuta ad una mancanza di fiducia delle vittime vulnerabili nei confronti delle Istituzioni) e favorirne così l’emersione; attivare un efficace monitoraggio del fenomeno dei crimini d’odio, nonché formare e aggiornare costantemente gli operatori delle forze di polizia, per affrontare il fenomeno del c.d. under-recording (il mancato riconoscimento della componente discriminatoria del reato).

E proprio sul tema della formazione, e in considerazione dell’importanza della mission e dell’operato, sin dal 2014 la Sezione Italiana di Amnesty International ha avviato una collaborazione con l’OSCAD tesa a supportarne la formazione degli operatori e delle operatrici (34.000 al 31 dicembre 2020) sul tema dei diritti umani e della discriminazione; convinti che, se anche i diritti umani esistono a prescindere dalle istituzioni e le strutture che gli Stati creano, ma in queste, e con esse, si realizzano pienamente e che, proprio come diceva Ruby, “c’è bisogno di sempre più Marshals” per sostenere e difendere le vittime nel nostro Paese.

Francesca Cesarotti - Resp. Educazione e Formazione ai Diritti Umani Amnesty International Italia

NOTE: [1] OSCE Office of the High Commissioner on National Minorities, Recommendations on Policing in Multi-Ethnic Societies (2006), p.3

Ruby Bridges, a soli 6 anni, viene scortata fuori la Scuola Elementare “William Frantz” a New Orleans da agenti della U.S. Marshals. NewOrleans, U.S.A. - November 1960

Ruby Bridges, a soli 6 anni, viene scortata fuori la Scuola Elementare “William Frantz” a New Orleans da agenti della U.S. Marshals. NewOrleans, U.S.A. - November 1960

Uncredited US-DOJ photographer