"L'Amaca" - Anno 2009, nr. 6 - Marzo

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Anno 2009, Numero 6, MARZO

Carissimi soci, ecco la sesta edizione del notiziario dell’ Associazione A.M.A. Le parole scorrono e ci regalano emozioni! Un grazie, a chi si impegna insieme a noi per dare corpo a queste pagine!!! Buona Lettura!!!

11 maggio 2009 - Seminario “Io, posso decidere?” Il seminario “Io, posso decidere? Ha riscosso un grandissimo successo, 240 persone tra: addetti ai lavori (infermieri, educatori, psicologi e medici), familiari, pazienti, studenti delle facoltà di scienze del servizio sociale e scienze infermieristiche e cittadini hanno partecipato all’evento, che ha visto protagonista Ron Coleman.

Sommario:

Pensierino della sera

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Poesie di Laura

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Lettera di Silvia

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Lettera di Cinzia

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Lettera di Claudio

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Poesie di Laura

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Ron Coleman è un ex paziente uditore di voci ora passato dalla parte di operatore. Con la sua esperienza di malato di disagio psichico aiuta altri nel processo di recovery, ha sviluppato un approccio alla malattia mentale finalizzato a riprendere il controllo della propria vita. La sua storia è un chiaro esempio di come al giorno d’oggi possa esistere un nuovo modo di favorire un maggior benessere e divenire protagonisti della propria salute psichi-

ca. Il desiderio di promuovere questa giornata studio, è nata dall’idea dei gruppi di auto mutuo aiuto per familiari e per utenti e da altre realtà presenti sul territorio bresciano, che si occupano di Salute Mentale. L’obiettivo di questa iniziativa è stato quello di fare conoscere e sensibilizzare la comunità al tema del disagio psichico, cercando di coinvolgere i diversi protagonisti che operano in questo campo.

Per tali motivi, l’associazione A.M.A. (auto mutuo aiuto), Alleanza per la Salute Mentale, il Forum della Salute Mentale ed il Sindacato Nursind, con il patrocinio della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica, hanno organizzato l’evento in data 11 maggio 2009, presso uno spazio prestigioso come l’aula magna Giuseppe Tovini dell’Università Cattolica di Brescia.


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Anno 2009, Numero 6, MARZO

L’AMACA

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Pensierino della sera....... Condividere penso sia una delle più belle parole che abbiamo l'opportunità di usare nella nostra vita. Mi vengono in mente immagini di persone , allegre , felici , preoccupate , tristi ma sicuramente accomunate dal non sentirsi "sole", perchè x me condividere significa questo. Sapere di non essere l'unica ad avere delle paure , delle insicurezze , a sentire delle emozioni che non sempre sono chiare e comprensibili .... insomma di sapere che altri come me vivono le stesse sensazioni. A volte esperienze simili mi danno la forza di guardare avanti e pensare che la vita è davvero un dono meraviglioso e che si può davvero riuscire a vivere felicemente.

Lo so i problemi li abbiamo tutti , grandi e piccoli ma ciò che mi spinge a non mollare mai..... é essere consapevole che se sono al mondo una ragione c'è, ho anch'io un senso nell’ universo. Forse proprio per questo penso che l'incontro con la realtà dei gruppi AMA non sia così casuale nella mia vita. Da quando partecipo agli incontri dei facilitatori ho avuto modo di incontrare delle persone "speciali", di valore inestimabile . Persone tutte diverse tra loro , con situazioni diversificate ma accomunate tutte dalla stessa voglia di vivere e di volere per tutti una VITA degna di essere vissuta al meglio in qualunque condizione. Queste persone mi stanno aiutando sempre più ad

accettare gli altri per come sono e capire che la parola normale e' tutto e niente , che possono non esserci barriere architettoniche se non sono dentro di noi. Mi emoziona davvero molto ogni incontro , quando torno a casa dalla mia famiglia , dai miei figli , dai problemi quotidiani mi sento "migliore" perchè acquisisco sempre di più la capacità di mettermi in relazione all' altro. Grazie a tutti voi , per ognuno di voi c'e' uno spazio nel mio mondo interiore quello più intimo e profondo quello che comprende la LIBERTA' di essere se stessi semplicemente. Marcella

Poesie di Laura

“E’ la mia vita e io la sto guidando verso la felicità!” (Laura)

PER UNA VITA 2009 Per una vita a cercare qualcosa da fare. per vita spesa ad aspettare. per una vita da srotolare per arrivare all’amore. per una vita mille vite si sono spente. per una vita vedere la morte in faccia. per una vita combattere e lottare. per una vita che si sbriciola tra le dita. E’ la mia vita e io la sto guidando verso la felicità!

LAGO 2009

BOLOGNA 2009

Sulle onde scintillanti vorrei volare verso paesi lontani. La tua voce sussurra, conforta, sprona a non mollare. Guardando i tuoi colori comprendo la vita: grigio, tristezza,azzurro calma, verde speranza!

E’ un soffio al cuore quando scorgo la stazione. Come un sentimento buono, forse un amore aperto, lasciato al destino. Così tu culla della mia infanzia mi doni mille emozioni colorate. Ogni volta è come la prima volta muovo i miei passi. Spero di non lasciarti più.

Ciao a tutti, sono Silvia e faccio parte del gruppo il “ il Muretto” di Roè Vociano, un gruppo A.M.A di familiari di persone con problemi psichiatrici. Una sera, mentre aspetto gli altri membri del gruppo, prima del consueto nostro incontro, faccio quattro chiacchiere con Fausta la facilitatrice del gruppo dell’elaborazione del lutto, con cui condividiamo la

stanza in giorni diversi. Fausta mi ha fatto legge la brochure del IX Convegno Nazionale Lutto e Auto/ Mutuo Aiuto dal titolo “ Un aiuto a dire addio ……” che si è tenuto a Trento il 6-7-8 marzo ’09 . Dopo aver letto attentamente il programma mi sono detta: -” Molto interessante! Però non posso andare perché si tiene di sabato e domenica”. Leggo sul

viso di Fausta dispiacere però senza commenti. Passa del tempo e una sera sfogliando la mia posta elettronica vedo che è arrivato anche a me questo invito.

non mi muovo mai per curiosità . Che sia stato perché danno anche gli E.C.M, che mi servono per il lavoro? Questa forse come risposta è più vicina”. Quante domande che Questa seconda occasione mi sono fatta, ma ancora mi ha fatto riflettere e ho pre- oggi non lo so il perché. so una decisione: -“ Bene ci Per me decidere di lasciavado!! Cosa mi ha fatto cam- re mio marito ha casa il biare idea? Non lo so!! Mah… sabato e la domenica da forse la curiosità? No solo, è una cosa che non


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mi va. Chi mi conosce e capisce i miei problemi sa che per prendere una decisione così qualcosa c’è stato. Fausta era felicissima di questa mia decisione e così organizziamo il tutto, con noi viene anche Rita un amica di Fausta. Finalmente, arriva il giorno della partenza , loro entusiaste io ancora incredula. Arriviamo a Trento, puntuali sbrighiamo le solite carte, io per la richiesta degli EC.M e per ritirare la documentazione del corso . “Ci siamo!” mi sono detta, “ormai sono qua”. Iniziano i primi relatori ed io mi sentivo sempre più fuori posto, ad un certo punto ho deciso di parlarmi: -“O cambi modo di ascoltare oppure vai a fare un giro per Trento” mi rispondo dicendomi:- “ Non vado da nessuna parte è inutile scappare per paura di sentire cose tristi e sconvolgenti qui sono e qui resto “. Mi metto comoda sulla poltrona e comincio veramente ad ascoltare con il cuore e non con la pancia. Il titolo del primo tema è “L’abbraccio del gruppo” in quel momento ho iniziato a rilassarmi e mettermi in ascolto perché quello che anche in questi gruppi succede è lo stesso che succede nel mio, i bisogni principali sono gli stessi: parlare, confrontarsi, piangere se serve, perché di fronte hai delle persone che capiscono perché come te vivono lo stesso dolore o problema. Cominciavo già a sentirmi un po’ a mio agio. Hanno seguito poi testimonianze di come e perché le persone avevano fatto nascere i loro gruppi.. Mi piacerebbe condividerne alcune con voi. La prima: sul palco due genitori che raccontano di aver perso il figlio in un incidente e, nonostante questo già grande dolore, hanno avuto il coraggio di donare gli organi. Passa del tempo e stanchi di incrociare nelle persone sguardi di commiserazione o persone che ripetevano le frasi solite dette per cortesia, che sono la cosa peggiore che si pos-

sa sentire, si sono rivolti ad un medico che li ha accompagnati subito a conoscere un gruppo , la frase che mi ha colpito di questo papà è stata: -” In comune nel gruppo abbiamo il dolore del lutto, le persone sanno che ogni dolore è diverso e questo lo rispettano perché oggi è il mio dolore che gli altri ascoltano, domani toccherà un altro , ma in nessun modo il mio sarà diverso dal tuo “ . Sembrano frasi semplici, ma bisogna esserci dentro per capirle fino in fondo. In quel momento mi sono rivista io nel gruppo, tendo sempre a dare poca importanza alla mia situazione familiare e pensare che gli altri siano meno fortunati di me. Invece ho capito che ne il dolore ne la sofferenza di situazioni particolari possono essere messe su una bilancia e pesate. La seconda testimonianza è la storia di Stefania che guardandola avrà circa passato da poco i quarant’anni. Madre di quattro figli, tre ci sono ancora il quarto invece a 16 anni a deciso di togliersi la vita nel 2006. In quei momenti tanti sono stati i pensieri che l’hanno assalita anche quello di mettere in dubbio l’essere o no una brava madre perché non era riuscita a capire che suo figlio stava soffrendo prima di commettere un gesto simile, per un po’ si è pianta addosso ma poi ha visto che non ne veniva fuori si è messa a leggere libri cercare aiuto in internet finalmente ha conosciuto un medico che l’ha accompagnata ad un gruppo . Racconta che la prima volta dopo aver ascoltato altre persone come lei che avevano vissuta lo stesso dolore ha iniziato ad avere nausea e le gambe non le comandava voleva alzarsi e scappare ma non riusciva. Giunto il suo momento di parlare da prima ha buttato fuori tutta la rabbia che aveva dentro per il gesto del figlio mentre succedeva questo si sentiva come liberata,

ha continuato a frequentare il gruppo e è diventata anche facilitatrice. Mentre lei parlava il mio sangue e diventato freddo poi caldo poi freddo ancora, non ci sono parole per descrivere l’emozione che mi ha trasmesso, la sua serenità per aver finalmente fatto pace con il figlio che aveva deciso di morire lasciandola senza spiegazioni. Continuando con le testimonianze mi ha sorpreso come nei reparti di cure palliative gli operatori sentano la necessita di formare dei i gruppi per i familiari di pazienti, questo per permettere di accompagnare nel miglior modo possibile il proprio caro alla morte e anche qui c’è stata la testimonianza di Lara una ragazza che per me avrà avuto l’età dei miei figli , ha accompagnato i suoi genitori prima il papà con la vicinanza della mamma e dopo 6 anni da sola, vicina alla sua mamma , racconta che ad aiutarla è stata la fiducia che a riposto negli operatori sanitari che le sono sempre stati vicini e soprattutto le hanno permesso di restare vicino alla mamma nei momenti terminali della sua vita. Lara dice: -” Durante la loro sofferenza ho potuto cogliere nei loro occhi lacrime, paura ma questi sono stati attimi che mi han-

no aiutato a rinforzarmi e arricchirmi”. Ancora oggi Lara va nel reparto di cure palliative come volontaria. Non ho parole per esprimere quello che ho provato nel vedere questa ragazza che dedica ancora tempo a famiglie che come lei vivono questi momenti ……… Potrei parlarvi di altre testimonianze ma mi fermo a riflettere con voi: Quando ho detto ai colleghi, a casa , agli amici il tipo di corso che avrei fatto a Trento hanno sgranato gli occhi mi hanno messo una mano sulla spalla dicendomi: -” Che tristezza …… ma ti vuoi cosi male ? “ Stasera che sto cercando di scrivere questa semplice relazione , dopo aver fatto scorrere i miei appunti e rivissuto queste tre giornate molto intense di emozioni , posso dirvi che la risposta che all’inizio ho cercato di darmi sul perchè avevo deciso di partecipare a questo incontro ,non l’ho ancora trovata ma so di certo che sono tornata con un bagaglio ricco e forse con un po’ meno di paura nell’affrontare l’argomento della morte. Vi lascio con un proverbio tibetano “ Tutti muoiono ma nessuno è morto “ ciao e grazie a chi ha avuto voglia di leggere tutto Silvia


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Cari lettori, Vi scrivo per far conoscere la situazione che sto vivendo come persona e donna con una disabilità fisica e la realtà del mondo lavorativo e culturale nel riconoscere una persona diversa nella nostra società. Nel 2001 mi sono laureata in Scienze dell’Educazione all’Università Cattolica di Brescia e come i miei compagni di corso, al termine degli studi, ho iniziato ad inoltrare domande di lavoro nelle varie cooperative sociali a cui nessuno ha risposto. Mi sono resa conto che, pur avendo svolto un percorso formativo come tutti, con la presenza di una disabilità fisica dovevo continuare a fare esperienze in ambito educativo e

degli altri. Dopo quattro anni di formazione teorica ed esperienziale nelle scuole, insieme ai partecipanti, fondai a Ghedi (BS) l’associazione Zanzebia che propone il Calamaio nelle scuole e nei vari contesti educativi, assunta con contratto a progetto in qualità di animatrice/ educatrice. Questa esperienza lavorativa è stata ed è molto efficace perché svolgo appieno la mia professionalità, ottenendo dei buoni riconoscimenti dai colleghi e dai bambini, ragazzi, insegnanti e genitori a cui dedico la mia attività. Purtroppo non potei fermarmi a questa attività perché non mi garantiva una sicurezza economica di cui necessito per mantenermi e andare a vivere da sola, non dipendendo per tutta la vita dai miei familiari. E’ da otto anni che lotto come persona e donna per essere indipendente dalla mia famiglia: ora mi sono resa autonoma per diverse ore giornaliere, avvalendomi di due assistenti personali. Continuai a partecipare ad altri corsi come un Master biennale di studi, organizzato dall’Anffas di Brescia in collaborazione con l’università di Parma, sul “Ritardo Mentale e disturbi generalizzati dello sviluppo - Aspetti clinici, riabilitativi ed educativi” e feci altre esperienze formative e di volontariato per perfezionare le mie conoscenze e competenze nel mondo del sociale. Due anni e mezzo fa mi sono accorta che gli anni passavano e le opportunità di trovare un lavoro sicuro diminuivano e ho riprogettato il percorso da intraprendere per

avere accesso a questo mondo, prima frequentando un Master per la creazione e gestione di impresa dal titolo “Il tempo libero si fa impresa” rivolto a giovani disoccupati, al fine di creare e realizzare l’idea d’impresa prescelta, poi facendo un tirocinio lavorativo con la sperimentazione del sistema a puntatore oculare “Mytobii”. In conclusione nessuna delle due esperienze mi ha portato ad un lavoro. Nella prima, al termine della parte teorica, dovevamo avere o trovare fondi per realizzare l’idea d’impresa che prevedeva un’agenzia di consulenza per l’accessibilità di spazi esterni e interni naturali e non, partendo dalla realizzazione di un parco in cui tutti i bambini con le loro diversità potevano giocare. Non ho fondi miei e non ho trovato soci e finanziamenti e probabilmente l’impresa non era facile né da costituire né da mantenere. La seconda esperienza non prevedeva alcuna assunzione lavorativa ma solo la sperimentazione del puntatore oculare “Mytobii”: è stata utile perché sono diventata autonoma e adeguata nello svolgimento delle mansioni richieste, naturalmente non raggiungendo l’autonomia e la velocità di una persona cosiddetta “normale”. Alla fine comunque la mia produttività è stata valutata insufficiente per un’assunzione. Ora mi ritrovo a dover ricominciare la ricerca e nuovi percorsi, che mi arricchiranno spero, ma il mio futuro, un futuro indipendente voglio dire, rimane un grande punto di do-

sociale e trovare un servizio per farmi conoscere. Infatti, dopo qualche mese dalla laurea, ho cominciato a svolgere un tirocinio professionale presso un servizio che individua e coordina specifiche azioni rivolte alle persone con disabilità dalla nascita in poi. Per la conoscenza e l’integrazione delle persone con disabilità, a partire dalle loro potenzialità nella scuola e nella società, gli operatori psico-sociali del sopra citato servizio promuovono da un lato progetti personalizzati, dall’altro reti di interventi sanitari/sociali e servizi differenziati: attraverso la condivisione di progetti che vanno dalla diagnosi e valutazione funzionale, lavoran-

manda. Ritengo di essere una donna che, pur avendo una disabilità fisica, ha molte conoscenze e competenze acquisite in questi anni che il mondo del lavoro non mi da la possibilità di mettere a disposizione, ricoprendo il mio ruolo professionale e assicurandomi una posizione nella società. Il mondo del lavoro è in grado solo di vedere il mio limite fisico e non va oltre: ha schemi mentali rigidi e rigide necessità e poca pochissima creatività. Scopro così che anche le menti “normali” hanno parecchi limiti. Pertanto sono arrivata a scriverVi perché ogni strada che percorro per entrare in questo mondo mi è preclusa e sono disconosciuta come persona e donna professionalmente competente che desidera lavorare per conseguire la propria indipendenza. Forse qualche lettore imprenditore potrà essere stimolato dalla mia provocazione sulla creatività. Magari! E’ vero che sono molto riconosciuta come volontaria, in molti contesti, però non posso vivere solo di questa attività, ci vuole altro. A chi si batte tanto per la vita voglio ricordare: occupiamoci con altrettanta foga della vita nel rispetto totale della sua dignità. Dott.ssa Cinzia Rossetti” Rossetti

do con altri soggetti istituzionali e non. Contemporaneamente mi sono iscritta ad un corso condotto dagli operatori del Centro Documentazione Handicap di Bologna e finanziato dal Piano di Zona della Bassa Bresciana, al fine di diventare animatore/ educatore del Progetto Calamaio nelle scuole di ogni ordine e grado. La specificità del Progetto Calamaio è di essere stato ideato e realizzato da educatori e animatori diversamente abili. Il suo scopo è quello di suggerire percorsi di integrazione che consentano una comprensione della propria e altrui diversità e favoriscano un atteggiamento di apertura e disponibilità nei confronti

“A chi si batte tanto per la vita voglio ricordare: occupiamoci con altrettanta foga della vita nel rispetto totale della sua dignità”


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Sono Claudio e frequento il gruppo AMA “la Carovana” Mi sto chiedendo perchè il nostro gruppo funziona e la risposta potrebbe prestarsi a qualche utile considerazione. Mia moglie ed io siamo andati alla Carovana perchè non avevamo nessuno, medici, operatori, consulenti vari con cui parlare della malattia di nostro figlio, qualcuno con cui confrontare i nostri comportamenti e reazioni, che ci dicesse e indicasse le strutture in cui “nuotano” quelli come noi. Approdare alla Carovana è stata una liberazione: non eravamo più soli, altre persone erano passate attraverso le nostre stesse angosce e sofferto le nostre traversie. La prima sensazione fu tipica dei gruppi di auto aiuto: Quando parlavamo eravamo capiti. Questa è la prima ragione per cui ritengo che il nostro gruppo funzioni: C'è un interesse vissuto, incarnato in prima persona a raccontare se stessi, un desiderio da parte degli altri di ascoltare la nostra esperienza, non solo sentire le nostre voci. Le nostre domande interiori ed inespresse erano: in cosa abbiamo sbagliato? Perchè ci è capitato tutto questo? Perchè proprio a noi? Ci siamo resi conto che queste domande, così intime e dolorose, erano uguali per tutti e toccavano tutti e che le risposte erano liberatorie. Tutti probabilmente abbiano fatto errori con i nostri familiari malati mentali ma annegarci nel senso di colpa ci toglie la possibilità di rimediare ai nostri errori, continua a crearci un tormento che ci dilania il cuore, da cui dobbiamo liberarci se vogliamo essere davvero utili ai nostri familiari e se non vogliamo che il passato diventi uno strumento di vendetta e accusa reciproca all'interno della famiglia: “ Mio marito non capisce, è sempre stato assente” “ se non ci

fossi stato io.... lei, uterina come sempre, continuava ad urlare e litigare ” “Saranno anche malati, ma un poco ci giocano, ne approfittano”. Quante accuse all'interno della coppia. Per carità, via! Piano piano abbiamo imparato a liberarci da queste ossessioni e a costruire comportamenti positivi, a considerare i comportamenti sgradevoli dei nostri ammalati non come atti appositamente indirizzati contro di noi per farci dispetto, ma come espressioni della loro malattia. E questa è crescita. Inoltre il desiderio di partecipare ci rende attivi, ci spinge a conoscere e frequentare altre realtà ed associazioni che si interessano allo stesso problema con risposte e soluzioni diverse che però possono essere adattate, personificate, discusse in una realtà, come quella della malattia mentale, da pochi anni veramente umanizzata e continuamente in evoluzione. Quindi la frequenza al nostro gruppo ci ha dato notizie, informazioni, abbiamo frequentato corsi e alcuni di questi ci hanno dato spunti su cui meditare: per esempio mi ha fatto pensare una frase utilizzata da un noto psichiatra del Cps che riassumeva il suo compito nel fare in modo che il paziente “ funzionasse”. Questo è in realtà il sogno di tutti: che nostra moglie torni ad essere quella donna efficiente e pilastro della famiglia come era prima, che nostro figlio ridiventi e diventi “uno come tutti gli altri”... ma se non è possibile? Se a parte ogni determinazione biologica lui o lei non ci riuscissero? Dobbiamo proprio ritenerli malati perchè non hanno il desiderio di lavorare come gli altri, perchè non hanno il desiderio di andare a ballare la sera come gli altri, perchè se

ne vogliono stare da soli, ascoltare la musica all'ipod, guardarsi tutte le sere le partite...

gli alcolisti, gli spastici”. In pratica... quante incertezze e falsità ci sono ancora sulla malattia mentale

Perchè deve essere considerato sintomo di salute mentale lavorare e avere il desiderio di stare con gli altri e praticare divertimenti usuali? Non è forse più “pazzesco” dimenarsi per ore e ore in ambienti maleodoranti e assordanti? O urlare parole di odio contro gli undici poveracci dell'altra squadra?

Quindi il gruppo ci e mi ha fatto prendere coscienza, mi ha fatto capire di rapportarmi al mio malato come a una “ persona” separandola dalla malattia e nel confronto continua a ricordarmi che molto dipende da me, da come mi comporto da come reagisco, se non pretendo ma accetto e allora la sua malattia diventa una condizione, uno stato umano con cui convivere e non da rifiutare

E pensavo.. chissà nei secoli scorsi quante persone erano così come i nostri ragazzi e mogli, fragili e impauriti, forse abbandonati e rifiutati dalla società se poveracci, comunque tollerati ma non espulsi dalla civiltà contadina nei vari villaggi e in varie culture anche non solo occidentali riveriti e accettati se ricchi e di famiglie aristocratiche o riconosciuti e acclamati come santoni alla Giovanna d'Arco in altri momenti. Mio figlio è dolcissimo, non chiede niente, ama i suoi amici del centro, è felice quando vede le sue educatrici, chiede solo di essere lasciato tranquillo, di fare quello che gli piace, non fa male a nessuno.. è indice di insania mentale essere così, non essere portato per il lavoro, non avere lo stimolo a competere con gli altri? Certo se fossimo ricchi e qualcuno potesse mantenerlo per tutta la vita forse il problema non si porrebbe. Se un servitore lo accudisse tutto il giorno, se le sue spese venissero sostenute e coperte dal patrimonio familiare e gestite da terzi sarebbe solo una persona un po' diversa dagli altri e non gli si chiederebbe di “ funzionare”, di dimostrare la sua normalità "producendo. Allora sei “malato” quando sei fuori dal circolo ufficiale ed accettato della produzione,

Tra poco incontreremo anche Coleman che ci dirà come è riuscito a trovare una soluzione al suo malessere, sfuggendo dagli artigli della ospedalizzazione e creandosi una realtà accettabile. Ma tra questi mille pensieri e proposte un'ancora di salvezza rimane il gruppo che mi riporta alla realtà, che mi dice di accettare per ora quello che abbiamo di sicuro, medicine, medici e strutture che tentato di aiutare i nostri malati, se così riteniamo, ma anche di batterci per migliorarle se è il loro burocratico funzionamento che li fa non “funzionare” come persone. Questo mi è venuto da scrivere e questo vi ho scritto. Correggete gli errori e la prossima volta, se mi aiuterete potrei avere le idee più chiare. Scrivetemi alla “Carovana”

Ciao Claudio


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Poesie di Laura RISALITA Sono caduta nel fango. Riprovo a risalire tra mille ostacoli. La mia vita mi interessa e perciò lotterò. Non mi tirerò indietro di fronte alle difficoltà ma combatterò con tenacità. Grazie lo stesso per le emozioni e per ciò che ho imparato. Ora è il momento di far chiarezza dentro e fuori di me.

LIBERTA’ libertà di camminare in mezzo agli alberi, di sentirsi sollevare dal vento, libertà di scegliere, di decidere. Libertà di sbagliare, di ricominciare. Libertà di sognare cieli azzurri e limpidi, di fantasticare, di fare i conti con il reale. Libertà di partecipare, di esprimere il proprio pensiero. Libertà di prendere o di lasciare. Libertà è vivere serenamente.


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