Fondamentale gennaio 2018

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Numero 2 - aprile 2017 - Anno XLV - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

Numero 1 - gennaio 2018

VACCINI Da quelli che curano il cancro a quelli accusati (ingiustamente) di farlo venire

PREVENZIONE

Le Arance della Salute tornano in piazza e ricordano l’importanza degli stili di vita

GLIOMA Linee guida per migliorare la sopravvivenza dei pazienti

Andrea Bertotti, clinico e ricercatore

UN AVATAR PER OGNI PAZIENTE


SOMMARIO

FONDAMENTALE gennaio 2018

In questo numero:

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VITA DA RICERCATORE 04 per Biobanche e xenotrapianti battere il cancro del colon 07 RUBRICHE Progressi della ricerca AIRC VACCINI ANTICANCRO 08 una Dalla biologia dei tumori cura fabbricata su misura CHIAREZZA 10 IFARE vaccini e il rischio cancro 18 e 21 COLLATERALI 14 iUnEFFETTI sistema per comunicare disagi in tempo (quasi) reale CURE PALLIATIVE 16 delle Oncologi e pazienti uniti nella scelta terapie di sostegno STILI DI VITA 18 L’obesità pesa sui tumori 19 NUTRIZIONE I benefici della crusca NOTIZIE FLASH 20 Dal mondo CLINICA 22 22 Tutti i passi avanti nella battaglia contro il big killer SPERIMENTAZIONE ANIMALE 26 Meno animali per la sperimentazione FIRC 27 Loretta Goggi: ognuno nel suo piccolo può fare molto NOBEL 28 IlPREMIO Nobel 2017 premia la ricerca di base I GIORNI DELLA RICERCA Contro il cancro del 30 Quirinale, Incontri nelle scuole, RAI colon-retto, prevenRACCOLTA FONDI zione e nuove armi 36 Partner, Le Arance della Salute 38 LeIL sfiMICROSCOPIO de che ci attendono nel 2018

FONDAMENTALE

Anno XLVI - Numero 1 Gennaio 2018 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa N.I.I.A.G. SpA Bergamo DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Francesca Mastruzzo, Anna Franzetti REDAZIONE Francesca Mastruzzo PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Susanna Guzzetti, Daniela Ovadia, Nicla Panciera, Fabio Turone FOTOGRAFIE Simone Comi , Maurizio D’Avanzo, Getty Images, Giulio Lapone, Rai Magnolia, Giuliano Marchisciano, Armando Rotoletti

Il modello animale al servizio del paziente per individuare la cura migliore

Obesità: oggi sappiamo quanto pesa su ciascun tipo di tumore e quanto si guadagna con la prevenzione

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I Nobel 2017 hanno contribuito alla ricerca sul cancro

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.


EDITORIALE

Pier Giuseppe Torrani

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Presidente AIRC

Verso il futuro della medicina

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nche nel 2017 AIRC ha avuto il privilegio di inaugurare I Giorni della Ricerca al Quirinale. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha condiviso con noi le sue speranze per il futuro della ricerca e confermato ancora una volta la fiducia nell’Associazione, di cui ha sottolineato l’importante ruolo nel miglioramento della salute e della qualità di vita degli italiani. Questa fiducia riguarda non solo la capacità di AIRC di selezionare e destinare finanziamenti per la migliore ricerca oncologica, ma anche di portare nelle scuole l’interesse per la ricerca e di sensibilizzare i cittadini e stimolarli alla prevenzione. La prevenzione è infatti, come ha dichiarato l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in un recente documento, il futuro della medicina. Il fumo, l’attività fisica, l’alimentazione, i vaccini, i controlli medici sono tutti elementi importanti per la lotta contro il cancro e per altre malattie mortali, quali infarti e ictus, o disturbi che predispongono a ulteriori malattie, come il diabete e l’obesità. Tutti i cittadini devono essere messi nella condizione di conoscere e applicare le regole per la prevenzione. Questo tema è più urgente che mai. Lo stesso Presidente della Repubblica ha dichiarato inaccettabile il fatto che al giorno d’oggi “acquistino credito credenze anti-scientifiche e che queste credenze ostacolino indispensabili azioni preventive – come le vaccinazioni – finalizzate a sradicare o a impedire il ritorno di malattie pericolose”. La sensibilizzazione e la corretta informazione fanno parte della missione di AIRC, e a gennaio ce lo ricorda in particolare la distribuzione delle Arance della Salute, da sempre simbolo di prevenzione e stili di vita sani.

Fondamentale per la prevenzione

A gennaio tornano nelle piazze italiane Le Arance della Salute: per l’occasione Fondamentale dedica alcuni articoli al tema dei corretti stili di vita

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VITA DA RICERCATORE Andrea Bertotti

Biobanche e xenotrapianti per battere il cancro del colon Il caso del ricercatore di Candiolo illustra bene quanto l’oncologia clinica e la ricerca di base siano sempre più interconnesse, soprattutto in malattie come il cancro del colon-retto

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UNA PIATTAFORMA INNOVATIVA

are ricerca sulle caratteristiche genetiche dei tumori resistenti è estremamente complesso e richiede la perfetta gestione di un’enorme quantità di dati come quelli di genomica, trascrittomica e proteomica relativi ai campioni di tessuto prelevati sia dai malati sia dagli animali in cui è stato effettuato lo xenotrapianto. Infine è necessario incrociare tutte queste

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caratteristiche con le ipotesi terapeutiche formulate. “Già nel 2010, la collezione di tumori aveva superato il centinaio di campioni e il numero di esperimenti iniziava a crescere” racconta Andrea Bertotti, che per trascrivere i dati nel computer impiegava un’intera giornata a settimana. “Fu allora che mi resi conto che per la gestione era necessaria una digitalizzazione, per ragioni

di tempo e di precisione”. Così è nata la Laboratory Assistant Suite (LAS), una piattaforma bioinformatica integrata per la gestione e l’analisi dei dati, da quelli genetici a quelli preclinici, tutti identificabili con codice a barre e consultabili in tempo reale da remoto. Il progetto, cui Bertotti ha dedicato il suo dottorato e che continua tuttora a supervisionare, è stato condotto con il Politec-


In questo articolo:

cancro del colon-retto anti-EGFR xenotrapianti

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a cura di NICLA PANCIERA i divide tra il laboratorio di Medicina traslazionale dell’Istituto oncologico di Candiolo, a pochi chilometri da Torino, e il Politecnico, tra analisi dei dati, meeting di laboratorio e videoconferenze: Andrea Bertotti è un brillante ricercatore del Dipartimento di oncologia dell’Università di Torino che può già vantare molte pubblicazioni su importanti riviste scientifiche, come quelle del gruppo di Nature e di Science. La sua è una ricerca traslazionale i cui risultati sono già arrivati al letto del paziente, e riguarda i meccanismi genetici alla base della resistenza alle cure nel cancro del colon-retto (vedi articolo a pag. 22). I dati di mortalità e di sopravvivenza di questo tumore sono migliorati per merito di una diagnosi sempre più precoce ma anche grazie all’introduzione di nuovi farmaci biologici. Solitamente, il trattamento con anticorpi monoclonali come cetuximab e panitumumab, che inibiscono l’attività del fattore di crescita epidermico (EGFR), permette di bloccare l’avanzata del tumore. Tuttavia questi farmaci non sono efficaci in presenza di mutazioni in geni della famiglia RAS che caratterizzano quasi la metà dei tumori del colon. È qui che si inserisce il lavoro di Bertotti, che ha trovato presto la sua vocazione nella ricerca, e in particolare nello studio sulla resistenza ai farmaci. nico di Torino. Oggi conserva la storia di quasi 8.000 animali e 20.000 misurazioni: “La sua struttura modulare consente di gestire contemporaneamente la biobanca, i dati biologici, le linee cellulari, i dati molecolari dei singoli animali e l’evoluzione della malattia sulla base del trattamento”. È a disposizione di tutti, perché “il futuro è nella condivisione e nella standardizzazione, che consentono di mettere a frutto il lavoro del singolo ricercatore”.

La ricerca è una forma mentis “Sapevo fin da subito che avrei fatto ricerca. Tuttavia, come dico sempre ai ragazzi negli incontri con le scuole organizzati da AIRC, io penso che a definire un ricercatore non sia tanto la passione per un argomento specifico ma una forma mentis. Parlo della curiosità, della pulsione a porsi domande e del non essere mai soddisfatti delle spiegazioni che ricorrono a dogmi, ai cosiddetti dati di fatto” spiega Andrea Bertotti, figlio di un’insegnante e di un ricercatore, il fisico Giorgio Bertotti dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica di Torino. “Dopo il liceo scientifico, ero indeciso tra Filosofia, Economia e Biologia, tutti ambiti in cui volevo capire di più” spiega. Dopo il superamento del test di Medicina, è stato naturale iscriversi a quel corso di laurea, “pur sapendo che non avrei mai fatto il medico. Dopo il primo anno, ho iniziato a cercarmi subito un laboratorio. E dal secondo anno, ero già qui al lavoro come studente tesista”. Dalla laurea al dottorato e al post dottorato, intraprendere una “vita da ricercatore” è venuto quasi naturale. Nonostante ciò, Bertotti sfata il mito delle “notti passate al bancone”. “Il nostro lavoro impone ovviamente di fare degli extra, soprattutto nel caso di scadenze importanti. Ma non faccio le ore piccole in laboratorio”. Ciò regala una certa flessibilità e libertà di lavorare anche da casa quando necessario e quando deve andare a prendere a scuola Lorenzo, di nove anni, e Alice, di sette. La sua compagna, Barbara, è una biologa, si sono incontrati in Istituto dove lei gestisce uno dei servizi di supporto alla ricerca. “Condividere l’ambiente di lavoro aiuta a conoscerne i limiti e le necessità, ma le nostre routine sono diverse” ci racconta il ricercatore, che può contare sull’aiuto di tutti e quattro i nonni. “Io e Barbara non ci siamo avvicinati per interessi

scientifici, quindi non discutiamo tutto il tempo di scienza”. Lorenzo, il più grande dei figli, è già molto curioso e con lui Andrea parla senza problemi delle sue ricerche. Forse, qualche riserva appare quando si affronta il tema della sperimentazione animale, “sulla quale esiste un problema nella nostra società” spiega il ricercatore. “Io ne parlo spesso in pubblico, ma non vorrei venissero trasmessi messaggi sbagliati ai compagni dei miei figli e ai loro genitori”. Nel nostro Paese manca un dibattito su molti temi legati alla scienza, come appunto la sperimentazione animale, e Bertotti considera la sua testimonianza fuori dai laboratori una parte importante del proprio lavoro.

Una biobanca per le resistenze

La maggior parte del tempo, però, la dedica a capire quali sono i meccanismi alla base delle diverse reazioni delle cellule neoplastiche ai farmaci che possono spiegare la comparsa di resistenze. Per scoprirlo, il ricercatore torinese, insieme a Livio Trusolino e in collaborazione con la Johns Hopkins University di Baltimora, ha analizzato il DNA di circa 200 tumori di cui era nota la risposta agli anti-EGFR. Il progetto, finanziato grazie al Programma 5 per mille di AIRC e coordinato da Paolo Comoglio, ha portato alla creazione di una biobanca di tumori. Si tratta di un archivio di campioni di tessuto tumorale prelevato da pazienti con carcinoma del colon-retto e metastasi epatiche, un indice di scarsa responsività alle cure. Analizzando in laboratorio il profilo genetico di questi pazienti refrattari alle cure con anticorpi monoclonali, i cosiddetti “non responders”, si possono individuare dei marcatori biologici predittivi della resistenza e selezionare in anticipo quali sottogruppi di pazienti possono beneficiare della terapia, escludendo tutti gli altri e risparmiando loro un trattamen-

Una vocazione per la ricerca più che per la medicina

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VITA DA RICERCATORE Andrea Bertotti

to che si rivelerebbe inutile e potrebbe avere effetti collaterali e tossicità. “L’idea di base è che alcune combinazioni di alterazioni genetiche, diverse le une dalle altre, cambino il decorso del tumore indipendentemente dalla sede di malattia” spiega Bertotti. “Sapere se e quando una certa combinazione può rendere un tumore resistente o sensibile a uno specifico farmaco ci aiuta anche a individuare nuove terapie mirate”. Andrea Bertotti e Livio Trusolino, in primo piano, con il team di ricercatori

Xenotrapianti per testare le cure

Oltre a consentire un taglio dei costi, evitando cure inefficaci, questo approccio permette anche di individuare la sensibilità del paziente alle opzioni farmacologiche alternative sulla base delle caratteristiche genetiche della malattia. Per fare ciò, i ricercatori del gruppo di Bertotti hanno fatto un passo avanti rispetto alla semplice descrizione delle caratteristiche genetiche,

ricorrendo agli xenotrapianti. “Quando si opera il paziente per rimuovere le metastasi epatiche di tumore del colon-retto, si conserva parte del tessuto tumorale e lo si impianta in topi che hanno un sistema immunitario compromesso. In questo modo il tessuto attecchisce ed è possibile testare sull’animale la cura prima di proporla al malato” spiega Bertotti, che si è aggiudicato un Consolidator Grant di 2 milioni di euro del Consiglio europeo della ricerca per portare avanti questo studio. Il progetto, chiamato BEAT, è partito lo scorso ottobre. Anche i pazienti che guariscono possono avere una malattia residua, un serbatoio di cellule da cui il tumore potrebbe ripartire anche dopo mesi o anni. Sono cellule tumorali che hanno caratteristiche tali da consentire loro di sopravvivere nell’ambiente nonostante la presenza del farmaco. BEAT indagherà a fondo i meccanismi con cui queste cellule imparano a evitare gli effetti dei farmaci e cercherà di capire se si tratta dello stesso percorso che porta alla farmacoresistenza, attraverso il meccani-

Usare i topi come avatar del paziente

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smo adattativo con il quale le cellule cancerose diventano tolleranti al trattamento con cetuximab.

Nuovo cocktail per i resistenti

Andrea Bertotti è impegnato anche nello studio di una nuova promettente cura messa a punto dal progetto Heracles, finanziato con il Programma 5 per mille di AIRC. “Abbiamo visto che il gene HER2 è alterato e amplificato nel 10 per cento dei casi di carcinoma del colon-retto resistente ai trattamenti convenzionali con farmaci biologici. Quindi è partita la sperimentazione con pazienti con tumore metastatico al colon refrattario al trattamento standard e caratterizzato proprio da una mutazione del gene HER2. Con un cocktail di due farmaci mirati, il tumore si è fermato, in alcuni casi è regredito, e in un caso è del tutto scomparso”. Colpire HER2 ha permesso di ottenere risultati inattesi per pazienti altrimenti senza speranze: “Un’ottima notizia che ora è necessario consolidare dal punto di vista clinico” dice Bertotti, consapevole che la strada dal suo laboratorio al paziente è sempre più breve.


della ricerca AIRC La mobilità del glioblastoma

Punto debole sul lisosoma

Si chiama integrina alfa 7, è una proteina mai studiata prima nel glioblastoma e, stando ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, è uno dei responsabili della capacità del glioblastoma di diffondersi nell’organismo. Lo studio coordinato da Ruggero De Maria, direttore dell’Istituto di patologia generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, è stato finanziato anche da AIRC e apre la strada a nuove potenziali terapie per colpire uno dei più aggressivi tumori cerebrali. “L’integrina alfa 7 interagisce con un’altra proteina prodotta dalle cellule staminali del tumore, la laminina, per favorire la diffusione della malattia” spiega l’esperto, che paragona la coppia integrina alfa 7/laminina a una sinergia ruote/rotaia che il tumore costruisce per diffondersi a livello cerebrale. Tradurre in clinica i risultati di laboratorio non sarà semplice, anche a causa della presenza della barriera ematoencefalica che potrebbe bloccare il passaggio di molecole dirette contro il nuovo bersaglio; avere compreso questo meccanismo di diffusione è però un ottimo punto di partenza per studi futuri.

I ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli, assieme ai colleghi dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, hanno fatto luce su un meccanismo che la cellula utilizza per gestire l’energia e che potrebbe rappresentare un potenziale bersaglio per nuove terapie anticancro. I protagonisti della ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Science, sono i lisosomi, organelli cellulari sui quali è stato identificato un “interruttore” usato dal tumore per crescere. “Sui lisosomi, la cui principale funzione è smaltire il materiale di scarto, si trova una molecola responsabile del passaggio tra le due forme di gestione dell’energia che la cellula normale mette in atto in presenza o in assenza di cibo” spiega Andrea Ballabio, coordinatore dello studio nonché direttore del Tigem, che da anni lavora su una malattia rara legata proprio ai lisosomi. “Il tumore sfrutta questo meccanismo e non alterna le due fasi riuscendo così a crescere in maniera continua e incontrollata” prosegue Ballabio, che ha portato a termine la ricerca grazie al sostegno di AIRC e Telethon, confermando i dati su cellule di tre diversi tipi di tumore. “Intervenire su questi meccanismi potrebbe aiutare a bloccare la crescita del tumore” conclude.

Riaprire i canali del calcio Puntare sul calcio e sulla sua regolazione nella cellula potrebbe aiutare a contrastare la crescita del tumore, afferma una ricerca pubblicata su Nature. “Il calcio è fondamentale per la comunicazione interna delle cellule ed è importante per avviare il programma di morte cellulare nelle cellule anomale” spiega Paolo Pinton dell’Università di Ferrara che, grazie anche al supporto di AIRC, ha contribuito assieme ad altri gruppi, incluso quello di Carlotta Giorgi (pure sostenuta da AIRC), a chiarire i meccanismi molecolari di comunicazione, proponendo interventi per ripararli. Tra le molecole protagoniste della comunicazione legata al calcio, anche FBXL2, attiva in alcuni tumori come quello della prostata e responsabile del mancato avvio della morte programmata. Altra protagonista è la proteina BAP1 che, se mutata o troppo scarsa nella cellula, aumenta il rischio di cancro.

... altre ricerche su: airc.it/ricerche-airc GENNAIO 2018 | FONDAMENTALE | 7


VACCINI ANTICANCRO Terapie personalizzate

Dalla biologia dei tumori una cura fabbricata su misura Per mettere a punto uno dei nuovi vaccini anticancro serve conoscere le mutazioni del DNA presenti nel singolo paziente. Una pratica impossibile, per costi e tempi, fino a pochi anni fa ma oggi alla portata di (quasi) tutti

RICERCHE

MOLTE STRATEGIE, UN OBIETTIVO

I

l gruppo di ricerca coordinato da Alberto Mantovani ha fatto un notevole passo avanti in direzione dello sviluppo di un vaccino anticancro. Ha infatti identificato alcuni anticorpi in grado di rimuovere i blocchi all’azione difensiva dei linfociti, blocchi messi in atto proprio dal tumore grazie a modificazioni del microambiente. Per fare ciò è necessario

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agire su due recettori, Ctla-4 e Pd1, che potrebbero essere abbinati a un vaccino anticancro per potenziarne l’effetto. Anche presi da soli, però, questi anticorpi sono efficaci contro il melanoma. “Il 20 per cento dei pazienti con melanoma trattato con gli anticorpi mostra una sopravvivenza a lungo termine che potrebbe tradursi in una guarigione: un risultato mai visto prima” spiega Mantovani. Inoltre gli stessi anticorpi che agiscono sul recettore Pd1 sembrano efficaci anche nel cancro del polmone.


In questo articolo:

immunologia dei tumori vaccini anticancro melanoma

a cura di SUSANNA GUZZETTI e l’immunoterapia (basata su farmaci che potenziano il sistema immunitario contro il tumore) sta vivendo un momento di grandi successi soprattutto nella terapia del melanoma, la strada dei vaccini anticancro personalizzati negli ultimi anni sembrava aver subito una battuta d’arresto. Ma non è così. Diversi studi clinici, tra cui uno condotto negli Stati Uniti su un piccolo gruppo di pazienti con melanoma avanzato, e altri realizzati in Italia anche con il sostegno di AIRC, hanno dimostrato che è possibile “vaccinare” l’organismo contro la malattia quando questa è già comparsa.

S

AGIRE A POSTERIORI “I vaccini contro le malattie infettive agiscono insegnando al sistema immunitario a riconoscere l’invasore e a eliminarlo” spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico del settore ricerca dell’Ospedale Humanitas di Rozzano (Milano), e uno dei più esperti ricercatori al mondo nel campo dell’immunologia e dell’infiammazione legata ai tumori. “I vaccini anticancro nascono dall’idea che le cellule cancerose abbiano caratteristiche particolari che le differenziano da quelle sane, e che quindi sia possibile insegnare ai sistemi di difesa a riconoscerle ed eliminarle come si fa con virus e batteri”. Chi lavora su questo tipo di terapia deve fare i conti con l’estrema personalizzazione: se il virus della varicella è più o meno uguale a se stesso in qualunque parte del mondo

e in chiunque infetti, non si può dire altrettanto delle cellule tumorali. Esistono caratteristiche comuni, ma ogni individuo sviluppa particolari mutazioni. Il vaccino, quindi, deve essere fabbricato ad personam, partendo da un frammento del tessuto malato ottenuto tramite biopsia. Un lungo e laborioso procedimento, ma i tentativi fatti nella terapia del melanoma sono stati incoraggianti (alcuni pazienti hanno visto la malattia stabilizzarsi e addirittura regredire malgrado fosse a uno stadio già avanzato). ANTIGENI MAI VISTI “Il principio di base rimane lo stesso” spiega Mantovani. “Nei vaccini contro gli agenti infettivi si introducono frammenti delle cellule virali o batteriche, o addirittura solo proteine in grado di attivare la risposta immunitaria, e lo stesso si fa con il tumore. Gran parte della ricerca consiste quindi nell’identificare questi elementi in grado di suscitare la risposta immunitaria in modo specifico, cioè solo contro il tumore, senza indurre effetti collaterali come il danno autoimmune verso tessuti sani”. E proprio questa è una delle sfide maggiori, poiché la maggior parte delle proteine espresse in gran quantità dalle cellule tumorali lo sono anche dalle cellule sane, seppure in quantità minore. L’attenzione si è quindi spostata verso altri fattori più specifici: le mutazioni a livello del DNA cellulare che sono all’origine della malattia. Molte di queste mutazioni non compaiono nei geni che regolano la crescita cellulare, come si po-

trebbe pensare, ma in sezioni del DNA che producono peptidi (piccole proteine) in grado di agire come antigeni, cioè di risvegliare le difese dell’organismo. “Questi peptidi sono chiamati anche neoantigeni perché non esistono nelle cellule sane: compaiono esclusivamente in quelle tumorali. Ce ne possono essere a dozzine, e bisogna anche capire quali sono presenti sulla superficie esterna delle cellule malate, perché è lì che il sistema immunitario può vederle e riconoscerle” spiega ancora Mantovani.

paziente esaminato. “La strada percorsa è complessa perché prevede anche che questi neoantigeni siano esposti sulla superficie di cellule particolari estratte dal sangue del paziente e poi reinfuse. Si tratta dei dendriti, una sorta di sentinelle del sistema immunitario che indicano al resto dei difensori dell’organismo quali sono i nemici da attaccare”. Che il metodo possa funzionare lo dimostra il fatto che nei pazienti trattati sperimentalmente con queste metodologie sono aumentati i linfociti T (cellule immunitarie direttamente coinvolte nell’eliminazione delle cellule maligne) diretti proprio contro i neoantigeni. “Oltre che nella terapia della malattia avanzata, questo tipo di vaccino potrebbe essere usato per prevenire le ricadute” conclude Mantovani. “Se qualche cellula maligna sopravvissuta comincia a proliferare e si mostra al sistema immunitario, viene eliminata immediatamente proprio grazie alla memoria immunitaria ottenuta col vaccino”.

Si può fare solo grazie alle nuove tecnologie

PROGRESSI TECNOLOGICI La scoperta di un vaccino anticancro basato su un neoantigene richiede il sequenziamento di una gran quantità di DNA tumorale, una procedura impensabile fino a poco tempo fa, per via dei tempi e dei costi, ma che il progresso della tecnologia ha reso finalmente possibile. Le sperimentazioni sono iniziate dal melanoma perché questo tumore è dotato di particolari caratteristiche nell’interazione col sistema immunitario che lo hanno reso anche il tumore di scelta per la sperimentazione dei farmaci immunoterapici. I primi esperimenti condotti negli Stati Uniti hanno identificato fino a sette diversi neoantigeni, tutti presenti solo nel

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FARE CHIAREZZA Vaccini e rischi cancerogeni

In questo articolo:

vaccini bufale sostanze cancerogene

I vaccini e il rischio cancro Molti gruppi antivaccinisti riferiscono possibili nessi tra alcuni vaccini e un aumentato rischio di sviluppare alcuni tumori. È bene fugare subito ogni dubbio: nessuno di questi legami è stato confermato da studi scientifici

ieri

S

a cura di DANIELA OVADIA V40 è l’abbreviazione di Simian vacuolating virus 40, un poliomavirus che può contagiare sia gli esseri umani sia le scimmie. È stato identificato nel 1960 da Ben Sweet e Maurice Hilleman, due microbiologi statunitensi esperti di vaccini, il secondo dei quali lavorava presso la Merck, una del-

SV40

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Contaminazione da virus


le aziende produttrici del vaccino. Gli esperti scoprirono che una percentuale variabile tra il 10 e il 30 per cento dei vaccini antipolio somministrati negli Stati Uniti tra il 1955 e il 1963 era contaminato dalla presenza del virus, trasferito per un errore dal terreno di coltura al prodotto farmacologico. Secondo alcuni studi effettuati in cavie da laboratorio, il virus SV40 avrebbe capacità mutagene e oncogene, inducendo in alcuni casi la formazione di sarcomi (tumori dei tessuti molli) ed ependimomi (tumori dell’ependima, il sottile strato di epitelio che riveste i ventricoli cerebrali). In base a studi più recenti SV40 sarebbe in grado di sopprimere l’attività di p53, un importante gene che protegge contro la trasformazione della cellula sana in tumorale. Inoltre il virus SV40 ha mostrato, in laboratorio, la capacità di accelerare gli effetti cancerogeni di alcune sostanze, come ad esempio l’amianto, che a sua volta provoca il mesotelioma o tumore della pleura. A differenza delle prove di laboratorio, il ruolo cancerogeno di SV40 negli esseri umani è meno convincente e più difficile da dimostrare. Il virus è stato identificato in alcuni campioni tumorali, ma sia il metodo usato per l’identificazione sia la relazione tra la sua presenza e il tumore sono da verificare. Per questo la comunità scientifica rimane divisa sul ruolo di questo virus nel generare malattie. Inoltre, nel 2004 il National Cancer Institute statunitense ha emesso un documento, basato su due ampi studi usciti nel 2001 sul British Journal of Cancer, in cui afferma che non vi sono prove epidemiologiche che il virus possa provocare il cancro. Due anni prima,

“ I

IL MERCURIO NEI VACCINI

l timerosal (o dimerosal) è un conservante a base di mercurio, utilizzato per decenni nei vaccini polivalenti (cioè quelli che immunizzano nei confronti di più malattie con una sola iniezione). Il mercurio è un metallo pesante naturalmente presente nel suolo, nell’aria e nell’acqua. Esistono due tipi di composti contenenti mercurio e hanno effetti diversi sull’organismo. Il metilmercurio è la forma di mercurio usata prevalentemente dall’industria pesante e un tempo riversata in fiumi e mari. È un inquinante neurotossico, che si accumula anche in alcuni pesci. L’esposizione ad alte dosi di metilmercurio può essere nociva e il livello ritenuto sicuro è stabilito per legge. Nonostante ciò, e nonostante vi siano controlli sui livelli di metilmercurio nei cibi, proprio perché si tratta di una molecola piuttosto diffusa tutti ne assumono una discreta quantità nell’arco della vita. Il conservante timerosal contiene invece un’altra molecola, l’etilmercurio, eliminato dall’organismo umano molto rapidamente e quindi ritenuto sicuro, a differenza del me-

però, altri esperti riuniti dalla National Academy of Sciences affermavano che un’esposizione al virus poteva aumentare il rischio di ammalarsi.

Questione di sorveglianza

La scoperta che i vaccini antipolio prodotti dal 1955 al 1961 negli Stati Uniti potevano essere contaminati da SV40 ha ovviamente aumentato la sorveglianza per coloro che sono stati vaccinati all’epoca. La contaminazione proveniva probabilmente dalle cellule utilizzate per far crescere il virus della poliomielite durante la produzione. Mentre il virus della polio viene inattivato dalle procedure di produzione, l’SV40 sopravvive. Dosi di vaccino contaminato sono state distribuite fino al 1963. Secondo alcune ricerche, dosi

tilmercurio. Il timerosal non è mai stato utilizzato (neanche negli Stati Uniti) come conservante nel vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia, e nemmeno nel trivalente difterite, tetano e pertosse, ma prevalentemente nel cosiddetto vaccino esavalente (che immunizza con una sola iniezione contro tutte e sei le malattie). Nonostante ciò, a seguito di denunce da parte di associazioni di consumatori statunitensi che ritenevano che potesse essere collegato a un aumento di autismo e di leucemie infantili, il timerosal è stato eliminato in via precauzionale da tutti i vaccini prodotti dopo il 1999. Dopo tale ritiro la Food and Drug Administration statunitense ha svolto un’attenta opera di monitoraggio tra i bambini vaccinati prima di quella data, ma il nesso con l’autismo o le leucemie è stato ampiamente smentito dai dati raccolti. Attualmente l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il timerosal sicuro anche se questo conservante non è più utilizzato nei vaccini da svariati decenni. contaminate sono state distribuite fino al 1980 nei Paesi del blocco sovietico, in Cina, Giappone e in Africa. Malgrado la diffusione dei vaccini contaminati, però, gli studi epidemiologici nelle popolazioni esposte non hanno mai dimostrato un aumento dei casi di sarcomi, ependimomi o altri tumori, facendo così mancare la prova più importante per sostenere che i vaccini contaminati potessero essere cancerogeni. Dal 1961 tutti i lotti prodotti negli Stati Uniti e in Europa sono stati testati per la presenza di SV40 e le procedure di produzione sono state modificate per evitare eventuali contaminazioni. Di conseguenza sono passati quasi sessant’anni da quando il problema è stato risolto, malgrado la storia di SV40 nei vaccini antipolio circoli ancora oggi in rete come se si trattasse di una questione attuale. GENNAIO 2018 | FONDAMENTALE | 11


FARE CHIAREZZA Vaccini e rischi cancerogeni

Il caso dei linfomi Su diversi siti antivaccinisti appare ancora oggi l’ipotesi che i vaccini possano aumentare il rischio di sviluppare linfomi di tipo non Hodgkin. Alla base di questa ipotesi vi è l’idea che i vaccini, attivando le risposte immunitarie in modo selettivo, possano indurre la formazione di cloni cellulari mutati. Per confutare questa ipotesi lo strumento più efficace e potente è lo studio epidemiologico: è necessario verificare se il tasso di tumori del sangue è più elevato tra i soggetti vaccinati rispetto ai non vaccinati e, in particolare, se esistono differenze tra vaccino e vaccino. È quanto hanno fatto numerosi studi (tra cui uno caso-controllo pubblicato nel 2009 su Cancer Causes and Control e uno studio del 2007 uscito sulla rivista Leukemia) dimostrando una possibile associazione solo con il vaccino per il bacillo di Calmette-Guerin (BCG). Il BCG è un vecchissimo vaccino attenuato che protegge contro la forma cerebrale e infantile della tubercolosi, molto diffuso nei Paesi del Sud del mondo ma non nei Paesi occidentali. Infatti il BCG non è inserito né raccomandato nelle misure di profilassi generale in Italia. Sembra invece che i vaccini contro la varicella, il colera, la febbre gialla, l’influenza, il morbillo, il tetano e la poliomielite siano addirittura protettivi, dato che il numero di casi di linfoma non Hodgkin tra i vaccinati è inferiore a quello tra i non vaccinati.

La formaldeide e il cancro

Da molti decenni si utilizza la formaldeide nella produzione di alcuni vaccini contro agenti virali e batterici. Il suo utilizzo è risultato sicuro negli studi di tossicità obbligatori prima della messa in commercio dei vaccini. Nonostante ciò, continuano a girare online messaggi allarmistici che riferiscono di un rischio di ammalarsi di cancro per via della formaldeide presente proprio nei vaccini. 12 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018

Questa sostanza viene usata nella produzione dei vaccini per inattivare l’agente infettivo oppure per eliminare le tossine prodotte dai batteri nel terreno di coltura, come accade per la tossina difterica nel vaccino contro la difterite. La formaldeide viene poi lavata via dal prodotto nel corso del processo di produzione, ma possono comunque essere presenti residui in quantità piccolissime, di molto inferiori rispetto a quelle che l’organismo umano produce naturalmente. Infatti la formaldeide è prodotta anche dal nostro corpo durante il normale metabolismo energetico (è uno dei passaggi chimici che le cellule compiono per produrre energia). Inoltre è un ingrediente importante per la costruzione delle proteine che compongono i nostri tessuti, poiché partecipa alla sintesi degli amminoacidi. È presente nell’ambiente a concentrazioni molto più alte rispetto a quelle eventualmente presenti nei vaccini: per esempio è utilizzata in alcuni materiali da costruzione. La quantità di formaldeide contenuta in un corpo umano dipende dal suo peso: in un neonato di circa tre chili ci sono concentrazioni di formaldeide circa 60-70 volte più elevate di quelle presenti in una dose di vaccino. La formaldeide è quindi innocua? No, ma è pericolosa solo se presente in quantità eccessiva e, in particolare, quando viene inalata. Il maggior rischio cancerogeno, infatti, è stato rilevato dagli studi in determinate categorie, come ad esempio i tecnici di laboratorio, che

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la utilizzano respirandone i fumi. Lo IARC di Lione, che ha classificato la formaldeide tra i cancerogeni certi, afferma però nel proprio rapporto che “non vi sono prove che colleghino l’insorgenza di cancro all’esposizione sporadica a piccole quantità di formaldeide”, come quelle che possono eventualmente essere presenti in un vaccino.

Paure ingiustificate I vaccini approvati per uso umano sono tra i farmaci più sicuri e più testati che esistano, in particolare nel caso della cancerogenicità. Osservazioni epidemiologiche protratte per decenni permettono di escludere il legame tra vaccini e tumori: chi sostiene questo nesso lo fa in mala fede, per screditare uno strumento che è invece una delle maggiori conquiste della medicina moderna. Viceversa è bene ricordare che i vaccini sono una potente arma nella riduzione dei casi di cancro indotti da virus oncogeni: il vaccino contro l’HPV, responsabile del cancro della cervice, ha ridotto le infezioni di oltre il 90 per cento, e di conseguenza ci si attende nei prossimi anni un calo drastico dei casi di cancro della cervice (una prima flessione dell’incidenza comincia già a manifestarsi negli ultimi studi pubblicati). Il vaccino contro l’epatite B, disponibile dagli anni ottanta, ha già ridotto drasticamente il numero di persone affette da epatite cronica causata dal virus dell’epatite B, considerata l’anticamera del carcinoma epatico.

IL VACCINO CONTRO L’HPV

ato che alcuni ceppi di virus del papilloma umano sono in grado di indurre mutazioni cellulari e, dopo qualche anno, la comparsa di un tumore della cervice, alcuni genitori temono che la vaccinazione possa avere lo stesso effetto. In realtà non è possibile che ciò accada: perché un virus possa indurre una mutazione in una

cellula deve essere attivo, cioè capace di trasferire parte del suo patrimonio genetico nel nucleo della cellula ospite. I vaccini contro l’HPV attualmente in commercio sono invece costituiti solo da proteine e non dal virus, e non sono quindi in grado di infettare le cellule. Per attivare una risposta del sistema immunitario contro


HPV

oggi

l’infezione non è necessario utilizzare virus vivi, perché il solo involucro virale o, come in questo caso, frammenti di esso, sono sufficienti a risvegliare le difese dell’organismo e a “insegnare” al sistema immunitario ad attaccare efficacemente i virus vivi in caso di contagio. Non è quindi materialmente possibile che un virus inattivato sia cancerogeno perché non è più in grado di infettare le cellule dell’organismo ospite.

Riduzione del 90%

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EFFETTI COLLATERALI Nuovi strumenti

In questo articolo:

farmacovigilanza associazioni di pazienti PRO-CTCAE

Un sistema per comunicare i disagi in tempo (quasi) reale PRO-CTCAE è un progetto lanciato dal National Cancer Institute statunitense che ora arriva anche in Italia, consentendo ai pazienti di comunicare meglio e più frequentemente col medico in merito agli effetti delle terapie sperimentali

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a cura di AGNESE CODIGNOLA er valutare se una nuova cura è efficace o meno, la ricerca oncologica clinica classica si limitava ad alcuni parametri come la sopravvivenza. Le novità introdotte negli ultimi anni, in primo luogo l’immunoterapia, hanno cambiato in parte il modo con cui si valuta l’utilità e l’efficacia di una terapia. Tra le trasformazioni in atto vi è anche il ruolo del malato: da semplice comprimario o addirittura oggetto di cura a prota-

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gonista che va ascoltato e reso “complice” della definizione di efficacia. Lo dimostrano iniziative come quella del National Cancer Institute statunitense, che ha lanciato PRO-CTCAE (Patient Reported Outcomes – Common Terminology Criteria for Adverse Events), uno strumento moderno e facilmente comprensibile per il monitoraggio stretto degli effetti collaterali delle cure e, in generale, della qualità di vita dei malati. L’Italia ne ha prodotto una sua versione adattata alla realtà locale, affinché tutti coloro che prendo-

no parte a una sperimentazione siano seguiti da vicino e aiutino a delineare la tossicità delle cure in ogni più piccolo particolare. Presentato nell’autunno 2017, il PRO-CTCAE italiano è stato formulato con il coordinamento di Francesco Perrone, dell’Istituto Nazionale dei tumori Francesco Pascale di Napoli, con il contributo di ricercatori delle Università di Parma (Caterina Caminiti), Torino (Silvia Novello) e Milano (Silvia Riva), degli ospedali di Genova (Lucia Del Mastro), Cremona (Rodolfo Passalacqua) e Pavia (Camillo Porta), di associazioni quali FAVO (Federazione delle associazioni di volontariato oncologico), AIOM (Associazione italiana di oncologia medica), e GOIRC (Gruppo oncologico italiano di ricerca clinica). “Si è trattato di uno sforzo corale” spiega Francesco Perrone “che ha richiesto più di due anni di lavoro, ma che permette finalmente anche ai malati italiani di avere un rapporto più diretto con il medico di riferimento quando prendono parte a uno studio clinico e che, nel tempo, contribuirà a dare informazioni molto più realistiche e dettagliate sulle nuove terapie e non solo”. In concreto, chiunque partecipi a una sperimentazione, dopo essersi consultato con il proprio oncologo, può scaricare i moduli (in italiano) all’indirizzo https://healthcaredelivery.cancer. gov/pro-ctcae/instrument.html per poi compilarli secondo semplici istruzioni.


Sul tablet e sul cellulare

Il modulo si compone di 19 pagine all’interno delle quali sono elencati tutti i possibili effetti collaterali di una cura (per esempio, tutto ciò che riguarda la bocca, la deglutizione, le afte, oppure l’intestino, la nausea, l’affaticamento, il vomito, le eruzioni cutanee, e così via). Ogni settimana si chiede ai pazienti di segnare i disturbi manifestati e di valutarli sulla base delle sfumature di gravità (fino a sei a seconda delle voci). Il documento può essere consegnato al proprio medico curante. In alternativa – ed è la direzione in cui si cerca di andare, pur tenendo presente che ci sono persone che non hanno familiarità con gli strumenti informatici o che non ne possiedono uno – si può fare tutto al computer, su tablet o anche su telefonino e inviare il modulo compilato direttamente al medico o, meglio, all’infermiere di ricerca, che valuterà se le informazioni ricevute sono meritevoli o meno di un controllo più approfondito. “Naturalmente” sottolinea Perrone “questo non significa affatto che il ruolo del medico diventa marginale ma, al contrario, che grazie a un sistema molto più tempestivo e accurato di monitoraggio ogni malato può essere trattato in base ai suoi specifici bisogni, e ogni terapia può essere modulata a seconda della sua qualità di vita, oltreché delle necessità terapeutiche e di ricerca in senso stretto”.

Tutti i sintomi sono importanti

Anche in un sistema in cui il malato è sempre più spesso inserito in percorsi di cura e seguito da team multidisciplinari come quello italiano, spiega Perrone, accade ancora che i pazienti non riescano a comunicare adeguatamente un loro disagio o un vero e proprio disturbo, e questo ha conseguenze dirette anche sull’andamento delle sperimentazioni e delle cure nonché, come sembra emergere da alcuni studi, sulla so-

pravvivenza. Avere a disposizione uno strumento standardizzato non può che fare bene a tutti, senza contare che iniziano a essere sempre di più gli organizzatori e i finanziatori degli studi clinici internazionali che lo richiedono esplicitamente. E c’è un altro aspetto fondamentale: quello psicologico e il benessere della persona nel suo insieme. Conclude infatti l’esperto: “A volte ci sono sintomi non gravissimi, come

un cambiamento nella frequenza delle evacuazioni, che tuttavia possono avere conseguenze serie sulla qualità di vita, se protratti per anni. Di questo genere di difficoltà non si teneva conto fino a pochi anni fa, ma oggi le si considera cruciali, perché per fortuna i malati vivono di più ed è indispensabile che vivano il meglio possibile, pur continuando a seguire le cure anche sperimentali”.

COMUNICARE ALLUNGA LA SOPRAVVIVENZA

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onitorare da vicino l’andamento di una terapia può anche allungare la vita. Lo ha dimostrato uno studio condotto in uno dei centri oncologici più importanti al mondo, il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, e presentato all’ultimo incontro dell’American Society for Clinical Oncology. Quasi ottocento pazienti con tumori del tratto genitourinario, dei polmoni, della mammella o ginecologici, diagnosticati tra il 2007 e il 2011, sono stati curati secondo gli schemi classici, oppure invitati a seguire un programma in dodici punti di segnalazione della tossicità tramite tablet, e poi seguiti per sette anni. Dopo che una prima analisi aveva già dimostrato un netto miglioramento

della qualità di vita, della soddisfazione del malato e dell’impiego dei servizi di emergenza quali il Pronto soccorso, i dati del 2017 hanno mostrato che l’intervento fa più di molti farmaci approvati in quanto benefici: allunga la sopravvivenza mediana di cinque mesi, un dato che ha del clamoroso. Naturalmente si tratta dell’esperienza di un solo centro, oltretutto maturata in una realtà dove il malato è seguito spesso in base alle sue condizioni assicurative e in modo più disomogeneo rispetto all’Italia, e va quindi considerata con tutte le cautele del caso. Tuttavia il segnale sembra inequivocabile e logico: la persona malata di tumore ha bisogno anche di altro, oltre che di farmaci ed esami.

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CURE PALLIATIVE Glioma cerebrale

Oncologi e pazienti uniti nella scelta delle terapie di sostegno Le nuove linee guida della European Association for Neuro-Oncology dedicate alle cure palliative nel glioma cerebrale riempiono un vuoto e dimostrano che medici e pazienti devono lavorare insieme per definire gli obiettivi delle cure, anche di quelle di fine vita 16 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018

a cura di DANIELA OVADIA e cure palliative esistono per migliorare la qualità della vita dei pazienti e non per curare la malattia. Questa l’affermazione da cui prendono avvio gli esperti del gruppo di lavoro sulle cure palliative della European Association for Neuro-Oncology (EANO) che, nei mesi scorsi, hanno pubblicato sulla rivista Lancet Oncology le prime linee guida sulle terapie di sostegno ai pazienti con tumori cerebrali dell’adulto, e in particolare con glioma. Andrea Pace, responsabile della Struttura dipartimentale di neuroncologia dell’Istituto tumori Regina Elena di Roma, è stato il coordinatore dei lavori e della pubblicazione. “I gliomi rappresentano una grossa percentuale dei tu-

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mori cerebrali primitivi nell’adulto, con un’incidenza di circa 5, 6 casi per 100.000 persone l’anno. Il ruolo delle cure palliative in questa malattia è in crescita” spiega Pace. Per questo la task force internazionale promossa dall’EANO ha incluso non solo oncologi, ma anche psichiatri, palliativisti, infermieri e rappresentanti di associazioni di pazienti con tumore cerebrale, chiamati a dire la loro su ciò che è auspicabile fare in un tumore gravato da molti sintomi invalidanti e non sempre curabile. UN RUOLO IN CRESCITA “La bassa incidenza di questa malattia ha reso finora difficile la definizione di linee guida basate su prove scientifiche e, di conseguenza, nella pratica clinica spesso molti malati non ricevono adeguate cure di supporto” continua l’esperto.


CAREGIVER

LA CURA DI CHI SI PRENDE CURA

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al momento che il glioma compromette molto le capacità fisiche e mentali del paziente, il peso che grava sulle spalle di chi si prende cura di lui o di lei (ovvero il cosiddetto “caregiver”) è superiore a quello di chi assiste pazienti con tumori meno invalidanti. In letteratura non mancano gli studi sull’argomento, e per questa ragione gli esperti dell’EANO hanno incluso la presa in carico del caregiver tra le indicazioni delle linee guida. Il disturbo più comune è lo stress legato alla perdita della propria identità individuale (che viene annullata dal compito di cura), all’isolamento sociale, ai sensi di colpa e alla paura della morte della persona cara. Gli studi descrivono molto bene il fenomeno del lutto anticipatorio, una difficile condizione psicologica in cui chi si prende cura del malato vive il lutto della sua perdita quando in realtà è ancora in vita, con effetti talvolta devastanti sulle relazioni interpersonali. Quasi il 90 per cento dei caregiver afferma di vivere nella paura della perdita. L’ansia riduce la capacità di comunicare efficacemente con i medici e gli infermieri e il primo a risentirne è proprio il malato al quale si vorrebbe invece dare il meglio. Per questo le linee guida suggeriscono programmi di presa in carico dei caregiver nei reparti di neuroncologia, con corsi per la riduzione dello stress e un servizio di formazione su come prendersi cura dei pazienti con glioma.

Il network europeo ha esaminato 223 articoli, selezionati da una mole di ben 6.160 presenti in letteratura sull’argomento. La selezione ha seguito precisi parametri di qualità, in modo da includere solo le ricerche affidabili. Sui temi per i quali non vi erano sufficienti ricerche si è fatto ricorso al parere degli esperti del settore, una fonte di minor valore scientifico rispetto a uno studio, ma utile in mancanza di alternative. Sono state prese in considerazione manifestazioni cliniche come la cefalea, l’epilessia, le trombosi venose profonde, i disturbi dell’umore e del comportamento, la stanchezza da cancro, la riabilitazione motoria e cognitiva. Inoltre sono stati approfonditi i bisogni psicosociali dei pazienti e dei loro familiari (una intera sezione è dedicata ai caregiver), la gestione dei sintomi nelle fasi avanzate di malattia e le problematiche legate al fine vita. MANCANO STUDI SULLA FATIGUE “Recenti studi dimostrano che l’introduzione precoce nel percorso di malattia di un approccio palliativo consente di migliorare la qualità della vita dei pazienti e di evitare trattamenti futili o inappropriati” continua Pace. Tra i sintomi più comuni nei tumori cerebrali, il mal di testa, che affligge la quasi totalità dei pazienti, richiede interventi pronti ed efficaci. Le linee guida forniscono indicazioni precise sul trattamento con corticosteroidi (tra i farmaci più usati per ridurre la pressione legata all’espansione della massa tumorale, responsabile della cefalea) e sul passaggio (o l’affiancamento) ai farmaci oppiacei. Anche le crisi epilettiche, che possono presentarsi fin

dalle fasi precoci della malattia, possono essere limitate da trattamenti appropriati, con un guadagno in termini di qualità della vita. La maggior parte dei pazienti con glioma lamenta una intensa stanchezza che va sotto il nome di “fatigue da cancro”. Nel caso del glioma è provocata non solo dalle sostanze che il tumore mette in circolo e dalle terapie (come nelle altre forme tumorali) ma anche da alterazioni a livello del sistema nervoso centrale. È questo il settore nel quale gli esperti hanno notato la maggiore discrepanza tra ciò di cui hanno bisogno i pazienti (ovvero un rimedio efficace che consenta loro una vita attiva il più a lungo possibile) e i risultati della ricerca scientifica, che di questo argomento si è occupata ancora troppo poco, tanto che le linee guida possono solo registrare l’assenza di trattamenti con un sufficiente grado di verifica scientifica. “Per questa ragione è importante che i rappresentanti dei pazienti siano parte dei processi di stesura delle linee guida e, in futuro, anche promotori di ricerche che rispondano davvero ai bisogni immediati di chi sta male” spiega Kathy

In questo articolo: glioma dell’adulto linee guida cure palliative

Oliver, coautrice della pubblicazione in rappresentanza della International Brain Tumor Alliance, la federazione delle associazioni di pazienti neuroncologici. “Il processo è già in corso e queste linee guida lo dimostrano. Ma c’è ancora tanta strada da fare per far sì che i bisogni dei malati determinino le priorità della ricerca”. Sono stati i pazienti, per esempio, a richiedere l’inserimento nelle linee guida della riabilitazione dei disturbi cognitivi e del trattamento di eventuali problemi psichiatrici legati alla presenza dei gliomi. “Gli oncologi sono giustamente focalizzati sulla cura della malattia, ma per chi oggi vive con un glioma, la qualità della vita e le relazioni con la famiglia, gli amici e il mondo del lavoro sono messe a repentaglio soprattutto da aspetti che la terapia antitumorale prende in considerazione solo tangenzialmente” conclude Oliver.


STILI DI VITA Sovrappeso

L’obesità pesa sui tumori Con la pubblicazione di nuovi studi e di una analisi dettagliata da parte dello IARC di Lione è possibile quantificare l’aumento dei casi di cancro legati al peso eccessivo. Combattere il sovrappeso è una strategia più efficace (in termini di vite salvate) persino rispetto all’investimento in cure innovative

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a cura di DANIELA OVADIA he l’obesità possa aumentare il rischio di ammalarsi di tumore è ormai un fatto accertato, ma quanto pesa questo fattore di rischio rispetto agli altri? E quali sono i tumori maggiormente legati all’obesità? La risposta viene da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e promosso dallo IARC di Lione, l’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che si occupa della relazione tra cancro e stili di vita. Per poter dire su quali tipi di tumore l’obesità pesa di più, gli esperti hanno valutato oltre 1.000 studi epidemiologici osservazionali (quelli, cioè, in cui si segue l’individuo per un certo periodo di tempo senza intervenire, per vedere come si evolve il suo stato di salute). Per quantificare il sovrappeso e la sua gravità è stato preso in considerazione l’indice di massa corporea (IMC), un parame18 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018

In questo articolo: obesità stili di vita prevenzione

tro che si ottiene moltiplicando il peso in chilogrammi per il quadrato dell’altezza in metri. Il sovrappeso, tra gli adulti, è definito da un IMC tra 25 e 29,9, l’obesità da un IMC oltre 30.

Più tumori correlati Nel 2002 lo stesso IARC aveva già condotto uno studio analogo, e aveva dimostrato un legame sicuro tra obesità e cancro nel caso di tumori del colon, dell’esofago, del rene, della mammella e dell’utero. Ma dopo 14 anni, e dopo la pubblicazione di numerosi studi più accurati e completi, la lista si è allungata e sono stati aggiunti altri otto tipi di tumore la cui comparsa è facilitata da un eccesso di grasso corporeo. L’elenco delle sedi e il rischio di incremento calcolato dallo studio sono riportati nella tabella in questa pagina. Nel mondo sono circa 640 milioni gli adulti e 110 milioni i bambini e gli adolescenti che soffrono di obesità (dati del 2014): un incremento di ben sei volte dal 1975 (per gli adulti) e di due volte (rispetto al 1980) per i bambini. “Nel 2013 sono morti per sovrappeso circa 4,5 milioni di persone. Secondo stime recenti l’obesità è causa del 9 per cento dei tumori femminili negli Stati Uniti, in Europa e in Medio Oriente. Il grasso corporeo e l’aumento di peso lungo l’arco della vita sono determinati in gran parte da fattori modificabili, come un consumo eccessivo di calorie e

una scarsa attività fisica” spiega MarieBeatrice Lauby-Secretan che ha coordinato l’analisi per conto dello IARC. “Ciò significa che se si investisse di più nella prevenzione legata agli stili di vita e di meno nelle cure farmacologiche si salverebbero, paradossalmente, più vite umane”. Di questo parere sono anche gli esperti del World Oncology Forum (WOF, un gruppo di oncologi, ricercatori e rappresentanti di pazienti che si incontra periodicamente per valutare quali sono le strategie migliori per la lotta contro il cancro), riuniti a Lugano a ottobre 2017. “La vera sfida per l’oncologia è puntare alla prevenzione primaria attraverso la modificazione degli stili di vita” spiega Franco Cavalli, oncologo svizzero presidente del WOF. “Questo vuol dire anche orientare gli interventi di salute pubblica in questa direzione e far capire alle persone che possono dare alla lotta contro il cancro un contributo personale pari, se non superiore, a quello di medici e ricercatori”. QUANTO “PESA” L’OBESITÀ SU CIASCUN TUMORE? Lo studio dello IARC di Lione è stato in grado di valutare l’aumento di rischio relativo (cioè di quante volte viene moltiplicato il rischio in presenza di un determinato fattore, in questo caso l’obesità) legato ai diversi tipi di tumore quando l’indice di massa corporea è nella fascia più elevata. Ecco i risultati.

Tipo di cancro

Rischio

Adenocarcinoma dell’esofago Stomaco Colon-retto Fegato Pancreas Mammella (dopo la menopausa) Corpo dell’utero Ovaio Rene Meningioma Mieloma multiplo Tiroide

4,8 volte 1,8 volte 1,3 volte 1,8 volte 1,5 volte 1,1 volte 7,1 volte 1,1 volte 1,8 volte 1,1 volte 1,5 volte 1,1 volte


In questo articolo:

NUTRIZIONE Fibre e salute

crusca fibre cancro del colon

I benefici della crusca Per anni vista solo come materiale di scarto, la crusca svolge in realtà un utile ruolo in difesa della salute dell’apparato digerente

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a cura della REDAZIONE appresenta il “vestito esterno” dei cereali che si portano in tavola e troppo spesso viene eliminata nei processi di lavorazione dei grani destinati al consumo umano per ottenere farine bianche e raffinate. È la crusca, un prezioso alleato della salute che fino agli anni settanta del secolo scorso è stata considerata solo un prodotto secondario, adatto al limite all’alimentazione degli animali da allevamento, ma che oggi sta lentamente ritrovando il suo ruolo di protagonista della tavola salutare, grazie all’alto contenuto di fibre.

Un concentrato di salute

In 100 grammi di crusca di frumento si ritrovano ben 42 grammi di fibra totale, 41 dei quali rappresentati da fibra insolubile (che viene eliminata tal quale dall’organismo), e una grande varietà di vitamine e di minerali fondamentali: fosforo, potassio, magnesio, ferro, calcio, selenio, ma anche vitami-

na B3 (ben 29,6 mg in 100 grammi di crusca di frumento), vitamina E, vitamina A e altre ancora. Inserire nell’alimentazione quotidiana la giusta quantità di fibre – circa 30 grammi secondo le raccomandazioni degli esperti – è una scelta vincente per la salute e apporta benefici in termini di controllo del peso e di prevenzione di molte malattie legate all’apparato digerente, non ultimo anche il tumore del colon-retto. Per esempio, le fibre rallentano la digestione aumentando la durata del senso di sazietà, aiutano a mantenere bassi i livelli di zucchero nel sangue con effetti positivi anche sulla sensibilità all’insulina (che si riduce in patologie come il diabete), riducono il livello di colesterolo nel sangue e facilitano il transito intestinale. E se si guarda più nello specifico alla prevenzione del tumore del colon, si nota che le fibre proteggono la superficie del colon e prevengono la formazione di cellule cancerose; inoltre servono da prebiotici, ovvero da nutrimento per i microrganismi dell’intestino che producono sostanze protettive contro il cancro del colon. Oggi in commercio si trovano facilmente crusche di diversi cereali, che differiscono tra di loro per forma e colore e possono esse-

re aggiunte all’alimentazione quotidiana, ma gli esperti ricordano che il modo migliore per godere di tutti i benefici della crusca sulla salute è consumare cereali integrali, associati sempre all’assunzione di molta acqua, piuttosto che ricorrere a integrazioni che potrebbero anche rivelarsi controproducenti. Un eccesso di fibre potrebbe infatti ridurre a livelli troppo bassi l’assorbimento di alcuni nutrienti di cui l’organismo ha bisogno.

No agli eccessi Anche quando si tratta di arricchire di fibre la propria alimentazione, la parola chiave deve essere “moderazione”. Passare improvvisamente da una dieta a base di cibi raffinati a una particolarmente ricca di frutta, verdura e cereali integrali potrebbe tradursi in dolore allo stomaco e produzione di gas nell’intestino. Meglio aumentare gradualmente le fibre, ricordandosi di bere molto nel corso della giornata.

Muffin alla crusca Ingredienti • • • • • •

100 g di crusca e 100 g di frumina 100 g di zucchero integrale di canna 150 g di latte 1 uovo, 1 mela, 50 g di uvetta 1 bustina di cremor tartaro 1 cucchiaino di bicarbonato

Preparazione

Mettere la crusca e l’uvetta a mollo nel latte. Dopo circa 30 minuti lavorare il composto e aggiungere uovo, zucchero, frumina, mela tagliata a cubetti, cremor tartaro e bicarbonato. Versare il composto ben lavorato negli stampini e cuocere in forno a 180 gradi per 25/30 minuti.

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NOTIZIE FLASH

Dal Mondo Protezione contro l’HPV “Questo vaccino ha la potenzialità di fornire una copertura più ampia contro l’infezione da Papilloma virus umano (HPV) e anche di prevenire il 90 per cento dei tumori della cervice uterina” afferma Warner Huh, della University of Alabama di Birmingham (negli Stati Uniti) dalle pagine della rivista The Lancet. Il vaccino in questione è quello di più recente concezione, che protegge contro 4 tipologie di HPV già incluse nella versione quadrivalente (HPV 16, 18, 6, 11) e da altri 5 tipi di Papilloma virus (HPV 31, 33, 45, 52 e 58). I risultati dello studio, che ha coinvolto oltre 14.000 donne di età compresa tra 16 e 26 anni provenienti da 18 Paesi del mondo, ha dato risultati molto incoraggianti sul lungo periodo: non solo il vaccino funziona, ma ha un’efficacia tale da rappresentare un enorme aiuto all’eradicazione del tumore della cervice uterina e alla prevenzione di altri tumori associati a infezione da HPV. L’efficacia del vaccino contro i nove ceppi si mantiene anche dopo sei anni dalla vaccinazione, con una protezione immunitaria simile a quella fornita dal vaccino contro i 4 tipi comuni di HPV, con profili di sicurezza simili e un’efficacia del 97,4 per cento contro i 5 tipi di Papilloma virus non inclusi nella versione precedente.

I batteri contro la chemio Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Science accende i riflettori sul ruolo dei batteri nel determinare l’efficacia di un trattamento chemioterapico. I ricercatori, coordinati da Ravid Straussman del Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele), hanno notato che all’interno del tumore del colon sono presenti batteri capaci di bloccare l’azione del farmaco gemcitabina, un comune chemioterapico. “Abbiamo notato che questo effetto dipende dalla presenza di un enzima batterico chiamato ‘citidina deaminasi’” spiegano gli autori, precisando che solo una particolare forma riesce a bloccare l’azione del farmaco. Proseguendo nella ricerca, Straussman e colleghi hanno inoltre scoperto che aggiungere un trattamento antibiotico prima della chemioterapia rende il trattamento anticancro più efficace, a dimostrazione del ruolo fondamentale dei batteri nella resistenza alla terapia.

Un ruolo per i probiotici? Secondo uno studio recentemente pubblicato sull’American Journal of Pathology, l’uso di specifici probiotici potrebbe rappresentare una strategia efficace per la prevenzione o il trattamento del tumore del colon in pazienti a rischio a causa della presenza di malattie infiammatorie intestinali. “Il microbiota intestinale, ovvero l’insieme dei microrganismi che popolano il nostro intestino, rappresenta una nuova e promettente area di ricerca anche in campo oncologico” spiegano gli autori dello studio. Somministrando a modelli animali il probiotico Lactobacillus reuter – capace di convertire istidina in istamina e di aumentare quindi la presenza di quest’ultima in animali che ne erano carenti – i ricercatori hanno notato una riduzione del numero e della dimensione dei tumori del colon rispetto ai controlli che non avevano assunto il probiotico. “Questi dati evidenziano l’importanza della modifica mirata della popolazione di microrganismi intestinali nel ridurre l’infiammazione e l’insorgenza di tumori del colon” concludono gli autori. 20 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018


13 tumori legati al sovrappeso negli USA

Che sovrappeso e obesità fossero legate all’aumento del rischio di sviluppare alcuni tumori non è una novità (vedi pagina 18), ma un recente lavoro pubblicato dal Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) statunitense fa il punto della situazione, precisando i numeri del fenomeno. “I risultati della nostra ricerca mostrano che l’eccesso di peso è associato al rischio di ben 13 tumori e che il 40 per cento dei tumori diagnosticati negli Stati Uniti nel 2014 è legato proprio a sovrappeso e obesità” dicono gli esperti. Tra i tumori influenzati dal peso, ci sono anche quelli al seno nelle donne in postmenopausa, al fegato e all’esofago, ma i meccanismi che lega-

Una pianta contro le staminali del cancro

La damsina, un composto chimico estratto dalla pianta Ambrosia arborescens che cresce ad altitudini elevate in Sud America, è efficace nel bloccare la crescita della cellule staminali tumorali del cancro mammario. Ed è efficace anche l’analogo sintetico (ovvero creato in laboratorio) della damsina, che si chiama ambrosina. Lo spiegano sulla rivista PlosOne i ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, che assieme ai colleghi dell’Università Major di San Andrés di La Paz (Bolivia) hanno valutato l’efficacia anticancro di alcuni composti chiamati “lattoni sesquiterpeni”. “I risultati del nostro studio dimostrano che damsina e ambrosina già a basse concentrazioni sono in grado di raggiungere le cellule staminali del cancro” spiega Stina Oredsson, coordinatrice della ricerca. “I risultati sono stati ottenuti in laboratorio e sono quindi necessarie nuove ricerche prima di poter arrivare al paziente”.

no i chili di troppo all’aumento del rischio di tumore non sono sempre gli stessi e non sono ancora del tutto chiari.


CLINICA Cancro del colon-retto

Tutti i passi avanti nella battaglia contro il big killer Il cancro del colon-retto è tra le forme tumorali che, negli ultimi anni, hanno registrato i miglioramenti più visibili in termini di sopravvivenza. Merito della prevenzione ma anche di nuovi farmaci e tecniche chirurgiche innovative 22 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018

a cura di AGNESE CODIGNOLA n Italia nel 2016 ci sono stati 52.000 nuovi casi di cancro del colon-retto, e anche se l’incidenza è in leggero ma costante calo da una decina d’anni, questi tumori restano in cima alla classifica dei big killer, secondi solo a quelli di prostata e polmone per gli uomini e mammella per le donne. La malattia ha causato, nel 2013, quasi 19.000 decessi, ma la sopravvivenza è in aumento e la prognosi viene considerata sostanzialmente favorevole: a cinque anni dalla diagnosi è in vita il 60,8 per cento

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di coloro che hanno un tumore al colon e il 58,3 per cento di coloro che ne hanno uno al retto, mentre le persone che vivono con una storia di carcinoma del colon-retto alle spalle sono ormai oltre 400.000. Il quadro sembra dunque positivo, e in effetti lo è, grazie a una serie di fattori tra i quali spiccano, più che in altri casi, la prevenzione e la diagnosi precoce, uniti alle cure, sempre più articolate ed efficaci. LA PREVENZIONE È A TAVOLA “Escludendo situazioni di rischio specifico come le poliposi familiari, la sindrome


ALIMENTAZIONE

FRUTTA SECCA SALVAVITA

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l consumo regolare di noci sembra in grado di dimezzare il rischio di andare incontro a una recidiva del tumore del colon, e anche quello di morte. L’effetto si vede con le noci, appunto, ma anche con le mandorle, le nocciole, le noci di Macadamia e i pecan, i pistacchi, gli anacardi e le miscele. Non sembrano attive invece le arachidi e i loro derivati come il burro di arachidi. Lo hanno notato i ricercatori del Dana Farber Cancer Center di Boston verificando le risposte a una domanda specifica posta in un’indagine che stanno portando avanti dal 1999 sulle persone con un tumore al colon, chiamata Alliance. Studiando oltre 800 malati, tutti operati o sottoposti a una chemioterapia per un carcinoma del colon a rischio di recidiva, gli autori hanno infatti notato e riferito al congresso dell’American Society for Clinical Oncology, che un consumo medio di una cinquantina di grammi di frutta secca a settimana (una noce sgusciata intera ne pesa circa 5) si traduce in una diminuzione del rischio di recidive del 42 per cento e di morte del 57 per cento rispetto a chi non mangia noci. L’effetto resta anche dopo aver inserito una serie di elementi correttivi, e sembra dunque legato davvero alle noci e simili.

di Lynch, la rettocolite ulcerosa e la malattia di Crohn, che di solito seguono un percorso dedicato, è dimostrato da tempo che il rischio maggiore è associato all’alimentazione – nello specifico al consumo di carni rosse e insaccati, zuccheri e farine raffinati – al fumo, all’alcol e all’inattività fisica. Al contrario, una dieta ricca di vegetali freschi, di vitamina D e farine e zuccheri integrali può esercitare un ruolo protettivo, così come sembrano farlo specifici alimenti, oltre alla ben nota dieta mediterranea” spiega Roberto Labianca, direttore del Cancer Center dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ex presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica e grande esperto di carcinomi del colon-retto. Negli ultimi anni è poi emerso con sempre maggiore evidenza il ruolo dei chili di troppo e soprattutto dell’obesità, responsabili di un gran numero di questi tumori. Secondo gli ultimi dati resi noti dal Center for Diseases Control di Atlanta, tra il 2005 e il 2014 l’incidenza di 12 tumori certamente collegati all’obesità negli Stati Uniti è aumentata del 7 per cento, e solo il tumore del colon-retto, che rientra tra questi 12, mostra una diminuzione (del 23 per cento): tutto grazie ai programmi di screening. Ma la situazione è tutt’altro che positiva; un’altra ricerca, pubblicata negli stessi giorni su Cancer, fa emergere un elemento che desta preoccupazione: il ruolo nefasto del sovrappeso già a partire dall’adolescenza. I ricercatori dell’Università di Tel Aviv hanno analizzato i dati

di oltre un milione di uomini e oltre 700.000 donne, reclutati in un’età media tra i 16 e i 19 anni, che sono stati analizzati per vari parametri di salute dal 1967 e il 2002, e sono poi stati seguiti fino al 2012. I risultati hanno dimostrato che chi era in sovrappeso o già obeso da giovanissimo aveva un aumento del rischio di cancro del colon-retto attorno al 53 per cento. La prima misura per limitare il pericolo di ammalarsi da adulti o da anziani è dunque quella di tenere d’occhio la bilancia, e di farlo con una corretta alimentazione e una regolare attività fisica. DIAGNOSI PRECOCE In Italia da alcuni anni sono attivi, con modalità che variano da Regione a Regione, i programmi di screening estesi a tutta la popolazione: a partire dal compimento dei 50 anni di età fino ai 69, i cittadini sono invitati tramite una lettera a consegnare un piccolo campione di feci (spesso in farmacia) per la ricerca del sangue occulto. Se l’esito è negativo, dopo due anni ci sarà un nuovo invito, se invece è positivo, di solito si consiglia una colonscopia esplorativa, al fine di identificare eventuali polipi, formazioni precancerose o già tumorali, che talvolta possono essere rimosse durante lo stesso esame; tutto il percorso è totalmente gratuito. Secondo l’Associazione italiana dei registri tumori, nel 2012 più di quattro milioni di italiani sono stati coinvolti in uno di questi screening, e circa uno su due ha effettuato quanto richiesto, con grandi differenze tra Nord e Sud. Probabilmente la

Anche per il colon il sovrappeso è un problema

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CLINICA Cancro del colon-retto

CHIRURGIA

IL ROBOT IN MANI ESPERTE

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er il momento in tutta Europa i chirurghi con una formazione certificata di chirurgia robotica sono soltanto 25, ma in futuro, secondo due dei massimi esperti del settore, Thomas Bachleitner-Hofmann e Michael Bergmann del Vienna General Hospital, uno dei centri dove è maturata la più ampia esperienza e dove è stata raccolta la casistica più numerosa, il 99 per cento degli interventi del cancro del retto sarà eseguito con l’aiuto del robot, e la stessa sorte toccherà a molti tumori del colon. Il motivo è semplice: alcuni tumori, soprattutto quelli situati in sedi che rendono difficile l’asportazione con laparoscopia, sono particolarmente difficili da operare e gli interventi lasciano conseguenze a volte pesanti quali incontinenza, sanguinamenti, infezioni, asportazioni incomplete e così via. Con il robot, invece, il chirurgo ha una visione ad altissima definizione e tridimensionale che gli permette di intervenire in modo estremamente preciso e meno invasivo, e di operare in condizioni meno faticose, mantenendo più a lungo la lucidità necessaria. Tuttavia, avvisano i due esperti austriaci, tra i primi a ricevere il via libera dalla European Academy of Robotic Colorectal Surgery, è molto importante affidarsi a centri e medici che possano dimostrare di aver acquisito tutta l’esperienza necessaria.

Il vantaggio di lavorare come fa la natura

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lettera non è lo strumento più efficace per convincere le persone a eseguire almeno il primo esame, secondo uno studio pubblicato sul Journal of General Internal Medicine dai medici del Kaiser Permanent Center for Health Research di Portland, negli Stati Uniti. Gli autori hanno infatti analizzato il comportamento di 2.700 persone cui era stato inviato a casa il kit per l’esame delle feci insieme a una lettera. Solo il 10 per cento aveva risposto, e gli altri erano stati sollecitati con sette diverse modalità, dall’sms alla nuova lettera, dal messaggio telefonico preregistrato a quello di un operatore fino alla combinazione di alcuni di questi strumenti. L’esito mostra che senza dubbio ciò che convince di più è la voce di un operatore con cui poter parlare, che infatti ha fatto cambiare idea al 32 per cento del campione, contro il 17 per cento dell’sms.

do i dati elaborati dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) e dal ministero della Salute nell’ambito del programma ESITI, che quantifica l’andamento delle prestazioni sanitarie. Sottoporsi all’intervento però non porta sempre gli stessi risultati: nel 2016, negli ospedali in cui sono stati eseguiti più di 50 interventi l’anno (173 centri censiti) la sopravvivenza è stata del 97 per cento, contro il 95 per cento delle strutture dove ne vengono effettuati di meno (343). Segno che è sempre bene cercare di farsi operare dove c’è un significativo volume di interventi: così facendo si salverebbero 151 vite l’anno. Va ricordato che oggi le tecniche chirurgiche sono meno invasive rispetto a qualche anno fa e che la chirurgia laparoscopica può assicurare buoni risultati, se eseguita da mani esperte. Ancora sperimentale è, invece, quella robotica. Dopo l’intervento, quasi sempre si consiglia una terapia adiuvante volta a prevenire le recidive. In questo ambito non ci sono state novità di grande portata negli ultimi anni: i farmaci più efficaci sono ancora quelli della classica chemioterapia che prevede sempre derivati del platino insieme ad altri composti. Di recente, però, grazie a uno studio chiamato “Tosca”, cui ha preso parte lo stesso Labianca insieme a molti altri colleghi italiani, è stato dimostrato che il periodo di trattamento necessario a garantire l’effetto può essere accorciato dagli abituali sei mesi a tre,

C’è ancora spazio per la classica chemioterapia

NUOVE TERAPIE Quando si parla di cure è necessario distinguere, perché colon e retto sono molto diversi, quanto a iter terapeutico. La chirurgia è stata ed è ancora oggi la prima scelta per il tumore del colon, quella dalla quale non si prescinde e che, se il tumore è in stadio iniziale, è spesso risolutiva. La prima persona che si accorge del tumore in genere è l’endoscopista che esegue la colonscopia e che asporta le formazioni sospette, se le condizioni lo permettono. Poi interviene il chirurgo, e in Italia nel 2016 ci sono stati 27.019 interventi, secon-


In questo articolo: colon-retto alimentazione big killer

in particolare per i pazienti il cui tumore non ha infiltrato in profondità la parete del colon né coinvolto troppi linfonodi; secondo quanto pubblicato sugli Annals of Oncology e poi presentato al congresso dell’American Association for Clinical Oncology del 2017, l’analisi della storia di quasi 3.800 pazienti randomizzati in 130 centri italiani per uno dei due tipi di chemioterapia, e poi seguiti per più di cinque anni, dimostra che utilizzando la terapia di tre mesi il rischio di recidive non cambia e, anzi, la qualità di vita migliora. Oltre a ciò, va detto che qualcosa sta comunque cambiando anche in questo ambito, via via che la medicina personalizzata si fa strada. È infatti ormai sempre più chiaro che sotto la voce generale “tumore del colon-retto” si celano molte possibili varianti genetiche, e che per alcune di esse esistono farmaci alta-

mente selettivi e quindi molto efficaci. È il caso, per esempio, del 3 per cento dei tumori con cosiddetta “instabilità dei microsatelliti”, cioè con un patrimonio genetico che, a differenza della maggior parte dei tumori del colon, è molto variabile: per questi malati probabilmente in futuro ci saranno anche terapie immunologiche, molto più attive quando i geni mutano rapidamente e in gran numero. Già oggi ci sono farmaci diretti contro le mutazioni dei geni BRAF ed HER2, e altri che possono essere somministrati solo quando il gene Ras non è mutato. Ciò che va sottolineato, comunque, è che la sopravvivenza anche delle forme avanzate oggi è in media attorno ai tre anni: solo pochi anni fa era di sei mesi. Il passo in avanti è dovuto alla grande varietà di terapie, oltreché agli elementi già citati, e al fatto che sempre più spesso, finalmente, le

équipe sono multidisciplinari, cosa particolarmente importante nel tumore del retto. APPROCCI DIVERSI PER IL RETTO Il tumore del retto va affrontato in modo diverso da quello del colon: di solito dopo la diagnosi si tratta con la radioterapia da sola o combinata alla chemioterapia. Soltanto dopo, se i risultati non sono giudicati soddisfacenti, si ricorre alla chirurgia classica. Ecco perché qui, più che in altri tipi di tumore, la collaborazione tra specialisti diversi è fondamentale. Per quanto riguarda la chemioterapia, la situazione è simile a quella del cancro al colon e anche in questo caso la rivoluzione portata dagli studi genetici si fa sentire, soprattutto nelle forme più avanzate: in alcuni casi è indicato il regorafenib, un inibitore di diverse chinasi (enzimi chiave per la vita della cellula tumorale), mentre per

la maggior parte degli altri casi si possono aggiungere alla chemioterapia farmaci quali il bevacizumab, il cetuximab e il panitumumab, se i test genetici confermano la presenza di quantità sufficienti dei loro bersagli. Proprio a causa delle tante possibilità, è necessario rivolgersi a centri con personale esperto e un’organizzazione incentrata sulla multidisciplinarietà. “Il Dipartimento interaziendale oncologico della Provincia di Bergamo che dirigo” spiega Roberto Labianca “partecipa a una rete sperimentale di nove centri che controllano regolarmente lo stato dei propri malati di tumore del colon per verificare se l’inserimento in percorsi multidisciplinari possa portare a benefici misurabili sulla durata della vita, oltreché sulla qualità delle cure, perché la teoria deve sempre essere supportata dai numeri”. E i numeri, in questo caso, sono le vite dei pazienti salvati.

GENETICA

LO SCREENING DI DOMANI

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ia via che le analisi genetiche entrano nella routine e che, parallelamente, aumenta la conoscenza del ruolo della microflora intestinale, prende piede anche l’idea di uno screening basato sulla composizione di quest’ultima, che ha caratteristiche uniche da persona a persona e che può indicare con grande precisione il grado di rischio di ciascuno. Per esempio, è stato dimostrato di recente, in uno studio pubblicato su PLoS Pathogens dai ricercatori del Texas A&M Health Science Center, che la presenza di alcuni batteri tra i quali lo Streptococcus gallolyticus aumenta considerevolmente la possibilità che cellule pretumorali intestinali evolvano in cellule tumorali. Per questo gli oncologi riuniti nell’associazione United European Gastroenterology, stilando un elenco di provvedimenti altamente raccomandati per migliorare l’efficacia degli screening, hanno messo al primo posto l’esame della microflora fecale, che sarebbe molto più sensibile e specifico rispetto alla ricerca del sangue occulto nelle feci.

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SPERIMENTAZIONE ANIMALE I dati di utilizzo

Meno animali per la sperimentazione Quanti animali si utilizzano per la ricerca in Italia? La risposta giunge dal report annuale richiesto dalle nuove normative europee, che vede una progressiva, inesorabile riduzione del numero di animali impiegati, dovuta più a fattori economici che all’introduzione di misure alternative o di contenimento come le 3R

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a cura della REDAZIONE a direttiva europea 63/2010 recepita in Italia con il Decreto legge 26 del 2014 ha obbligato tutti gli Stati membri a censire il numero di animali usati per la ricerca scientifica. Il report viene pubblicato annualmente in Gazzetta Ufficiale. L’ultimo disponibile analizza i dati relativi all’anno 2015 (come sempre in questi casi vi sono circa un paio d’anni di differenza tra la data di pubblicazione e il periodo di riferimento, necessari alla raccolta ed elaborazione delle informazioni). Il sistema di rendicontazione permette di distinguere tra animali utilizzati per la prima volta in un proget26 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2018

In questo articolo: animali sperimentazione dati statistici

to di ricerca (i cosiddetti “naive”) e animali che vengono riutilizzati per più progetti. Il numero totale di animali utilizzati nel 2015 è stato di 581.935 unità. Solo 4.764 sono stati sottoposti a più di una procedura di ricerca, portando il numero totale delle procedure a 586.699. Rispetto all’anno precedente (2014) si tratta di una riduzione del 15 per cento circa, mentre analizzando un periodo più lungo (dal 2001 al 2014), la riduzione è stata di oltre un quarto (circa il 26 per cento, poiché i dati del 2001 segnalano 923.594 procedure sperimentali che coinvolgevano animali).

Cosa accade all’estero Confrontare i dati italiani con quelli degli altri Paesi europei non è semplice, perché il numero di animali usati non dipende soltanto dalla volontà o dalla possibilità di fare ricorso ad altre tecniche, ma anche dalla quantità di ricerca scientifica in generale svolta nel Paese e dai settori più sviluppati. È comunque interessante sapere che la Germania denuncia 2.799.961 procedure, la Gran Bretagna 4.142.631, la Spagna 858.946, il Belgio 566.603 e la Francia (che però dispone al momento solo dei dati del 2014) 1.769.618. Negli Stati Uniti si effettuano circa 25 milioni di procedure, anche se il sistema di raccolta dei dati è diverso e rende difficile il confronto.

Perché diminuiscono Tutto bene dunque? Non proprio, se si vuole guardare ai dati con l’occhio della scienza, come fa Giuliano Grignaschi, responsabile dell’Animal Care Unit dell’IRCCS-Istituto Mario Negri e direttore di Research4Life. “La riduzione nei numeri osservata in Italia nel 2015 sembra correlata più con le difficoltà economiche del Paese (il modello animale è molto dispendioso), che hanno portato a una riduzione della ricerca, che con lo sviluppo di metodologie alternative o di metodi per la riduzione dell’uso di animali laddove possibile”. A confermarlo è un dato importante: la riduzione maggiore non riguarda gli studi farmacologici (i cosiddetti “studi regolatori”, obbligatori per registrare nuovi farmaci per uso umano, nei quali l’uso di animali è invece aumentato del 14 per cento), ma nel settore della ricerca di base e traslazionale, dove la riduzione è, rispettivamente, del 24 e del 33 per cento. Il rapporto classifica anche il livello di sofferenza alla quale sono sottoposti gli animali. Solo il 6,5 per cento delle procedure può causare una sofferenza importante (nell’85 per cento dei casi si tratta di topi e ratti), mentre il 47 per cento degli animali è sottoposto a procedure con sofferenza lieve e il 40 per cento moderata. Nel grafico è illustrato il calo nell’utilizzo di animali per la ricerca scientifica in Italia dal 2007 al 2015 (ultimi dati disponibili)

900.000 800.000 700.000 600.000 500.000 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015


UN LASCITO PER LA RICERCA

LASCITI Chi ha scelto di sostenere FIRC-AIRC

Ognuno nel suo piccolo S può fare molto Da molti anni sostenitrice di AIRC, dopo aver assistito fino all’ultimo il marito malato l’attrice e scrittrice Loretta Goggi ha scelto di supportare la Fondazione italiana per la ricerca sul cancroAIRC con un lascito testamentario. Superando la superstizione in nome di un fine “vitale”

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a cura della REDAZIONE o smesso di essere superstiziosa molti anni fa. Alla mia età non è concepibile credere ancora alla storia del gatto nero o della morte certa dopo aver stilato un testamento”. Loretta Goggi, artista e volto noto della tv, ha abbandonato le paure scaramantiche, in particolare quella nei confronti del fare testamento in anticipo. Tutto nella convinzione di poter, e dover, fare la propria parte. “Bisogna uscire dal torpore e togliersi i paraocchi. Quello che si fa per la ricerca sul cancro riguarda tutti, e quindi anche voi e la vostra famiglia” insiste. Goggi è diventata volto della campagna FIRCAIRC anche per abbattere i pregiudizi e sottolineare l’importanza di ogni gesto, anche il più piccolo. “Bisogna rifiutare l’idea che fare testamento sia una cosa solo da ricchi. Anche donando pochi euro si può prolungare l’esistenza di qualcuno. E poi, dove mettiamo la bellezza e l’impor-

tanza di un ‘testamento spirituale’? Io considero la decisione di un mio lascito a FIRC-AIRC proprio così, come un ‘testamento spirituale’! Sono orgogliosa di poter assicurare a chiunque io ami la possibilità di una ‘vita’ più lunga e felice grazie al mio sostegno alla ricerca” prosegue. “Io sono stata toccata da vicino da questa malattia, nei miei affetti più cari” racconta Goggi, che per colpa della malattia ha perso prima il padre e poi, nel 2011, il marito, l’artista Gianni Brezza, ma che era già vicina ad AIRC. “Sono venuta a contatto con AIRC per la prima volta nel 1981, vivevo a Milano e ho conosciuto Umberto Veronesi. È stato allora che ho cominciato la mia attività a sostegno dell’Associazione”. Parlando di cosa l’ha colpita di più, Goggi pensa a Lucia Del Mastro, ricercatrice di Genova. “Ha consentito alle donne in chemioterapia di rimanere fertili. Che gioia per lei abbracciare i bambini che senza il suo lavoro probabilmente non sarebbero venuti al mondo!” conclude entusiasta.

cegliere di fare testamento in favore della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro-AIRC, lasciandole anche solo una parte dei propri beni, significa dare un sostegno concreto e significativo alla ricerca oncologica in Italia. Pur riconoscendo i diritti dei propri eredi si può sempre lasciare una parte del patrimonio a favore della ricerca sul cancro. Per questo FIRC-AIRC offre gratuitamente la Guida al testamento, uno strumento utile per sapere come si effettua un lascito testamentario: chi sono gli eredi e come vengono stabiliti; quali sono le quote di riserva a favore dei figli e del coniuge e tante altre informazioni pratiche. Il testamento può essere: olografo: basta scrivere su un foglio cosa si vuole destinare (per esempio una somma di denaro) e a chi, datarlo e firmarlo. Il testamento potrà essere poi affidato a una persona di fiducia o a un notaio; pubblico: viene ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni e poi custodito dal notaio stesso. Con la Guida al testamento, aggiornata secondo le leggi vigenti, effettuare un lascito testamentario è diventato un gesto semplice, per tutti: richiedila gratuitamente contattando tel. 02 79 47 07 www.fondazionefirc.it

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PREMIO NOBEL Chimica e medicina

Il Nobel 2017 premia la ricerca di base Dai ritmi circadiani alla microscopia, i premi Nobel 2017 per la medicina e per la chimica dimostrano l’importanza della ricerca di base e le sue implicazioni nella lotta contro il cancro

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a cura della REDAZIONE asta dare un’occhiata ai premi Nobel 2017 per capire quanto la ricerca di base sia essenziale per combattere i tumori. Sia quello per la Medicina e la Fisiologia sia quello per la Chimica, infatti, dimostrano che il passaggio dalla conoscenza pura all’applicazione pratica al letto del paziente è talvolta inaspettato ma reale.

L’ORA GIUSTA PER LA TERAPIA

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nche se molti dettagli della cronoterapia devono ancora essere definiti, i risultati incoraggianti non mancano, così come non mancano le prove dell’esistenza di differenze nei risultati finali del trattamento in base all’ora di somministrazione. Uno studio su oltre trenta farmaci anticancro ha dimostrato che tossicità ed efficacia variano anche del 50 per cento in base all’ora di somministrazione. Entrando ancor più nel dettaglio, la chemioterapia a base di doxorubicina e cisplatino ha mostrato vantaggi in termini di sopravvivenza per le donne con tumore ovarico se somministrata al mattino.

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Il ritmo della salute I vincitori del premio Nobel per la medicina sono riusciti a comprendere e a descrivere i meccanismi molecolari che muovono le lancette dell’orologio biologico presente in tutti gli esseri viventi. “Il nostro orologio interno è capace di adattare i processi fisiologici ai profondi mutamenti delle diverse fasi del giorno e lo fa con un’accuratezza impressionante” spiegano i giurati che hanno assegnato il premio ai tre ricercatori statunitensi Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young “per le loro scoperte dei meccanismi molecolari che controllano il ritmo circadiano”. Vengono definiti “circadiani” quei ritmi presenti in molti processi dell’organismo – dall’alternanza tra sonno e veglia alla produzione di ormoni – che

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seguono un periodo di 24 ore, adattandosi quindi ai ritmi naturali della rotazione della Terra attorno al proprio asse. L’esistenza di una sorta di orologio biologico è noto da tempo agli scienziati, ma il merito dei vincitori del Nobel è di aver capito come questo orologio funziona. Partendo da studi eseguiti su un modello animale molto semplice rispetto a un mammifero, il moscerino della frutta o Drosophila melanogaster, e lavorando in due differenti laboratori negli Stati Uniti, i tre ricercatori sono riusciti a isolare per la prima volta attorno alla metà degli anni ottanta del secolo scorso il gene “period”, uno dei principali attori della regolazione dei ritmi circadiani. Questo gene viene trascritto in una proteina chiamata PER che si accumula durante la notte e viene poi degradata durante il giorno, in perfetta sintonia con il ritmo circadiano. La proteina stessa serve da segnale per bloccare l’ulteriore produzione di proteina con un meccanismo che in gergo tecnico viene definito “feedback

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In questo articolo:

premio Nobel 2017 ritmi circadiani crio-elettromicroscopia

lulare, le risposte ai danni del DNA, l’invecchiamento delle cellule e il loro metabolismo, e i geni PER1 e PER2 sembrano agire come veri e propri oncosoppressori, ovvero sono capaci di bloccare il cancro.

negativo”. Il gene period e la proteina PER sono però solo i primi pezzi di un puzzle che negli anni si è rivelato sempre più complesso, con l’aggiunta di altre molecole come il gene “timeless”, scoperto da Young nel 1994, e la proteina da esso derivata TIM e molti altri protagonisti che lavorano all’unisono per garantire che l’organismo si muova sempre con il giusto ritmo. Negli anni successivi si è scoperto anche che esiste un legame molto stretto tra distruzione dei ritmi circadiani e sviluppo dei tumori. L’orologio biologico regola per esempio aspetti chiave della crescita e della sopravvivenza delle cellule, incluso il ciclo cel-

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Dal moscerino alla cronoterapia

Ma non è tutto. Il legame tra ritmi circadiani e cancro è evidente anche in quella che viene oggi chiamata “cronoterapia”, che consiste nel prestare attenzione alla somministrazione dei farmaci in determinati orari, quando la loro efficacia si rivela massima e gli effetti collaterali minimi. “Il moscerino che ci ha permesso di scoprire i meccanismi molecolari alla base dei ritmi circadiani è senza dubbio il quarto vincitore di questo riconoscimento” ha affermato Hall, sottolineando l’importanza che questo modello sperimentale ha rivestito nel raggiungimento dei risultati finali delle sue ricerche. “E questo è solo uno degli innumerevoli esempi di come la ricerca di base in organismi ritenuti irrilevanti possa avere un significato che si estende ben oltre il modello stesso” ha aggiunto.

Nelle figure: 1 Jeffrey C. Hall, 2 Michael W. Young, 3 Michael Rosbash, 5 Joachim Frank, 4 Richard Henderson, 6 Jacques Dubochet

le” nelle diverse fasi della loro esistenza e con una risoluzione mai raggiunta prima, capace di arrivare fino al livello atomico. “In passato ci si basava su tecniche come la cristallografia a raggi X, ma per molte biomolecole tale tecnica non era adatta e non si riuscivano a ottenere risultati utili” spiegano i giurati che hanno assegnato il premio ai tre ricercatori che, unendo le loro diverse competenze, hanno sviluppato il crio-elettromicroscopio. Lo strumento, grazie a complessi algoritmi, riesce a ricostruire un’immagine tridimensionale talmente dettagliata da poter stabilire la posizione dei singoli atomi della molecola. Niente di meglio per poter disegnare nuovi farmaci specificamente diretti contro un determinato bersaglio, come sono sempre più spesso i farmaci antitumorali.

I farmaci sono più efficaci in certi orari

La rivoluzione nella biochimica

La ricerca oncologica e medica in generale potrà trarre enormi vantaggi anche dalle scoperte che hanno portato Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson al premio Nobel per la chimica, assegnato loro “per lo sviluppo della crio-elettromicroscopia per la determinazione delle strutture ad alta risoluzione delle biomolecole in soluzione”. Si tratta di una tecnica che ha portato a una rivoluzione nell’ambito biochimico poiché grazie a questo speciale microscopio è oggi possibile determinare la struttura delle molecole biologiche “congelando-

TRASFORMARE L’ACQUA IN VETRO

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a vetrificazione dell’acqua è uno dei processi alla base del funzionamento del crio-elettromicroscopio. La tecnica consiste nel raffreddare l’acqua nella quale è contenuta la molecola che si vuole studiare così velocemente che l’acqua si vetrifica, ovvero diventa ghiaccio estremamente solido e trasparente. Solo in questo modo la molecola può essere osservata al microscopio elettronico così come è stata “congelata”, senza il rischio che l’acqua in essa contenuta evapori o che il ghiaccio possa compromettere la qualità dell’immagine.

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In questo articolo:

I GIORNI DELLA RICERCA Quirinale 2017

Quirinale Sergio Mattarella premio Credere nella Ricerca

Parole di elogio e speranza dal Presidente della Repubblica Pubblichiamo integralmente il discorso che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato al Quirinale in occasione dell’annuale cerimonia d’apertura de “I Giorni della Ricerca” di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica ivolgo un cordiale saluto al Presidente Giorgio Napolitano, al Presidente del Senato, al Presidente della Corte Costituzionale, al Vicepresidente della Camera dei deputati, a tutti i presenti, ai ricercatori, volontari, medici, operatori, che qui rappresentano tutti coloro che fanno progredire le cure con la loro intelligenza e la loro passione. Ringrazio la ministra Lorenzin, l’avvocato Torrani, il professor Mantovani e la dottoressa Triulzi, che ci hanno ricordato, in maniera davvero efficace, lo straordinario valore sociale degli studi sui tumori, i progressi compiuti a beneficio di tutti, i meriti e le eccellenze raggiunti nel nostro Paese, l’impegno costante per conseguire traguardi ulterio-

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ri. Benvenuti al Quirinale! Rinnovare ogni anno, qui, in questo Palazzo, l’impegno per la ricerca e per le cure contro il cancro non costituisce la ripetizione di un appuntamento rituale ma vuole esprimere un richiamo, ininterrotto, a porre la comune attenzione su ciò che realmente riveste importanza nella convivenza, facendo il punto su un fronte prioritario per l’intera comunità umana e, per la sua parte, per il nostro Paese. Un anno fa moriva Umberto Veronesi, che dell’AIRC è stato un fondatore e che, con la sua attività, ha contribuito, da protagonista, a trainare il nostro Paese nel compiere progressi. Lo ricordiamo per la sua statura di medico e di scienziato, apprezzata nel mondo. Lo ri-

Nella foto a sinistra, il Presidente Sergio Mattarella; A destra, Mattarella stringe la mano ad Alberto Mantovani, ricercatore AIRC, accanto a lui la ricercatrice Tiziana Triulzi e Niccolò Contucci, direttore generale AIRC

cordiamo per la fiducia che ha sempre nutrito per la ricerca, e che trasmetteva a studenti, colleghi, pazienti, all’intera comunità nazionale. Soleva dire che il desiderio di conoscenza è un bisogno naturale dell’uomo e che la ricerca ci condurrà a sconfiggere le malattie fino a ieri ritenute invincibili.

Uno sforzo condiviso Ma per sostenere la ricerca non basta l’impegno dei singoli e neppure la forza robusta di un’élite. È necessaria una coscienza diffusa, una cultura condivisa, che attribuisca valore all’investimento sulla salute delle persone, di tutte le persone, e sul benessere delle future generazioni. Solidarietà e ricerca, come ben sappiamo, sono strettamente collegate. L’impegno dell’AIRC – di oltre 50 anni – i vostri successi, la vostra capacità di coinvolgimento delle energie civili costituiscono la prova di come la solidarietà possa rappresentare un sostegno e un vero propellente per i ricercatori, e di come i risultati delle ricerche restituiscano poi alla società un valore moltiplicato. Se torniamo indietro con il pensiero, anche soltanto di pochi anni, non è difficile constatare quanto l’efficacia di nuove terapie abbia aumentato la sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone, e abbia migliorato la qualità della vita di chi lotta contro un tumore. Sempre più se ne può guarire, oltre che contenerlo con le cure. La possibilità di una completa guarigione è cresciuta anche nelle patologie

Ricerca e solidarietà sono collegate


PREMIO CREDERE NELLA RICERCA

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l premio speciale AIRC “Credere nella Ricerca” viene attribuito ogni anno a una persona o un’istituzione che si è distinta nel suo supporto alla causa di AIRC. Quest’anno è stato conferito, dalle mani del Presidente Sergio Mattarella, a The Estée Lauder Companies Italia e a Margherita Granbassi, testimonial e volontaria AIRC. The Estée Lauder Companies Italia è stata premiata per essersi impegnata a livello internazionale nella lotta contro il tumore al seno e aver avuto 25 anni fa l’intuizione di creare la Breast Cancer Campaign e il Nastro Rosa, che è diventato un simbolo universale della salute delle donne. Fiorettista olimpica e volto della televisione, Margherita Granbassi ha ricevuto il premio per l’impegno come volontaria di AIRC nelle numerose iniziative di comunicazione promosse dall’Associazione, perché rappresenta uno straordinario esempio di come si possa essere vicini ad AIRC in diversi modi: con la propria famiglia impegnandosi come volontaria in piazza durante le campagne nazionali, con la propria popolarità messa

più insidiose e, in tanti casi, la malattia è stata evitata grazie a diagnosi precoci. Senza i progressi della ricerca tutto questo non sarebbe stato possibile. Non sarebbe stato possibile senza la continuità della ricerca, che costruisce sempre i propri successi su altre ricerche e altre esperienze. Anche gli avanzamenti di domani avranno bisogno degli studi, dei laboratori, delle sperimentazioni, delle intelligenze dei ricercatori di oggi. La ricerca medica, in particolare, aumentando le possibilità di vita e la sua qualità, fa crescere la fiducia e la speranza. Nelle persone colpite dalla malattia, nelle loro famiglie, in chi teme di essere a rischio. In realtà, in tutti. Il professor Mantovani ha parlato di sogno, di speranza, di condivisione. Questa sequenza supera i confini dell’immunologia: è di carattere generale. Anche grazie a voi si diffonde speranza e consapevolezza, non illusorie ma fondate perché scientificamente motivate. Si tratta di vettori di crescita della coscienza sociale e di un miglioramento della società. La ricerca sta alle fondamenta di tutto questo. L’impegno pubblico è cresciuto ma va rafforzato, e mi auguro che questo obiettivo trovi la più ampia condivisione politica.

al servizio della missione di AIRC e con il proprio tempo messo a disposizione delle numerose iniziative di comunicazione e raccolta fondi promosse dall’Associazione. Margherita, con il suo costante impegno, è il migliore esempio di quella sfida collettiva che AIRC ha lanciato a tutta la nostra comunità e soprattutto ai più giovani con l’obiettivo di unire le forze di tutti a sostegno dei 5.000 ricercatori dell’Associazione, ogni giorno al lavoro per regalarci un futuro libero dal cancro.

Un esempio per il Paese La ricerca è uno stimolo per lo sviluppo generale. Occorre fare in modo che le strategie pubbliche diventino volano anche di investimenti privati. È necessario creare sinergie sempre più efficaci tra il pubblico, il privato e le energie del Terzo settore e del non profit. In società complesse e contrassegnate da grande interdipendenza tra le sue parti, come è la nostra, non si compiono passi in avanti significativi negli investimenti sulla ricerca senza una convergenza di sforzi e di volontà, senza una autentica crescita culturale. Anche per questo l’esperienza dell’AIRC rappresenta un esempio prezioso a cui il Paese guarda con riconoscenza. Abbiamo grandi risorse, grandi potenzialità nel nostro Paese. Abbiamo giovani di valore, strutture di eccellenza, professionalità di livello mondiale. La ricerca italiana ha dato molto nella lotta ai tumori. E continua a ottenere risultati importanti, come dimostra ad esempio la ricerca, resa pubblica pochi mesi fa, condotta dall’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli (e co-finanziata dall’AIRC) sullo svilup-

In alto, Margherita Granbassi, testimonial e volontaria AIRC, ritira il premio

po delle cellule in alcune malattie tumorali. Potrei fare – come ben sapete – altre positive citazioni, di tanti successi. Ma mi limito a sottolineare che ovunque in Italia, al Sud come al Nord e al Centro, emergono punte di straordinaria qualità, che ci fanno sentire orgogliosi; e dunque maggiormente responsabili. I nostri giovani ricercatori sono pronti a raccogliere il testimone dai loro maestri, come dimostrano anche questo incontro e i suoi partecipanti. La loro mobilità in Europa e nel mondo è condizione di maggiore libertà e di opportunità per tutti. Dobbiamo, peraltro, compiere ogni sforzo affinché la circolazione del sapere e delle intelligenze non diventi, per i nostri giovani, una strada, a senso unico, in uscita. Vorrei dire alla Professoressa Triulzi che le sue preoccupazioni sulla continuità e la serenità dell’impegno sono prioritarie e le condivido appieno. Vi sono grato anche per le opportunità che offrite ai giovani, e ai team di ricerca che li coinvolgono. In questo modo si mette in circolo, grazie alla soGENNAIO 2018 | FONDAMENTALE | 31


I GIORNI DELLA RICERCA Quirinale 2017

lidarietà e a una mirata selezione degli obiettivi, un prezioso patrimonio di energie che genera benefici generali. La lotta ai tumori è un percorso che dobbiamo compiere con grande determinazione. I progressi ottenuti hanno consentito di vivere, e vivere pienamente, a tante persone, grazie a diagnosi tempestive e a terapie avanzate, grazie a cure più efficaci e meno invasive, rispettose della dignità delle persone; grazie a migliori supporti sanitari e assistenziali. L’aumento di aspettativa di vita fa prevedere nei prossimi anni un aumento nella crescita della malattia. Dobbiamo, quindi, aumentare l’impegno. La vostra esperienza, nella raccolta dei fondi e nella destinazione mirata delle risorse, è un grande servizio alla società. L’impegno volontario che suscitate è, insieme, espressione di valori e patrimonio di energie. Così i premi – che anche quest’anno avete deciso di assegnare – vanno intesi come un incoraggiamento, anzi come un impegno a proseguire. È un’opera che porterà frutti tanto maggiori, quanto più sarà sostenuta da un impegno corale e indurrà a comportamenti sociali consapevoli e partecipi. La preA sinistra Alberto Mantovani, a destra Tiziana v e n z i o n e Triulzi nel suo laboratorio. dei tumori I due ricercatori, entrambi richiede, naturalmenfinanziati da AIRC, sono te, uno sforintervenuti al Quirinale

zo non indifferente del sistema sanitario nazionale; per potenziare gli strumenti a disposizione dei cittadini, e per rendere sempre più accoglienti i servizi. Ma richiede anche un miglioramento dei costumi alimentari, una diffusione della pratica sportiva nei ragazzi e dell’attività fisica negli adulti, una crescita di consapevolezza dei danni prodotti dal fumo, una conoscenza sempre più ampia dei fattori di rischio. Siamo nel mese della prevenzione dei tumori al seno. Una grande occasione per sensibilizzare e attivare anche le persone più pigre o meno attente. Sconfiggere i tumori è possibile. Ma tutti dobbiamo contribuirvi. Occorre costruire una sempre più forte collaborazione, una effettiva alleanza tra scienza, formazione culturale, comunicazione. Non possiamo accettare che nel XXI secolo, nella società globale della tecnologia e dell’informatica, acquistino credito credenze anti-scientifiche e che queste credenze ostacolino indispensabili azioni preventive – come le vaccinazioni – finalizzate a sradicare o a impedire il ritorno di malattie pericolose. Malattie che le persone della mia generazione ricordano nella loro diffusione e devastante pericolosità quando colpivano amici e compagni di scuola. Non possiamo consentire che si scarichi sugli altri, che si vaccinano, la sicurezza della salute nella società, met-

Prioritaria la continuità della ricerca

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tendola comunque a rischio con la propria omissione.

Un futuro più grande Il mio augurio è che anche I Giorni della Ricerca aiutino ad allargare la visione sulla frontiera del benessere sociale. È una frontiera lunga e complessa che dà, tuttavia, la misura di una civiltà. Combattere il tumore per guarire sempre più persone è un impegno che deve procedere a fianco alla cura – all’umanità della cura – di chi continua a combattere con la malattia. Non deve mai venir meno l’impegno per sviluppare le cure palliative, e per assistere la persona nei momenti più difficili. Quando non si può ragionevolmente prevedere la guarigione, si deve comunque curare. E quando la cura non è più efficace verso la malattia, c’è ancora spazio – uno spazio obbligatorio – per la cura della persona; e della sua dignità. Nessuno deve sentirsi abbandonato. Vorrei ribadire che ricerca e solidarietà sono parole che è bene pronunciare insieme. In questo modo, conoscere sempre di più diventa anche un grande atto di solidarietà. Voi ne siete testimoni. Vi è una stretta connessione tra cura della persona e senso della cittadinanza. Spero che nella società, insieme ai risultati concreti del vostro prezioso lavoro, circoli anche questo vostro spirito. Fonte: Quirinale.it


I GIORNI DELLA RICERCA Università 2017

Dai banchi di scuola all’università AIRC a Napoli e a Roma con gli studenti universitari, e in tutta Italia in oltre novanta scuole

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a cura della REDAZIONE nche quest’anno AIRC ha incontrato le università nell’ambito degli Incontri con la Ricerca: il 31 ottobre, l’Università Federico II di Napoli e l’Università La Sapienza di Roma hanno aperto le loro porte a ricercatori, testimonial e volontari dell’Associazione per raccontare agli studenti i risultati della ricerca e la passione di chi la fa e di chi la sostiene. A Napoli, Lucia del Mastro dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha ricordato che la ricerca deve “trovare la cura giusta per ciascuno dei circa 200 tipi diversi di tumore” e per questo “ha bisogno di fondi per andare avanti”. Elisa Giovannetti, responsabile di una Start-up AIRC, ha parlato della passione per la sua professione: “Credo che il mestiere del ricercatore sia il più bello del mondo per varie ragioni”, ricordando il ruolo di responsabilità del ricercatore che “anche nei momenti più difficili deve avere la consapevolezza di star perseguendo un interesse collettivo”. Mario Palmisano, campione olimpionico di canottaggio a cui nel 2011 è stato diagnosticato un osteosarcoma, ha raccontato l’incontro con la malattia: “All’inizio mi è caduto il mondo addosso, il primo pensiero è stato ‘perché a me?’, poi quando ho visto con i miei occhi tanta gente in condizioni gravi, ho detto ‘perché non a me?’”. A Roma, Pier Paolo Di Fiore dell’Università Statale di Milano ha illustrato le priorità della ricerca: “I progressi degli ultimi anni hanno definitivamente delineato la strategia per la lotta alla mortalità da tumori.

IL FUTURO DELLA RICERCA COMINCIA IN CLASSE

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li Incontri con la Ricerca sono un importante momento di scambio fra studenti e ricercatori per discutere non solo di scienza, ma anche di argomenti quali fattori di rischio e corretti stili di vita, affrontando in maniera critica il tema della prevenzione. In occasione della campagna I Giorni della Ricerca, ricercatori e volontari AIRC hanno incontrato migliaia di studenti di oltre 90 scuole secondarie italiane. Insieme ai ricercatori entrano in classe anche volontari che presentano AIRC e la sua missione, raccontando le iniziative realizzate a sostegno della ricerca a livello locale e nazionale e sottolineando l’importanza e la gratificazione conseguente al loro impegno. Gli Incontri – che fanno parte di “AIRC nelle scuole”, un progetto più ampio dedicato al mondo della scuola – possono essere ospitati in classe in qualunque periodo dell’anno scolastico, candidandosi sul sito www.scuola.airc.it

Si tratta di due armi: diagnosi precoce e miglioramento della terapia. La diagnosi precoce salva vite! Non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo” e ha aggiunto: “Nei prossimi anni ci aspettiamo i più grandi progressi nella robotica e nella diagnostica per immagini, che consentono interventi sempre più precisi, meno invasivi e più efficaci”.

Studenti partecipano all’incontro presso l’Università Federico II di Napoli

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I GIORNI DELLA RICERCA Media e partner

Da vent’anni un punto di riferimento per il pubblico

cercatori e in particolare dei tanti under 40 al lavoro nei laboratori italiani. Accanto a lei Barbara – guarita da un osteosarcoma che l’ha colpita all’età di 9 anni – e Valerio, uno dei ventimila volontari, che mette a disposizione tempo e passione per dare il suo personale contributo alla ricerca.

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Giorni della Ricerca di AIRC hanno compiuto vent’anni, confermandosi l’appuntamento di riferimento per informare pubblico e media sui più recenti risultati della ricerca oncologica e per presentare le prossime sfide contro il cancro, nonché una preziosa occasione di raccolta fondi per la migliore ricerca oncologica. Per un’intera settimana, dal 30 ottobre al 5 novembre, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro è stata impegnata nelle aule delle università, nelle scuole secondarie, nelle piazze di moltissime città, negli stadi di calcio, e nelle trasmissioni televisive e radiofoniche della RAI. Tutte le iniziative dei Giorni della Ricerca sostengono concretamente il lavoro di 5.000 scienziati, impegnati ogni giorno in laboratori di università, ospedali e istituzioni di ricerca in tutta Italia. L’immagine dei Giorni della Ricerca vede protagonisti Stefania, ricercatrice bolognese, in rappresentanza di tutti i ri-

La ricerca è dolce

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a sabato 4 novembre “I Cioccolatini della Ricerca” di AIRC sono stati protagonisti delle piazze italiane. Con una donazione di 10 euro si è potuto sostenere concretamente il lavoro dei ricercatori ricevendo dai volontari AIRC una confezione di ottimi cioccolatini, insieme a una utile guida con preziose informazioni su prevenzione, diagnosi e cura del cancro e con un’esclusiva intervista alla campionessa Margherita Granbassi, volontaria e testimonial dell’Associazione. Dal 6 novembre la distribuzione dei cioccolatini è continuata nelle oltre 1.900 filiali del gruppo UBI Banca presenti su tutto il territorio. A ricordarci l’importanza di non mancare a questo appuntamento è stata anche l’immagine della campagna con protagonista la piccola Vivian, figlia di un ricercatore rientrato in Italia grazie a un finanziamento dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

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Alan De Biasio, originario di Teano, celebra la vincita su Raiuno

RAI e AIRC, binomio (doppiamente) vincente

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nche quest’anno RAI e AIRC hanno ripreso il loro viaggio insieme alla scoperta dei progressi della scienza. Ma forse mai come quest’anno l’emozione è stata così grande. Durante la puntata di sabato 4 novembre dell’Eredità, uno dei tanti appuntamenti speciali del palinsesto dei Giorni della Ricerca, il pubblico a casa e in studio è stato commosso dall’eccezionale gesto del concorrente che ha vinto il quiz, Alan De Biasio. Alan ha infatti deciso di devolvere la metà del montepremi di duecentomila euro all’Associazione e l’ha annunciato con un grido di felicità che ha già fatto storia. Esultando come Fabio Caressa ai mondiali del 2006 (“Andiamo a Berlino!”), Alan ha dedicato la vincita alla madre, guarita da un tumore, urlando: “Mamma, è per te!”. Alan, lei è diventato il campione indiscusso del quiz, se l’aspettava? Quando c’è una nobile intenzione, forse il destino ci aiuta a realizzarla. I Blues Brothers dicevano “siamo in missione per conto di Dio”, ecco, io sono in missione per conto di AIRC. Già prima della gara lei aveva detto che sperava di vincere per donare ad AIRC. Come ha preso questa decisione? Ho vissuto la malattia da vicino. Mia madre è stata operata un anno fa di tumore al seno e ha da pochissimo concluso la radioterapia. Quando mi hanno chiamato per dirmi che avrei giocato a favore di AIRC, l’ho riferito subito a lei, che mi ha fatto promettere di aiu-

tare AIRC. Ovviamente le ho detto subito di sì. Innanzitutto perché è una cosa giusta. E poi perché se lei oggi è con me è grazie al fatto che ha ricevuto una diagnosi precoce, tutto merito della ricerca. Lei è una persona normale che ha fatto un gesto eccezionale, è d’accordo? I gesti eccezionali a volte arrivano proprio da persone normali come me. Io devo moltissimo ad AIRC e ho deciso che avrei donato il 50 per cento di qualsiasi somma avessi vinto. Ma penso che ogni euro sia utile. Come diceva mia nonna, “Chicco a chicco, si riempie il sacco”. Cos’ha detto sua madre quando ha scoperto che aveva vinto? All’inizio non riusciva a crederci. Poi ha capito e ha cominciato a piangere. Per la felicità, ovviamente. È orgogliosa di me, siamo entrambi molto grati ad AIRC e questa donazione non è certo l’ultima cosa che faremo per l’Associazione. Continueremo a dare il nostro sostegno perché è fondamentale. La campagna di informazione e raccolta fondi, partita domenica 29, ha visto impegnate coralmente fino a domenica 5 novembre tutte le trasmissioni televisive, radiofoniche e le testate giornalistiche, con il web e i social della RAI. Questa edizione si è arricchita di altri appuntamenti speciali oltre allo Speciale Eredità, Tale e Quale condotto da Carlo Conti e interamente dedicato alla raccolta fondi per AIRC, Radio2 for AIRC, appuntamento musicale condotto da Tiberio Timperi con Michele Bravi, Chiara, Marianne Mirage e Mahmood, e domenica lo Speciale Tutta Salute su Raitre con Pierluigi Spada e Michele Mirabella. I fondi raccolti saranno destinati a programmi di formazione e specializzazione per giovani ricercatori. GENNAIO 2018 | FONDAMENTALE | 35


RACCOLTA FONDI Partner

In campo con AIRC

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campioni del mondo del calcio, le squadre di Lega Serie A TIM e AIA sono scesi in campo il 4 e 5 novembre per invitare i tifosi a sostenere i giovani talenti della ricerca sul cancro inviando un SMS al 45510. Un Gol per la Ricerca è stata promossa da RAI Sport, Sky Sport, RTL 102.5 e dai media sportivi. Alessandro Del Piero, ambasciatore di questa iniziativa, è stato affiancato da quattro testimonial d’eccezione: Claudio Marchisio, Stephan El Shaarawy, Leonardo Bonucci e Francesco Acerbi. Grazie alla partnership con FIGC, anche la Nazionale Italiana ha scelto di sostenere AIRC in occasione della partita Italia-Svezia del 13 novembre.

Milano Marathon

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8 aprile 2018 alla Milano Marathon potrai scegliere di correre per AIRC, l’intero percorso o dividendo l’impegno con un team di amici o colleghi. Per le aziende, i team aziendali possono essere la giusta occasione per sperimentare una originale attività di team building e wellness verso i dipendenti. Corri per AIRC, e impegnati in una doppia sfida sportiva e solidale per sostenere la lotta ai tumori pediatrici. AIRC ti affiancherà durante tutto il percorso, di allenamento e di raccolta fondi. Ti aspettiamo per correre insieme e raggiungere il traguardo più importante: un futuro libero dal cancro. Per ricevere ogni dettaglio e tutte le istruzioni per attivarsi scrivi a run4@airc.it

Banco BPM

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l nuovo gruppo bancario nato dalla fusione di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, ha deciso di sostenere la nascita di un nuova squadra di ricercatori AIRC attraverso il finanziamento di eventi di raccolta fondi. In occasione del Natale Banco BPM ha omaggiato i suoi clienti di un calendario dedicato alla nostra Associazione con le immagini di 12 volti di ricercatori che raccontano il loro percorso per rendere il cancro sempre più curabile. Nelle 2.300 filiali del gruppo, una campagna dedicata ha invitato i clienti a partecipare alle nostre attività attraverso una donazione.

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Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze

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ontinua la collaborazione triennale tra l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, avviata nel 2016, che ha già visto la nascita di un bando congiunto fortemente innovativo e destinato al potenziamento delle strutture oncologiche di Firenze, Empoli e Prato. La partnership prevede inoltre il cofinanziamento di bandi tradizionali AIRC per progetti di ricerca e borse di studio. Dal 2016 ad oggi la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e AIRC hanno destinato, nella misura del 50 per cento, 3.579.600 euro alla ricerca oncologica fiorentina.

8 APRILE 2018

Con il progetto #oggicorroperAIRC ricercatori, colleghi e sostenitori corrono insieme per rendere il cancro sempre più curabile; l'occasione giusta per attivarsi in una doppia sfida: solidale e sportiva. Per sapere come partecipare con la tua azienda contattaci: run4@airc.it

#oggicorroperAIRC


RACCOLTA FONDI Le Arance della Salute

Contro il cancro, un pieno di vitamine e solidarietà Le Arance della Salute tornano in migliaia di piazze italiane sabato 27 gennaio per sostenere la ricerca oncologica e informarsi su cura e prevenzione

Per trovare Le Arance della Salute chiama il numero

840 001 001

(dal 15 gennaio) o vai sul sito airc.it

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a cura della REDAZIONE l nuovo anno di raccolta fondi si apre per AIRC con il simbolo dell’alimentazione sana: le Arance della Salute. A colorare migliaia di piazze italiane saranno le arance rosse, ricche di antociani, pigmenti naturali dagli eccezionali poteri antiossidanti, e di vitamina C (circa il 40 per cento in più rispetto agli altri agrumi). Le arance, rigorosamente di origine italiana, saranno distribuite sabato 27 gennaio, grazie all’aiuto prezioso di 15.000 vo-

lontari. Con un contributo minimo di 9 euro per una reticella da 2,5 kg di arance rosse, tutti i sostenitori che si recano ai banchetti potranno portarsi a casa un alimento sano e vitaminico e allo stesso tempo contribuire alla raccolta di nuove risorse da destinare al lavoro di circa 5.000 ricercatori. Le reticelle sono accompagnate da una pubblicazione dedicata ai progressi della ricerca e ai corretti stili di vita, che illustra l’importanza di abitudini come la sana alimentazione e l’esercizio fisi-

co per prevenire il cancro ma anche per aiutare chi è malato. Nel libretto, anche tante gustose e sane ricette. Inoltre, per la prima volta, in alcune piazze d’Italia sarà possibile donare con il bancomat. Le Arance della Salute arrivano anche sui banchi di scuola con “Cancro, io ti boccio”: in centinaia di istituti in tutta Italia venerdì 26 e sabato 27 gennaio bambini e ragazzi, insieme ai genitori e agli insegnanti, diventano volontari per un giorno, distribuendo le arance rosse. GENNAIO 2018 | FONDAMENTALE | 37


IL MICROSCOPIO

Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC

Le sfide che ci attendono nel 2018

ATTENTI ALLE TRUFFE AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, con incaricati che vanno di casa in casa. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando la polizia (113) o i carabinieri (112).

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compito di AIRC identificare gli schemi più innovativi di finanziamento della ricerca per rispondere sempre meglio sia alle sfide che i ricercatori devono affrontare, sia alle necessità dei pazienti e alle richieste dei donatori. Proviamo quindi a mettere a fuoco le sfide che ci attendono e gli impegni propositivi di AIRC per il 2018. A questo proposito, parafrasando la famosa frase di Bernardo di Chartres, è importante ricordare che, se oggi possiamo vedere con maggior chiarezza il futuro della ricerca oncologica, è perché “siamo sulle spalle di giganti che ci hanno preceduto e segnato la strada”. Il 2017 ha visto la scomparsa di Umberto Veronesi, uno dei fondatori di AIRC, mentre il 2015 aveva visto la scomparsa di Gianni Bonadonna: due autentici giganti dell’Oncologia mondiale il cui esempio è di continuo sprone per la missione di AIRC. Una prima sfida per la ricerca oncologica è la complessità, enormità e rapidissima evoluzione delle informazioni sul genoma umano a loro volta dipendenti dalla continua trasformazione tecnologica. Quest’ultima offre alla creatività dei ricercatori strumenti sempre migliori e più sofisticati per rispondere alle domande “giuste” in ambito oncologico. L’esplosività delle innovazioni tecnologiche porta naturalmente a scommettere sulla capacità che i giovani hanno di sfruttare in modo innovativo le risorse offerte. Per raggiungere risultati utili occorre combinare creatività e tecnologia, essere perseveranti, rigorosi e appassionati per accelerare il più possibile il trasferimento dei risultati della ricerca

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alla clinica. L’immunoterapia ne è l’esempio più recente: le nuove terapie basate sulla manipolazione del sistema immunitario stanno offrendo reali opportunità per il trattamento di numerosi tipi di tumore prima incurabili. I tempi sono maturi perché la cosiddetta “medicina di precisione” diventi una realtà clinicamente sempre più estesa. Il flusso di nuovi farmaci da parte delle aziende farmaceutiche è da questo punto di vista imponente, mentre le ricerche cliniche guidate da ricercatori indipendenti meritano di essere aumentate. Tali ricerche sono spesso concentrate su tumori rari o su situazioni trascurate dalle grandi aziende farmaceutiche, ma essenziali per i pazienti. Infine emerge con sempre maggiore chiarezza il ruolo chiave delle relazioni e dello scambio scientifico a livello internazionale. La vera partita della conoscenza e dei suoi progressi cruciali per i pazienti si gioca a livello di cooperazione. È a questo livello che occorre dimostrare di essere capaci e competitivi: per questo dobbiamo favorire la capillare e omogenea crescita scientifica e culturale del Paese per non perdere nessun talento, nessun giovane appassionato e capace e al tempo stesso stringere alleanze con agenzie internazionali che condividono finalità affini alla missione di AIRC. Per affrontare questi problemi AIRC sta diversificando i suoi bandi in modo da offrire sia a giovani che a ricercatori affermati, sia a ricercatori di base che traslazionali e clinici nuove opportunità per trovare la cura del cancro attraverso la ricerca.


SCOPRI LE NUOVE IDEE SOLIDALI!

DAI VOSTRI MOMENTI SPECIALI PRENDE FORMA NUOVA RICERCA. La vita è piena di occasioni che vale la pena di celebrare: dal matrimonio al battesimo, dalla cresima alla laurea. Scegliendo le idee solidali AIRC donerete un sostegno concreto a chi lavora ogni giorno per rendere il cancro sempre più curabile.

Potete scoprire tutte le nuove proposte su airc.it/ideesolidali o chiamando il numero 02 901.692.90


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