Fondamentale ottobre 2025

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La rivista di divulgazione scientifica più diffusa in Italia

Sommario

FONDAMENTALE ottobre 2025

Andrea

Impatto

I

I

FONDAMENTALE

Anno LIII - Numero 4 ottobre 2025 - AIRC Editore

DIREZIONE E REDAZIONE

Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152

Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A.

DIRETTORE RESPONSABILE

Daniele Finocchiaro

COORDINAMENTO EDITORIALE

Anna Franzetti, Simone Del Vecchio

REDAZIONE

Simone Del Vecchio, Jolanda Serena Pisano PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE kilowatt.bo.it

TESTI

Anna Lisa Bonfranceschi, Denise Cerrone, Sofia Corradin, Cristina Da Rold, Riccardo Di Deo, Fabio Di Todaro, Camilla Fiz, Antonino Michienzi, Arianna Monticelli, Roberta Villa FOTOGRAFIE

Claudio Bonoldi 2024, Alberto Gottardo 2019, Getty Images, Marco Onofri 2025, Carlo Ramerino 2025, Pierluigi Siena 2024.

“Ogni
che scopriamo qualcosa sentiamo che dobbiamo molto a chi ci sostiene” NASTRO ROSA

PREVENZIONE

Mastectomia preventiva: una scelta informata e personale

Chiara e i fili della vita che portano ad AIRC

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SEMPRE PIÙ UNITI CONTRO IL CANCRO

Il numero di ottobre di Fondamentale è tradizionalmente dedicato alla sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione e della ricerca dedicate al tumore al seno, oggi la seconda tipologia di cancro più diffusa nel mondo e la più frequente in Italia. Uno studio pubblicato nel febbraio scorso sulla rivista Nature Medicine ha stimato che entro il 2050 i casi di questo tumore aumenteranno del 38%, passando da 2,3 milioni a 3,2 milioni, mentre i decessi per questa malattia passeranno da 670.000 a 1,1 milioni, con un aumento del 68%. Questo incremento, di cui ci parla all’interno di questo numero la direttrice scientifica di AIRC Anna Mondino, ci conferma come l’impatto del cancro, non solo di quello al seno, sulla salute pubblica sia destinato ad aggravarsi. Per rispondere a questa emergenza, una grande mobilitazione a livello mondiale ha consentito negli ultimi anni di aumentare sempre di più i fondi destinati alla ricerca oncologica. Una mobilitazione che, guardando nello specifico al nostro Paese, è partita dal basso. Quest’anno, infatti, il centro di ricerca CERGAS dell’Università Bocconi ha condotto un’analisi approfondita del finanziamento della ricerca oncologica in Italia negli ultimi 10 anni, e il rapporto che ne è emerso, Alle fonti della ricerca, mostra come, dal 2016 al 2023, le organizzazioni non profit hanno finanziato il 48% della ricerca sul cancro sul territorio nazionale. Un dato che dimostra quanto la sensibilità nei confronti del problema tumori sia elevata e diffusa nella popolazione italiana. In questo contesto il ruolo di Fondazione AIRC è stato particolarmente rilevante se non fondamentale. Grazie alla generosità dei nostri donatori, tra il 2016 e il 2023 abbiamo destinato oltre 973 milioni di euro a 5.400 ricercatori attivi in circa 100 istituzioni e strutture sanitarie del nostro Paese. Abbiamo continuato a farlo garantendo l’efficienza del processo, con un’incidenza dei costi complessivi della Fondazione che non supera il 18% dei fondi raccolti, una best practice a livello nazionale e internazionale. Escludendo la ricerca corrente del Ministero della salute, i fondi dell’Unione europea e quelli straordinari del PNRR, il finanziamento di AIRC ha rappresentato quindi circa il 70% dei fondi alla ricerca oncologica italiana competitiva. Si tratta peraltro di denaro allocato agli scienziati italiani mediante un rigoroso processo di valutazione basato sul ricorso a peer review internazionale, che garantisce la qualità e la valenza scientifica dei progetti sostenuti. Ciò premesso, la varietà e la numerosità dei soggetti che sostengono la ricerca oncologica nel nostro Paese rappresenta certamente una ricchezza. La sfida per il futuro è mettere a punto un coordinamento sempre più stretto tra i finanziatori, che consenta di massimizzare i risultati nel percorso verso l’obiettivo che accomuna tutti noi: rendere il cancro sempre più curabile.

Vita da ricercatore

“OGNI VOLTA CHE SCOPRIAMO QUALCOSA SENTIAMO

CHE

DOBBIAMO MOLTO A CHI CI SOSTIENE”

In questo articolo:

— TUMORE AL SENO

— NASTRO ROSA AIRC

— RESISTENZA AI TRATTAMENTI

Andrea Morandi all’Università di Firenze studia le strategie che il tumore al seno sfrutta per adattarsi e sfuggire alle terapie a cura di Antonino Michienzi

“Chi fa ricerca lo sa: il nostro è un lavoro fatto di piccoli passi; una professione che richiede tanta pazienza e che impone di stare con i piedi per terra. Nella vita da ricercatore si alternano momenti di entusiasmo ad altri in cui le cose non vanno come spereremmo; i fallimenti non sono rari e bisogna essere consapevoli che anche quelli ci insegnano qualcosa di utile.” Andrea ha le idee chiare su una delle sfide principali della sua professione e sulla ricetta per affrontare un lavoro che è un po’ una maratona: lunga, con salite e discese e il rischio di sfiduciarsi dietro l’angolo. “La difficoltà per chi fa il nostro lavoro è tenere viva la motivazione, e per riuscirci occorre avere un orizzonte lungo, sapendo che

Andrea Morandi da anni studia il tumore al seno e in particolare le strategie di adattamento delle cellule di questa neoplasia

quello che facciamo potrà avere un impatto concreto sulla vita di qualcuno anche a distanza di tempo. Questo è ciò che ci fa andare avanti.”

Quarantatré anni, dopo una lunga esperienza di ricerca a Londra Andrea ha deciso di tornare a casa, a Firenze. Da anni studia il tumore al seno e uno degli apparenti paradossi che affliggono questa diffusissima neoplasia: è una di quelle per cui sono stati ottenuti i risultati più importanti, eppure continua a rappresentare una sfida. “In genere risponde bene alle cure. Però, in alcuni casi, anche i tumori che sembrano sconfitti possono ricomparire. Ciò avviene soprattutto grazie alla grande capacità di adattamento delle cellule tumorali, che riescono a mettere in atto strategie per sopravvivere ai farmaci” spiega.

Proprio questo è il campo in cui si concentra l’attività di ricerca di Andrea: comprendere quali strategie camaleontiche mettano in atto le cellule tumorali per sfuggire alle terapie. “Perché alcuni trattamenti funzionano e altri no? Perché in alcuni casi, dopo un iniziale successo terapeutico, le cure smettono di fare effetto? In che modo le cellule riescono a cambiare quando sono messe sotto pressione dal farmaco?” si chiede il ricercatore.

La chiave per comprendere questi comportamenti potrebbe risiedere nel metabolismo delle cellule malate, cioè nei meccanismi attraverso cui il tumore si procura l’energia necessaria a crescere, moltiplicarsi, diffondersi nell’organismo. “Ricordo come è nato questo interes-

se” racconta Andrea. “Ai tempi in cui lavoravo a Londra, ero impegnato a cercare di capire come queste cellule cambiavano nel tempo la loro rete di molecole segnalatorie che guidano la crescita del tumore. C’era una cosa di cui mi rendevo conto: più le cellule diventavano aggressive, più erano in grado di trovare percorsi alternativi.” Dal punto di vista clinico, comprendere come funziona questo motore dell’adattamento cellulare è cruciale. “Non basta semplicemente tagliare i viveri alle cellule tumorali, perché sono in grado di adattarsi e trovare vie alternative di approvvigionamento, grazie alla loro plasticità e capacità di riprogrammazione. Dobbiamo capire come interrompere efficacemente questi meccanismi” spiega il ricercatore.

Questi temi sono stati al centro di un progetto quinquennale sostenuto da un Investigator Grant di AIRC che si è concluso da qualche mese. Il lavoro ha rivelato che si possono rendere più efficaci le terapie intervenendo sul metabolismo lipidico delle cellule tumorali. Inoltre, questa strategia potrebbe contribuire a prevenire o ritardare l’insorgenza della resistenza ai farmaci. Tra i superpoteri delle

UN PODCAST FONDAMENTALE

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cellule tumorali resistenti c’è, infatti, la capacità di accumulare e immagazzinare energia sotto forma di goccioline lipidiche. Questo “serbatoio di riserva” le aiuta a fronteggiare condizioni di stress, come quelle generate dalle terapie farmacologiche, rendendole più difficili da colpire. Da gennaio il ricercatore è al lavoro su nuovo progetto quinquennale sostenuto da AIRC. Questa volta, studierà una piccola struttura di nome perossisoma, che si trova all’interno delle cellule e svolge funzioni fondamentali per il metabolismo e il controllo dello stato ossidativo.

Il lavoro è ancora lungo. “L’obiettivo finale è identificare molecole chiave, sulle quali intervenire in modo da disattivare i meccanismi di adattamento dei tumori e renderli vulnerabili alle terapie” illustra Andrea, che è ben consapevole che, nella ricerca, le cose non sempre vanno come preventivato. “Se non arriveremo a questo risultato, il lavoro non sarà comunque inutile: grazie allo studio impareremo a riconoscere quei tumori che presentano anomalie in questo compartimento cellulare. Ciò ci consentirà di identificare a priori i pazienti che molto probabilmente non risponderanno alle terapie convenzionali e che avranno bisogno di altri approcci.”

Ne parleremo tra qualche anno. Intanto Andrea, all’Università di Firenze, oltre alla ricerca svolge anche attività didattica. “Sono una di quelle persone che preferiscono il laboratorio alla docenza, tuttavia mi rendo conto che anche questo aspetto è importante. È gratificante notare l’interesse degli studenti e sono orgoglioso di trasmettere loro la passione per la ricerca. Certo, è un impegno non da

poco. Da conciliare anche con il mio hobby, la corsa, e con la vita familiare” continua Andrea.

“Ho 2 bambini, di 6 e 10 anni. Adoro fare il babbo e cerco di dedicare loro quanto più tempo possibile” dice. Quando lo abbiamo intervistato, era in procinto di partire con la famiglia per un campeggio di qualche giorno al mare, approfittando del weekend lungo per San Giovanni, patrono di Firenze. “Sarà un’esperienza completamente nuova” afferma, “e anche un modo per recuperare il tempo che non abbiamo trascorso insieme nelle ultime settimane. Sono stato impegnato in congressi a Milano, Lisbona e Torino.”

Anche questa è la vita di un ricercatore. “Che per me è cominciata quasi per caso: dopo la laurea in biotecnologie avrei voluto lavorare in azienda. Ma mentre spedivo curricula e organizzavo colloqui, ho deciso di partecipare anche al concorso per il dottorato in oncologia sperimentale e clinica. Mi hanno preso e alla fine non ho più lasciato questo settore” racconta. Poi AIRC ci ha messo lo zampino. “Sono rientrato in Italia grazie a una borsa di studio della Fondazione” racconta Andrea. “Successivamente ho presentato progetti per i bandi Start-Up e My First AIRC Grant, che però non sono stati finanziati” dice sorridendo Andrea. “Nonostante questo, ho continuato a credere nel sistema meritocratico di AIRC. E alla fine è arrivato il riconoscimento: l’Investigator Grant, che ha segnato una svolta nella mia carriera. Oggi sono orgoglioso di rappresentare AIRC e sono disponibile per qualunque evento, da quelli divulgativi ai banchetti delle iniziative in piazza: è un modo per ritrovare il senso di quel che facciamo. Quando ti confronti con le persone – con i donatori, con i volontari, con i malati – torni in laboratorio con un carico di motivazione importante e la consapevolezza di dover rendere conto anche a loro dei tuoi risultati. È una sorta di ricarica che ti fa trovare fiducia e ti ricorda che dietro il nostro lavoro ci sono persone che credono in noi e ripongono speranze in quello che facciamo. Così, tutte le volte che scopri qualcosa di nuovo –anche una cosa piccola – pensi che sia pure merito loro” conclude Andrea.

NASTRO ROSA AIRC 2025

Andrea Morandi è uno dei tanti ricercatori che beneficia dei fondi raccolti grazie alla campagna Nastro Rosa AIRC, che torna anche quest’anno con una nuova edizione. Un’occasione per ricordarci che il grande traguardo di arrivare a curare tutte le donne colpite da tumore al seno è a portata di mano. Nel corso dell’intero mese di ottobre, informazioni e consigli a tema cancro al seno saranno disponibili sia sul sito nastrorosa.it sia sui canali social di AIRC, utilizzando l’hashtag #nastrorosaairc. I partner della campagna contribuiranno con iniziative di sensibilizzazione e raccolta fondi, sostenendo AIRC e la ricerca sul tumore al seno e mettendo a disposizione la propria rete per distribuire, insieme ai nostri uffici regionali, le spille con il simbolo della campagna: un nastro rosa incompleto, come l'obiettivo che non è stato ancora raggiunto pienamente. Le spillette, a fronte di una donazione minima di 2 €, si potranno trovare in migliaia di farmacie e punti di distribuzione in tutta Italia. Per scoprire quali, visita il sito nastrorosa.it a fine settembre.

Tumore al seno

Impatto nel mondo

IL TUMORE AL SENO: A PICCOLI PASSI VERSO PREVENZIONE, DIAGNOSI E CURA

a cura di Anna Mondino, direttrice scientifica AIRC

Il tumore al seno origina dalla moltiplicazione incontrollata di cellule all’interno della ghiandola mammaria. Colpisce sia uomini sia donne e a oggi, secondo i dati GloboCan, è la seconda neoplasia più diagnosticata al mondo. I principali fattori di rischio sono noti: sovrappeso, obesità, consumo di alcol, età precoce alla prima mestruazione e assenza di allattamento al seno. Una recente analisi dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), pubblicata su Nature Medicine, ha predetto un aumento importante da qui al 2050 dei nuovi casi nel mondo (38%), e anche dei decessi, soprattutto per i Paesi a basso indice di sviluppo. Nell’Unione europea, il tumore al seno resta la principale causa di morte oncologica femminile, e colpisce una donna su 8 nel corso della vita.

In questo contesto, Fondazione AIRC continua a investire con determinazione nella ricerca: solo nel 2024 ha destinato oltre 141 milioni di euro a progetti scientifici, borse di studio e programmi speciali. La quota significativa di 14 milioni di euro è stata

LA MORTALITÀ OGGI

Tutte le fasce d’età, mortalità ogni 100.000 abitanti

dato

LA MORTALITÀ

DAL 2022 AL 2050

Mortalità globale, stime (tutte le fasce d’età)

1.118.583

666.103

IL CALO DELLA MORTALITÀ IN EUROPA

Tutte le fasce d'età, mortalità ogni 100.000 abitanti

su riviste internazionali, troviamo progettualità di ricerca clinica e di base. Lo studio multicentrico PALMARES-2 ha confrontato l’efficacia reale di palbociclib, ribociclib e abemaciclib, i 3 principali inibitori delle molecole CDK4/6 (importante per la proliferazione delle cellule), in combinazione con una terapia ormonale, in pazienti con carcinoma avanzato positivo per i recettori degli estrogeni. Lo studio ha stratificato i pazienti in base a caratteristiche genetiche e cliniche e identificato come terapie di combinazione diverse siano più o meno efficaci in sottogruppi di pazienti. Questa ricerca potrebbe aiutare a guidare i medici in approcci personalizzati, con ricadute dirette sulla cura e sulla qualità della vita delle pazienti.

Fondi AIRC per la ricerca sul tumore al seno 2024

dedicata a finanziare progettualità innovative dedicate allo studio del tumore al seno, con particolare attenzione alle forme più aggressive e metastatiche.

I risultati della ricerca non mancano e l’impatto clinico è evidente. Uno studio coordinato da Carlo La Vecchia e pubblicato su Annals of Oncology ha stimato che solo nell’Unione europea tra il 1988 e il 2025 siano stati evitati 373.000 decessi per tumore al seno. Oggi, l’88% delle donne colpite è viva a 5 anni dalla diagnosi. I successi registrati sono attribuibili a diversi fattori, non responsabili singolarmente del risultato, ma frutto di un approccio integrato che comprende screening organizzati, diagnosi anticipata, miglioramenti nella chirurgia, radioterapia, chemioterapia, terapie ormonali e anticorpi monoclonali.

La sfida resta aperta però per le forme più aggressive, come il tumore al seno triplo negativo o il cancro al seno metastatico, una malattia quest’ultima con cui oggi convivono circa 37.000 donne nel nostro Paese. La ricerca AIRC ha contribuito a rafforzare le strategie di prevenzione, diagnosi e trattamento con progettualità di ricerca innovative, inserite nel panorama internazionale. Abbiamo studiato i meccanismi di insorgenza e progressione e ora sappiamo che mutazioni genetiche o alterazioni epigenetiche (che non cambiano la sequenza del DNA, ma influenzano il modo in cui i geni vengono “letti”), possono attribuire alle cellule la capacità di proliferare senza controllo, invadere i tessuti circostanti e, in alcuni casi, diffondersi ad altri organi (metastasi).

Tra gli studi più recenti, pubblicati

Altri lavori hanno approfondito l’impatto delle chirurgie profilattiche sulla sopravvivenza nelle giovani portatrici della mutazione del gene BRCA, il ruolo del microambiente tumorale e dei linfociti (cellule immunitarie adibite al riconoscimento e il rigetto del tumore) nel prevedere l’andamento della malattia, e l’efficacia di approcci innovativi come la dieta mima-digiuno. Studi molecolari hanno inoltre identificato nuovi bersagli terapeutici e marcatori predittivi di risposta, aprendo la strada a terapie sempre più personalizzate. Uno dei progetti speciali finanziato grazie alla raccolta derivata dal 5 per mille ha studiato un particolare aspetto del carcinoma triplo negativo, relativo alla meccanobiologia, ossia come forze meccaniche e proprietà fisiche dei tessuti influenzino i processi biologici, e la vita delle cellule tumorali. I risultati suggeriscono che alterazioni nella meccanica del microambiente tumorale possono favorire la progressione del tumore e la formazione di metastasi, aprendo la strada all’identificazione di nuovi bersagli terapeutici.

La ricerca di AIRC rimane concentrata sugli obiettivi: trovare le cause dello sviluppo del cancro e della resistenza alle terapie esistenti, e sviluppare nuove cure, efficaci anche per i pazienti per cui oggi non sono disponibili terapie, nel rispetto della qualità di vita.

La direttrice scientifica di Fondazione AIRC Anna Mondino

Prevenzione del tumore al seno

Mastectomia

MASTECTOMIA PREVENTIVA: UNA SCELTA INFORMATA E PERSONALE

In questo articolo:

— BRCA1 E 2

— TEST GENETICI

— SCREENING MAMMOGRAFICO

In alcune donne con mutazioni genetiche, come BRCA1 e BRCA2, la probabilità di sviluppare un tumore al seno nel corso della vita può superare il 70%. L’asportazione del seno, da valutare con un team di esperti multidisciplinare, può essere un’opzione per ridurre drasticamente questo rischio

a cura di Anna Lisa Bonfranceschi

Il tumore al seno è in assoluto la neoplasia più frequente in Italia, con circa 53.000 nuove diagnosi l’anno. Tra le strategie di prevenzione oggi a disposizione c’è anche la mastectomia, ovvero l’asportazione delle ghiandole mammarie. Questo intervento può essere consigliato ad alcune donne che presentano un alto rischio di ammalarsi, perché portatrici di determinate mutazioni nel loro DNA. Una possibilità in più di ridurre le probabilità di cancro, accanto ai corretti stili di vita e agli screening, resa disponibile grazie agli studi di genetica, che hanno portato all’identificazione di determinati geni. Primi tra tutti, BRCA1 e BRCA2, che se mutati aumentano di molto il rischio di alcuni tumori, come appunto quello alla mammella. Nelle donne portatrici di queste mutazioni, infatti, la probabilità di sviluppare un cancro alla mammella nel corso della vita può arrivare anche al 70%, contro il 13% circa che si registra nella popolazione generale. E l’asportazione del tessuto ghiandolare, tramite mastectomia,

può ridurre tantissimo questo rischio. “La mastectomia profilattica è raccomandata alle persone sane, che quindi non hanno mai sviluppato il tumore ma presentano un’alterazione in alcuni geni” spiega Matteo Lambertini, oncologo presso l’Ospedale San Martino di Genova e professore associato di oncologia medica presso l’ateneo genovese. “Il caso più famoso è quello di Angelina Jolie, persona sana che non ha mai sviluppato un tumore della mammella, ma che, dopo aver saputo di essere portatrice di una mutazione nei geni BRCA che predispone al carcinoma, per ridurre il rischio di ammalarsi ha deciso di rimuovere entrambe le ghiandole della mammella. Parliamo dunque di una procedura che va fatta solamente in casi selezionati, in persone che hanno un’alterazione genetica che predispone allo sviluppo del tumore.” Ma come sapere se si ha una predisposizione di questo tipo? I test genetici che permettono di trovare le mutazioni nei geni incriminati – non solo BRCA 1 e 2, che pure sono i più frequenti – non sono raccomandati per la popolazione generale. “Per fare il test ci sono dei criteri molto chiari

e stabiliti dalle linee guida nazionali e internazionali” riprende Lambertini. “Casi di tumore al seno verificatisi in famiglia sono uno di questi criteri, ma non l’unico, e solo l’oncologo e il genetista sono in grado di capire se questi casi giustifichino il ricorso ai test genetici.” Nel valutare se indirizzare o meno una paziente alla consulenza genetica, infatti, vengono presi in considerazione diversi fattori, come il grado di parentela dei casi di tumori

UN PODCAST FONDAMENTALE

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Deve essere uno specialista a valutare se ci sono i presupposti per raccomandare la consulenza genetica

in famiglia, l’età di insorgenza e i tipi di cancro diagnosticati – i geni BRCA possono aumentare il rischio anche di altre neoplasie, come quelle alle ovaie, alla prostata e al pancreas. A raccomandare l’eventuale consulenza genetica, considerando tutti questi fattori, dovrebbe essere il primo specialista di

competenza con cui la donna viene in contatto, riprende l’esperto: “Può essere il ginecologo, per una ragazza molto giovane che non si sottopone ancora alla mammografia, o può essere invece il radiologo o il senologo, in chi ha già iniziato lo screening mammografico o magari ha deciso per conto proprio di sottoporsi ai controlli qualche anno prima dell’età raccomandata per gli screening”.

Nel caso in cui i test genetici evidenzino la presenza di mutazioni a rischio, due sono le strade che si aprono alle donne. La mastectomia preventiva è una di queste, raccomandata e discussa con le pazienti in considerazione di diversi fattori, che tengono conto sia della storia medica familiare e personale sia della percezione del rischio individuale, riprende Lambertini. “La mastectomia riduce di oltre il 90% il rischio di sviluppare un tumore della mammella, ma per questa neoplasia sappiamo che esistono anche strategie di screening molto efficaci.”

Nelle donne con predisposizione genetica, queste strategie includono anche la risonanza magnetica, eseguita a intervalli temporali ravvicinati, insieme a ecografia e mammografia a seconda dell’età, per favorire la diagnosi precoce di malattia, spiega l’oncologo. “Il percorso di screening è leggermente differenziato a seconda dei geni mutati. Nel caso di mutazioni a

carico del genere BRCA1, i controlli sono più serrati, ogni 6 mesi. Per le portatrici di alterazioni a carico di BRCA2, invece, è raccomandato farli una volta l’anno.”

Nella fase di discussione tra medici e pazienti, in cui le donne valutano e scelgono se sottoporsi a questi controlli o se seguire la via dell’inter-

il tumore alla mammella, specialmente dopo conferma – con risonanza magnetica – che il tessuto ghiandolare sia stato del tutto asportato con l’intervento. “Per cautela, in queste pazienti si esegue comunque un’ecografia annuale” precisa Lambertini. “D’altra parte, una mastectomia preventiva implica comunque dei rischi,

Un team multidisciplinare
può aiutare la donna a decidere se sottoporsi o meno all’intervento

vento chirurgico, un ruolo di primo piano nell’accompagnarle nella loro scelta è svolto dalla figura dello psico-oncologo. “Non è solamente il chirurgo che aiuta la donna a decidere, ma è un team multidisciplinare, fatto di esperti che trattano la stessa patologia da angoli diversi e che insieme possono supportare la donna sana nello scegliere se sottoporsi o meno a questa procedura, valutando tutti i pro e contro” riprende l’esperto. Dopo l’intervento, le donne possono praticamente azzerare i controlli per

legati alle complicanze dell’intervento chirurgico e alle sue conseguenze a livello estetico.”

A pesare sulla scelta della paziente, però, è anche la percezione, del tutto personale, del rischio oncologico: se alcune persone sono più propense ad accettarlo, e con esso le ansie che comportano i controlli ravvicinati, altre invece preferiscono affrontare un intervento chirurgico. Anche in considerazione della propria storia, prosegue l’oncologo: “Ci sono persone che arrivano da una famiglia in cui

si sono verificati molti casi di tumore della mammella, magari in giovane età, e sono più propense ad abbracciare la strada della mastectomia preventiva. Altre invece possono avere famiglie in cui non si sono registrati casi di tumore, o in cui questi si sono sviluppati più in là negli anni, e hanno quindi una percezione completamente diversa della problematica e anche del loro rischio”.

Discorso diverso vale nel caso di una sottopopolazione di pazienti con mutazioni nei geni BRCA: quella delle giovani donne che hanno già sviluppato un tumore. Per loro la raccomandazione a un intervento di mastectomia per ridurre il rischio di un secondo tumore è particolarmente forte. A rafforzarla, di recente, sono state le evidenze emerse da uno studio, sostenuto da AIRC e coordinato da Matteo Lambertini stesso, che ha coinvolto oltre 5.000 pazienti provenienti da più di 100 centri in tutto il mondo. La ricerca ha preso in considerazione gli esiti di un intervento chirurgico di riduzione del rischio nelle donne under 40 che avevano già sviluppato un tumore al seno. I risultati, pubblicati sulla rivista Lancet Oncology, mostrano un netto guadagno di sopravvivenza per le giovani donne con tumore che si sono sottoposte a mastectomia e interventi di rimozione delle ovaie e delle tube (anch’essi raccomandati per le portatrici di questi geni). La media di sopravvivenza di quante si erano sottoposte all’intervento, calcolata su vent’anni, era di quasi 18 anni, contro i 16,6 delle donne che non si erano sottoposte all’intervento. “Sulla base di questi risultati, la raccomandazione oggi di sottoporsi a un intervento di mastectomia bilaterale nelle giovani donne che hanno avuto un tumore al seno è forte” afferma Lambertini. “In questo modo, infatti, possono evitare di sviluppare un secondo tumore della mammella e le sue conseguenze.” Un rischio che è particolarmente elevato in questa popolazione femminile, ricordano gli esperti.

Guida alle terapie

Terapie ormonali

TERAPIA ORMONALE PER IL TUMORE AL SENO, SEMPRE PIÙ SU MISURA

In questo articolo:

— TUMORE AL SENO

— RECETTORE PER GLI ESTROGENI — RESISTENZA AI TRATTAMENTI

La terapia ormonale per il tumore al seno, nata negli anni Sessanta, si è evoluta in trattamenti sempre più mirati, che consentono in alcuni casi di superare la resistenza alle cure e migliorare la prognosi anche nelle forme metastatiche

a cura di Roberta Villa

Pochi lo ricordano, ma la prima terapia “personalizzata” contro il cancro risale addirittura agli anni Sessanta e fu il tamoxifene, un trattamento ormonale per il tumore al seno. Prima di allora, l’unica cura per questa neoplasia era la chemioterapia. “Per la prima volta si osservò una variabilità molecolare tra tumori che colpivano lo stesso organo, cui corrispondeva la necessità di una diversificazione delle cure” racconta Giampaolo Bianchini, responsabile della patologia oncologica della mammella presso il Dipartimento di oncologia medica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Per funzionare, la terapia ormonale aveva bisogno che le cellule del tumore esprimessero un recettore specifico, cioè una proteina presente sulla superficie o all’interno delle cellule in grado di riconoscere una particolare sostanza e legarsi

a essa. In questo caso, il recettore che doveva essere presente era quello per gli ormoni chiamati estrogeni, che si trova in circa 3 quarti dei casi di tumore e che definisce la neoplasia come ER+. “Si potevano così selezionare sulla base di un marcatore biologico le pazienti con maggiori probabilità di trarre vantaggio dalla terapia, evitando alle altre i suoi effetti indesiderati.” E questo, più di trent’anni prima che fossero autorizzate quelle cure innovative dette mirate, o – con un brutto anglismo – “targetizzate”, che insieme ad altri approcci avrebbero per molti versi rivoluzionato la cura del cancro a partire dal nuovo millennio.

Che la crescita del tumore al seno potesse dipendere da un’azione ormonale, però, si era scoperto prima ancora della scoperta degli ormoni stessi. Già

alla fine dell’Ottocento, infatti, il medico scozzese Thomas Beatson aveva dimostrato che in qualche caso, asportando le ovaie, si poteva prolungare la sopravvivenza delle donne con tumore al seno. Ancora oggi in determinate situazioni si ricorre a questo tipo di intervento, o all’irradiazione dell’ovaio, ma più spesso una completa, ma reversibile, sospensione dell’attività ovarica si ottiene con farmaci specifici, come gli LHRH-analoghi o gli agonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine, GnRH.

VARIE CLASSI DI FARMACI

La conferma delle osservazioni di Beatson arrivò a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando Elwood Jennsen, dell’Università di Chicago, scoprì il recettore per gli estrogeni sul tessuto mammario. Emerse quindi subito la possibilità di modularne l’attività tramite il tamoxifene e poi altri prodotti, come il raloxifene, della stessa classe, cui ci si riferisce con l’acronimo SERM (Selective Estrogen Receptor Modulators, cioè modulatori del recettore per gli estrogeni). Questi farmaci non bloccano completamente l’azione del recettore, ma ne “modulano” l’attività, occupando il posto degli ormoni prodotti dall’organismo, rispetto ai quali producono effetti più blandi.

Dopo la menopausa, la sintesi degli estrogeni da parte dalle ovaie si riduce fin quasi ad azzerarsi. Gli ormoni femminili ancora circolanti in questa fase derivano per lo più dai surreni, due ghiandole posizionate sopra i reni. I surreni producono gli estrogeni trasformando un altro tipo di ormoni, gli androgeni, grazie a un enzima, detto aromatasi. Per blocca-

La prima terapia personalizzata fu una terapia ormonale, il tamoxifene, utile nei casi di tumore al seno positivi al recettore per gli estrogeni (ER+)

re la stimolazione proveniente dagli estrogeni in questa fase della vita si è così riusciti a intervenire su questo enzima sviluppando dei farmaci detti inibitori delle aromatasi.

QUANDO LA DIAGNOSI È PRECOCE

“Quando c’è il recettore per gli estrogeni e il tumore è stato diagnosticato in fase precoce” aggiunge Bianchini “la terapia ormonale somministrata dopo l’intervento (e talvolta anche prima) ha dimostrato di ridurre del 40-60% il rischio di recidiva e di migliorare i tassi di guarigione di una quota compresa tra il 30 e il 40%.”

L’impatto sull’aspettativa di vita delle donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno è quindi stato tangibile, ma c’è ancora tanto da fare contro un tumore che, nonostante questo dato sia in costante calo, in Italia è il primo tra le donne per mortalità e nel 2022 ha provocato 15.500 decessi. Insomma, bisogna continuare a puntare sulla ricerca per offrire prospettive sempre migliori alle circa 53.000 donne che ogni anno si ammalano nel nostro Paese (dati tratti da I numeri del cancro in Italia 2024).

ANCHE PER I TUMORI METASTATICI

Tra i tumori della mammella ancora difficili da curare, nonostante la presenza di un bersaglio efficace come il recettore per gli estrogeni, ci sono quelli diagnosticati in uno stadio avanzato, che si sono diffusi in altri organi. “Indagando sui loro meccanismi molecolari, in particolare quelli che a un certo punto li rendono resistenti alle cure, è stato però possibile aumentare anche in questi casi l’aspettativa di vita” interviene l’oncologo. Oggi, inoltre, nella maggior parte dei casi di tumore al seno metastatico si può evitare di usare la chemioterapia come prima linea di terapia. Se la neoplasia ha il recettore per gli estrogeni e non esprime un altro importante marcatore, il recettore del fattore di crescita epidermico umano 2 (HER2), è sufficiente associare alla terapia ormonale un farmaco di un’altra classe, che ostacola la crescita del tumore iniben-

do due molecole, chiamate CDK4 e CDK6.

L’individuazione di un altro importante meccanismo che spiega l’insorgenza di resistenza alle cure ha permesso di sviluppare un nuovo farmaco mirato. Si chiama inavolosib e agisce sulla proteina PIK3CA mutata. Sta quindi per arrivare sul mercato, per le donne con tumore positivo agli estrogeni, negativo per HER2 ma positivo per questa mutazione, un trattamento che associa la nuova molecola a un CDK4/6 inibitore e alla terapia ormonale.

“Anche questi farmaci hanno seguito il percorso di altre cure innovative in oncologia: dopo aver dimostrato la loro efficacia nell’aumentare la sopravvivenza delle forme più avanzate di malattia, sono stati sperimentati come terapia adiuvante, subito dopo l’intervento chirurgico, per capire se potessero influire sui tassi di guarigione” spiega l’oncologo. “E la risposta degli studi clinici è stata positiva: quando i CDK4-6 inibitori sono stati sperimentati su donne operate, senza metastasi, ma a rischio alto o inter-

medio di recidiva, sono riusciti a ridurre del 30% circa il rischio individuale che la malattia si ripresentasse sia localmente sia a distanza.”

SE NON PUOI BLOCCARLO, DISTRUGGILO

C’è infine un’ultima classe di farmaci ormonali che funziona in maniera diversa e innovativa. Viene utilizzata per le donne con tumore avanzato in cui gli inibitori delle aromatasi, pur bloccando la produzione di estrogeni, a un certo punto non bastano più. “Quando il recettore per gli estrogeni acquisisce una mutazione specifica continua a inviare segnali alle cellule tumorali di proliferare anche senza lo stimolo dell’estrogeno, un po’ come se inserisse il pilota automatico senza più bisogno del guidatore” interviene Bianchini. “In questi casi si possono usare i SERD (Selective Estrogen Receptor Degradators) di nuova generazione, che si assumono per bocca e sono detti ‘degradatori’ perché provvedono a distruggere il recettore degli estrogeni.” Per questi casi, fino a poco tempo fa, c’era solo

Una nuova classe di farmaci chiamati SERD è in grado di distruggere il recettore degli estrogeni con mutazione ESR1

una terapia intramuscolo con un farmaco chiamato fulvestrant, che era molto meno efficace.

“La ricerca ha mostrato che questa mutazione genetica del gene degli estrogeni, chiamato ESR1, insorge soltanto nel corso della malattia, come meccanismo di resistenza alla terapia di deprivazione degli estrogeni” precisa il medico milanese. “Per individuarla occorre eseguire la cosiddetta biopsia liquida, un semplice esame del sangue in cui si cercano tracce del DNA tumorale, per verificare se le cellule malate abbiano sviluppato o meno la mutazione genetica.” Scoprirlo è importante, perché nelle donne con tumore metastatico, positive al recettore per gli estrogeni e negative a quello per HER2, la presenza di questo marcatore predice in maniera significativa l’efficacia dei SERD di nuova generazione come elacestrant, ed è per questo che la sua prescrizione è autorizzata dalle agenzie regolatorie solo dopo che sia stata confermata la presenza della mutazione.

TENERE IL TUMORE SOTT’OCCHIO

Bianchini, con altri colleghi di tutto il mondo, ha anche partecipato a uno studio, presentato in sessione plenaria al Congresso dell’ASCO a Chicago e pubblicato sul New England Journal of Medicine, che per la prima volta cerca di identificare precocemente la comparsa della resistenza alle cure prima che gli esami strumentali come la TAC, la PET o la risonanza mostrino un peggioramento. Più di 3.000 pazienti in trattamento con inibitori delle aromatasi e CDK4-6 inibitori da almeno 6 mesi sono state monitorate con biopsie liquide eseguite ogni 2 o 3 mesi, senza aspettare che comparissero i segni o i sintomi di una ripresa della malattia. Alla comparsa della mutazione di ESR1, circa 300 donne sono state divise tra un gruppo che ha continuato le cure standard e uno in cui l’inibitore delle aromatasi è stato sostituito da un nuovo SERD orale, camizestrant. “Anticipare sul tempo il tumore, prima che la mutazione provocasse la resistenza acquisita, ha migliorato in maniera significativa la prognosi” conclude Bianchini.

Terapie sperimentali

Dieta mima-digiuno

DIETA MIMA-DIGIUNO, RISCHI E OPPORTUNITÀ IN ONCOLOGIA

In questo articolo:

— TUMORE AL SENO TRIPLO NEGATIVO

— METABOLISMO TUMORALE

— GLUCOSIO

A che punto sono le sperimentazioni sul possibile ruolo della dieta mimadigiuno nella cura dei tumori a cura di Camilla Fiz

Diversi studi clinici negli ultimi anni hanno dimostrato che la dieta mima-digiuno, quando seguita con attenzione e sotto stretto controllo medico, può essere uno strumento efficace per la cura dei tumori, in combinazione ai trattamenti di riferimento. Ne è un esempio recente il trial BREAKFAST, che nasce dalla collaborazione tra i gruppi di ricerca di Claudio Vernieri e Giancarlo Pruneri presso l’Istituto nazionale dei tumori, l’Università degli studi di Milano e l’IFOM. Gli ultimi risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Cell Metabolism, hanno confermato la sicurezza e l’efficacia di un particolare schema di dieta

/ Terapie sperimentali / Dieta mima-digiuno

mima-digiuno per le pazienti con tumore al seno triplo negativo. Per dieta mima-digiuno si intende qualunque piano alimentare, della durata di 3-7 giorni, basato sul consumo di una quantità limitata di calorie, che può essere ripetuto per più cicli. Questo tipo di alimentazione prevede di assumere soprattutto grassi di origine vegetale, pochi carboidrati e proteine, per un totale di un minimo di 300 chilocalorie (kcal) al giorno fino a un massimo di 1.000. Dunque, almeno la metà delle 2.000 kcal che un adulto in salute – facendo una media tra i fabbisogni di uomini e donne – dovrebbe assumere durante la giornata. “Il presupposto della dieta mima-digiuno è riprodurre gli effetti benefici sul metabolismo e sul sistema immunitario del digiuno ciclico, garantendo allo stesso tempo ai pazienti una quantità sufficiente di nutrienti e una buona qualità di vita” spiega Vernieri.

Da circa una ventina d’anni è infatti noto che il digiuno possa avere un effetto positivo per la cura dei tumori e altre patologie. Nei primi anni 2000, in animali e modelli di laboratorio, si è iniziato a osservare che una restrizione calorica di qualche giorno o settimana poteva per esempio contrastare la crescita di alcuni tumori e aumentare l’efficacia della chemioterapia. Negli anni successivi,

la comunità scientifica di riferimento ha cercato di comprendere se questi effetti fossero replicabili anche negli esseri umani. Per riuscirci, bisognava trovare un piano alimentare che fosse adatto a persone sottoposte a trattamenti antitumorali, e quindi soggette a variazioni di appetito e difficoltà di digestione.

Nel 2016, i gruppi di ricerca di Claudio Vernieri e Filippo de Braud hanno sviluppato il primo schema di dieta mima-digiuno pensato per pazienti oncologici, che prevede di assumere tra le 300 e le 600 kcal giornaliere per 5 giorni di seguito. Lo schema va poi ripetuto per più cicli. “Abbiamo iniziato a sperimentare la dieta su volontari sani, compresi noi stessi e alcuni colleghi, per capire quanto fosse sostenibile e il suo impatto nella vita quotidiana” racconta Vernieri. “Poi

l’abbiamo adattata ai pazienti oncologici.” Negli anni successivi, la sicurezza e l’efficacia dello schema sono state testate in diversi studi clinici di fase I o II in gruppi di persone con diversi tipi di tumore. Con il passare del tempo si sono comprese meglio anche le cause biologiche del suo effetto antitumorale.

Sappiamo con certezza che cambiare alimentazione può indurre profonde conseguenze sul metabolismo delle cellule. Tra queste vi sono l’alterazione dei livelli sia di insulina e di altri fattori di crescita sia di glucosio, nel sangue e nel microambiente tumorale. Il glucosio in particolare assume specifica importanza nello sviluppo del cancro. Il glucosio è uno zucchero fondamentale nel nostro organismo che fornisce energia alle cellule e permette il funzionamento di organi

Nel 2016, i gruppi di ricerca di Claudio
Vernieri e Filippo de Braud hanno sviluppato il primo schema di dieta mima-digiuno pensato per pazienti oncologici

e tessuti, tra cui il cervello e il cuore, ma può anche mediare la crescita delle neoplasie. Come spiega Vernieri, la dieta mima-digiuno è stata sviluppata per mettere in crisi questo meccanismo: “In breve tempo, facciamo crollare i livelli di glucosio e altri fattori di crescita, per poi intervenire con i migliori trattamenti chemioterapici a disposizione”.

Studi recenti mostrano che alcuni tumori potrebbero essere particolarmente sensibili a questa strategia, perché il loro sviluppo dipende molto dalla disponibilità di glucosio. Tra

ottenuti fino a quel momento” spiega Vernieri.

Tuttavia, anche con un numero ristretto di pazienti, i risultati hanno mostrato la sicurezza dello schema alimentare. La sua combinazione con la terapia ha anche portato più della metà delle partecipanti a raggiungere una risposta patologica completa, un parametro che indica un’elevata probabilità di guarigione. Solo una piccola parte di loro ha dovuto interrompere la dieta a causa di un persistente affaticamento e una significativa perdita di peso. Da un

I kit in commercio per seguire
la dieta mima-digiuno non devono essere considerati strumenti validi per supportare o sostituire le terapie oncologiche

questi, vi è il cancro al seno triplo negativo, un particolare tipo di tumore della mammella per cui esistono poche opzioni terapeutiche efficaci. Su questa neoplasia si sono concentrati gli ultimi studi clinici condotti dal gruppo di ricerca di Vernieri. Il trial BREAKFAST ha monitorato per più di 3 anni l’effetto della dieta mima-digiuno in 30 pazienti che avevano questo tipo di tumore e prima della chirurgia avevano assunto la chemioterapia da sola o insieme alla metformina, un farmaco per curare il diabete di tipo 2 che ha effetti sulla produzione di glucosio. Questa combinazione di medicinali sembrava essere promettente nei primi mesi del 2020, ma, poco tempo dopo l’inizio del progetto, uno studio clinico ha cambiato la cura di riferimento per le pazienti con tumore al seno triplo negativo e introdotto l’utilizzo della chemio-immunoterapia. “Abbiamo dovuto interrompere lo studio clinico prima di aver raggiunto il numero previsto di partecipanti e analizzare i risultati

punto di vista biologico, per la prima volta è stato dimostrato che la dieta mima-digiuno non riduce soltanto i livelli di glucosio nel sangue, ma anche all’interno delle cellule tumorali, di fatto indebolendo la neoplasia. “Attorno a questo aspetto ho sempre percepito molto scetticismo” commenta Vernieri. “Con questo studio, abbiamo però dimostrato che un approccio nutrizionale può modificare il metabolismo del sangue e provocare un effetto fin dentro il tumore.”

Alla luce di questi risultati e della nuova terapia di riferimento per il tumore al seno triplo negativo, il gruppo di ricerca ha iniziato a lavorare a BREAKFAST 2. Il nuovo trial clinico coinvolgerà una decina di centri oncologici in Italia e circa 150 pazienti trattate con la chemio-immunoterapia, prima della chirurgia. “L’obiettivo è capire se, rispetto a una normale alimentazione equilibrata, l’aggiunta della dieta mima-digiuno sia in grado di aumentare la percentuale di risposte patologiche complete del tumore al trattamento” dice Vernieri, e pro-

segue: “In attesa di questi risultati, la dieta mima-digiuno resta un approccio assolutamente sperimentale, che non può essere prescritto da un medico al di fuori degli studi clinici.”

Dunque, i kit in commercio per seguire la dieta mima-digiuno non devono essere considerati strumenti validi per supportare o sostituire le terapie oncologie. Seguire lo schema alimentare insieme a professionisti all’interno di uno studio clinico, invece, permette di valutare con attenzione i rischi e benefici e fermarsi in tempo prima dell’insorgenza di effetti non desiderati. Per i pazienti oncologici e tutti gli altri rimane sempre valido il consiglio di seguire una dieta varia ed equilibrata con un limitato apporto di carne e derivati animali. Se il consumo di zuccheri semplici è da ridurre il più possibile, i carboidrati complessi vanno consumati, preferendo quelli integrali. Conclude Vernieri: “Anche in un’ottica di prevenzione del cancro e altre patologie, è importante mantenere i livelli di zucchero nel sangue bassi con l’alimentazione e l’attività fisica”.

/ Terapie sperimentali / Dieta mima-digiuno

Notizie

... DAL MONDO

CHE COSA FUNZIONA MEGLIO

PER LA PREVENZIONE DEI TUMORI

AL SENO E AL COLON-RETTO?

Il World Cancer Research Fund (WCRF) International ha pubblicato un nuovo rapporto sul ruolo dei modelli dietetici e dello stile di vita nella prevenzione del cancro, con particolare attenzione al tumore al seno e a quello colorettale, rispettivamente il secondo e il terzo più comuni a livello mondiale.

Il rapporto è basato su 170 studi condotti a livello globale, e sottolinea l’importanza di valutare la dieta e lo stile di vita come un insieme integrato, piuttosto che analizzare singoli alimenti o nutrienti.

Lo studio ha confermato che per la prevenzione dei tumori nel loro complesso è consigliato seguire un modello alimentare sano, praticare attività fisica regolare, mantenere un peso corporeo nella norma ed evitare il fumo. Andando nello specifico dei singoli tumori esaminati, per la prevenzione del cancro colorettale è emersa l’importanza di includere nell’alimentazione cibi contenenti calcio (come i latticini) e caffè, con una forte enfasi sull’eliminazione delle carni lavorate. Per la prevenzione del tumore al seno, invece, il rapporto insiste in modo particolare sull’eliminazione completa dell’alcol, poiché le prove dimostrano che anche piccole quantità aumentano il rischio di sviluppare questo tipo di cancro.

L’IA PER UNA DIAGNOSI PRECOCE PIÙ ACCURATA

DEI TUMORI DEL SENO

MASAI (Mammography Screening with Artificial Intelligence) è un tool di intelligenza artificiale che si è dimostrato efficace per rilevare precocemente il tumore del seno, con un ridotto rischio di falsi positivi.

I risultati prodotti da questo strumento sono stati raccolti in uno studio clinico randomizzato di ampio respiro pubblicato su The Lancet a marzo 2025. Svoltosi in Svezia, il trial ha coinvolto 105.934 donne, che sono state suddivise in due gruppi: nel primo gruppo le pazienti sono state sottoposte a screening tradizionale, mentre nell’altro a screening supportato dall’intelligenza artificiale. Dopo la mammografia, 1.110 partecipanti del secondo gruppo sono state richiamate per ulteriori esami, e sono stati infine individuati 338 tumori. Nel gruppo sottoposto a screening tradizionale, invece, le persone richiamate sono state 1.027 e i tumori rilevati 262. Il tasso di rilevamento dei tumori è risultato dunque di 6,4 ogni 1.000 donne esaminate con l’IA, rispetto ai 5 tumori ogni 1.000 donne sottoposte a mammografia tradizionale.

In particolare, l’intelligenza artificiale ha permesso di identificare un numero maggiore di tumori invasivi (270 contro 217). L’incremento ha riguardato soprattutto le forme più piccole e quelle con linfonodi negativi. Anche i carcinomi in situ sono stati diagnosticati più frequentemente (68 contro 45). In futuro, se questi risultati saranno validati da ulteriori studi, il supporto dell'intelligenza artificiale potrebbe quindi aiutare a ottenere diagnosi precoci più precise.

a cura di Cristina Da Rold

UN NUOVO DISPOSITIVO

PER MISURARE L’“ADERENZA”

DELLE CELLULE TUMORALI

Un team di scienziati ha sviluppato un nuovo dispositivo capace di misurare l’"aderenza" delle cellule cancerose, ovvero la loro capacità di rimanere unite, per prevedere la probabilità che si stacchino dal tumore primario e si diffondano ad altre parti del corpo, un processo noto come metastatizzazione. Se queste cellule trovano un ambiente idoneo in un altro organo, possono attecchire e sviluppare nuovi tumori. Attualmente non esistono marcatori prognostici in grado di identificare queste cellule, ma caratteristiche fisiche come l’aderenza potrebbero diventarlo.

Negli esperimenti iniziali condotti sui topi, i ricercatori hanno osservato che i livelli di aderenza delle cellule malate misurati con la nuova tecnologia erano correlati alla probabilità di metastasi. Ulteriori studi su campioni di tessuto umano hanno rivelato che il tessuto mammario sano mostra un’elevata aderenza, mentre i tessuti provenienti da tumori mammari in stadio avanzato presentano un’aderenza significativamente inferiore.

Sono in corso test su campioni di tumori polmonari e prostatici per determinare se il principio dell’aderenza cellulare possa essere applicato anche ad altri tipi di neoplasie solide.

Uno dei programmi speciali di AIRC finanziati con i fondi del 5 per mille si occupa di studiare le caratteristiche fisiche delle metastasi per capire come combatterle.

Scopri di più sul programma inquadrando il QR code.

DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE

OVARICO: IDENTIFICATE CELLULE

STAMINALI “AD ALTO RISCHIO”

NELLE TUBE DI FALLOPPIO

La maggior parte delle donne a cui viene diagnosticato un tumore ovarico presenta la forma della malattia detta sierosa di alto grado. Diversi studi hanno dimostrato che questo tipo di cancro deriva da escrescenze precancerose, chiamate lesioni del carcinoma intraepiteliale tubarico sieroso (STIC) nelle tube di Falloppio. Queste lesioni possono poi trasformarsi in tumori conclamati nelle ovaie. Ora una nuova indagine ha evidenziato che le lesioni STIC sembrano insorgere e trasformarsi in neoplasia nelle ovaie con l’ausilio di un tipo di cellule staminali, le cellule staminali mesenchimali ad alto rischio (MSC).

I ricercatori hanno iniettato nei topi delle minuscole strutture chiamate organoidi, che contenevano cellule staminali mesenchimali ad alto rischio ottenute da campioni di tessuto umano. In queste condizioni, non si è rilevata la formazione di tumori. Iniettando invece organoidi che contenevano in aggiunta cellule sane di Falloppio, alcuni topi hanno sviluppato un tumore ovarico nei mesi successivi, incluse forme metastatiche a polmoni e fegato. Non è ancora chiaro se le cellule staminali mesenchimali ad alto rischio siano il principale fattore scatenante che induce le cellule sane di Falloppio a trasformarsi in tumore ovarico sieroso di alto grado, ma le evidenze suggeriscono che esse rappresentano una componente favorevole per lo sviluppo della malattia.

I TRAGUARDI DEI NOSTRI RICERCATORI

In questo articolo:

— METASTASI

— RESISTENZA AI TRATTAMENTI

— TERAPIE PERSONALIZZATE

a cura di Camilla Fiz e Denise Cerrone

UNA POSSIBILE NUOVA FORMULAZIONE CONTRO LE METASTASI

DI TUMORE AL SENO

Una nanocapsula ha migliorato l’efficacia della fenretinide contro le metastasi di tumore al seno in animali di laboratorio. Se validata in studi clinici e approvata, questa nuova formulazione potrebbe contribuire a prevenire le ricadute della malattia nella pratica clinica

Una nuova formulazione potrebbe rendere la fenretinide, un derivato della vitamina A, più efficace nel contrastare le metastasi del tumore al seno e aiutare a superare i limiti di questo composto, riscontrati in precedenti studi clinici. Infatti, “malgrado i risultati promettenti ottenuti in laboratorio, nei pazienti l’effetto del medicinale rimaneva deludente poiché il farmaco non veniva adeguatamente assorbito” commenta Ann Zeuner, dell’Istituto superiore di sanità (ISS) a Roma, che ha coordinato il lavoro di ricerca grazie al sostegno di Fondazione AIRC. I risultati dello studio sono stati

UN PODCAST FONDAMENTALE

Questo articolo è disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR code.

pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research

Da una trentina d’anni, la fenretinide è studiata nell’ambito della ricerca oncologica per la sua azione antitumorale e per la bassa tossicità. Tuttavia, sia nelle prime fasi di ricerca sia in successivi studi clinici è emerso che il medicinale è caratterizzato da una bassa biodisponibilità, cioè soltanto una minima parte del principio attivo riesce a raggiungere il circolo sanguigno e a svolgere la sua azione farmacologica. Ciò dipende anche dal fatto che il farmaco non è solubile in acqua. Negli studi clinici sono state introdotte alcune

misure per contrastare queste criticità, che però non sono risultate sufficienti. “Le pazienti dovevano assumere decine di capsule piene d’olio al giorno, ma anche così la fenretinide non raggiungeva concentrazioni tali da essere efficace” spiega Zeuner. Insieme a Isabella Orienti dell’Università di Bologna e altri colleghi, Zeuner ha così deciso di studiare una nuova formulazione per migliorare la biodisponibilità del farmaco. A tale scopo, nel 2019 il gruppo di ricerca ha sviluppato la nanofenretinide, in cui una nanocapsula riveste il principio attivo e rende il farmaco somministrabile endovena. I primi risultati sono stati positivi, come riporta la ricercatrice: “Gli esperimenti in animali di laboratorio hanno mostrato che questa formulazione è ben tollerata, non provoca effetti collaterali ed è efficace contro diversi tipi di tumore, tra cui quelli alla mammella e al polmone”. In seguito, i ricercatori hanno creato una nuova versione della nanocapsula che in questo studio hanno sperimentato in animali di laboratorio con tumore al seno metastatico. La bionanofenretinide è racchiusa da una sorta di guscio di fosfatidilcolina, un derivato della soia, che aumenta la biodisponibilità del farmaco e ne permette la somministrazione per via orale. Rispetto agli animali non trattati, in quelli a cui è stata somministrata la nuova formulazione i

tumori comparivano più tardi, rimanevano più piccoli e contenevano un minor numero di cellule staminali tumorali. “L’effetto più sorprendente è stato rilevato sulle metastasi” illustra la ricercatrice. Infatti, quelle degli animali trattati con la bionanofenretinide erano circa la metà e di dimensioni ridotte rispetto a quelle presenti negli animali di controllo. Il motivo è che il farmaco sembra essere riuscito a indurre le cellule tumorali in uno stato di quiescenza, in cui sono ancora vive ma smettono di replicarsi. Questa proprietà, insieme alla bassa tossicità, suggerisce un suo potenziale utilizzo per prevenire le ricadute della malattia. Come spiega Zeuner, “con la nuova formulazione il farmaco potrebbe essere assunto per periodi molto lunghi, fermando o rallentando la progressione tumorale a fronte di effetti collaterali minimi”.

Tuttavia, la bionanofenretinide potrà essere introdotta in clinica solo dopo aver superato ulteriori sperimentazioni, necessarie per verificarne la sicurezza e l’efficacia nei pazienti. “Stiamo cercando nuove collaborazioni che ci aiutino ad affrontare i complessi e costosi passaggi per portare la nuova formulazione del farmaco negli studi clinici” conclude la ricercatrice. “In particolare, vorremmo arrivare ai casi in cui le terapie disponibili non risultano efficaci.”

UN PROMETTENTE FARMACO CONTRO LE LEUCEMIE MIELOIDI CRONICHE RESISTENTI

La leucemia mieloide cronica (LCM) è un tipo di cancro del sangue che viene trattato principalmente con farmaci che colpiscono un’anomalia genetica, quella del cromosoma Philadelphia. Per la malattia in cui questa mutazione è assente non esistono ancora cure specifiche. Ma un gruppo di ricerca sostenuto da AIRC e coordinato da Francesca Sacco, dell’Università di Roma Tor Vergata, ha identificato un potenziale nuovo trattamento per

i casi di questo tumore che sono resistenti ai trattamenti con imatinib. Per farlo hanno mappato le caratteristiche molecolari della malattia. Su tale base, sfruttando un algoritmo, hanno scoperto che questo tumore potrebbe rispondere alla midostaurina, un farmaco già in commercio usato per altre forme di leucemia. I risultati andranno però validati in ulteriori studi, sia di laboratorio sia con i pazienti.

DE-INTENSIFICARE I TRATTAMENTI PER IL CANCRO ALLA PROSTATA OLIGOMETASTATICO

Il tumore alla prostata nella forma oligometastatica, che cioè presenta piccole metastasi in numero limitato, potrebbe beneficiare di terapie mirate e meno invasive. Lo dimostra uno studio clinico sostenuto da AIRC e condotto da Barbara Jereczek-Fossa, presso l’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano. La ricerca ha analizzato l’efficacia di un approccio combinato di radioterapia stereotassica e una breve terapia ormonale a dosaggi ridotti nelle prime fasi della malattia.

La radioterapia stereotassica impiega radiazioni ad alta precisione su volumi limitati, comportandosi come un bisturi, per una rimozione selettiva ed efficace delle metastasi. I risultati, pubblicati sulla rivista The Lancet, mostrano che la combinazione delle due terapie è promettente nel prevenire la ricomparsa del tumore e al tempo stesso comporta effetti collaterali ridotti. Questo studio apre la strada a trattamenti personalizzati e meno aggressivi per i pazienti.

IFOM

Cogentech

COGENTECH, UN MODELLO INNOVATIVO PER SOSTENERE LA RICERCA E IL SERVIZIO SANITARIO

In questo articolo:

— TEST GENETICI

— BRCA 1 E 2

— RICERCA AL SUD ITALIA

La società nata in IFOM è oggi uno dei soggetti capaci di fornire test genetici per la valutazione del rischio di cancro alle strutture sanitarie del nostro Paese

C’a cura di Antonino Michienzi

è un cambio di paradigma che negli ultimi trent’anni ha interessato la medicina dei tumori e ha permesso di ottenere enormi benefici per i pazienti: il passaggio da un approccio “ad ampio spettro” a uno sempre più mirato e personalizzato per contrastare la malattia oncologica. Questo è stato possibile grazie ai progressi della ricerca, che hanno consentito di conoscere sempre più minuziosamente i tumori e i meccanismi che li alimentano. Tutto ciò ha però un prezzo: fare ricerca è diventato sempre più complesso. C’è bisogno di strumentazioni sofisticate e costose, che richiedono elevate competenze per l’utilizzo e nuovi modelli gestionali. In questo contesto da poco più di vent’anni è nata Cogentech, diventata oggi una avanzata realtà di ricerca

di tecnologia al servizio della ricerca accademica e clinica nel Paese. I servizi tecnologici offerti spaziano dal sequenziamento genetico alla proteomica e metabolomica, dall’analisi istologica a quella genetica. “Una prima scintilla di Cogentech in ambito diagnostico si era accesa all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso” spiega Marco Alessandro Pierotti, amministratore delegato di Cogentech, “quando Giuseppe Della Porta, uno dei fondatori di AIRC, promosse un progetto speciale di ricerca sui geni oncosoppressori. Questi, insieme agli oncogeni, rappresentano importanti elementi molecolari le cui alterazioni provocano il cancro.”

A questo progetto fece seguito un programma di ricerca dedicato ai tumori ereditari dell’Istituto nazionale dei tumori (INT) di Milano, ancora sostenuto da AIRC. “Nel 1997 uno studio conferma il valore diagnostico del test genetico per le mutazioni nei geni BRCA1 e 2, che aumentano il rischio di diversi tumori, tra cui seno e ovaio: se in una famiglia c’è uno di questi geni mutato, c’è un effetto sul portatore, che, a cascata, può essere trasmesso anche ad altri membri della famiglia.”

È un progresso enorme per quei tempi: il test apre la strada a strategie di prevenzione personalizzate. Tuttavia, il servizio sanitario non è ancora pronto ad approvare e rimborsare il test, ancorché clinicamente validato.

“È così che Fondazione AIRC lancia un progetto di ricerca sull’analisi epidemiologica-molecolare delle mutazioni dei geni BRCA in Italia. Nell’ambito di questo progetto vengono eseguiti più di 17.000 test pro bono, dando risposta a diverse centinaia di famiglie italiane che, altrimenti, sarebbero rimaste nell’incertezza. Nel frattempo, il programma sui tumori ereditari viene trasferito dall’INT a IFOM e da qui ai laboratori di Cogentech” aggiunge Pierotti.

Questi test di diagnostica molecolare sono ora riconosciuti e rimborsati da molte Regioni italiane e sono diventati una delle attività più rappresentative di Cogentech. Quest’ultima oggi è una società di servizi capace di offrire alle strutture sanitarie test genetici per la valutazione del

Cogentech offre alle strutture sanitarie test genetici per la valutazione del rischio di cancro a componente ereditaria

rischio di cancro utilizzando il Next Generation Sequencing (una tecnologia che permette di produrre con alta sensibilità e specificità grandi quantità di dati genomici) per i tumori a componente ereditaria, sia degli adulti (OncoPan) sia dei bambini (OncoPed). In casi particolari i test sviluppati da Cogentech possono anche indirizzare la scelta di terapie con farmaci mirati.

“Attraverso questi strumenti oggi Cogentech mette a disposizione delle strutture del servizio sanitario tecnologia e competenza per servizi diagnostici” spiega Pierotti. “Stiamo lavorando per mettere a punto un kit che consenta di utilizzare la nostra tecnologia direttamente negli ospedali.” Infatti, Cogentech si occupa anche di ricerca e sviluppo.

“Si tratta di un’attività connaturata a una società dedita alla continua innovazione tecnologica” racconta Pierotti. “Nel 2019 questo tipo di attività è stato sviluppato: grazie a fondi del Ministero dell’università e della ricerca abbiamo creato un centro di ricerca a Catania, nel Parco scientifico e tecnologico della Sicilia. Qui abbiamo cominciato a lavorare a una nuova metodologia diagnostica basata sulla biopsia liquida, uno dei temi della medicina di precisione sviluppati dalla ricerca IFOM. Quando, nel 2023, è terminato il progetto sostenuto dal ministero, AIRC, attraverso IFOM, ha manifestato l’intenzione di mantenere aperto il centro, e lo ha rafforzato con l’acquisto di uno strumento di sequenziamento di alta processività, che è unico nel territorio siciliano” continua Pierotti. “Ciò ci ha permesso di cominciare a fornire servizi al territorio: abbiamo iniziato con l’accademia, e, da pochi

giorni, l’azienda sanitaria provinciale di Catania ci ha riconosciuto l’autorizzazione a svolgere un’attività di medicina di laboratorio per la genetica e la biologia molecolare. In questo modo Cogentech potrà avviare un servizio di supporto diagnostico in questa regione, che spesso si trova nella necessità di rivolgersi a strutture extra territoriali. Il tutto con lo spirito, l’accessibilità e i prezzi del formato di società benefit, ossia con la doppia finalità di generare profitto e beneficio comune, che dal 2018 Cogentech si è data. Anche questo è un modo di restituire a un territorio che dà molto ad AIRC” conclude.

COS’È IFOM

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di Fondazione AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.

VUOI FARE UNA GRANDE DONAZIONE A SOSTEGNO DI IFOM?

Se anche tu, come Chiara, desideri fare una grande donazione per la ricerca oncologica, puoi sostenere le attività di IFOM. Con un contributo a partire da 10.000 € garantirai continuità al lavoro di oltre 200 ricercatori e assicurerai loro le migliori strumentazioni. Potrai inoltre ricordare il tuo nome o quello di una persona cara in una targa che sarà esposta in IFOM per tutto il 2026.

Per maggiori informazioni contatta Eleonora Bahadour dell’Ufficio Grandi Donatori: 02 7797 318 eleonora.bahadour@airc.it

CHIARA E I FILI DELLA VITA CHE PORTANO AD AIRC

a cura di Arianna Monticelli

La scelta di una donazione in memoria del marito Dario a sostegno di IFOM:

“Aiutare la ricerca è il miglior modo

mone. “Abbiamo affrontato ogni cosa insieme, anche con la consueta ironia” ricorda Chiara. “Il nostro era un rapporto complesso, ma anche nella malattia è emersa l’intesa che ci ha uniti sin da giovani. La sua morte per me è stata straziante.”

per

celebrarlo come uomo e artista”

La quotidianità di Chiara è da sempre colma di esperienze, passioni e incontri. Insegnante di lettere e storia in un liceo torinese, a 54 anni si è trasferita a Montréal (Canada) per una docenza universitaria, e qui, a 62 anni, ha intrapreso un dottorato occupandosi di una ricerca sulle donne emigrate. Con il marito Dario ha condiviso il desiderio di conoscenza e una sana irrequietudine, che hanno generato progetti di vita e un forte senso di comunità.

La sua casa di Torino è piena di libri, fotografie, oggetti d’arte. A ciascuno è legato un ricordo. “La vita è un insieme di fili sparsi, che si intersecano” racconta. “Trovi il senso della tua esistenza quando tutti i fili si ricongiungono.”

Il cancro è stato uno di quei fili, che Chiara si è trovata a intrecciare più volte nella vita: le nonne, suo papà e infine il marito. Dario è scomparso nel 2024. Qualche anno prima era arrivata la diagnosi di tumore al pol-

Da anni Chiara faceva piccole donazioni ad AIRC. La scelta di una importante donazione in memoria alla Fondazione le è sembrata il miglior modo per ricordare Dario. Così ha deciso di sostenere IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC. IFOM vanta tanti ricercatori di diverse nazionalità e fa della conoscenza il presupposto fondamentale della cura. Questo, a Chiara, è parso un altro intreccio di diversi fili: “L’idea di finanziare la ricerca, per me che l’ho fatta, è stata fondamentale. Ho avuto l’opportunità di visitare l’Istituto e sono rimasta colpita dalla grande organizzazione e dalla presenza di tanti giovani, tra cui molte donne. IFOM dà valore al merito; si rientra o si arriva dall’estero per lavorare qui”.

Nella sua visita all’istituto, Chiara si è commossa nel vedere all’ingresso il suo nome e quello del marito Dario sulla targa che ricorda i Grandi Donatori AIRC che nel 2024 hanno scelto di sostenere IFOM. “Dario si è sempre occupato di arte ed era un artista autodidatta, ma non ha mai voluto organizzare mostre per le sue opere. Sostenere IFOM mi è sembrato il miglior modo per ricordarlo e dargli la visibilità che non ha avuto, intrecciando così, nel sostegno alla ricerca, tanti fili che hanno caratterizzato la nostra vita.”

AIRC for Young Scientists

ESSERE GIOVANI RICERCATORI AIRC

In questo articolo:

— GIOVANI SCIENZIATI

— PROGETTI DI RICERCA

— PROGRESSI SCIENTIFICI

Le voci dei partecipanti all’AIRC for Young Scientists, il congresso annuale che la Fondazione dedica alle nuove generazioni di scienziati che si occupano di oncologia a cura di Jolanda

Da 60 anni AIRC promuove l’eccellenza nella ricerca sul cancro. Un impegno che guarda con sempre maggiore attenzione alle nuove generazioni di scienziati: lo dimostra l’AIRC for Young Scientists, tenutosi il 5 e il 6 giugno 2025, evento annuale pensato per mettere al centro i giovani ricercatori sostenuti da AIRC. Un’occasione per un centinaio di ricercatori per presentare i risultati dei propri studi, confrontarsi con colleghi da tutta Italia e riflettere su temi chiave come le nuove frontiere della medicina oncologica e le sfide ancora aperte. Un congresso dove prende forma la ricerca del futuro, fondata sul dialogo, sulla collaborazione e sul desiderio di trasformare le scoperte di laboratorio in cure concrete per i pazienti. Abbiamo intervistato alcuni ricercatori per conoscerli e saperne di più sulle

Marta Serafini, ricercatrice AIRC presso
l’Università degli studi di Torino

loro ricerche.

MY FIRST AIRC GRANT: LA PRIMA RICERCA INDIPENDENTE

“Amo condividere la conoscenza scientifica da sempre” racconta Stefano Cinti, appassionato di scienza fin da piccolo. Inizia il suo percorso a Roma, all’Università degli studi di Roma Tor Vergata, specializzandosi con un dottorato in chimica applicata allo sviluppo di sensori e biosensori per la diagnostica. Oggi è professore associato e dirige l’Uninanobiosensors Lab, occupandosi di sensori in ambito oncologico, presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Sostenuto da un My First AIRC Grant, un finanziamento AIRC per i giovani scienziati, ha la possibilità di costruire il suo team e avviare in modo indipendente il suo progetto di ricerca. “Lavoro alla creazione di un dispositivo, chiamato miRNAchip, per la diagnosi del carcinoma mammario triplo negativo a partire dalla biopsia liquida, cioè l’analisi dei fluidi biologici, come gocce di sangue. L’obiettivo è avere uno strumento portatile, non invasivo e di facile utilizzo per diagnosi tempestive ed efficaci” racconta Cinti. Lo strumento sfrutterà nanomateriali in grado

di riconoscere in modo selettivo i microRNA circolanti (miRNA) associati al cancro del seno triplo negativo, e potrebbe consentire di evitare sovratrattamenti e falsi positivi.

MIGLIORARE LA PRATICA CLINICA: IL GRANT NEXT GEN CLINICIAN

SCIENTIST

“È l’intreccio continuo di persone e idee che alimenta ogni giorno la mia passione per la ricerca, con un unico obiettivo: migliorare la vita dei pazienti.” Sara Pilotto è oncologa medica e professore associato all’Università degli studi di Verona, dove ha svolto gran parte del suo percorso formativo, dalla laurea in medicina e

chirurgia fino al dottorato di ricerca. Grazie a una borsa di studio internazionale ha potuto anche trascorrere un anno presso un laboratorio di ricerca a Barcellona, in Spagna. Il suo focus è sempre stato il tumore del polmone. “Nel 2019, in collaborazione con la sezione di scienze motorie dell’ateneo, abbiamo avviato un progetto dedicato allo stile di vita dei pazienti” racconta. Numerosi studi provano che alimentazione adeguata e attività fisica regolare danno importanti benefici nelle persone con malattie oncologiche, come una migliore qualità di vita e un minor rischio di recidive. Tuttavia, “mancano ancora dati solidi che dimostrino l’impatto di un intervento basato sullo stile di vita sulla sopravvivenza” spiega Pilotto. Da qui è nato il suo progetto STARLighT, finanziato dal 2024 con un Next Gen Clinician Scientist Grant, bando AIRC quinquennale che supporta progetti di ricerca indipendente di giovani medici ricercatori per migliorare la pratica clinica. A oggi, il gruppo di ricerca coordinato da Pilotto ha sviluppato un’applicazione che consente agli specialisti di esercizio fisico e nutrizione di erogare interventi personalizzati, anche a distanza. Ora il team è pronto a coinvolgere oltre 300 pazienti con tumore del polmone in stadio precoce per valutare l’efficacia di tali interventi sulla sopravvivenza libera da malattia, sulla risposta al trattamento e sulla qualità di vita. “Siamo entusiasti. Questo approccio aiuta a rimettere il paziente al centro del suo percorso di cura, e speriamo che con le evidenze scientifiche che emergeranno dal progetto possa diventare parte integrante della pratica clinica” conclude Pilotto.

L’offerta di bandi AIRC per i giovani ricercatori e ricercatrici è molto ampia, ed è pensata per poterli accompagnare in tutte le fasi della loro formazione
Sara Pilotto, ricercatrice AIRC presso l’Università degli studi di Verona

SCHOLARS PER LA RICERCA

AL SUD

Dopo molti anni all’estero, tra il master e il dottorato a Birmingham (Inghilterra) e l’esperienza di ricerca e di docenza presso un’università della Cina, Giacomo Volpe è rientrato in Italia grazie al piano per il “rientro dei cervelli” nel 2021. Oggi è ricercatore all’Unità di ematologia dell’Ospedale oncologico di Bari, dove ha fatto nascere una linea di ricerca su un particolare tipo di tumore del sangue, le leucemie mieloidi acute. Il suo gruppo di ricerca è supportato anche da AIRC, grazie a un Southern Italy Scholars, bando AIRC rivolto a scienziati che vogliano svolgere ricerca in Italia meridionale o insulare in collaborazione con colleghi del resto del Paese o all’estero. Obiettivo del lavoro di Volpe è realizzare modelli di malattia che consentano di studiare in modo accurato i tumori e gli effetti di potenziali farmaci e altri interventi su di essi. Per farlo, il gruppo di ricerca preleva cellule adulte, cioè già specializzate per svolgere specifiche funzioni, e le converte nelle cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte, ovvero tornate a essere immature e quindi capaci di differenziarsi in altre cellule adulte. Induce poi il loro differenziamento in cellule del sangue e ne osserva l'acquisizione di eventuali mutazioni che le trasformano in cellule tumorali. “È un pezzo di una visione molto complessa, di cui abbiamo completato solo una piccola parte, che però ha dato risultati finora promettenti” spiega Volpe.

IL RIENTRO IN ITALIA CON UNO START-UP GRANT

“Non pensavo che la ricerca oncologica sarebbe stata la mia strada, poi ho fatto un’esperienza in questo ambito durante la tesi di laurea e lì ho capito che sarebbe diventata il mio lavoro.”

Così Marta Serafini ha conseguito un dottorato in chimica farmaceutica presso l’Università del Piemonte Orientale e un post-dottorato a Oxford in ambito oncologico. “AIRC mi ha supportata in ogni gradino della mia formazione come scienziata” racconta. Oggi si occupa di farmaci contro gli effetti collaterali della chemioterapia

all’Università degli studi di Torino grazie a uno Start-Up Grant di AIRC, finanziamento quinquennale che consente a giovani ricercatori di fondare un laboratorio indipendente rientrando dall’estero. “Gli effetti collaterali della chemioterapia, a oggi irrinunciabile per tumori metastatici come quello del colon, sono ancora molto impattanti e debilitanti per i pazienti oncologici, che per questo talvolta abbandonano le terapie. Con la mia ricerca puntiamo a ottenere chemioterapici a ridotta tossicità e che siano fruibili per più pazienti, anche per coloro che non rispondono alle terapie standard.” In particolare, Serafini sta lavorando su farmaci contro il cancro del colon a base di diidrotetrazine, molecole che in ambienti con ridotti livelli di ossigeno, come quello tumorale, si attivano e agiscono contro le sole cellule malate, senza intaccare i tessuti sani.

IL BRIDGE GRANT: DIVENTARE

RICERCATORI SENIOR

Luca Fava è laureato in biologia molecolare e ha analizzato diversi meccanismi cellulari tra Italia, Germania, Svizzera e Austria. Nel 2017 ha aperto un laboratorio all’Università degli studi di Trento grazie a un bando internazionale. Nel 2020 ha ricevuto un My First AIRC Grant, grazie al quale ha studiato come i malfunzionamenti

del ciclo cellulare, cioè gli eventi che portano le cellule a replicarsi, possono determinare il cosiddetto suicidio cellulare, la morte autoindotta di una cellula. Molti chemioterapici agiscono proprio su questi meccanismi. “Abbiamo effettuato anche un whole-genome knock-out screen, esperimento in cui si spengono tutti i geni di un organismo per vederne l’impatto su un particolare processo biologico. I risultati sono stati inaspettati” spiega Fava. Ora lavora su questi dati grazie a un Bridge Grant, bando che accorda un finanziamento di un anno che consente di proseguire le ricerche iniziate nel corso di un MFAG o uno Start-Up Grant e porre le basi per un laboratorio indipendente. “Stiamo studiando in vitro il meccanismo di funzionamento di alcuni antitumorali di ultima generazione” continua Fava. Il gruppo di ricerca sta cercando di individuare quali caratteristiche genetiche fanno sì che alcuni pazienti smettano di rispondere a certi medicinali. “Dobbiamo sviluppare modelli adeguati di tumori del sangue. Abbiamo incontrato la persona giusta con cui collaborare proprio nell’edizione precedente dell’AIRC for Young Scientists” conclude Fava.

Luca Fava, titolare di un Bridge Grant AIRC presso l’Università degli studi di Trento

Affrontare la malattia

Caregiver

CAREGIVER ONCOLOGICI: DIRITTI, TUTELE E SFIDE QUOTIDIANE

In questo articolo:

— LEGGE 104

— CONGEDI RETRIBUITI

— SUPPORTO PSICOLOGICO

Assistere un familiare malato di tumore è un impegno intenso e spesso invisibile. Tra permessi, congedi e burocrazia, c’è ancora molto da fare per garantire ai caregiver nel nostro Paese un adeguato sostegno nell’assistere i propri cari

Quando una persona riceve una diagnosi di tumore, quasi sempre è un familiare – un figlio, un genitore, un coniuge – ad assumere il ruolo di caregiver e a prendersi così cura del malato nel quotidiano: accompagnandolo alle visite, aiutandolo nella gestione delle terapie, facendosi carico delle incombenze pratiche ed emotive. Un impegno importante, che può durare mesi o anni. Quali sono le tutele a disposizione di chi assiste?

CHI È IL CAREGIVER FAMILIARE?

a cura di Fabio Di Todaro

Viene generalmente considerato caregiver chi presta assistenza in modo gratuito e continuativo a un parente con grave disabilità o malattia. Nonostante le numerose proposte presentate negli ultimi anni, però, in Italia non è in vigore una legge specifica a sostegno dei caregiver, né esiste una definizione unica e vincolante per questa figura nel nostro ordinamento giuridico. Escludendo le leggi regionali 2/2014 e 5/2024 varate in Emilia Romagna, le uni-

che tutele a livello nazionale riguardano chi assiste persone con disabilità grave riconosciuta ai sensi della legge 104. Così, però, resta escluso chi si prende cura di un familiare oncologico non ancora riconosciuto come disabile grave. Si pensi per esempio al periodo di degenza postoperatoria, durante il quale non sono state ancora espletate le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità. O ancora, è escluso chi non può richiedere permessi poiché libero professionista, parasubordinato, precario o disoccupato. Tutte figure che spesso si trovano ad affrontare l’assistenza senza alcuna tutela economica o contributiva.

I BENEFICI GARANTITI DALLA

LEGGE 104

Il malato o una persona da lui delegata deve presentare all’INPS (per via telematica) la domanda per l’accertamento dell’invalidità civile e dell’handicap causato dalla malattia o dalle terapie. Entro 15 giorni (di norma) l’interessato è convocato per una visita medica dalla propria azienda sanitaria locale. Da lì a un mese, si riceve il verbale di accertamento che riconosce l’eventuale condizione di disabilità oncologica.

In caso di riscontro positivo, una volta ottenuti dal paziente i benefici della legge 104, il caregiver lavoratore ha due soluzioni per stargli accanto: la prima è usufruire di permessi retribuiti, fino a un massimo di 3 giorni al mese, anche frazionabili in ore, o un giorno e mezzo nel caso in cui il caregiver abbia un impiego a tempo parziale. I permessi possono essere richiesti dai parenti fino al secondo

grado (genitori, figli, fratelli, sorelle) e in alcuni casi anche da quelli di terzo grado (zii, nipoti), purché conviventi. Un’altra soluzione consiste nel congedo straordinario retribuito, come stabilito dal decreto legislativo 151/2001, che consente di assentarsi dal lavoro per un periodo massimo di due anni per assistere un familiare convivente con disabilità grave. Questa seconda opportunità è concessa seguendo un ordine di priorità: prima al coniuge, poi a genitori o figli conviventi, fratelli o sorelle, e così via.

Per entrambe le soluzioni, se il richiedente vive a più di 150 chilometri dal paziente, occorre espletare alcuni adempimenti burocratici. Nel caso dei permessi, il lavoratore caregiver è tenuto ad accompagnare la richiesta esibendo ogni volta i titoli di viaggio che gli hanno permesso di raggiungere il parente da assistere. Per usufruire del congedo straordinario, invece, occorre trasferire (momentaneamente) la residenza per renderla uguale a quella dell’assistito.

Entrambi gli istituti sono regolamentati dall’INPS, a cui va inoltrata una domanda (direttamente o tramite un patronato) presentando la documentazione sanitaria del paziente. Le richieste dei permessi o del congedo straordinario non vanno negoziate con il datore di lavoro, che non può in nessun modo opporsi.

MA LA BUROCRAZIA È COMPLESSA

Queste due soluzioni offrono al caregiver l’opportunità di avere più tempo per accompagnare il malato a sottoporsi alle visite e a svolgere terapie salvavita (come chemio o radioterapia). Nel caso in cui si rivelassero insufficienti, esistono altre opportunità: è possibile chiedere il passaggio al lavoro a tempo parziale (se il malato è il coniuge, il figlio o un genitore); un congedo biennale per gravi motivi familiari non retribuito; permessi lavorativi per eventi e cause particolari (3 giorni all’anno); ferie e riposi “solidali” (ceduti a titolo gratuito dai colleghi a genitori di figli minorenni); chiedere il trasferimento ad altra sede di lavoro (ove possibile per l’azienda); o, infine, essere esonerati dal lavoro notturno (purché il malato di tumore con disabilità sia a carico).

Un’altra soluzione a disposizione dei caregiver lavoratori è rappresentata da forme di orari flessibili o lavoro agile. In tali casi è necessario chiedere l’autorizzazione, ma, come precisa anche l’Associazione italiana malati di cancro, parenti e amici (AIMAC), molti enti pubblici e aziende private si stanno adeguando, anche sulla spinta delle norme sul lavoro agile post-pandemia (legge 81/2017 e successive).

Tante opportunità, dunque, che richiedono però spesso percorsi burocratici articolati. Il consiglio è quello di attivarsi fin dalle prime fasi dopo la diagnosi, in modo da poter avere quanto prima più tempo da dedicare al proprio congiunto.

SUPPORTO EMOTIVO E FORMATIVO

Non di sole esigenze fisiche è fatta però la vita del caregiver. Chi assiste un malato oncologico può vivere forti stati di stress, ansia e solitudine. Purtroppo, il Servizio sanitario nazionale a oggi non offre percorsi di supporto psicologico per i caregiver, né formazione per affrontare l’assistenza in modo più consapevole e sicuro. Esistono però, pur se concentrati in alcune aree del territorio italiano, dei servizi di sostegno, quasi tutti gestiti da realtà non profit. È sempre utile chiedere informazioni in merito al personale curante.

AIRC ha realizzato una serie di video dedicati ai caregiver, per aiutarli a prendersi cura dei malati durante le terapie oncologiche. I video sono stati prodotti con la collaborazione di Valentina Di Mattei, professore associato di psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile del Servizio psicologia clinica della salute presso l’Ospedale San Raffaele.

Inquadra il QR code per vederli.

Sicurezza alimentare

SICUREZZA ALIMENTARE, L’INGREDIENTE DI CUI NON POSSIAMO FARE A MENO

a

cura di Riccardo Di Deo

Dalla conservazione alla cottura, fino alla gestione degli avanzi: cosa fare per rendere il cibo davvero sicuro

Quando si parla di sicurezza alimentare, si pensa di solito a controlli, normative e responsabilità di competenza dei settori produttivi e distributivi e delle autorità sanitarie. Ma in realtà è altrettanto importante fare attenzione al modo in cui scegliamo, conserviamo e prepariamo il cibo ogni giorno, perché anche piccoli errori possono trasformare un pasto in un potenziale rischio per la nostra salute. Ogni anno, milioni di persone nel mondo contraggono malattie di origine alimentare, spesso causate da contaminazioni microbiologiche, chimiche o fisiche. I sintomi possono essere lievi, come nausea o crampi, o

più gravi, tanto da causare ricoveri o complicazioni serie. Eppure, molte di queste situazioni si potrebbero evitare con semplici accorgimenti. Innanzitutto, è fondamentale rispettare le regole base dell’igiene domestica: lavarsi le mani prima di cucinare, pulire utensili e superfici, separare i cibi crudi da quelli cotti e cuocere gli alimenti alla giusta temperatura. La conservazione, poi, gioca un ruolo chiave. Il frigorifero va usato con consapevolezza, facendo attenzione alla disposizione degli alimenti. I cibi più deperibili, come carne e pesce crudi, vanno collocati nel ripiano inferiore, solitamente il più freddo, sempre in contenitori chiusi. Per gli alimenti già

cotti o pronti al consumo si possono scegliere i ripiani superiori, mentre frutta e verdura vanno sistemate nei cassetti dedicati, facendo attenzione che non siano umide, perché l’umidità residua favorisce la proliferazione di muffe e batteri.

Per quanto riguarda le conserve fatte in casa, soprattutto quelle sott’olio, è bene prestare estrema cautela. Se non si è certi del modo in cui sono state preparate e conservate, è meglio non consumarle.

Un altro aspetto spesso trascurato è la gestione degli avanzi. Le pietanze cotte non dovrebbero restare a temperatura ambiente per più di 2 ore (d’estate una sola) e vanno riposte in frigorifero appena possibile, in contenitori puliti e ben chiusi. L’ideale è usare contenitori poco profondi, che favoriscono un raffreddamento più rapido e uniforme. Prima di conservarli, inoltre, è bene lasciarli intiepidire, ma senza attendere troppo. Gli avanzi andrebbero tenuti in frigorifero per un massimo di 2-3 giorni e, prima di consumarli, è importante riscaldarli completamente, in modo che anche il cuore del prodotto raggiunga almeno i 70 °C.

Quando si devono invece scongelare degli alimenti, è importante non lasciarli a temperatura ambiente, perché così si favorisce la proliferazione di microrganismi. L’opzione più sicura è far sì che lo scongelamento avvenga lentamente in frigorifero, su un contenitore, per evitare contaminazioni. In alternativa, si può utilizzare la funzione apposita del microonde. In ogni caso, è importante cuocere l’alimento subito dopo averlo scongelato.

La sicurezza alimentare, inoltre, è una questione di consapevolezza. Leggere le etichette, variare le scelte alimentari per ridurre l’esposizione a sostanze indesiderate e prestare attenzione ai materiali che entrano in contatto con il cibo, come contenitori, sacchetti e stoviglie, sono tutte buone pratiche da adottare ogni giorno. La corretta interpretazione delle date riportate in etichetta, poi, può fare la differenza, sia per la sicurezza sia per la riduzione degli sprechi. La dicitura “da consumare entro” indica la data di scadenza vera e propria, oltre la quale l’alimento, in genere fresco o deperibile, potrebbe non essere più sicuro. “Da consumarsi preferi-

RISOTTO CON POLPO E FUNGHI PORCINI

Ingredienti 4 porzioni:

• 320 g di riso Carnaroli

• 500 g di polpo surgelato

• 200 g di funghi porcini freschi o surgelati

• 1 spicchio d’aglio

• 1 scalogno

• 1 bicchiere di vino bianco

• 1 l di brodo vegetale

• Olio extravergine d’oliva q.b.

• Prezzemolo fresco tritato

• Sale e pepe q.b.

bilmente entro”, invece, si riferisce al termine minimo di conservazione. Superata questa data, prodotti come pasta, legumi secchi o biscotti possono ancora essere consumati senza rischi, purché l’imballaggio sia integro e l’aspetto del prodotto non presenti alterazioni. In questi casi, fidarsi dei propri sensi, come vista, olfatto e gusto, può aiutare a evitare sprechi inutili senza compromettere la sicurezza.

Per alcune categorie più vulnerabili, come anziani, bambini e donne in gravidanza, esistono poi delle regole specifiche: evitare il consumo di alimenti animali crudi o poco cotti, come carne, pesce, frutti di mare o salse a base di uova crude.

La sicurezza alimentare non è un concetto astratto, ma un esercizio quotidiano di attenzione. Dal tagliere al frigorifero, dalla spesa alla cottura, ogni gesto conta. Adottare poche e semplici buone pratiche trasforma il mangiare in un vero atto di prevenzione.

Preparazione

Immergete il polpo ancora surgelato in acqua fredda non salata e cuocetelo a fuoco dolce per circa 45 minuti. Lasciatelo raffreddare nella sua acqua, poi tagliatelo a pezzetti.

Se usate porcini freschi, rimuovete accuratamente la terra con un coltellino o una spazzola, quindi tamponateli con un panno umido. Se usate invece funghi surgelati, cuoceteli direttamente. Rosolate i funghi con aglio e olio per circa 10 minuti, regolando di sale e pepe.

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Fate quindi appassire lo scalogno con poco olio, tostate il riso, sfumate con il vino bianco e cuocete aggiungendo il brodo poco alla volta. A metà cottura unite funghi e polpo. Terminata la cottura, mantecate con un filo d’olio e completate con il prezzemolo.

Diagnosi precoce

Salute orale

L’ATTENZIONE ALLA SALUTE DELLA BOCCA È UNA FORMA DI PREVENZIONE ONCOLOGICA

In questo articolo:

— LESIONI PRECANCEROSE

— ADERENZA ALLE TERAPIE

— TUMORI DEL CAVO ORALE

Curare l’igiene orale può aiutare a prevenire i tumori del cavo orale e a ridurre le complicanze delle terapie oncologiche. Diagnosi precoce, controlli regolari e assistenza odontoiatrica possono essere alleati importanti contro il cancro

a cura di Sofia Corradin

L’attenzione all’igiene orale non è solo una questione estetica e non serve soltanto a evitare carie, placche o gengiviti. È anche un gesto di cura nei confronti del proprio corpo nella sua interezza, e può essere utile per prevenire patologie del cavo orale, come tumori e complicanze delle terapie antitumorali.

Le forme di cancro del cavo orale fanno parte dei tumori del distretto testa-collo, una categoria che comprende le neoplasie di lingua, gengive, palato, guance e gola. Non sono frequenti (in Italia si stima un’incidenza di 4.000 casi l’anno), tuttavia le diagnosi sono in costante crescita, per via di una maggiore diffusione di fattori di rischio come le infezioni da Papillomavirus (HPV), il fumo (non solo di sigaretta) e l’alcol. Le persone più

Infiammazioni croniche della bocca, se combinate con altri fattori, come il fumo e l’alcol, possono degenerare in lesioni precancerose

esposte a questi fattori, inoltre, spesso tendono anche a trascurare la propria igiene orale.

“Dentatura malridotta o protesi non bene ancorate possono causare delle infiammazioni croniche che, se combinate con altri fattori come il fumo e l’alcol, rischiano di degenerare in lesioni precancerose. Queste ultime, se non vengono individuate tempestivamente, possono poi causare lo sviluppo di tumori” spiega Lisa Licitra, oncologa medica e responsabile della Struttura complessa di oncologia medica 3 – Tumori della testa e del collo della Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori di Milano.

L’attenzione alla salute della bocca continua però a essere sottovalutata, ed è raro che effettuare visite di controllo dal dentista o dall’otorinolaringoiatra sia considerata una forma di prevenzione oncologica. Per arginare questo problema, la Società europea dei tumori testa-collo (EHNS) ha creato Make Sense, una campagna internazionale di sensibilizzazione rivolta ai cittadini e agli operatori sanitari consultabile sul sito makesensecampaign.eu/ “Quando abbiamo effettuato il primo sondaggio sui tumori testa-collo, quasi nessuno sapeva della loro esistenza. Ora, a distanza di quasi 10 anni dall’avvio della campagna, la consapevolezza è aumentata, ma c’è ancora strada da fare” continua Licitra.

NON SOLO SPAZZOLINO E FILO INTERDENTALE

Prendersi cura della salute della bocca significa non solo lavarsi i denti con costanza, passare il filo interdentale e fare periodicamente la pulizia dentale, ma anche prestare attenzione a cambiamenti della mucosa e alle caratteristiche inconsuete che

possono assumere le diverse componenti anatomiche della nostra bocca. In caso di anomalie, è sempre opportuno farsi visitare da un medico specializzato nelle patologie del cavo orale.

“Dato che non abbiamo a disposizione test di screening per i tumori della bocca, la diagnosi precoce è fondamentale” spiega Licitra. “Per questo bisogna saper riconoscere segni e sintomi sospetti, in modo da potersi rivolgere tempestivamente a un medico di medicina generale – che dovrebbe includere nella visita di routine anche l’ispezione del cavo orale – o a uno specialista, come il dentista o l’otorinolaringoiatra. Loro saranno in grado di riconoscere eventuali lesioni precancerose o cancerose” spiega Licitra.

I due sintomi più comuni dei tumori della bocca sono la comparsa di ulcere o noduli che non guariscono (l’80% delle persone affette da tumore della bocca presenta questo sintomo) e un senso di disagio o dolore persistenti. Altri sintomi meno caratteristici possono includere la

IGIENE ORALE E TERAPIA ONCOLOGICA

Una buona igiene orale è importante anche per chi ha già sviluppato un tumore. Per i pazienti oncologici in cura, infatti, avere una bocca in salute può ridurre sensibilmente le complicanze legate a chemio e radioterapia. Mucositi, infezioni fungine, dolore e difficoltà nella masticazione sono effetti collaterali molto comuni dei trattamenti antitumorali, che possono sia rendere più difficile affrontare le cure sia influenzare negativamente l’alimentazione, la qualità di vita e persino l’aderenza alle terapie. “Il paziente che ha una buona igiene orale di base ha un rischio ridotto di incorrere in queste complicanze. Inoltre, prima di iniziare la terapia antitumorale raccomandiamo sempre di effettuare una pulizia approfondita dei denti, che può prevenire fastidiose infiammazioni” spiega Licitra.

A sottolineare l’importanza dell’igiene orale nel percorso oncologico di cura è anche un recente editoriale pubblicato su The Lancet Oncology, che rilancia la necessità di integrare l’assistenza odontoiatrica nei percorsi oncologici. La salute della bocca è un elemento capace di incidere sulla qualità delle cure e sulla sopravvivenza dei pazienti. La proposta,

Per i pazienti oncologici in cura, avere una bocca in salute può ridurre sensibilmente le complicanze legate a chemio e radioterapia

presenza di macchie, difficoltà o dolore nella deglutizione, la sensazione di avere un corpo estraneo in gola, il sanguinamento o l’intorpidimento della bocca, la caduta dei denti senza motivo, la perdita di peso e l’alito cattivo (alitosi).

quindi, è quella di inserire l’assistenza odontoiatrica nei protocolli di cura e di creare linee guida condivise tra oncologi e dentisti. Un cambiamento che richiede formazione, risorse e, soprattutto, un cambio di mentalità.

Nastro Rosa

AZIENDE INSIEME CONTRO IL TUMORE AL SENO

a cura della redazione

Le aziende che scelgono di sostenere la ricerca sul cancro diventano parte attiva di una trasformazione che riguarda la salute e il futuro di tutti. È questo lo spirito che unisce i partner di Nastro Rosa AIRC. Main partner della campagna è The Estée Lauder Companies, che da oltre trent’anni porta avanti la Breast Cancer Campaign a livello internazionale e che, dal 2015, ha scelto di sostenere Fondazione AIRC. In questi anni, l’azienda ha finanziato 9 borse di studio dedicate alla ricerca sul tumore al seno, un contributo concreto alla crescita di giovani ricercatrici e ricercatori impegnati a sviluppare terapie sempre più mirate ed efficaci.

Al suo fianco, numerose realtà riconfermano il loro impegno a favore della ricerca e della prevenzione. Acqua Vitasnella, ALDI, Chiquita, Coccinelle, Dr. Max, Marcolin, Primark, Veepee, Ralph Lauren e Cassa Centrale Banca hanno scelto di legare il proprio nome a Nastro Rosa AIRC, sostenendo progetti di ricerca sul tumore al seno e promuovendo iniziative rivolte al grande pubblico. C’è chi, come Vitasnella, finanzia una borsa di studio e propone ogni anno un’edizione speciale della bottiglietta d’acqua con un’etichetta rosa; chi, come ALDI, devolve parte del ricavato dalla vendita di prodotti selezionati presso i propri supermercati nel mese di ottobre; o chi, come Chiquita, sostiene una nuova annualità di una borsa di studio sul tumore al seno e trasforma l’icona Miss Chiquita

/ Collaborazioni / Nastro Rosa

in ambasciatrice della prevenzione, modificando la sua posa per ricordare l’importanza dell’autopalpazione. Anche la moda e il design saranno al servizio della ricerca: Coccinelle tra il 2 e il 19 ottobre devolverà ad AIRC l’intero ricavato della vendita di una selezione di prodotti in edizione limitata, omaggiando le clienti con un nastro rosa in pelle, disponibile anche sull’eshop di AIRC a fronte di una donazione. Ralph Lauren, attraverso le iniziative Pink Pony, sosterrà la ricerca con una percentuale del ricavato di alcuni prodotti dedicati e coinvolgerà clienti e dipendenti nella raccolta fondi. Primark ha scelto di fare una donazione per la ricerca sul tumore al seno e di avviare attività di sensibilizzazione per i propri clienti e dipendenti.

Anche quest’anno, il Gruppo Estée Lauder Companies sarà protagonista di una grande campagna di sensibilizzazione in oltre 2.500 profumerie, e organizzerà a Milano un Charity Dinner per la ricerca sul tumore al seno. Veepee, tra i protagonisti europei delle flash-sales con proposte dei migliori brand internazionali a prezzi esclusivi, sosterrà concretamente la ricerca sul tumore al seno insieme ad alcune delle marche presenti sul sito. Inoltre, l’e-commerce coinvolgerà i propri clienti in una campagna di sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione. Infine, Cassa Centrale Banca contribuirà a finanziare un bando My First AIRC Grant, destinato a un progetto innovativo sul tumore al seno.

LE SPILLE NASTRO ROSA IN TUTTA ITALIA GRAZIE AI PARTNER

Anche quest’anno, la spilla Nastro Rosa AIRC è al centro della campagna con un nuovo design bicolore, per rendere ancora più evidente la parte mancante del nastro. Un segno visibile che richiama l’urgenza di trovare cure sicure ed efficaci per tutte le donne. Federfarma Nazionale rinnova il patrocinio all’iniziativa, invitando le oltre 18.500 farmacie associate a partecipare alla distribuzione. A sostegno della campagna anche Alliance Healthcare, Apoteca Natura, Dr. Max, Gruppo Farvima (Farvima Medicinali, Safar e Sofad), La Farmacia, G.S.M. srl – Più Medical, So.Farma.Morra Group e Unifarma Distribuzione. La spilletta simbolo della campagna sarà inoltre disponibile in numerosi esercizi commerciali: grazie alla collaborazione con Magazzini Gabrielli, sarà presente nei supermercati e superstore a insegna Oasi, Tigre e Tigre Amico, in molti punti vendita Max Factory, presso i principali centri Bludental in Italia e i saloni Hairstudio’s del Gruppo Panariello.

Stefano Cinti, ricercatore AIRC all'Università degli studi di Napoli Federico II, sostenuto da Cassa Centrale Banca

UNO STRAORDINARIO MOTORE DI IMPEGNO SOCIALE

a cura della redazione

Dal 27 ottobre al 16 novembre si rinnova

l’appuntamento con i Giorni della Ricerca, campagna che da trent’anni promuove i risultati della ricerca oncologica, presenta le sfide del futuro e coinvolge il pubblico al fianco delle ricercatrici e dei ricercatori AIRC

Da trent’anni i Giorni della Ricerca promuovono la conoscenza sul cancro, contribuiscono a costruire una cultura della prevenzione oncologica e coinvolgono i cittadini nel sostenere concretamente il lavoro dei ricercatori. Ad aprire la nuova edizione, che celebra il sessantesimo di AIRC, la cerimonia al Quirinale alla presenza dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Da domenica 2 novembre prenderà il via la maratona RAI per AIRC, che in trent’anni di partnership ha contribuito a portare il tema cancro nelle case del grande pubblico. Per 8 giorni RAI racconta le

storie di ricercatori, medici e persone che hanno affrontato o stanno affrontando la malattia, coinvolgendo il pubblico a donare. Tra i testimonial che hanno concorso al successo della campagna sulle reti RAI c’è Loretta Goggi, che in questi anni con grande generosità ha prestato voce e volto alla missione della Fondazione: “Ho incontrato AIRC nel 1991 e da lì ho iniziato il mio percorso al fianco dei ricercatori, partecipando a diverse iniziative di raccolta fondi. All’epoca la parola cancro era considerata un tabù, in tv si aveva quasi timore di pronunciarla. Il trentennale impegno di RAI e AIRC ha

contribuito certamente a scardinare questo retaggio. Oggi di cancro si può e si deve parlare, è importante diffondere la cultura della prevenzione e la corretta informazione sui temi della salute per costruire una collettività sempre più consapevole”. L’impegno di Loretta Goggi è stato riconosciuto anche dal Presidente Mattarella, che nel 2019 le ha conferito il premio Credere nella Ricerca: “Per me è stata una grande emozione e un incentivo a essere ancora più protagonista al fianco di AIRC. Sono sempre stata convinta dell’importanza della ricerca per sconfiggere questa malattia, una consapevolezza diventata più forte negli anni nonostante abbia perso tante persone importanti a causa del cancro. Queste esperienze hanno moltiplicato il mio impegno, è un dovere che sento soprattutto nei confronti di coloro che ogni giorno incontrano la malattia. Voglio ricordare a tutti che la cura si chiama ricerca, e questa cura porta il nome dei medici e degli scienziati che lavorano per arrivare a terapie sempre più efficaci, quello dei volontari che si impegnano con la distribuzione dei Cioccolatini, e quello di tutti noi che possiamo donare semplicemente con un SMS al 45521 oppure, se ne abbiamo la possibilità, possiamo dare un po’ di più, con carta di credito su airc.it o con un bonifico bancario”.

GLI APPUNTAMENTI DEI GIORNI

• Cerimonia al Quirinale 27 ottobre

• RAI per AIRC 2-9 novembre

• AIRC nelle scuole 6-7 novembre

• Cioccolatini della Ricerca 8 novembre

• Un Gol per la Ricerca 7, 8, 9 e 16 novembre

Partecipa da protagonista ai Giorni della Ricerca: sostieni da subito il lavoro dei ricercatori su airc.it o con bonifico bancario sul conto dedicato IT45E0503401633000000008069.

Ogni anno i lasciti testamentari sostengono oltre 50 progetti di ricerca.

Diego Pasini, Istituto Europeo di Oncologia e Università degli Studi di Milano, insieme a Rita, testatrice AIRC.

Il tuo lascito, il suo impegno.

Fai un lascito testamentario ad AIRC e aiuta i nostri ricercatori a trovare cure sempre più efficaci contro il cancro.

Chiama l’800.11.22.44 o vai su lasciti.airc.it

In Italia oltre 1,7 milioni di persone sono vive a 10 anni dalla diagnosi di cancro.

Ci sono tanti modi per fare ricerca. Donare è uno di questi.

Dai ora il tuo sostegno con I Cioccolatini della Ricerca.

Disponibile su Nelle filiali

Fonte: I numeri del cancro in Italia 2024

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